Ditte Di Corrieri Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai una ditta di corrieri o trasporti con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Il settore dei trasporti e delle consegne è oggi tra i più colpiti da crisi di liquidità, aumento dei costi operativi e controlli fiscali, aggravati dal caro carburante e dai ritardi nei pagamenti da parte dei clienti o delle grandi piattaforme.
Molte ditte di corrieri si trovano a gestire debiti con il Fisco, l’INPS o i fornitori, causati da ritardi nei versamenti, accertamenti IVA o IRPEF o errori contabili, con il rischio di cartelle esattoriali, pignoramenti o blocchi dei conti correnti.
Con una difesa legale e fiscale ben strutturata, è possibile bloccare la riscossione, rateizzare i debiti e difendersi da accertamenti infondati, garantendo la continuità operativa e la tutela del patrimonio aziendale.

Quando una ditta di corrieri entra in difficoltà fiscale
Le situazioni più comuni che generano debiti o accertamenti fiscali nel settore trasporti sono:

  • Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRPEF, IRES o contributi non versati;
  • Accertamenti fiscali per presunti ricavi non dichiarati o incongruenze nei costi di gestione;
  • Pignoramenti o ipoteche su conti correnti o mezzi aziendali;
  • Sanzioni e interessi che fanno aumentare rapidamente il debito;
  • Ritardi nei pagamenti da parte di clienti o società appaltanti;
  • Errori contabili o amministrativi nella gestione della partita IVA o delle spese carburante.

Cosa fare se la tua ditta ha debiti o è sotto accertamento fiscale

  1. Agisci subito: ogni atto (cartella o accertamento) deve essere impugnato o rateizzato entro 60 giorni dalla notifica.
  2. Verifica la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti fiscali contengono vizi di notifica, errori di calcolo o motivazioni generiche, che consentono di chiederne l’annullamento.
  3. Controlla l’importo reale del debito: spesso la cifra comprende sanzioni e interessi eccessivi, che possono essere ridotti con la definizione agevolata.
  4. Richiedi una rateizzazione: puoi ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le azioni di riscossione.
  5. Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se disponibile, consente di pagare solo l’imposta dovuta, eliminando sanzioni e interessi.
  6. Impugna gli accertamenti infondati: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, puoi bloccare la riscossione e difendere la tua impresa.

Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nella difesa delle imprese di trasporto e logistica può analizzare la tua posizione e predisporre una strategia difensiva efficace.
Le azioni più utili comprendono:

  • contestare errori di notifica, calcolo o motivazione negli accertamenti e nelle cartelle;
  • chiedere la sospensione delle azioni di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche);
  • presentare ricorso contro accertamenti IVA o IRPEF basati su presunzioni o controlli automatizzati;
  • negoziare rateizzazioni o transazioni fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
  • proteggere mezzi, veicoli e beni aziendali da sequestri o pignoramenti;
  • ottimizzare la gestione contabile e fiscale per evitare nuovi debiti in futuro.

Il ruolo dell’avvocato nella difesa delle ditte di corrieri

  • Analizza la legittimità di accertamenti, cartelle e intimazioni di pagamento.
  • Predispone ricorsi e istanze di sospensione per bloccare la riscossione.
  • Negozia rateizzazioni e definizioni agevolate con l’Agenzia delle Entrate.
  • Difende la ditta nel contraddittorio con l’Ufficio e nei giudizi tributari.
  • Protegge i mezzi di trasporto, i conti e i beni aziendali da azioni esecutive.
  • Tutela la continuità dei contratti e la reputazione professionale della ditta.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

  • La sospensione immediata delle procedure di riscossione.
  • L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi.
  • La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute.
  • La protezione del patrimonio aziendale e dei veicoli.
  • Il risanamento fiscale e la stabilità economica della tua attività.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti e fermi amministrativi sui veicoli, paralizzando completamente l’attività di trasporto.
Molte situazioni, tuttavia, possono essere risolte o ridotte, se affrontate tempestivamente con una difesa legale e fiscale competente.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e difesa fiscale delle aziende di trasporto e logistica – spiega cosa fare se la tua ditta di corrieri ha debiti fiscali o è sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ristabilire la solidità economica della tua impresa.

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Introduzione

Le aziende di trasporto e corrieri – spesso di piccole dimensioni, talvolta organizzate come cooperative o ditte individuali – negli ultimi anni si sono trovate ad affrontare crescenti difficoltà finanziarie. Aumenti dei costi (carburante, manutenzioni), ritardi nei pagamenti da parte dei clienti e una concorrenza agguerrita possono facilmente tradursi in insolvenze. Molte di queste imprese accumulano debiti di vario tipo: imposte non versate, contributi previdenziali arretrati, esposizioni bancarie, fatture dei fornitori scadute, fino ad arrivare ad azioni esecutive come pignoramenti su automezzi o immobili. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere gli strumenti di tutela e le soluzioni offerte dall’ordinamento per gestire la crisi debitoria ed evitare, per quanto possibile, la dispersione del patrimonio e la chiusura forzata dell’attività.

Occorre premettere che l’ordinamento italiano ha visto riforme importanti fino al 2025 in materia di crisi d’impresa e sovraindebitamento. In particolare, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019), entrato pienamente in vigore nel 2022, ha sostituito la vecchia legge fallimentare e la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012), introducendo procedure nuove o rivisitate per aiutare imprenditori e privati a ristrutturare i debiti . Successive modifiche (da ultimo il D.lgs. 136/2024, cosiddetto “correttivo ter”) hanno ulteriormente perfezionato queste regole, ampliando le tutele per i debitori onesti. Questa guida, aggiornata a settembre 2025, fornisce un quadro avanzato ma chiaro delle normative, delle pronunce giurisprudenziali più recenti e degli strumenti difensivi a disposizione di corrieri e imprese di trasporto in difficoltà finanziaria. Il taglio è pratico e giuridico al tempo stesso: da un lato verranno spiegate le soluzioni legali (concorsuali e non) per gestire e ridurre i debiti, dall’altro si forniranno consigli operativi su come reagire alle azioni dei creditori, il tutto con un linguaggio tecnico ma accessibile, rivolto sia ai professionisti (avvocati, consulenti) sia agli imprenditori e privati coinvolti.

Nelle sezioni che seguono analizzeremo anzitutto le tipologie di debito più comuni per una ditta di corrieri e le conseguenze del mancato pagamento. Approfondiremo poi come la forma giuridica dell’impresa (ditta individuale, società di persone, S.r.l. o cooperativa) incida sulla responsabilità patrimoniale e sui rischi per soci e amministratori. Verranno esaminati in dettaglio gli strumenti di legge per far fronte ai debiti – dalle rateizzazioni fiscali alle procedure concorsuali come il concordato preventivo, dagli accordi di ristrutturazione ai piani del consumatore e all’esdebitazione – con riferimento alle novità normative più recenti. Non mancheranno domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative per fissare i concetti chiave, nonché casi pratici simulati riguardanti imprese di trasporto indebitate, così da calare la teoria nella realtà operativa.

L’obiettivo finale è duplice: illustrare cosa fare quando una ditta di corrieri si trova schiacciata dai debiti e come difendersi legalmente dalle pretese dei creditori, salvaguardando ove possibile la continuità dell’impresa o quantomeno il patrimonio indispensabile. In ogni caso, il debitore potrà capire quali sono i propri diritti, quali obblighi deve rispettare e quali errori evitare (ad es. distrarre beni o favorire alcuni creditori a discapito di altri, condotte che possono avere anche rilievo penale). Il tutto avendo ben presenti i principi cardine dell’ordinamento: da un lato il dovere di onorare le obbligazioni assunte, dall’altro la possibilità – se onesti e meritevoli – di ottenere un “fresh start” tramite la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione), come riconosciuto oggi anche a livello europeo (direttiva UE 2019/1023 sul secondo tentativo).

Tipologie di debiti per le ditte di corrieri

Una ditta di corriere o autotrasporti può accumulare diversi tipi di debito. Conoscere la natura di ciascuno è importante perché creditori diversi hanno poteri e strumenti di riscossione differenti, e perché le soluzioni per gestire o ridurre il debito variano a seconda della tipologia. Ecco le categorie principali:

Debiti fiscali (verso il Fisco)

I debiti tributari comprendono tutte le somme dovute all’Erario: imposte sui redditi (IRPEF per ditte individuali o IRES per società), IVA sulle fatture, IRAP, eventuali imposte locali (IMU, TARI, bollo auto sui veicoli aziendali, etc.). Per le aziende di trasporto spesso l’IVA è una voce rilevante, data la movimentazione di beni e servizi tassabili. Quando non si versano puntualmente le imposte sorgono sanzioni fiscali e interessi di mora, che fanno lievitare rapidamente l’ammontare dovuto . Ad esempio, l’omesso versamento IVA entro i termini comporta una sanzione amministrativa pari al 30% dell’imposta, oltre interessi; per i tributi dichiarati ma non pagati scatta la sanzione del 30% (riducibile se si paga con ritardo breve), mentre per omessa dichiarazione le sanzioni sono ancora più elevate. Questi debiti, se non saldati o contestati per tempo, vengono iscritti a ruolo dall’Agenzia delle Entrate e affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) per la riscossione coattiva. Il risultato è la famigerata cartella esattoriale, atto con cui si intima il pagamento entro 60 giorni, trascorsi i quali il debito diventa immediatamente esigibile con i potenti mezzi di esecuzione forzata concessi all’ente di riscossione (si vedano più avanti le sezioni su fermi amministrativi, ipoteche e pignoramenti fiscali).

Esempi comuni: Molte ditte individuali di corrieri finiscono per non versare interamente l’IVA o l’IRPEF annuale, usando quelle liquidità per far fronte ad altre spese urgenti. Oppure si ritrovano con accertamenti fiscali (avvisi di accertamento) per redditi non dichiarati o costi indeducibili, da cui scaturiscono nuovi debiti tributari. Ancora, in caso di controllo automatizzato delle dichiarazioni, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere a ruolo somme per errori formali o versamenti insufficienti (i cosiddetti avvisi bonari possono precedere le cartelle). Tutto ciò confluisce nei debiti fiscali che il corriere deve gestire. Una caratteristica di questi debiti è che non si estinguono col tempo se non pagati, salvo casi di condono o prescrizione: anzi, restano a lungo attivi e producono interessi finché l’Agente della Riscossione può attivarsi.

Va sottolineato che nel 2023-2024 il legislatore ha introdotto alcune misure agevolative per i debiti fiscali pregressi. Ad esempio, con la Legge di Bilancio 2023 è stato disposto l’annullamento automatico dei debiti fino a €1.000 affidati all’agente della riscossione tra il 2000 e il 2015 (c.d. stralcio delle mini-cartelle), e una nuova edizione della rottamazione delle cartelle (cosiddetta rottamazione-quater) che consente ai debitori di estinguere i ruoli 2000-2017 pagando solo l’imposta e gli interessi legali, senza sanzioni né interessi di mora . Queste misure, sebbene temporanee, rientrano nelle opportunità da cogliere per ridurre l’esposizione fiscale. Inoltre, a regime, esistono strumenti ordinari come la rateizzazione e la transazione fiscale (di cui diremo oltre) che permettono di gestire in modo sostenibile i debiti tributari. Nel 2025, in particolare, è divenuta più accessibile la dilazione di pagamento delle cartelle: oggi fino a €120.000 di debito si può ottenere una rateizzazione automatica fino a 84 rate mensili (7 anni) senza dover comprovare uno stato di difficoltà, e persino piani da 85 a 120 rate (fino a 10 anni) presentando adeguata documentazione sulla situazione di crisi . Ciò rappresenta un allungamento rispetto al limite standard di 72 rate previsto in passato . In altri termini, il corriere indebitato col Fisco può chiedere più facilmente un piano di rientro decennale, evitando azioni esecutive purché rispetti le rate concordate.

Debiti previdenziali (verso INPS e INAIL)

Un’impresa di corrieri può avere debiti previdenziali principalmente verso enti come INPS e INAIL. Si tratta dei contributi obbligatori dovuti per il titolare e gli eventuali dipendenti. Ad esempio, una ditta individuale iscritta alla gestione artigiani/commercianti deve pagare i contributi fissi e percentuali all’INPS; se ha dipendenti autisti, dovrà versare i contributi previdenziali e assicurativi sui loro stipendi (INPS e premio INAIL). Il mancato pagamento di questi contributi genera sanzioni civili, interessi e può portare ad azioni esecutive simili a quelle fiscali, in quanto l’INPS iscrive a ruolo i crediti e li affida ad Agenzia Entrate-Riscossione. Ad esempio, è comune il caso di ditte che non riescono a versare il minimale INPS trimestrale: l’INPS emette un avviso di addebito che, se non saldato, diventa titolo esecutivo per il recupero forzoso. Anche INAIL per i premi assicurativi non pagati agisce in modo analogo. Le conseguenze includono pignoramenti dei compensi o delle somme sul conto corrente (se il debitore è una persona fisica, l’INPS può pignorare indennità o rimborsi dovuti, nei limiti di legge).

Da notare che, a differenza dei debiti tributari, per i contributi previdenziali non vi è una norma generale che trasferisca la responsabilità sugli amministratori o soci in caso di insolvenza della società (salvo ipotesi specifiche). Il debito rimane in capo al soggetto obbligato (datore di lavoro o iscritto). Tuttavia, se l’impresa fallisce o chiude lasciando contributi non versati, l’ente previdenziale può insinuarsi nel passivo e tentare il recupero sul patrimonio residuo. Inoltre, l’omesso versamento di ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti costituisce reato (art. 2, comma 1-bis D.L. 463/1983, se l’importo supera una certa soglia): quindi l’amministratore che non versa i contributi trattenuti ai dipendenti rischia sanzioni penali, pur non essendo civilmente obbligato al pagamento con patrimonio personale (se non nei limiti di un’eventuale condanna in sede di azione di responsabilità). In generale, comunque, i debiti previdenziali seguono lo stesso regime dei debiti fiscali nelle procedure concorsuali: possono essere inclusi in piani di ristrutturazione o concordati preventivi, beneficiando di dilazioni e parziali falcidie attraverso la transazione previdenziale (analoga a quella fiscale) . Va ricordato però che anche l’INPS applica sanzioni severissime per il ritardato pagamento (cosiddetti interessi di mora e sanzioni civili che possono arrivare al 40% annuo), il che fa crescere notevolmente il debito se non affrontato per tempo .

Debiti bancari e finanziari

Le imprese di corriere spesso ricorrono a finanziamenti bancari o leasing per acquistare i veicoli (furgoni, autocarri) o per sostenere il capitale circolante. Tra i debiti bancari tipici troviamo: mutui ipotecari su immobili dell’azienda, leasing sui camion o sui magazzini, prestiti chirografari per liquidità, scoperti di conto corrente e fidi bancari, anticipazioni su fatture, ecc. Finché l’impresa è solvibile, questi rapporti sono regolati da contratti con piani di ammortamento o con rientri periodici. Ma in caso di insolvenza o ritardi nei pagamenti, la banca può revocare gli affidamenti e richiedere immediatamente quanto dovuto. Se l’azienda non è in grado di rientrare, si aprono le procedure di recupero: ad esempio, la banca che ha erogato un mutuo garantito da ipoteca avvierà un’esecuzione immobiliare sull’immobile ipotecato; la società di leasing potrebbe procedere al ritiro dei beni in leasing (il veicolo) e al recupero delle rate scadute; per prestiti non garantiti, la banca può ottenere un decreto ingiuntivo e pignorare i beni aziendali o i crediti verso terzi. In molti casi, le banche richiedono ai piccoli imprenditori garanzie personali (fideiussioni) dei soci o del titolare: ciò significa che, se la ditta di corrieri non paga, anche il patrimonio personale del garante è aggredibile. Si pensi al classico fido bancario concesso all’azienda ma garantito dal titolare con ipoteca sulla casa: il mancato rientro autorizza la banca ad iscrivere ipoteca sull’abitazione privata e poi procedere al pignoramento.

Il debito bancario ha quindi una caratteristica: spesso è assistito da cause di prelazione (garanzie reali o personali) che ne facilitano la riscossione. La presenza di garanzie limita anche la possibilità di ridurre il debito in sede concorsuale: un creditore garantito (p.e. banca con ipoteca o leasing) può essere soddisfatto almeno in parte sul valore del bene dato in garanzia e, nelle procedure di concordato o sovraindebitamento, gode di un trattamento privilegiato. Ciò non toglie che si possano trovare accordi di ristrutturazione anche con le banche – ad esempio piani di risanamento attestati o accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII – per evitare l’escussione immediata delle garanzie. In sede negoziale le banche talvolta accettano un saldo e stralcio (pagamento parziale) se ritengono che l’alternativa sia peggiore (ad es. fallimento della ditta e recupero incerto) . Un imprenditore-debitore dovrebbe inoltre verificare se le eventuali fideiussioni omnibus firmate a favore delle banche contengono clausole nulle per violazione della normativa antitrust: la Cassazione a Sezioni Unite ha infatti confermato la nullità parziale delle fideiussioni bancarie conformi al vecchio schema ABI, in particolare per tre clausole (sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.) ritenute frutto di intesa restrittiva della concorrenza . In alcuni casi, tribunali hanno ritenuto che tale nullità liberi il fideiussore da parte dell’obbligo, o comunque ne riduca l’esposizione. Dunque, per difendersi dai debiti bancari, occorre anche esplorare questi profili tecnici (ne riparleremo in “responsabilità personali”).

In sintesi, i debiti verso banche e finanziarie espongono la ditta di corrieri a azioni esecutive immediate sui beni dati in garanzia (immobili, veicoli, pegni su merci o crediti) . Se non vi sono garanzie reali, il creditore finanziario concorrerà con gli altri creditori chirografari e potrà attivarsi con pignoramenti tradizionali. È importante fare un’analisi del proprio indebitamento bancario per capire dove si rischia di più (ad es. quali beni aziendali o personali sono vincolati) e come ristrutturare il debito: a volte è possibile ottenere moratorie o dilazioni volontarie accordandosi con l’istituto di credito, specie se la crisi è temporanea. In caso di crisi più grave, i debiti bancari vanno gestiti all’interno di un piano di risanamento più ampio (concordato o procedura di sovraindebitamento), assicurandosi di coinvolgere per tempo le banche nella trattativa per evitare mosse unilaterali (revoca fidi, escussioni) che precipiterebbero la situazione.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

Un settore come quello dei corrieri vede numerosi rapporti con fornitori e subfornitori: dal distributore di carburante, all’officina meccanica, al consorzio logistico a cui il corriere aderisce, fino ai fornitori di materiale di imballaggio, software gestionale, etc. Può capitare di accumulare debiti verso fornitori per fatture non saldate alle scadenze pattuite, specialmente in momenti di tensione di liquidità. Questi debiti sono normalmente non garantiti (chirografari), anche se in certi casi la legge attribuisce al fornitore un privilegio speciale: ad esempio, il fornitore di carburante vanta un privilegio sul prezzo dei beni in caso di rivendita, ai sensi dell’art. 2762 c.c., e più in generale i crediti per forniture ad un’impresa possono avere privilegio se riferiti ai 6 mesi precedenti il fallimento (art. 2751-bis n.5 c.c.). Per il corriere indebitato ciò significa che alcuni fornitori potrebbero essere parzialmente preferiti rispetto ad altri creditori in sede concorsuale. Ma al di là di questo, il rischio principale è che un fornitore non pagato interrompa la fornitura (ad esempio, il benzinaio può sospendere la carta carburante) mettendo in crisi operativa l’azienda. Inoltre, i fornitori possono attivarsi legalmente: spesso ricorrono al decreto ingiuntivo (un ordine di pagamento ottenuto dal giudice in tempi rapidi) e, se non vengono saldati, passano al pignoramento dei beni aziendali o dei crediti (es: pignorano i crediti che la ditta di corrieri vanta verso i propri clienti, mediante atto ai sensi dell’art. 72-bis DPR 602/73 se il creditore è pubblico, o ex art. 543 c.p.c. se privato). I creditori commerciali possono anche presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se il loro credito supera una certa soglia e l’impresa appare insolvente.

Dal punto di vista difensivo, i debiti verso fornitori possono talvolta essere negoziati: non di rado, un fornitore preferisce accettare un pagamento parziale a saldo (saldo e stralcio) o una dilazione, piuttosto che affrontare l’incertezza e i costi di un recupero coattivo o di un concorso fallimentare. In sede di eventuale concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, ai fornitori (creditori chirografari in genere) verrà proposta una percentuale di soddisfazione sul credito (es: 20-30%), spesso accompagnata dalla prospettiva che, in mancanza di accordo, la liquidazione fallimentare li lascerebbe con ancor meno. È bene tenere informali contatti con i fornitori principali durante la crisi, spiegando la situazione e cercando temporaneamente di preservare i rapporti: un fornitore strategico (come il distributore di carburante) potrebbe accettare pagamenti dilazionati pur di non perdere il cliente, se intravede un piano di rientro credibile. Al contrario, ignorare queste posizioni debitorie può portare a azioni giudiziarie multiple e scoordinate, che aggravano la crisi (pignoramenti simultanei su conti e beni, ecc.).

Un caso particolare è il debito verso i dipendenti (stipendi non pagati, TFR): anche i lavoratori sono creditori e godono di privilegi legali molto forti (sui beni mobili e immobili dell’impresa, ex art. 2751-bis n.1 c.c.). In caso di procedure concorsuali, i loro crediti vengono soddisfatti con priorità. Inoltre, esiste un Fondo di garanzia INPS che interviene a pagare TFR e ultime mensilità se l’azienda fallisce. Per l’imprenditore, comunque, accumulare debiti verso i dipendenti è rischioso: può condurre a vertenze di lavoro e decreti ingiuntivi in sede giuslavoristica, nonché alimentare istanze di fallimento promosse proprio dai lavoratori (la giurisprudenza ammette la legittimazione del dipendente non pagato a chiedere il fallimento del datore di lavoro insolvente). Pertanto anche questo rientra tra i debiti commerciali da monitorare e, se possibile, prediligere nei pagamenti, dato il loro carattere “sensibile” (pur sempre rispettando la legge – pagare selettivamente alcuni creditori a ridosso del fallimento può configurare atti censurabili come pagamenti preferenziali, su cui torneremo).

Altri debiti e oneri (multe, imposte locali, ecc.)

Nel settore trasporti possono emergere ulteriori categorie di debito. Un esempio sono le sanzioni amministrative e le multe stradali. Un corriere può ricevere numerose contravvenzioni (limiti di velocità, divieti di circolazione, ecc.) oppure sanzioni da enti (si pensi alle multe comminate dall’Ispettorato del Lavoro o dall’Albo Autotrasportatori). Queste multe, pur essendo debiti a tutti gli effetti, hanno un trattamento particolare: in linea generale non sono “falciabili” nelle procedure concorsuali. Significa che, ad esempio, in un concordato preventivo non è possibile proporre il pagamento parziale di una sanzione amministrativa, poiché si tratta di un debito di natura pubblicistica escluso dalla falcidiabilità (analogo alle sanzioni penali e ai debiti da danno erariale). Tali debiti non vengono cancellati nemmeno dall’esdebitazione: la legge espressamente esclude dal beneficio della cancellazione i debiti per sanzioni di natura amministrativa e penale. In pratica, le multe restano a carico del debitore anche dopo eventuali procedure d’insolvenza: non fanno parte del passivo trattabile . È un aspetto importante: un piccolo imprenditore potrebbe uscire da una liquidazione concorsuale libero dai debiti verso fornitori e banche, ma comunque dover pagare le multe stradali arretrate. Conviene quindi gestire separatamente anche queste posizioni – ad esempio, approfittando di eventuali definizioni agevolate (il “saldo e stralcio” delle cartelle nel 2019 includeva alcune sanzioni) o chiedendo la rateizzazione all’ente locale che le ha erogate.

Altri possibili debiti includono le imposte locali (es. tassa rifiuti per il magazzino, imposta di pubblicità se la ditta ha insegne, canoni vari). Questi rientrano nei debiti fiscali, anche se spesso sono gestiti da enti diversi (Comune, concessionari di riscossione locali). Anch’essi possono portare a ingiunzioni fiscali e pignoramenti, pur su importi minori. Infine, se il corriere ha debiti personali (non legati all’attività) – ad esempio un mutuo sulla casa, prestiti personali, scoperti su carte di credito – questi inevitabilmente si sommano al carico complessivo e possono aggravare la situazione di sovraindebitamento. Nel seguito tratteremo soprattutto dei debiti legati all’attività di impresa, ma un imprenditore individuale deve considerare la totalità del proprio indebitamento (personale e aziendale insieme), specie se intende accedere a una procedura di esdebitazione che richiede la disamina complessiva dei debiti.

Tabella riepilogativa – Principali tipologie di debito di una ditta di corrieri e caratteristiche:

Tipologia di debitoEsempi e caratteristicheAzioni dei creditori / Note
Debiti fiscali (Erario)IVA, IRPEF/IRES, IRAP, imposte locali non versate.<br>Sanzioni e interessi elevati sul dovuto.Cartelle esattoriali, fermi amministrativi su veicoli, ipoteche e pignoramenti da Agenzia Entrate Riscossione. Possibilità di rateizzazione fino 10 anni; inclusi in transazione fiscale nei concordati. Rottamazioni occasionali.
Debiti previdenziali (INPS)Contributi INPS artigiani/commercianti, contributi dipendenti.<br>Sanzioni civili su omesso versamento.Avvisi di addebito INPS, riscossione coattiva tramite cartelle. Nessuna responsabilità personale diretta salvo malversazioni. Possibilità di dilazione; inclusi nelle procedure concorsuali (transazione previdenziale).
Debiti bancari/finanziariMutui per acquisto immobili o veicoli, leasing automezzi, prestiti e fidi.<br>Spesso garantiti (ipoteche, pegni, fideiussioni).Decreti ingiuntivi e pignoramenti immediati. Escussione garanzie reali (espropriazione immobili ipotecati, revoca leasing) . Difficile falcidia se garantiti; possibile saldo e stralcio extragiudiziale. Attenzione a fideiussioni personali (possibile nullità di clausole ABI) .
Debiti verso fornitoriFatture non pagate per carburante, manutenzione mezzi, pedaggi, ecc.<br>Chirografari (a volte con piccoli privilegi di legge).Azioni monitorie (decreto ingiuntivo) e pignoramenti di beni aziendali o crediti verso terzi. Rischio sospensione forniture. Possono essere ristrutturati in concordati o accordi (di solito parzialmente soddisfatti) .
Debiti verso dipendentiStipendi arretrati, TFR non accantonato.<br>Crediti privilegiati ex lege.Vertenze di lavoro, decreti ingiuntivi; insinuazione nel fallimento con privilegio (pagati prima degli altri). Fondo di garanzia INPS per TFR in caso di insolvenza. Pagamenti preferenziali a ridosso della crisi possono essere revocati.
Multe e sanzioni (pubbliche)Multe stradali, sanzioni amministrative (es. Autorità settore trasporti).<br>Debiti di natura pubblicistica.Ingiunzioni di pagamento da enti locali o ministeri; pignoramenti possibili sui beni. Non falcidiabili né esdebitabili: restano dovuti per intero anche dopo procedure concorsuali . Possibile rateizzazione con l’ente o sanatorie straordinarie.

