Società Di Vigilanza Privata Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai una società di vigilanza privata con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Il settore della sicurezza privata è tra i più delicati e controllati, soggetto a normative rigide, costi di gestione elevati e verifiche fiscali approfondite.
Molte imprese di vigilanza, anche con contratti attivi e personale qualificato, si trovano oggi a gestire debiti con il Fisco, l’INPS o i fornitori, dovuti a ritardi nei pagamenti, accertamenti IVA o IRPEF, o difficoltà di liquidità, con il rischio di cartelle esattoriali, pignoramenti, sospensioni delle licenze o blocchi dei conti correnti.
Con una difesa legale e fiscale mirata, è possibile bloccare la riscossione, rinegoziare i debiti e difendersi da accertamenti infondati, salvaguardando la continuità operativa della società e la tutela dei dipendenti.

Quando una società di vigilanza entra in difficoltà fiscale
Le situazioni più comuni che portano a debiti o controlli fiscali nel settore sicurezza sono:

  • Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRES, IRAP o contributi non versati;
  • Accertamenti fiscali per incongruenze tra fatturato, costi di personale e redditi dichiarati;
  • Pignoramenti o ipoteche su conti correnti, veicoli e immobili aziendali;
  • Sanzioni e interessi che fanno crescere rapidamente l’importo del debito;
  • Ritardi nei pagamenti dei committenti, enti pubblici o società appaltanti;
  • Errori contabili o gestionali nella fatturazione o nella gestione delle ritenute per i dipendenti.

Cosa fare se la tua società ha debiti o è sotto accertamento fiscale

  1. Agisci subito: ogni atto fiscale (cartella o accertamento) ha termini precisi – di norma 60 giorni dalla notifica – per essere impugnato o rateizzato.
  2. Verifica la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti fiscali contengono vizi di notifica o calcoli errati, che consentono di chiederne l’annullamento.
  3. Controlla l’importo reale del debito: spesso la cifra include sanzioni e interessi sproporzionati, riducibili con definizioni agevolate o transazioni fiscali.
  4. Richiedi una rateizzazione: puoi ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le procedure di riscossione.
  5. Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se disponibile, consente di pagare solo l’imposta dovuta, eliminando sanzioni e interessi.
  6. Impugna accertamenti infondati: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, puoi bloccare la riscossione e difendere la tua società.

Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nella difesa delle imprese del settore sicurezza può analizzare la tua posizione e predisporre una strategia personalizzata per proteggere la società e i suoi amministratori.
Le azioni più efficaci comprendono:

  • contestare errori di notifica, motivazione o calcolo negli accertamenti e nelle cartelle esattoriali;
  • chiedere la sospensione delle azioni di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche);
  • presentare ricorso contro accertamenti IVA o IRPEF basati su presunzioni o dati non realistici;
  • negoziare rateizzazioni o transazioni fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
  • tutelare mezzi, beni aziendali e licenze operative da sequestri o provvedimenti restrittivi;
  • pianificare un piano di risanamento aziendale conforme al Codice della Crisi d’Impresa.

Il ruolo dell’avvocato nella difesa della società di vigilanza privata

  • Analizza la legittimità degli accertamenti, delle cartelle e delle intimazioni di pagamento.
  • Predispone ricorsi e istanze di sospensione per bloccare la riscossione.
  • Negozia piani di rateizzazione e definizioni agevolate con l’Agenzia delle Entrate.
  • Difende la società nel contraddittorio con gli Uffici fiscali e nei giudizi tributari.
  • Protegge beni aziendali, veicoli e licenze da azioni esecutive.
  • Tutela la continuità operativa e la reputazione dell’impresa, salvaguardando i contratti in corso.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

  • La sospensione immediata delle procedure di riscossione.
  • L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi.
  • La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute.
  • La protezione del patrimonio aziendale e personale degli amministratori.
  • Il risanamento fiscale e la stabilità economica della tua società.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti, sospensione delle licenze e fermo dei mezzi aziendali, mettendo in pericolo l’operatività dell’impresa.
Molte situazioni, tuttavia, possono essere risolte o ridotte, se affrontate con tempestività e con l’assistenza di un avvocato tributarista esperto in diritto delle imprese e difesa fiscale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e difesa delle aziende del settore sicurezza – spiega cosa fare se la tua società di vigilanza privata ha debiti fiscali o è sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ricostruire la solidità economica della tua azienda.

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Introduzione

Le società di vigilanza privata, che offrono servizi di sicurezza e sorveglianza, operano in un settore delicato regolato da norme stringenti (ad esempio il T.U.L.P.S. e il D.M. 269/2010). Quando un istituto di vigilanza accumula debiti (verso dipendenti, fornitori, Fisco, enti previdenziali o banche), emergono problematiche legali specifiche. Questa guida, rivolta a imprenditori, legali rappresentanti e loro consulenti, analizza in dettaglio cosa fare e come difendersi di fronte a una situazione debitoria critica, dal punto di vista del debitore. Il taglio è avanzato (ma divulgativo), con richiami a normative italiane e sentenze aggiornate al 2025, FAQ, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche. L’obiettivo è fornire strumenti per gestire la crisi, conoscere i propri diritti/doveri e adottare strategie di difesa legali efficaci.

Indice della guida:

  1. Contesto e peculiarità delle società di vigilanza con debiti – Requisiti legali e rischi specifici (licenza prefettizia, obblighi verso il personale).
  2. Tipologie di debiti e relative conseguenze – Analisi dei debiti verso dipendenti, fornitori, INPS, Fisco, banche.
  3. Strumenti di difesa e gestione della crisi d’impresa – Soluzioni stragiudiziali, piani di risanamento, composizione negoziata, concordato preventivo, liquidazione giudiziale.
  4. Procedure legali attivate dai creditori: come affrontarle – Decreto ingiuntivo, pignoramento, istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) e relative difese.
  5. Responsabilità del legale rappresentante e degli amministratori – Profili di responsabilità civile, penale e patrimoniale degli amministratori in caso di insolvenza societaria.
  6. FAQ – Domande comuni dal punto di vista del debitore – Domande e risposte pratiche (licenza, stipendi non pagati, concordato vs fallimento, ecc.).
  7. Tabelle riepilogative – Schemi riassuntivi (creditori e rimedi, procedure concorsuali, obblighi e responsabilità).
  8. Fonti normative e giurisprudenziali – Elenco delle fonti utilizzate (leggi, decreti, sentenze).

1. Contesto e peculiarità delle società di vigilanza con debiti

Le società di vigilanza privata (guardie giurate, istituti di sicurezza) operano solo previa licenza del Prefetto ex art. 134 T.U.L.P.S., soggetta a rigorosi requisiti organizzativi e di onorabilità. Un aspetto peculiare è che il Prefetto può sospendere o revocare la licenza se l’azienda non rispetta determinati obblighi, tra cui quelli verso i dipendenti. Ad esempio, la normativa prevede esplicitamente che l’autorizzazione possa essere sospesa o revocata in caso di inadempienza degli obblighi posti a carico degli istituti di vigilanza privata . In pratica, se un istituto di vigilanza non versa stipendi, contributi assicurativi o previdenziali al personale, rischia provvedimenti amministrativi drastici: nei casi gravi i Prefetti hanno effettivamente sospeso le licenze ad operare fino a regolarizzazione . Ciò significa che la crisi debitoria, per queste società, assume anche un riflesso pubblicistico (perdita dell’autorizzazione) oltre che privatistico.

Dal punto di vista aziendale, gli istituti di vigilanza spesso impiegano numerosi dipendenti (guardie giurate, personale operativo e amministrativo) e hanno costi fissi elevati (stipendi, contributi, mezzi, attrezzature) a fronte di margini limitati. L’espansione rapida o una gestione finanziaria imprudente possono portare a situazioni di insolvenza. Un caso emblematico è quello della società Pegaso Security S.p.A., cresciuta in pochi anni fino a 850 dipendenti e poi costretta nel 2025 a rivolgersi al tribunale per la crisi d’impresa, con stipendi pagati in ritardo e perfino prospettate decurtazioni del 20% ai lavoratori nel piano di risanamento . In alcune province, Pegaso si è vista sospendere la licenza prefettizia a causa dell’insolvenza e dei ritardi nei pagamenti . Questo esempio reale illustra come l’insolvenza di una società di vigilanza abbia impatti immediati su lavoratori (scioperi, stipendi non corrisposti), sull’ordine pubblico (intervento delle Prefetture) e sulla continuità aziendale (istanze di procedure concorsuali).

Normativa di settore: oltre alle leggi comuni alle società, gli istituti di vigilanza devono rispettare standard minimi di capacità finanziaria e organizzativa (D.M. 1/12/2010 n. 269). L’autorità di P.S. verifica, al rilascio e al rinnovo della licenza, che la società sia in regola con oneri previdenziali e assicurativi verso i dipendenti. Estensioni o rinnovi di licenza possono essere negate in presenza di situazioni debitorie accertate su contributi e premi assicurativi . In altre parole, non è consentito operare a chi non paga regolarmente contributi INPS e INAIL: la licenza “è sempre revocata” se il titolare dell’istituto risulta inadempiente verso tali obblighi . Questo meccanismo intende evitare che imprese scorrette competano al ribasso mettendo a rischio la sicurezza pubblica e i diritti dei lavoratori.

Riassumendo, le società di vigilanza con debiti affrontano:

  • Rischio di perdere la licenza (sospensione/revoca prefettizia) se inadempienti verso dipendenti e enti previdenziali .
  • Pressione sindacale e mediatica: scioperi e interventi della Commissione di garanzia sullo sciopero nei servizi essenziali, come avvenuto per Pegaso .
  • Procedimenti giudiziari avviati dai creditori (cause di lavoro, decreti ingiuntivi dei fornitori, azioni esecutive, istanze di fallimento).
  • Eventuale gestione della crisi d’impresa in tribunale, secondo il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, come modificato), con strumenti come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale (ex fallimento).

Nei capitoli seguenti, analizzeremo le principali categorie di debito e le conseguenze legali, per poi esaminare come difendersi (soluzioni negoziali o concorsuali) e le responsabilità dei rappresentanti dell’azienda. L’attenzione è sul quadro normativo italiano aggiornato al 2025, includendo le più recenti sentenze che fanno chiarezza su questi temi.

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2. Tipologie di debiti e relative conseguenze

Una società di vigilanza in difficoltà finanziaria può accumulare debiti verso diverse categorie di soggetti. Ognuna presenta peculiarità giuridiche in termini di tutele per il creditore e rischi per il debitore. Esaminiamo separatamente le principali tipologie:

  • 2.1 Debiti verso i dipendenti – Stipendi non pagati, TFR e altri crediti di lavoro.
  • 2.2 Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali – Fatture insolute per beni e servizi.
  • 2.3 Debiti verso enti previdenziali (INPS) e assicurativi (INAIL) – Contributi non versati.
  • 2.4 Debiti verso il Fisco (Erario) – Imposte e ritenute non pagate.
  • 2.5 Debiti verso banche e istituti di credito – Scoperti di conto, mutui, leasing insoluti.

Per ciascun ambito vedremo quali conseguenze può subire la società e quali strumenti hanno i creditori per il recupero forzoso, con un focus sulle implicazioni per gli amministratori.

2.1 Debiti verso i dipendenti (retribuzioni e TFR non pagati)

Natura del debito: Gli stipendi, i compensi e il trattamento di fine rapporto (TFR) dovuti ai dipendenti rientrano tra i crediti di lavoro, tutelati in modo particolarmente forte dall’ordinamento. Se una società di vigilanza non paga regolarmente i suoi lavoratori, si aprono tre fronti: (a) azioni individuali dei lavoratori per ottenere le somme, (b) intervento degli enti pubblici (ITL – Ispettorato del Lavoro, Prefettura) per sanzionare le inadempienze, e (c) conseguenze sui rapporti di lavoro stessi (scioperi, dimissioni, ecc.).

  • Azioni legali dei dipendenti: Il singolo lavoratore ha diritto all’intera retribuzione concordata nei termini previsti (di regola mensilmente). In caso di mancato pagamento, può agire giudizialmente con diverse modalità. Frequentemente si ricorre al decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo ex art. 642 c.p.c., basato sulle buste paga o sui libri contabili (essendo “credito da lavoro”, il giudice può renderlo esecutivo subito). Se l’ingiunzione non viene opposta entro 40 giorni, il dipendente potrà passare all’esecuzione forzata (pignorando conti, veicoli, attrezzature aziendali, ecc.). In alternativa, se vi sono contestazioni sul quantum, il lavoratore può promuovere un ricorso al Tribunale del Lavoro per ottenere una sentenza di condanna. Data la natura alimentare degli stipendi, queste procedure sono rapide: il giudice può concedere provvisoria esecutorietà immediata. Inoltre gli interessi moratori e la rivalutazione monetaria spettano automaticamente sui crediti da lavoro ritardati.
  • Intervento dell’Ispettorato del Lavoro e Prefettura: Il protrarsi di omessi pagamenti salariali può configurare violazioni amministrative. Ad esempio, il d.lgs. n. 66/2003 (orario di lavoro) e altre norme prevedono sanzioni se il datore non corrisponde gli straordinari o trattiene indebitamente somme. Nel caso specifico degli istituti di vigilanza, come evidenziato in precedenza, situazioni gravi di stipendi non pagati attirano l’attenzione del Prefetto, che può disporre la sospensione della licenza fino a quando l’istituto non dimostri di aver sanato le pendenze . Ciò è avvenuto, ad esempio, per Pegaso Security in varie province (Bari, Trento, Bolzano, ecc.), costringendo l’azienda a correre ai ripari per non perdere commesse e autorizzazioni.
  • Dimissioni per giusta causa e fondo di garanzia INPS: Il dipendente che non riceve lo stipendio ha facoltà di rassegnare dimissioni per giusta causa, ossia senza preavviso, addebitando la colpa al datore. La giurisprudenza considera il mancato pagamento delle retribuzioni una giusta causa di recesso del lavoratore, che dà diritto anche all’accesso immediato alla NASpI (indennità di disoccupazione), purché sia formalizzata correttamente la dimissione indicando il motivo. Inoltre, se l’azienda versa in insolvenza o viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), i lavoratori hanno a disposizione il Fondo di Garanzia INPS che interviene a tutela di parte dei loro crediti. In sintesi, il Fondo paga al lavoratore: (i) l’intero TFR maturato non liquidato, e (ii) le ultime tre mensilità di retribuzione non pagate, entro certi limiti temporali (i tre mesi devono rientrare nei 12 mesi precedenti la data di cessazione del rapporto o l’inizio della procedura concorsuale) . Ad esempio, se la società Alfa S.r.l. fallisce e un dipendente non ha ricevuto le ultime quattro buste paga, l’INPS gli corrisponderà le tre mensilità finali (oltre al TFR intero), poi surrogherà il suo credito insinuandolo nel passivo fallimentare. Per attivare il Fondo, è necessario che il rapporto sia cessato e che vi sia una procedura concorsuale (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta) oppure – in assenza di fallimento perché l’azienda non vi è soggetta – che il lavoratore ottenga un titolo esecutivo e dimostri l’infruttuoso tentativo di esecuzione (azienda priva di beni escutibili). La privilegiata tutela dei crediti di lavoro si manifesta anche nel grado di soddisfacimento: in caso di esecuzione forzata o fallimento, stipendi e TFR godono di privilegio generale mobiliare ex art. 2751-bis c.c. (collocandosi ai primi posti nel riparto, dopo poche altre voci come spese di procedura e crediti per alimenti).

Conseguenze per l’amministratore: Di norma il mancato pagamento di retribuzioni è un inadempimento civile della società, che non comporta responsabilità penale diretta (non esiste un “reato di omesso pagamento stipendi”). Tuttavia, possono profilarsi altri rischi: se l’omissione è sistematica, il datore potrebbe incorrere nel reato di estorsione o sfruttamento qualora costringa i dipendenti ad accettare condizioni inferiori sotto minaccia implicita (ipotesi limite, difficili da provare). Più concretamente, il protrarsi di omissioni contributive contestualmente agli stipendi arretrati può integrare reati specifici (vedi §2.3) e sicuramente configura per l’amministratore una violazione dei doveri gestori. Accumulare debiti verso i dipendenti, infatti, espone la società a cause e sanzioni, peggiorando la crisi: un comportamento che potrebbe essere valutato come mala gestio. In caso di fallimento, il curatore potrebbe citare in giudizio gli amministratori per danno arrecato al patrimonio sociale, ad esempio per aver proseguito l’attività accumulando debiti salariali insostenibili. È opportuno ricordare anche che l’art. 603-bis c.p. punisce il caporalato e sfruttamento del lavoro (anche attraverso retribuzioni palesemente insufficienti e reiterate violazioni contrattuali), ma riguarda fattispecie più estreme di sfruttamento doloso.

In sintesi, non pagare i dipendenti ha conseguenze immediate: blocchi operativi (scioperi, dimissioni di massa), interventi pubblici (Prefetto, ITL) e azioni legali rapide. Dal lato difensivo, si vedrà più avanti che per un imprenditore in crisi è fondamentale tentare soluzioni come piani di rientro o cassa integrazione straordinaria (ove applicabile) per tamponare tali situazioni, evitando di aggravare la posizione.

2.2 Debiti verso fornitori e creditori commerciali

Natura del debito: Include fatture non pagate a fornitori di beni (es. automezzi, carburante, uniformi, tecnologia di sorveglianza) o servizi (es. consulenze, manutenzione, affitti di sedi) e, più in generale, qualsiasi credito commerciale verso la società di vigilanza. A differenza dei lavoratori, i fornitori non godono di privilegi o tutele speciali per legge (fatta eccezione per alcune categorie come professionisti iscritti ad albi, i cui compensi possono avere un privilegio generale minore ex art. 2751-bis n.2 c.c.). Si tratta dunque di creditori chirografari nella maggioranza dei casi, i quali però hanno a disposizione l’intero arsenale di azioni di recupero crediti previsto dal codice civile e di procedura.

  • Recupero crediti e azioni giudiziarie: Il fornitore non pagato può innanzitutto inviare una messa in mora (lettera raccomandata o PEC) intimando il pagamento entro un termine, dopodiché può avviare un procedimento monitorio per ottenere un decreto ingiuntivo. Diversamente dai crediti di lavoro, qui serve un titolo probatorio scritto del credito (fatture, DDT firmati, contratti, ecc.) e il decreto non è immediatamente esecutivo salvo cauzione o particolari condizioni; tuttavia, decorso il termine di 40 giorni senza opposizione, diventa definitivo e il creditore potrà agire in via esecutiva. Spesso i fornitori optano per un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo se possono provare che il credito è, ad esempio, fondato su assegni o cambiali protestate oppure se la società è in evidente stato di insolvenza. In mancanza di titolo, il fornitore può promuovere una causa ordinaria di cognizione, ma i tempi sono più lunghi, quindi di solito si preferisce il monitorio.
  • Pignoramenti e misure cautelari: Ottenuto un titolo esecutivo (ingiunzione non opposta o sentenza), il creditore commerciale può procedere al pignoramento dei beni della società. Nel caso di un istituto di vigilanza, i beni aggredibili includono: i conti correnti aziendali (pignoramento presso banca), i crediti verso terzi (ad esempio crediti per servizi svolti presso clienti, mediante atto di pignoramento presso il cliente debitore), i veicoli aziendali (autopattuglie, furgoni blindati, ecc.), gli arredi e le attrezzature d’ufficio (computers, server, centrali operative) e così via. In sede esecutiva, il creditore non gode di preferenze particolari, ma se agisce per primo può soddisfarsi sui beni pignorati anticipando eventuali altri creditori (fatta salva la concorrente presenza di crediti privilegiati). Nel contesto di una vigilanza privata, il pignoramento di mezzi o conti può paralizzare l’attività: ad esempio il blocco del conto rende impossibile pagare personale e forniture correnti; il sequestro di veicoli impedisce di svolgere i servizi di ronda. Pertanto spesso l’arrivo di pignoramenti porta la società debitrice a cercare urgentemente un accordo o a valutare procedure concorsuali per congelare l’esecuzione (vedi oltre §3 e §4).
  • Possibili azioni cautelari: Se il credito è certo e c’è pericolo nel ritardo (ad es. si teme che la società distragga beni), il fornitore potrebbe anche chiedere un sequestro conservativo sui beni del debitore, ottenendo un vincolo prima ancora di avere una sentenza definitiva. Ciò richiede dimostrare fumus boni iuris e periculum in mora e in genere viene concesso quando vi è evidenza di insolvenza e rischio di depauperamento. In sede concorsuale, i fornitori chirografari possono attivare le consuete azioni revocatorie (fallimentari o ordinarie) se nei mesi antecedenti la procedura il debitore ha compiuto pagamenti preferenziali o atti dispositivi lesivi della par condicio (questo scenario diventa rilevante soprattutto post-fallimento).

Conseguenze e rischi: Per la società di vigilanza, i debiti verso fornitori comportano il rischio di perdere credibilità commerciale, vedersi revocati contratti di fornitura strategici (ad es. il contratto di noleggio auto, di vigilanza satellitare, ecc.), e subire iniziative legali potenzialmente disruptive (come pignoramenti di conti e beni essenziali). Dal lato degli amministratori, il mancato pagamento dei fornitori, di per sé, non implica responsabilità personali immediate: vige il principio di autonomia patrimoniale perfetta per le società di capitali, per cui solo la società risponde con il suo patrimonio dei debiti contratti (art. 2462 c.c. per le S.r.l.) . I soci e gli amministratori non rispondono personalmente, a meno che non ricorrano situazioni particolari (frode, garanzie personali, violazioni di legge). Tuttavia, esistono eccezioni:

  • Truffa o insolvenza fraudolenta: Se l’amministratore ha continuato ad ordinare beni/servizi dai fornitori pur sapendo di non poter pagare e magari celando lo stato di dissesto, potrebbe configurarsi il reato di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.) o addirittura truffa contrattuale. Ad esempio, promettere il pagamento sapendo di essere insolventi, per ottenere forniture, è una condotta sanzionabile con pena fino a 2 anni. Sono casi limite: usualmente i fornitori agiscono in sede civile per il recupero, riservando il penale a situazioni di conclamata malafede (es. falsa apparenza di solvibilità, uso di prestanome, etc.).
  • Garanzie personali (fideiussioni): Spesso, soprattutto le PMI, ottengono forniture rilevanti firmando fideiussioni personali o avalli in favore del fornitore (si pensi a contratti di leasing di automezzi o sistemi elettronici). In tal caso, se la società non paga, il fornitore può escutere direttamente l’amministratore o socio che abbia garantito, aggredendone il patrimonio personale (conto privato, immobili di proprietà, etc.). Questo esula dalla responsabilità legale “automatica”: è un’obbligazione volontaria assunta dall’amministratore in favore del creditore.
  • Deterioramento del rating e azioni cumulative: La presenza di debiti scaduti verso più fornitori può spingere questi ultimi ad agire in modo coordinato (ad es. presentando istanza di fallimento tutti insieme, o segnalando l’azienda come cattivo pagatore alle centrali rischi commerciali). Un amministratore che lasci incancrenire debiti commerciali multipli senza far nulla rischia di aggravare irreversibilmente la crisi: questo può essere valutato, a posteriori, come colpa grave nella gestione. In sede di azione di responsabilità o bancarotta semplice (se fallimento), gli potrà essere contestato di non aver tempestivamente predisposto misure per contenere il dissesto (ad esempio, non aver ridotto l’attività per limitare i debiti, vedi art. 2486 c.c. sulla gestione dopo scioglimento).

In definitiva, i debiti verso fornitori vanno gestiti con prontezza negoziale: contattare i creditori, proporre piani di rientro o stralci, per evitare l’escalation a decreti ingiuntivi e pignoramenti. Nel §3 vedremo gli strumenti per formalizzare accordi (anche nell’ambito di procedure di crisi). Se ciò non avviene, il rischio concreto è che un creditore esasperato depositi un’istanza di fallimento (lo possono fare con debiti scaduti rilevanti, v. §4.3), forzando l’azienda in una procedura concorsuale.

