Hai una S.r.l. con debiti fiscali, finanziari o verso fornitori e temi che la situazione possa sfociare in una crisi irreversibile?
Negli ultimi anni, molte società a responsabilità limitata si trovano a gestire indebitamenti crescenti, accertamenti fiscali, cartelle esattoriali o insolvenze bancarie, spesso aggravate da ritardi nei pagamenti e calo della liquidità.
Oggi, però, il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) offre strumenti concreti per prevenire il fallimento, ristrutturare i debiti e salvare la continuità aziendale, prima che la situazione diventi irreversibile.
Con una strategia legale e fiscale ben pianificata, è possibile ristrutturare i debiti della S.r.l., tutelare il patrimonio dei soci e risanare l’impresa, riportandola alla piena operatività.
Quando una S.r.l. entra in crisi
I segnali più frequenti di crisi aziendale includono:
- Debiti fiscali e contributivi (IVA, IRES, IRAP, INPS) non più sostenibili;
- Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
- Inadempimenti verso fornitori o banche e perdita di credibilità commerciale;
- Pignoramenti o ipoteche su conti correnti, beni aziendali o immobili della società;
- Incapienza di cassa per pagare stipendi, contributi o forniture;
- Segnalazioni di allerta esterna da parte dell’Agenzia delle Entrate, INPS o banche.
Quando si manifestano questi segnali, la legge impone agli amministratori di intervenire tempestivamente: ignorare la crisi espone a responsabilità patrimoniali e penali personali.
Cosa prevede il Codice della Crisi d’Impresa
Il Codice della Crisi introduce strumenti di prevenzione e risanamento volti a evitare l’insolvenza irreversibile.
Le principali procedure sono:
- Composizione negoziata della crisi: un percorso volontario, riservato e non giudiziale che consente all’imprenditore, con l’aiuto di un esperto nominato dalla Camera di Commercio, di negoziare con Fisco, banche e fornitori un piano di ristrutturazione sostenibile.
- Piano di risanamento attestato (art. 56): permette di ristrutturare i debiti in autonomia, con l’attestazione di un professionista che certifichi la fattibilità del piano.
- Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57): consente di definire accordi vincolanti con i creditori, anche fiscali, evitando il fallimento e preservando la continuità aziendale.
- Concordato preventivo in continuità: una procedura giudiziale più complessa, ma utile quando la società può continuare a operare durante il piano di risanamento.
Come agire per risanare la S.r.l.
- Effettua un check-up completo della situazione aziendale: analizza bilanci, debiti fiscali, esposizioni bancarie e contratti in corso.
- Verifica i presupposti di allerta previsti dal Codice della Crisi: indici patrimoniali, flussi di cassa e sostenibilità finanziaria.
- Nomina un consulente legale e fiscale esperto per elaborare un piano di risanamento realistico e credibile.
- Avvia una composizione negoziata con l’Agenzia delle Entrate, banche e fornitori per ristrutturare il debito e sospendere azioni esecutive.
- Richiedi la protezione della continuità aziendale (misure protettive del patrimonio) per bloccare pignoramenti e azioni dei creditori.
- Pianifica il rilancio dell’attività: riduzione dei costi, ottimizzazione dei flussi finanziari e revisione contabile.
Come difendersi da debiti fiscali e cartelle esattoriali
Un avvocato tributarista esperto in crisi d’impresa può aiutarti a:
- Bloccare le procedure di riscossione con istanze di sospensione o ricorsi;
- Negoziare con l’Agenzia delle Entrate e l’INPS la ristrutturazione del debito fiscale;
- Proporre accordi di saldo e stralcio o rateizzazioni straordinarie;
- Proteggere i beni aziendali e personali dei soci da pignoramenti e azioni esecutive;
- Evitare la responsabilità degli amministratori per omessa gestione della crisi.
Cosa puoi ottenere con una gestione corretta della crisi
- La sospensione immediata delle azioni di riscossione;
- La riduzione complessiva dei debiti fiscali e commerciali;
- La ristrutturazione del debito aziendale attraverso accordi sostenibili;
- La protezione del patrimonio aziendale e personale dei soci;
- Il salvataggio della S.r.l. e dei posti di lavoro;
- Il ripristino della credibilità bancaria e commerciale.