(Legenda: falcidia = pagamento parziale del credito in procedura; esdebitazione = cancellazione dei debiti residui post procedura; OCC = Organismo di Composizione della Crisi.)

Conseguenze del mancato pagamento e azioni esecutive

Vediamo ora cosa accade quando i debiti sopra elencati non vengono pagati e i creditori attivano le procedure di recupero forzoso. Dal punto di vista di una ditta di corrieri debitrice, è fondamentale comprendere i meccanismi delle azioni esecutive per sapere cosa aspettarsi e come eventualmente reagire. Esamineremo separatamente la riscossione coattiva pubblica (cartelle esattoriali) e le vie giudiziali ordinarie a disposizione dei creditori privati, per poi illustrare i diversi tipi di pignoramento (mobiliare, immobiliare, presso terzi) e i limiti legali posti a tutela di determinati beni.

Cartelle esattoriali e riscossione coattiva tributaria

Quando il creditore è un ente pubblico (Agenzia delle Entrate, INPS, ente locale), la riscossione dei debiti avviene tramite una procedura amministrativa speciale, culminante nell’emissione della cartella di pagamento o nell’ingiunzione fiscale (strumento simile usato dai Comuni). La cartella esattoriale è un atto notificato al debitore che intima il pagamento di somme iscritte a ruolo: per un corriere, può trattarsi di imposte non pagate, contributi INPS omessi, sanzioni del Codice della Strada, ecc. Trascorsi 60 giorni senza pagamento né ricorso, la cartella diventa definitiva e il concessionario della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) può procedere con i poteri esecutivi conferitigli dal DPR 602/1973. Tali poteri includono alcune azioni amministrative rapide che non richiedono l’intervento di un giudice:

  • il fermo amministrativo dei beni mobili registrati: ad esempio, AER può iscrivere un fermo sul furgone o camion del debitore, impedendone la circolazione e, di fatto, costringendo a pagare per riottenere l’operatività del mezzo. Il preavviso di fermo viene comunicato e, se il debitore non salda o rateizza, il fermo è iscritto al PRA bloccando il veicolo;
  • l’ipoteca sui beni immobili: per debiti sopra una certa soglia (attualmente €20.000 per l’ipoteca esattoriale), l’Agente può iscrivere ipoteca su un immobile del debitore (es. la sede aziendale o un immobile personale se il debitore è persona fisica) per tutelare il credito. Va ricordato che, per effetto del DL 69/2013, l’Agenzia Riscossione non può procedere alla vendita della casa di abitazione del debitore persona fisica se essa è l’unico immobile di proprietà, adibito a uso abitativo e non di lusso . Può però mantenere l’ipoteca a garanzia, impedendone la libera disposizione;
  • il pignoramento diretto di somme presso terzi o presso il debitore: il concessionario può pignorare i conti correnti (con atto all’istituto bancario) o altre crediti del debitore (ad esempio, i corrispettivi dovuti da un cliente per le consegne effettuate). Questo pignoramento avviene con una procedura semplificata (art. 72-bis DPR 602/73) senza autorizzazione giudiziaria, e diventa esecutivo decorsi 60 giorni dalla notifica se il debitore non paga. Ad esempio, il corriere potrebbe vedersi pignorare l’intero saldo di conto oppure singoli accrediti futuri, entro i limiti di legge (per le persone fisiche valgono limiti su stipendi/pensioni sul conto).

Trascorsi 60 giorni senza adempimento, la cartella funge anche da atto di precetto. Ciò significa che l’agente può procedere al pignoramento di beni mobili o immobili similmente a un creditore privato ma con alcune facilitazioni procedurali (non serve un titolo giudiziario, la cartella stessa è titolo esecutivo). Il pignoramento mobiliare sarà eseguito dall’ufficiale della riscossione, che può accedere nei locali dell’impresa e individuare beni pignorabili.

Dal lato del debitore, è possibile opporsi alle cartelle esattoriali solo per vizi formali o per motivi di merito specifici e tempestivi. L’opposizione alla cartella (ricorso al giudice tributario per i tributi, al giudice del lavoro per contributi, o al giudice ordinario per sanzioni amministrative) va proposta di norma entro 60 giorni dalla notifica, altrimenti i motivi sostanziali di contestazione del debito non sono più deducibili. È sempre consigliabile, in presenza di cartelle, verificare se esse siano state notificate regolarmente e se il debito in esse contenuto sia già stato oggetto di ricorso o definizione. Qualora la cartella sia illegittima (ad esempio, notifica viziata o importo già prescritto), si può proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. quando iniziano gli atti esecutivi, per far valere l’irregolarità.

Una difesa importante è la rateizzazione della cartella: presentando istanza prima che decada il termine (o anche dopo, purché prima che il bene sia venduto) si ottiene la sospensione delle azioni esecutive e si diluisce il pagamento. Come detto, oggi la normativa consente piani fino a 10 anni in casi di difficoltà comprovata . Inoltre, durante la rateizzazione il fermo amministrativo su un veicolo può essere sospeso: il debitore può chiedere la cancellazione del fermo se in regola con le rate, prestando garanzie se richiesto.

In estrema sintesi, la riscossione coattiva esattoriale è rapida e incisiva: conviene intervenire prima che arrivi a bloccare i mezzi o le finanze dell’impresa. Approfondiremo più avanti come utilizzare strumenti come la transazione fiscale nel concordato per gestire questi debiti. Per ora, basti ricordare che i poteri di AER sono tali da potersi sovrapporre all’attività aziendale (fermare camion, ipotecare capannoni, svuotare conti) e quindi meritano attenzione prioritaria.

Decreti ingiuntivi e cause civili dei creditori privati

Diverso è il percorso che deve seguire un creditore privato (fornitore, banca, dipendente, ecc.) per ottenere coattivamente quanto dovuto. Non avendo i poteri speciali della riscossione pubblica, il creditore deve munirsi di un titolo esecutivo giudiziale, salvo che già disponga di un titolo stragiudiziale (ad es. cambiale, contratto di leasing notarile, ecc.). Nella pratica, la via più rapida è spesso il decreto ingiuntivo: un ordine di pagamento emesso dal tribunale su ricorso del creditore, fondato su prove scritte del credito (fatture, estratti conto autenticati, busta paga non saldata, ecc.). Per esempio, un fornitore a cui il corriere non ha pagato €10.000 di fatture per carburante può chiedere al giudice un decreto ingiuntivo; se la documentazione è in regola, il giudice lo emetterà solitamente in 30-60 giorni. Il decreto viene notificato al debitore, che ha 40 giorni per pagare o proporre opposizione. In mancanza di opposizione, il decreto diviene definitivo ed esecutivo.

Ottenuto il titolo (ingiunzione non opposta, oppure sentenza in caso di vera e propria causa), il creditore può procedere con il precetto e quindi col pignoramento dei beni del debitore. Tutte le tipologie di pignoramento (mobiliare, immobiliare, presso terzi) di cui diremo a breve sono disponibili anche ai creditori privati, ma con l’obbligo di seguire il Codice di procedura civile. Ad esempio, la banca munita di decreto ingiuntivo può notificare un atto di precetto alla società di trasporti intimando il pagamento entro 10 giorni; poi potrà far notificare dall’ufficiale giudiziario un atto di pignoramento su un autocarro o sul conto corrente.

Dal lato difensivo, il debitore che contesta il credito deve agire tempestivamente. Contro un decreto ingiuntivo infondato o errato occorre proporre opposizione entro 40 giorni dalla notifica, aprendo così un giudizio ordinario in cui si può far valere ad esempio che la fornitura non è mai avvenuta, che l’importo è errato, che il servizio era difettoso, etc. L’opposizione sospende l’esecuzione solo se il giudice concede sospensione (di solito in caso di fondati motivi); altrimenti il creditore può iniziare i pignoramenti anche durante la causa, salvo poi restituire quanto ottenuto se perderà. Dunque spesso conviene trovare un accordo col creditore prima che questi ottenga il titolo: quando si riceve un sollecito di pagamento o una diffida dall’avvocato del creditore, è il momento di aprire il dialogo. Se si lascia che la controparte ottenga un ingiuntivo, si aggravano i costi (interessi legali, spese legali liquidate in decreto) e si rischia di perdere il controllo sui tempi.

Nel caso di crediti di lavoro (es: dipendenti), il procedimento può essere ancora più veloce: il dipendente munito di busta paga non pagata può ottenere un’ingiunzione provvisoriamente esecutiva oppure ricorrere al giudice del lavoro per un accertamento rapido; una volta ottenuta la sentenza o il decreto, pignorerà i conti aziendali. Lo stesso per collaboratori autonomi o agenti di commercio.

Un altro strumento a disposizione dei creditori, specie quelli con crediti elevati, è l’istanza di fallimento (oggi liquidazione giudiziale): se la ditta di corrieri è un’impresa commerciale non piccolissima (vedremo i requisiti di fallibilità) e si trova insolvente, un creditore può chiederne la dichiarazione di fallimento in tribunale. Per il debitore questa è l’azione più drastica: equivale a perdere l’amministrazione dei propri beni (arriva un curatore) e subire una liquidazione di tutto il patrimonio, con relative conseguenze. Più avanti tratteremo la liquidazione giudiziale come procedura, ma qui anticipiamo che una buona difesa per l’imprenditore è prevenire questo esito attivando per conto proprio una procedura concorsuale (es: concordato preventivo) prima che i creditori presentino istanza, oppure dimostrando in giudizio di non essere insolvente (magari grazie a piani di rientro in corso).

In conclusione, nel momento in cui un creditore ottiene un titolo esecutivo, il pallino passa a lui: il debitore rischia pignoramenti su ogni bene non protetto. La fase migliore per “difendersi” dalle cause dei creditori è quella iniziale: contestare, negoziare, transare prima del giudizio o nel giudizio di opposizione. Una volta che il pignoramento è iniziato, le possibilità di difesa si limitano a profili formali (opposizione agli atti esecutivi se il pignoramento ha vizi di procedura) o a cercare soluzioni interne al processo esecutivo (come la conversione del pignoramento, che consiste nel chiedere di sostituire i beni pignorati con il versamento di una somma in denaro cauzionale).

Passiamo ad esaminare più nel dettaglio le tipologie di pignoramento che possono colpire l’azienda di corrieri debitrice.

Pignoramento mobiliare (beni mobili, automezzi, attrezzature)

Il pignoramento mobiliare riguarda i beni mobili di proprietà del debitore, che possono essere sia beni mobili registrati (veicoli, rimorchi, ecc.) sia beni mobili non registrati (macchinari, merci, arredi d’ufficio, contanti trovati in cassa, ecc.). Per una ditta di trasporto, i beni mobili più rilevanti sono senza dubbio gli automezzi (furgoni, camion) e l’attrezzatura (es. muletti, computer gestionali, strumenti di magazzino). Questi beni possono essere pignorati sia dall’Agente della Riscossione sia dai creditori privati muniti di titolo, con modalità leggermente diverse:

  • Se agisce Agenzia Entrate-Riscossione: può iscrivere direttamente fermo amministrativo sul veicolo, come detto, e per il pignoramento mobiliare presso la sede dell’impresa può intervenire un ufficiale della riscossione che redige il verbale di pignoramento dei beni trovati (ai sensi del DPR 602/1973). In pratica, è simile all’ufficiale giudiziario ma con poteri su base della cartella.
  • Se agisce un creditore privato: dopo aver notificato precetto, incaricherà l’ufficiale giudiziario di recarsi presso i locali dell’azienda. L’ufficiale può accedere (se necessario con l’ausilio della forza pubblica, in presenza di regolare titolo) e individuare i beni di proprietà del debitore da pignorare. Redigerà un verbale di pignoramento elencando, ad esempio, i veicoli trovati (numero di targa), i macchinari, i mobili d’ufficio, e così via, dichiarandoli pignorati.

Una volta pignorati, i beni mobili vengono normalmente lasciati in custodia allo stesso debitore (custodia giudiziaria), salvo rischio di sottrazione. Il passo successivo è la vendita all’asta: i beni pignorati verranno stimati e messi all’asta (oggi spesso tramite portali online). Per un corriere ciò può significare, ad esempio, vedersi mettere all’asta il proprio furgone pignorato, interrompendo di fatto l’attività se era l’unico mezzo disponibile.

Tuttavia, il codice di procedura prevede delle tutele per i beni essenziali all’attività lavorativa del debitore persona fisica. L’art. 515 c.p.c. stabilisce infatti che “gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, arte o mestiere del debitore possono essere pignorati nei limiti di un quinto, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni non appare sufficiente…; questo limite non si applica per i debitori costituiti in forma societaria né se nell’attività del debitore prevale il capitale sul lavoro” . In altre parole, un lavoratore autonomo ha diritto a conservare almeno 4/5 dei suoi strumenti di lavoro, e se ne ha uno solo (strumento unico), la giurisprudenza lo considera impignorabile per intero in quanto indivisibile . Ad esempio, il Tribunale di Trani ha stabilito che l’unico veicolo con cui un autonomo svolge la propria attività di trasporto è impignorabile, per non privarlo dei mezzi di sostentamento . Questo principio tutela il corriere come persona fisica: se Mario è un trasportatore monoveicolare con un furgone di proprietà, un creditore non potrebbe pignorargli quell’unico furgone (dovrebbe limitarsi al quinto, ma non è frazionabile, dunque niente pignoramento). Attenzione però: se il debitore è una società (es. S.r.l.), nessun bene è impignorabile per tale motivo, in quanto la norma esclude le persone giuridiche da questa protezione . Pertanto, per un’azienda organizzata in forma societaria, tutti i mezzi aziendali sono pignorabili e vendibili, indipendentemente dal fatto che ciò paralizzi l’attività.

Altra limitazione: i beni soggetti a pegno o ipoteca di solito non vengono pignorati da altri creditori perché già vincolati; se tuttavia dovesse accadere, il creditore pignorante dovrà rispettare i diritti del garantito (es: un camion in leasing formalmente è di proprietà della società di leasing, quindi l’ufficiale giudiziario non dovrebbe pignorarlo come bene del debitore, al più ne pignora la “posizione contrattuale” con esiti pratici scarsi).

Per difendersi dal pignoramento mobiliare in atto, il debitore ha poche opzioni: può eventualmente proporre all’autorità giudiziaria la sostituzione dei beni con una somma (conversione del pignoramento ex art. 495 c.p.c.), versando immediatamente un importo pari al debito, interessi e spese, in modo da liberare i beni (in pratica, riscattare il pignoramento). Questa mossa richiede liquidità di cui spesso il debitore non dispone, ma in certi casi è percorribile con l’aiuto di terzi (ad es. un familiare che presta i soldi per evitare di far vendere i beni a prezzi d’asta). Un’altra strada è dimostrare che i beni pignorati non appartengono al debitore: se, poniamo, i macchinari sono di proprietà di un’altra società o i veicoli sono in comodato, il terzo proprietario può fare opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. per ottenere la liberazione dei propri beni.

In ogni caso, il pignoramento dei veicoli per un corriere è devastante: anche se la legge tutela l’unico automezzo del piccolo imprenditore, resta il fatto che creditori come banche (leasing) o il fisco tramite fermo trovano vie per bloccare l’uso dei mezzi. Uno scenario tipico: Equitalia (AER) iscrive fermi su tutti i furgoni per cartelle non pagate; la ditta non può più circolare legalmente e deve fermarsi finché non trova un accordo o paga almeno in parte i debiti. Per questo è cruciale prevenire tali azioni o reagire prontamente con richieste di sospensione e piani di rientro.

Pignoramento immobiliare

Il pignoramento immobiliare riguarda i beni immobili intestati al debitore: nel caso di una ditta di corrieri potrebbe trattarsi del magazzino o capannone di proprietà, dell’ufficio, oppure – se il debitore è un imprenditore individuale – della casa di abitazione o altri immobili personali. I creditori più interessati agli immobili sono di solito le banche (mutui ipotecari) e l’erario (in caso di debiti fiscali ingenti), oltre a fornitori o altri creditori con crediti alti.

La procedura per i creditori privati è la seguente: ottenuto il titolo esecutivo e decorso il precetto, il creditore notifica un atto di pignoramento immobiliare contenente tutti i dati catastali del bene, l’ingiunzione a astenersi da atti dispositivi, e lo trascrive nei registri immobiliari. Da quel momento l’immobile è “bloccato” e si apre un procedimento di esecuzione immobiliare presso il tribunale competente. Segue la fase di vendita all’asta: il tribunale nominerà un perito stimatore, fisserà l’importo base, e indire le aste. Il debitore può perdere la proprietà dell’immobile una volta aggiudicato. Durante la procedura, ha la possibilità di evitare la vendita pagando il dovuto (fino a qualche giorno prima dell’asta) o chiedendo la conversione del pignoramento (come per i mobili, ma in importi maggiori). In alcuni casi può proporre al giudice la riduzione del pignoramento se l’immobile vale molto più del debito: ad esempio, se gli immobili pignorati sono tanti e pochi basterebbero a coprire il credito, può chiedere di liberarne alcuni.

Per i creditori pubblici (AER), il meccanismo è simile ma con le restrizioni già citate: l’abitazione principale del debitore, se posseduta come prima casa (non lusso) e unico immobile, non è espropriabile da AER in base all’art. 76 DPR 602/1973 introdotto nel 2013. Rimane però possibile l’ipoteca, e resta esproprabile se il debito supera €120.000 e il bene non è prima casa o è di lusso. Diversamente, AER può procedere su capannoni, terreni, seconde case, ecc., con modalità simili al privato (ingiunzione e poi vendita).

Dal lato del debitore, se il magazzino della ditta viene pignorato, c’è poco da fare se non partecipare attivamente alla procedura magari per guadagnare tempo (ad esempio chiedendo al giudice una proroga se c’è trattativa in corso con il creditore, oppure evidenziando vizi nella perizia). Anche qui, come difesa estrema, c’è l’opposizione all’esecuzione per motivi di merito (se ad esempio il debito era già pagato o mai dovuto) e l’opposizione agli atti per vizi formali (es: notifica, irregolarità nell’atto di pignoramento). Ma queste sono eccezioni.

Una possibilità da considerare è l’utilizzo delle procedure concorsuali per sospendere le esecuzioni: se il debitore deposita una domanda di concordato preventivo o di ristrutturazione del debito, la legge prevede un automatic stay (blocco delle azioni esecutive) dal momento in cui viene pubblicato il ricorso. Quindi, ad esempio, se il corriere proprietario del magazzino presenta domanda di concordato, la procedura esecutiva immobiliare in corso viene sospesa (art. 54 CCII). Questo può servire per evitare la vendita all’asta e includere invece l’immobile in un piano di ristrutturazione eventualmente vendendolo in modo più controllato o offrendo una percentuale ai creditori. Ovviamente, non è una “bacchetta magica”: occorre che la procedura concorsuale sia poi accettata e portata avanti seriamente, altrimenti alla successiva revoca del concordato i creditori potranno riprendere le esecuzioni.

In sintesi, il pignoramento immobiliare è l’azione più incisiva sui beni d’impresa e personali. Per difendersi, il debitore deve agire prima che il processo arrivi a conclusione: trattare con il creditore (ad esempio vendere privatamente l’immobile e pagarne il credito, evitando l’asta che di solito svaluta il bene), oppure rifugiarsi sotto una procedura concorsuale. È importante anche qui evitare errori: tentare di vendere l’immobile dopo il pignoramento è inutile e illecito (sarebbe nullo per violazione dell’ordine del giudice di astenersi dagli atti dispositivi e potrebbe configurare reato di sottrazione di cose pignorate).

Pignoramento presso terzi (crediti verso clienti, conti correnti)

Un’altra forma di esecuzione molto utilizzata contro imprese e lavoratori autonomi è il pignoramento presso terzi. Consiste nel colpire non un bene in possesso del debitore, ma un credito che il debitore vanta verso un terzo. Nel concreto, le due forme tipiche sono: pignoramento del conto corrente presso la banca, e pignoramento dei crediti commerciali presso un cliente o committente.

  • Pignoramento del conto corrente: il creditore notifica l’atto di pignoramento alla banca dove l’azienda ha il conto, imponendo alla banca di vincolare tutte le somme presenti e quelle che vi affluiranno fino a concorrenza del credito. La banca diventa “terzo pignorato” e deve dichiarare l’importo disponibile. Da quel momento, il correntista non può più operare su quelle somme (sono congelate). Dopo la dichiarazione della banca, il giudice emette un’ordinanza di assegnazione trasferendo i soldi al creditore (se ci sono). Per un corriere, trovarsi il conto bloccato può paralizzare incassi e pagamenti, quindi è un rischio grave. Anche i creditori pubblici usano questa leva, con la procedura speciale ex art. 72-bis DPR 602/73: l’atto di pignoramento viene notificato alla banca e diventa esecutivo in 60 giorni, dopodiché AER può direttamente prelevare le somme. Occorre ricordare che per i conti intestati a persone fisiche esistono limiti di impignorabilità relativi a stipendio o pensione accreditati: la legge (art. 545 c.p.c.) tutela una parte dei crediti da lavoro versati in conto, ma nel caso di un imprenditore individuale i versamenti sul conto spesso non sono stipendi ma pagamenti di clienti, quindi pignorabili integralmente. Inoltre, se l’imprenditore è una società, tali limiti non si applicano affatto.
  • Pignoramento di crediti verso clienti: un corriere vanta crediti verso altre aziende o privati per i servizi di consegna effettuati. Un creditore astuto può notificare il pignoramento ai principali committenti del corriere, ingiungendo loro di non pagare più il corriere ma di tenere le somme a disposizione dell’esecuzione. Così, ad esempio, una cooperativa di trasporto indebitata potrebbe vedersi pignorare i crediti verso l’appaltatore per cui effettua le consegne: quell’appaltatore (terzo pignorato) non le verserà più i corrispettivi, ma attenderà l’ordine del giudice per eventualmente girarli al creditore procedente. Questo tipo di pignoramento è molto efficace perché intercetta i flussi in entrata, soffocando la liquidità dell’impresa debitrice. Per il creditore è relativamente semplice, specie se conosce i debitori del suo debitore.

Altre forme di pignoramento presso terzi includono il pignoramento dello stipendio o pensione (se il debitore è una persona fisica che ha tali entrate) e il pignoramento di altre entrate periodiche (fitto di un immobile, indennizzi, ecc.). Nel contesto di un corriere autonomo, potrebbe rilevare il pignoramento di una eventuale pensione di ex INPS (ma se ancora in attività, non c’è pensione; tuttavia, se un ex imprenditore ha cessato e ha solo pensione, anche quella è aggredibile nei limiti di legge: 1/5 generalmente).

Come difendersi? Il pignoramento presso terzi spesso colpisce improvvisamente. Per il conto corrente, è utile avere un monitoring continuo: se si viene a sapere di decreti ingiuntivi o cartelle esattoriali, considerare di spostare temporaneamente liquidità su conti non intestati al soggetto a rischio (purché sia lecito e non un atto in frode ai creditori). Una volta notificato il pignoramento, qualsiasi movimento può essere considerato illecito. Si può tentare un accordo col creditore per sbloccare almeno parzialmente le somme (ad esempio, concordare che alcune entrate future non saranno toccate se si versa una parte del debito). Sul fronte legale, l’opposizione ex art. 615 c.p.c. è ammissibile solo se si contesta il diritto del creditore (es: il debito non esiste o è già pagato); se il problema è la sopravvivenza dell’impresa, una strada è chiedere al giudice dell’esecuzione una sorta di assegnazione parziale che lasci al debitore una quota per proseguire l’attività, ma va motivata con l’interesse di tutti i creditori (ad esempio: se si distrugge l’azienda nessuno otterrà più nulla). Ciò raramente viene concesso a favore di un debitore commerciale, è più comune per persone fisiche (ad es. lasciargli una parte di stipendio).

Va segnalato che, se l’impresa viene ammessa a concordato preventivo o liquidazione giudiziale, i pignoramenti presso terzi in corso non ancora conclusi perdono efficacia (art. 150 CCII per la liquidazione). Quindi un debitore che vede pignorati i propri crediti potrebbe, con l’apertura di una procedura concorsuale, far cadere quei pignoramenti e riportare i crediti nella massa attiva da gestire concorsualmente. È una mossa di ultima istanza, ma può salvare l’operatività.

In sintesi, il pignoramento presso terzi è uno strumento potente e subdolo per i creditori: colpisce l’impresa dalle sue entrate. Prevenzione, monitoraggio e rapidità di reazione (riconciliare con i creditori prima che incassino tutto) sono cruciali. Spesso un imprenditore scopre di avere il conto bloccato quando ormai è tardi; per questo, mantenere un dialogo con i creditori ed eventualmente giocare d’anticipo con una procedura concorsuale può evitare lo scenario peggiore.

Limiti e tutele nel pignoramento: beni impignorabili e altri vincoli

Abbiamo accennato ad alcune limitazioni legali alla pignorabilità di certi beni, riassumiamole e ampliamole qui, perché sono di grande rilevanza per difendere il minimo vitale del debitore.

Innanzitutto c’è la distinzione tra impignorabilità assoluta e impignorabilità relativa. Alcuni beni per legge non possono mai essere pignorati da nessun creditore (impignorabilità assoluta): ad esempio, biancheria, letti e tavoli da pranzo, elettrodomestici indispensabili, oggetti di culto, animali da affezione, e in generale i beni elencati nell’art. 514 c.p.c. (questi riguardano soprattutto la persona fisica, nell’ambito domestico). Per un imprenditore, tali beni potrebbero non essere rilevanti, ma si pensi ad esempio all’auto utilizzata per motivi personali: se non è strumentale all’attività, è pignorabile (non rientra nell’elenco). Invece, un fedele che abbia un’icona sacra o un oggetto di culto, quello non è pignorabile.

Poi c’è l’impignorabilità relativa, che riguarda i beni indispensabili all’attività professionale (già vista con l’art. 515 c.p.c.). Questa è relativa perché quei beni possono essere pignorati ma con limiti (1/5) e solo se non ci sono altri beni sufficienti . In sostanza, il legislatore cerca un bilanciamento tra credito e sopravvivenza economica del debitore. Questa norma, come visto, non tutela le società e le imprese capitalistiche. Tuttavia, attenzione: una giurisprudenza recente tende a leggere l’art. 515 in chiave sostanziale, guardando alla prevalenza del lavoro sul capitale. Ciò significa che anche un’impresa individuale con più veicoli, se di fatto il valore dei mezzi supera di molto il lavoro personale, potrebbe non beneficiare del limite, essendo un’attività “capital intensive”. Viceversa, un professionista con attrezzatura minima sì. Nel caso dei corrieri monoveicolari, come detto, è pacifico il principio: se c’è un solo automezzo, è de facto impignorabile .