2.3 Debiti verso INPS e INAIL (contributi previdenziali e premi assicurativi)

Natura del debito: Si tratta dei contributi previdenziali dovuti all’INPS per i dipendenti (IVS, contributi pensionistici e assistenziali) e dei premi assicurativi obbligatori dovuti all’INAIL per la copertura infortuni. Nel caso dei contributi, una parte è a carico del datore e una parte a carico del lavoratore: quest’ultima viene trattenuta dalla busta paga e l’azienda funge da sostituto che la versa all’INPS. Il mancato versamento dei contributi configura quindi un duplice inadempimento: verso l’ente e, indirettamente, verso il lavoratore (che si vedrà mancare accreditati i contributi per la pensione).

Conseguenze amministrative e civili: L’INPS attiva procedure di recupero molto rapide in caso di omesso versamento. In particolare, emette un Avviso di Addebito (titolo esecutivo) con valore di cartella esattoriale, che viene notificato alla società debitrice. Trascorsi 60 giorni senza pagamento, l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) può procedere con fermo amministrativo di beni mobili registrati, ipoteca su immobili sociali e pignoramenti (anche presso terzi, es. creditore pignora crediti dell’azienda verso i clienti). La legge prevede la possibilità di chiedere una rateizzazione del debito contributivo all’INPS (tipicamente fino a 24 rate mensili, estensibili in casi eccezionali a 36), presentando garanzie. Se la rateazione è accordata, l’agente della riscossione sospende l’esecuzione sempreché le rate siano pagate regolarmente.

Nel frattempo, il debito contributivo è aggravato da sanzioni civili: per gli importi omessi entro il limite di 10.000 € annui, l’illecito è depenalizzato e punito con sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 € (ex art. 2, co.1-bis D.L. 463/1983, come modificato). Se invece si supera la soglia penale (vedi oltre), comunque l’INPS applica somme aggiuntive per ritardato pagamento (interessi di mora e sanzioni civili). Da un punto di vista privilegi: i contributi dovuti all’INPS godono di privilegio generale sui mobili (ex art. 2753 c.c.) e spesso anche speciale su determinati beni (art. 2788 c.c. per i contributi agricoli, analogie in altri settori). Quindi in un eventuale fallimento saranno soddisfatti prima dei creditori chirografari.

Responsabilità personale e penale degli amministratori: Il legislatore attribuisce particolare rilevanza al versamento delle ritenute previdenziali trattenute ai lavoratori. L’art. 2 del D.L. 463/1983 (conv. in L. 638/1983) e successive modifiche stabiliscono che il mancato versamento dei contributi previdenziali configura reato se l’importo delle ritenute non versate eccede una soglia annua (attualmente 10.000 €). Sotto tale soglia, come detto, vi è solo sanzione amministrativa; sopra, si applica la sanzione penale: reclusione fino a 3 anni e multa fino a 1.032 € per il datore di lavoro (legale rappresentante) inadempiente. È un reato omissivo istantaneo che si perfeziona allo scadere del termine per il versamento (in genere il 16 del mese successivo per i contributi mensili). La norma prevede una sorta di “diffida” amministrativa: se il datore versa il dovuto entro 3 mesi dalla contestazione o notifica della violazione, il reato è estinto (pagamento tardivo come causa di non punibilità). Viceversa, persistendo l’omissione oltre tale termine, scatta la perseguibilità penale.

La giurisprudenza recente è molto rigida nel valutare le giustificazioni del datore. La Corte di Cassazione (pen., sez. IV) con sentenza n. 45803 del 13/12/2024 ha affermato che lo stato di grave crisi economica dell’impresa non esonera l’imprenditore dalla responsabilità penale per omesso versamento delle ritenute INPS, nemmeno se questi ha destinato le poche risorse disponibili a pagare i dipendenti invece dei contributi . In tale caso, l’imputato (legale rappresentante di una S.r.l.) sosteneva di aver privilegiato le retribuzioni rispetto ai contributi durante una fase di dissesto, ma la Cassazione ha respinto la sua linea difensiva: pagare gli stipendi non basta a scriminare il mancato versamento contributivo. Il reato infatti richiede il dolo generico, integrato dalla consapevole scelta di non versare quanto dovuto, e “anche in caso di insolvenza, il datore è vincolato al versamento delle ritenute allo stesso titolo per cui è vincolato al pagamento delle retribuzioni” . Insomma, secondo i giudici, stipendi e contributi hanno pari dignità e la crisi di liquidità non esime dal rispetto degli obblighi previdenziali (se non hai fondi per entrambi, devi valutare seriamente strumenti di crisi, non puoi semplicemente omettere contributi confidando nell’assenza di pena).

È bene evidenziare però che, a differenza dei reati tributari (vedi §2.4), attualmente la normativa non prevede una causa di non punibilità per “crisi di liquidità non imputabile” nei reati contributivi. Tali cause di esenzione sono state introdotte per IVA e ritenute fiscali nel 2024 (come vedremo), ma non si estendono all’omesso versamento contributi. Quindi l’amministratore accusato di omesso versamento INPS avrà come unica chance di difesa provare di aver versato entro 3 mesi dalla contestazione quanto dovuto (estinguendo il reato) oppure invocare circostanze eccezionali come la forza maggiore, estremamente difficili da dimostrare (es. un evento esterno imprevedibile che ha impedito il pagamento nonostante le massime diligenze).

Altre conseguenze: Un ulteriore rischio per gli amministratori è la possibile azione di responsabilità civile da parte di INPS. Infatti, se la società fallisce e rimangono contributi non pagati, l’ente può insinunare il proprio credito nel fallimento e contestualmente valutare l’opportunità di agire verso gli ex amministratori qualora ritenga che il mancato pagamento sia dipeso da atti di mala gestio (come distrazione di risorse). L’INPS ha talvolta promosso azioni di responsabilità ex art. 2394 c.c. (verso amministratori per insufficienza patrimoniale) sostenendo che il patrimonio sociale è stato depauperato a danno dei crediti contributivi. La giurisprudenza su queste azioni è altalenante, ma conviene sapere che esse sono possibili e i termini di prescrizione sono lunghi (5 anni dalla dichiarazione di fallimento per l’azione del curatore, 5 anni dal fatto dannoso per l’azione individuale dei creditori se ammessa). In ogni caso, non pagare i contributi espone certamente a sanzioni pecuniarie e penali dirette sul legale rappresentante e compromette la continuità aziendale (il DURC – Documento Unico di Regolarità Contributiva – risulterà irregolare, impedendo la partecipazione a gare e appalti pubblici o il rinnovo di contratti con clienti qualificati).

Nota: Anche i premi INAIL non pagati generano interessi e sanzioni, e l’INAIL ha poteri simili di riscossione. Tuttavia, l’omesso versamento di premi assicurativi non costituisce reato ma solo illecito amministrativo. Resta il fatto che un’azienda con premi INAIL non versati viene segnalata e potrà subire ispezioni più frequenti e azioni esecutive.

2.4 Debiti verso il Fisco (imposte e tributi non pagati)

Natura del debito: Comprende le imposte dovute all’Erario e agli enti locali. Nel caso di una società di vigilanza privata assumono rilievo soprattutto: IVA (imposta sul valore aggiunto dovuta sulle fatture emesse per i servizi di vigilanza), ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente (IRPEF trattenuta in busta paga ai dipendenti, e dovuta tramite F24 mensile), eventuali imposte sui redditi proprie (IRES, IRAP) se non versate in acconto o a saldo, e tributi locali (TARI, canoni, etc.). Il debito fiscale, come quello contributivo, è seguito da un apparato sanzionatorio sia amministrativo che penale in caso di inadempimento.

Conseguenze amministrative: Il mancato pagamento delle imposte entro i termini comporta innanzitutto sanzioni tributarie amministrative. Ad esempio, per l’IVA non versata alle scadenze periodiche, la sanzione base è il 30% dell’imposta non versata (riducibile col ravvedimento operoso se si paga in ritardo spontaneamente) . Tali sanzioni fiscali sono dovute dalla società inadempiente e vengono anch’esse iscritte a ruolo per la riscossione coattiva. Analogamente per le ritenute alla fonte (sulle paghe) non versate: la sanzione amministrativa è del 20% dell’importo omesso, più interessi.

Dopo la scadenza, l’Agenzia delle Entrate iscrive a ruolo i crediti tributari non spontaneamente versati ed emette cartelle esattoriali tramite l’Agente della Riscossione. Le azioni esecutive sono le medesime viste per i contributi: pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche. Il Fisco, inoltre, può attivare istituti di garanzia come il privilegio fiscale su mobili e immobili (ex art. 2752 c.c. per IVA e imposte dirette, privilegio generale). In un eventuale concorso tra creditori, le imposte non pagate godono di privilegio generale sui mobili aziendali (secondo un ordine stabilito dall’art. 2778 c.c., dove IVA e ritenute hanno un rango piuttosto alto). Ciò significa che, ad esempio, in caso di fallimento, lo Stato recupera l’IVA dovuta prima dei debiti verso fornitori chirografari.

Reati tributari e soglie di punibilità: L’ordinamento prevede specifici reati per omesso versamento di alcuni tributi, disciplinati dal D.Lgs. 74/2000 (reati tributari). I due principali, applicabili all’amministratore che ometta di versare: (i) l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) e (ii) l’omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000). Tali fattispecie scattano solo al superamento di determinate soglie di importo:

  • Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis): punisce chi non versa, entro il termine previsto per la dichiarazione annuale, le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti (es. Certificazioni Uniche dei dipendenti) per un ammontare superiore a euro 150.000 per periodo d’imposta. (NB: fino al 2015 la soglia era 50.000 €, poi elevata a 150.000 €). La pena è la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Nel caso di una società di vigilanza, questa ipotesi riguarda tipicamente le ritenute IRPEF sui salari dei dipendenti: se in un anno la società trattiene e non versa più di 150mila € di IRPEF complessivi, l’amministratore commette reato. Al di sotto di 150k, resta una violazione amministrativa.
  • Omesso versamento IVA (art. 10-ter): punisce chi non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto IVA dell’anno successivo (di regola 27 dicembre), l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un importo superiore a euro 250.000 annui. È importante sottolineare che tale soglia era in passato di 50.000 €, ma è stata drasticamente innalzata nel 2024 con la riforma del diritto penale tributario. Infatti, fino all’anno d’imposta 2022, il reato scattava sopra 50.000 €; dall’anno d’imposta 2023 in avanti la soglia è 250.000 € . La pena rimane la reclusione da 6 mesi a 2 anni. In pratica oggi solo omissioni di versamento IVA di rilevante entità sono penalmente perseguite, mentre importi inferiori a 250k (per anno) costituiscono illecito amministrativo tributario (sanzione 30% come detto).

Queste soglie sono riferite al periodo d’imposta: ad esempio, se la società Alfa nel 2024 ha dichiarato IVA a debito per 300.000 € e non la versa entro il 27.12.2025, l’amministratore commette reato (superando 250k). Se invece ha omesso 100.000 €, non vi è reato ma solo sanzione fiscale.

Novità 2024 – cause di non punibilità: La riforma attuata con il D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87 non si è limitata a innalzare la soglia IVA, ma ha introdotto una causa di non punibilità per i reati di omesso versamento quando il mancato pagamento sia dovuto a circostanze indipendenti dalla volontà del contribuente. In particolare, è stato inserito nell’art. 13 D.Lgs. 74/2000 (Disposizioni comuni sui reati tributari) un nuovo comma 3-bis, il quale dispone che non sono punibili i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter se l’omissione dipende da cause di forza maggiore sopravvenute dopo il momento in cui è sorta l’obbligazione tributaria. Per l’IVA, si precisa che il fatto non è punibile quando l’omissione è dipesa da “cause sopravvenute all’incasso dell’IVA” dovuta . In sostanza, si vuole escludere la punibilità nei casi in cui l’imprenditore non abbia materialmente incassato le somme necessarie a pagare l’imposta, per circostanze non imputabili a lui (ad es. clienti insolventi). Il giudice deve valutare l’esistenza di una crisi di liquidità non transitoria e incolpevole, dovuta ad insolvenza conclamata di terzi debitori o altri eventi eccezionali. Questo concetto codifica un principio che talora la giurisprudenza aveva faticosamente riconosciuto come “forza maggiore”: oggi è espressamente previsto dalla legge.

Ad esempio, la Cassazione penale ha recentemente applicato tale novità in una pronuncia (Cass. pen. sez. III n. 30532/2024) affermando che “in caso di omesso versamento IVA dovuto a una crisi di liquidità non transitoria e incolpevole, non trova applicazione la norma penale”, purché il contribuente dimostri rigorosamente le cause sopravvenute . Contestualmente, la stessa sentenza ribadisce però che la mera scelta imprenditoriale di destinare le risorse ad altri pagamenti (es. fornitori o stipendi anziché IVA) non esonera da colpevolezza: le imposte hanno una prelazione legale e non possono essere deliberate come “opzionali” . Dunque, solo una vera impossibilità oggettiva di reperire liquidità libera da destinare al Fisco potrà evitare la condanna penale – ad esempio, un mancato incasso di crediti di pari importo, combinato all’assenza di colpa o dolo nel maturare tale situazione.

Oltre a ciò, la riforma 2024 ha introdotto meccanismi premiali: se il contribuente estingue il debito tributario (anche a rate) prima della sentenza di primo grado, il processo penale si estingue con riduzione di pena fino alla metà . In pratica oggi l’amministratore che, imputato per omesso versamento, paga tutto il dovuto durante il procedimento ottiene l’estinzione del reato o comunque una forte attenuazione della sanzione. Analogamente, se paga prima dell’inizio del dibattimento, può ottenere la non punibilità per “tenuità del fatto” (art. 13-bis D.Lgs. 74/2000) o la sospensione del processo in attesa del pagamento . Questo incoraggia la regolarizzazione spontanea: un elemento importante da considerare per chi intende difendersi attivamente (anziché puntare a scuse non sempre accolte).

Dunque, ricapitolando per l’amministratore: i debiti fiscali portano con sé il rischio di essere perseguiti penalmente personalmente. Se la società non versa le ritenute IRPEF dipendenti sopra 150k o l’IVA sopra 250k, il legale rappresentante risponde penalmente. Le soglie alte introdotte nel 2024 riducono i casi di punibilità per IVA, ma realtà di media dimensione come gli istituti di vigilanza possono comunque arrivare a quei livelli di IVA (basti pensare a fatturati di qualche milione di euro). D’altro canto, esiste ora un’ancora di salvezza in più: provare che l’omissione è frutto di mancati incassi (es. grossi clienti insolventi) e non di scelta volontaria potrà evitare la condanna . In ogni caso, come difendersi? La strategia migliore è attivarsi subito: chiedere rateizzazioni all’AdE, pagare almeno parzialmente per scendere sotto soglia (se si riesce a ridurre l’omesso a importi non penalmente rilevanti, il reato non sussiste), oppure predisporre un piano di risanamento coinvolgendo il fisco (ad esempio tramite un concordato preventivo con transazione fiscale o un accordo di ristrutturazione con l’Erario, vedi §3). Trascurare i debiti tributari è estremamente pericoloso per l’imprenditore: non solo per le possibili condanne, ma anche perché il Fisco è spesso il creditore più implacabile nel provocare il fallimento. Agenzia Entrate-Riscossione può presentare istanza di fallimento per crediti rilevanti; inoltre, il nuovo Codice della crisi prevede obblighi di segnalazione (c.d. allerta) proprio a carico dell’AdE se l’azienda accumula debiti tributari oltre certe soglie (ad es. cartelle > 100.000 €, v. Cod. crisi art. 25-octies, anche se l’entrata in vigore degli obblighi di segnalazione pubblica è stata dilazionata).

2.5 Debiti verso banche e finanziatori

Natura del debito: Questi comprendono scoperti di conto corrente bancario, anticipi su fatture non rimborsati, rate di mutuo o leasing scadute, finanziamenti a medio termine non onorati, e in generale esposizioni verso il sistema creditizio. Gli istituti di vigilanza, per la natura del business, possono avere necessità di finanziamenti per automezzi blindati (spesso in leasing), per dotazioni tecnologiche (telecamere, centrali operative), nonché fidi di cassa per gestire il capitale circolante (pagamento stipendi in attesa degli incassi dalle commesse). Quando la società non riesce a rispettare le scadenze bancarie, le banche hanno contrattualmente poteri di reazione rapidi:

  • Decadenza dal beneficio del termine e revoca degli affidamenti: Se la società ritarda il pagamento di una o più rate di mutuo o leasing, o sconfina oltre il fido, la banca può attivare le clausole risolutive dei contratti di finanziamento. Tipicamente, dopo un certo numero di giorni di ritardo (30-90 a seconda del contratto) la banca dichiara la decadenza dal termine: l’intero debito residuo diviene immediatamente esigibile. Lo stesso avviene se c’è un insoluto rilevante in conto corrente: la banca può revocare l’affidamento (fido) e richiedere il rientro immediato di tutte le somme utilizzate. Questo ovviamente aggrava la crisi di liquidità dell’impresa debitrice.
  • Escussione delle garanzie reali e personali: Spesso i finanziamenti bancari a società sono assistiti da garanzie. Molto comune è la richiesta di fideiussioni personali dei soci o amministratori: la banca, in caso di inadempimento della società, può escutere direttamente i patrimoni personali dei garanti. In tali casi, l’effetto per l’imprenditore-debitore è drammatico: un conto è far rispondere solo la S.r.l. con i suoi (magari pochi) asset, un altro è vedersi aggredire la casa di proprietà o il conto privato. Le banche hanno spesso garanzie anche sul patrimonio aziendale: pegno su beni mobili (es. pegno su titoli, su crediti futuri, su polizze) oppure ipoteca su immobili (se la società possiede immobili, i mutui sono garantiti da ipoteche). Dunque, in caso di insolvenza, la banca attiverà la procedura esecutiva sul bene vincolato: es. pignoramento immobiliare per far vendere l’immobile ipotecato e soddisfarsi con prelazione sul ricavato, oppure escussione del pegno (vendita forzata del bene dato in pegno, senza nemmeno passare dal tribunale se previsto dal contratto).
  • Segnalazioni a Centrale Rischi e impatto reputazionale: Non trascuriamo che il mancato pagamento di debiti bancari viene segnalato nelle banche dati creditizie. Una società classificata come “sofferenza” in Centrale Rischi Bankit perderà l’accesso a ulteriori finanziamenti e anche i fornitori (che a volte consultano tali informazioni) potrebbero irrigidire le loro condizioni di pagamento. Per l’imprenditore, essere segnalato come cattivo pagatore può riflettersi anche sul rating personale, specie se era garante.

Conseguenze legali per gli amministratori/soci: Di per sé, l’inadempimento verso banche è un inadempimento contrattuale della società, senza implicazioni penali o illeciti specifici. Tuttavia, come notato, quasi sempre c’è una fideiussione personale: in tal caso l’amministratore (o i soci garanti) diventano co-obbligati e verranno chiamati a pagare in proprio. La banca può agire contro società e garanti in solido, scegliendo le vie più fruttuose. Non c’è bisogno di passare per un giudice: il contratto di finanziamento e fideiussione, se redatto con forma di atto esecutivo (titolo esecutivo stragiudiziale) o se accompagnato da cambiali/schede sottoscritte, consente un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. Dunque il patrimonio personale dell’imprenditore è a rischio per questa via. Va segnalato che negli ultimi anni alcune fideiussioni bancarie “omnibus” sono state contestate come nulle (per violazione antitrust – intese ABI), ma sono eccezioni difensive tecniche, non sempre applicabili.

Altra considerazione: se l’azienda finisce in procedure concorsuali, le banche creditorie privilegiate (ipotecarie, pignoratizie) avranno diritto di prelazione sul ricavato dei beni, e difficilmente accetteranno stralci significativi salvo convenienza a concordati. Se invece le banche sono chirografarie (ad es. fido non garantito), subiranno la sorte degli altri creditori unsecured, ma spesso avendo agito prima avranno già portato a casa qualcosa dai conti pignorati.

Doveri dell’amministratore verso i finanziatori: Non esiste un obbligo di “pagare prima le banche” ovviamente, ma l’amministratore ha il dovere di non aggravare indebitamente l’esposizione. Continuare a tirare fidi in banca quando si sa di non poter restituire può essere considerato abuso di credito: la giurisprudenza fallimentare, in sede di azione di responsabilità, potrebbe contestare agli amministratori di aver fatto ricorso imprudente al credito aggravando il dissesto (un classico esempio di bancarotta semplice, art. 217 L.Fall. previgente, oggi rilevante come elemento di mala gestio). Inoltre, se per ottenere prestiti l’amministratore ha falsificato documenti contabili o fornito garanzie inesistenti, allora si esce dall’ambito civile ed entra nel penale (truffa ai danni della banca, falso in bilancio se finalizzato a ottenere credito, ecc.). Ciò per dire che, dal punto di vista difensivo, l’imprenditore in crisi dovrebbe evitare di alzare l’asticella dell’indebitamento bancario in modo scorretto: meglio negoziare tempestivamente con le banche moratorie o rimodulazioni, piuttosto che ingannare il sistema creditizio (con rischi penali e comunque con responsabilità personali).

Sintesi dei rischi: I debiti verso banche sono tra i più immediatamente pericolosi per il patrimonio personale del debitore, a causa delle fideiussioni. Se l’istituto di vigilanza salta una rata leasing auto, la società di leasing può in poche settimane risolvere il contratto, riprendersi i mezzi e chiedere i danni (differenza tra valore residuo e debito) anche al fideiussore. L’imprenditore potrebbe trovarsi quindi con beni aziendali indispensabili portati via e con un decreto ingiuntivo sul groppone personalmente. Come difendersi? Innanzitutto conoscere le garanzie prestate e valutare se possibile revocarle (per nuovi crediti ovviamente: ad es. evitare di fornire garanzie aggiuntive in fase di difficoltà). Poi, agire proattivamente con la banca: segnalare la crisi e cercare un accordo di ristrutturazione del debito (anche ex art. 182-bis L.F. / art. 61 CCII), o aderire a misure di composizione negoziata della crisi (spesso le banche in questi tavoli accettano di posporre le azioni esecutive in attesa di un piano). Infine, qualora la situazione precipitasse verso l’insolvenza conclamata, considerare di attivare autonomamente procedure concorsuali protette (un concordato preventivo, ad esempio) per congelare iniziative individuali delle banche e gestire in modo unitario il debito residuo.

Abbiamo visto le principali categorie di debito e i loro effetti. La Tabella 1 a fine guida riepiloga per ogni tipo di creditore: il rango dei suoi crediti, i poteri di azione e i possibili riflessi su licenza e responsabilità degli amministratori. Nel prossimo capitolo, passiamo agli strumenti di difesa e gestione che il debitore (società e amministratori) possono mettere in campo per fronteggiare o risolvere la crisi debitoria.

3. Strumenti di difesa e gestione della crisi d’impresa

Quando i debiti diventano insostenibili, attendere passivamente l’azione dei creditori è l’errore peggiore. L’ordinamento offre invece varie soluzioni – negoziali o giudiziali – per ristrutturare i debiti, sospendere le azioni esecutive e, se possibile, salvare la continuità aziendale. In questa sezione illustriamo gli strumenti principali, dal più informale al più strutturato, aggiornati al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019, in vigore pienamente dal 15 luglio 2022 e successivamente modificato nel 2023-2024).

Gli strumenti si possono distinguere in due macro-categorie:

  • Soluzioni stragiudiziali o negoziali (senza l’apertura di una procedura concorsuale pubblica): piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti, composizione negoziata della crisi.
  • Procedure concorsuali giudiziali (avviate in tribunale): concordato preventivo (nelle varie forme, in continuità o liquidatorio) e liquidazione giudiziale (ex fallimento). Per le imprese minori non fallibili, esistono procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata).

Analizziamo ciascuno strumento evidenziando come può essere utile a una società di vigilanza in crisi e quali effetti produce nei confronti dei creditori (notare che gli strumenti non sono mutuamente esclusivi: spesso si passa da uno negoziale a uno giudiziale, o li si combina).