⚠️ Attenzione: ignorare i segnali di crisi o i debiti fiscali può portare a insolvenza irreversibile, revoca delle linee di credito, pignoramenti e responsabilità diretta degli amministratori.
Il Codice della Crisi non è una sanzione, ma un’opportunità: agire per tempo consente di salvare la società e ristrutturare i debiti in modo legale e sostenibile.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e risanamento aziendale – spiega cosa fare se la tua S.r.l. ha debiti fiscali o commerciali, come risanarla attraverso gli strumenti del Codice della Crisi e come garantire la continuità aziendale.
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Introduzione
Hai una SRL indebitata e in difficoltà finanziaria? Questa guida approfondita (aggiornata a settembre 2025) ti aiuterà a capire come utilizzare gli strumenti offerti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) per ristrutturare legalmente i debiti della tua società a responsabilità limitata. Il CCII – introdotto dal D.Lgs. 14/2019 ed entrato in vigore il 15 luglio 2022 – ha sostituito la vecchia legge fallimentare e ha rivoluzionato la gestione delle crisi d’impresa in Italia . L’obiettivo del nuovo Codice è prevenire l’insolvenza con interventi tempestivi, fornendo procedure “preventive” per ristrutturare i debiti prima di arrivare alla liquidazione giudiziale (il “fallimento” nella nuova terminologia) .
Questa guida è pensata sia per professionisti legali e consulenti d’impresa (che troveranno riferimenti normativi avanzati e ultime pronunce giurisprudenziali), sia per imprenditori e privati (con spiegazioni pratiche in linguaggio comprensibile). Utilizzeremo uno stile giuridico ma divulgativo, spiegando i concetti complessi in modo chiaro. Troverai inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici, una sezione Domande & Risposte, e un elenco finale di fonti normative e sentenze aggiornate al 2025, utili per ulteriori approfondimenti.
Ecco i principali temi che affronteremo:
- Tipologie di debiti di una SRL e relative criticità: debiti fiscali, previdenziali, verso fornitori, banche, finanziatori, dipendenti, ecc., con le implicazioni specifiche di ciascuna categoria e le possibili azioni dei creditori.
- Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal CCII: dagli strumenti stragiudiziali (come la composizione negoziata, i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti) alle procedure concorsuali giudiziali (concordato preventivo – sia in continuità sia liquidatorio – e liquidazione giudiziale). Non tralasceremo istituti particolari introdotti di recente, come il concordato semplificato dopo l’esito negativo di una composizione negoziata .
- Obblighi e responsabilità degli amministratori di una SRL in crisi: doveri di attivarsi tempestivamente, attuare adeguati assetti organizzativi per intercettare la crisi (art. 2086 c.c.), evitare atti che aggravino il dissesto, convocare l’assemblea se il capitale sociale si riduce sotto i minimi, ecc. Analizzeremo le possibili responsabilità civili (verso la società ex art. 2476 c.c. e verso i creditori ex art. 2486 c.c.) e penali (reati fallimentari come bancarotta fraudolenta, preferenziale, omissioni fiscali) in cui amministratori e soci possono incorrere se la crisi non viene gestita correttamente .
- Gestione dei rapporti con i creditori durante la crisi: come interagire con il Fisco (Agenzia Entrate e Agenzia Entrate-Riscossione) e con gli enti previdenziali (INPS), gestire eventuali dilazioni o sanatorie; come rapportarsi con le banche (ad es. rischio revoca fidi e segnalazioni in Centrale Rischi) e con i fornitori strategici; come affrontare le azioni esecutive e le richieste di pagamento mantenendo una trattativa aperta .
- Aspetti pratici operativi: utilizzeremo tabelle comparative per confrontare i diversi strumenti tra loro, presenteremo casi pratici simulati di SRL in crisi con differenti combinazioni di debiti e soluzioni adottate, e una FAQ (domande frequenti) con risposte chiare ai dubbi più comuni. Infine, elencheremo tutte le fonti normative, giurisprudenziali e di prassi citate nella guida – incluse le ultime novità legislative (fino al correttivo D.Lgs. 136/2024) e le sentenze più recenti dei tribunali – per chi desidera approfondire ulteriormente .