Ulteriore tutela riguarda i beni di terzi in possesso del debitore. Se l’ufficiale giudiziario trova beni che non appartengono al debitore (ad esempio un macchinario noleggiato, o un container appartenente a un cliente), in teoria non dovrebbe pignorarli. Se li pignora per errore, il terzo proprietario può fare opposizione (accennata prima). Questo suggerisce che un imprenditore in difficoltà potrebbe formalizzare alcuni rapporti per proteggere beni: ad esempio, usare contratti di noleggio o leasing per i mezzi, cosicché formalmente il proprietario è la società di leasing (il che rende più complesso ai creditori pignorarli, anche se il leasing poi può essere risolto per inadempimento). Oppure, depositare temporaneamente merci o attrezzature presso terzi fiduciari (con contratti di deposito), in modo che non si trovino nei locali dell’azienda in caso di accesso dell’ufficiale. Queste però sono strategie ai limiti della liceità e da valutare con legali per non incorrere in profili di frode.

C’è poi la protezione dell’abitazione principale contro il fisco, già citata: Equitalia non può pignorare la casa dove il debitore risiede anagraficamente, se è l’unica e non di lusso (art. 76 DPR 602/73). Ciò vale per debitori persone fisiche. I privati invece possono farlo (la norma limita solo l’agente pubblico). Dunque un corriere che abbia debiti fiscali ma una grossa esposizione verso una banca con mutuo insoluto sulla casa, potrebbe comunque subire l’esecuzione da parte della banca (che peraltro è ipotecaria). La ratio del legislatore qui è stata evitare che per debiti esattoriali si mettano famiglie in mezzo a una strada, salvo grossi debiti. Attenzione però: se il debitore persona fisica ha due immobili, anche se uno è la residenza, quell’immobile non è più protetto (poiché non è l’unico di proprietà). E la protezione non si applica se l’immobile è accatastato A/8 o A/9 (ville e castelli).

Infine, un cenno alle soglie di pignorabilità di stipendi/pensioni: per i lavoratori dipendenti o pensionati il codice prevede che non si possa pignorare oltre 1/5 del netto mensile. Questo potrebbe riguardare un ex imprenditore che, fallita l’azienda, sia tornato dipendente o percepisca pensione. Nel contesto del nostro corriere imprenditore, finché è tale, questa regola non incide (non ha stipendio, ha reddito d’impresa). Ma se il corriere è anche dipendente di qualcun altro (es. socio-lavoratore di cooperativa con busta paga), quella busta paga può essere aggredita solo in parte (20% per crediti ordinari, percentuali minori per alimenti, etc., e per il fisco varie fasce). Per completezza, anche sul conto corrente dove affluiscono stipendi/pensioni, il codice protegge l’ultimo accredito mensile entro il triplo dell’assegno sociale (circa €1.500): se un pensionato ha €1.000 di pensione, e quel mese riceve l’accredito su conto, fino a €1.500 sono impignorabili su quel conto; il resto sì. Ma di nuovo, per un lavoratore autonomo che incassa fatture, questa protezione non opera.

Riassumendo le principali impignorabilità rilevanti per un corriere debitore:

  • Beni indispensabili al lavoro (per persone fisiche non società): pignorabili solo 1/5 e se c’è altro insufficiente; l’unico strumento di lavoro è tendenzialmente salvo .
  • Abitazione principale (solo per esattore fiscale, non per creditori privati): non espropriabile da AER se unica casa e residenza.
  • Beni di modico valore ad uso personale/familiare: impignorabili (letto, frigo, abiti, ecc. – raramente coinvolge beni d’impresa se non in un caso di sovrapposizione casa-ufficio).
  • Stipendi e simili: 1/5 soltanto (non applicabile a reddito d’impresa).
  • Veicoli speciali: i mezzi attrezzati per portatori di handicap o usi emergenza non pignorabili (casistiche particolari, improbabili qui).

Conoscere questi limiti può aiutare il debitore a capire cosa sicuramente non potranno togliergli e su cosa invece è esposto. Ad esempio, sa che l’automobile personale usata dalla famiglia (non strumentale all’attività) è pignorabile, mentre il furgone del lavoro unico forse no; sa che il suo computer se indispensabile può tenerselo con limite 4/5, e così via. Ovviamente queste norme non impediscono che i creditori provino comunque a pignorare, ma offrono basi legali per reagire e far annullare gli atti esecutivi illegittimi.

Forme giuridiche delle imprese di trasporto e impatto sui debiti

Un elemento cruciale nella valutazione dei rischi patrimoniali connessi ai debiti è la forma giuridica con cui è esercitata l’attività di corriere. In Italia, il trasporto merci conto terzi può essere svolto sia come ditta individuale (impresa artigiana o commerciale individuale iscritta all’albo autotrasportatori), sia in forma societaria – società di persone (S.n.c., S.a.s.) o società di capitali (tipicamente S.r.l. nel caso di piccoli medi corrieri, ma anche S.p.A. per aziende più grandi) – sia attraverso cooperative di lavoro (molto diffuse nel settore corrieri, dove gli autisti spesso sono soci di cooperative). Ogni forma giuridica comporta regimi di responsabilità patrimoniale diversi e un differente approccio nelle procedure concorsuali. Analizziamo le principali differenze dal punto di vista del debitore, ovvero quali beni e soggetti rispondono dei debiti contratti nell’esercizio dell’attività.

Ditta individuale (impresa individuale di autotrasporto)

La ditta individuale non ha personalità giuridica distinta dal titolare. Ciò significa che il titolare dell’impresa di trasporto risponde dei debiti con tutto il suo patrimonio personale (principio della responsabilità patrimoniale universale ex art. 2740 c.c.). Non c’è distinzione netta tra “beni dell’azienda” e “beni personali” ai fini del creditore, sebbene per prassi si distinguano i conti e si tengano registri separati. In caso di insolvenza, il rischio principale per il titolare è di perdere i propri beni personali**: la casa di abitazione, l’automobile privata, i risparmi sul conto corrente personale, ecc., possono essere pignorati dai creditori aziendali.

Va detto che il titolare rimane comunque imprenditore commerciale se esercita l’attività di autotrasporto in modo organizzato e sopra certe soglie, quindi soggetto alle procedure concorsuali come fallimento (fino al 2022) o liquidazione giudiziale. In passato la legge escludeva dal fallimento i piccoli imprenditori sotto soglie di fatturato/attivo/debiti (le cosiddette soglie di non fallibilità). Il nuovo Codice della Crisi mantiene criteri simili: se l’impresa individuale nei tre anni precedenti non ha superato almeno uno dei parametri – attivo di €300.000, ricavi €200.000, debiti €500.000 – non è assoggettabile a liquidazione giudiziale . Quindi molte ditte individuali di corrieri, essendo micro-imprese, rientrano nella categoria dei soggetti non fallibili. Ciò comporta che, in caso di sovraindebitamento, non potranno subire un fallimento ma potranno accedere alle procedure di composizione della crisi (piani del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) previste per loro. Questo aspetto lo approfondiremo parlando di procedure, ma è importante: il titolare di una ditta individuale con debiti potrebbe avere la chance di un piano di ristrutturazione del debito anche se non “fallisce” formalmente.

Dal lato responsabilità personale, non c’è scudo: il creditore sociale e quello personale sono la stessa figura (il titolare). Se Mario Rossi – trasportatore individuale – ha un debito bancario per il suo mutuo casa e un debito verso fornitore carburante, entrambi possono aggredire indifferentemente i suoi beni. Invece, se Mario avesse una S.r.l., il mutuo casa (personale) riguarderebbe Mario, il debito carburante la S.r.l., e in teoria sarebbero separati (salvo garanzie). Questa mancanza di separazione può essere a volte un vantaggio in sovraindebitamento: il titolare persona fisica sommerso dai debiti può includerli tutti insieme in un’unica procedura (piano del consumatore o liquidazione) e liberarsene, cosa che un socio di S.r.l. non potrebbe fare per i debiti della società (dovrebbe far fallire la società e lui rispondere solo delle garanzie).

Riassumendo, ditta individuale significa: – Patrimonio personale a rischio per i debiti dell’impresa (illimitatamente). – Accesso alle procedure da sovraindebitamento se “piccolo” (niente fallimento se sottosoglia) . – In caso di insolvenza grave sopra soglie, possibile liquidazione giudiziale (equiparata al vecchio fallimento), con effetti anche personali (esdebitazione post-fallimento per l’imprenditore). – Meritevolezza del debitore: il titolare persona fisica dovrà dimostrare buona fede per ottenere poi la liberazione dai debiti (es. non aver commesso atti dolosi verso i creditori) .

Società di persone (S.n.c., S.a.s.)

Le società di persone (come la Società in nome collettivo – S.n.c. – e la Società in accomandita semplice – S.a.s.) hanno una particolarità: i soci rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali (art. 2291 c.c. per S.n.c.; per S.a.s., i soci accomandatari illimitatamente, mentre gli accomandanti sono limitati al conferimento ma con divieto di gestione). In pratica, una S.n.c. di autotrasporti è un soggetto giuridico, ma i creditori possono rifarsi anche sul patrimonio personale dei soci, se quello sociale non è sufficiente. Questa responsabilità è sussidiaria (deve escutersi prima la società, salvo patto contrario) ma di fatto rende i soci come co-debitori di ultima istanza. Quindi, dal punto di vista del rischio, una S.n.c. è simile a una ditta individuale: il patrimonio personale dei soci è coinvolto. Un fornitore non pagato della S.n.c. può chiedere decreto ingiuntivo contro la società e contemporaneamente contro i soci (il decreto può essere emesso cumulativamente); se la società non paga, i soci sono tenuti a pagare con i propri beni.

Questa situazione viene talvolta percepita erroneamente: alcune piccole imprese usano la S.n.c. credendo di creare una “società”, ma poi scoprono che i soci sono esposti come persone fisiche. Qual è allora la differenza rispetto alla ditta individuale? Sta nella procedura concorsuale: la società di persone è soggetta a fallimento autonomo e, per riflesso, i soci illimitatamente responsabili diventano fallibili anch’essi (nel vecchio sistema c’era l’istituto del fallimento esteso ai soci illimitatamente responsabili, ora sostanzialmente analogo con la liquidazione giudiziale della società e dei soci). Ad esempio, se una S.n.c. viene messa in liquidazione giudiziale, automaticamente anche i singoli soci subiscono la procedura sui loro patrimoni. Questo aumenta la complessità della gestione: c’è un concursus che coinvolge più patrimoni (quello sociale e quelli personali). In sede di sovraindebitamento, il Codice della Crisi oggi permette ai soci illimitatamente responsabili di accedere anch’essi alle procedure minori (sono considerati “soggetti non fallibili” se la società è sottosoglia) , eventualmente congiuntamente. Ad esempio, soci di una S.n.c. molto piccola potrebbero presentare un unico piano familiare di sovraindebitamento se conviventi e con debiti comuni . Sono dettagli, ma rilevano in ottica di “soluzioni”.

In pratica: – S.n.c.: tutti i soci rispondono dei debiti sociali illimitatamente. Creditori possono attaccare soci dopo la società . In caso di insolvenza seria, falliscono società e soci. – S.a.s.: solo i soci accomandatari hanno responsabilità illimitata; gli accomandanti rischiano al massimo il capitale versato (ma se ingeriscono nell’amministrazione perdono anche loro la limitazione). Quindi per una S.a.s. di trasporto, di solito c’è un accomandatario (che spesso è amministratore, esposto) e accomandanti finanziatori (non esposti oltre la quota). – Entrambe le forme: non c’è distinzione netta come in capitali, la compagine sociale garantisce i debiti. Di solito, per ridurre i rischi, si preferisce costituire S.r.l. nel settore trasporti, proprio per limitare la responsabilità: oggi S.n.c. o S.a.s. sono scelte solo per semplificazione o fiducia tra pochi soci familiari, ma espongono il patrimonio personale.

Dunque, se Tizio e Caio gestiscono una S.n.c. trasporti e accumulano debiti, Tizio e Caio ne rispondono personalmente. I creditori potrebbero iscrivere ipoteca sulle loro case personali grazie a sentenze contro di loro, pignorare i loro conti personali, ecc.

Un punto importante: la cancellazione della società di persone dal Registro Imprese (in caso di scioglimento) non libera i soci dai debiti sociali. L’art. 2495 c.c. prevede anzi che, estinta la società, i creditori insoddisfatti possano agire contro i soci illimitatamente responsabili entro un anno . Questo significa che chiude la società ma i debiti “seguono” i soci. Anche oltre l’anno, per la Cassazione recente (SU 6070/2013), se spuntano attivi non liquidati, i creditori possono ancora colpire i soci. Quindi “sparire” chiudendo una S.n.c. non è affatto una protezione – a differenza di certe S.r.l. dove se non ci sono attivi e dopo un anno i creditori restano a mani vuote (salvo mala gestio).

Società di capitali (S.r.l., S.p.A.)

Le società di capitali, come la Società a responsabilità limitata (S.r.l.) – la forma più comune per piccole medie imprese – e la Società per azioni (S.p.A.), hanno personalità giuridica distinta e soprattutto un regime di responsabilità limitata: la società risponde con il suo patrimonio, i soci di norma non rispondono dei debiti sociali oltre quanto conferito nel capitale (art. 2462 c.c. per S.r.l., 2325 c.c. per S.p.A.). Questo è un vantaggio chiave: i creditori della società non possono aggredire direttamente i beni personali dei soci o degli amministratori per il solo fatto del debito sociale. Se la società di trasporto Srl Trasporti XYZ fallisce con milioni di debiti, i soci perderanno al più il capitale investito (quote azionarie diventate senza valore), ma non rischiano la casa o i risparmi personali – a meno che, attenzione, avessero prestato garanzie personali (fideiussioni) o commesso irregolarità specifiche. Su queste eccezioni torneremo. Intanto, il principio base è: separazione patrimoniale perfetta tra socio e società .

Dal punto di vista delle procedure concorsuali, la società di capitali è sempre assoggettabile a liquidazione giudiziale in caso di insolvenza, indipendentemente da soglie (non esiste per S.r.l. una soglia di esenzione come per piccoli imprenditori; formalmente la legge pre-CCII parlava di “piccolo imprenditore” esente, ma una S.r.l. anche piccola poteva fallire, e lo stesso vale ora). Quindi, un corriere organizzato come S.r.l. anche con fatturato modesto può essere portato in tribunale per fallimento se insolvente. I soci però non falliscono personalmente assieme alla società (tranne nel caso particolare di socio illimitatamente responsabile di S.a.p.a., ma è raro). Quindi c’è l’enorme vantaggio che, se tutto va male, la S.r.l. fallisce, il curatore liquida i suoi beni e poi – a fine procedura – i debiti residui non soddisfatti si estinguono in capo alla società (che cessa di esistere); i creditori non potranno pretendere altro, nemmeno dai soci. I soci, dal canto loro, non hanno bisogno di essere “esdebitati” perché formalmente non erano debitori (tranne per garanzie o altri titoli diretti). Capite bene perché molti imprenditori scelgono la S.r.l.: è un “contenitore” che in caso estremo può implodere senza trascinare giù la famiglia del proprietario.

Ci sono però casi di responsabilità personale anche in ambiente S.r.l./S.p.A., che costituiscono delle eccezioni:
Fideiussioni e coobbligazioni personali: spessissimo le banche o i locatori richiedono al socio di maggioranza o all’amministratore una fideiussione personale per concedere credito alla società. In tali casi, se la società non paga il debito, la banca potrà escutere direttamente il garante (il socio) e fargli pagare coi suoi beni. Questo avviene al di fuori della responsabilità da codice civile, è un contratto volontario: il socio ha “rinunciato” di fatto alla sua limitazione per quel debito specifico. Idem per le garanzie reali personali (es: ipoteca su casa del socio a favore di debito sociale). – Responsabilità per mala gestio: gli amministratori di S.r.l. possono essere chiamati a rispondere dei danni causati alla società o ai creditori in caso di gestione non conforme ai doveri. Ad esempio, se gli amministratori aggravano il dissesto violando l’obbligo di preservare il patrimonio sociale (art. 2486 c.c.), il curatore fallimentare potrà promuovere un’azione di responsabilità chiedendo loro di risarcire il deficit . Questo è un indennizzo e non un pagamento diretto dei debiti sociali, ma l’effetto è simile: il loro patrimonio personale viene aggredito per soddisfare (indirettamente) i creditori sociali. Le recenti riforme (art. 378 CCII) hanno introdotto presunzioni di danno per facilitare queste azioni, ad es. calcolando il danno come differenza tra attivo e passivo se la gestione è proseguita oltre la soglia di scioglimento . Inoltre, ci sono azioni specifiche dei creditori sociali contro amministratori se il patrimonio è insufficiente per colpa di questi (azione ex art. 2394 c.c. per S.p.A., estesa a S.r.l.). Dunque, se i manager/soci di una S.r.l. di trasporto hanno, poniamo, dissipato beni dell’azienda invece di pagare i debiti, potrebbero essere personalmente citati a risponderne. – Responsabilità fiscale dei liquidatori e amministratori: qui torniamo all’art. 36 DPR 602/1973 già citato. In caso di liquidazione della società, il liquidatore (o gli amministratori in mancanza) è personalmente responsabile del pagamento delle imposte dovute se, con le attività della liquidazione, non soddisfa i crediti tributari e invece paga altri creditori o distribuisce beni ai soci . La norma copre le imposte sui redditi e, per giurisprudenza, si estende a IVA e altri tributi erariali. La Cassazione a Sezioni Unite nel 2023 (sent. 32790/2023) ha chiarito che questa responsabilità del liquidatore ha natura civilistica e non è affatto automatica: va accertata con atto motivato dall’Amministrazione finanziaria, contestando al liquidatore la violazione (aver pagato altri prima del Fisco) . Solo a seguito di tale accertamento il liquidatore diviene obbligato al pagamento . In pratica: se una S.r.l. chiude lasciando debiti fiscali, il Fisco può inseguire il liquidatore (o l’amministratore che ha sciolto la società senza liquidatore) fino a concorrenza dell’importo che sarebbe stato pagabile con le risorse dissipate altrove . Anche i soci che hanno ricevuto distribuzioni negli ultimi due anni prima della liquidazione rispondono fino a concorrenza di quanto ricevuto . Questa è una eccezione importante alla separazione patrimoniale: se i soci si sono “portati a casa” soldi dalla società prima di chiuderla lasciando imposte insolute, possono essere chiamati a restituire quei soldi al Fisco . La Cassazione (SU 2023 cit.) ha pure affermato che il Fisco deve notificare un avviso di accertamento al socio ex art. 36 co.3 per tale responsabilità, non basta la cartella . Ad ogni modo, gli amministratori/liquidatori diligenti che pagano prima le tasse e poi il resto non avranno problemi; chi invece fa “giochetti” come chiudere la S.r.l. e spartirsi i beni lasciando debiti tributari, sarà inseguito personalmente . – Reati fiscali o contributivi: se l’amministratore commette reati (tipo dichiarazione fraudolenta, omesso versamento IVA oltre soglia, omesso versamento contributi oltre soglia), può subire sanzioni penali e sequestri per equivalente sul suo patrimonio. Quindi un altro canale di rischio personale è la sfera penale: es. omettere di versare IVA oltre 250k euro annui è reato, e se condannato, l’amministratore può vedersi confiscare beni propri per il valore dell’IVA non versata (profitto del reato). Questo non rende i soci “debitori” verso i fornitori, ma comunque li colpisce economicamente. È più un tema di conseguenze penali che civili, ma va menzionato.

In sintesi, la S.r.l. o S.p.A. offre certamente una protezione del patrimonio personale dei soci molto più forte rispetto alle forme precedenti. Il rovescio della medaglia è che spesso i creditori – consapevoli di ciò – chiedono garanzie personali, e in loro assenza, saranno più rigidi nel concedere credito. Inoltre, la gestione societaria comporta obblighi formali: se gli amministratori non li rispettano e causano danni o violano norme, la protezione può cadere in sede giudiziaria. La giurisprudenza comunque è chiara: non esiste nel nostro ordinamento una norma che faccia automaticamente subentrare gli amministratori nei debiti sociali (a differenza di altri Paesi); quindi a meno di casi particolari, i creditori non possono chiedere a un amministratore o socio di S.r.l. di pagare i debiti aziendali . Ciò che possono fare è attivare le leve su esposte (garanzie, azioni di responsabilità, ecc.). Un socio amministratore prudente terrà separati i propri beni, eviterà commistioni (che potrebbero far ipotizzare fenomeni di direzione unitaria e confusione, rischi per azioni revocatorie), e così se la sua società di trasporto dovesse fallire, potrà ripartire senza essere rovinato personalmente (salvo appunto garanzie e reati).

Cooperative di trasporto

Una menzione specifica va alle cooperative, molto presenti nel settore corrieri (basti pensare alle cooperative di facchinaggio, logistica e trasporto in conto terzi). Le cooperative sono società a tutti gli effetti, dotate di personalità giuridica. La maggior parte sono cooperative a responsabilità limitata: per legge, salvo diversa previsione statutaria, i soci cooperatori non assumono responsabilità personale per le obbligazioni sociali (art. 2518 c.c.). Dunque, funziona come per le S.r.l.: i soci rischiano solo la quota conferita, e i creditori dovrebbero soddisfarsi sul patrimonio sociale. Esistono peraltro le cooperative a responsabilità illimitata (figura rara e obsoleta) e possibili patti mutualistici che richiedono contributi ulteriori ai soci, ma di norma non ci sono garanzie personali automatiche.

Le cooperative hanno però un regime particolare in caso di insolvenza: molte di esse (specie le cooperative sociali o quelle piccole) non falliscono in tribunale bensì sono soggette alla liquidazione coatta amministrativa (LCA) disposta dall’autorità governativa (Ministero dello Sviluppo Economico) ex art. 2545-terdecies c.c. . In pratica, in caso di insolvenza di una cooperativa, il Ministero può revocarne l’attività e nominare un commissario liquidatore (procedura extra-giudiziaria). Per alcune categorie (cooperative sociali considerate “imprese sociali” ex D.lgs. 112/2017), la legge esclude proprio il fallimento: c’è solo LCA . Ciò non significa che i creditori non vengano soddisfatti, ma lo sono in un contesto amministrativo. Le cooperative che svolgono attività commerciale ordinaria (es. cooperative di autotrasportatori non “sociali” in senso stretto) possono comunque essere soggette anche a liquidazione giudiziale se insolventi, benché spesso l’autorità vigilante preferisca la LCA. La giurisprudenza recente (Cass. 32992/2023) ha confermato che per le cooperative sociali c’è solo LCA, non fallimento .

Per un socio di cooperativa di trasporto indebitata, cosa accade? Se la coop finisce in LCA o fallimento, il socio perde la quota (come un azionista) e non risponde oltre a quella (salvo fosse socio illimitatamente responsabile, ipotesi remota). Tuttavia, può darsi che in alcune cooperative i soci abbiano dovuto firmare garanzie personali verso banche finanziatrici (non raro: es. la cooperativa fa leasing di camion e i soci autisti garanti pro-quota). In tal caso vale il discorso delle fideiussioni: il creditore potrà agire sul socio. Inoltre, la cooperativa, essendo società, sottostà a regole simili alle S.r.l. per gli amministratori: un amministratore di coop che paga male i debiti o viola obblighi può avere responsabilità per danni o ex art. 36 DPR 602/73 se liquidatore. Non c’è però il meccanismo di estensione ai soci: il socio di cooperativa non viene trascinato in procedura (tranne se ha ruoli di gestione con colpa e viene citato in responsabilità).

Una peculiarità cooperativa: spesso i soci lavoratori hanno crediti di lavoro verso la coop (stipendi, ristorni) e sono anch’essi creditori privilegiati. Quindi, se la cooperativa va in insolvenza, i soci-lavoratori si troveranno doppiamente colpiti: perdono la remunerazione e la quota capitale. Lo Stato offre qualche tutela tramite ammortizzatori sociali (es. mobilità) e il già citato Fondo di garanzia INPS per TFR.

In sintesi sulle cooperative: – Responsabilità dei soci: limitata alla quota, tranne rarissimi casi di responsabilità illimitata prevista dallo statuto . – Procedura concorsuale: spesso LCA ministeriale anziché fallimento. Comunque creditori sono soddisfatti con par condicio. Se la coop è molto piccola e “non fallibile”, può accedere anche al concordato minore (il CCII non esclude cooperative dal sovraindebitamento, purché non soggette a fallimento). – Riflessi sui soci amministratori: possibili azioni per cattiva gestione analoghe a quelle contro amministratori di S.r.l., comprese quelle fiscali ex art.36 (difatti la giurisprudenza equipara la coop a società di capitali per l’applicazione di quelle norme, vedi Cass. 8811/2021 caso coop) .

Tabella comparativa – Forma giuridica vs responsabilità e procedure:

Forma giuridicaResponsabilità per i debitiSoggezione a fallimento/procedure
Ditta individualeIllimitata: imprenditore risponde con tutti i beni propri.Fallibile se supera soglie (attivo >300k, ricavi >200k, debiti >500k) . Sotto soglie: accesso a procedure da sovraindebitamento (piano consumatore, liquidazione controllata, etc.).
S.n.c.Illimitata per tutti i soci (solidale e sussidiaria) . Soci perseguibili per debiti sociali con patrimonio personale.Sempre fallibile se società è insolvente (anche sottosoglia, in passato c’era dibattito ma tendenzialmente sì). Liquidazione giudiziale estesa automaticamente ai soci illimitatamente responsabili. Società estinta: creditori agiscono vs soci entro 1 anno .
S.a.s.Illimitata per soci accomandatari; limitata alla quota per accomandanti (se non ingeriscono).Come S.n.c.: società fallisce se insolvente; accomandatari soggetti a procedura estesa, accomandanti no (salvo perdita status per ingerenza).
S.r.l. / S.p.A.Limitata: società risponde solo col patrimonio sociale . Soci non obbligati a debiti (salvo garanzie date). Amministratori e liquidatori responsabili solo in casi specifici (danni, violazioni di legge) .Sempre soggetta a liquidazione giudiziale se insolvente (nessuna esenzione per dimensione minima). Procedure concorsuali ordinarie (concordato, ecc.). Soci non coinvolti personalmente nella procedura (non “falliscono”). Debiti residui dopo liquidazione restano insoddisfatti e inesigibili (società estinta).
Cooperativa (ord.)Limitata (di norma): soci non rispondono personalmente . Solo patrimonio sociale impegnato. Eccezioni se statuto prevede altrimenti (rare).Insolvenza di regola trattata con liquidazione coatta amministrativa (specie per coop sociali) . Possibile fallimento se svolge attività commerciale non esclusa. Soci non coinvolti salvo essere anche creditori (soci lavoratori).
Cooperativa (soc. ill.)(Rare) Se coop a resp. illimitata: soci trattati come S.n.c. (respons. personale illimitata).(Rare) Fallimento e responsabilità soci come S.n.c. (poco diffuse oggi).

Nota: In tutte le forme, i soci e amministratori possono incorrere in responsabilità extracontrattuali (es. atti di frode verso creditori, reati) che li rendono personalmente perseguibili a prescindere dalla forma sociale. Ad esempio, la distrazione di beni da parte dell’amministratore di una S.r.l. fallita può portare a bancarotta fraudolenta con confisca su beni personali, anche se civilmente non era obbligato a quei debiti.