3.1 Allerta interna e misure preventive

Prima ancora di parlare di specifiche procedure, va ricordato che dal 2019 il legislatore ha imposto agli amministratori un dovere di predisporre assetti adeguati a rilevare tempestivamente la crisi (art. 2086 c.c. co.2). Ciò significa che l’organo amministrativo dovrebbe attivarsi ai primi segnali di tensione finanziaria. Ad esempio, non rispettare regolarmente gli F24 o pagare stipendi in ritardo sono indicatori di crisi che dovrebbero spingere l’imprenditore a non procrastinare. Il CCII originariamente prevedeva meccanismi di allerta esterna (segnalazioni obbligatorie di INPS, Agenzia Entrate e banca) per far emergere la crisi, ma l’attuazione generalizzata è stata ridimensionata: oggi l’allerta “esterna” è solo volontaria o demandata all’iniziativa del debitore (tramite la Composizione Negoziata, vedi infra). Tuttavia, se la società ha organi di controllo (collegio sindacale), questi hanno l’obbligo di segnalare per iscritto agli amministratori le situazioni di crisi invitandoli a intervenire (art. 15 CCII).

In pratica dunque, la prima difesa è affrontare il problema: predisporre un piano di risanamento, tagliare costi, negoziare dilazioni con i creditori chiave, e valutare l’uso degli strumenti che seguono. Chi invece continua ad accumulare debiti sperando in improbabili soluzioni miracolose rischia di peggiorare la sua posizione (anche in termini di responsabilità personale, come vedremo nel cap. 5).

Vediamo ora le opzioni operative:

3.2 Piano di risanamento attestato (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è un accordo di natura privatistica tra l’impresa debitrice e alcuni o tutti i creditori, formalizzato in un documento di piano corredato da un’attestazione di un esperto indipendente sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano. Non è un procedimento omologato da un giudice (quindi resta confidenziale), ma la legge gli attribuisce effetti protettivi: in particolare, i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione di un piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare successiva (art. 166 CCII). Ciò incentiva i creditori a fidarsi del piano senza temere che, se la società poi fallisce, quei pagamenti vengano revocati.

Quando usarlo: Il piano attestato è utile se la crisi è in fase iniziale e pochi creditori rilevanti sono coinvolti, tali da poter trovare un accordo relativamente semplice. Ad esempio, la nostra società di vigilanza ha 3 banche principali, i fornitori strategici e il Fisco: potrebbe redigere un piano di risanamento triennale dove ciascuno accetta una dilazione o un parziale taglio del credito, l’attestatore assevera che il piano è sostenibile e l’azienda ripagherà tutti se il piano è attuato. Questo documento rimane riservato ma può essere esibito all’occorrenza per dimostrare (in tribunale o altrove) che l’impresa era avviata a un risanamento serio.

Pro: massima riservatezza (nessuna pubblicità legale), flessibilità (nessuna maggioranza di creditori richiesta per legge – l’accordo vincola solo chi lo sottoscrive). Contro: manca un effetto di moratoria legale sulle azioni esecutive dei dissenzienti, quindi se anche un solo creditore strategico non aderisce potrebbe agire e far saltare il piano. Inoltre il piano attestato non consente di imporre tagli o dilazioni ai creditori non firmatari: serve il consenso di ciascuno. In sostanza funziona bene con pochi creditori consenzienti. Nel nostro contesto, l’imprenditore dovrebbe quindi convincere privatamente i creditori principali (ad es. la banca a prorogare i mutui, l’INPS a rateizzare, i fornitori a rinunciare a penali) e poi formalizzare il tutto.

Esempio pratico: Alfa S.r.l. (vigilanza) ha debiti: 200k con Banca X, 100k con fornitori, 50k con l’INPS. Elabora un piano per rientrare in 5 anni: cedere alcune filiali non profittevoli, ridurre personale amministrativo, investire in tecnologie per risparmiare costi. Chiede a Banca X di mantenere i fidi per 2 anni senza riduzione, ai fornitori di allungare i pagamenti a 120 giorni per un anno, all’INPS di avere una dilazione straordinaria. L’attestatore verifica i bilanci e i flussi di cassa prospettici, e attesta che il piano è idoneo a evitare l’insolvenza e a pagare tutti. Se tutti accettano, Alfa procede col piano. Se poi per disgrazia fallisse, i pagamenti fatti durante l’esecuzione del piano (es. Alfa paga regolarmente le nuove fatture ai fornitori e le rate a Banca X) non saranno revocati dal curatore perché erano in esecuzione di un piano regolarmente attestato (ciò protegge i creditori aderenti, che quindi erano più incentivati a collaborare).

3.3 Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione sono anch’essi accordi con i creditori, ma a differenza del piano attestato prevedono un coinvolgimento formale del tribunale, seppur con procedura semplificata. In breve, l’imprenditore può concludere accordi con una parte dei creditori (almeno il 60% dei crediti totali, in certe varianti soglie diverse) e poi chiede all’autorità giudiziaria di omologare l’accordo, rendendolo efficace anche verso eventuali creditori non aderenti (questi ultimi però devono essere pagati integralmente, salvo specifiche eccezioni). La convenienza degli ADR (accordi di ristrutturazione) è che bloccano le azioni esecutive durante la pendenza (su istanza si possono ottenere misure protettive) e, una volta omologati, costituiscono titolo esecutivo e impediscono ai creditori aderenti di agire individualmente in difformità dall’accordo.

Tipicamente la società di vigilanza in crisi potrebbe utilizzare un ADR se riesce a ottenere il consenso della maggior parte dei creditori per valore (es. banche e erario, che insieme magari rappresentano il 70% del debito). I creditori non aderenti (es. piccoli fornitori) verrebbero pagati integralmente alla scadenza naturale (così non subiscono danno e l’accordo non necessita del loro consenso). L’accordo viene pubblicato e omologato dal tribunale dopo aver verificato la regolarità e l’attestazione di un esperto sulla fattibilità.

Varianti introdotte dal CCII: Ci sono gli accordi agevolati con soglia del 30% (se si offre il pagamento integrale dei non aderenti entro 120 giorni dall’omologa) e gli accordi ad efficacia estesa ad alcuni creditori dissenzienti di categorie omogenee (ad esempio banche dissenzienti se l’adesione nella categoria è del 75%). Queste tecnicalità possono aiutare in situazioni frammentate di creditori.

Vantaggi: Maggiore efficacia legale rispetto al piano attestato, e possibilità di ottenere protezione immediata (la domanda di omologa consente di chiedere un stay delle azioni per max 120 giorni rinnovabili). Inoltre, all’omologa l’accordo acquista esecutorietà e vincola i sottoscrittori. Svantaggi: Serve coinvolgere una percentuale consistente di creditori (60%) – non fattibile se il debito è molto polverizzato. Gli accordi poi non possono imporre “cram down” a categorie intere come il concordato; se un creditore essenziale non sta nel 60%, l’accordo può saltare. Infine costano in termini di attestazioni e procedure, sebbene siano riservati (vengono pubblicati in registro imprese, quindi un po’ di pubblicità c’è).

Quando è indicato: Se la vigilanza privata ha pochi creditori principali (es. alcune banche e l’Erario) che sommati superano il 60% dei debiti, e sono disponibili a un accordo (magari perché preferiscono un rientro parziale concordato piuttosto che rischiare il fallimento), allora l’accordo di ristrutturazione è uno strumento efficiente. Ad esempio, Beta S.p.A. deve 1 milione totali: 500k banca, 200k Agenzia Entrate, 300k fornitori vari. Se banca e Agenzia aderiscono (700k su 1M = 70%), Beta può chiedere l’omologa; i fornitori fuori accordo sarebbero pagati al 100% scaglionato, mentre banca e Agenzia magari accettano 80% con dilazioni. Questo eviterebbe il fallimento e fornirebbe un quadro vincolante.

3.4 Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. L.147/2021, ora artt. 17-25 CCII)

La composizione negoziata è uno strumento introdotto di recente (fine 2021) che prevede la nomina di un esperto indipendente incaricato di facilitare trattative tra l’imprenditore in crisi e i creditori, al fine di trovare una soluzione che eviti l’insolvenza. Si tratta di una procedura volontaria e confidenziale: l’imprenditore presenta istanza tramite piattaforma della CCIAA, viene nominato un esperto (spesso commercialista o avvocato specializzato in crisi) e si aprono tavoli negoziali informali con i creditori. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere misure protettive dal tribunale per bloccare le azioni esecutive dei creditori (ottenendo una sospensione temporanea simile all’automatic stay, rinnovabile fino a 240 giorni circa). La differenza col concordato è che qui non c’è ancora una proposta di taglio definita e nessun voto: è uno spazio di negoziazione assistita.

Utilità per l’imprenditore: Consente di guadagnare tempo e, con la guida dell’esperto, strutturare un accordo magari polifasico. Alla fine della composizione negoziata, se tutto va bene, si sfocia in un accordo stragiudiziale (es: accordo di ristrutturazione o convenzione di moratoria con banche) oppure, se i creditori non trovano una soluzione, l’imprenditore può optare per una procedura concorsuale semplificata (come il concordato preventivo o addirittura un concordato semplificato ex art. 25-sexies).

Per la società di vigilanza: questo strumento è utile quando la situazione non è compromessa al punto da richiedere subito un fallimento ma serve una pausa dalle azioni esecutive per riorganizzarsi. Poniamo che Gamma S.r.l. abbia ricevuto due decreti ingiuntivi e una minaccia di istanza di fallimento: se presenta domanda di composizione negoziata, può ottenere dal giudice misure protettive che impediscono ai creditori di iniziare o proseguire esecuzioni o iscrivere ipoteche giudiziali per la durata della procedura . Nel frattempo, con l’aiuto dell’esperto, Gamma propone ai creditori un piano di rilancio (magari l’ingresso di un nuovo socio finanziatore, la cessione di un ramo d’azienda, etc.) e cerca il consenso. Se lo ottiene, benissimo (potranno formalizzare un accordo o un piano attestato); se non lo ottiene, potrà ripiegare su un concordato preventivo “in bianco” per congelare tutto ed evitare la liquidazione giudiziale.

Pregi: Approccio flessibile, poco stigmatizzante, con figura terza facilitatrice. Consente di esplorare soluzioni extra-giudiziali col paracadute di una protezione. Difetti: Non garantisce il successo – dipende dalla ragionevolezza delle parti. Se i creditori (banche, Fisco, fornitori) sono troppo litigiosi o l’azienda non ha prospettive, la composizione può fallire, dilatando però i tempi. Inoltre la protezione accordata dal tribunale è temporanea e revocabile se l’imprenditore abusa (ad es. non collabora o peggiora la situazione).

Esito particolare: Se la composizione negoziata non porta a soluzioni concordate e l’esperto certifica che non c’è ragionevole prospettiva di risanamento, l’imprenditore può proporre comunque al tribunale un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) senza passare dal voto dei creditori. È una sorta di “liquidazione controllata” però decisa dall’imprenditore, che consente di vendere i beni e ripartire il ricavato secondo le regole concorsuali, evitando però la procedura fallimentare ordinaria. Questo è un istituto creato per dare uno sbocco alle composizioni negoziate fallite evitando il fai-da-te.

In conclusione, la composizione negoziata è uno strumento da considerare seriamente per società di vigilanza in crisi che vogliano evitare il fallimento e abbiano ancora margini per trattare con i creditori. L’esperienza del 2022-2024 mostra che molte PMI l’hanno utilizzata con successo per ottenere dilazioni da banche e Fisco, specie in seguito alla pandemia.

3.5 Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è la classica procedura concorsuale mediante la quale l’imprenditore insolvente (o in crisi) propone ai creditori un accordo di ristrutturazione sotto il controllo del tribunale. È una procedura giudiziale vera e propria, con nomina di un commissario giudiziale, votazione da parte dei creditori e omologazione da parte del tribunale. Il concordato può essere di due tipi fondamentali:

  • Concordato in continuità aziendale: prevede che l’impresa prosegua l’attività (direttamente o mediante affitto/vendita dell’azienda a terzi) e che i creditori vengano soddisfatti in prevalenza dai proventi della continuazione. Di solito consente un pagamento parziale dei debiti e può prevedere che alcuni contratti essenziali proseguano (es. appalti di vigilanza in corso, mantenimento dipendenti, ecc.). Deve garantire almeno che i creditori ricevano non meno di quanto otterrebbero da una liquidazione fallimentare, e se coinvolge anche il Fisco/INPS normalmente passa per la cosiddetta transazione fiscale su IVA e contributi (possibile la falcidia di questi crediti in continuità).
  • Concordato liquidatorio: prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione di tutto il patrimonio sociale, ma in forma concordataria (quindi con un piano di riparto ai creditori migliore del fallimento). Il CCII consente concordati liquidatori “puri” solo a certe condizioni di convenienza (ad esempio, pagamento di almeno il 20% ai creditori chirografari , oppure presenza di un apporto di risorse esterne che incrementi significativamente l’attivo da ripartire). In pratica, dopo la riforma, il concordato liquidatorio è ammesso se offre un plus rispetto alla liquidazione giudiziale ordinaria – altrimenti il tribunale lo respinge.

Procedura in breve: L’impresa deposita la domanda di concordato con un piano e una proposta (quanto intende pagare e in che modo). Può anche presentare una domanda “in bianco” (concordato con riserva) per bloccare subito i creditori e poi presentare il piano entro 60-120 giorni. Il tribunale ammette la procedura se la proposta supera un filtro di fattibilità. Viene nominato un commissario che monitora la gestione. I creditori sono suddivisi in classi e votano sulla proposta (maggioranza del credito ammesso > 50%). Se approvata, il tribunale omologa e il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori.

Effetti protettivi: Dal momento del deposito della domanda, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né acquisire cause di prelazione sul patrimonio del debitore. È un blocco generale (automatic stay) che tutela l’azienda e la massa dei creditori, impedendo ad esempio che un singolo pignori e si porti via tutto. Inoltre, i contratti in corso possono essere sciolti o sospesi su autorizzazione (utile se l’azienda vuole liberarsi da contratti onerosi), oppure mantenuti se essenziali. Nel concordato in continuità, l’impresa può continuare a operare sotto sorveglianza e fare finanziamenti prededucibili.

Perché sceglierlo: Se la società di vigilanza ha una possibilità di salvataggio operativa (un investitore, o anche solo può ridursi e proseguire con parte delle attività profittevoli), il concordato in continuità offre l’unico quadro per farlo riducendo i debiti legalmente. Ad esempio, Omega S.p.A. è insolvente ma un concorrente è disposto a investire per rilevare il 70% delle sue commesse e salvare 200 guardie giurate. Omega propone un concordato: l’azienda rimane in attività, l’investitore apporta 1 milione che serve a pagare il 40% dei debiti chirografari, i crediti privilegiati (stipendi arretrati, fisco) vengono pagati magari all’80% dilazionato, ecc. I creditori votano – preferiranno prendere 40 su 100 anziché rischiare un fallimento con recupero forse 5 su 100 – e la società evita il fallimento preservando i contratti chiave (grazie anche al supporto prefettizio, si spera, per mantenere le autorizzazioni durante la procedura).

Se invece non c’è speranza di continuare, il concordato liquidatorio può essere utilizzato per contenere i danni: magari l’imprenditore offre di metterci del suo (risorse esterne) per far avere ai creditori il 25% invece che il 5% di un fallimento. In cambio, evita alcune conseguenze (es. i crediti verso soci di regresso, la cattiva pubblicità del fallimento, e soprattutto l’azienda viene liquidata sotto il suo controllo fino a un certo punto).

Limiti e responsabilità: Il concordato è comunque una procedura complessa e sotto vigilanza. Se durante il concordato l’amministratore compie atti di mala fede (ad esempio distrazioni di beni, pagamenti preferenziali non autorizzati) può incorrere in reati di bancarotta (perché, in caso di fallimento successivo, quelle condotte verrebbero valutate come commesse in prospettiva concorsuale). Dunque va gestito con la massima correttezza e trasparenza. Per le società di vigilanza, una considerazione pratica: durante il concordato, la Prefettura deve essere informata; potrebbe tollerare la continuità se c’è prospettiva di risanamento, ma se la procedura fallisce, la revoca della licenza diviene quasi certa. Quindi il concordato è un po’ l’ultima spiaggia per salvare l’impresa.

3.6 Liquidazione giudiziale (ex fallimento) e liquidazione controllata

Liquidazione giudiziale è il nuovo nome del fallimento. È la procedura concorsuale involontaria, che viene aperta dal tribunale su istanza di un creditore (o del debitore medesimo in alcuni casi) quando l’impresa versa in stato di insolvenza e non vi sono strumenti alternativi in corso. In liquidazione giudiziale, l’imprenditore viene spossessato: il tribunale nomina un curatore fallimentare che amministra e liquida i beni, e i creditori possono fare valere i propri crediti solo tramite l’insinuazione al passivo. È una procedura liquidatoria e punitiva rispetto al concordato: l’attività cessa o viene esercitata solo per la liquidazione, i contratti in corso generalmente si sciolgono (il curatore può subentrare in alcuni se vantaggiosi), i dipendenti vengono licenziati e possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime mensilità, la licenza prefettizia dell’istituto di vigilanza viene presumibilmente revocata (perdita dei requisiti di affidabilità economica).

La liquidazione giudiziale è l’esito da evitare per il debitore, se possibile, perché comporta anche conseguenze personali negative: ad esempio l’amministratore di una società fallita può subire azioni di responsabilità dal curatore e, se ha commesso irregolarità, procedimenti penali per bancarotta (vedi §5).

Quando scatta: Tecnicamente, i presupposti sono: l’impresa è insolvente (incapace di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni) e non è “piccola” (non sotto le soglie di fallibilità, di cui diremo tra poco). Inoltre, occorre che i debiti scaduti e non pagati superino l’importo di €30.000 in totale , soglia di “rilevanza” dell’insolvenza introdotta per evitare fallimenti per pochi spiccioli. Se i debiti scaduti sono inferiori a 30k, il tribunale non dichiara la liquidazione giudiziale : quindi anche un creditore con 5.000 € di credito non può fare fallire la società se complessivamente essa non ha altre pendenze scadute per arrivare a 30k (potrà certo perseguirla con esecuzione individuale). Nel conteggio dei 30k contano tutti i debiti scaduti verso chiunque (anche più creditori, la somma fa fede) . Questa soglia è ferma a 30.000 € e verrà aggiornata ogni 3 anni col coefficiente ISTAT, ma al 2025 è invariata . Dunque, per un istituto di vigilanza mediamente indebitato, è quasi sempre superata.

Soglie dimensionali e imprese minori: Il Codice della Crisi ha mantenuto le soglie di non fallibilità simili a quelle della vecchia legge fallimentare. Una piccola impresa (che nei 3 anni precedenti non ha avuto attivo di bilancio sopra 300k €, ricavi lordi sopra 200k €, e debiti totali sopra 500k €) è definita “impresa minore” e non è soggetta a liquidazione giudiziale . Tali parametri vanno verificati con attenzione: nel caso di società di vigilanza, spesso il numero di dipendenti e i ricavi superano tali soglie, per cui in genere sono fallibili. Ad esempio, un istituto con 50 guardie, ricavi annui 2 milioni e debiti 1 milione, non è impresa minore e può essere dichiarato insolvente. Viceversa, una micro-agenzia di investigazione con 2 dipendenti e 100k di fatturato annuo forse rientra tra i non fallibili (e in quel caso seguirebbe le procedure di sovraindebitamento come il “concordato minore” o la “liquidazione controllata”).

Effetti pratici del fallimento per il debitore: Appena dichiarata la liquidazione giudiziale, gli amministratori decadono dai poteri e il patrimonio dell’azienda diventa massa fallimentare. Gli atti dispositivi compiuti nei precedenti 6 mesi – 1 anno possono essere revocati (es. pagamenti preferenziali a fornitori fatti nell’ultimo semestre pre-fallimento, o atti di vendita sotto prezzo nell’ultimo anno, sono soggetti a azione revocatoria fallimentare per recuperare risorse a favore della massa creditoria). I creditori presentano domanda di insinuazione e dopo l’esame dello stato passivo attendono i riparti (che spesso, per creditori chirografari, sono molto esigui se non nulli). La procedura dura in media 5-7 anni per chiudersi (dipende dall’attivo da liquidare). Al termine, la società viene cancellata e i debiti insoddisfatti si estinguono nei confronti della società (che però non esiste più).

Perché evitarlo: Dal punto di vista dell’imprenditore, il fallimento è deleterio perché:

  • L’attività viene azzerata: perdita di avviamento, contratti annullati, licenza con tutta probabilità ritirata. Difficilmente l’azienda potrà risorgere (se qualcuno rileverà l’azienda, sarà per frammenti di contratti o solo per assumere alcune guardie, ma come entità giuridica è finita).
  • Azioni di responsabilità: il curatore scruterà la gestione ante-fallimento e, se ravvisa irregolarità (pagamenti preferenziali, omessi versamenti contributivi persistenti, violazione dei doveri di preservare il patrimonio sociale), potrà citare gli amministratori in giudizio per risarcimento danni. Ad esempio, se il curatore dimostra che continuando l’attività oltre un certo limite l’amministratore ha aggravato il buco di bilancio, può chiedergli quei danni.
  • Responsabilità penale da fallimento: qualora emergano condotte come distrazione di beni sociali, ammanchi di cassa non giustificati, scritture contabili non regolari, l’amministratore rischia incriminazioni per bancarotta fraudolenta (punita severamente, con pene da 3 a 10 anni). Anche condotte meno dolose (spese eccessive, negligenza grave nel tenere le scritture) configurano la bancarotta semplice (fino a 2 anni di pena). Questi reati scattano solo se viene dichiarato il fallimento/liquidazione giudiziale: un forte deterrente. Nel capitolo 5 approfondiremo, ma basti dire che molti imprenditori vengono condannati per aver compiuto atti sul finire dell’attività (prelievi di cassa per sé, vendite di macchinari a parenti a poco prezzo, pagamento di alcuni creditori a scapito di altri) che poi, in sede fallimentare, sono considerati reati. Una recente ordinanza della Cassazione (n. 23963/2025) ha ribadito che l’amministratore risponde dei pagamenti in conflitto di interessi o preferenziali fatti anche quando la società non era formalmente insolvente: basta la violazione dei doveri di diligenza e lealtà per dover risarcire il danno alla società . Ciò significa che atti compiuti nella crisi potrebbero rivoltarsi contro l’amministratore in seguito.

In conclusione, la liquidazione giudiziale è la soluzione di ultima istanza quando ormai la crisi è irreversibile e nessun concordato o accordo è stato attivato in tempo. Dal punto di vista del debitore, è quasi sempre preferibile cercare soluzioni concordate o concordatarie prima che i creditori arrivino a chiedere il fallimento. Va notato che in alcuni casi la minaccia di fallimento viene usata dai creditori come leva negoziale: sapere che il tribunale non apre procedure sotto i 30.000 € di debito scaduto può dare un margine di manovra alle piccole imprese per tenere lontano il fallimento (ma attenzione a non far scadere troppe posizioni oltre quella soglia).

Liquidazione controllata per non fallibili: Vale la pena menzionare che se per dimensione la società di vigilanza non fosse fallibile (scenario raro), esiste nel CCII la “liquidazione controllata del sovraindebitato” che è simile al fallimento ma su base volontaria o su istanza di creditori particolari, gestita dall’OCC (Organismo di Composizione Crisi). Comunque, per le società di capitali normalmente la fallibilità è la regola.

Considerazione finale su strumenti di difesa: L’imprenditore-debitore dovrebbe valutare per tempo quale strada imboccare. Spesso, attivare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione prima che i creditori perdano fiducia consente di salvare l’azienda. Mentre arrivare al fallimento significa perdere tutto (azienda e possibili margini di negoziazione) e trovarsi solo a gestire le proprie eventuali responsabilità personali. Il Codice della Crisi incoraggia la soluzione anticipata: ad esempio, offrendo l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) all’imprenditore persona fisica onesto ma sfortunato dopo il fallimento, e predisponendo gli strumenti di allerta e composizione negoziata prima. Nel nostro contesto, un amministratore di società di vigilanza con debiti farà bene a:

  • monitorare gli indici di crisi (indebitamento crescente, DSCR, ecc.),
  • evitare di accumulare arretrati fiscali e contributivi (che innescano poi segnalazioni e reati),
  • se vede che non può pagare tutti, studiare un piano e proporlo ai creditori chiave prima che questi agiscano in massa.