Prima di addentrarci nei singoli argomenti, chiariremo alcuni concetti chiave introdotti dalla riforma del 2022:
- Differenza tra “crisi” e “insolvenza”: il CCII definisce lo stato di crisi come lo squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza futura . In altre parole, un’impresa è in crisi se – pur pagando ancora i debiti oggi – le proiezioni mostrano che nei prossimi mesi non riuscirà a farvi regolarmente fronte, ad esempio per perdite continue, capitale netto azzerato o indici di liquidità insufficienti. L’insolvenza, invece, è lo stato in cui l’impresa non è più in grado di pagare regolarmente i propri debiti esigibili ed è già inadempiente in modo generalizzato. La crisi è dunque una fase anteriore all’insolvenza conclamata, in cui l’azienda è ancora recuperabile. Questa distinzione è centrale: durante la crisi si può (e si deve) intervenire con strumenti di risanamento, mentre lo stato di insolvenza, se accertato, impone l’avvio di una procedura concorsuale (concordato o liquidazione giudiziale).
- Adeguatezza degli assetti organizzativi: l’art. 2086 c.c., come riformato nel 2019, obbliga gli amministratori a istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, funzionali a rilevare tempestivamente la crisi. Ciò significa che ogni SRL deve dotarsi di sistemi di controllo di gestione, indicatori finanziari (es. indici di liquidità e di solvibilità, DSCR) e procedure interne per monitorare l’andamento aziendale . Un adeguato sistema di rilevazione permette di intercettare segnali di difficoltà – ad esempio perdite significative, aumento anomalo dei debiti scaduti, tensione di cassa persistente – e consente agli amministratori di attivarsi subito con misure correttive. La mancata predisposizione di assetti adeguati può comportare responsabilità in caso di insolvenza: i curatori fallimentari e i tribunali, ex art. 2486 c.c., valutano con severità il comportamento degli amministratori che non hanno tempestivamente rilevato o affrontato la crisi aziendale.
- Allerta interna ed esterna: il Codice della Crisi ha introdotto un sistema di allerta precoce per far emergere la crisi in tempo utile. Allerta interna: gli organi di controllo societari (sindaci, revisori) sono obbligati a segnalare al CDA eventuali “fondati indizi di crisi” riscontrati, sollecitando gli amministratori ad attivarsi . Allerta esterna: alcuni creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate, INPS, Agenzia della Riscossione) devono avvisare formalmente l’impresa quando i debiti scaduti superano determinate soglie di importo e durata (stabilite dall’art. 25-novies CCII) . Ad esempio, il mancato versamento di IVA o contributi oltre soglie prefissate e per oltre 90 giorni fa scattare una comunicazione di allerta al debitore. Ricevere una segnalazione di allerta impone all’organo amministrativo di reagire entro 90 giorni, pena la possibile perdita di benefici premiali (vedi oltre) e possibili valutazioni negative in caso di successivo fallimento . L’idea di fondo è spingere l’imprenditore a non “nascondere la testa sotto la sabbia”: ignorare questi campanelli d’allarme può aggravare la situazione e, in seguito, essere considerato indice di mala gestio.
- Misure premiali per chi interviene tempestivamente: per incentivare la reazione pronta alla crisi, il Codice prevede alcune agevolazioni a vantaggio di chi attiva gli strumenti di composizione in tempi rapidi. Ad esempio, se la società avvia un procedimento di composizione negoziata o deposita una domanda di concordato preventivo prima che la situazione degeneri, può ottenere riduzioni di sanzioni ed interessi sui debiti fiscali eventualmente inseriti in un accordo o concordato (la cosiddetta “transazione fiscale” offre sconti maggiori a chi agisce presto) . Inoltre, gli organi di controllo (sindaci, revisori) che abbiano effettuato le segnalazioni di allerta non rispondono personalmente per l’aggravarsi del dissesto se l’hanno tempestivamente comunicato. In ambito penale, l’art. 25-octies CCII prevede la non punibilità per il reato di bancarotta semplice da ritardata richiesta di fallimento, qualora l’imprenditore abbia tempestivamente avviato una composizione negoziata o altra procedura di regolazione della crisi. In sintesi, chi si muove per tempo viene premiato o protetto, mentre l’inerzia o i ritardi volontari vengono sanzionati (quantomeno in sede civilistica, con possibili azioni di responsabilità).