Responsabilità personali di soci e amministratori

Dalla panoramica precedente emerge che, benché le società di capitali offrano scudo patrimoniale, non mancano situazioni in cui soci o amministratori di una ditta di corrieri possano trovarsi a rispondere in proprio dei debiti aziendali. Di seguito approfondiamo i principali scenari di responsabilità personale – contrattuale, civile o anche penale – che un debitore deve conoscere, sia per prevenire i rischi sia per capire come difendersi se chiamato in causa.

Fideiussioni e garanzie personali per debiti aziendali

La fideiussione è probabilmente la fonte più comune di obbligazione personale dei soci/amministratori. Le banche, le società di leasing, i fornitori strategici (es. contratti di fornitura carburante) spesso chiedono ai garanti personali dei debiti della società. Ad esempio, se una S.r.l. di trasporto chiede un finanziamento, la banca vuole la firma di fideiussione dell’amministratore e magari dei suoi familiari. Oppure un contratto di noleggio a lungo termine di veicoli può prevedere l’avallo personale del legale rappresentante. In questi casi, il socio/amministratore diventa coobbligato in solido col debitore principale (la società) verso il creditore: se la società non paga, il creditore può escutere direttamente il fideiussore, senza nemmeno dover tentare prima sulla società (salvo patto di “beneficio di escussione” se previsto, ma di solito non c’è).

Difendersi dalle fideiussioni non è semplice, perché di solito sono contratti validi firmati liberamente. Tuttavia, come accennato, c’è un filone di giurisprudenza che ha riconosciuto la nullità parziale delle fideiussioni bancarie redatte su moduli standard ABI degli anni passati, in quanto contenenti clausole frutto di intesa anticoncorrenziale sanzionata da Banca d’Italia nel 2005. Le Sezioni Unite della Cassazione n. 41994/2021 hanno confermato che tali contratti sono parzialmente nulli: in particolare risultano nulle le clausole che prevedono la sopravvivenza della garanzia nonostante vicende estintive del credito, la rinuncia ai termini dell’art. 1957 c.c., e la “reviviscenza” della garanzia (clausole tipiche 2, 6 e 8 dello schema ABI) . La nullità di queste clausole può indebolire molto la posizione della banca e talora rendere l’intero contratto di garanzia inefficace (se le clausole erano essenziali al consenso). Quindi un amministratore di società di trasporto che abbia firmato fideiussioni omnibus negli anni 2000-2010 dovrebbe farle esaminare da un legale esperto, perché potrebbe opporre la nullità e liberarsi dall’obbligo, come riconosciuto da varie corti di merito sulla scia delle Cassazioni (es. Cass. 13846/2019, Cass. 24044/2019, e poi le SU 2021). Ad esempio, se Tizio ha garantito per la S.r.l. un’apertura di credito con una fideiussione standard ABI, e la S.r.l. fallisce con debito di €100.000 verso la banca, Tizio in sede di giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo della banca può eccepire la nullità delle clausole e ottenere la liberazione, oppure quantomeno contestare l’escussione integrale se la banca ha tardato (la clausola di rinuncia all’art.1957 c.c. era quella che toglieva il termine di 6 mesi per agire contro il fideiussore). In conclusione: la fideiussione rende personalmente debitori, ma esistono strategie legali di difesa (nullità per antitrust, eccezioni formali quali la mancata escussione del debitore principale entro termini, ecc.). È opportuno, se si è garanti, monitorare gli sviluppi giurisprudenziali e far valere ogni vizio possibile.

Oltre alle fideiussioni, altre garanzie personali includono il pegno su titoli di proprietà del socio (impegno di azioni, depositi cauzionali) e le lettere di patronage. Queste ultime, diffuse tra società collegate, sono dichiarazioni d’impegno morale a sostenere la società debitrice: raramente però sono vincolanti come obbligo di pagamento, tranne quando redatte in forma di impegno specifico.

Responsabilità per mala gestio e azioni di responsabilità verso gli amministratori

Gli amministratori di società (di capitali o cooperative) hanno doveri fiduciari e di legge verso la società, i soci e (in alcune circostanze) verso i creditori. Se violano tali doveri e ciò causa un danno (ad esempio aggravano il dissesto, distraggono beni, pagano preferenzialmente taluni a scapito della massa in situazione di insolvenza, etc.), possono essere chiamati a rispondere di mala gestio. Ci sono diverse forme di azione:

  • Azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c. per S.p.A., applicabile alle S.r.l. ex art. 2476 c.c.): viene esercitata dalla società (o dal curatore in caso di fallimento) contro gli amministratori per danni causati alla società stessa. Nel contesto del fallimento, tipicamente è il curatore che agisce in rappresentanza della massa dei creditori con l’azione di cui all’art. 146 l.fall. (oggi trasfuso nel CCII) per ottenere dai vecchi amministratori il risarcimento dei danni da gestione negligente o fraudolenta. Ad esempio, se gli amministratori hanno continuato ad accumulare debiti pur in perdita aggravando il passivo, il curatore può chiedere loro il risarcimento calcolato come incremento del deficit causato dall’inosservanza dell’obbligo di conservare l’integrità del patrimonio sociale (nuovo art. 2486 c.c. comma 3 introdotto dalla riforma, che presuppone danno presunto pari alla differenza tra patrimonio netto alla perdita di capitale e patrimonio netto alla liquidazione) . Questa azione non la propongono i creditori singolarmente, ma beneficia la massa: se vinta, le somme vanno nell’attivo fallimentare e soddisfano i creditori. Tuttavia, indirettamente significa che l’amministratore deve tirar fuori soldi propri per pagare quei debiti sociali (via risarcimento).
  • Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.): quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i crediti, i creditori sociali possono agire contro gli amministratori se il danno deriva dalla violazione di doveri verso la conservazione del patrimonio . Questa azione spetta a creditori individualmente, ma in pratica durante il fallimento viene assorbita dall’azione del curatore. Fuori dal fallimento (es. società non fallita ma incapiente), un fornitore potrebbe citare l’amministratore sostenendo che, a causa della sua mala gestio (ad es. tenuta di contabilità irregolare e distrazione di fondi), il patrimonio è sparito e lui non è stato pagato. Però deve provare specificamente la colpa grave e nesso causale. Non è semplicissimo, ma in giurisprudenza esistono casi di condanna di amministratori su azione ex 2394.
  • Azione contro liquidatori ex art. 2495 c.c.: come detto, se la società viene cancellata e il creditore non è soddisfatto, può nei 12 mesi seguenti far valere il credito verso i soci (limitamente a quanto ricevuto) e i liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi . Questa è un’azione importante: ad esempio, un liquidatore che chiude frettolosamente la società senza pagare un debito e distribuisce magari qualcosa ai soci, può essere chiamato a rispondere. La colpa qui consiste nell’aver dichiarato finita la liquidazione senza aver soddisfatto i creditori pur avendone la possibilità.
  • Revocatorie fallimentari: se l’amministratore-socio ha ricevuto pagamenti o si è “auto-pagato” crediti o ha prelevato utili nei periodi sospetti prima del fallimento, il curatore può fare azione revocatoria per fargli restituire le somme (non è proprio responsabilità per danno, ma effetto simile: deve ridare soldi per riportarli nella massa a vantaggio di tutti). È un rischio in più per soci e amministratori: movimenti di denaro societario a loro favore in tempi di dissesto possono essere revocati fino a 1 anno o 6 mesi prima a seconda dei casi (artt. 164 e segg. CCII).
  • Responsabilità penale con riflessi civili: in caso di reati fallimentari (bancarotta fraudolenta, preferenziale, documentale), l’amministratore risponde penalmente e vi è anche un risvolto risarcitorio verso la procedura (le parti civili possono ottenere risarcimento del danno). Un amministratore condannato per bancarotta potrebbe dover rifondere parte del danno patrimoniale derivato dai suoi atti distrattivi. Inoltre, come detto, i suoi beni possono essere colpiti da sequestro/confisca in sede penale.

Per l’imprenditore che vuole difendersi da eventuali azioni di responsabilità, il consiglio principale è di operare con correttezza e trasparenza, soprattutto in periodo di crisi: attivarsi per preservare la par condicio creditorum (non pagare solo alcuni intenzionalmente), evitare prelievi ingiustificati di denaro dall’azienda, tenere contabilità regolare e se la situazione precipita, valutare subito strumenti come il concordato preventivo o la composizione negoziata invece di proseguire accumulando debiti. Rispettare le norme sulla capitalizzazione (se il capitale è azzerato da perdite, non continuare l’attività come nulla fosse) è cruciale: l’art. 2486 c.c. impone di gestire solo conservativamente in quella fase, e la violazione attiva quelle presunzioni di danno .

Se poi l’azione è già avviata (ad es. il curatore cita l’amministratore per 1 milione di euro), l’amministratore avrà come difesa quella di dimostrare che non vi è stato danno o non vi è nesso causale tra la sua condotta e il deficit. Ad esempio, può cercare di provare che la crisi sarebbe avvenuta comunque (cause esterne, crollo di mercato), che lui anzi ha fatto il possibile per ridurre il danno, e che eventuali atti sotto accusa non hanno peggiorato la situazione oppure erano fatti nell’esercizio normale (qui gioca il perimetro del business judgment rule: se le scelte erano ragionevoli ex ante, non dovrebbero essere considerate colpose solo perché ex post c’è stata insolvenza).

È opportuno ricordare che, nel giudizio di responsabilità, le pronunce giurisprudenziali aggiornate hanno facilitato la posizione dei creditori/curatori. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto implicitamente colposo l’operato degli amministratori che non tempestano la procedura concorsuale in presenza di insolvenza, usando criteri di quantificazione presuntivi (due indicatori per valutare il danno da ritardata richiesta di procedura previsti proprio dall’art. 378 CCII) . Quindi per l’amministratore è diventato ancor più rischioso “tirare a campare” con l’azienda decotta: può ritrovarsi a dover coprire personalmente l’aggravio di debiti accumulato in quei mesi/anni di ritardo.

Un’altra difesa, a monte, è stipulare un’assicurazione RC amministratori (polizza D&O) che copra eventuali richieste risarcitorie (non dolose). Molte S.r.l. piccole non la fanno, ma nelle società più strutturate è comune. Questo non evita l’azione, ma fa sì che l’assicurazione indennizzi il danno entro i limiti.

Responsabilità per debiti fiscali e previdenziali (violazioni e obblighi d’imposta)

Come già delineato, in principio gli amministratori non rispondono personalmente dei debiti fiscali della società, salvo i casi previsti dall’art. 36 DPR 602/73 (liquidazione) . La Cassazione ha confermato nel 2021 che non esiste una sorta di coobbligazione generale degli amministratori per i tributi societari . Questo deve rassicurare chi gestisce società di capitali: se la società deve IVA e imposte, l’Agenzia delle Entrate non può automaticamente chiederle all’amministratore di tasca sua. Però, come visto, può farlo se quell’amministratore ha chiuso la società male, distribuendo attivi altrove (art.36). Inoltre, c’è un’altra circostanza: se l’amministratore è considerato amministratore “di fatto” e la società magari è solo un prestanome, il Fisco potrebbe tentare di imputare a lui certe obbligazioni; ma normalmente si ricade comunque nell’art.36 (che parla anche di amministratori di fatto negli ultimi due anni) .

Diverso è per i liquidatori durante la fase di liquidazione: essi hanno proprio l’obbligo legale di pagare prima le imposte, come già spiegato. Le Sez. Unite 2023 hanno delineato bene la cosa: la responsabilità del liquidatore è personale, autonoma, per fatto proprio e va accertata con atto motivato . Cioè l’Agenzia Entrate deve notificare un avviso in cui spiega cosa ha fatto di sbagliato (pagato tizio, occultato asset?), permettendogli difesa . Se ciò non avviene, ad esempio se mandano solo una cartella senza previo atto di accertamento al liquidatore, la Cassazione ha annullato tali pretese . Questo è utile saperlo: il liquidatore può difendersi eccependo la mancanza di accertamento a lui notificato se l’AdE tenta scorciatoie (come spesso è accaduto in passato). La pronuncia Cass. 35497/2023, ad esempio, ha annullato una cartella a un ex amministratore proprio per questo vizio .

Per i soci, l’art.36 co.3 come visto li tocca entro i limiti di ciò che hanno ricevuto negli ultimi due esercizi prima della liquidazione . Quindi un socio che poco prima che la società fallisca si fa restituire finanziamenti o utili elevati potrebbe essere chiamato dal Fisco a rispondere di imposte non pagate per quell’ammontare. Anche qui, deve esservi un atto motivato (avviso) entro termini di decadenza.

In tema di contributi previdenziali (INPS), non c’è una norma analoga che faccia pagare amministratori o liquidatori al posto della società. La Corte di Cassazione ha affermato chiaramente che non esiste una responsabilità diretta degli amministratori per i contributi omessi, se non nei termini generali di cui sopra (azione di responsabilità per danno in caso di condotte dilatorie) . L’INPS in passato talvolta ha tentato di agire contro amministratori, ma senza base normativa specifica è difficile. Ci sono però normative settoriali: ad esempio, il DLgs 276/2003 art. 1 co.136 prevedeva che se una società (tipo cooperativa) non paga i contributi e cessa, i suoi soci e amministratori potessero esserne solidalmente responsabili in presenza di dolo o colpa grave, ma era disposizione limitata (contrasto cooperative spurie). In generale, per contributi non versati, l’INPS si insinua nel fallimento; se i contributi riguardano trattenute a dipendenti e l’amministratore non li versa, è penalmente sanzionato (art. 2 D.L.463/83) ma deve più di tot: oggi la soglia è €10.000 annui, sotto è depenalizzato a sanzione amministrativa. La sanzione amministrativa pecuniaria (che colpisce l’amministratore persona fisica) non è coperta dalla società, quindi l’INPS potrebbe esigere dal soggetto la sanzione (che è importo fisso di solito) e fare esecuzione su di lui.

Un altro ambito: Responsabilità verso l’Erario per indebite compensazioni – se l’amministratore ha usato crediti fiscali inesistenti in compensazione (pratica diffusa per ridurre esborsi), può incorrere in una sanzione personale (D.Lgs. 471/97) e anche in reato se sopra soglia (€50.000 per anno di crediti inesistenti compensati, art. 10-quater D.Lgs.74/2000). In caso di condanna, di nuovo c’è un riflesso sul suo patrimonio (multa, confisca). Questo per dire che, pur non essendo debitore civile, l’amministratore può trovarsi a dover pagare somme al Fisco a titolo di sanzioni personali.

In conclusione su questo punto: un socio/amministratore di S.r.l. solida e ben gestita non deve temere di essere chiamato a pagare debiti tributari/previdenziali dell’azienda, se si attiene alla legge. Ma se la gestione fiscale è stata irregolare o la liquidazione avviene in modo da penalizzare il Fisco, allora sì, esistono leve legali per far contribuire personalmente i responsabili. Dunque la difesa migliore è la compliance fiscale: assicurarsi di versare almeno i contributi previdenziali dei lavoratori e le ritenute (che hanno anche profili penali), usare gli strumenti come la transazione fiscale in concordato per trattare col Fisco piuttosto che ignorarlo, e non fare movimenti distrattivi in prossimità della crisi (ad esempio non cedere l’azienda a 1 euro lasciando i debiti, prassi che spesso porta a coinvolgimento per bancarotta fraudolenta fiscale). Anche la Cassazione penale ha affermato che la presentazione di domanda di concordato non scrimina l’omesso versamento IVA già configurato come reato, a meno che il tribunale omologhi poi la falcidia (in sostanza, depositare concordato non ti salva dall’accusa di omesso versamento, bisogna comunque seguire le regole penali) .

Responsabilità dei soci dopo la chiusura dell’impresa (post liquidazione)

Abbiamo menzionato la norma dell’art. 2495 c.c. sulla responsabilità post-cancellazione entro un anno . Questo è importante: molti pensano che “chiudo la società e i debiti spariscono”. Invece, per legge: – Se la società viene cancellata dal registro imprese con debiti ancora esistenti, i creditori possono agire contro i soci, ma soltanto fino a concorrenza di ciò che hanno riscosso in sede di liquidazione . Se il socio non ha ricevuto nulla, in teoria non dovrebbe nulla (salvo abbia responsabilità illimitata in base alla forma sociale). – Possono anche agire contro i liquidatori se la mancata soddisfazione è dovuta a colpa di questi (come visto, ad es. non aver liquidato un bene e chiuso lo stesso, o averlo svenduto male). – Questo va fatto entro un anno dalla cancellazione, come un termine di decadenza per notificare l’atto introduttivo .

Cosa significa “entro i limiti di quanto riscosso dai soci”? Immaginiamo una S.r.l. di trasporto con due soci, Alfa e Beta. Liquidano la società distribuendosi €50.000 a testa di attivo residuo, lasciando però €200.000 di debiti non pagati. I creditori insoddisfatti possono citare Alfa e Beta per quei €200.000, ma ciascuno risponderà fino a €50.000 (salvo prova contraria che ha preso di più, c’è presunzione proporzionale alla quota). Quindi i soci potrebbero dover restituire i €50k ciascuno ai creditori. Se però Alfa e Beta non si sono presi nulla (perché magari l’attivo è andato in spese, o tutto ai privilegiati e a loro zero), allora i creditori non hanno margine su di loro ex 2495, a meno di colpa del liquidatore.

Tuttavia, attenzione: se la società era di persone (S.n.c.), quell’azione ex 2495 co.2 in realtà è ridondante perché i soci sono già responsabili illimitatamente per i debiti, e secondo Cassazione recente (SS.UU. 2013) quell’anno di tempo non limita l’azione dei creditori particolari: la loro azione verso soci illimitati discende dalla legge (art. 2312 c.c. per S.n.c.), che non prevede decadenza così breve, al più la prescrizione ordinaria. Questo è dettaglio tecnico, ma per dire: se un creditore di S.n.c. non agisce entro 1 anno dalla cancellazione, potrebbe comunque poter farlo oltre, perché la responsabilità dei soci era diretta. Invece, per la S.r.l. quell’art.2495 è l’unica base per chiedere qualcosa ai soci e quindi scaduto l’anno, i soci sarebbero tranquilli (a meno di scoprire poi attivi non liquidati che fanno revocare la cancellazione, ecc., discorsi complessi).

Difendersi: un socio destinatario di azione ex 2495 può eccepire che: – Non ha ricevuto affatto distribuzioni (quindi niente da restituire). – L’azione è promossa oltre l’anno (decadenza). – Il debito in questione era già estinto o non esigibile. – Oppure, se liquidatore e non socio, che lui non ha colpa (il mancato pagamento non dipende da lui perché p.es. non c’erano fondi).

In generale, i soci di S.r.l. preferirebbero liquidare la società pagando prima i creditori se possibile, oppure se non c’è di che pagarli, spesso la lasciano “morire” inattiva senza liquidazione formale (cosa che ha altri problemi, ma alcuni lo fanno sperando di far prescrivere i debiti col tempo). Dal 2021 è stata introdotta la possibilità per i creditori di chiedere la liquidazione giudiziale di società anche già cancellate entro un anno dalla cancellazione, proprio per evitare che uno chiuda la società e i creditori restino a bocca asciutta: se c’è debito non pagato, si può far “riaprire” in fallimento entro l’anno. Ciò porta in dote quell’attivo residuo e permette al curatore di usare 2495 e 36 DPR 602/73 per recuperare. Quindi oramai chiudere furbescamente la S.r.l. non garantisce più scampo: i creditori possono reagire.

Profili penali (omessi versamenti, bancarotta fraudolenta, altri reati)

Infine, va affrontato il tema delle responsabilità penali, che benché non siano “debiti” in senso stretto, incidono gravemente sul come difendersi perché comportano rischi personali per amministratori e soci. In un contesto di indebitamento, i reati più frequenti sono:

  • Omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs.74/2000): se la società non versa l’IVA risultante dalla dichiarazione annuale per importo superiore a €250.000, l’amministratore (legale rappresentante) commette reato punibile con la reclusione. Difendersi: pagare entro la scadenza della liquidazione del secondo anno successivo (c’è una sorta di “ravvedimento operoso” penale se paghi prima che inizi il processo). Se l’azienda è in crisi, è opportuno includere l’IVA in un concordato preventivo e cercare l’omologazione: la giurisprudenza oscillante oggi tende a dire che il concordato omologato con pagamento parziale IVA estingue il reato perché viene meno il dolo di evasione (grazie a un intervento della Corte di Giustizia UE del 2017). Ma questo è complesso e non garantito, comunque meglio di niente.
  • Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs.74/2000): se > €150.000 annue di ritenute IRPEF su dipendenti o collaboratori non versate, altro reato. Stesse dinamiche: a maggior ragione, qui c’è poco da negoziare in concordato (le ritenute secondo la legge italiana andrebbero pagate integralmente, ma con la transazione fiscale oggi si possono includere). Anche qui, pagare entro scadenze (30 giorni da comunicazione invito) evita la punibilità in alcuni casi.
  • Bancarotta fraudolenta (artt. 322 e segg. CCII ex artt.216 e segg l.fall.): se la società fallisce (liquidazione giudiziale) e l’amministratore ha commesso distrazioni di beni, falsificazioni di scritture o altre malversazioni, rischia pesanti pene detentive. Tipico in contesti di debiti: prelevare soldi dal conto aziendale a sé prima del fallimento = distrazione; pagare preferenzialmente un debito personale con soldi della società = bancarotta preferenziale; non tenere la contabilità in stato decente = bancarotta semplice/fraudolenta documentale. Difendersi: prevenire il fallimento fraudolento con trasparenza, usando semmai il concordato per liquidare formalmente e non incorrere in reati (nel concordato gli atti autorizzati dal giudice non sono reato, es: vendere un bene in concordato non è distrazione).
  • Reati tributari di natura dichiarativa: es. dichiarazione fraudolenta o infedele (artt. 2-4 D.Lgs.74/2000) se in difficoltà si inizia a falsificare le dichiarazioni per ridurre debiti, poi scoperti: altro fronte di guai.

Per un debitore, incorrere in sanzioni penali peggiora la possibilità di “fresh start” perché anche se ottiene esdebitazione civile, la condanna penale comporta sanzioni e possibili confische del patrimonio personale (che non rientrano nell’esdebitazione civile). Quindi la migliore difesa è non oltrepassare il confine del lecito: non falsificare bilanci per ottenere credito (reato di false comunicazioni sociali, art. 2621 c.c.), non frodare i creditori (art. 322 CCII, ex art. 232 l.f., punisce atti dissipativi prima delle procedure concorsuali). Se la situazione è disperata, molto meglio rivolgersi al tribunale con una procedura concorsuale prima di incorrere in reati. La legge oggi incoraggia l’emersione tempestiva della crisi anche per questo: l’amministratore che attiva una composizione negoziata o un concordato preventivo ha strumenti per evitare condotte penalmente rilevanti e magari ottenere misure protettive; se invece nasconde la testa sotto la sabbia e fa atti impropri, rischia il penale.

In sintesi, da una prospettiva di difesa: il socio/amministratore deve essere consapevole che alcuni debiti non pagati (tributari) possono sfociare in problemi penali e responsabilità dirette. Quindi, pianificare per tempo la gestione dei debiti più “pericolosi” (come IVA e contributi) è fondamentale. Ad esempio, se si prevede di non riuscire a pagare l’IVA di fine anno, considerare l’avvio di una trattativa con l’Erario (transazione fiscale) o di un concordato prima della scadenza, per evitare l’omissione pura e semplice.

Strumenti legali per gestire e risolvere i debiti

Passiamo ora ad illustrare gli strumenti giuridici che un corriere indebitato (o il suo legale di fiducia) può attivare per uscire dalla crisi. La legislazione italiana – soprattutto dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – offre una gamma di procedure e accordi, sia giudiziali che stragiudiziali, volte a ristrutturare i debiti o ad ottenere l’esdebitazione. La scelta del percorso dipende dalla natura del debitore (impresa fallibile o meno), dalla gravità della situazione e dagli obiettivi (continuare l’attività o cessarla). Esamineremo i principali strumenti: concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, piani attestati, la nuova composizione negoziata della crisi, le procedure di sovraindebitamento per soggetti minori (tra cui il piano del consumatore e il concordato minore), la liquidazione giudiziale (ex fallimento) con esdebitazione, e la specifica transazione fiscale nel contesto di queste procedure.

Concordato Preventivo

Il concordato preventivo è una procedura concorsuale giudiziaria prevista per le imprese in stato di crisi o insolvenza, finalizzata a evitare la liquidazione fallimentare attraverso una proposta di soddisfacimento parziale o dilazionato dei creditori. In altre parole, l’imprenditore chiede al tribunale di essere ammesso a un accordo con i creditori, offrendo un piano (che può prevedere la continuazione dell’attività o la liquidazione dei beni) e pagando i creditori in misura concordata. Il concordato è detto “preventivo” perché si presenta prima (o per evitare) la dichiarazione di fallimento.

Chi può accedervi: tutte le imprese soggette a liquidazione giudiziale (fallibili) possono proporre concordato. Quindi una S.r.l. di trasporti, una S.n.c., una ditta individuale sopra soglie – se in stato di crisi (anche solo probabile insolvenza) – può farlo. Le imprese non fallibili invece oggi hanno un istituto simile chiamato concordato minore (di cui dopo). Il concordato preventivo è aperto anche agli imprenditori agricoli e alle società in liquidazione.

Come funziona in breve: l’imprenditore deposita un ricorso in tribunale corredato di un piano dettagliato e di una proposta ai creditori. Serve l’attestazione di un professionista indipendente che certifichi la fattibilità del piano e la veridicità dei dati (il cosiddetto attestatore). Il tribunale, verificati i requisiti, ammette la procedura e nomina un commissario giudiziale; intanto le azioni esecutive dei creditori vengono sospese (automatic stay). Si apre la fase in cui i creditori votano sulla proposta: serve la maggioranza di voto calcolata sul totale dei crediti ammessi al voto (almeno il 50% in valore; se classi, anche il 50% per ogni classe, salvo cram down possibili in taluni casi). Se la maggioranza approva, il tribunale omologa il concordato – eventualmente superando opposizioni di dissenzienti se la proposta rispetta i criteri di legge – e il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori.

Contenuto delle proposte: il CCII distingue principalmente concordato in continuità (quando prevede la prosecuzione dell’attività, ad es. la cooperativa di trasporto continua a operare e paga i creditori col cash flow futuro) e concordato liquidatorio (cessazione attività e liquidazione beni, con almeno il 20% di pagamento ai chirografari, soglia minima di legge ormai eliminata dal CCII per concordati minori e sovraindebitamento, ma per concordato preventivo ordinario resta almeno per liquidatorio standard). Nel concordato in continuità i creditori chirografari possono essere pagati meno del 20% purché in misura non inferiore al ricavabile in liquidazione giudiziale; nel liquidatorio puro è richiesta di regola una soglia di soddisfazione (in passato 20%). Il piano può prevedere classi di creditori (es. separare fornitori, banche, ecc.) e trattamenti differenziati, rispettando la priorità dei privilegi: i creditori privilegiati vanno soddisfatti integralmente o in misura non integrale solo se rinunciano o se la garanzia è incapiente (il che li trasforma in chirografari per la parte eccedente). Con la riforma, è possibile anche proporre la cosiddetta cram down fiscale: includere debiti IVA, ritenute e contributi con pagamento parziale, se l’amministrazione finanziaria rifiuta ma la maggioranza degli altri creditori approva, il tribunale può omologare comunque se ritiene la proposta conveniente per Erario rispetto all’alternativa liquidatoria . Questa è una novità importante introdotta dopo pronunce UE e Corte Costituzionale (v. sent. Corte Cost. n. 247/2021 sulla falcidiabilità dell’IVA in concordato). Quindi oggi in concordato anche l’IVA può essere tagliata, mentre prima era intoccabile (falcidiabile solo in caso di liquidazione fallimentare).