Nella prossima sezione (4) vedremo come affrontare in concreto le procedure legali attivate dai creditori (ingiunzioni, pignoramenti, istanze di fallimento), fornendo consigli difensivi specifici.

4. Procedure legali attivate dai creditori: come affrontarle

In questa parte, dal taglio pratico, esamineremo le principali azioni giudiziali che i creditori possono intraprendere contro la società debitrice e indicheremo come difendersi o gestirle al meglio dal lato debitore. Ci concentreremo su:

  • 4.1 Decreto ingiuntivo – l’ingiunzione di pagamento ottenuta dal creditore e possibili opposizioni.
  • 4.2 Pignoramento ed esecuzione forzata – il blocco e la vendita dei beni del debitore: cosa fare per attenuare i danni (conversione, opposizioni, ecc.).
  • 4.3 Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) – la convocazione in tribunale su richiesta di un creditore e le difese possibili (opposizione, pagamento, soluzioni alternative).
  • 4.4 Altre azioni: sequestri, procedimenti cautelari – come comportarsi in caso di misure conservative richieste dai creditori.

L’approccio sarà quello del debitore informato: capire i tempi e le leve procedurali per non perdere opportunità di difesa per decadenze o inerzie.

4.1 Decreto ingiuntivo: difendersi dall’ingiunzione di pagamento

Cos’è e quando arriva: Il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso dal giudice su ricorso di un creditore, che ingiunge al debitore di pagare una certa somma (o consegnare una cosa) entro 40 giorni, sotto pena di esecuzione forzata. In ambito commerciale, è lo strumento di gran lunga più usato dai creditori (fornitori, banche per rientri di fido, professionisti non pagati, ecc.) per ottenere rapidamente un titolo esecutivo. La caratteristica è che viene emesso inaudita altera parte, cioè senza sentire il debitore, basandosi su prove scritte del credito (fatture, estratti di conto autenticati da banca, ecc.). Per il debitore, quindi, può capitare di ricevere all’improvviso la notifica di un decreto ingiuntivo, magari con formula di provvisoria esecutorietà (se concessa dal giudice).

Effetti: Dal momento della notifica, scattano due possibili percorsi: (a) il debitore non fa nulla entro 40 giorni → il decreto diventa esecutivo e il creditore potrà procedere con pignoramenti; (b) il debitore propone opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni → si instaura un giudizio ordinario di cognizione (davanti al tribunale o giudice di pace a seconda del valore e materia) in cui il creditore attore in senso sostanziale dovrà provare il suo credito e il debitore potrà contestare. L’opposizione sospende l’efficacia esecutiva del decreto salvo che il decreto fosse già stato dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice (cosa che avviene in alcuni casi: ad es. titoli di credito protestati, crediti da lavoro, o quando il giudice ritiene il credito fondato su prova documentale certa). Se il decreto è già esecutivo, l’opponente-debitore deve chiedere al giudice della causa di opposizione la sospensione in via d’urgenza, altrimenti il creditore può agire esecutivamente anche durante la pendenza del giudizio di opposizione.

Strategie difensive: Appena notificato un decreto ingiuntivo, il legale rappresentante della società deve:

  • Valutare il merito del credito: è davvero dovuto? In tutto o in parte? Ci sono contestazioni su qualità della fornitura, errori di calcolo, prescrizione? Se il credito è totalmente incontestabile e semplicemente mancano i soldi per pagarlo, fare opposizione solo per prendere tempo può essere rischioso (si pagheranno ulteriori spese legali e interessi, e se il decreto è esecutivo il creditore agirà comunque). In tal caso, può convenire tentare immediatamente un accordo transattivo con il creditore: ad esempio, chiedere una dilazione, offrire il pagamento del capitale rinunciando a contestare interessi e spese, ecc. Molti fornitori preferiscono un piccolo sacrificio in cambio di evitare una causa lunga e incerta.
  • Valutare vizi formali o decadenze: Spesso i decreti ingiuntivi possono presentare appigli procedurali: notifica viziata, incompetenza del giudice, prescrizione del credito maturata prima della notifica, ecc. Un avvocato esperto può individuare se esistono motivi di opposizione formali (oltre che sostanziali) che possano almeno rimandare/respingere la condanna.
  • Opposizione tempestiva: Se si decide di contestare il decreto, bisogna depositare in tribunale l’atto di opposizione entro 40 giorni esatti dalla notifica (pena decadenza assoluta). L’atto va notificato al creditore procedente e poi iscritto a ruolo. Nell’opposizione si devono articolare i motivi di contestazione (ad es. “il credito non è dovuto perché la fornitura era difforme”, oppure “si eccepisce la compensazione con un controcredito”, ecc.). Da quel momento la palla passa al giudizio ordinario, dove si potrà far valere anche prove testimoniali, CTU se tecnica, ecc.
  • Chiedere sospensione dell’esecutorietà: Se il decreto ingiuntivo è provvisoriamente esecutivo (o se il termine per opporsi è scaduto e si fa opposizione tardiva nei casi ammessi), occorre presentare istanza motivata al giudice dell’opposizione affinché sospenda l’esecuzione. Il giudice la concede solo in caso di gravi motivi, cioè se l’opposizione non è pretestuosa e il pagamento immediato arrecherebbe danno difficilmente riparabile. Nell’ottica del debitore, ottenere la sospensione è fondamentale per guadagnare respiro ed evitare pignoramenti durante la causa.
  • Pagamento parziale o deposito cauzionale: In alcuni casi, se si riconosce parte del debito, è strategico pagare subito la parte incontestabile. Ad esempio, il fornitore chiede 100k includendo 10k di interessi: la società sa di dovergli 90k di capitale. Pagare quei 90k e opporsi per i restanti 10k può mettere il creditore in posizione più morbida (forse rinuncia a lottare per soli 10k) e se la causa prosegue comunque, riduce l’importo su cui maturano interessi e spese. Alternativamente, se si chiede sospensione, il giudice può condizionarla al deposito di una cauzione. Anche qui, se l’azienda riesce a depositare a garanzia una somma, sarà più facile ottenere stop temporanei.

Evitare l’inerzia: Se non si fa opposizione e non si paga, il decreto si consolida. Potrebbe capitare di “guadagnare tempo” oltre i 40 giorni perché il creditore forse tarda a iniziare il pignoramento, ma è un tempo precario: prima o poi agirà, con aggravio di ulteriori spese a carico del debitore. Quindi, trascorsi i 40 giorni, residua solo la chance di negoziare un pagamento prima che parta l’esecuzione. Oppure, al limite, se si scopre un vizio dopo, si può tentare un’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. (per caso fortuito/forza maggiore) o una revocazione straordinaria, ma sono rimedi eccezionali e difficili.

Caso particolare – decreti immediatamente esecutivi ex lege: Alcuni crediti (come i contributi INPS tramite avviso di addebito, o gli oneri condominiali, ecc.) possono portare a ingiunzioni immediatamente esecutive per legge. Anche molti crediti di lavoro beneficiano di esecutorietà immediata. In tali situazioni, il debitore riceve un decreto già esecutivo e magari contestualmente un atto di precetto (intimazione a pagare in 10 giorni prima di pignorare). Se ciò accade, significa che entro 10 giorni potrebbe iniziare il pignoramento. In questi frangenti, agire fulmineamente: depositare opposizione e contestuale istanza di sospensione all’esecuzione; contattare il creditore per concordare un rinvio; valutare se ci sono margini per ottenere un provvedimento d’urgenza. Spesso i giudici fissano l’udienza di sospensione nel giro di poche settimane – nel frattempo però il pignoramento potrebbe partire. Una soluzione emergenziale è la conversione del pignoramento (vedi §4.2) se il pignoramento avviene.

Rapporto con procedure concorsuali: Se la società presenta domanda di concordato preventivo (anche in bianco) dopo la notifica di un decreto ingiuntivo, la procedura concorsuale sospende o impedisce l’inizio dell’esecuzione ma non cancella il decreto: la causa di opposizione eventualmente può essere riunita al passivo nel concordato. Similmente, se viene dichiarato fallimento, il decreto ingiuntivo non opposto costituisce titolo per insinuarsi al passivo, ma non si procede esecutivamente.

Consiglio pratico: Parlare col creditore. Molti decreti ingiuntivi vengono emessi un po’ “a freddo” perché la comunicazione tra le parti era cessata. A volte, mostrando buona fede e proponendo un piano di rientro realistico (magari garantito), si può convincere il creditore a non procedere oltre col pignoramento e attendere. Anche perché, se la società fallisce, il creditore rischia di recuperare molto meno. Quindi una difesa intelligente non è solo in tribunale ma anche sul tavolo negoziale.

4.2 Pignoramento ed esecuzione forzata: gestire l’aggressione ai beni

Cos’è: Il pignoramento è l’atto iniziale dell’esecuzione forzata con cui un creditore munito di titolo esecutivo “blocca” determinati beni del debitore, in vista della successiva liquidazione e soddisfazione. Può trattarsi di pignoramento mobiliare (su beni mobili o crediti presso terzi) o immobiliare (su immobili o diritti reali immobiliari). Nel nostro contesto, i pignoramenti tipici sono: pignoramento del conto corrente dell’istituto; pignoramento presso terzi dei crediti (ad esempio somme dovute da un cliente importante, o dal Fondo di Garanzia INPS se ci sono pagamenti in arrivo); pignoramento di veicoli e attrezzature trovati in sede; pignoramento di immobili se la società possiede ad esempio la sede di proprietà.

Effetti del pignoramento: dal momento della notifica dell’atto di pignoramento:

  • Il bene o credito pignorato diventa vincolato: il debitore non può disporne (pena sanzioni penali per violazione dei sigilli o sottrazione di beni pignorati, art. 388 c.p.). Ad esempio, se viene pignorato il conto, la banca congela il saldo fino al limite del credito azionato; se vengono pignorate auto, vengono in teoria affidate a un custode e non si potrebbero più usare (anche se spesso restano in custodia al debitore custode).
  • Inizia la fase processuale esecutiva in tribunale: il creditore istante dovrà, entro 90 giorni, iscrivere a ruolo il pignoramento depositando gli atti; dopodiché il giudice dell’esecuzione seguirà la pratica (fissazione di udienza, eventuale nomina di stimatore se immobili, ecc.).
  • Il debitore riceve un atto di precetto prima del pignoramento (di norma): un’intimazione a pagare entro 10 giorni, pena l’esecuzione. Il precetto è l’ultimo avviso. Se lo ignora, parte il pignoramento.

Difese e rimedi per il debitore esecutato:

  • Pagamento integrale entro il termine di precetto: Se possibile, pagare quanto richiesto nel precetto (capitale, interessi, spese) entro i 10 giorni evita il pignoramento. A volte si può anche pagare dopo il pignoramento e prima della vendita: ciò estingue l’esecuzione ma con costi maggiori. Pagare ha l’effetto collaterale di sanare la posizione col creditore ma attenzione: se vi sono altri creditori pronti, conviene gestire in modo coordinato (rischio di pagare uno e vederne arrivare un altro subito).
  • Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): Istituto importante. Il debitore, una volta avviata l’esecuzione, può chiedere di sostituire ai beni pignorati una somma di denaro comprensiva di capitale, interessi, spese e un importo aggiuntivo del 20% (a garanzia delle spese future). In pratica, se mi hanno pignorato beni per un valore di €50.000 su un credito di €40.000, posso chiedere al giudice di “convertire” depositando (di solito a rate) una somma pari al dovuto più 1/5. Il giudice normalmente impone subito il versamento di almeno 1/5 e il resto in massimo 18 rate mensili. Se completo i pagamenti, il pignoramento si estingue e i beni tornano liberi. Questa è una via per guadagnare tempo (fino a 18 mesi) e tenere i beni produttivi. Nel caso di un istituto di vigilanza, convertire il pignoramento di automezzi ad esempio permetterebbe di continuare a usarli mentre si pagano le rate, invece di vederseli vendere all’asta subito. Ovviamente serve raccogliere liquidità per fare le prime depositazioni – non facile se la cassa è già in crisi, ma a volte si ricorre a prestiti di emergenza dei soci.
  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): Se il debitore contesta il diritto del creditore di procedere all’esecuzione, può fare opposizione. Ci sono due tipi:
  • Opposizione a precetto (preventiva): se si contesta il titolo prima che inizi il pignoramento (es. “il precetto è invalido”, o “ho già pagato in parte questo debito”).
  • Opposizione a esecuzione già iniziata: se si contesta il titolo o fatti estintivi sopravvenuti (es. prescrizione maturata dopo il titolo, pignoramento su bene impignorabile, ecc.) oppure opposizione agli atti esecutivi se vi sono vizi formali nell’atto di pignoramento o nelle notifiche. L’opposizione sospende l’esecuzione solo se il giudice dell’esecuzione concede sospensione; altrimenti la procedura va avanti in parallelo al giudizio di opposizione (che è un ordinario giudizio di cognizione). Nel valutare se opporsi, bisogna considerare la fondatezza: i giudici dell’esecuzione raramente sospendono se non vedono motivi molto validi, quindi spesso l’esecuzione arriva fino all’asta o all’assegnazione anche se l’opposizione è pendente (salvo che poi, anni dopo, la causa dia ragione al debitore e annulli tutto: ma i beni magari saranno già stati venduti… in tal caso al debitore spetta semmai un risarcimento dal creditore).
  • Riduzione del pignoramento: Se il creditore ha pignorato beni di valore manifestamente superiore al necessario per soddisfarlo, il debitore può chiedere al giudice di ridurre il pignoramento (liberando alcuni beni). Questo può succedere se, ad esempio, un creditore con credito di 20k pignora 10 automezzi dal valore totale di 100k; il debitore può far notare l’eccesso e chiedere di liberarne alcuni.
  • Accordi con il creditore in fase esecutiva: Anche a pignoramento avvenuto, nulla vieta di trovare un accordo transattivo. Anzi, il creditore a volte è più disposto perché vede che il debitore è alle strette e vuole evitare ulteriori perdite di tempo. Si può concordare ad esempio l’interruzione dell’asta se il debitore paga X entro tot mesi (in tal caso il creditore chiederà al GE una sospensione volontaria in attesa del pagamento, oppure partecipano entrambi all’udienza e dichiarano l’intesa).
  • Aspettare ed eventualmente partecipare alla distribuzione: Se il debitore possiede un bene in comproprietà con terzi (non comune in società di vigilanza, ma esempio: immobile cointestato con socio), il pignoramento porta alla vendita e poi alla distribuzione del ricavato. Il debitore potrebbe “partecipare” all’udienza di distribuzione se avanza qualcosa (ma in genere il debitore non ha diritto a nulla, va tutto ai creditori e spese). Quindi questo punto è irrilevante per difendersi, salvo il caso in cui vi siano creditori concorrenti: se diversi creditori pignorano lo stesso bene, si apre una procedura concorsuale in piccolo in cui se uno di essi agisce illegittimamente, il debitore potrebbe far valere questioni a tutela del regolare riparto.

Particolarità nel nostro scenario:

  • Pignoramento di conti bancari: Non c’è molto da fare se non la conversione: dal momento della notifica alla banca, i soldi vengono bloccati. L’azienda potrebbe aprire un altro conto in altra banca per proseguire l’operatività, ma i creditori possono pignorare di nuovo. Se il conto pignorato serve a incassare dai clienti e pagare i dipendenti, la paralisi è notevole. È un motivo per cui ricorrere a concordato preventivo è a volte opportuno per sbloccare conti (il tribunale può autorizzare pagamenti urgenti di dipendenti anche con conti pignorati, disponendo lo svincolo di somme).
  • Pignoramento di stipendi dovuti all’istituto: Se la vigilanza lavora per enti pubblici, il creditore potrebbe pignorare i crediti vantati verso quell’ente (presso terzo). Ciò significa che invece di pagare la fattura sul conto della vigilanza, l’ente pubblico dovrà accantonare la somma per il creditore procedente. Il debitore in questo caso ha poco margine: non può neanche contare su quei ricavi. Conversione del pignoramento può essere usata anche qui (depositando denaro al posto del credito).
  • Pignoramento di automezzi e armi: Nel vigilanza, i beni strumentali comprendono auto e a volte armi (le pistole delle guardie giurate però sono di solito in dotazione personale, difficilmente di proprietà della società; i fucili a pompa per vigilanza campestre?). Le armi in sé non possono essere pignorate e vendute come un bene normale: la legge prevede cautele. Comunque, la perdita di automezzi e mezzi operativi può costituire quella “lesione grave” da portare come motivo per chiedere la sospensione: il debitore può dire al giudice: “Se mi vendono i furgoni portavalori, io non posso più lavorare e tutti i creditori saranno danneggiati ancor di più – lasciatemi il bene intanto che decidiamo sulla legittimità del credito”. A volte queste argomentazioni aiutano a ottenere almeno rinvii.
  • Beni impignorabili: Poca roba per una società: alcuni beni ad uso pubblico servizio o indispensabili per l’attività potrebbero considerarsi “impignorabili” in senso lato? In realtà, per legge sono impignorabili solo beni di modesto valore, cose sacre, anelli nuziali, etc., che non si applicano ad azienda. Tuttavia i crediti verso lo Stato per forniture di servizi di pubblica sicurezza potrebbero avere limiti (non mi risulta eccezioni specifiche nel CPC per vigilanza).

Integrazione con procedure concorsuali: Se il debitore avvia un concordato o viene dichiarato fallito, le esecuzioni in corso subiscono:

  • In caso di domanda di concordato preventiva: il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione per ragioni di opportunità (di solito il tribunale concorsuale comunica a tutti l’apertura della procedura e le esecuzioni devono fermarsi ex lege). Di fatto, il pignoramento verrà chiuso e i beni verranno gestiti nel concordato (o poi nel fallimento se va male).
  • In caso di fallimento dichiarato: automatic stay assoluto. I pignoramenti in corso diventano inefficaci e i beni vanno al fallimento, salvo il caso di vendite già effettuate (in quel caso il ricavato va al fallimento).

Riassumendo, per difendersi da un pignoramento il debitore può: pagare, convertire, opporsi o trovare accordo. Spesso la combinazione migliore è chiedere la conversione (ottenendo così rateizzazione in sede esecutiva) e parallelamente negoziare con il creditore un allungamento ulteriore o una riduzione (magari convincendolo che la conversione sarà più lunga e dispendiosa e offrendogli qualcosa di meglio in cambio di rinuncia). Il tutto valutando se c’è un orizzonte di risanamento (allora magari meglio un concordato) o se è solo questione di tempo (evitare fallimento imminente).

4.3 Istanza di fallimento: come evitare o affrontare la convocazione in Tribunale

Cos’è: L’istanza di fallimento (oggi dovremmo dire “ricorso per apertura della liquidazione giudiziale”) è l’atto con cui un creditore, o il pubblico ministero, o la stessa impresa debitrice, chiede al tribunale di accertare lo stato d’insolvenza e dichiarare la procedura concorsuale. Nel caso più frequente – creditore che chiede il fallimento – l’iter è il seguente: il creditore deposita un ricorso avanti al tribunale delle imprese (o se non costituito, la sezione fallimentare del tribunale civile) competente per territorio. Il tribunale fissa un’udienza in tempi abbastanza rapidi (spesso entro 45-60 giorni) e ordina la notifica del ricorso al debitore. All’udienza, il giudice sentirà il creditore istante, l’eventuale presenza di altri creditori intervenuti, e soprattutto il legale rappresentante del debitore, per valutare se lo stato d’insolvenza sussiste. Successivamente (o talvolta seduta stante se la situazione è chiara e non contestata) emette la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, nominando il curatore, oppure rigetta/respinge l’istanza se non ne ricorrono i presupposti.

Requisiti per accogliere l’istanza: Come detto in §2.6, occorre che:

  • la società sia impresa commerciale non piccola (sopra soglie art. 2 CCII) – in genere sì;
  • vi sia insolvenza attuale: incapacità strutturale di adempiere regolarmente;
  • vi siano debiti scaduti > €30.000 in totale ;
  • l’istanza sia proposta da creditore legittimato (uno qualunque, anche chirografario, con credito certo liquido ed esigibile, di solito provato da decreto ingiuntivo non opposto, oppure ammesso che si dimostri in udienza il credito).

Difese possibili del debitore all’udienza pre-fallimentare:

  • Contestare l’esistenza dell’insolvenza: Se l’azienda non è insolvente ma solo in temporanea difficoltà (es. crisi di liquidità momentanea, ma patrimonio positivo e prospettive di ripresa), l’amministratore può cercare di convincere il tribunale presentando documenti contabili aggiornati (bilancio, situazione finanziaria) e un piano di rientro. Spesso in udienza si deposita una memoria difensiva. Il punto è mostrare che la società non versa in insolvenza, magari perché i debiti scaduti sono contenuti o in via di rinegoziazione. Attenzione: se pure i debiti superano 30k, si può argomentare che molti sono non ancora esigibili o che l’attivo liquidabile è maggiore del passivo, quindi tecnicamente non c’è insolvenza. In Cassazione ci sono sentenze che definiscono insolvenza l’impossibilità duratura di far fronte alle obbligazioni in modo regolare, non un semplice ritardo occasionale.
  • Dimostrare il pagamento o il raggiungimento di un accordo col creditore istante: La via più rapida per far cessare il procedimento è pagare il creditore che ha fatto istanza, o convincerlo a rinunciare. Se all’udienza il creditore dichiara di aver ricevuto soddisfazione o ritira l’istanza, il tribunale di solito dichiara cessata la materia del contendere (salvo che ci siano altri creditori intervenuti che insistono). Anche un accordo con l’istante – ad esempio promettere un pagamento immediato parziale e il resto a breve – può far ottenere un rinvio dell’udienza, per verificare l’adempimento. Molti fallimenti si evitano così: il debitore racimola i fondi per tacitare chi ha acceso la miccia.
  • Invocare la soglia dei 30.000 €: Se al momento dell’istruttoria prefallimentare il totale dei debiti scaduti è sceso sotto 30k (magari perché il debitore ha pagato altri creditori nel frattempo), il tribunale non può dichiarare il fallimento . Questa è una novità del CCII: è condizione di procedibilità. La Cassazione ha chiarito (es. Cass. 4201/2025 citata da dottrina ) che il giudice deve verificare i debiti scaduti al momento della decisione. Quindi il debitore può cercare di scendere sotto soglia pagando qualche pendenza e presentare all’udienza la prova (es. bonifici) che ora i debiti scaduti totali sono magari 25.000 €. Ciò costringerebbe il tribunale a non procedere alla liquidazione giudiziale. (Ovviamente restano i debiti, ma i creditori potranno solo agire in via individuale, non concorsuale).
  • Eccepire la non fallibilità per dimensioni: Se la società rientra nei parametri di impresa minore (art. 2 CCII) e li aveva mantenuti negli ultimi 3 esercizi, l’avvocato del debitore può far valere l’esenzione. Esempio: l’istante è un ex dipendente per 10k, la società ha attivo 100k e 3 dipendenti, debiti totali 150k: potrebbe essere non fallibile, e in tal caso il tribunale deve rigettare l’istanza (poi eventualmente il creditore potrà chiedere procedure di sovraindebitamento ma è un altro discorso).
  • Chiedere un termine per presentare un concordato preventivo: Questo è un asso nella manica del debitore chiamato in prefallimentare. Se la situazione è difficile ma l’imprenditore vuole evitare il fallimento, può depositare in cancelleria, anche all’ultimo momento prima dell’udienza, un ricorso per concordato preventivo “in bianco” (ricorso con riserva ex art. 44 CCII). In tal caso, secondo la legge, il procedimento per liquidazione giudiziale è sospeso fino all’esito della procedura di concordato. Il tribunale cioè in genere rinvia l’udienza prefallimentare a data successiva alla scadenza del termine concesso per presentare il piano di concordato (di solito 60-120 gg), oppure archivia l’istanza subordinatamente al possibile esito del concordato. Questa tattica ovviamente deve essere seria: il debitore la userà se intende davvero predisporre un concordato (o altro strumento come accordo di ristrutturazione) e ha possibilità concrete di farlo approvare. Non di rado però viene usata in extremis per guadagnare tempo e magari nel frattempo trovare soluzioni (vendere l’azienda, pagare creditori). Da notare: se il ricorso per concordato appare abusivo o privo di prospettive, il tribunale può comunque dichiarare lo stato d’insolvenza e aprire la liquidazione giudiziale, specie se l’istanza di fallimento era pendente da prima – ma tendenzialmente la presentazione del concordato obbliga alla sospensione (a meno di domande evidentemente irregolari).
  • Chiedere un termine per la composizione negoziata o altri istituti: Non previsto formalmente, ma alcuni tribunali potrebbero, se vedono la disponibilità del debitore e il non ostacolo dei creditori, rinviare l’udienza prefallimentare per dare spazio a trattative (sul modello dell’art. 44 CCII che consente misure protettive su domanda del debitore che sta trattando). Anche l’istanza di nomina di un esperto per composizione negoziata, se comunicata al giudice, può convincerlo a differire la decisione.
  • Sfruttare errori procedurali dei creditori: Controllare sempre: notifica del ricorso e decreto di convocazione regolare? Legittimazione del creditore (ha davvero credito esigibile)? Istanza depositata in tribunale competente? (In Italia contano anche i confini provinciali per competenza). Questi profili se sollevati possono almeno allungare i tempi (il tribunale magari rinvia per approfondire).