In definitiva, la filosofia della riforma è responsabilizzare gli organi societari e favorire soluzioni concordate di risanamento ogniqualvolta possibile, riservando la liquidazione giudiziale solo come extrema ratio . Una gestione corretta e tempestiva della crisi aumenta le chance di salvataggio dell’impresa e limita i rischi personali per amministratori e soci, oltre a contenere i danni per creditori e stakeholder. Passiamo ora a esaminare i vari tipi di debiti che una SRL può accumulare e come il loro trattamento differisce, per poi analizzare nel dettaglio gli strumenti giuridici disponibili per gestirli o risolverli.
Tipologie di debiti di una SRL e relative problematiche
Una SRL può trovarsi esposta a diverse categorie di debiti, ciascuna caratterizzata da norme e implicazioni specifiche. Prima di scegliere il percorso di risanamento, è fondamentale mappare i debiti esistenti, perché non tutti i crediti sono uguali: alcuni hanno privilegi di legge, altri comportano rischi penali se non pagati, altri ancora possono essere rinegoziati più facilmente. Vediamo le principali tipologie di debito e le rispettive criticità:
- Debiti fiscali (Erario): comprendono IVA, ritenute fiscali sui dipendenti, IRES, IRAP, etc. Problematiche: il mancato pagamento di imposte e ritenute comporta sanzioni amministrative molto elevate e, superate certe soglie, integra reati tributari. Ad esempio, omesso versamento IVA oltre 250.000 € annui o omesso versamento di ritenute oltre 150.000 € annui costituiscono reato penale . L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può attivare rapidamente misure esecutive come fermi amministrativi, ipoteche sugli immobili sociali, pignoramenti di conti correnti o crediti verso clienti. Inoltre, l’accumulo di debiti IVA/ritenute oltre le soglie di legge fa scattare l’allerta esterna ex art. 25-novies CCII, con comunicazione ufficiale all’impresa . Un altro effetto critico è l’impossibilità di ottenere il DURC regolare (documento di regolarità contributiva), che impedisce di partecipare a gare e appalti pubblici se ci sono debiti fiscali/previdenziali non in regola . Come gestirli? Fuori dalle procedure concorsuali, l’unica opzione è la rateizzazione amministrativa (piani di dilazione fino a 72 rate) o eventualmente aderire a sanatorie straordinarie previste per legge (es. “rottamazione cartelle”) . All’interno di procedure come accordi di ristrutturazione o concordato preventivo, è possibile utilizzare la transazione fiscale (art. 63 CCII) che consente, con l’assenso o il controllo del tribunale, di falcidiare (stralciare parzialmente) i debiti tributari e/o dilazionarli, anche senza il consenso del Fisco se ricorrono le condizioni per il cram-down . In sostanza, solo attivando uno strumento omologato si può ottenere un taglio dell’Iva o delle imposte dovute – al di fuori, il Fisco pretende sempre il 100% (salvo condoni). Prioritario è evitare che i debiti fiscali sfuggano di mano: spesso conviene pagare almeno le imposte correnti per non aggravare posizione e sanzioni, e affrontare i debiti pregressi tramite uno strumento di composizione.