Vantaggi per il debitore: il concordato preventivo consente di congelare le azioni esecutive e i pignoramenti non ancora avviati, mantenendo l’amministrazione dell’impresa (sotto vigilanza del commissario) se in continuità, e di ridurre l’importo complessivo dei debiti da pagare. Al termine, con l’omologazione e l’esecuzione del piano, il debitore ottiene l’esdebitazione residua (in misura implicita: i crediti falcidiati si considerano estinti). Ad esempio, se il piano paga il 30% a fornitori chirografari, il restante 70% viene cancellato all’esito (a condizione di eseguire correttamente il concordato). È insomma un modo di uscire dai debiti senza doverli pagare integralmente, evitando il fallimento.

Svantaggi e oneri: attivare un concordato comporta costi (bisogna pagare l’attestatore, le spese di giustizia, eventuali professionisti per predisporre il piano) e la necessità di avere una proposta seria. Inoltre, l’impresa sarà esposta a vigilanza e dovrà rispettare il piano con puntualità, altrimenti si aprono scenari di risoluzione o di conversione in liquidazione giudiziale. È fondamentale che il piano di concordato sia fattibile: il tribunale valuta la fattibilità giuridica (legittimità di quel che si propone) e lascia al professionista la fattibilità economica, ma in caso di fumosità o mancanza di risorse evidenti, potrebbe non ammettere. Per convincere i creditori a votare sì, spesso occorre offrire più di quanto otterrebbero in un fallimento. Ciò implica far stimare i beni e prospettare magari l’apporto di finanza esterna (denaro di terzi che entra per pagare i creditori con privilegi di prededuzione). Ad esempio, i soci potrebbero immettere liquidità fresca purché la società sopravviva.

Per un corriere indebitato, quando ha senso il concordato? Se l’impresa è ancora valida come attività e c’è la volontà di proseguirla, magari ridimensionando debiti, il concordato in continuità può salvare l’azienda: si evita la dispersione dell’avviamento e delle licenze (ad es. licenza trasporto), e si pagano i debiti in % con i flussi futuri. Oppure se la situazione è compromessa ma si vuole vendere l’azienda ad un competitor che rileva solo l’attivo senza passivo, si può fare un concordato con continuità indiretta: l’azienda è trasferita a un terzo e il ricavato va ai creditori secondo il piano. Se invece l’imprenditore vuole chiudere, può usare il concordato liquidatorio vendendo i beni in modo ordinato e pagando i creditori di conseguenza (un vantaggio rispetto al fallimento è che può individuare acquirenti per asset e proporre la vendita nella procedura, spesso ottenendo prezzi migliori e tempi più brevi). In più, nel concordato il debitore sceglie quali contratti proseguire e quali sciogliere, come i contratti onerosi (leasing ad es.: può decidere di sciogliere il leasing di un camion e restituirlo, la società di leasing avrà un credito per danno da risoluzione e parte residua che sarà trattato in concordato).

Con le ultime riforme (D.lgs. 83/2022 e D.lgs. 136/2024) il concordato preventivo è stato reso più flessibile: ad esempio, è stata introdotta la figura del concordato semplificato (post composizione negoziata fallita) in cui non c’è voto dei creditori, ma è un’opzione rarissima e residuale. Ci sono anche procedure più snelle per l’accesso: la cosiddetta domanda “prenotativa” di concordato (ex art. 44 CCII, analogo al vecchio “concordato in bianco”) in cui il debitore chiede il termine per presentare la proposta e intanto ottiene le misure protettive. Ciò è utile quando serve tempo per preparare il piano (massimo 120 + 60 giorni circa di proroga).

Insomma, il concordato preventivo è uno strumento potente di difesa del debitore collettiva: si mette l’azienda sotto il cappello del tribunale, si blocca l’aggressione dei singoli e si cerca una soluzione globale, sotto controllo giudiziale e con accordo a maggioranza dei creditori.

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono soluzioni negoziali omologate dal tribunale previste dall’art. 57 e seguenti CCII (già art. 182-bis l.fall.). Sono essenzialmente accordi di natura privata tra l’imprenditore e una parte consistente dei creditori, che acquisiscono efficacia erga omnes tramite l’omologazione. A differenza del concordato, non coinvolgono tutti i creditori salvo quelli aderenti e non prevedono voto di tutti, ma richiedono che l’accordo sia sottoscritto da creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti totali (nel CCII sono possibili alcune varianti come l’accordo agevolato col 30% se tutti finanziari, introdotto dalle riforme). I creditori non aderenti devono essere pagati integralmente, salvo che il tribunale estenda gli effetti anche a loro in certi casi limitati (ad es. creditori finanziari dissenzienti se c’è omogeneità, secondo novità normative).

Come funziona: l’imprenditore elabora un piano di risanamento e negozia bilateralmente con i principali creditori un accordo sulle nuove condizioni di pagamento (ad es.: banche che accettano un taglio del credito e/o una dilazione). Ottenute le adesioni scritte di creditori pari al 60% del debito, deposita in tribunale l’accordo con la documentazione (simile al concordato: attestazione di un professionista che il piano è fattibile e che i creditori estranei saranno pagati per intero). Il tribunale, verificati i presupposti, omologa l’accordo. Non c’è un voto aperto a tutti, contano solo le adesioni raccolte. I creditori che hanno firmato restano vincolati ai nuovi termini. Quelli che non hanno aderito conservano i loro diritti originari, però, come detto, devono essere soddisfatti integralmente secondo le scadenze originarie o anticipate. Questo implica che l’accordo di ristrutturazione è utile quando i creditori principali (di solito banche) accettano una falcidia/ristrutturazione, mentre i creditori minori (fornitori, Erario) vengono pagati regolarmente o comunque fuori dall’accordo. In realtà esiste la transazione fiscale per includere anche Fisco e INPS nell’accordo: oggi è ammesso combinare l’accordo di ristrutturazione con la transazione fiscale (art. 63 CCII), quindi includere nella percentuale anche quei crediti se l’Agenzia Entrate e gli enti aderiscono. Se non aderiscono, i loro crediti vanno saldati per intero.

Il vantaggio degli ARD è la maggiore riservatezza e flessibilità: coinvolgi chi serve, eviti magari il clamore di un concordato (anche se comunque l’accordo viene pubblicato al registro imprese e quindi reso noto). Inoltre, i tempi possono essere più rapidi dell’iter di voto concordatario. Durante le trattative, il debitore può chiedere al tribunale misure protettive (simile al concordato “in bianco”).

Per un corriere, un accordo del genere potrebbe consistere nel negoziare con le banche la riduzione dei debiti bancari e leasing (che magari rappresentano il 60% del passivo), e intanto impegnarsi a pagare integralmente fornitori e fisco. Se le banche ci stanno, si presenta l’accordo in tribunale. Dopo omologa, le banche riceveranno magari un 70% in nuovi 5 anni di piani di rientro, e i fornitori sono stati o saranno pagati normali. Così l’azienda evita il fallimento e la pubblicità di un concordato, e continua operativa. D’altra parte, convincere i creditori a firmare volontariamente richiede spesso offerta migliore rispetto a un concordato forzoso.

Esistono varianti: accordo di ristrutturazione agevolato (art. 61 CCII) introdotto di recente, dove basta il 30% di adesioni ma solo se i restanti 70% sono “finanziari” e non alteri la loro posizione (è molto tecnico, riguarda casi di molti obbligazionisti diffusi). Oppure l’accordo ad efficacia estesa (art. 64 CCII) in cui se certe banche aderenti coprono 75% di un credito finanziario, l’accordo può essere esteso anche alla banca dissenziente minoritaria – concetto di cram down settoriale.

Comunque, dal punto di vista del debitore, l’accordo ha pro e contro: – Pro: più veloce, meno invasivo (il debitore resta in possesso, non c’è commissario), può essere più modulare. Dopo omologa, consente di ottenere finanziamenti prededucibili e proteggere operazioni come il concordato. Vi è anche la possibilità di omologa “cram down” se un creditore contesta irragionevolmente, ma se ci sono requisiti il tribunale può omologare ugualmente (nel CCII è previsto che l’accordo può essere omologato anche senza adesione di un Fisco dissenziente, ad es., se la soddisfazione offerta è conveniente). – Contro: bisogna convincere attivamente i creditori uno per uno. Se ne manca uno grosso e non lo puoi falcidiare contro la sua volontà, l’accordo salta o devi pagarlo cash. Quindi se c’è un creditore litigioso che non si vuole accordare, forse è meglio il concordato dove lo puoi imporre con la maggioranza. – Inoltre i creditori non aderenti sono comunque liberi di agire (anche se di solito il debitore chiederà misure protettive per il tempo dell’omologa). Una volta omologato l’accordo però, non c’è un “blocco” permanente delle azioni come nel concordato (salvo che l’accordo preveda impegni e c’è la risoluzione in caso di inadempimento). Però se l’accordo dice “pago Tizio fra 6 mesi intero”, Tizio non può eseguire prima perché protetto dall’omologa? Non esattamente, infatti spesso si contestava che i creditori estranei potessero iniziare esecuzioni se non pagati subito. Il CCII ha introdotto un articolo (art. 60) che dice che col deposito dell’accordo con certe percentuali, il debitore può chiedere misure protettive analoghe al concordato. Dunque, c’è tutela anche in quell’intervallo.

In pratica, per un’azienda di trasporto fortemente indebitata con banche, l’accordo di ristrutturazione è una strada se c’è collaborazione delle banche. Altrimenti, se i creditori sono tanti e scoordinati, meglio il concordato.

Piani attestati di risanamento

I piani attestati di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 l.fall. lett. d) non sono procedure concorsuali, ma semplicemente piani aziendali di risanamento accompagnati da un’attestazione di veridicità e fattibilità, comunicati ai creditori. Il loro scopo originario era consentire esenzioni da azioni revocatorie fallimentari: se un pagamento o una garanzia è stato concesso in esecuzione di un piano attestato, poi non è revocabile in caso di fallimento successivo. Sono quindi strumenti contrattuali, del tutto interni, senza omologazione né tribunale.

In sostanza, l’imprenditore in crisi fa predisporre un piano di risanamento (ad es. taglio costi, dismissione asset, rinegoziazione debiti) e lo fa attestare da un professionista indipendente che dichiara che i dati sono veri e il piano può risanare l’impresa e assicurare il pagamento regolare dei creditori. Dopodiché può presentarlo alle banche e creditori per convincerli a supportare (magari rinunciando a crediti in parte, o allungando scadenze). Non c’è percentuale minima di adesione richiesta per legge – perché formalmente è un atto unilaterale – ma in pratica se i principali creditori non condividono il piano, esso fallisce. È uno strumento usato per lo più con banche: ad es. la società propone un piano di risanamento a 5 anni, la relazione attesta che così si risana e pagherà tutti, e le banche quindi accettano di standstill (non agire) e ristrutturare crediti bilateralmente in linea col piano.

Dal punto di vista del debitore, il piano attestato ha il vantaggio di essere riservato (non viene pubblicato ufficialmente, anche se il CCII consente opzionalmente la pubblicazione su registro imprese per dare efficacia esimente revocatorie) e totalmente autogestito. Non richiede soglie di adesione. Però non offre protezione dalle azioni esecutive: se un creditore estraneo decide di pignorare, nulla glielo impedisce. Non c’è una procedura aperta. Quindi funziona bene se c’è accordo di massima con tutti quelli che potrebbero nuocere, e se l’azienda può reggere comunque eventuali aggressioni isolate.

Per una piccola impresa di trasporto, il piano attestato può essere utile in crisi moderate, dove si vuole evitare di entrare in procedura formale, ad esempio: c’è un leggero sovraindebitamento, ma con un po’ di respiro e magari un rifinanziamento si può recuperare equilibrio. L’imprenditore incarica un advisor e un attestatore, convincendo le banche a rinegoziare. Se il piano riesce, i creditori vengono tutti pagati alla fine (non c’è esdebitazione o taglio legale dei crediti, solo eventuali stralci pattuiti privatamente). Se il piano invece non funziona e si finisce in fallimento, almeno i pagamenti fatti in esecuzione di esso sono protetti: es., se una banca concede nuova finanza nel piano attestato e la società poi fallisce, quel finanziamento restituïto non è revocabile perché eseguito in attuazione piano.

Conclusione: il piano attestato è uno strumento soft, opportuno in situazioni recuperabili senza misura concorsuale e con creditori collaborativi. Non è la panacea se l’insolvenza è grave o i creditori sono già sul piede di guerra.

Composizione negoziata della crisi

Novità introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora parte del CCII, la composizione negoziata della crisi è uno strumento volontario e stragiudiziale in cui l’imprenditore in difficoltà chiede l’assistenza di un esperto indipendente nominato da una commissione presso la CCIAA, per tentare di negoziare con i creditori una soluzione concordata della crisi. Non è una procedura concorsuale, ma un percorso di negoziazione guidata: l’esperto (di solito un commercialista o avvocato esperto in ristrutturazioni) studia la situazione e convoca le parti per facilitare un accordo.

Durante la composizione negoziata, su istanza del debitore, il tribunale può concedere misure protettive temporanee (fino a 180 giorni rinnovabili) che bloccano azioni esecutive e sospendono i contratti essenziali, simili a quelle del concordato, per dare spazio alle trattative. Questa è una delle grandi innovazioni: prima, una trattativa extragiudiziale non poteva sospendere i pignoramenti; ora, se si entra in composizione negoziata e c’è prospettiva di ragionevole risanamento, il giudice può vietare ai creditori di iniziare o proseguire esecuzioni (fermi includi) . Anche se alcuni creditori erano refrattari, devono attendere.

Il risultato della composizione può essere variabile: – Un contratto di ristrutturazione privato (ad esempio un accordo stragiudiziale firmato con tutti o alcuni creditori). – Uno degli strumenti formali che abbiamo descritto: il percorso negoziato può sfociare in un concordato semplificato (se accordo fallito ma esperto lo suggerisce), o in un accordo ex 182-bis, o in un concordato classico, ecc. L’esperto può “traghettare” verso la soluzione più appropriata, eventualmente facilitando la predisposizione del piano e l’attestazione.

La composizione negoziata è stata pensata per attivarsi in fase precoce di crisi (anche solo squilibrio). Per un’azienda di corrieri, può essere uno strumento prezioso quando vede i primi segni di difficoltà: consente di avere un professionista super partes che imposta le trattative, e consente di prendere fiato dai creditori col paracadute delle misure protettive. Ad esempio, se la cooperativa di trasporto sta accumulando debiti ma ha chance di contratti futuri, entra in negoziata, ottiene sospensione dei pignoramenti di Equitalia e dei decreti ingiuntivi, e nel frattempo riesce a convincere le banche a rinegoziare e i fornitori a uno sconto.

La composizione negoziata prevede anche strumenti di sostegno: – Possibilità per il tribunale di autorizzare finanziamenti prededucibili (cioè che saranno rimborsati prima degli altri se poi c’è concorsuale) per dare liquidità per la continuità. – Possibilità di autorizzare la cessione di azienda o rami senza dover passare dal concordato (vendita protetta), se funzionale a evitare il dissesto. – Prevede un trattamento fiscale agevolato (esenzione imposte su plusvalenze da ristrutturazione).

Non c’è voto dei creditori qui, è solo una trattativa assistita. Dunque il successo dipende dalla buona volontà delle parti e dalla credibilità del piano.

In sintesi: la composizione negoziata è come avvalersi di un mediatore pubblico qualificato per raggiungere un accordo di ristrutturazione con i creditori, con la possibilità di congelare temporaneamente le azioni esecutive. È un qualcosa in più rispetto ai puri accordi privati, fornendo protezione e professionalità. Il debitore non è obbligato poi a proseguire se non trova soluzioni (può anche abbandonare), e in generale c’è riservatezza (l’accesso alla negoziata non è pubblicato salvo tu chieda misure protettive, in tal caso sì). Questo strumento nel 2022-2023 è stato promosso per ridurre i fallimenti, ma richiede che l’imprenditore non aspetti troppo: se le casse sono già vuote e i creditori troppo esasperati, l’esperto potrà fare poco.

Sovraindebitamento e procedure per soggetti non fallibili

Veniamo ora alle procedure dedicate ai soggetti non fallibili (persone fisiche e piccole imprese sotto soglia). Fino al 2021 queste erano regolate dalla Legge 3/2012, nota come legge “salva suicidi”, ora assorbite nel Codice della Crisi (artt. 65-81 CCII e seguenti). Tali procedure – a volte chiamate genericamente di composizione delle crisi da sovraindebitamento – permettono anche a chi non può accedere a concordato preventivo o fallimento di avere strumenti giudiziari per la soluzione della crisi e l’esdebitazione . Sono pensate per consumatori, professionisti, imprenditori minori, start-up, enti non commerciali , tra cui rientrano ad esempio: un corriere ditta individuale sotto soglie, un socio illimitatamente responsabile di S.n.c. che ha debiti personali non coperti dall’attivo sociale , una cooperativa sotto una certa dimensione (anche se qui c’è il nodo LCA), ecc.

Le procedure principali oggi sono: – Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 CCII) – ex “piano del consumatore” L.3/2012. – Concordato minore (art. 74 CCII) – erede dell’“accordo di composizione della crisi” L.3/2012, destinato a imprenditori minori e soggetti non fallibili diversi dal consumatore. – Liquidazione controllata del sovraindebitato (art. 268 CCII e segg.) – ex “liquidazione del patrimonio” L.3/2012, che è sostanzialmente un fallimento semplificato volontario. – Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) – novità, una forma speciale di esdebitazione per chi non ha nulla da offrire.

Vediamoli in dettaglio per capire come può beneficiarne un corriere indebitato persona fisica o piccola impresa:

Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore

Il piano del consumatore (ora chiamato formalmente “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”) è riservato alla persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta . Nel definire “consumatore” il CCII ha allargato un po’ le maglie rispetto alla vecchia legge: ha eliminato la parola “esclusivamente” estranei, permettendo di considerare consumatore anche chi ha qualche debito di origine imprenditoriale purché prevalgano quelli personali . Inoltre ammette espressamente che un socio illimitatamente responsabile possa essere consumatore per i debiti estranei a quelli sociali . Quindi, se un corriere era un piccolo imprenditore ma ha cessato l’attività, e ora i suoi debiti (anche se originati dall’impresa) gravano su di lui come persona, potrebbe comunque cercare accesso al piano del consumatore, purché i debiti professionali non siano preponderanti o comunque si dimostri che l’obiettivo è sanare la sua posizione personale.

Il piano del consumatore funziona così: il consumatore elabora, con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione Crisi), un piano di pagamenti sostenibile in base al suo reddito e patrimonio. Questo piano può prevedere anche la falcidia di debiti in parte (es. pagare 50% a tutti i creditori chirografari in 4 anni) e l’uso di eventuali beni liquidabili. Non richiede l’approvazione dei creditori: è sottoposto direttamente al giudice per omologazione, dopo aver sentito i creditori (ma senza voto) . Il giudice valuta due cose chiave: la fattibilità economica (ha un margine di controllo maggiore qui, perché se i creditori non votano deve tutelarli lui) e soprattutto la “meritevolezza” del consumatore . Quest’ultimo concetto implica che il sovraindebitamento non sia dovuto a colpa grave, malafede o frode del debitore. Se uno ha sperperato in lusso o ha mentito ai creditori, il giudice può negare l’omologazione per indegnità. Ad esempio, se un soggetto ha accumulato debiti per gioco d’azzardo o ha truffato, difficilmente avrà il piano omologato. La giurisprudenza sul punto considera vari fattori, ma l’idea di fondo è favorire il debitore “onesto ma sfortunato” (fresh start in ottica “favor debitoris” confermato da Cassazione) .

Una volta omologato, il piano vincola tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Il debitore esegue i pagamenti previsti (sovente con supervisione OCC). Se li rispetta, a fine piano ottiene la esdebitazione: i debiti residui vengono cancellati . Il risultato è paragonabile a un concordato, ma senza voto dei creditori e su misura del bilancio familiare.

Per un corriere persona fisica, ad esempio un ex padroncino con furgone che ha chiuso la partita IVA ma rimane con debiti verso Fisco, banca, fornitori, questo strumento è l’ideale. Permette di includere tutti i debiti personali e da piccola impresa in un solo calderone, proporre di pagare in base al suo stipendio (magari nel frattempo è diventato dipendente altrove) una certa quota mensile per qualche anno, e poi liberarsi del resto. Non c’è soglia minima di pagamento percentuale: se il piano dimostra che lui può pagare solo il 10% perché il suo reddito è modesto, può andare bene, purché sia offrire il massimo delle sue effettive possibilità. E i creditori non possono opporsi sul merito, possono solo esporre osservazioni. Il giudice decide. Questo meccanismo è fortemente orientato al favor debitoris, e la riforma l’ha ulteriormente calibrato a vantaggio del consumatore onesto (ad es. introducendo il concetto che banche e finanziarie imprudenti nel concedere credito vengono “punite” nella valutazione di meritevolezza, il cosiddetto merito creditizio: se il debitore era già noto sovraindebitato e la banca gli ha prestato comunque, la sua colpa diminuisce) .

Quindi, se Mario, ex corriere autonomo, sommerso da debiti per 200k, senza beni se non un’auto vecchia e con stipendio di 1.500€, può proporre un piano di pagare ad esempio €300/mese per 5 anni (18k totale, pari al 9% del debito) e offrire la liquidazione dell’auto per altri 2k, totale 20k (10%). Se dimostra che più di così non può, e che non ha colpe gravi (debiti dovuti a crisi, malattia, calo lavoro, e non sperperi), il tribunale può omologare. I creditori si dovranno accontentare di quei 20k ripartiti secondo le cause di prelazione (prima eventuale Fisco privilegiato, etc., e il resto pro quota ai chirografari), e il restante 180k sarà cancellato, dando a Mario la possibilità di ricominciare .

Una nota: nel piano consumatore non serve il voto dei creditori, ma il CCII prevede che anche i creditori possono fare proposte concorrenti se il debitore ha patrimonio rilevante: poco usato, ma in teoria se il debitore possiede immobile e i creditori vorrebbero liquidarlo, possono presentare soluzione diversa. Il giudice sceglie la migliore per i creditori se il debitore non aderisce.

Concordato minore (accordo di composizione per imprenditori minori)

Il concordato minore (artt. 74-80 CCII) è l’equivalente per i debitori non fallibili non consumatori. Riguarda quindi piccoli imprenditori commerciali sotto soglia, imprenditori agricoli, start-up innovative, professionisti con debiti professionali, società tra professionisti, ecc. La procedura ricalca molto il concordato preventivo, ma con semplificazioni e differenze: – Serve la maggioranza del 50% dei crediti per l’approvazione (una votazione tra creditori, organizzati in classi se del caso) . Quindi a differenza del piano consumatore, qui i creditori votano. Però la maggioranza richiesta è solo la metà (nel concordato preventivo era la metà pure, ma qui l’assenza di classi rigide e altre formalità lo rende più agile). – Non c’è soglia minima di pagamento del 20% come era per concordato preventivo liquidatorio: i creditori chirografari possono prendere anche meno, se l’alternativa è peggiore. – Si utilizza l’OCC (Organismo Composizione Crisi) che aiuta a predisporre piano e documenti, e funge da commissario/ausiliario durante la procedura. – Il tribunale omologa se c’è la maggioranza dei creditori e se il debitore è meritevole (anche qui viene valutata l’assenza di frodi, simile al consumatore). – Importante: qui anche gli imprenditori (non consumatori) possono falcidiare i crediti fiscali e contributivi con transazione fiscale, come nel concordato preventivo, e prevedere l’esdebitazione finale.

In pratica, il concordato minore è una sorta di via di mezzo tra piano consumatore (dove giudice decide senza creditori) e concordato preventivo (dove creditori votano su base ampia e rigidità). È destinato tipicamente a, per esempio, una piccola società di persone sotto soglia insolvente: invece di fallire, può proporre ai creditori un concordato minore. Oppure a un imprenditore individuale commerciale non consumatore (perché i suoi debiti sono legati all’attività).

Per un corriere: se è ditta individuale ma sovradimensionata (o comunque vuole coinvolgere creditori in decisione), potrebbe optare per concordato minore. O se è cooperativa non grande e fallibilità dubbia, forse concordato minore. Tuttavia, spesso i piccoli preferiranno il piano consumatore se possibile, perché non richiede convincere i creditori. Concordato minore serve se i debiti hanno natura aziendale preponderante, quindi non qualificano come consumatore.

Esempio: una SNC di autotrasporti non fallibile per soglie ridotte. Ha 4 creditori principali. Può proporre un concordato minore offrendo di vendere i 2 camion e pagare col ricavato e con rate in 3 anni e dare il 30%. I creditori votano, se 2 su 4 che rappresentano oltre metà crediti dicono sì, il tribunale omologa (sempre che non emergano dolo o colpa grave dei soci). I soci poi godranno di esdebitazione per l’eventuale quota residua che resta in capo alla società e, riflesso, anche loro ne beneficiano perché la società li libererà, credo. (Attenzione: se soci illimitati, la procedura include anche loro, come detto congiunta).

Liquidazione controllata del sovraindebitato

Questa è l’equivalente del fallimento per il soggetto non fallibile. Se un soggetto sovraindebitato non ha prospettive di risanamento o non vuole/potrà offrire un piano, può chiedere che il tribunale liquidi tutto il suo patrimonio secondo regole simili a un fallimento semplificato. Viene nominato un liquidatore (spesso un professionista dell’OCC), che vende i beni, realizza il possibile, e distribuisce ai creditori secondo prelazioni. La persona fisica debitore in liquidazione controllata, una volta chiusa la procedura, può chiedere l’esdebitazione dei debiti insoddisfatti (non è più discrezionale come in passato: oggi è quasi automatica, viene concessa dal giudice se non ci sono stati illeciti, e anche senza dover fare formale domanda separata, avviene d’ufficio ). La durata massima della liquidazione è ridotta a 3 anni per i debiti concorsuali e 4 per quelli che maturano durante (questo limite l’ha introdotto il CCII) . Quindi un sovraindebitato sa che, consegnando tutto oggi, in 3 anni è libero (non importa quanto poco si è ricavato). Se durante la liquidazione emergono condotte fraudolente precedenti, l’esdebitazione può essere negata.