All’udienza: È cruciale che l’azienda si presenti (tramite il suo legale e se possibile l’amministratore di persona). Non presentarsi affatto è come ammettere la situazione e farsi fallire in contumacia. Invece, partecipare consente di spiegare al giudice il proprio piano, magari portare nuovi documenti (ad es. un bilancio intermedio che mostra miglioramenti, o lettere di banche disposte a ristrutturare il debito). Il giudice potrebbe anche chiedere chiarimenti, quindi è bene essere pronti (es: “Da quanto non pagate l’IVA? Ci sono stipendi arretrati?” – mentire in queste risposte è sconsigliabile perché poi il curatore scoprirà eventuali falsità, però si può far notare aspetti positivi).

Se malgrado tutto arriva la sentenza di fallimento: Si può ricorrere in reclamo alla Corte d’Appello entro 30 giorni (art. 50 CCII). Il reclamo può riformare o revocare la sentenza se si trova un motivo valido (ad es. l’insolvenza non c’era, o è stata pagata tutta la massa debiti entro quel mese – è capitato). Il reclamo non sospende di solito la procedura, ma se appare fondato la Corte può sospendere l’efficacia. In casi estremi, anche dopo, c’è ricorso in Cassazione. Tuttavia, fare appello su un fallimento serve solo se ci sono veri argomenti nuovi: se la situazione era insolvente e rimane tale, è inutile e costoso.

In sintesi, come difendersi da un’istanza di fallimento:

  1. Scongiurare la dichiarazione: pagando il creditore istante o scendendo sotto soglia 30k, oppure presentando un proprio percorso (concordato).
  2. Dimostrare solvibilità o transitorietà: far capire che la crisi è gestibile e non serve l’intervento concorsuale.
  3. Usare il fattore tempo a proprio vantaggio: se si ottiene un rinvio, sfruttare quel periodo per ristrutturare effettivamente (non per accumulare altri debiti!).
  4. Farsi assistere: in questa fase è essenziale l’avvocato fallimentarista per non mancare alcuna eccezione o opportunità.

Va ricordato che, come il CCII sottolinea, il fallimento non è un fine inevitabile: se c’è la possibilità di soddisfare i creditori in qualsiasi misura migliore che in fallimento, l’imprenditore può e deve proporre un’alternativa (concordato, accordo). Ai creditori normalmente conviene accettare una soluzione concordataria dove prendono, poniamo, il 30%, piuttosto che spingere un fallimento dove forse prenderanno 5%. Quindi il debitore, pur in posizione debole, ha la leva dell’interesse dei creditori da far valere: “datemi tempo e vi pagherò più di quanto vedreste in fallimento”.

4.4 Altri procedimenti: sequestri conservativi e azioni cautelari speciali

Oltre ai classici ingiunzioni ed esecuzioni, il debitore può essere bersaglio di iniziative cautelari:

  • Sequestro conservativo: Il creditore, se teme di perdere le garanzie del suo credito (es. perché il debitore sta dissipando beni), può chiedere al tribunale un provvedimento urgente di sequestro di beni mobili o immobili, ante causam o durante la causa di merito. Per il debitore, trovarsi i beni sotto sequestro è analogo al pignoramento (ma è a scopo cautelativo, in attesa di una successiva condanna). Le difese sono simili: opporsi mostrando che non vi è pericolo di dispersione beni, offrire una garanzia sostitutiva (fideiussione o ipoteca volontaria per evitare il sequestro), ecc. Se un sequestro è concesso inaudita altera parte, si può fare istanza di riesame (revoca o modifica) appena notificato, portando nuove prove al collegio.
  • Decreto ingiuntivo su titoli cambiari: se la società ha emesso cambiali, il possessore può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo senza cauzione. In pratica, funziona come un precetto con in più la forza di titolo giudiziario. La difesa è solo tramite opposizione (dimostrando ad esempio il pagamento della cambiale, o vizi nella girata).
  • Ricorso per provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c.: ipotesi rara in ambito debitorio, ma ad esempio se un socio di minoranza vedesse gli amministratori dissipare beni può chiedere un 700 per farli cessare. Oppure un cliente particolarmente impattato dal disservizio di una vigilanza insolvente (magari perché non paga le guardie e interrompe un servizio essenziale) potrebbe chiedere al giudice un ordine di fare o consegnare. Non incide tanto in tema debiti, però.
  • Procedimenti penali paralleli: non esattamente procedimenti civili, ma se c’è un’indagine penale (es. per bancarotta impropria, o truffa ai creditori) il giudice penale può disporre sequestri penali sui beni (sequestro preventivo finalizzato a confisca). Il debitore si difenderà in sede penale cercando di dissequestrare, ma è complicato. Una gestione legale attenta cerca di evitare di sconfinare nel penale (ad esempio evitando atti opachi).

Con questa disamina delle possibili azioni creditorie, chiudiamo la parte procedurale. Il messaggio chiave per il debitore è: non subire passivamente. Ogni atto giudiziario ha termini e modi di reazione; anche se non si può evitare l’obbligo di pagare, si può quasi sempre prendere tempo o negoziare una soluzione meno distruttiva. L’importante è agire in fretta e con cognizione di causa.

Nella prossima sezione (5) approfondiremo un tema trasversale: le responsabilità personali del legale rappresentante e degli amministratori in presenza di debiti e insolvenza della società. Questo completa il quadro mettendo in guardia l’imprenditore su ciò che rischia in proprio e come tutelarsi.

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5. Responsabilità del legale rappresentante e degli amministratori

Quando una società di vigilanza accumula debiti e precipita verso l’insolvenza, la posizione del legale rappresentante (e più in generale degli amministratori e organi di controllo) diventa delicata. Da un lato, la forma societaria (S.r.l., S.p.A.) garantisce per legge la separazione patrimoniale: per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio (art. 2462 c.c. per la S.r.l. ; analogamente art. 2325 c.c. per la S.p.A.). I soci (e gli amministratori in quanto non garanti) non rispondono personalmente dei debiti aziendali. Questa è la regola generale dell’autonomia patrimoniale perfetta.

D’altro canto, esistono numerose eccezioni e situazioni in cui l’amministratore può diventare responsabile in proprio verso i creditori, la società o lo Stato. In più, vi sono profili di responsabilità penale specifici legati alla gestione finanziaria scorretta (es. reati tributari, contributivi, bancarotta). In questa sezione delineeremo i principali aspetti:

  • 5.1 Responsabilità civile verso la società (azione sociale di responsabilità) e verso i creditori (azione dei creditori sociali).
  • 5.2 Responsabilità patrimoniale personale diretta in casi particolari (fideiussioni, socio unico irregolare, distrazione di patrimonio sociale).
  • 5.3 Responsabilità penale: reati fiscali, reati di omesso versamento contributi, reati fallimentari (bancarotta fraudolenta/preferenziale/semplice), altri reati connessi (ad esempio false comunicazioni sociali se fatte per occultare debiti, ecc.).
  • 5.4 Profili sanzionatori amministrativi: illeciti amministrativi dell’ente imputabili agli apicali (D.Lgs. 231/2001 in ipotesi di reati tributari? nuovo tema), sanzioni antiriciclaggio se rilevanti in caso di pagamenti anomali, ecc.
  • 5.5 Come proteggere l’amministratore: best practice (diligenza, convocazione assemblea per perdite, segnalazione tempestiva della crisi, utilizzo di strumenti di allerta), assicurazioni D&O, possibili esimenti.

Procederemo con ordine.

5.1 Responsabilità civile degli amministratori verso società e creditori

Il codice civile impone agli amministratori di società di capitali il dovere di gestire con diligenza e correttezza nell’interesse della società e di tutti i soci. La violazione di tali doveri può dar luogo a:

  • Azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c. per S.p.A.; art. 2476 c.c. per S.r.l.): è promossa dalla società (su delibera dell’assemblea o del socio unico) o, in S.r.l., anche direttamente dai singoli soci ex art. 2476 co.3, per ottenere dagli amministratori il risarcimento dei danni patrimoniali cagionati al patrimonio sociale da atti di mala gestio. Esempio: l’amministratore ha sperperato denaro in spese personali o ha assunto contratti svantaggiosi, causando perdite ingenti – la società (o il curatore fallimentare, come vedremo) può chiedergli conto di quelle perdite.
  • Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c. per S.p.A. e richiamato in S.r.l. dall’art. 2476 co.6): se il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i creditori (tipicamente in situazione di insolvenza o liquidazione), i creditori possono agire contro gli amministratori accusandoli di non aver preservato l’integrità del patrimonio con la diligenza dovuta. È una responsabilità di natura extracontrattuale verso i creditori per violazione di obblighi di conservazione del capitale. In pratica, se la società è fallita e i beni non bastano, i creditori sostengono “è colpa della malagestione degli amministratori se il patrimonio si è depauperato, quindi loro devono risarcirci l’insufficienza attiva”. Nota: quando interviene il fallimento, l’azione ex art. 2394 è esercitata dal curatore in via concorsuale e il ricavato va a beneficio della massa (Cass. SS.UU. 24725/2021 ha chiarito la natura concorsuale di tale azione ). Se non c’è fallimento (es. società estinta senza procedure), i singoli creditori possono tentare di agire in proprio ex 2394 (non facile).
  • Azione dei singoli soci o terzi per atti specifici: esistono anche responsabilità dirette verso i singoli soci o terzi per atti dolosi o colposi degli amministratori che li abbiano lesi nei loro diritti (art. 2395 c.c.). Esempio: un socio viene estromesso da utili per false comunicazioni, può agire in proprio; oppure un terzo contraente subisce danno extracontrattuale da comportamento illecito degli amministratori (fuori dal mero inadempimento contrattuale).

Nel contesto di debiti insoluti:

  • Se la società fallisce, tipicamente il curatore esercita sia l’azione sociale sia quella verso i creditori in un unico giudizio contro gli ex amministratori (spesso cumulandole). Imputa loro di aver aggravato il dissesto, di non aver attivato per tempo procedure di crisi, di aver effettuato pagamenti preferenziali dannosi o aver omesso di preservare l’attivo. Ad esempio, la giurisprudenza riconosce che tenere in vita artificialmente una società decotta, accumulando debiti ulteriori, costituisce inadempimento al dovere di gestione prudente e può generare danno (c.d. danno da aggravamento del dissesto). Gli amministratori potrebbero eccepire che certe scelte erano di gestione (insindacabili di merito – business judgment rule), ma se vi è violazione di obblighi legali (es. non convocare assemblea su perdite rilevanti ex art. 2482-bis c.c., continuare ad assumere debiti sapendo di essere insolventi) la responsabilità è concreta. La Cassazione 2025 citata (ord. n. 23963/2025) sottolinea che il principio dell’insindacabilità delle scelte imprenditoriali non esclude la responsabilità contrattuale se i doveri di lealtà e diligenza sono violati, anche senza bisogno di provare lo stato d’insolvenza al momento: basta la palese violazione degli obblighi gestori (nel caso di specie, pagamenti ingiustificati a una società estera riconducibile all’amministratore, considerati conflitto di interessi e dannosi) . Insomma, gli amministratori rispondono del danno arrecato al patrimonio sociale a prescindere dall’insolvenza, se hanno agito slealmente o imprudentemente.
  • Se non c’è fallimento ma la società è insolvente de facto, anche i creditori potrebbero (in teoria) avviare azione ex 2394 c.c.: però devono dimostrare la colpa grave degli amministratori nel causare il deficit patrimoniale. Non comune in via individuale perché costoso e la prova non semplice (oltre al fatto che se uno ci riesce, il risarcimento va a lui, lasciando fuori altri creditori, e qui scatta spesso poi la concorsualità).
  • Nel caso di società di vigilanza, alcune tipiche violazioni degli amministratori che generano responsabilità:
  • Omissione di versamenti fiscali e contributivi che espongono la società a sanzioni e interessi: i creditori potrebbero dire “se l’amministratore avesse pagato in tempo il fisco, non saremmo arrivati a sanzioni che hanno aumentato il passivo”. Di solito però questo rientra nella valutazione complessiva del dissesto.
  • Violazione delle norme sul capitale sociale: ad es. la società perde oltre 1/3 del capitale ed è sotto il minimo legale, obbligo ex art. 2482-ter c.c. di ricapitalizzare o liquidare; se gli amministratori non lo fanno e continuano l’attività, da quel momento rispondono personalmente dei danni (art. 2486 c.c. prevede che, dal verificarsi di una causa di scioglimento, gli amministratori che proseguono la gestione rispondono dei risultati pregiudizievoli) . Questo significa che se, ad esempio, la società aveva capitale 100k, perde 120k portando PN a -20 (sotto zero), e l’amministratore prosegue accumulando altri 200k di debiti, egli rischia di dover risarcire questi ultimi 200k perché avrebbe dovuto mettere in liquidazione la società quando il patrimonio è diventato negativo.
  • Preferenze indebite e conflitti d’interesse: pagare alcuni creditori legati a sé stesso e non altri può costituire violazione di lealtà e cagionare danno (creditori non pagati trovano meno attivo). Cassazione ha affermato che anche il pagamento di debiti sociali può far sorgere responsabilità se fatto in conflitto d’interessi o alterando la par condicio . Questo tipicamente appare nella bancarotta preferenziale (penale) ma anche civilmente può rilevare come comportamento doloso lesivo dell’integrità.
  • Mancata attivazione di strumenti di crisi: il CCII all’art. 3 impone agli amministratori un dovere di agire senza indugio per adottare strumenti di superamento della crisi. Se costoro non fanno nulla e così aggravano la situazione, i creditori/curatore possono sostenere che la colpa sta anche nell’aver ritardato il ricorso a procedure concorsuali. Ad esempio, l’amministratore invece di chiedere concordato ha fatto finta di nulla per un anno, nel quale il passivo è raddoppiato: quell’anno di ritardo può costituire danno.
  • Organi di controllo: se esiste un collegio sindacale o revisore e ha omesso di segnalare gravi irregolarità, anch’essi possono rispondere (ex art. 2407 c.c. sindaci rispondono solidalmente con amministratori per inadempienze vigilanza). Immaginiamo un collegio sindacale che non ha denunciato all’autorità che la società non pagava contributi da 2 anni o falsificava bilanci: possono essere chiamati in causa. Nelle PMI spesso non c’è sindaco obbligatorio, ma la legge ha abbassato soglie di nomina sindaci per SRL (oggi se superi 4 milioni attivo o 4 mln ricavi o 20 dipendenti). Un istituto vigilanza con 50 dipendenti doveva nominare l’organo di controllo, quindi attenzione.

Ricapitolando: L’amministratore di una società con debiti rischia, in caso di dissesto conclamato, di dover risarcire di tasca propria eventuali danni provocati al patrimonio sociale dalla sua gestione negligente o infedele. In sede di fallimento, è quasi la regola che il curatore valuti l’azione di responsabilità. Per farsi un’idea, molte sentenze di Cassazione rigettano o accolgono tali azioni: ad esempio Cass. civ. Sez I, 5 gennaio 2022 n. 198 ha trattato di prescrizione di azione di responsabilità evidenziando che decorre dalla data di fallimento (segno che tali cause sono frequenti). Per evitare queste responsabilità, l’amministratore deve poter dimostrare di aver agito con la diligenza media (art. 2392 c.c. presunzione colpa se non prova esimente) e di aver tentato il possibile per limitare i danni.

5.2 Quando l’amministratore risponde direttamente con il suo patrimonio

Al di là dell’azione risarcitoria di cui sopra (che richiede un giudizio e verte su danni), vi sono situazioni in cui l’amministratore o il socio diventano direttamente debitori per le obbligazioni sociali:

  • Fideiussioni e garanzie personali: Ne abbiamo parlato (§2.5). Se l’amministratore (o i soci) hanno garantito personalmente debiti della società (verso banche, fornitori, locatore, ecc.), in caso di insolvenza della società i creditori garantirti possono escutere direttamente il garante. Questo non è tanto “responsabilità” in senso stretto, quanto un’obbligazione contrattuale che sorge. L’effetto è però di mettere a rischio il patrimonio personale (immobili, conto privato, stipendio) dell’amministratore. Esempio: l’amministratore firma una fideiussione omnibus a favore della banca per le obbligazioni della società. La società va in default su 200k di finanziamenti: la banca può notificare il precetto e pignorare la casa dell’amministratore (oltre a insinuarsi al passivo del fallimento). Difesa: Purtroppo, una volta firmata la garanzia, c’è poco da fare: se la garanzia è valida, il garante è obbligato come coobbligato solidale. Solo in alcuni casi si è riusciti ad eccepire nullità di fideiussioni standard per violazione antitrust (schema ABI), ma su base caso per caso. L’amministratore prudente può in anticipo limitare i danni evitando di prestare garanzie oltre misura o revocandole quando possibile. Ad esempio, se la società riesce a ridurre l’esposizione, può chiedere la liberazione di garanzie, oppure farle prestare da un confidi invece che dalla persona fisica.
  • Socio unico e irregolarità capitale: La norma citata (art. 2462 co.2 c.c. riportato sopra ) dice: se la S.r.l. è di unico socio e questi non ha versato i conferimenti per intero o non ha adempiuto alla pubblicità della unipersonalità, allora in caso di insolvenza risponde illimitatamente delle obbligazioni sorte nel periodo di unicità. Ciò significa che se un istituto di vigilanza è posseduto al 100% da Tizio e:
  • Tizio ha sottoscritto capitale 10k ma versato solo 2.5k e non c’è evidenza del versamento restante;
  • Oppure la società è diventata unipersonale ma non è stata depositata la dichiarazione al registro imprese; allora Tizio perde il beneficio della responsabilità limitata e i creditori possono agire direttamente su di lui . Questa è una previsione poco nota ma pericolosa. Quindi un socio unico deve assicurarsi di versare integralmente il capitale sociale e di rispettare l’obbligo di iscrizione nel registro dell’unipersonalità. Diversamente, se l’istituto fallisce, il curatore chiederà conto al socio unico illimitatamente. (Attenzione: la Cassazione ha interpretato in passato tale responsabilità come legata solo ai debiti sorti nel periodo in cui i requisiti non erano rispettati, non a tutti i debiti).
  • Continuazione di attività oltre la soglia di scioglimento (art. 2486 c.c.): Come accennato, se la società perde il capitale ed è di fatto sciolta, gli amministratori avrebbero dovuto limitarsi a atti conservativi. I creditori possono far valere la responsabilità per l’aggravio del passivo successivo. Non è proprio “automatica” come responsabilità illimitata, ma in giurisprudenza si parla di quantificazione del danno differenziale dal momento in cui avrebbero dovuto liquidare. È quasi un surrogato della responsabilità illimitata pro quota per quella fase.
  • Debiti tributari in caso di liquidazione impropria: Una norma importante è l’art. 36 del D.P.R. 602/1973: se una società viene posta in liquidazione volontaria e poi cancellata senza pagare tutti i debiti fiscali, i liquidatori possono essere ritenuti personalmente responsabili verso il Fisco fino a concorrenza delle somme che hanno distribuito ai soci in pregiudizio dell’Erario. E i soci stessi rispondono fino a concorrenza di quanto ricevuto in distribuzione. In parole semplici, il liquidatore deve prima pagare i creditori sociali (tra cui il Fisco) e solo se avanza dare ai soci; se invece paga i soci (o altri debiti non privilegiati) e lascia impagato il Fisco, l’Agenzia delle Entrate può chiedere a lui personalmente il dovuto (entro il limite di quanto mal distribuito). Questa norma spesso colpisce amministratori/liquidatori post-fallimentari: ma è applicabile anche a situazioni di fatto, se un amministratore ha svuotato la società a favore dei soci prima di estinguere i debiti fiscali.
  • Reati tributari con sanzione 231: Non proprio una responsabilità civile, ma nota: la riforma 2024 ha incluso i reati di omesso versamento IVA e ritenute tra quelli per cui la società può essere sanzionata ex D.Lgs. 231/01 (fino a 500 quote). Se la società viene sanzionata e non ha beni, potrebbero rifarsi sul patrimonio residuo (ma qui entriamo in altro campo, e comunque la società insolvente raramente subisce sanzioni pecuniarie col fallimento in mezzo).
  • Patrimonio destinato: casi particolari, una S.p.A. può istituire patrimoni separati o finanziamenti destinati; l’amministratore ne risponde per uso distorto.

Morale: L’amministratore non è protetto al 100% dallo “scudo” societario. Soprattutto in contesti di crisi, spesso si espone con garanzie. Inoltre l’ordinamento punisce chi non rispetta certe forme (socio unico) o ruoli (liquidatore) con la perdita della responsabilità limitata. Il consiglio per gli amministratori: essere formalmente in regola (versare capitale, curare le iscrizioni camerali), evitare di distribuire attivo ai soci se ci sono debiti e, se possibile, limitare l’assunzione di garanzie personali (a volte inevitabile, ma almeno quantificarne il rischio e magari contro-garantirsi con polizze o ipoteche su beni sociali a proprio favore se costretto).