- Debiti previdenziali (INPS e altri enti): riguardano contributi dei dipendenti, contributi artigiani/commercianti, premi INAIL, ecc. Problematiche: analoghe ai debiti fiscali. L’omesso versamento di contributi oltre soglie modeste (poche migliaia di euro) costituisce reato penale (ad es., omesso versamento di ritenute previdenziali oltre circa 10.000 € annui è punito con la reclusione o multa) . L’INPS può avviare rapidamente azioni esecutive e segnala l’irregolarità contributiva (anche qui, niente DURC). I debiti INPS rientrano tra quelli “privilegiati” (hanno privilegio generale sui beni mobili dell’azienda) e quindi godono di priorità di pagamento in caso di concorsuali. Gestione: analogamente al Fisco, fuori dalle procedure si può solo chiedere rateizzazioni all’ente. Nell’ambito di un accordo di ristrutturazione o concordato, è possibile proporre il taglio parziale di contributi e relativi accessori tramite la transazione contributiva (parte della transazione fiscale) – ma anch’essa richiede l’omologa del tribunale e il rispetto del test di convenienza (dimostrare che INPS riceve almeno quanto otterrebbe da un fallimento) . Da notare: in concordato preventivo, il CCII permette di includere anche il debito IVA e contributivo tra quelli falcidiabili, superando il vecchio divieto di falcidia dell’IVA, purché l’Amministrazione sia soddisfatta in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria .
- Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: riguardano forniture di beni e servizi non pagate, canoni di locazione, consulenti, ecc. Sono debiti chirografari (non assistiti da garanzie reali o privilegi legali, salvo eccezioni come fornitori agricoli che hanno privilegi speciali su prodotti). Problematiche: i fornitori possono reagire sospendendo ulteriori forniture, applicando interessi moratori elevati (ex D.Lgs. 231/2002) o avviando decreti ingiuntivi e pignoramenti. Tuttavia, essendo creditori non privilegiati, subiscono spesso perdite maggiori nelle procedure concorsuali: questo fattore può spingerli a trattare soluzioni stragiudiziali (es. accettare un saldo e stralcio parziale, o dilazioni di pagamento) se credono nella continuità dell’azienda. Di solito, in piani o concordati, i fornitori chirografari vengono suddivisi in classi (ad esempio, fornitori “strategici” possono vedersi offrire trattamenti migliorativi per incentivarli a continuare il rapporto) . Gestione: con i fornitori è fondamentale la comunicazione. Un imprenditore in crisi dovrebbe coinvolgere i principali fornitori per trovare accordi: ad esempio moratorie sui pagamenti, concordare pagamenti parziali in cambio di continuità negli ordini, ecc. Fuori dalle procedure formali, questi accordi hanno natura privatistica: conviene formalizzarli per iscritto (anche via PEC) così da evitare che un fornitore, dopo aver apparentemente accettato un rinvio, agisca comunque di sorpresa. All’interno delle procedure, i fornitori chirografari possono essere falcidiati (pagati solo in parte) in concordato preventivo o subire uno stralcio totale (zero) in caso di fallimento. Pertanto, spesso è nel loro interesse aderire a un piano che assicuri almeno una percentuale. Attenzione però: pagare alcuni fornitori privilegiando altri al di fuori di procedure espone al rischio di azioni revocatorie da parte di un eventuale curatore fallimentare (se tali pagamenti preferenziali avvengono nei mesi antecedenti il fallimento, violando la par condicio). Invece, pagamenti eseguiti in esecuzione di un piano di risanamento attestato o di un accordo omologato non sono soggetti a revocatoria (art. 166 e 67 CCII), a condizione che il piano sia serio e fattibile .