La liquidazione controllata la possono chiedere il debitore stesso o anche i creditori (questi ultimi di rado, ma la legge lo consente se vede che piani non ce ne sono e patrimonio invece sì che va liquidato). Un caso tipico: il debitore insolvente proprietario di una casa e vari beni ma che non vuole/vorrebbe vendere per fare un piano, i creditori potrebbero spingerlo in liquidazione così si vendono coattivamente i beni.

Cosa cambia rispetto a un fallimento? Intanto l’infamia del fallimento non c’è: il sovraindebitato persona fisica non viene privato dei diritti civili, non c’è reato di bancarotta (perché formalmente non è fallimento, benché se ha commesso frodi verso creditori c’è un reato specifico minore nell’ambito sovraindebitamento). Quindi è meno afflittiva. Inoltre, c’è la tutela del minimo vitale per persona fisica: al debitore viene lasciato quanto serve al mantenimento suo e della famiglia (il giudice fissa una somma mensile non pignorabile) e alcuni beni come l’abitazione principale se modesta possono essere non toccati su valutazione del giudice (non è automatico come divieto come in Equitalia, ma in passato alcuni tribunali hanno evitato di liquidare la casa se coniuge e figli vi abitano e il valore non eccede certe soglie). Questa sensibilità fa parte dello spirito “anti-suicidi” della norma.

Per un corriere ex imprenditore pieno di debiti e senza capacità di pagare a rate, la liquidazione controllata può essere la via: consegna i beni (p.es. la casa, i mezzi, eventuali crediti residui) al liquidatore, sopporta 3 anni di procedura, dopodiché i debiti non pagati sono cancellati. Certo, perde i beni, ma li avrebbe persi comunque sotto pignoramenti, con in più i debiti residui. Così invece fa tavola rasa e riparte da zero (fresh start).

Con il CCII c’è la possibilità di una liquidazione semplificata anche successiva a composizione negoziata andata male (concordato semplificato), ma è residuale.

Esdebitazione del debitore incapiente (c.d. “esdebitazione senza utilità”)

Questa è una novità assoluta introdotta per chi veramente non ha nulla da dare ai creditori. In base all’art. 283 CCII, il debitore persona fisica sovraindebitato, meritevole, che non ha alcun patrimonio liquidabile né capacità reddituale da offrire (il cosiddetto debitore incapiente), può chiedere comunque la cancellazione dei propri debiti immediatamente, senza pagare nulla . È di fatto un condono giudiziario totale, concesso però una tantum e revocabile se nei 4 anni successivi il debitore acquista nuove utilità (ad esempio eredità, vincite) tali da permettere di soddisfare almeno il 10% dei vecchi debiti . In pratica, la legge riconosce che esistono situazioni disperate in cui nemmeno aprire una liquidazione avrebbe senso (perché costosa e priva di beni da vendere), e preferisce dare la possibilità di ricominciare libero dai debiti, confidando che quel debitore comunque non avrebbe pagato nulla anche restando perseguibile a vita – con il solo effetto di escluderlo dal circuito economico (lavoro nero, ecc.). Questa esdebitazione “a costo zero” è una misura di estrema ratio: il giudice valuta molto attentamente la meritevolezza (non deve esser uno che ha nascosto i soldi, ovviamente).

Se concessa, i creditori restano del tutto insoddisfatti (non ricevono nulla). E se entro 4 anni il debitore improvvisamente ha fortuna, quell’esdebitazione può essere revocata su istanza creditori per far attingere a quella fortuna (solo se consente almeno 10% pagamento, sennò no).

Per un ex imprenditore corriere che magari vive di espedienti, non possiede nulla (nemmeno auto, sta in affitto, nessun stipendio fisso) e ha debiti pregressi enormi, questa è la via di scampo. Per esempio, dopo la pandemia, c’è chi ha chiuso l’attività di trasporto, ha venduto i mezzi per sopravvivere, e gli restano debiti con le banche e il fisco, ma non ha reddito stabile. Può chiedere esdebitazione incapiente: se dimostra di aver collaborato e non frodato (magari mostrando di aver cercato lavoro, di aver venduto i beni per necessità, etc.), il tribunale gliela concede. Lui si libera dei debiti. Se poi tra 2 anni trova un buon impiego, bene per lui (non gliela revocano perché stipendio difficilmente permette 10% se debiti enormi, a meno di vincite o ereditare casa etc.). Questa esdebitazione è utilizzabile una sola volta in vita. Quindi non è che uno può sistematicamente farlo ogni decennio.

In conclusione, il panorama per i piccoli debitori (sovraindebitati) offre oggi molte opportunità di soluzione: – Piano del consumatore: se gran parte dei debiti non sono d’impresa attuale (o l’impresa è cessata e i debiti personali). – Concordato minore: se serve coinvolgere creditori in un voto e c’è attività da salvare. – Liquidazione controllata: se non si riesce a pagare e si vuole passare attraverso vendita beni per chiudere i conti. – Esdebitazione immediata incapiente: se proprio non c’è nulla e la prospettiva è nera.

Va ricordato che tutte queste procedure passano tramite l’intervento di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi), istituito presso camere di commercio e ordini professionali, che affianca il debitore e fa da tramite con il tribunale. Aggiornamento: La riforma consente anche la presentazione di procedure familiari cumulative : se più membri della stessa famiglia convivente sono indebitati, possono fare un’unica procedura per semplificare (utile se, ad esempio, marito e moglie sono entrambi garanti reciprocamente e indebitati, si fa un unico piano).

Liquidazione giudiziale (fallimento) ed esdebitazione dell’imprenditore

Per completezza, copriamo anche l’ipotesi in cui la ditta di corrieri, essendo soggetta a fallimento (liquidazione giudiziale), finisca proprio in tale procedura. La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale classica di insolvenza: un tribunale dichiara l’impresa insolvente, nomina un curatore che gestisce e liquida l’attivo, mentre il debitore perde la disponibilità dei beni. Per le imprese di trasporto, come per tutte, ciò avviene se ricorrono i presupposti: insolvenza conclamata, e non si è scelta volontariamente un’altra procedura prima (un concordato) e l’impresa è tra i soggetti fallibili. Es: una S.r.l. di trasporti abbastanza grande, con creditori che hanno fatto istanza, verrà posta in liquidazione giudiziale.

Dal punto di vista del debitor-impresa, a questo punto il destino dell’azienda come entità economica è segnato: viene spenta. I beni (camion, immobili, crediti) verranno venduti dal curatore per pagare i creditori secondo gradui. I contratti di lavoro dipendenti vengono sciolti (con possibilità per i lavoratori di accedere a Fondo di garanzia e NASpI). L’attività termina a meno che il curatore riesca a esercitare provvisoriamente l’impresa per venderla (affitto d’azienda e cessione a terzi, ma la vecchia compagine non la riprende). Quindi come strumento di difesa del debitore il fallimento non è certo desiderabile: è quello che si cercava di evitare con tutte le soluzioni sopra. Tuttavia, dal punto di vista del debitore persona fisica (nel caso di ditte individuali o soci illimitati), anche il fallimento ha un risvolto positivo oggi: la esdebitazione del fallito. Dopo la chiusura della procedura, l’imprenditore persona fisica ha diritto (salvo eccezioni per frodi) di essere liberato dai debiti concorsuali rimasti insoddisfatti . Questo era già previsto dalla legge fallimentare (art.142 l.f.), e il CCII lo conferma in art. 278: decorsi 3 anni dall’apertura (o anche al termine se prima) il tribunale accorda l’esdebitazione al debitore meritevole. Adesso è addirittura prevista “automatica” su richiesta del curatore se non ci sono opposizioni, per favorire il fresh start . Dunque, anche chi finisce in liquidazione giudiziale ha una luce in fondo al tunnel: potrà ripartire pulito dai debiti (eccetto, come sempre, quelli non liberabili: alimenti, risarcimenti danni da fatto illecito, sanzioni penali/amministrative pecuniarie, che restano). Ciò è coerente con la normativa europea e nazionale volta a dare seconda chance.

In alcune situazioni, paradossalmente, chiedere il proprio fallimento può essere una scelta difensiva: quando uno sa di non poter salvare l’impresa e vuole soltanto far partire l’orologio dei 3 anni per liberarsi dei debiti personali. Specie prima della L.3/2012, imprenditori non fallibili erano a volte penalizzati perché non avevano quel meccanismo e restavano con debiti a vita se non li pagavano; ora l’hanno anche loro via procedure sovraindebitamento. Ma un imprenditore fallibile potrebbe autodenunciarsi insolvente e far aprire la procedura, collaborare col curatore (evitando guai) e alla fine ottenere l’esdebitazione. Questo succede ad esempio con imprese individuali medio-grandi: sanno di essere insolventi irreversibilmente, non vogliono (o non possono) fare concordato, allora tanto vale la liquidazione giudiziale. Inoltre, il CCII ha tolto l’onta del termine “fallito” per le persone fisiche, preferendo la locuzione “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale”, nel tentativo di ridurre lo stigma.

Riassumendo: il fallimento non è una scelta preferibile, ma se accade, il debitore deve: – Collaborare con organi (evita incriminazioni). – Sapere che perderà i beni, ma in cambio, se si comporta onestamente, uscirà dai debiti residui con l’esdebitazione dopo qualche anno . – Utilizzare la fase di procedura per eventualmente trovare acquirenti di beni in modo da massimizzare attivo (può suggerire al curatore). – Può anche usufruire di opportunità normative come la chiusura anticipata per insufficienza attivo (il CCII consente chiusura se attivo irrisorio, dopodiché il debitore persona fisica può chiedere subito esdebitazione senza aspettare 3 anni in alcuni casi). – Tenere presente che se ha commesso atti dolosi verso creditori, l’esdebitazione gli può essere negata o revocata. Ma se la condotta è corretta e non c’è opposizione motivata di creditori (ad esempio che ha nascosto redditi), normalmente viene concessa.

Nota finalissima su normative recenti: a livello di fonti normative, le principali che abbiamo toccato sono: – Regio Decreto 267/1942 (vecchia legge fallimentare) ormai in gran parte abrogata. – D.lgs. 14/2019 (Codice crisi) e i suoi correttivi D.lgs. 147/2020, 83/2022, 136/2024. – Legge 3/2012 (sovraindebitamento) integrata ora nel Codice ma principi ancora validi. – DPR 602/1973 (riscossione tributi) art.36 per respons. liquidatori e soci . – Codice civile (responsabilità soci 2495, 2476, 2394, ecc.) .

Di ciascuna abbiamo citato rilevanze con sentenze e commenti dottrinali per sottolineare come vanno interpretate alla data odierna (sett. 2025).

Tabella di confronto – Principali procedure concorsuali per un’impresa di trasporto debitrice:

Procedura/StrumentoChi può accedereEffetti principaliVantaggiSvantaggi/Note
Concordato preventivoImprese fallibili (S.r.l., S.n.c., ditte sopra soglia).Sospende azioni esecutive; piano votato da creditori (≥50%); riduzione debiti con pagamento parziale; possibile continuità azienda.Mantiene controllo (gestione sotto vigilanza); cancella debiti residui a esecuzione; salva l’azienda se in continuità.Procedura complessa e costosa; richiede maggioranza creditori; pubblicità negativa. In caso di inadempimento, rischio fallimento successivo.
Accordo di ristrutturazione (ex art.57 CCII)Imprese (anche fallibili) in crisi che raccolgono adesione ≥60% creditori.Accordo privato omologato; vincola aderenti; creditori non aderenti vanno pagati integralmente salvo diversa adesione .Meno formalità del concordato; negoziato flessibile; tempi più rapidi; possibili transazioni mirate (es. con banche).Non coinvolge automaticamente tutti i creditori (bisogno pagarne alcuni in full); nessun cram down generale; richiede sostegno di maggioranza in anticipo.
Piano attestato di risanamentoQualsiasi impresa in temporanea difficoltà.Piano di risanamento asseverato da esperto; accordi privati con creditori; nessuna omologa, solo comunicazione facoltativa registro imprese.Completamente stragiudiziale (riservato); evita procedure concorsuali; tutela pagamenti da revocatoria fallimentare.Nessuna protezione legale contro esecuzioni durante trattative; successo dipende da volontà creditori senza poteri coercitivi.
Composizione negoziataImprese in squilibrio patrimoniale o economico.Esperto terzo facilita accordi; possibili misure protettive autorizzate (stop pignoramenti fino 180g); esito in accordi o proposta concorsuale.Approccio flessibile e precoce; protezione temporanea anche senza procedura formale; può condurre a qualsiasi soluzione (accordo, concordato, vendita azienda…).Non garantisce esito (è negoziazione volontaria); serve cooperazione creditori; se fallisce, si torna a scenario pregresso (o si devia verso concordato).
Piano del consumatore (ristrutt. debiti consumatore)Persona fisica non fallibile con debiti da esigenze personali (anche promiscuamente imprenditoriali cessati).Tribunale omologa piano di pagamento senza voto creditori ; debiti falcidiati secondo possibilità del debitore; durata max indicativa 5-7 anni; controllo OCC.Nessun bisogno di consenso creditori (decisione giudice); può ridurre fortemente il debito in base al reddito disponibile; al termine esdebitazione totale dei residui .Riservato a debiti personali/non professionali principalmente; giudice valuta meritevolezza e può rigettare se debitore colpevole; impone austerità finanziaria durante piano.
Concordato minoreDebitore non fallibile (piccolo imprenditore, ente non profit, ecc.) non consumatore.Procedura concorsuale semplificata: piano proposto con voto creditori ≥50%; possibile continuità o liquidazione; omologa tribunale, OCC gestore.Coinvolge creditori in decisione (più legittimazione dell’esito); falcidia debiti possibile; applicabile anche a piccole società.Richiede maggioranza creditori; formalità (anche se minori di concordato preventivo); se omologato, vincola tutti come concordato, ma se fallisce non c’è altra chance se non liquidazione controllata.
Liquidazione controllata (sovraindebitamento)Qualsiasi soggetto non fallibile insolvente (persona fisica o ente).Liquidazione giudiziale semplificata: nominato liquidatore OCC; venduta ogni attività; dopo 3 anni debitore persona fisica ottiene esdebitazione automatica ; creditori ricevono riparto pro-quota.Permette liberazione dai debiti anche se non si paga quasi nulla (fresh start dopo 3 anni) ; durante procedura, debitore protetto da azioni individuali (confluiscono tutte lì).Debitore perde il patrimonio (come nel fallimento); procedura concorsuale con possibili restrizioni (es. sacrificio beni personali); rimangono esclusi da esdebitazione debiti non eliminabili (multe, alimenti, etc.).
Esdebitazione incapientePersona fisica sovraindebitata assolutamente priva di beni e redditi.Cancellazione totale debiti senza pagare nulla immediatamente, su decreto tribunale ; se nei 4 anni successivi il debitore percepisce utilità >10% debiti, revoca beneficio per far pagare creditori (in quel limite) .Estinzione debiti immediata, chance di ripartenza anche per chi non può offrire alcuna utilità; prima non esisteva soluzione per i nullatenenti se non rimanere a vita perseguitati.Accesso molto selettivo: accordato solo a debitori meritevoli e totalmente incapienti; una tantum nella vita; se situazione economica migliora sensibilmente entro 4 anni, parte delle nuove risorse va ai vecchi creditori (revoca parziale).

(Legenda: OCC = Organismo di Composizione Crisi; prededucibile = credito che sarà pagato prima degli altri in caso di procedura concorsuale; falcidia = riduzione dell’importo dovuto; stay = sospensione azioni dei creditori.)

Strategie pratiche per il debitore: cosa fare

Dopo aver passato in rassegna strumenti formali e aspetti giuridici, torniamo sul piano pratico: cosa dovrebbe fare concretamente un imprenditore di trasporti indebitato per difendersi e gestire al meglio la situazione? Ecco una serie di passi e consigli operativi dal punto di vista del debitore:

Valutare la situazione finanziaria e stilare un piano

La primissima cosa da fare di fronte a una crisi di debiti è avere chiara la fotografia di tutti i debiti e creditori. Bisogna elencare: – Quali debiti, verso chi, di che importo, con quali scadenze. – Distinguere i debiti privilegiati/garantiti (es. ipotecari, leasing, Fisco privilegiato) dai chirografari (fornitori, banche senza garanzie). – Verificare lo stato delle azioni: ci sono decreti ingiuntivi già emessi? Pignoramenti in corso? Cartelle esattoriali notificate? Classificare per urgenza (un pignoramento in arrivo è più urgente di una rata scaduta senza azioni ancora).

Parallelamente, va analizzata la situazione attiva: quali beni e risorse ha l’impresa e il titolare? (Automezzi, immobili, crediti da incassare, ordini futuri, ecc.). E la capacità di generare flussi di cassa: l’attività può ancora produrre utile? Oppure è in perdita e destinata a peggiorare?

Con questi dati, possibilmente con l’aiuto di un professionista esperto in crisi d’impresa, si deve elaborare un piano di azione. Ad esempio: – Se l’attività è strutturalmente sana ma soffre di un debito pregresso e di temporanea illiquidità, l’obiettivo sarà ristrutturare il debito mantenendo l’azienda in funzione. Quindi si punterà a dilazioni, accordi, concordato in continuità, ecc. – Se invece il settore è in declino o l’impresa non è più competitiva (es. contratti persi, costi insostenibili come carburante, ecc.), potrebbe essere che la soluzione migliore sia liquidare ordinatamente, vendere quel che si può (magari l’azienda stessa a un concorrente) e ridurre i danni, poi cercare l’esdebitazione. In tal caso può convenire un concordato liquidatorio o un accordo di cessione beni. – O, caso estremo, se non c’è nulla da salvare, optare per la liquidazione controllata o fallimento e fine.

Questa valutazione iniziale è cruciale e spesso difficile da fare da soli. Ecco perché il Codice della crisi obbliga le imprese a dotarsi di assetti contabili adeguati a rilevare la crisi tempestivamente (art. 3 CCII) e prevede allerta (anche se su allerta l’operatività per ora è limitata). In pratica, l’imprenditore dovrebbe non aspettare che sia troppo tardi.

Rinegoziare e dilazionare con i creditori chiave

Una volta consapevole dei numeri, un passo immediato (salvo casi in cui si opta subito per procedure formali) è parlare con i creditori, soprattutto quelli principali, per cercare accordi di rientro o dilazione informale. Molti creditori preferiscono una transazione amichevole a lunghe azioni legali dall’esito incerto. Ad esempio: – Banche: se il problema è il pagamento delle rate di mutuo o leasing, contattare subito la banca per chiedere una moratoria o una rimodulazione del debito. Spesso le banche concedono sospensioni di 6-12 mesi sulle quote capitale dei mutui (pagando solo interessi) in caso di difficoltà temporanee. Oppure estendono la durata del prestito per abbassare la rata. Nel 2020-21 con Covid vi erano addirittura moratorie generalizzate. In mancanza di provvedimenti straordinari, molte banche comunque valutano caso per caso. Importante fornire un piano credibile: ad esempio, “ho avuto un calo quest’anno, ma con questa dilazione riesco a riprendermi”. Se già il debito è in sofferenza, si può negoziare un saldo e stralcio: magari la banca accetta il 70% a saldo se porti un acconto immediato (magari tramite un nuovo investitore o parente). Attenzione: un vantaggio di accordarsi bonariamente è evitare segnalazioni negative ulteriori (pignoramenti, ipoteche), mantenendo un rapporto decente. – Fisco (Agenzia Entrate Riscossione): per cartelle esattoriali, come detto, c’è la via della rateizzazione amministrativa. Appena ci si accorge di non poter pagare, presentare domanda di dilazione. Fino a €120.000 è quasi automatica su 6-7 anni , e oltre va documentata ma fattibile. Se già c’è una rateazione attiva, ma non si riesce a star dietro, valutare le nuove norme: dal 2025 la decadenza scatta con 8 rate non pagate (prima era 5) , c’è più tolleranza. Quindi cercare di mantenersi in piano. Se i debiti fiscali sono enormi e l’azienda in crisi irreversibile, una transazione fiscale dentro un concordato potrebbe tagliarli; ma in sede stragiudiziale pura l’Agenzia difficilmente sconta (tranne adesione in accordo 182-bis se convincibile con prospettiva fallimento peggiore per loro). – INPS: ugualmente, chiedere rateazione contributi (INPS concede fino 24 rate, a volte 36, per debiti correnti; per avvisi già a ruolo si va con Agenzia Riscossione come per le imposte). Se situazioni particolari (ad es. debiti su più gestioni), farsi assistere da consulente del lavoro per piani ad hoc. – Fornitori strategici: parlare apertamente, prima che perdano la pazienza. Spesso un fornitore di carburante o gomme preferisce dilazionare un vecchio credito su 12 mesi senza interessi, piuttosto che fare causa e rischiare di perdere un cliente (e magari vedersi offrire 20% in un fallimento). Mostrare la volontà di pagare e magari fornire qualcosa in garanzia (effetti cambiari, impegno fiduciario, ecc.) può aiutarli a fidarsi. Se il fornitore ha già avviato decreto ingiuntivo, si può comunque transare: magari offrendogli un piccolo acconto ora e il resto a rate, in cambio ritira l’ingiunzione. – Clienti debitori: in parallelo, spingere per incassare i propri crediti. A volte i corrieri hanno crediti verso committenti più grandi che pagano a 90 giorni o ritardano. In crisi di liquidità, andare dal cliente e proporre uno sconto per pronto pagamento può valere la pena (meglio il 95% oggi che 100% tra 6 mesi se nel frattempo si affoga). Oppure cedere i crediti pro-soluto a factor (costa ma dà liquido). L’importante è non restare passivi: la gestione attiva del circolante riduce il fabbisogno finanziario e i debiti correlati.

Documentare questi contatti e accordi è utile. Se poi si entrasse in una procedura concorsuale, i tentativi di accordo fatti prima mostrano la buona fede del debitore.

Adoperare gli strumenti di legge (concordato, accordi, sovraindebitamento) al momento giusto

Se la rinegoziazione informale non basta o non è possibile, occorre attivare per tempo gli strumenti formali descritti. La tempistica è critica: presentare un concordato quando ormai i creditori hanno pignorato tutto può essere tardivo; al contrario, farlo troppo presto, quando magari una trattativa privata poteva risolvere, comporta costi inutili. Quindi serve equilibrio: – Se iniziano i pignoramenti multipli o c’è istanza di fallimento in arrivo, è il segnale per un concordato preventivo urgente (anche in bianco) o per aprire la composizione negoziata e ottenere protezione. Ad es., arriva convocazione in tribunale su istanza di creditore: depositare domanda concordato in bianco prima dell’udienza blocca tutto per legge (sospende decisione fallimento e ferma esecuzioni). – Se l’indebitamento è pesante ma ancora gestibile col tempo e la maggioranza creditori è ragionevole, tentare accordo 182-bis può essere preferibile (meno traumatico). – Per un soggetto persona fisica sommerso, non aspettare troppi anni nella speranza di pagare miracolosamente. Dopo alcuni tentativi falliti, meglio rivolgersi a OCC per avviare un piano del consumatore o liquidazione: ogni anno che passa aumentano interessi, sanzioni e si compromette la vita (fermi, segnalazioni). Molti casi di successo della legge 3/2012 sono stati di persone che hanno tagliato 70-80% debiti e si sono rifatte una vita. L’esitazione viene spesso dallo stigma o dalla non conoscenza: invece sono opportunità legali e, come visto, la legge è dalla parte del debitore onesto. – Consulenza professionale specializzata: appena la situazione appare complessa, coinvolgere un professionista (avvocato d’impresa, commercialista specializzato in crisi, o direttamente un OCC). Essi possono proporre soluzioni creative: ad esempio un “pre-pack” (cessione pre-concordataria dell’azienda a investitore interessato seguita da concordato liquidatorio per creditori), oppure un consolidamento delle esposizioni bancarie, etc.

Un aspetto psicologico: il titolare di una piccola azienda spesso vive la situazione di insolvenza con vergogna o la percezione di fallimento personale. Questo può portare a rimandare le decisioni sperando in un colpo di fortuna. È comprensibile umanamente, ma spesso rovinoso. Affrontare di petto la realtà e usare gli strumenti giuridici è segno di responsabilità, non di resa. In molti casi, ricorrere a un concordato o a una procedura di sovraindebitamento ha salvato l’abitazione familiare o l’attività residua, mentre l’inerzia avrebbe portato a pignoramenti disordinati e magari alla perdita di tutto.

Tutelare i beni essenziali (casa, strumenti di lavoro, mezzo di sostentamento)

Abbiamo visto che la legge offre alcune tutele per ciò che è essenziale alla vita e al lavoro del debitore. Il debitore dovrebbe sfruttarle al meglio: – Se la casa di abitazione è a rischio (ipoteca da Equitalia, o pignoramento da banca), valutare se vendere l’immobile volontariamente per soddisfare il creditore e magari ricavare qualcosa in più (evitando l’asta). Oppure, se preferisce salvarla, una strada può essere la conversione del pignoramento (ossia trovare risorse – magari un mutuo da terzi – per pagare il debito e liberare la casa). Nelle procedure da sovraindebitamento, talvolta i giudici hanno escluso la vendita della casa se con ciò il debitore resterebbe privo di alloggio e il ricavato andrebbe tutto alla banca ipotecaria senza vantaggio per chirografari (cioè nessun vantaggio concorsuale). Però non è garantito. Un’altra tutela è la sospensione della vendita: ad esempio, l’art. 41-bis del DL 124/2019 consente al debitore esecutato sulla prima casa di chiedere una sospensione fino a 6 mesi se dimostra che può saldare i creditori (un “ultimo appello”). – Per i veicoli strumentali: se è un bene indispensabile, come il furgone unico di un autonomo, ricordare all’ufficiale giudiziario la norma dell’impignorabilità relativa . Se questi lo ignorasse e pignorasse lo stesso, attivarsi subito con l’opposizione ai sensi art. 615 c.p.c. o far intervenire un legale che contatti il creditore per evidenziare l’illegittimità (spesso si risolve extra-giudizialmente: il creditore può rinunciare al pignoramento di quell’oggetto per non vedersi annullare l’asta dopo). – Se il conto corrente è bloccato da pignoramento, valutare se è possibile ottenere sblocco parziale per vivere: la legge non prevede espressamente di lasciare una quota per spese aziendali, ma il giudice può modulare l’assegnazione. Ad esempio, in qualche caso i giudici hanno ritardato l’assegnazione delle somme per permettere al debitore di usare parte di incassi per proseguire l’attività, se c’era prospettiva di miglior soddisfo generale (è un po’ fuori schema, ma si può tentare). In generale conviene avere conti separati: tenere un conto personale distinto dal conto aziendale, così se uno viene colpito si può usare l’altro per spese quotidiane. Se sei ditta individuale è dura perché i creditori colpiscono tutto a tuo nome, ma magari tenere il conto cointestato con il coniuge per spese familiari (anche se attenti: i creditori possono pignorare anche la quota del cointestatario, presumendo 50% di pertinenza del debitore). – Assicurare beni: se c’è rischio di incendio o furto di beni pignorati o ipotecati, tenerli assicurati. Perché se succede il sinistro, l’assicurazione paga e quell’indennizzo va al creditore, liberando l’eventuale residuo di debito (ad es., un camion ipotecato va a fuoco: se c’è polizza, la banca prende indennizzo e magari estingue debito; se non c’è, resta solo il debito e niente bene).