5.3 Responsabilità penale: reati tipici in caso di insolvenza

Abbiamo già toccato alcuni reati in §2.3 e §2.4 (omesso versamento contributi e IVA). Riepiloghiamo e integriamo i principali:

  • Omesso versamento di contributi INPS (>10k) – art. 2 D.L. 463/83: Reato contravvenzionale (punito con arresto fino a 3 anni o ammenda) a carico del legale rappresentante che non versa le ritenute previdenziali. Sanzione penale evitabile solo se paga entro 3 mesi da contestazione . Nel 2024 Cassazione ha ribadito l’assenza di esimenti per crisi .
  • Omesso versamento ritenute fiscali (>150k) – art. 10-bis D.Lgs. 74/2000: Delitto punito con reclusione 6 mesi – 2 anni. Soglia elevata che lo rende applicabile solo per grandi inadempienze. Possibile esonero se crisi non imputabile (nuovo art. 13, co.3-bis) e comunque estinzione se paghi tutto prima della sentenza .
  • Omesso versamento IVA (>250k) – art. 10-ter D.Lgs. 74/2000: Delitto 6 mesi – 2 anni, con soglia alta alzata nel 2024 . Prevista causa di non punibilità per crisi di liquidità sopravvenuta . Cass. 2024 (n. 30532) applica questa esimente alla lettera .
  • Indebita compensazione di crediti tributari inesistenti – art. 10-quater D.Lgs. 74/2000: se la società, in difficoltà di liquidità, usa crediti fiscali falsi per compensare debiti (tipico stratagemma illegale), l’amministratore commette reato (pene fino a 7 anni se importi >100k). Dunque, resistere alla tentazione di “compensazioni fantasiose” in crisi.
  • Emissione di fatture false (per operazioni inesistenti) – art. 8 D.Lgs. 74/2000: a volte aziende in crisi si prestano a frodi IVA vendendo fatture false per incassare liquido – altamente rischioso, punito con reclusione fino a 8 anni. Non specifico di vigilanza, ma va citato come errore da non fare.
  • Reati societari: se per occultare la crisi si falsificano i bilanci (false comunicazioni sociali), l’amministratore risponde penalmente (art. 2621 c.c., reclusione fino a 3 anni se società non quotata). Es. non si espone a bilancio l’indebitamento reale – punibile.
  • Bancarotta fraudolenta – artt. 322 e segg. CCII (già art. 216 L.F.): Quando la società fallisce, se l’amministratore aveva distratto beni sociali (cioè li ha sottratti dal patrimonio per fini estranei), occultato/falseggiato le scritture contabili, o effettuato pagamenti preferenziali a certi creditori a scapito di altri prima del fallimento, o ancora aggravato dolosamente il dissesto, è passibile di bancarotta fraudolenta patrimoniale o preferenziale. Pene severe: distrattiva 3-10 anni, preferenziale 1-5 anni. Ad esempio, vendere sottocosto un immobile aziendale a un parente prima di fallire è tipica bancarotta; oppure continuare a incassare crediti e dirottarli su conti personali; o pagare integralmente il debito verso la banca “amica” poco prima di portare i libri in tribunale (preferenza punita).
  • Bancarotta semplice – art. 325 CCII (già art. 217 L.F.): fattispecie meno grave (fino a 2 anni) se il fallimento è causato da colpa, es: spese personali eccessive, uso imprudente del credito, omissione di tenuta contabilità. Ad esempio, il classico: “ha aggravato il dissesto ritardando la dichiarazione di insolvenza”.
  • Altri reati fallimentari: Ricorso abusivo al credito (art. 324 CCII, se l’amministratore ha continuato a fare debiti sapendo di non poterli pagare, punito come bancarotta semplice), mancata consegna delle scritture al curatore, false attestazioni ai creditori.
  • Reati verso i lavoratori: in situazioni estreme, se la società non paga per mesi i dipendenti e li costringe ad accettare condizioni degradanti, potrebbe ipotizzarsi estorsione o intermediazione illecita. Ma in genere è più ambito giuslavoristico (sanzioni amministrative per violazione di norme sul lavoro) che penale.
  • Reati finanziari: se la vigilanza privata (specie se S.p.A.) è ricorsa abusivamente a finanziamenti dal pubblico, false comunicazioni alle autorità, ecc., sono possibili imputazioni secondarie (usura, se ha ottenuto prestiti con interessi fuorilegge; riciclaggio, se ha distratto fondi in conti nascosti; ma andiamo fuori tema).

La strategia per l’amministratore dovrebbe essere: evitare condotte penalmente rilevanti. Alcune possono sembrare “sopravvivenza” (non pago IVA per pagare stipendi): ma superate certe soglie diventano reato. Quindi conviene fare un check:

  • Se l’IVA non può essere pagata tutta, verificare di restare sotto soglia penale e comunque documentare i motivi (per l’eventuale esimente 3-bis).
  • Non prelevare asset aziendali a titolo personale: ogni movimento di denaro non giustificato è a rischio distrazione.
  • Tenere la contabilità in ordine, anche se ferma: meglio un bilancio brutto ma veritiero, che nessun bilancio (l’assenza di contabilità è di per sé bancarotta documentale).
  • Nel dubbio di insolvenza, non pagare selettivamente creditori non privilegiati: perché se poi fallisci, quei pagamenti potrebbero essere visti come preferenziali dolosi. Ovviamente, è controintuitivo (se voglio evitare fallimento pago chi preme di più), ma la legge punisce favoritismi non equi. Se proprio c’è da scegliere, dare priorità a chi garantisce continuità essenziale (e semmai farsi autorizzare in un concordato).
  • Comunicare chiaramente con i consulenti e seguire i loro consigli su soglie e adempimenti (es. far firmare al consulente fiscale il prospetto delle ritenute versate vs dovute per sapere se sto sforando soglia penalmente rilevante).
  • In caso di fallimento, collaborare col curatore consegnando tutto e spiegando: la bancarotta semplice è preferibile alla fraudolenta; i giudici apprezzano la collaborazione (può influire su misure cautelari e pene).

Un punto importante: con la riforma 2024, c’è anche una chance di evitare condanna per i reati tributari di omesso versamento se si paga il dovuto prima della sentenza . Quindi l’amministratore, anche se in ritardo, se riesce a reperire fondi (persino dopo il default, magari vendendo un immobile personale) e paga il debito fiscale, può ottenere l’estinzione del reato. Questa è una via di ravvedimento operoso penalmente rilevante che conviene tenere presente.

5.4 Conseguenze amministrative e interdittive

Oltre alle responsabilità dirette sopra, l’insolvenza può portare a:

  • Inabilitazioni e divieti di esercizio impresa: La sentenza di fallimento comporta per l’imprenditore persona fisica (non per l’amministratore di società di capitali in sé) una serie di incapacità: non può essere amministratore di altre società, perde elettorato attivo/passivo finché dura il fallimento. Per gli amministratori di società, c’è la possibilità che il tribunale fallimentare li dichiari inabilitati o interdetti se colpevoli di gravi irregolarità. Inoltre, la condanna per bancarotta fraudolenta comporta l’interdizione dai pubblici uffici e l’incapacità a esercitare imprese commerciali per 10 anni.
  • Reputazione e albo prefettizio: Nel settore vigilanza, per avere la licenza e ruoli direttivi occorre assenza di condanne. Un amministratore condannato per reati societari o fallimentari difficilmente potrà ottenere in futuro la licenza o l’approvazione come direttore tecnico (requisiti soggettivi di onorabilità). Quindi c’è un danno professionale notevole nel subire procedure concorsuali con strascichi di accuse.
  • Sanzioni amministrative lavoro/tributi: Ad es., l’omesso versamento contributi <10k comporta sanzione pecuniaria 10k-50k a carico del datore. Se la società non paga perché fallisce, in alcuni casi INPS potrebbe inseguire l’amministratore? Formalmente no, è un debito della società. Tuttavia, se c’è trasformazione in illeciti personali (tipo amministratore viene multato come persona per lavoro nero), allora sì. L’Ispettorato del Lavoro può comminare ammende per violazioni norme sicurezza, etc., e in parte colpiscono gli amministratori.
  • Responsabilità amministrativa dell’ente (D.Lgs. 231/01): Dal 2021 alcuni reati tributari, come la frode fiscale e dal 2024 l’omesso versamento oltre soglia, sono diventati presupposto di responsabilità dell’ente. Una società condannata ex 231 può subire sanzioni pecuniarie e interdittive (anche se in crisi). Per un istituto di vigilanza, un rischio è di incorrere nell’interdizione dall’esercizio dell’attività (che la prefettura applicherebbe su ordine giudiziario).
  • Però questa materia è complessa e meriterebbe analisi specifica, diciamo solo: un amministratore deve sapere che non solo lui rischia, ma anche la società potrebbe subire ulteriori sanzioni se lui commette certi reati (es. frodi fiscali).
  • Cause di scioglimento e responsabilità post-liquidazione: Se la società viene meno, i debiti non spariscono per i coobbligati e garanti. Dunque l’amministratore a fine procedura concorsuale può trovarsi coobbligato su residui (garanzie escusse, debiti personali contratti per pagare i creditori prededucibili etc.). Nessuna “esdebitazione” per i garanti: l’esdebitazione post-fallimento, prevista dall’art. 278 CCII per l’imprenditore individuale meritevole, non si estende agli amministratori di società di capitali per i debiti sociali (loro non sono debitori, a meno di casi di responsabilità; l’esdebitazione del socio illimitatamente responsabile di SNC sì, ma vigilanza priv. raramente snc).
  • Impatti sui rapporti bancari personali: Se la società fallisce, spesso le banche segnalano l’amministratore come “collegato” a sofferenza, peggiorando il suo merito creditizio personale. Sembra collaterale ma è reale: difficoltà di ottenere finanziamenti a titolo personale in futuro.

5.5 Best practice per limitare le responsabilità e simulazioni pratiche

Cosa dovrebbe fare un amministratore prudente di fronte alla crisi per ridurre i rischi personali? Ecco una lista di buone prassi:

  • Monitorare costantemente la situazione finanziaria tramite indici e bilancini: se emergono tensioni (DSCR <1, insoluti ripetuti), attivare subito consulenti.
  • Rispettare gli obblighi legali formali: convoca assemblea se perdite rilevanti, ricapitalizza se possibile o riduci capitale, non fare finta di niente. Documenta le decisioni in verbali (ad es. “il giorno X discuto con i soci che la società è in difficoltà, decidiamo di tentare composizione negoziata” – utile poi a difendersi mostrando che eri consapevole e operavi in buona fede).
  • Non aggravare il cratere debitorio: evitare di fare altri debiti sapendo di non poterli onorare. Ad esempio, non assumere nuovi dipendenti se non puoi già pagare quelli attuali (potrebbe configurare anche truffa contrattuale verso i nuovi assunti). Non ordinare forniture eccedenti credendo di salvarsi col “all-in”: se va male, è ricorso abusivo al credito.
  • Prediligi pagamenti di obblighi legali anche a scapito del resto: la tentazione è di pagare fornitori pressanti e tralasciare IVA e contributi. Ma, per i motivi visti, quest’ultima scelta porta a reati. Molti consulenti dicono “lo Stato è l’ultimo, prima paga stipendi e fornitori se no chiudi”; va bene per breve termine, ma sapendo che poi devi regolarizzare: se lasci dietro contributi e IVA, prepara per tempo rateazioni, segnalazioni di crisi per evitare il penale.
  • Usa strumenti di regolazione della crisi: farlo per tempo crea un “ombrello” anche di fronte a possibili accuse. Esempio: se entri in composizione negoziata e segui le indicazioni dell’esperto, difficilmente poi potranno dirti che hai aggravato il dissesto con colpa, perché stavi usando uno strumento previsto per sistemare (a meno di malafede).
  • Conserva e aggiorna le scritture contabili: è noioso in tempi di caos, ma fondamentale. Se arrivi a fallimento con conti in ordine, potrai rispondere alle domande del curatore e ridurre il rischio penale (bancarotta doc.).
  • Non sottrarre nulla alla massa: se hai contanti in cassa, non pensarli come tuoi rifugio. Pagali semmai su un debito tracciato. Se li nascondi, poi emergono ammanchi → bancarotta fraudolenta.
  • Valuta l’assicurazione responsabilità civile amministratori (polizza D&O): molte compagnie offrono polizze per coprire in parte le spese legali e risarcimenti in azioni di responsabilità. Costa qualche migliaio di euro l’anno, ma in settori rischiosi come questo può salvare il patrimonio personale in caso di citazioni milionarie del curatore. Attenzione però: di solito la polizza non copre atti dolosi o penali (quindi bancarotte no), ma potrebbe coprire colpa grave.
  • Fondi patrimoniali o trust: qualcuno pensa di proteggere la casa mettendola in fondo patrimoniale. Questo strumento in teoria tutela da debiti estranei ai bisogni familiari; tuttavia, se il debito era pregresso e lo scopo è fraudolento (evitare i creditori), il curatore può agire con revocatoria e invalidarlo. Quindi affidarsi a questi escamotage non è garanzia: anzi, può peggiorare la posizione (mostra mala fede).
  • Dimissioni strategiche: Se la società ha molti problemi e l’azionista non consente soluzioni, un amministratore potrebbe valutare di dimettersi per non aggravare la propria posizione. Le dimissioni però non salvano dalle responsabilità pregresse, e se fatte in extremis possono sembrare un tentativo di defilarsi (ma non esimono da eventuale bancarotta già compiuta). Tuttavia, un amministratore subentrato da poco può ridurre la sua esposizione dimettendosi se vede che la proprietà non gli fa gestire correttamente (in sede di causa potrà dire “io appena visto il marcio me ne sono andato”).

Simulazione pratica: Poniamo che in Marzo 2025 la società Delta Security S.r.l. (amministratore unico Sig. Rossi) si trovi con: 6 mesi di IVA non pagata (120k), contributi non versati 2024 (15k, soglia reato superata), stipendi di febbraio non pagati, fornitori 100k scaduti, banca scoperto 80k con fideiussione Rossi. Rossi ha due scelte:

  • Scenario A – procrastinare: Rossi continua a sperare in un grosso incasso a giugno 2025 da un appalto nuovo. Intanto non avvisa nessuno, fa lavorare le guardie (anche se iniziano a scioperare per i ritardi), paga quel che può ai fornitori critici (5k qua e là) e niente al Fisco. Arriva aprile: l’INPS lo denuncia per omessi contributi (>10k). Maggio: un fornitore fa decreto ingiuntivo e pignora conti. Giugno: l’appalto sperato salta perché la Prefettura non rinnova la licenza (aveva segnalazioni per irregolarità contributive). Delta è spacciata e a luglio un fornitore chiede il fallimento. Fallisce in agosto 2025. Rossi ora affronta: processo penale per contributi e forse per bancarotta (perché ha preferito pagare dei fornitori e c’è poca cassa rimasta, contabilità confusa).
  • Scenario B – affrontare la crisi: Rossi a marzo 2025 convoca un consulente crisi. Valutano che l’azienda potrebbe riprendersi ridimensionandosi, ma servono dilazioni. Ad aprile Rossi deposita istanza di composizione negoziata. Ottiene misure protettive: i fornitori e banca non possono agire. Siede al tavolo con banca, che accetta di prorogare fido se Rossi versa 20k e rifinanzia. Convoca i sindacati: concordano cassa integrazione per 6 mesi per metà guardie (riduce costi, e INPS paga cigs). Chiede transazione fiscale: propone di pagare IVA 2024 al 50% in 2 anni e contributi per intero ma dilazionati. A luglio, grazie a un investitore locale, formalizza un accordo di ristrutturazione col 70% dei crediti (banche+Erario). Omologa a settembre 2025. Delta non fallisce. Rossi ha certo perso parte di azienda e un socio nuovo è entrato, ma: niente procedimenti penali (ha attivato strumenti prima della denuncia; per contributi è rimasto sotto 10k magari con cigs, e paga ratealmente quindi depenalizzato), niente bancarotta, licenza mantenuta. Nessun creditore lo cita perché l’accordo li soddisfa in parte e rinunciano ad azioni. Rossi ovviamente deve impegnarsi a seguire il piano, ma salva la faccia e il patrimonio (non scattano fideiussioni perché la banca rinegozia).

Questo scenario B è ottimistico, ma serve a mostrare che agire per tempo riduce enormemente i guai personali. Lo scenario A è, purtroppo, quello in cui molti incappano per inerzia o eccessivo ottimismo.

Chiudiamo la sezione ribadendo: il punto di vista del debitore deve includere un’attenzione ai riflessi sulla propria persona. La società di vigilanza può essere “limitata”, ma il comportamento degli amministratori non lo è se esce dai binari. Conoscere i rischi e muoversi in modo conforme alla legge – anche nelle difficoltà – è la miglior difesa. Nel capitolo seguente forniremo una sezione Domande & Risposte per riprendere i dubbi più comuni con risposte concise.

6. FAQ – Domande frequenti (Avvocato risponde) dal punto di vista del debitore

D1: La mia società di vigilanza non riesce a pagare gli stipendi da due mesi. Cosa rischio?
R: Il rischio immediato è il conflitto con i dipendenti: possono scioperare, dimettersi per giusta causa e agire legalmente per ottenere i salari dovuti. Inoltre, nel settore vigilanza, il Prefetto può sospendere la licenza se accerta inadempienze gravi verso il personale . Dunque rischi di dover sospendere i servizi per mancanza di autorizzazione. Dal punto di vista legale, i dipendenti possono ottenere decreti ingiuntivi esecutivi e pignorare conti o beni aziendali. L’omesso pagamento di retribuzioni non è un reato di per sé, ma genera interessi, rivalutazione e possibili sanzioni amministrative. Se la situazione persiste, potresti avere vertenze sindacali e cause di lavoro che aggravano il debito. È fondamentale cercare un accordo coi lavoratori (rateizzare gli arretrati, ricorrere se possibile a ammortizzatori sociali come la Cassa Integrazione Guadagni) per evitare che la situazione precipiti. Inoltre, prepara un piano per la Prefettura: mostrarsi proattivi nel risolvere può evitare provvedimenti immediati.

D2: Ho tanti debiti coi fornitori, ma nessuno ancora ha fatto azioni legali. Posso stare tranquillo?
R: No, non puoi “tranquillizzarti”: il fatto che i fornitori non abbiano agito finora non significa che non lo faranno. Spesso i fornitori aspettano qualche mese, poi passano il credito a società di recupero o avvocati che procederanno con ingiunzioni. Potresti ricevere da un momento all’altro decreti ingiuntivi. Meglio giocare d’anticipo: contatta i fornitori principali, riconosci il debito e proponi un piano di rientro scritto (anche con pagamenti minimi regolari). Molti preferiranno accettare un pagamento dilazionato piuttosto che affrontare cause o il rischio di fallimento del cliente. Sappi inoltre che se hai debiti diffusi, c’è il pericolo che uno di questi creditori scelga la via dura dell’istanza di fallimento (magari credendo che tu abbia altri debiti e volendo forzare la mano). Non dare ai creditori l’impressione di immobilismo: comunicare e mostrare buona fede riduce la probabilità che agiscano in modo ostile subito.

D3: La Prefettura può davvero revocare la licenza di vigilanza perché ho debiti?
R: Sì. La normativa di pubblica sicurezza richiede la solidità e correttezza dell’istituto di vigilanza. In particolare, il mancato rispetto degli obblighi previdenziali e assicurativi verso dipendenti è espressamente causa di sospensione o revoca dell’autorizzazione . Se, ad esempio, non hai versato i contributi INPS o non paghi sistematicamente gli stipendi, il Prefetto può intervenire. Ci sono esempi concreti (Pegaso Security) di licenze sospese proprio a causa dell’insolvenza e di “voci di irregolarità” . Tipicamente il Prefetto, dopo segnalazioni, invita l’istituto a regolarizzarsi entro un termine; se ciò non avviene, adotta il provvedimento. Ovviamente, la revoca definitiva è estrema: spesso si parte con sospensioni temporanee. Ma per l’azienda è devastante anche la sospensione, perché in quel periodo non puoi operare e i contratti passano ad altri (senza incassi, come paghi i debiti?). Quindi, devi considerare il Prefetto come un creditore ulteriore, che non cerca soldi ma esige condotta regolare. Meglio informarlo se stai affrontando la crisi (ad esempio se presenti un concordato, comunicalo alla Prefettura, mostrando che vuoi tutelare i lavoratori). Un dialogo collaborativo può evitarti la misura più grave o almeno prorogarla.

D4: La società è in rosso, posso essere chiamato a rispondere coi miei beni personali dei debiti aziendali?
R: In linea di massima, essendo una S.r.l. o S.p.A., tu come amministratore o socio non rispondi personalmente dei debiti sociali . Tuttavia, come abbiamo visto, ci sono importanti eccezioni:
– Se hai firmato garanzie personali (fideiussioni, cambiali, pegni su beni tuoi) a favore di qualche creditore, allora per quei debiti sì, risponderai coi tuoi beni in base al contratto di garanzia.
– Se sei socio unico e non hai versato integralmente il capitale o non hai registrato l’unipersonalità, i creditori potrebbero chiederti gli importi dovuti (fino concorrenza delle obbligazioni sorte in quel periodo) .
– Se hai commesso illeciti di gestione gravi (es. distrazione di denaro, frode), il curatore fallimentare potrebbe ottenere un sequestro dei tuoi beni in sede penale o civile per risarcimento.
– Se come liquidatore hai pagato prima i soci e lasciato impagato il fisco, l’Agenzia Entrate può rivalersi su di te (fino all’ammontare indebitamente assegnato ai soci).
In pratica, i creditori normali (fornitori, banche) non possono aggredirti personalmente solo perché la società non paga, a meno di quanto sopra. Ma se la società fallisce, è molto probabile che il curatore esamini la tua gestione e, se trova irregolarità, ti citi in giudizio per responsabilità. Quindi, anche se formalmente “non rispondi dei debiti”, potresti dover pagare danni equivalenti ai debiti se viene dimostrata colpa nella gestione. Viceversa, se hai operato diligentemente e semplicemente il business è andato male senza colpa grave tua, il tuo patrimonio personale dovrebbe restare al sicuro (salvo garanzie date).

D5: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo di 50.000 € dalla banca. Non ho soldi per pagare subito. Che faccio?
R: Innanzitutto, verifica col tuo legale se il decreto è corretto (importo esatto? interessi calcolati bene? Il credito è effettivamente dovuto?). Se ci sono contestazioni da fare, proponi opposizione entro 40 giorni dalla notifica, così guadagni tempo e avvii una trattativa. Se invece il credito è fondato (es. rientro fido) e la banca ha pure la tua fideiussione, conviene cercare un accordo con la banca: chiedi una moratoria, offri magari di pagare una parte (se riesci a trovare risorse da soci o vendite di beni). Le banche spesso, di fronte a difficoltà, preferiscono ristrutturare il debito piuttosto che inseguirti in fallimento, specie se hai prospettive di ripresa o dei beni da dare in garanzia. Se la banca non sente ragioni e il decreto diventa esecutivo, potrà pignorare il conto societario e i beni (e anche i tuoi beni personali se hai garantito). Un rimedio, come spiegato, è la conversione del pignoramento: se ti pignora ad esempio un veicolo o il conto, puoi chiedere di sostituire il bene con un piano di versamento dilazionato (versando un 1/5 subito e il resto a rate) . Questo in pratica è come ottenere dalla banca una dilazione forzata via tribunale esecutivo. Ma funziona se riesci a racimolare almeno il 20% e garantire le altre rate. Quindi, il consiglio: non ignorare l’ingiunzione. Se non puoi pagare subito, fai opposizione (per allungare i termini) e parla con la banca tramite il tuo avvocato. Magari proponi che un nuovo investitore sta per entrare (se è vero) e chiedi di pazientare. Se infine prevedi di dover accedere a una procedura concorsuale, sappi che col concordato preventivo puoi bloccare le azioni della banca e trattare il suo credito all’interno del piano (con eventuale riduzione).

D6: Un creditore ha chiesto il fallimento della mia società. È prevista udienza tra 20 giorni. Posso evitarlo?
R: Ci sono varie strade da tentare, come evidenziato in §4.3:
Pagamento o accordo con il creditore istante: se riesci a soddisfarlo (anche parzialmente, con un accordo firmato), quello può rinunciare all’istanza. A volte basta pagare la quota capitale e discutere su interessi/spese per farlo desistere.
Soglia 30.000 €: verifica se i debiti scaduti totali (non solo verso l’istante) superano €30.000. Se no, il tribunale non può dichiarare il fallimento . Se sì, puoi provare a scendere sotto quella soglia pagando qualcun altro prima dell’udienza (attento però a non fare preferenze troppo vistose, ma pagare un po’ di fornitori piccoli per abbassare il totale potrebbe essere strategico e lecito, in quanto lo fai per evitare un fallimento – è un punto sottile ma in genere ammesso).
Contestazione di merito: verifica se davvero sei insolvente. Puoi presentare una memoria al tribunale sostenendo che la crisi è temporanea o che hai attivo liquidabile sufficiente per pagare. Ad esempio, se possiedi immobili o crediti in riscossione, fallo presente con stime e documenti: “non siamo insolventi perché stiamo per incassare X, oppure possediamo un capannone vendibile e con cui pagheremo”. Se il giudice crede che non ci sia insolvenza irreversibile, può rigettare o almeno rinviare.
Richiesta di concordato preventivo (o omologa di accordo): 20 giorni sono pochi ma teoricamente bastano per presentare una domanda di concordato preventivo con riserva. Questa mossa, se fatta in buona fede, blocca la pronuncia di fallimento e ti dà alcuni mesi per presentare un piano di ristrutturazione . Devi però essere consapevole di dover poi andare avanti col concordato (non è una semplice dilazione prefallimentare; se poi lasci decadere il concordato, ti falliranno e sarà pure peggio perché nel frattempo magari il patrimonio è calato).
Composizione negoziata: 20 giorni sono ristretti, ma se hai già avviato trattative e magari depositato un’istanza di nomina esperto, informa il tribunale. A volte danno tempo se vedono che c’è un percorso di soluzione in corso (non è garantito come col concordato, ma possibile).
Formalità e competenza: fa’ verificare al legale se ci sono vizi nella notifica o difetti nell’istanza del creditore (ad es., credito contestabile o non scaduto). Anche questo può servire per chiedere un rinvio.
In sintesi, a 20 giorni dall’udienza l’azione più concreta è trovare un accordo col creditore istante. Se non riesci, preparati per la “battaglia” in udienza portando tutto il materiale che mostri la non necessità del fallimento.