- Debiti bancari e finanziari: includono esposizioni verso banche per mutui, affidamenti di conto (fidi), anticipo fatture, leasing finanziari, obbligazioni o minibond eventualmente emessi, e finanziamenti da società di leasing o altri intermediari. Problematiche: spesso questi debiti sono garantiti da ipoteche (su immobili sociali), pegni (su beni mobili o su partecipazioni) o fideiussioni personali dei soci o amministratori. Le banche tendono ad agire rapidamente in caso di inadempienza: possono revocare i fidi e segnalare “sofferenze” in Centrale Rischi, compromettendo la reputazione creditizia dell’azienda. Inoltre, se vi sono garanzie statali (es. prestiti COVID garantiti dal Fondo PMI), la banca potrebbe escutere la garanzia e successivamente rivalersi sull’impresa per il rimborso. Da ricordare che l’escussione di una garanzia statale durante una procedura di composizione negoziata può essere sospesa dal tribunale: es. Tribunale di Roma 8/11/2023 ha vietato alla banca di incassare la garanzia statale (Medio Credito Centrale) durante le trattative, per non vanificare lo standstill in corso . Gestione: con le banche è cruciale giocare d’anticipo: appena la società prevede tensioni di liquidità, va aperto un dialogo con i referenti bancari, magari presentando un piano di ristrutturazione del debito. In sede di composizione negoziata o concordato, le banche rientrano spesso in classi separate (soprattutto se chirografarie per la parte non garantita). Nei piani stragiudiziali si può cercare un accordo di moratoria (ad esempio congelare i rimborsi di capitale per un certo periodo) o un refinancing (nuovo finanziamento eventualmente prededucibile). Attenzione: durante una composizione negoziata con misure protettive attive, le banche non possono revocare gli affidamenti in essere né segnalare in Centrale Rischi il blocco dei pagamenti . Questo è stato chiarito, ad esempio, dal Tribunale di Venezia (decreto 13 gennaio 2025), che ha inibito agli istituti di credito di revocare le linee di credito utilizzate e di segnalare lo stato di sospensione dei pagamenti alla Centrale Rischi, ritenendo che ciò fosse necessario per assicurare il buon esito delle trattative in corso . Questo provvedimento tutela l’impresa dal “effetto domino” che una segnalazione negativa o una revoca improvvisa di fido potrebbero causare durante un delicato tentativo di risanamento. Dunque, quando si attiva uno strumento di composizione, il dialogo con le banche si sposta su un tavolo più regolamentato: la banca singolarmente non può procedere con esecuzioni o revoche (se c’è uno stay ordinato dal giudice) e dovrà eventualmente far valere le proprie ragioni nelle sedi concorsuali (voto nel concordato, opposizione all’omologazione, ecc.). Fuori dalle procedure, purtroppo, la banca ha mano libera: se l’impresa non è in procedura e salta i pagamenti, la banca può revocare gli affidamenti e chiedere il rientro immediato, precipitandola nella crisi. Ciò evidenzia l’importanza di attivare per tempo strumenti protettivi offerti dal Codice.
- Debiti verso dipendenti e TFR: includono stipendi arretrati, tredicesime non pagate, trattamento di fine rapporto dovuto ai lavoratori cessati, etc. Problematiche: i lavoratori sono creditori privilegiati (hanno privilegio generale sui mobili, e per alcune componenti come ultime 3 mensilità e TFR, privilegio super-preferenziale ex art. 2751-bis c.c.). In caso di insolvenza grave, se l’azienda non paga gli stipendi, i dipendenti possono dimettersi per giusta causa e fare istanza per la messa in liquidazione giudiziale dell’impresa. Tuttavia, esiste il Fondo di Garanzia INPS che interviene a pagare il TFR e gli ultimi stipendi in caso di fallimento o concordato, quindi i lavoratori sanno di avere questa tutela pubblica. Gestione: è sempre opportuno cercare di pagare (almeno parzialmente) i dipendenti, sia per motivi etici sia perché il loro appoggio è fondamentale per la continuità aziendale. Nelle procedure concorsuali, i dipendenti generalmente devono essere soddisfatti al 100% (quantomeno le paghe arretrate e il TFR fino ai limiti di privilegio) per poter ottenere l’omologazione di un concordato – a meno che i lavoratori stessi non accettino spontaneamente un trattamento inferiore. Nei concordati in continuità, di norma, i debiti verso dipendenti sono posti in classe separata e pagati integralmente entro un anno . In concordati liquidatori, il pagamento integrale dei crediti di lavoro è anch’esso richiesto (salvo eventuali quote scoperture oltre i privilegi). In sede di composizione negoziata, se vi sono arretrati verso i dipendenti, sarà difficile ottenere un accordo senza coinvolgerli: spesso, in tali situazioni, si prevede che l’imprenditore debba reperire liquidità (o nuovo credito) per pagare stipendi arretrati almeno in parte, sia per ragioni di equità che per mantenere la forza lavoro. Importante: se la crisi comporta esuberi, va considerato l’impatto di licenziamenti collettivi e costi connessi (NASpI, incentivi all’esodo) nel piano di risanamento.