Evitare comportamenti pregiudizievoli o illegali

Nella difficoltà, può venire la tentazione di mettere in atto stratagemmi tipo nascondere beni, intestare a terzi, falsificare documenti per ottenere nuovi prestiti, pagare “sotto banco” alcuni creditori amici e lasciare altri a bocca asciutta, ecc. È fondamentale resistere a queste tentazioni, per diversi motivi: – Molti di questi atti possono costituire reati (si pensi alla distrazione di beni in previsione di fallimento = bancarotta fraudolenta patrimoniale; o occultamento di libri = bancarotta documentale; o alla simulazione di crediti = reato; fino all’auto-cavillare sui bilanci = false comunicazioni societarie). – Anche se non penalmente rilevanti, possono portare a azioni revocatorie: es. vendere un immobile al fratello a prezzo vile per evitare ipoteca – il curatore poi lo revoca e lo recupera, con aggravio di costi e tempo perso, e intanto si potrebbe essere esclusi dall’esdebitazione per atto in frode. – Pagare preferibilmente qualcuno (tipo restituire prestito all’amico e non pagare Equitalia) se poi si finisce in procedura concorsuale, quel pagamento può essere revocato (entro 6 mesi se era non oltre soglia, o 2 anni se persona affine) e addirittura può configurare bancarotta preferenziale se era già insolvente il debitore.

Invece, agire alla luce del sole, consultando i creditori nella legalità, paga sul lungo termine: il tribunale valuterà la meritevolezza proprio guardando se ci sono state frodi o favoritismi . Un debitore trasparente ha molte più chance di ottenere l’omologazione di un piano o l’esdebitazione, mentre uno che ha fatto il furbo la vedrà negata (e rimarrà con i debiti e magari pure condanne).

Evitare anche ulteriori indebimenti spropositati: c’è chi in crisi ricorre a usurai o a finanziarie spregiudicate aggravando il buco (cercando di tappare con tassi altissimi). O a peggiorare, compra merce a credito che sa di non poter pagare per avere liquidità (questo è potenzialmente truffa se fatto senza intenzione di pagare). La legge premia chi non aggrava colposamente la situazione: Cassazione ha negato l’esdebitazione a chi aveva continuato a fare altri debiti sapendo di essere insolvente, definendolo comportamento irresponsabile. Quindi, quando ci si rende conto di essere in uno stato di sovraindebitamento, andrebbe ridotta al minimo l’assunzione di nuovo debito (salvo quello eventualmente autorizzato in una procedura – es. finanziamento prededucibile per far ripartire l’impresa – ma quello ha un contesto di supervisione).

Se l’azienda è in difficoltà e ha dipendenti, non occorre scappare: meglio eventualmente attivare strumenti di gestione del personale (come cassa integrazione se ammissibile, o accordi di riduzione organico) in modo da non accumulare troppi debiti per stipendi e TFR, che oltre al peso morale portano guai legali (ingiunzioni rapide, istanze fallimento, denunce per mancato versamento contributi). Può sembrare impopolare, ma a volte ridurre il personale subito salva l’azienda e consente di pagare almeno il dovuto a chi resta.

Comunicazione e trasparenza

In un contesto di crisi, comunicare in modo appropriato con le controparti è una abilità difensiva. Significa: – Informare proattivamente i creditori delle proprie difficoltà, senza aspettare che perdano la pazienza totalmente. Molti creditori apprezzano la sincerità e la volontà di trovare soluzioni. – Allo stesso tempo, non fare promesse irrealistiche: “ti pago tutto il mese prossimo” quando si sa che è impossibile – questo distrugge la credibilità. Meglio negoziare tempi più lunghi ma poi rispettarli, piuttosto che brevi e sgarrare di nuovo. – Documentare per iscritto gli accordi presi, così da evitare fraintendimenti e per avere prove in caso di successive contestazioni. – Tenere informati anche eventuali soci, investitori o garanti della situazione: se un socio di capitale sa in anticipo dei problemi, potrebbe decidere di iniettare fondi freschi per salvare la società (se vede un piano convincente). Un garante personale (es. il coniuge che ha garantito un mutuo) dovrebbe essere coinvolto nelle scelte, per non subire passivamente l’escussione poi.

Inoltre, ricorrere a consulenti (commercialista, avvocato) per la comunicazione con creditori può calmare le acque: quando un creditore vede che il debitore ha coinvolto un professionista e sta predisponendo un piano serio, sarà più incline a concedere tempo rispetto a quando lo vede disorganizzato e in panico. Un consulente può scrivere ai creditori spiegando: “Il sig. X sta elaborando con il mio studio un piano di ristrutturazione, vi chiediamo di sospendere azioni esecutive e partecipare a un incontro…” – insomma professionalizzare il dialogo.

Considerare la continuità o la cessazione dell’attività

Dal punto di vista pratico, il debitore-imprenditore deve decidere se tentare di salvare l’azienda (continuità) o prepararsi a chiuderla (liquidazione). Questa scelta impatta sulle strategie: – Se punta alla continuità, deve preservare gli asset funzionali: ad esempio, mantenere i contratti chiave con clienti (evitando che vengano risolti per inadempimento, magari consegnando anche in perdita temporaneamente pur di non perdere il cliente), tenere in efficienza i mezzi (non lesinare su manutenzione critica, altrimenti i mezzi si fermano e addio ripresa), motivare il personale chiave a restare (magari con accordi di pagamento degli arretrati). In parallelo, deve cercare risorse: investitori? soci disposti a mettere capitali? vendere asset non essenziali per fare cassa? Tutto ciò per superare la fase critica e tornare profittevole. – Se invece la situazione è irreversibile e si opta per cessazione, conviene farlo in modo ordinato: completare le commesse in corso per incassare il più possibile, vendere i mezzi prima che vengano pignorati (meglio vendere tu e pagare qualcosa ai creditori che farli prendere dal tribunale svenduti al 20% del valore), licenziare i dipendenti con tutte le carte in regola per far attivare loro il Fondo di Garanzia INPS (così almeno TFR e stipendi gli vengono pagati da INPS e tu ti levi quel debito privilegiato, rimborsando poi l’INPS eventualmente in concorso). Avere contabilità e documenti in ordine al momento di chiudere, così da evitare accuse di irregolarità. Questo approccio “soft landing” può passare attraverso un concordato liquidatorio, oppure se non possibile, almeno mettendo i libri in tribunale (ma con le carte a posto). – In taluni casi, l’imprenditore decide di proseguire l’attività in altra forma liberandosi del “fardello”: esempio tipico, costituire una nuova società pulita e spostare lì le attività sane, lasciando la vecchia indebitata da liquidare. Attenzione: questo si può fare legalmente solo se si rispettano certe regole (valore equo, non confondere patrimoni, etc.), altrimenti i creditori potrebbero fare azioni revocatorie o accusare di bancarotta. Un modo regolare è vendere/affittare l’azienda dalla vecchia società alla nuova a prezzo di mercato, e usare quel ricavato per i creditori tramite concordato. Il curatore/commissario controlla che sia tutto equo. Così il business continua in newco e oldco paga il possibile e chiude. Questa tecnica è nota come phoenix company se fatta scorrettamente (risorge dalle ceneri lasciando i debiti a terra: illegale se fatto senza soddisfare creditori), ma se fatta in procedura con trasparenza può essere lecita.

In sintesi, decidere “mollo o insisto” è fondamentale. Molti errori derivano da insistere troppo a lungo in continuità quando non c’è speranza, bruciando valore che poteva andare ai creditori o salvare qualcosa. Al contrario, arrendersi troppo presto può far perdere opportunità di risanamento. È una decisione che va presa con mente fredda, dati alla mano e, preferibilmente, consiglio di esperti.

In conclusione di questa sezione, difendersi dai debiti per un corriere/imprenditore significa combinare: – Conoscenza dei propri diritti e strumenti legali (rateizzazioni, procedure concorsuali, ecc.), – Attività negoziale e gestionale accorta (parlare coi creditori, tagliare costi, raccogliere risorse), – Integrità e trasparenza (evitare scorciatoie illecite, mantenere la fiducia dove possibile), – Tempestività nel prendere iniziative (non aspettare di essere con l’acqua alla gola per agire).

Con questo mix, anche una situazione debitoria grave può spesso trovare una via d’uscita dignitosa, che bilanci i sacrifici tra debitore e creditori e consenta magari di continuare l’attività o, quanto meno, di ripartire senza il peso opprimente dei debiti passati.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito alcune domande ricorrenti che si pongono i titolari di ditte di corrieri indebitate, con risposte sintetiche:

D: La mia ditta individuale di trasporti è sommersa dai debiti (fiscali, fornitori, banca). Posso evitare il fallimento?
R: Sì, se rientri nei limiti di legge che ti qualificano come sovraindebitato non fallibile (es. debiti sotto €500.000, ricavi sotto €200.000…) , non sei soggetto a fallimento ma alle procedure di sovraindebitamento. Puoi ad esempio presentare un piano del consumatore o un concordato minore per ristrutturare i debiti. Se invece superi quelle soglie e un creditore chiede il fallimento, puoi comunque proporre un concordato preventivo (anche “in bianco”) per bloccarlo e cercare un accordo . In estrema ratio, se la situazione è irrimediabile, a volte conviene la liquidazione volontaria e poi chiedere l’esdebitazione come persona fisica . Quindi il fallimento si può spesso evitare o trasformare in qualcosa di gestibile.

D: Cosa rischio personalmente se la mia S.r.l. di trasporti fallisce con debiti? I creditori potranno venire contro di me come socio o amministratore?
R: In generale, per una S.r.l. vale la responsabilità limitata: i creditori sociali non possono aggredire il patrimonio personale dei soci per il solo fatto che la società non paga . Anche l’amministratore non è co-obbligato per i debiti (a meno di garanzie firmate) . Quindi, se la S.r.l. fallisce, i creditori faranno valere i loro diritti nel fallimento; i soci perderanno le quote ma non pagano i debiti sociali residui. Eccezioni: se hai firmato fideiussioni (molto comune con le banche/leasing), allora il creditore garantito potrà chiedere a te di pagare in base a quella garanzia. Inoltre, se come amministratore hai commesso irregolarità gravi (tipo pagato preferenzialmente qualcuno, sottratto beni, occultato contabilità), potresti essere citato per responsabilità o addirittura perseguibile per bancarotta. Ma se hai agito correttamente e semplicemente l’azienda è andata male, non rischi richieste dirette di pagamento (a parte il citato caso del Fisco in liquidazione ex art.36 DPR 602/73 se applicabile) . Consigliabile comunque cooperare col curatore nel fallimento per evitare contestazioni e per ottenere l’esdebitazione finale.

D: Ho debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (cartelle) per oltre €100.000 e ho in proprietà solo la prima casa in cui vivo. Possono portarmela via?
R: Se la casa è prima ed unica casa di abitazione, non di lusso, Agenzia Entrate-Riscossione non può pignorare né far vendere all’asta quell’immobile . Può però iscrivere ipoteca a garanzia se il debito supera €20.000, e quella ipoteca resterà finché non paghi (impedendoti di venderla liberamente). E attenzione: se tu possedessi anche un altro immobile (anche un terreno piccolo), la protezione salta e la casa diventerebbe pignorabile dal Fisco come qualsiasi altro bene. Quindi, finché è tua unica casa e ci risiedi, sei protetto dall’esecuzione esattoriale . Resta il fatto che il debito rimane: conviene cercare di rateizzarlo (oggi puoi ottenere fino a 84-120 rate) o eventualmente ridurlo con strumenti come transazione fiscale in un concordato. I creditori privati invece (banche, ecc.) potrebbero pignorare la casa, perché quel divieto vale solo per il Fisco. Ma nel tuo caso il grosso è AER, quindi la casa è salva da loro.

D: Ho ricevuto un “Preavviso di Fermodal PRA” per i miei furgoni a causa di cartelle esattoriali non pagate. Cosa posso fare per non fermare la mia attività?
R: Il preavviso di fermo amministrativo sui veicoli indica che hai 30 giorni per agire prima che scatti il fermo effettivo (che ti impedisce di circolare legalmente) . Le opzioni sono: pagare o rateizzare il debito tributario a ruolo – se presenti istanza di rateazione e questa viene accolta, puoi chiedere all’Agenzia Riscossione la sospensione/revoca del fermo, permettendoti di continuare a usare i mezzi (di solito previo pagamento di qualche rata). In alcuni casi, se i veicoli sono strumentali all’impresa, potresti chiedere all’Agenzia di limitare il fermo ad alcuni mezzi e lasciare circolarne almeno uno per la continuità lavorativa, ma non è un diritto sancito (è discrezionale). Ricorda che fino a quando il fermo non è formalizzato, puoi anche vendere il veicolo (se trovi accordo con un acquirente) ma è una mossa estrema e temporanea. Meglio negoziare la dilazione. In parallelo, valuta procedure come un concordato preventivo o un piano di ristrutturazione: se ne presenti domanda, le misure protettive potrebbero sospendere l’attuazione del fermo. Quindi, immediatamente: contatta AER, chiedi rateazione, paga la prima rata e fornisci prova per bloccare il fermo.

D: Quali debiti posso inserire in un “piano del consumatore” e quali no? Ho dei debiti personali (prestiti, carte) e alcuni dell’attività che avevo (contributi INPS e IVA non pagata).
R: Nel piano del consumatore puoi includere tutti i debiti che gravano sulla tua persona, di qualsiasi natura (fiscali, contributivi, bancari, verso privati) , tranne alcuni che la legge esclude espressamente dalla possibilità di esdebitazione: in particolare multe e sanzioni amministrative, e obblighi di mantenimento/familiari (alimenti al coniuge, ecc.) . Questi ultimi rimangono dovuti per intero e non vengono cancellati nemmeno a fine procedura. Quindi, i tuoi debiti di IVA e INPS puoi metterli nel piano – il giudice valuterà la proposta di pagarne una percentuale. Ad esempio, oggi è ammesso proporre pagamento parziale dell’IVA in un piano del consumatore (prima era controverso, ora la normativa lo consente con l’assenso del tribunale) . Anche i debiti bancari e personali certamente li includi. Se hai multe stradali o sanzioni (es. dell’Albo trasportatori), tecnicamente puoi inserirle nell’elenco, ma dovrai prevederne il pagamento integrale se vuoi il piano omologato, perché non falcidiabili (il giudice altrimenti non omologherebbe quella parte di proposta). Il piano del consumatore è molto flessibile: non hai bisogno di adesione creditori, puoi anche discriminare trattamenti (ad es. decidere di pagare 100% INPS e dare 30% alle banche – il giudice valuterà equità e fattibilità, ma non c’è voto). Quindi, in sintesi, puoi mettere dentro tutti i debiti, ma sappi che per alcuni (multe, alimenti) dovrai comunque pagare integralmente o lasciarli fuori sapendo che resteranno.

D: Ho firmato fideiussioni omnibus a garanzia di finanziamenti bancari per la mia cooperativa di trasporti, che ora è insolvente. Posso evitare di dover pagare personalmente alla banca?
R: Dipende dal tipo di fideiussione e dalle sue clausole. Se è la classica fideiussione ABI omnibus (con clausole di reviviscenza, rinuncia termini ex art.1957 c.c., ecc.), ci sono buone notizie: la Cassazione ha dichiarato nulle quelle clausole perché erano frutto di intesa restrittiva della concorrenza . In pratica, molti moduli fideiussori standard usati in passato da varie banche contengono quelle clausole (denominate solitamente 2, 6, 8). Se le tue fideiussioni risalgono a prima del 2012 circa e hanno quel testo standard, potresti far valere la nullità parziale o totale del contratto di garanzia. Ciò richiede un’azione giudiziale: tipicamente, quando la banca ti chiederà il pagamento (ingiunzione), farai opposizione eccependo la nullità per violazione antitrust e la banca dovrà dimostrare che la tua fideiussione non era “conforme allo schema ABI” sanzionato. Molte corti di merito hanno già liberato fideiussori su questa base . Se invece la tua fideiussione è specifica e negoziata, senza quelle clausole, allora è valida e vincolante: in tal caso l’unica via sarebbe negoziare con la banca un saldo e stralcio o attendere l’escussione e poi eventualmente cercare di includere il debito nella tua procedura di sovraindebitamento/esdebitazione (ma attenzione: i debiti da fideiussione, essendo commerciali, in piano consumatore sono ammessi se tu puoi qualificarti consumatore per il resto). Quindi, verifica con un avvocato le clausole della fideiussione . Se rientra nel modello nullo, puoi difenderti efficacemente e magari non pagare nulla. Se no, preparati a doverla onorare, salvo trovare un accordo transattivo con la banca.

D: Un mio camion è stato pignorato da un creditore. Era l’unico mezzo con cui lavoravo. Posso fare qualcosa per riaverlo o evitarne la vendita?
R: Sì, hai qualche carta da giocare. Innanzitutto, se era davvero l’unico mezzo indispensabile per la tua attività di autotrasportatore autonomo, esso è considerato bene strumentale indispensabile e la legge ne limita la pignorabilità . In teoria, l’ufficiale giudiziario non avrebbe dovuto pignorarlo (o se pignorarlo, solo entro 1/5 del suo valore, ma un veicolo non si può dividere). C’è giurisprudenza (Trib. Trani) che sostiene che l’unico bene strumentale è impignorabile . Quindi, puoi presentare un’opposizione al pignoramento presso il tribunale (art. 615 c.p.c.), allegando prove che quel camion ti era indispensabile e che non c’erano altri beni pignorabili di valore sufficiente. Se il giudice ti dà ragione, il pignoramento verrà dichiarato improcedibile e riavrai il camion libero . Questo va fatto tempestivamente, prima che sia venduto all’asta. Se l’opposizione è pendente, la vendita sarà sospesa. Un’alternativa, se magari hai trovato i fondi nel frattempo, è la conversione del pignoramento: depositando in tribunale una somma pari al debito, interessi e spese (anche rateizzabile in 36 mesi con 1/5 subito), ottieni di sostituire i beni pignorati col denaro e così recuperi il mezzo. Questa strada però implica avere soldi o un prestito. Infine, se sei già orientato verso un concordato o piano del consumatore, sappi che con l’apertura di tali procedure i pignoramenti in corso vengono sospesi e poi decadono con l’omologazione. Quindi inserire il creditore in una procedura concorsuale ti permetterebbe di liberare il bene (ma i tempi non sono rapidissimi). Riassumendo: , c’è margine legale per riavere il tuo camion invocando l’impignorabilità relativa , quindi consulta subito un legale per fare opposizione all’esecuzione.

D: Se ottengo l’esdebitazione (ad esempio dopo liquidazione o piano), verrò cancellato dalle banche dati cattivi pagatori? Posso ripartire con una nuova attività?
R: L’esdebitazione ti libera dai debiti residui verso i creditori coinvolti , il che legalmente significa che nessuno potrà più esigerli e tu torni ad essere solvibile. Sul piano dei registri creditizi privati (CRIF, Centrale Rischi, etc.), l’informazione dei precedenti insoluti potrebbe restare per un certo periodo: ad esempio, le segnalazioni in Centrale Rischi Bankitalia relative a sofferenze decadono dopo 36 mesi dall’ultima segnalazione o dalla chiusura della sofferenza, ma la banca in nota potrebbe indicare “chiusura per esdebitazione” ecc. Tuttavia, l’esdebitazione in sé non comporta un automatismo di pulizia creditizia, devi curare tu di aggiornare le posizioni: mostrare ai creditori e magari alle banche dati l’ordinanza di esdebitazione e richiederne l’annotazione (in alcuni casi viene fatto d’ufficio, in altri su istanza). Per quanto riguarda il ripartire con nuova attività, non c’è alcuna preclusione legale: con la riforma del 2019 anche il fallito esdebitato può tornare ad amministrare società subito (è stato abolito il periodo di interdizione). Quindi sì, puoi aprire una nuova ditta o società dopo l’esdebitazione. Considera però che la tua reputazione creditizia presso le banche potrebbe essere da ricostruire: inizialmente avrai difficoltà ad ottenere nuovi finanziamenti perché risulterà il passato default (anche se chiuso). Ma col tempo e con una nuova storia pulita, potrai riacquistare fiducia. L’esdebitazione è pensata proprio per permettere economicamente la ripartenza – tant’è che è un diritto costituzionalmente orientato ora. Quindi, una volta ottenuta, concentrati sul nuovo progetto, usa magari autofinanziamento all’inizio o fonti alternative, e pian piano il sistema ti reintegrerà. Da un punto di vista legale, non c’è nessun impedimento ad essere socio o amministratore di una nuova società post-esdebitazione (mentre durante un fallimento in corso ci sono limitazioni). Insomma, : l’esdebitazione è il tuo “fresh start” e, risolti i tecnicismi di aggiornare le varie banche dati, potrai presentarti come soggetto senza strascichi di debiti passati.

Esempi pratici e casi simulati

Per comprendere meglio come si applicano questi principi nella realtà, esaminiamo tre scenari pratici tipici di ditte di corrieri indebitate e le possibili soluzioni attuabili.

Caso 1: Ditta individuale di corriere con debiti fiscali e bancari – Piano del consumatore

Scenario: Mario è un corriere artigiano (ditta individuale) con un furgone di proprietà. Negli ultimi anni ha accumulato circa €150.000 di debiti: €60.000 con Agenzia Entrate (IVA e IRPEF non versati, interessi e sanzioni incluse) e €40.000 con INPS (contributi mancati), più €50.000 tra prestiti bancari e fornitori (carburante, meccanico). Mario ha anche un mutuo residuo sulla casa (prima casa) che però ha sempre pagato a fatica. A causa della crisi, ora il fatturato mensile copre a malapena le spese vive; Mario ha provato a rateizzare le cartelle, ma non riesce a onorare le rate e sta per decadere dal piano. L’INPS gli ha notificato un avviso di addebito e la banca del prestito minaccia un decreto ingiuntivo. Mario ha 55 anni, poca liquidità e teme di perdere tutto e non poter più lavorare.

Soluzione applicata: Mario si rivolge a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) presso la Camera di Commercio. Con l’aiuto di un gestore della crisi, prepara un piano del consumatore. Dapprima, l’OCC verifica che Mario sia qualificabile come consumatore: anche se i debiti originano dalla sua attività d’impresa, egli è un piccolo imprenditore non soggetto a fallimento e soprattutto il piano viene impostato come ristrutturazione dei debiti personali di Mario. Infatti, Mario deciderà di cessare l’attività autonoma appena avviata la procedura, e ha già prospettive di farsi assumere come autista dipendente presso una cooperativa. In tal modo, i debiti verranno trattati tutti come suoi debiti personali (non più come obbligazioni di un’impresa in esercizio).

Il piano prevede che: Mario venderà il furgone (stimato €15.000) e consegnerà il ricavato alla massa dei creditori. Inoltre, essendosi trovato un nuovo impiego da dipendente con stipendio netto di €1.400, si impegna a versare ai creditori €300 al mese per 5 anni, trattenendone il resto per mantenimento suo e della moglie (questa cifra è calcolata come suo “surplus” disponibile). In 5 anni i pagamenti mensili ammonteranno a €18.000. In totale dunque Mario offrirà circa €33.000 ai creditori, ripartiti secondo le priorità di legge: ad esempio, supponendo che dei €60.000 fiscali una parte (€20k) sia IVA privilegiata e analogamente €30k di INPS siano privilegiati, quei privilegiati verranno soddisfatti pro quota sul ricavato (forse integralmente se la casa di Mario – prima casa – non può essere toccata e il fisco in transazione accetta minor quota, ma ipotizziamo semplificando che la ripartizione segua grado). I creditori chirografari (banche, fornitori) riceveranno solo una piccola percentuale (probabilmente <10%). Nel piano, Mario propone di pagare integralmente solo una piccola parte di debiti privilegiati strettamente impignorabili (ad es. eventuali sanzioni amministrative per €2.000 le paga in coda col suo flusso, perché non falcidiabili).

L’OCC redige una relazione attestando che Mario è meritevole: il sovraindebitamento è dovuto alla contrazione del settore e a spese impreviste (manutenzioni costose al furgone, malattia nel 2020) , non ha tenuto uno stile di vita lussuoso, anzi ha cercato di pagare finché ha potuto. Viene anche evidenziato che le banche gli concessero prestiti benché il suo bilancio fosse già precario (favorendo così la considerazione del merito creditizio a suo favore) . La relazione indica che il piano offre ai creditori più di quanto otterrebbero altrimenti, perché senza piano Mario sarebbe disoccupato e forse fallirebbe, i creditori fiscali avrebbero difficoltà a escutere la casa (impignorabile per AER) e i fornitori nulla.

Il Tribunale ammette la procedura e, dopo aver sentito i creditori (nessuno può proporre un’alternativa migliore né contestare la buona fede di Mario), omologa il piano del consumatore . Da quel momento: – Tutte le azioni esecutive sono sospese (quelle minacciate da banca e INPS non partono nemmeno). – Mario vende il furgone e versa i €15k alla procedura; consegna all’OCC i €300 mensili (trattenuti direttamente dallo stipendio grazie a un accordo con il datore). – Il piano si svolge regolarmente per 5 anni, sotto monitoraggio OCC.

Al termine dei 5 anni, Mario ha adempiuto esattamente: ha versato i €33.000 previsti. Il Tribunale emette quindi un decreto che dichiara l’esdebitazione di Mario: i residui ~€117.000 di debiti che non sono stati soddisfatti si considerano cancellati definitivamente . Mario, ora dipendente, conserva la sua casa (il mutuo su quella continua a pagarlo, era fuori dal piano perché non insoluto) e vive senza più cartelle esattoriali né creditori alle calcagna. La sua busta paga non è più pignorabile (prima rischiava 1/5). Egli ha ottenuto il fresh start, pur avendo pagato solo circa il 22% del totale debiti – proporzione ritenuta congrua dato il suo reddito.

Commento: Questo caso mostra il tipico utilizzo di un piano del consumatore per un ex imprenditore piccolo. Elementi chiave: la cessazione dell’attività per farlo rientrare nella definizione di consumatore (non sempre necessario, ma aiuta se la gran parte dei debiti non sono legati a continuare l’impresa) ; il pagamento di quanto effettivamente possibile senza ledere la dignità (ha tenuto per sé circa €1.100/mese, giudicati necessari al sostentamento); la falcidia di debiti pubblici e privati resa possibile dall’assenza di voto creditori. Questo risultato non sarebbe stato ottenibile con semplice rateazione fiscale o accordi bilaterali – il debito era troppo grande e i creditori troppo eterogenei – né con un fallimento (in cui avrebbe perso la casa forse e comunque gli sarebbero rimasti attaccati eventuali debiti da multe ecc.). Il piano del consumatore ha permesso anche di bloccare i pignoramenti sui beni essenziali e di evitare la vendita coattiva della casa (che era immune da AER ma non da banche, anche se in questo caso la banca chirografa non aveva ipoteca). L’esdebitazione finale dà a Mario una seconda possibilità senza dover aspettare 3 anni di procedura liquidatoria.