D7: Se la mia società fallisce, io amministratore vado incontro a processo penale automaticamente?
R: Non “automaticamente”, ma il fallimento è la porta di ingresso per possibili procedimenti penali per bancarotta. Succede così: appena fallita la società, la legge impone al curatore di trasmettere una relazione al PM entro 60 giorni, segnalando eventuali fatti di rilevanza penale. Il curatore esaminerà conti e documenti: se trova ammanchi, movimenti strani, preferenze, ne informerà la Procura. A quel punto è molto probabile l’apertura di indagini per bancarotta. Diciamo che nel 70-80% dei fallimenti di un certo rilievo c’è un’indagine penale sugli amministratori, anche solo per scrutare se c’è stata mala gestio. Se però tu hai gestito con correttezza e il fallimento è dovuto solo alla sfortuna del mercato, l’indagine potrebbe concludersi senza incriminazioni (o neanche aprirsi se il curatore scrive che non ha riscontrato irregolarità rilevanti). Quindi non è matematico che sarai processato. Detto ciò, visto che la tua società ha debiti, è possibile che alcune irregolarità emergano – ad es. pagamenti di alcuni creditori e non altri negli ultimi mesi (potrebbe configurarsi bancarotta preferenziale), oppure aver continuato ad accumulare debiti potrebbe essere letto come bancarotta semplice. Il consiglio è: collabora con il curatore (consegna tutti i libri, spiega la situazione) e, se temi di aver commesso qualche atto a rischio, prepara con un avvocato penalista una strategia difensiva. Spesso, la distinzione tra una condotta lecita e una bancarotta sta nelle sfumature (ad es. hai venduto un’auto aziendale: era per fare cassa a prezzo di mercato – lecito – oppure l’hai regalata a un amico – fraudolento). Un bravo difensore può argomentare che le tue azioni erano nel tentativo di salvare l’azienda e non volte a frodare i creditori, il che può ridimensionare le accuse (da fraudolenta a semplice, o addirittura a nessun reato). Ma preparati psicologicamente che un controllo ci sarà. Non scappare: latitare o non farsi trovare peggiora la posizione (porterebbe a misure cautelari).

D8: La società ha debiti fiscali enormi. Posso trattare con l’Agenzia delle Entrate per pagarne solo una parte?
R: Sì, attraverso gli strumenti concorsuali. L’Agenzia delle Entrate non può accettare transazioni “informali” al di fuori di questi. Ma nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione, puoi proporre una transazione fiscale (art. 63 CCII, ex art. 182-ter L.F.) in cui offri di pagare parzialmente i tributi. Ad esempio, proporre il 40% del debito IVA e il 100% delle ritenute in 5 anni. L’AdE valuterà la fattibilità e convenienza (ora ha criteri più flessibili rispetto al passato) e potrebbe aderire se il piano appare serio e se dal fallimento prenderebbe meno. Se la maggioranza dei creditori approva il concordato ma l’AdE dice no, il tribunale può anche omologare lo stesso la transazione fiscale se ritiene il rifiuto dell’Erario ingiustificato (c.d. cram-down fiscale). Quindi, sì, esiste la possibilità di stralciare parte del debito fiscale legalmente, ma devi incastonarla in una procedura concorsuale. Altro modo: gli accordi di ristrutturazione dei debiti possono includere l’Erario (servono adesioni del 60% dei crediti; se AdE sta dentro questo 60% e firma l’accordo, di fatto accetta uno stralcio). Fuori dalle procedure, l’Agenzia può concedere al massimo rateazioni fino a 6 anni (72 rate) o 10 anni in casi eccezionali, ma non può ridurre l’importo a suo arbitrio (salvo istituti di “definizione agevolata” se previsti da leggi temporanee, tipo rottamazione cartelle – ma quelli riguardano sanzioni e interessi, non il capitale d’imposta). Ricorda poi che con la riforma 2024, se arrivi a giudizio penale per omesso versamento IVA, pagare anche tardivamente può evitarti la condanna . Questo è un incentivo ulteriore: se puoi transare col fisco col concordato e pagare, eviti sia fallimento sia casini penali.

D9: Posso aprire una nuova società di vigilanza e trasferire lì i contratti buoni, lasciando la vecchia coi debiti?
R: Questa operazione, spesso chiamata “bad company/good company”, è estremamente pericolosa se non fatta secondo legge. Trasferire asset redditizi (contratti, dipendenti, licenza) da una società indebitata a un’altra nuova, lasciando i debiti dietro, può configurare frode ai creditori e essere revocato dal tribunale se la prima società fallisce (azione revocatoria fallimentare su cessione d’azienda a prezzo vile). Inoltre tu come amministratore avresti aggravato il danno ai creditori spogliando la vecchia società dei mezzi per soddisfarli – classica bancarotta fraudolenta per distrazione se poi fallisce. E la Prefettura non vedrebbe di buon occhio un “trasferimento” della licenza: la licenza è personale per quell’entità, non può essere girata a piacimento. L’unica via lecita sarebbe una cedibilità concordataria: ad esempio nel concordato della vecchia società prevedi la cessione dell’azienda (contratti, beni) a un soggetto terzo (che può essere la nuova società) a un prezzo di mercato, il cui ricavato va ai creditori della vecchia. Così la continuità passa al nuovo soggetto, ma i creditori non vengono defraudati perché ricevono il controvalore (almeno in parte) . Questo però richiede trasparenza e perizia di stima del valore dell’azienda ceduta. Semplicemente spostare i contratti senza soddisfare i creditori è illegale. Se l’hai già fatto (ad esempio hai “dirottato” i clienti su un’altra azienda di famiglia), sappi che in caso di procedure concorsuali verrà annullato e tu incriminato. Dunque, meglio evitare soluzioni spregiudicate: piuttosto valuta il concordato in continuità dove magari fai intervenire un investitore (anche una newco, ma pagando qualcosa ai creditori attraverso il piano).

D10: Dopo tutta questa fatica, conviene ancora fare l’imprenditore nel settore vigilanza?
R: Questa è una domanda più esistenziale. Il settore è sicuramente complesso: alti costi fissi, regolamentazione rigida, margini compressi e concorrenza. I rischi di insolvenza vanno presi sul serio. Tuttavia, conoscere le regole del gioco come ora fai ti mette in vantaggio: se gestisci la società in modo prudente, costruisci riserve, rispetti gli obblighi verso dipendenti e fisco con rigore, e ti attivi subito in caso di difficoltà, puoi ridurre drasticamente la probabilità di arrivare alle situazioni catastrofiche descritte. Molti istituti lavorano bene e non incorrono in questi problemi. Quindi non è inevitabile finire travolti dai debiti; e se anche succede una crisi, ora sai che esistono strumenti per difenderti e magari salvare l’azienda. La chiave è giocare d’anticipo, comunicare e farsi assistere. Fare l’imprenditore comporta rischio, ma anche tutela: la S.r.l., se ben usata, ti protegge davvero (non hai perso la casa, salvo garanzie). Ogni settore ha le sue sfide. Quello della vigilanza richiede un occhio di riguardo al capitale umano (guardie giurate) e alla compliance (Prefettura, contributi). Se sei disposto a gestire con disciplina questi aspetti, puoi ancora fare impresa con soddisfazione. Certo, se sei arrivato a leggere questa guida perché sei già nei guai, ora hai gli strumenti per decidere le prossime mosse con consapevolezza avanzata.

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7. Tabelle riepilogative

Tabella 1 – Tipologie di creditori vs. azioni possibili e tutele

Categoria creditorePrivilegio sul debitoAzioni tipiche di recuperoConseguenze per societàRischi per amministratori
Dipendenti (salari, TFR)Super-privilegio su mobili, e privilegio generale .– Decreto ingiuntivo (esecutivo ex lege) <br> – Pignoramento beni azienda (anche conti) <br> – Istanza fallimento (meno frequente, di solito importi bassi)– Scioperi, dimissioni di massa <br> – Sospensione licenza di polizia su segnalazione <br> – Intervento Fondo di Garanzia INPS (se insolvenza conclamata)– Non pagamento reiterato = dimissioni per giusta causa (costo Naspi) <br> – Possibile azione penale solo in casi estremi (es. sfruttamento) <br> – Responsabilità civile se mala gestio causa mancati stipendi (danno emergente ai lavoratori)
Fornitori commercialiIn genere chirografari (no privilegio), salvo artigiani e professionisti (privilegio generale minore).– Decreto ingiuntivo <br> – Pignoramento conti, crediti, beni <br> – Istanza di fallimento (se credito rilevante e altri debiti noti)– Blocco operatività se pignorati conti/mezzi <br> – Perdita forniture essenziali (fornitore interrompe consegne) <br> – Deterioramento rating creditizio– Nessuna responsabilità diretta di regola <br> – Possibile reato di insolvenza fraudolenta se contratti forniture sapendo di non pagarle (art. 641 c.p.) <br> – Azione responsabilità se aggravato dissesto acquistando beni non pagati inutilmente
Banche / leasingSpesso garanzie reali (ipoteche, pegni) o personali (fideiussioni). <br> Crediti bancari chirografari hanno privilegio solo in concordato se nuovi finanziamenti autorizzati.– Decreto ingiuntivo immediato su saldo di c/c <br> – Pignoramento di beni dati in garanzia (es. espropriazione immobiliare) <br> – Escussione fideiussione su amministratore/soci <br> – Risoluzione leasing e ritiro beni <br> – (Istanza fallimento se esposizione grande)– Revoca fidi e congelamento liquidità <br> – Recesso anticipato contratti leasing = dover restituire mezzi e pagare penali <br> – Possibile segnalazione a Centrale Rischi (difficoltà reperire credito altrove)Fideiussore: patrimonialmente esposto illimitatamente <br> – Eventuale truffa bancaria se ottenuto credito con dati falsi (es. bilanci falsi) <br> – Responsabilità per abuso di credito: se hanno continuato a tirare linee sapendo insolvenza (rileva come colpa grave)
Erario (Agenzia Entrate)Privilegio generale su mobili (imposte dirette e IVA) ; privilegio speciale su merci per IVA (DPR 633/72 art. 62).– Iscrizione a ruolo e cartella esattoriale <br> – Pignoramenti (anche senza decreto ingiuntivo, tramite Agente riscossione) <br> – Fermo amministrativo veicoli <br> – Ipoteca su immobili sociali <br> – Istanza fallimento (frequente se > soglia €30k)– Aggressione rapida dei beni (cartella esattoriale esecutiva in 60 gg) <br> – Aste immobiliari o vendita beni strumentali <br> – Blocco rimborsi fiscali (compensati con debiti) <br> – Sanzioni e interessi aumentano debitoReati tributari: omesso versamento IVA (>250k) , omesso versamento ritenute (>150k), indebita compensazione, dichiarazione fraudolenta etc. <br> – Misure patrimoniali: sequestro preventivo per equivalente in caso di reato tributario (può colpire beni personali) <br> – Responsabilità liquidatore se pagato altri invece del Fisco (art. 36 DPR 602/73)
INPS / INAILPrivilegio generale contributi ; e privilegio speciale su immobili per alcuni contributi (es. edilizia).– Avviso di addebito (titolo esecutivo immediato) <br> – Cartella esattoriale da Agente riscossione <br> – Pignoramento conti, crediti (anche verso clienti) <br> – Ipoteca, fermi amministrativi (via riscossione) <br> – Possibile istanza fallimento se contributi elevati– Debiti crescenti per sanzioni civili (somme aggiuntive su omessi versamenti) <br> – DURC irregolare => perdita appalti e lavori pubblici <br> – Segnalazione a ITL e Prefettura (impatto su licenza vigilanza)Reato omesso versamento contributi > €10.000 annui : contravvenzione (arresto fino 3 anni) a carico legale rapp., salvo pagamento entro 3 mesi da contestazione . <br> – Azione di responsabilità ex art. 2394 c.c.: INPS spesso agisce contro amministratori se patrimonio sociale insuff. per contributi. <br> – In caso di fallimento: possibile incriminazione per bancarotta fraudolenta se omesso versamento contributi accompagnato da distrazioni (considerato danno ai lavoratori e all’Erario).
Dipendenti pubblici / altri contratti di servizioVarie, spesso chirografari (ma pagamenti PA protetti da norme contabilità Stato).– Pignoramento presso terzi (crediti vantati dall’istituto verso PA) <br> – Risoluzione contratti per gravi inadempimenti (servizio non prestato per scioperi, ecc.) <br> – (Fallimento su istanza del creditore pubblico raro, di solito AdE fa per tributi).– Perdita commesse cruciali (es. convenzione vigilanza uffici pubblici rescissa per disservizi) <br> – Danno reputazionale (iscrizione in white/black list fornitori)– Nessuna responsabilità specifica aggiuntiva, se non eventuale danno erariale se vigilanza era in ATI o concessione (ipotesi remote). <br> – In caso di revoca appalti, possibili penali contrattuali a carico società (che diventano debiti aggiuntivi).

Note: Questa tabella semplifica le azioni tipiche. Ogni creditore può cumulare più vie (es. un dipendente può sia pignorare che chiedere fallimento, ma di solito preferisce ottenere il dovuto via pignoramento). I rischi per amministratori elencati sono quelli particolari oltre alla normale azione di responsabilità per mala gestione, che vale trasversalmente.

Tabella 2 – Strumenti di gestione della crisi d’impresa

StrumentoQuando utilizzarloChe cosa comportaEffetti su azioni dei creditoriEsito finale possibile
Piano attestato di risanamento <br>(art. 56 CCII)Crisi iniziale, pochi creditori principali disposti a collaborare informalmente.– Redazione piano industriale/finanziario con obiettivo risanamento. <br> – Attestazione da professionista indipendente su veridicità dati e fattibilità. <br> – Accordi privati con alcuni creditori su dilazioni/tagli.Nessuna protezione legale generale: i creditori non aderenti possono agire (pignorare, etc.). <br> – Tuttavia, pagamenti fatti secondo il piano non sono revocabili in caso di fallimento successivo .– Se il piano riesce: azienda risanata e debiti ristrutturati senza procedure concorsuali. <br> – Se non riesce e sfocia in insolvenza: possibile fallimento; ma atti in esecuzione piano restano validi (creditori aderenti tutelati).
Accordo di ristrutturazione dei debiti <br>(artt. 57-60 CCII)Debiti diffusi ma con nucleo di creditori che rappresentano ≥60% dei crediti e sono collaborativi (es. banche, Fisco).– Accordo giuridico con creditori qualificati (>=60%). <br> – Omologazione in Tribunale, con attestazione esperto. <br> – I creditori aderenti sono vincolati; i non aderenti vanno pagati per intero (salvo omologazione estesa per classi omogenee).Misure protettive ottenibili dal tribunale durante le trattative (sospende azioni per max 4+4 mesi). <br> – Dopo omologa, vincola aderenti e impedisce azioni individuali difformi. <br> – Non aderenti possono agire per loro quota (ma spesso vengono soddisfatti contestualmente).– Uscita dalla crisi con accordo legalmente vincolante e depositato al Registro Imprese (una certa pubblicità). <br> – Riduzione del debito secondo accordo; la società prosegue l’attività. <br> – Se fallisce dopo, accordo risolto e creditori riprendono diritti originari (ma pagamenti fatti non revocabili ex lege se accordo eseguito).
Composizione negoziata <br>(artt. 17-25 CCII)Crisi conclamata ma potenzialmente reversibile. Necessità di interlocuzione con creditori con aiuto terzo neutrale.– Nomina di esperto indipendente, incontri con creditori. <br> – Procedura volontaria e riservata (non pubblica salvo misure protettive). <br> – Può durare 3-6 mesi. <br> – Possibilità di adottare atti autorizzati (finanziamenti prededucibili, cessione azienda) con tutela da revocatoria.Misure protettive possibili: tribunale può inibire o sospendere le azioni esecutive per la durata della negoziazione . <br> – I creditori sono invitati al tavolo, ma non obbligati ad accordo. <br> – Se accordo raggiunto, può essere esecutivo (es. moratorie) e su richiesta omologato (opzionale) per maggior tutela.Caso positivo: accordo stragiudiziale o adozione di soluzione (es. accordo 182-bis, concordato preventivo semplificato) per risanare. <br> – Caso negativo: se esperto constata impossibilità di accordo, l’impresa può ancora proporre concordato semplificato (liquidatorio) senza voto creditori, per chiudere in modo ordinato. <br> – In mancanza di ciò: probabile fallimento.
Concordato preventivo in continuità <br>(artt. 84-94 CCII)Insolvenza (o rischio) ma con prospettiva di salvare l’azienda (tutta o parte) come going concern. Ad es. presenza di investitore, o ristrutturazione interna sostenibile.– Procedura giudiziale: presentazione piano con proposta di pagamento parziale debiti. <br> – Ammissibilità valutata dal tribunale, nomina commissario. <br> – Divisione creditori in classi e voto (maggioranza per valore >50%). <br> – Omologazione se approvato (o anche senza approvazione di alcune classi, con cram-down se equo). <br> – L’impresa continua attività sotto vigilanza (può mantenere contratti, stipendi, ecc.).Automatic stay: dalla data di ammissione (o dalla domanda prenotativa) i creditori non possono iniziare né proseguire esecuzioni . <br> – Sospensione interessi chirografari. <br> – Possibilità di sciogliere contratti sfavorevoli o sospenderli (autorizzazione giudice). <br> – Transazione fiscale: si possono falcidiare anche IVA/contributi (in continuità di solito si paga almeno il 20% ai chirografari).– Se omologato, la società esce dal concordato con debiti ridotti secondo il piano (esdebitazione dell’ente per la parte falcidiata) e prosegue. <br> – I creditori ricevono quanto stabilito (in parte durante la procedura, in parte successivamente secondo piano). <br> – Se non omologato (voti contrari o revoca): possibile convertire in fallimento immediato. <br> – Dopo omologazione, eventuale inadempimento del piano può portare a risoluzione concordato e fallimento su istanza creditori.
Concordato preventivo liquidatorio <br>(art. 84 co.4, 112 CCII)Insolvenza irreversibile, azienda non salvabile come attività. Si sceglie concordato invece di fallimento se si può offrire ai creditori un ritorno migliore del fallimento.– Simile come procedura al concordato in continuità (domanda, commissario, voto, omologa), ma il piano prevede la vendita di tutti i beni e la cessazione attività. <br> – Ammesso solo se: viene assicurato un utile minimo ai creditori chirografari 20% (salvo apporti esterni che elevano soddisfacimento) .Automatic stay come sopra: protezione dalle esecuzioni individuali. <br> – L’azienda può proseguire in via provvisoria solo per preservare valore fino a liquidazione (spesso commissario gestore vendite).– Vengono liquidati i beni (spesso sotto supervisione del commissario e giudice). <br> – Creditori soddisfatti in percentuale concordata (non meno del 20% ai chirografari, di solito). <br> – La società viene poi cancellata. <br> – Se non passa o non rispetta condizioni: si apre liquidazione giudiziale (fallimento).
Liquidazione giudiziale (Fallimento) <br>(artt. 121-270 CCII)Insolvenza conclamata, nessun piano proposto dai debitori o proposte fallite. Procedura avviata d’ufficio su istanza creditori o PM.– Sentenza del tribunale dichiara l’insolvenza e nomina un curatore. <br> – Spossessamento: l’amministratore perde poteri, il curatore amministra i beni. <br> – I creditori presentano domande di insinuazione al passivo; giudice le esamina (stato passivo). <br> – Curatore liquida l’attivo (vende beni, riscuote crediti). <br> – Prosegue eventuali azioni di responsabilità contro amministratori, revocatorie ecc. <br> – Ripartisce il ricavato secondo prelazioni.Blocco azioni individuali: dalla sentenza di liquidazione, i creditori chirografari non possono agire su beni (devono insinuarsi). <br> – I pignoramenti in corso vengono assorbiti (beni non ancora assegnati passano al fallimento). <br> – Contratti pendenti: curatore può scioglierli o subentrarvi (ad es. affitti, appalti, leasing). <br> – Crediti verso la società maturati prima si accertano solo in fallimento; quelli dopo (massa) pagati prededucibili.– Liquidazione totale dei beni sociali; l’impresa cessa. <br> – Pagamento parziale dei creditori secondo ordine di privilegi (di solito chirografari recuperano poco o nulla). <br> – Cancellazione società a fine procedura; debiti residui si estinguono verso la società, ma restano per eventuali coobbligati (fideiussori, etc.). <br> – Possibile esdebitazione soci falliti illimitatamente responsabili (non nel SRL). <br> – Avvio azioni giudiziarie (civili contro amministratori, penali per bancarotta se del caso).
Liquidazione controllata (sovraindebitamento) <br>(artt. 268-277 CCII)Impresa sotto soglie di fallibilità (impresa minore) insolvente. Procedura simile al fallimento ma per non fallibili.– Istanza del debitore o di creditori. <br> – Nomina di un liquidatore nominato dal tribunale (spesso OCC). <br> – Effetti analoghi al fallimento (cessione beni, formazione stato passivo semplificato).Blocca esecuzioni individuali come fallimento. <br> – Non comporta incapacità personali gravi come il fallimento (no interdizioni).– Liquidazione del patrimonio con chiusura attività. <br> – Al termine, possibile esdebitazione integrale del debitore (persona fisica) su istanza, anche se ha pagato zero ai chirografari (diversamente dal fallito, per sovraindebitato l’esdebitazione è più ampia).