Caso 2: Società cooperativa di autotrasportatori con debiti verso fornitori – Concordato preventivo in continuità

Scenario: La cooperativa “Trasporti Rapidi” opera nel campo delle consegne last-mile con 12 soci–autisti e 10 furgoni (leasing). A causa di investimenti errati e tariffe al ribasso, accumula debiti di circa €300.000: i principali sono verso il fornitore di carburante (€70.000), l’officina manutenzioni (€50.000), diversi sub-vettori (€50.000) e debiti tributari €80.000 (IVA e IRAP di un paio d’anni) nonché arretrati contributivi €30.000. Inoltre, ci sono rate di leasing scadute per €20.000. La cooperativa ha però contratti in essere con alcune grandi catene e prospettive di mercato, ma necessiterebbe di ridurre il debito pregresso per riprendere fiato. Diversi fornitori hanno iniziato ingiunzioni e un paio di decreti sono già esecutivi. La cooperativa è soggetta a fallimento (ha superato le soglie) e un creditore minaccia di fare istanza.

Soluzione applicata: Il consiglio di amministrazione, assistito da un legale, decide di ricorrere al concordato preventivo in continuità aziendale per salvare l’impresa. Presentano un ricorso “in bianco” (concordato con riserva) al Tribunale per ottenere subito le misure protettive: il tribunale concede 60 giorni per presentare il piano e nel frattempo sospende i pignoramenti avviati dai creditori. La cooperativa informa i creditori che sta preparando un piano concordatario.

Nei due mesi, con l’aiuto di un professionista attestatore, elaborano un piano: prevede che la cooperativa continui l’attività di trasporto mantenendo i contratti attuali (del resto senza continuare, non potrebbe pagare quasi nulla). Stimano che in 5 anni, con una riorganizzazione (taglio di 2 soci inefficaci e riduzione costi generali) e con tariffe leggermente riviste al rialzo, la coop genererà un surplus di cassa di €100.000 da destinare ai creditori. Inoltre, mettono in vendita 3 vecchi furgoni non efficienti, stimati ricavabili €30.000. Un socio sovventore si dice disposto a immettere €20.000 freschi per sostenere il piano (finanza esterna). Totale risorse per i creditori: €150.000 nell’arco del piano. I crediti con privilegio sui beni (ad esempio il leasing ha garanzia sui furgoni) saranno soddisfatti continuando a pagare le rate oppure restituendo i mezzi in vendita (per quei 3 mezzi, si userà parte dei €30.000 ricavati per chiudere leasing residui). I crediti tributari e contributivi privilegiati (IVA, ritenute) verranno pagati al 100% ma dilazionati in 5 anni (ciò è possibile tramite la transazione fiscale inserita in concordato) . I creditori chirografari (fornitore carburante, officina, sub-vettori non privilegiati) riceveranno invece circa il 30% del loro credito, pagato in rate semestrali in 5 anni. In pratica, su €200.000 di debiti chirografari, il piano destina €60.000 (su 5 anni, più eventuali extra se la performance supera le stime).

Il professionista attesta che il piano è fattibile: analizza i contratti, vede che la cooperativa ha prospettive di fatturato stabili e che con i costi ridotti può ottenere quell’utile. Attesta anche che in liquidazione fallimentare i creditori chirografari prenderebbero molto meno (probabilmente zero, perché i beni sono tutti in leasing, e quei pochi liberi coprirebbero appena i privilegi). Quindi il 30% proposto è conveniente rispetto all’alternativa.

Si depositano piano e proposta. I creditori vengono classificati in classi: una classe chirografaria unica per fornitori e subappaltatori; una classe separata per il fornitore carburante che ha un privilegio su beni (in realtà c’è discussione se art. 2751-bis n.5 dà privilegio per 6 mesi di forniture: se sì, ha prelazione su una parte del suo credito, comunque lo includono come chirografo perché i 6 mesi di privilegio li pagano al 100% a parte); classi distinte anche eventualmente per soci finanziatori se ve ne fossero (nel caso socio sovventore nuovo credito è prededucibile dunque fuori concorso). Si inserisce anche una proposta di transazione fiscale: l’Agenzia Entrate ed INPS sono invitate ad accettare il piano che prevede pagamento integrale in 5 anni senza interessi di mora su tributi e contributi – dunque una falcidia delle sanzioni e moratori (che è ammessa).

Si tiene l’adunanza dei creditori: grazie alle trattative pre-piano, molti fornitori concordano che sia meglio incassare 30% in 5 anni che rischiare il fallimento (dove sarebbero chirografari forse a 0). Il fornitore di carburante, che era molto esposto, viene convinto anche perché la cooperativa offre di proseguire il contratto con lui per i prossimi anni (garantendogli business futuro). Con queste leve, al voto il 50% + dei crediti approva la proposta (diciamo ottengono 65% di sì, includendo il Fisco che aderisce formalmente alla transazione fiscale per IVA e sanzioni ridotte).

Il concordato viene quindi omologato dal Tribunale. Le azioni esecutive individuali cessano definitivamente e confluiscono nel piano concordatario. La cooperativa, sotto la supervisione del commissario/giudice delegato, esegue il piano: vende i 3 furgoni, paga i privilegiati (leasing) correlati, continua l’attività. Nei 5 anni paga puntualmente le rate ai creditori chirografari. Grazie alla moratoria concordataria, gli interessi maturati sui vecchi debiti sono congelati (nessuno può chiederli, si paga solo quanto previsto in concordato). Al termine dei 5 anni, la cooperativa ha pagato tutto ciò che era nel piano: – Fornitori chirografari: 30% saldato. – Fisco e INPS: interamente saldati capitali (con sanzioni falcidiate). – Banche leasing: proseguiti i leasing su 7 mezzi, restituiti e chiusi 3 mezzi venduti (i restanti 0% su scoperti di conto li han presi come chirografo 30% pure). – Soci: i soci lavoratori hanno accettato riduzione di ristorno e una moratoria TFR volontaria, ma anche loro ricevono il dovuto come da piano (il TFR è privilegiato e fu pagato con priorità su incassi vendite).

A questo punto, la società è risanata: è uscita dalla procedura, non ha più debiti pregressi significativi (li ha ridotti a quelli pagati). Riprende l’attività a pieno regime, con reputazione riabilitata (anche se per qualche tempo sarà visto con cautela da nuovi fornitori, ma la storia concordataria in genere viene percepita meglio del fallimento). I creditori chirografari hanno incassato più di nulla e la cooperativa continua a essere loro cliente (quindi magari recuperano col tempo oltre quel 30% in nuovo fatturato).

Commento: Questo caso illustra un concordato in continuità riuscito, tipico per salvare un’impresa con base industriale valida ma eccesso di debiti. Senza concordato, i fornitori avrebbero probabilmente fatto fallire la cooperativa (con rischio di non vedere quasi nulla, e perdita del cliente). Così invece hanno sacrificato una parte (70%) del credito ma mantenuto un partner di business. La cooperativa ha dovuto ridimensionarsi (vendere mezzi, ridurre costi) ma ha evitato la liquidazione totale e i soci hanno conservato il lavoro. Aspetti chiave: l’accordo con creditori strategici prima del voto, la transazione fiscale per gestire IVA e contributi (pagati su 5 anni senza more, cosa impossibile fuori dal concordato) , e l’apporto di nuove risorse esterne (i €20k del sovventore) che hanno migliorato le percentuali di soddisfo convincendo i creditori sulla convenienza . Il caso evidenzia anche la funzione del concordato “prenotativo” per bloccare sul nascere istanze di fallimento e pignoramenti mentre si prepara il piano . In pratica, la cooperativa ha guadagnato tempo e protezione per ristrutturarsi. Al termine, i debiti tagliati sono stati esdebitati implicitamente dall’omologa e adempimento: i creditori non possono più pretendere quel residuo 70% – è perdonato.

Caso 3: S.r.l. di logistica con troppi debiti – Liquidazione e esdebitazione dell’imprenditore

Scenario: La S.r.l. “EuroCourier” era una piccola azienda di logistica su pallet, di proprietà e gestita da un unico socio-amministratore, Luca. Dopo la perdita di un cliente importante, EuroCourier accumula €500.000 di debiti: leasing di camion non pagati, debiti fiscali grossi (IVA per €150k), banche esposte per affidamenti e mutuo capannone (€200k), fornitori per €100k e altro. L’attivo è insufficiente: rimangono 3 camion del valore totale €90k (ma tutti ipotecati/leasing), un capannone del valore €250k ipotecato per €220k residui mutuo, crediti clienti €30k forse incassabili. L’azienda è insolvente e ha cessato l’attività (clienti persi, dipendenti licenziati). Luca, il socio, ha anche dato fideiussione personale sul mutuo e su leasing. Luca teme di perdere anche la sua casa (ha ipotecato pure quella in banca a garanzia di un fido). Una banca ha già chiesto il fallimento di EuroCourier.

Soluzione applicata: Vista la situazione disperata, Luca – su consiglio dell’avvocato – decide di non opporsi al fallimento ma anzi di collaborare per concluderlo rapidamente e ottenere poi l’esdebitazione. Il Tribunale dichiara la liquidazione giudiziale (fallimento) della S.r.l. EuroCourier. Nomina un curatore. Luca consegna tutta la documentazione contabile e i beni rimasti. Il curatore vende: – il capannone, ricavando €240.000 (fortunatamente trovato acquirente). La banca ipotecaria prende quasi tutto (capitale €220k + interessi + spese, il curatore le paga integralmente dal ricavato perché creditrice privilegiata ipotecaria; rimangono €10k circa liberi). – i 3 camion vengono venduti per €90k, ma di questi €80k vanno alle società di leasing/ipoteche per chiudere i contratti (erano garantiti, quei crediti vengono soddisfatti preferenzialmente), restano spiccioli. – i crediti €30k incassati in parte (€20k realizzati). – Totale attivo distribuibile ai chirografari: circa €30k (somma di residui vendite). – Passivo insinuato: oltre €500k + interessi vari.

Il curatore riparte questi €30k pro-quota tra chirografari (che prendono così forse un 5%). I debiti privilegiati (es. IVA €150k) non coperti dall’attivo rimangono insoddisfatti in parte. Dopo 2 anni, il curatore chiude la procedura (non c’è molto da fare oltre vendite, e contestare magari qualche atto di Luca ma in questo scenario Luca non ha compiuto atti distrattivi – era solo sfortunato).

Luca, come socio garantore, durante il fallimento ha subito: – La banca ha escusso la fideiussione sulla sua casa: ha avviato pignoramento, ma Luca e la banca trovano un accordo: la banca, avendo recuperato tanto dal capannone, propone a Luca di pagare €30k a saldo (usando una parte dei suoi risparmi personali) e liberano l’ipoteca sulla casa personale. Luca, pur di salvare la casa, accetta e con aiuto di un familiare versa i €30k, ottenendo la liberatoria. (Se non avesse potuto, probabilmente la banca avrebbe venduto la casa, ma ipotizziamo accordo). – Altri creditori chirografari non hanno aggredito Luca perché soci S.r.l. non sono responsabili. Il Fisco non ha elementi per fargli causa ex art.36 DPR 602/73 perché la società non ha distribuito niente ai soci (anzi, Luca ha perso anche il capitale). – Luca riceve però un decreto di rinvio a giudizio per omesso versamento IVA (aveva €150k IVA non pagata, sopra soglia penale). Il suo difensore punta sul fatto che Luca ha tentato in ogni modo di pagare dipendenti e fornitori e che l’insolvenza era incolpevole; chiede il patteggiamento con pena sospesa. Luca ottiene la condizionale, e la confisca dei beni non viene disposta perché i beni sociali erano già liquidati in fallimento (ma in parallelo l’Agenzia Entrate pretende ancora quell’IVA come debito personale di Luca? Formalmente la sanzione penale non crea obbligo civile, il debito IVA resta della società, salvo che l’avviso di accertamento fosse notificato a Luca come liquidatore ex art.36, ma qui la società non fu liquidata extra – in fallimento quell’art.36 non si applica direttamente, complicato. Diciamo che quell’IVA insoddisfatta rimane a carico della società defunta e non di Luca, a meno di qualifiche personali).

Dopo la chiusura del fallimento, Luca chiede al tribunale l’esdebitazione personale ex art.278 CCII . Il tribunale verifica: – Luca ha cooperato lealmente col curatore (sì). – Non ci sono atti di frode (no, nessuna frode emersa). – Alcuni creditori (forse Fisco, fornitori) potrebbero opporsi dicendo “ha pagato la banca ipotecaria e noi niente”: ma quello è nella legge (ipoteca va prima, non è colpa di Luca). – Dunque concede l’esdebitazione di Luca per tutti i debiti residui del fallimento . Significa: se, poniamo, l’IVA rimasta €100k non pagata, fornitori €95k non pagati, ecc., nessuno potrà più chiederli a Luca (né avviare azioni).

Attenzione: restano fuori dall’esdebitazione eventuali debiti personali di Luca non legati al fallimento, e le sanzioni/multe. Nel suo caso potrebbe restargli il debito per la sanzione amministrativa dell’omesso versamento contributi dipendenti (se c’era, soglia minima = punito con sanzione pecuniaria che è obbligazione personale, non esdebitabile). Ma questi importi sono modesti rispetto al totale.

Risultato: Luca perde l’azienda e la maggior parte dei beni aziendali, ma evita guai peggiori. Conserva la casa (grazie all’accordo con banca) e ottiene la cancellazione di centinaia di migliaia di debiti che altrimenti lo avrebbero inseguito a vita. Ha pagato un prezzo: anni di stress, l’onta del fallimento, la condanna (seppur lieve) per IVA, e ovviamente la reputazione rovinata nel settore, oltre a dover ricominciare altrove. Ma legalmente ora è libero: può lavorare come dipendente altrove o avviare tra qualche anno una nuova attività (magari in forma diversa). I creditori hanno ottenuto in fallimento ciò che l’attivo permetteva (poco, ma in liquidazione forzata era inevitabile) e sanno che Luca è “scarico”. Non avrebbero convenienza neppure a perseguitarlo oltre, ed in effetti la legge glielo impedisce per quei debiti esdebitati.

Commento: Questo caso mostra una situazione in cui l’impresa non è salvabile e la soluzione è la liquidazione giudiziale, con l’obiettivo di salvare almeno il debitore persona. Grazie all’esdebitazione post-fallimento , il fallito onesto ha potuto chiudere col passato e non restare indebitato a vita (strumento fondamentale introdotto nel 2006 e ora migliorato). A differenza del piano consumatore, qui i creditori hanno avuto un ruolo passivo (subito la liquidazione) e la percentuale pagata è minima, ma è comunque quella realistica su quell’attivo. Questa via si è rivelata opportuna perché non c’erano flussi per un concordato, né maggioranze raggiungibili; la proposta di concordato sarebbe stata “vendere tutto e pagare 5%”, i creditori avrebbero potuto rifiutare (perché in fallimento magari speravano in azioni di responsabilità o simili). In fallimento, il curatore ha potuto anche valutare eventuali profili di responsabilità: se Luca avesse compiuto atti in frode (es. prelevato soldi), sarebbe stato citato per risarcimento, ma poiché è stato corretto, il curatore non ha fatto cause costose. Il caso evidenzia anche l’interazione con il diritto penale tributario: l’omesso IVA resta un nervo scoperto – il concordato preventivo omologato avrebbe estinto il reato (forse, c’è quell’indirizzo), ma nel fallimento Luca ne risponde penalmente. È un trade-off che Luca ha considerato, scegliendo di patteggiare la pena. In altri termini, questa è la soluzione liquidatoria puro con il minor danno possibile, sfruttando tutti gli spiragli di legge per il debitore (esdebitazione).

Questi esempi coprono tre casi comuni: – Sovraindebitamento persona fisica risolto con piano del consumatore (caso 1). – Crisi azienda ancora vitale risolta con concordato in continuità (caso 2). – Insolvenza irreversibile risolta con liquidazione/fallimento ed esdebitazione (caso 3).

Naturalmente, ogni situazione concreta può presentare varianti e richiede un’analisi specifica; tuttavia, le strategie di base e gli strumenti applicati tendono a ricalcare questi modelli.

Conclusioni

Le ditte di corrieri indebitate vivono momenti di forte pressione – tra riscossioni esattoriali, azioni legali dei creditori e il timore di perdere mezzi e fonti di reddito. In questo contesto, conoscere “cosa fare e come difendersi” non è solo utile, ma può fare la differenza tra una crisi risolta e un tracollo definitivo. Abbiamo visto che l’ordinamento italiano, aggiornato al 2025, mette a disposizione una varietà di strumenti di tutela per il debitore: – dalle semplici dilazioni di pagamento (rateazioni fiscali fino a 10 anni , accordi con banche e fornitori), – alle procedure più strutturate come concordati preventivi e accordi di ristrutturazione, capaci di congelare le azioni esecutive e di imporre tagli ai debiti con l’approvazione giudiziale , – fino alle procedure di sovraindebitamento che permettono anche al piccolo imprenditore o al consumatore di ottenere una seconda opportunità , persino senza pagare nulla se privo di risorse .

Il filo conduttore di tutte le soluzioni è la ricerca di un equilibrio equo tra i diritti dei creditori e la dignità e il futuro del debitore. La legge oggi riconosce che un fallimento totale, senza via d’uscita, non giova nemmeno alla collettività: meglio consentire la continuazione dell’attività (se profittevole) o liberare la persona dai debiti (se onesta ma sfortunata) per reinserirla nel tessuto economico . Questo “favor debitoris” temperato traspare dalle riforme recenti: le soglie di accesso più ampie ai piani del consumatore , l’esdebitazione automatica in 3 anni , la possibilità di stralciare i debiti fiscali anche per IVA , la protezione degli asset essenziali (casa, strumenti di lavoro) .

Dal punto di vista pratico, è fondamentale per il debitore: – Agire tempestivamente: Più si aspetta, più i creditori alzeranno barricate (ipoteche, decreti, pignoramenti) e minori saranno le opzioni. Attivarsi ai primi segnali di insolvenza consente magari soluzioni negoziate e di evitare il punto di non ritorno. – Farsi assistere da professionisti competenti: Commercialisti specializzati in crisi, avvocati fallimentaristi, OCC – sono gli “alleati” tecnici che conoscono le procedure e sanno trattare coi creditori. Affrontare da soli situazioni simili porta spesso a passi falsi dettati dall’emotività o dall’inesperienza, con rischio di compromettere tutele (es: non opporsi in tempo a un atto, o pagare fuori procedura la persona sbagliata). – Mantenere trasparenza e buona fede: I tribunali e i creditori stessi sono molto più disponibili verso chi dimostra correttezza, ammettendo magari gli errori ma senza voler ingannare nessuno. Al contrario, comportamenti opportunistici o scorretti (occultamenti di beni, falsi in bilancio) vengono puniti severamente, escludendo accesso a esdebitazione o piani .

Per gli avvocati e consulenti legali che assistono queste ditte, la sfida è combinare le norme – in continuo aggiornamento – con la comprensione del business del cliente. Spesso va fatto un lavoro di “ristrutturazione aziendale” unito alla procedura legale: un piano concordatario sostenibile richiede di tagliare costi, vendere cespiti non strategici, coinvolgere eventualmente nuovi finanziatori. Non è solo modulo e tribunale, ma anche strategia industriale. Il taglio di questa guida ha voluto proprio offrire un quadro avanzato e multidisciplinare, in grado di orientare sia il professionista sia l’imprenditore stesso nelle scelte critiche.

In definitiva, una ditta di corrieri con debiti non è necessariamente condannata a sparire sotto il peso dei propri insoluti. Ci sono strade per difendersi legalmente: dalla negoziazione stragiudiziale – a volte sufficiente per crisi minori – agli scudi protettivi delle procedure concorsuali per situazioni più gravi, fino alle ancore di salvezza per l’ex imprenditore (come l’esdebitazione personale). Ogni strada ha costi e sacrifici, certo, ma offre anche la prospettiva di uscire dal tunnel dell’indebitamento cronico.

Il sistema normativo attuale è come un kit di strumenti: sta al debitore (guidato dal suo legale) scegliere l’attrezzo giusto al momento giusto. Con la giusta strategia, è possibile: – Proteggere i beni fondamentali, almeno entro i limiti di legge; – Ridurre drasticamente l’ammontare dei debiti da pagare, coinvolgendo i creditori in soluzioni mutualistiche e, se serve, anche imponendo decurtazioni con l’ausilio del giudice ; – Evitare la paralisi dell’attività, anzi magari rilanciarla liberata dai debiti (come nel concordato in continuità); – Oppure, se non vi sono le condizioni per continuare, chiudere l’impresa in modo ordinato e tornare persona libera dai debiti nel giro di pochi anni .

Il messaggio finale per un corriere indebitato è dunque di non isolarsi e non rassegnarsi. Ci sono vie d’uscita legali: vanno percorse con consapevolezza e supporto specialistico, ma esistono. L’insolvenza non è più una colpa infamante senza rimedio: come affermato anche dalla Cassazione, l’ordinamento è orientato a favorire soluzioni che contemperino il diritto del creditore con la “finalità di recupero del debitore”. In quest’ottica, “difendersi dai debiti” non vuol dire sottrarsi ai propri doveri, bensì utilizzare al meglio gli strumenti di legge per rispettare i creditori per quanto possibile e al contempo salvaguardare la continuità dell’impresa o la sopravvivenza del debitore.

Questa guida ha cercato di fornire una mappa completa – normativa, giurisprudenziale e pratica – di questo percorso difensivo. Con le giuste conoscenze e strategie, anche la più pesante situazione debitoria può essere affrontata a testa alta, trovando soluzioni dignitose e legalmente solide. In definitiva, esiste sempre un modo per ripartire: il punto di vista del debitore, lungi dall’essere senza diritti, è oggi riconosciuto e tutelato dal nostro ordinamento, purché si agisca con correttezza e tempestività.

“Nulla dies sine linea” – Nessun giorno senza fare un passo: vale anche nel contesto della crisi d’impresa. Ogni giorno conta per trovare la via d’uscita: speriamo che questa guida fornisca le linee giuste da tracciare per raggiungere l’obiettivo della risoluzione dei debiti e della rinascita economica.

Hai una ditta di corrieri, consegne o trasporti espresso e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai una ditta di corrieri, consegne o trasporti espresso e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento, o rischi pignoramenti, fermi amministrativi o blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione o dei creditori?

👉 Prima regola: non aspettare che la situazione peggiori.
Nel settore delle consegne e della logistica, dove i margini di guadagno sono ridotti e i costi di gestione sempre più alti, l’indebitamento può crescere rapidamente.
Con una difesa legale e fiscale mirata, puoi bloccare le azioni esecutive, ristrutturare i debiti e proteggere la tua attività e la tua flotta di veicoli.


⚖️ Le cause più comuni di indebitamento nelle ditte di corrieri

  • Aumento dei costi di carburante e manutenzione dei mezzi.
  • Tassazione elevata e acconti non pianificati.
  • Ritardi nei pagamenti da parte di clienti e piattaforme di consegna.
  • Mancato versamento di IVA, IRPEF o contributi INPS artigiani.
  • Cartelle esattoriali e interessi di mora accumulati.
  • Errori nella gestione contabile o nella pianificazione fiscale.
  • Mutui, leasing o finanziamenti onerosi per furgoni e attrezzature.

📌 I rischi per una ditta di corrieri indebitata

  • Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti e incassi POS.
  • Fermi amministrativi sui furgoni e sui mezzi di trasporto.
  • Iscrizioni ipotecarie su immobili o depositi.
  • Blocco dei rimborsi fiscali o dei crediti IVA.
  • Revoca di linee di credito o finanziamenti bancari.
  • Rischio di liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza.

🔍 Cosa fare subito

  1. Analizza la situazione debitoria, separando debiti fiscali, bancari e contributivi.
  2. Verifica la legittimità delle cartelle e degli atti notificati, poiché molti contengono errori o debiti prescritti.
  3. Blocca pignoramenti e azioni esecutive (ipoteche, fermi, sequestri) con ricorsi o istanze di sospensione.
  4. Richiedi una rateizzazione o una definizione agevolata (“rottamazione”), se prevista.
  5. Affidati a un avvocato tributarista esperto, per elaborare una strategia di difesa e risanamento sostenibile.

🧾 Strumenti per difendersi e risolvere i debiti

💠 Rateizzazione delle cartelle

Consente di pagare i debiti fino a 120 rate mensili, sospendendo pignoramenti e procedure di riscossione.

💠 Definizione agevolata o “rottamazione”

Quando disponibile, ti permette di pagare solo il capitale dovuto, eliminando sanzioni e interessi di mora.

💠 Istanza di autotutela o ricorso tributario

Permette di contestare cartelle o atti fiscali errati, bloccando la riscossione illegittima.

💠 Composizione negoziata della crisi

Prevista dal Codice della Crisi d’Impresa, consente di negoziare con Fisco, banche e fornitori, mantenendo la continuità aziendale e sospendendo le azioni esecutive.

💠 Piano di risanamento aziendale

Con l’assistenza di un avvocato e di un consulente contabile, puoi ristrutturare i debiti, ridurre i costi e salvare la tua impresa di trasporti.


🛠️ Strategie di difesa per una ditta di corrieri indebitata

  • Analizzare ogni atto e cartella per individuare vizi o prescrizioni.
  • Contestare ipoteche, fermi e pignoramenti non legittimi.
  • Dimostrare la crisi temporanea di liquidità per accedere a rateizzazioni agevolate.
  • Attivare accordi di rientro e definizioni agevolate con Fisco e creditori.
  • Proteggere furgoni, magazzini e attrezzature da azioni esecutive.
  • Migliorare la gestione contabile e fiscale per evitare nuovi debiti futuri.

⚖️ Perché agire subito è fondamentale

Nel settore delle consegne, la disponibilità dei mezzi e la puntualità operativa sono essenziali.
Un fermo amministrativo o il blocco dei conti può fermare le consegne e causare la perdita dei contratti di lavoro.
Agire tempestivamente consente di:

  • Bloccare cartelle e pignoramenti.
  • Difendere la tua flotta e la tua attività.
  • Rinegoziare i debiti e ridurre l’esposizione fiscale.
  • Ristabilire stabilità economica e serenità professionale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la tua posizione debitoria e la documentazione ricevuta.
  • 📌 Valuta la legittimità delle cartelle e la possibilità di sospensione o rateizzazione.
  • ✍️ Predispone piani di risanamento, istanze di autotutela e ricorsi tributari personalizzati.
  • ⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e alla Corte di Giustizia Tributaria.
  • 🔁 Offre consulenza continuativa su fiscalità aziendale, tutela patrimoniale e gestione della crisi d’impresa.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
  • ✔️ Specializzato nella difesa di imprese di trasporti, corrieri e logistica contro debiti fiscali, bancari e contributivi.
  • ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Una ditta di corrieri con debiti può uscire dalla crisi e riprendere a operare, ma è fondamentale intervenire subito.
Con una difesa legale e fiscale ben strutturata, puoi bloccare cartelle e pignoramenti, ridurre l’esposizione debitoria e proteggere la tua flotta, i tuoi clienti e il tuo futuro imprenditoriale.
Agire oggi significa salvare la tua impresa di trasporti e garantire la continuità del lavoro.


📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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