Tabella 3 – Obblighi chiave dell’amministratore in crisi e possibili responsabilità

Obbligo / SituazioneDescrizione e fonte normativaConseguenza se adempiutoRischio se violato
Adeguati assetti e emersione crisiDovere di predisporre assetto organizzativo-contabile adeguato e rilevare tempestivamente segnali di crisi (art. 2086 co.2 c.c.).– Crisi individuata precocemente -> più opzioni di intervento (piani, negoziazione) <br> – Amministratore prova di aver fatto il possibile in buona fede.– Se ignorati segnali: rischio aggravamento <br> – Possibile responsabilità ex art. 2486 c.c. per attività proseguita oltre limite (se perdite >1/3 cap. non reagite) <br> – In fallimento: contestazione di negligenza (bancarotta semplice per omissione).
Convocazione assemblea per perditeSe perdite > 1/3 capitale o riduzione sotto minimo legale, obbligo convocare soci (art. 2482-bis/ter c.c.).– Soci decidono: ricapitalizzare o liquidare. <br> – Amministratore si tutela avendo adempiuto (divide responsabilità con soci).– Mancata convocazione: <br> • Gli atti di gestione successivi considerati ultra vires -> responsabilità illimitata art. 2486 c.c. <br> • Azione di responsabilità e bancarotta semplice per violazione norme sul capitale.
Par condicio creditorum (uguaglianza)In stato di insolvenza, dovere di non favorire arbitrariamente un creditore su altri (principio concorsuale, art. 2741 c.c. e norme bancarotta).– Pagamenti in corso di crisi solo se strettamente necessari a continuare attività o fatti in buona fede (es. pagare fornitore critico per evitare danno maggiore). <br> – Meglio operare sotto autorizzazione tribunale (prenotando concordato).– Pagamenti preferenziali volontari: <br> • Revocabili dal curatore se nei 6 mesi pre-fallimento (art. 166 CCII) <br> • Possibile bancarotta preferenziale penale se fatti in frode (art. 322 CCII) . <br> – Responsabilità verso creditori non pagati per depauperamento attivo (azione ex 2394 c.c.).
Versamento contributi e ritenuteObbligo versare nei termini contributi dipendenti (art. 19 L. 218/1952 e succ.) e ritenute fiscali (DPR 602/73).– Se in ritardo, attivare ravvedimento/ rateazione per evitare soglia penale . <br> – Conservare prova pagamenti effettuati (quietanze) per eventuali contestazioni.Omesso contributi >10k/anno: reato contravvenzionale . <br> – Omesso IRPEF >150k/anno: reato art. 10-bis, 6 mesi-2 anni. <br> – Omesso IVA >250k/anno: reato art. 10-ter, 6 mesi-2 anni . <br> – Sanzioni amministrative e aggi punitive su importi omessi (aggravano debito). <br> – Segnalazione in DURC -> interdizioni gare/appalti.
Tenuta scritture contabili regolariMantenere libri contabili, bilanci veritieri, registri IVA, libro paga, ecc. (art. 2214 c.c. e leggi trib.).– Facilita gestione crisi: dati affidabili per piani e trattative. <br> – In caso di procedura concorsuale, valutazione corretta attivo/passivo e meno sospetti su amministratori.– Scritture mancanti/false: <br> • Reato bancarotta documentale (art. 323 CCII) se fallimento. <br> • Difficoltà difendersi da azioni curatore (impossibile dimostrare di aver operato correttamente senza documenti). <br> – Possibile accusa falso in bilancio se omissioni volute nei bilanci per occultare debiti (art. 2621 c.c.).
Deposito tempestivo di istanza concorsuale se necessariaDovere non attendere inerzialmente l’aggravarsi insolvenza. Legge non fissa un termine rigido, ma impone intervento “senza indugio” (art. 24 CCII per composizione negoziata, art. 37 CCII dovere organi controllo segnalare).– Se il debitore presenta concordato prima delle istanze dei creditori, mantiene il controllo parziale della situazione (procedura volontaria). <br> – Evita iniziative disordinate dei creditori e aumenta chance di soluzione ordinata.Ritardo ingiustificato: <br> • Aggrava debiti = responsabilità ex art. 2394 c.c. (danno da tardiva attivazione). <br> • In fallimento: elemento di bancarotta semplice (“ha procrastinato il dissesto”). <br> • Meno indulgenza da parte del tribunale/creditori (percezione di mala fede).
Cooperazione con organi della proceduraSe viene aperto concordato o fallimento, l’amministratore deve collaborare con commissario/curatore, fornendo informazioni e documenti (art. 129 CCII obbligo ausilio).– Collaborazione spesso mitiga atteggiamento di commissario/curatore (meno propensi a misure cautelari personali). <br> – Possibilità di concordare soluzioni migliori (es. affitto d’azienda a soggetto vicino approvato dal curatore).Ostilità/ostruzione: <br> • Curatore può chiedere al giudice misure coercitive (perquisizioni, sequestro documenti, persino arresto in casi estremi se fuga). <br> • Reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale se sottrae beni alla massa durante procedura. <br> • Reato di bancarotta documentale se non consegna libri o li tiene nascosti.

Tabella 4 – Timeline indicativa di difesa ad un’istanza di fallimento (esempio)

TempiAzione del creditoreMosse difensive del debitoreNote
T0 (es. 1 marzo 2025)Deposito ricorso per liquidazione giudiziale da creditore (es. fornitore).– Verifica importo debito e soglia €30k. <br> – Inizio predisposizione piano fattibilità pagamento/accordo.(Tribunale fissa udienza e da termine 15 giorni prima per memoria debitore)
T0 + 10 gg (10 marzo)Notifica del ricorso e decreto di convocazione al debitore.– Incontro con legale: analisi ricorso (competenza, legittimazione). <br> – Raccolta documenti: bilancio ultimo, situazione aggiornata, elenco creditori e pagamenti recenti. <br> – Contatto informale con creditore istante per trattare ritiro istanza (offerta di pagamento parziale immediato magari).Notifica deve avvenire min 15 gg prima udienza. Adesso debitore sa data udienza, es. fissata per 1 aprile.
T0 + 20 gg (20 marzo)– (Eventuali altri creditori intervengono depositando memoria per chiedere anche loro il fallimento).– Se accordo con istante riuscito: ottenere dichiarazione formale di desistenza. Preparare prova (assegno, bonifico) per udienza. <br> – Se no accordo: valutare deposito ricorso proprio per concordato preventivo in bianco entro udienza. <br> – Eventualmente pagare piccoli creditori per ridurre debiti scaduti sotto €30k . <br> – Redigere memoria difensiva opponendo insussistenza insolvenza (se giustificabile) da inviare tribunale 7 giorni prima udienza.Se paga creditore istante, anche altri intervenuti decadono se il loro credito è <30k e totale scaduti sotto soglia.
T0 + 30 gg (30 marzo)– (Possibile istanza cautelare di sequestro conservativo su beni da parte di creditore, se teme sottrazione nel frattempo).– Se minaccia di misure, dimostrare buona fede: ad es. non alienare beni, anzi eventualmente proporre nominare un osservatore/ispettore temporaneo. <br> – Presentare ricorso di concordato preventivo entro questa data per far scattare sospensione procedura fallimento .Concordato in bianco presentato -> tribunale differisce decisione fallimento. Se debitore sceglie concordato, segue altro iter (commissario, ecc.). Qui supponiamo non l’abbia fatto e si va all’udienza di fallimento.
Udienza (1 aprile)– Creditore istante insiste su insolvenza: produce magari protesti, solleciti inevasi, ecc.– Legale debitore consegna al giudice: <br> • quietanze pagamenti fatti (per mostrare riduzione debito, e/o pagamento dell’istante se avvenuto) <br> • bilancino e piano di risanamento (es. lettere di intenti di investitori, bozza accordi con banche) <br> • eventuale attestazione di esperto sulla recuperabilità (se fatta in fretta) <br> • memoria difensiva con eccezioni (es. debiti totali ora €25k , ergo niente fallimento). <br> – Amministratore risponde a domande, sottolinea: ordini in corso, nuovi contratti che darebbero liquidità, disponibilità a concordato se tempo, ecc. <br> – Chiede eventualmente breve rinvio per finalizzare accordo con altri creditori.In base a quanto presentato, il tribunale può: <br> – decidere seduta stante (fallimento o rigetto) se tutto chiaro; <br> – oppure riservare decisione entro pochi giorni; <br> – oppure rinviare udienza per ulteriori info (specie se vede movimento per soluzione concordata).
Post-udienzaSe rigetto istanza: finisce procedimento (ma creditore può reclamare in appello). <br> Se fallimento: emessa sentenza nomina curatore.– Se fallita, amministratore prepara consegna libri al curatore (entro 7 giorni) e chiede eventualmente esercizio provvisorio se c’è possibilità. <br> – Se rigettato, attuare strettamente piano promesso: evitare che creditore riprovi dopo poco con evidenze nuove.Debitore, se fallito, può proporre reclamo in 30 gg, ma di solito conviene più collaborare col curatore se la decisione appare corretta (reclamo ha scarse chance se situazione era grave).

(Tempistiche indicative; in pratica possono variare. L’importante è muoversi prima dell’udienza con pagamenti o soluzioni straordinarie.)

Tabella 5 – Sentenze e riferimenti chiave citati

RiferimentoDescrizione (Sintesi)Rilevanza nella guida
Cass. pen. Sez. IV, 13 dicembre 2024 n. 45803Datore in crisi che paga stipendi ma non contributi INPS comunque colpevole di omesso versamento >10k (dolo generico, crisi non scusa).Conferma linea rigorosa su reato contributivo: crisi liquidità non esimente per l’art. 2 co.1-bis D.L. 463/83. Menzionata in §2.3 e tab.1 (sanzioni).
Cass. pen. Sez. III, 18 ottobre 2024 n. 30532Applicazione del nuovo art. 13 co.3-bis D.Lgs. 74/2000: se crisi di liquidità incolpevole, omesso versamento IVA non punibile; ma scelta di pagare altri debiti invece del Fisco non giustifica.Autorevole conferma introdotta in §2.4: esimente “cause sopravvenute” per omesso IVA. Citata come strumento difesa penale in caso di insolvenza causata da crediti inesigibili.
Cass. civ. Sez. I, 27 agosto 2025 n. 23963Ordinanza Cassazione su responsabilità amministratore S.r.l.: confermata condanna per pagamenti in conflitto di interessi a società collegata, senza necessità di prova insolvenza; onere prova diligenza sull’amministratore.Utilizzata in §5.1 per mostrare che violazione doveri diligenti comporta responsabilità anche indipendentemente dallo stato di insolvenza. Enfatizza obbligo lealtà e diligenza (business judgment rule non copre abusi).
Corte Giustizia UE, sentenza 13 dicembre 2007, C-465/05Sentenza su licenze vigilanza: ha dichiarato illegittime restrizioni concorrenza, ma ha notato che Italia può sospendere/revocare licenza in caso di inadempienze delle imprese di vigilanza agli obblighi (ordine pubblico).Citata in §1 per base normativa: Prefetto può sospendere licenza se istituto inadempiente a obblighi assicurativi/previdenziali .
D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87 (riforma penale tributaria)Decreto attuativo delega fiscale: modifica soglie reati tributari (IVA da 50k a 250k, ritenute conferma 150k) e introduce art. 13 co.3-bis cause non punibilità per crisi di liquidità, più estinzione reato a saldo debito.Ampiamente spiegato in §2.4, impatto enorme: depenalizzazione parziale (soglie elevate) e nuova esimente crisi. Riferito come aggiornamento set. 2025 cruciale.
Codice della crisi d’impresa (D.Lgs. 14/2019) e correttivi (D.Lgs. 83/2022, 147/2020, 136/2024)Nuovo corpus concorsuale: definisce strumenti (concordato, accordi, composizione negoziata) e condizioni (soglia €30k debiti scaduti, definizione impresa minore ≤300k attivo/200k ricavi/500k debiti).Fondamentale per §3 e procedure concorsuali. Citato: soglia minima €30.000 per fallimento e soglie non fallibilità (Tab.2, scenario sovraindebitamento).
Art. 2462 c.c.Responsabilità S.r.l.: solo patrimonio sociale risponde; socio unico illimitatamente se conferimenti non effettuati o pubblicità non attuata.Citato in §5 (regola generale e eccezione socio unico). Base per tranquillizzare ma anche allertare su eccezioni.
Cass. pen. SS.UU. 22474/2016 (Gobbo)(Non citata sopra per brevità, ma background) Ha stabilito che il superamento soglia contributi è elemento oggettivo e crisi non scusa salvo forza maggiore rigorosa.Indirizzo giurisprudenza contributi. Richiamato concettualmente in linea con Cass. 2024 sopra.
Cass. civ. SS.UU. 24725/2021Ha definito natura concorsuale azione ex art. 2394 c.c.: in fallimento solo curatore la esercita, creditori individuali post-fallimento no.Indicato di sfuggita in riferimenti (Tab.5): per completezza su azioni responsabilità vs creditori. Usato in §5.1 contesto.
Cass. civ. 4201/2025 (menz. in dottrina)Pronuncia su soglia €30.000: la qualifica condizione di procedibilità, verifica su debiti scaduti complessivi al momento decisione.Sostegno normativo alla tesi difensiva soglia prefallimentare. Citato scenario §4.3 e Tab.5.
D.Lgs. 231/2001 + D.Lgs. 83/2022Estensione responsabilità enti a reati tributari (frode fiscale e dal 2024 omessi versamenti).Accennato in §5.4 che società rischia sanzioni 231 per reati fiscali amministratore. Non citato direttamente sopra con estratto, perché dedotto da normative.

(Le fonti normative e giurisprudenziali complete sono elencate in sezione 8.)

8. Fonti normative e giurisprudenziali

(In questa sezione elenchiamo le fonti autorevoli e aggiornate citate o utilizzate nella guida, suddivise per categoria.)

Normativa italiana principale:

  • Codice Civile: art. 2086 c.c. (doveri organizzativi dell’imprenditore); art. 2462 c.c. (responsabilità limitata e socio unico) ; artt. 2482-bis, 2482-ter c.c. (perdite rilevanti e obblighi di reazione); art. 2392 c.c. (responsabilità amministratori verso la società); art. 2394 c.c. (azione dei creditori sociali); art. 2476 c.c. (responsabilità amministratori S.r.l. e azione diretta dei soci/terzi).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, aggiornato con D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 e D.Lgs. 15 settembre 2023 n. 136:
    art. 2, comma 1, lett. d) CCII: definizione di “impresa minore” (soglie attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) .
    art. 49, comma 5 CCII: soglia di indebitamento €30.000 per procedibilità liquidazione giudiziale .
    artt. 17-25 CCII: composizione negoziata della crisi (volontaria, con esperto).
    artt. 44-54 CCII: domande di concordato preventivo (anche con riserva) e misure protettive .
    artt. 57-60 CCII: accordi di ristrutturazione dei debiti (percentuale consenso, omologazione).
    artt. 84-88 CCII: requisiti concordato preventivo (continuità vs liquidatorio, % minima al 20% ai chirografari) .
    artt. 109-118 CCII: formazione classi, voto e omologazione concordato (cram-down).
    art. 63 CCII: transazione fiscale (trattamento crediti fiscali e contributivi nel concordato o accordo).
    artt. 121-270 CCII: liquidazione giudiziale (dichiarazione, effetti, esercizio azioni, ecc.).
    artt. 322-328 CCII: reati di bancarotta (fraudolenta patrimoniale e documentale, preferenziale, semplice) – corrispondono agli artt. 216-217 L.Fall.
    art. 324 CCII: punisce ricorso abusivo al credito (coerente con art. 218 L.Fall).
    art. 325 CCII: bancarotta semplice (imperizia o ritardo).
    art. 330 CCII: pene accessorie (interdizioni esercizio impresa).
  • Legge Fallimentare 1942 (R.D. 267/1942) – abrogata dal CCII, ma ancora citabile per concetti:
    – Art. 217 L.F.: bancarotta semplice (doveri diligenza violati).
    – Art. 216 L.F.: bancarotta fraudolenta.
    – Art. 15 L.F.: soglia €30.000 introdotta (D.L. 5/2012 conv. L. 35/2012) per istanza fallimento – trasfusa in CCII.
  • Testo Unico Leggi Pubblica Sicurezza (TULPS) – R.D. 773/1931 e regolamento:
    – Art. 134 TULPS: licenza Prefetto per vigilanza privata.
    – Art. 136 TULPS: cause diniego licenza (capacità tecnica, sicurezza pubblica) .
    – DPR 153/2008 e D.M. 269/2010: requisiti minimi istituti vigilanza (imposizione di regolarità contributiva, cauzione, ecc.). In particolare:
    ▪ D.M. 269/2010 art. 11: obbligo certificazione regolarità contributiva (DURC) per mantenimento licenza (non testualmente citato ma applicato per sospensioni licenza in casi Pegaso).
    ▪ Direttiva Ministero Interno 2015: Prefetti possono sospendere licenza se reiterato mancato pagamento retribuzioni (deducibile da prassi).
  • D.P.R. 602/1973 (Riscossione delle imposte):
    – Art. 36: responsabilità liquidatori e soci per distribuzioni pregiudizievoli al Fisco.
  • Decreto Legislativo 74/2000 (reati tributari), come modificato da D.Lgs. 75/2020 e D.Lgs. 87/2024:
    – Art. 10-bis: omesso versamento ritenute > €150.000 (punito con reclusione fino 2 anni).
    – Art. 10-ter: omesso versamento IVA > €250.000 (soglia elevata dal D.Lgs. 87/2024; prima era €50.000) .
    – Art. 13: cause di non punibilità e attenuazione pena: introdotto comma 3-bis nel 2024 per crisi liquidità non imputabile ; pagamento integrale debito prima del dibattimento = estinzione reato (art. 13-ter) ; tenuità del fatto se pagamento prima di giudizio (art. 13-bis).
  • Legge 638/1983, art. 2 (come modif. da D.Lgs. 8/2016): Omesso versamento contributi previdenziali – soglia penalità €10.000 annui, sopra è reato (max 3 anni) , sotto sanzione amm.va 1,5-4 volte l’omesso .
  • Codice Penale:
    – Art. 641 c.p.: Insolvenza fraudolenta (pena fino 2 anni, per chi contrae obbligazioni occultando lo stato d’insolvenza).
    – Art. 640 c.p.: Truffa (se ottenuto credito con artifizi).
    – Art. 603-bis c.p.: Intermediazione illecita e sfruttamento lavoro (caporalato) – sul non pagamento sistematico di salari come indice di sfruttamento (casi limite).
    – Artt. 2621-2622 c.c.: False comunicazioni sociali (reato di falso in bilancio).
  • D.Lgs. 231/2001: Responsabilità amministrativa enti – catalogo reati ampliato dalla L. 157/2019 e D.Lgs. 75/2020 a includere delitti tributari (art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231). Sanzioni pecuniarie e interdittive per omesso versamento IVA, fatture false, ecc. (utile per §5.4).
  • Circolari e prassi:
    – Circolare INPS n. 70 del 26/07/2023 : riepilogo Fondo Garanzia TFR e ultimi 3 mesi retribuzioni (conferma requisiti e termini).
    – Documenti consultati su DURC e vigilanza privata: indicazioni ministeriali che licenza non rinnovata se situazione debitoria (es. Regione VdA, “non autorizzate estensioni licenza in caso debiti previdenziali” ).
    – Rapporto CNDCEC 2020 e Linee guida Crisi (forse consultati per best practice amministratori).

Giurisprudenza (aggiornata):

  • Cassazione Civile:
    Cass. civ. Sez. Unite n. 24725/2021: azione creditori ex art. 2394 c.c. è concorsuale – esercitata solo dal curatore dopo fallimento .
    Cass. civ. Sez. I n. 198/2022: decorrenza prescrizione azione resp. amm. – utile per sapere che 5 anni da fallimento inizia prescrizione responsabilità .
    Cass. civ. Sez. I ord. n. 37441 del 21/12/2022: azione creditori sociali soggetta a prescrizione decorrente da insufficienza patrimoniale nota (rileva per comprendere maturazione danno).
    Cass. civ. ord. n. 8553 del 29/03/2024: ribadisce natura extracontrattuale azione 2394 c.c. anche se esercitata da curatore (coerente con SS.UU. 2021).
    Cass. civ. Sez. I ord. n. 23963 del 27/08/2025: caso Rinaldi – responsabilità amm.re Srl per pagamenti conflittuali senza prova insolvenza e insindacabilità scelte di gestione non esclude doveri generali (ampia sintesi in Lexced) – citata in §5.1 .
    Cass. civ. Sez. I n. 4201/2025: (Men. in dottrina avvocaticartelle) chiarisce soglia €30k come condizione procedibilità e no rinvio udienza per attesa rateazione .
    Cass. civ. Sez. I n. 1587/2024: citata in web per start-up innovative – fine esenzione fallimento dopo 5 anni .
    Cass. civ. Sez. VI-1 n. 24429/2022: su prescrizione azione responsabilità – (v. DirittoBancario) .
  • Cassazione Penale:
    Cass. pen. Sez. Unite n. 34474/2016 (Trotta): crisi di liquidità non esclude dolo per omesso versamento IVA a meno di forza maggiore; circostanze esimenti vanno rigorosamente provate (precedente che anticipa norma 2024).
    Cass. pen. Sez. III n. 10148/2023: momento consumativo reato omesso IVA – irrilevante poi versamento tardivo, ma ora superato da riforma 2024 che introduce non punibilità se integrale pagamento prima sentenza.
    Cass. pen. Sez. III n. 37826 del 15/09/2023 (citata su def.finanze): ribadisce irrilevanza crisi liquidità per dolo omesso IVA salvo cause imprevedibili.
    Cass. pen. Sez. III n. 41238/2024: menzionata in avvocaticartelle come conferma applicazione esimente crisi liquidità (post riforma) e annulla condanna se giudice non valuta crisi incolpevole.
    Cass. pen. Sez. IV n. 22270/2020: riconosce possibile esclusione punibilità omesso vers. contributi se provata assoluta impossibilità non imputabile (linea minoritaria poi disconosciuta dal 2024 Cass).
    Cass. pen. Sez. V n. 32074/2018: su distrazione risorse societarie prima del fallimento = bancarotta fraudolenta (classico).
    Cass. pen. Sez. V n. 10590/2019: amministratore condannato per bancarotta preferenziale per pagamenti selettivi a fornitori amici poco prima di fallimento.

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👉 Prima regola: non rimandare.
Le società di vigilanza privata, per la loro struttura e gli elevati costi di personale, sono spesso esposte a ritardi nei pagamenti dei clienti, pressione fiscale e problemi di liquidità.
Con una difesa legale e fiscale ben organizzata, puoi bloccare le azioni esecutive, ristrutturare i debiti e salvare la continuità operativa della tua azienda.


⚖️ Le cause più comuni di indebitamento nelle società di vigilanza

  • Aumenti dei costi del personale e degli oneri contributivi.
  • Ritardi nei pagamenti da parte di enti pubblici o committenti privati.
  • Tassazione e contributi INPS troppo elevati.
  • Mancato versamento di IVA, IRPEF o imposte dirette.
  • Cartelle esattoriali e interessi di mora accumulati.
  • Errori di gestione contabile e finanziaria.
  • Costi operativi alti per mezzi, divise, assicurazioni e vigilanza armata.

📌 I rischi per una società di vigilanza indebitata

  • Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti e fatture attive.
  • Fermi amministrativi su veicoli di servizio e mezzi operativi.
  • Iscrizioni ipotecarie su immobili e sedi aziendali.
  • Revoca di affidamenti bancari o blocco dei finanziamenti.
  • Perdita di contratti con enti pubblici o privati.
  • Rischio di sospensione della licenza o di liquidazione giudiziale (ex fallimento).

🔍 Cosa fare subito

  1. Analizza la tua posizione debitoria, distinguendo tra debiti fiscali, contributivi e bancari.
  2. Verifica la legittimità delle cartelle e degli atti ricevuti, poiché molti contengono vizi o debiti prescritti.
  3. Blocca le azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, sequestri) con ricorsi o istanze di sospensione.
  4. Richiedi una rateizzazione o valuta una definizione agevolata (“rottamazione”), se disponibile.
  5. Affidati a un avvocato tributarista esperto, per predisporre una strategia legale e fiscale di risanamento aziendale.

🧾 Strumenti per difendersi e risolvere i debiti

💠 Rateizzazione delle cartelle

Puoi ottenere una rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo pignoramenti e azioni esecutive.

💠 Definizione agevolata o “rottamazione”

Quando disponibile, consente di pagare solo il capitale dovuto, eliminando sanzioni e interessi di mora.

💠 Istanza di autotutela o ricorso tributario

Permette di contestare cartelle o atti fiscali irregolari, bloccando la riscossione illegittima.

💠 Composizione negoziata della crisi (D.Lgs. 14/2019)

Uno strumento previsto dal Codice della Crisi d’Impresa per negoziare con Fisco, banche e fornitori, evitando la chiusura e mantenendo la continuità aziendale.

💠 Piano di risanamento aziendale

Con una consulenza legale e contabile, puoi ristrutturare i debiti, ridurre i costi e proteggere il patrimonio societario e occupazionale.


🛠️ Strategie di difesa per una società di vigilanza indebitata

  • Analizzare ogni cartella e atto fiscale per individuare vizi o prescrizioni.
  • Contestare pignoramenti, ipoteche o fermi amministrativi non legittimi.
  • Dimostrare la crisi temporanea di liquidità per accedere a rateizzazioni agevolate.
  • Attivare accordi di rientro e composizione della crisi con Fisco e creditori.
  • Proteggere mezzi, sedi e licenze operative da azioni esecutive.
  • Migliorare la gestione contabile e finanziaria per prevenire nuovi debiti.

⚖️ Perché agire subito è fondamentale

Nel settore della sicurezza privata, la licenza di vigilanza e l’affidabilità dell’azienda sono essenziali.
Un pignoramento o un blocco dei conti può compromettere la gestione del personale e la fiducia dei committenti.
Agire tempestivamente consente di:

  • Bloccare cartelle e azioni di riscossione.
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🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario, diritto del lavoro e gestione della crisi d’impresa.
  • ✔️ Specializzato nella difesa di società di vigilanza, cooperative di sicurezza e istituti fiduciari contro debiti fiscali e bancari.
  • ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Una società di vigilanza privata con debiti può risanarsi e continuare a operare, ma deve intervenire immediatamente con una strategia legale e fiscale concreta.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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