Riassumendo: debiti diversi richiedono strategie diverse. Un elemento chiave è la presenza di garanzie o privilegi: i creditori garantiti/privilegiati (Erario, INPS, banche ipotecarie, dipendenti) hanno una posizione più forte, e spesso l’azienda dovrà offrire a loro trattamenti di favore nei piani (ad esempio pagamenti integrali o percentuali più alte) rispetto ai creditori chirografari semplici, che sono quelli destinati ai sacrifici maggiori. Nel prossimo capitolo vedremo quali doveri hanno gli amministratori di una SRL in crisi e come devono agire (o evitare di agire) per tutelare sia l’impresa che sé stessi, prima di entrare nel dettaglio delle soluzioni offerte dal Codice.
Obblighi degli amministratori in crisi e responsabilità (civili e penali)
La legge impone agli amministratori di società in difficoltà di adottare un comportamento diligente, volto a contenere la crisi e tutelare il patrimonio sociale. Non è consentito “tirare a campare” sperando in miracoli: l’inerzia o la gestione spregiudicata in situazione di crisi possono aggravare il dissesto e comportare gravi responsabilità personali. Ma cosa significa, in pratica, gestire correttamente una SRL in crisi? Di seguito elenchiamo i principali obblighi e cautele che gli amministratori devono osservare quando la società è indebitata oltre la normale tollerabilità:
- Monitoraggio continuo della situazione finanziaria: alla comparsa dei primi segnali di crisi (es. carenza di liquidità, ritardi nei pagamenti, indicatori come DSCR < 1), gli amministratori devono approfondire le cause e l’entità del problema. Questo implica predisporre un check-up finanziario immediato: analisi dei flussi di cassa previsionali, elenco completo dei debiti scaduti e in scadenza, verifica delle perdite maturate e dell’eventuale erosione del capitale sociale, valutazione degli asset disponibili da liquidare, etc. . Occorre distinguere se la crisi è temporanea (es. dovuta a un credito importante incassato in ritardo) o strutturale (insolvibilità imminente).
- Informazione agli organi societari e ai soci: se la SRL ha un consiglio di amministrazione, tutti i membri vanno coinvolti e informati sullo stato di crisi. Se vi sono soci non amministratori, questi devono essere aggiornati tempestivamente (anche perché potrebbero valutare interventi di sostegno, come ricapitalizzazioni o finanziamenti soci). I sindaci o revisori (organi di controllo) vanno immediatamente avvisati se non sono già al corrente: in molte situazioni saranno proprio loro a sollecitare l’azione (vedi allerta interna). Tenere all’oscuro i soci o il collegio sindacale di una crisi conclamata configura violazione dei doveri e può aggravare la posizione di responsabilità degli amministratori.
- Evitare atti che aggravino il passivo o pregiudichino i creditori: questo è un principio fondamentale. Dal momento in cui la crisi diventa evidente, gli amministratori devono cambiare mindset: non più massimizzazione del profitto, ma tutela del patrimonio aziendale a salvaguardia dei creditori. In concreto, significa astenersi da operazioni rischiose o dissipative, come: continuare ad assumere nuove obbligazioni che si sa di non poter adempiere (trading while insolvent), compiere pagamenti preferenziali a favore di alcuni creditori a discapito di altri (ad esempio pagare un fornitore “amico” lasciando indietro le tasse o gli stipendi), svendere beni aziendali senza un serio motivo o sottrarli alla garanzia dei creditori. Ogni atto che aumenti il dissesto (ad es. indebitamento ulteriore senza prospettive di rimborso, utilizzo di finanziamenti bancari per pagare soci, ecc.) può essere successivamente contestato. In caso di fallimento, tali condotte potrebbero integrare il reato di bancarotta preferenziale (se sono stati favoriti alcuni creditori) o distrattiva (se sono stati distratti beni) e comunque generano responsabilità civile verso i creditori per aggravamento del passivo.
- Rispetto degli obblighi civilistici societari (perdite rilevanti): il codice civile prevede regole specifiche in caso di perdite che intaccano il capitale sociale (artt. 2482-bis e 2482-ter c.c. per SRL). Se le perdite superano 1/3 del capitale o riducono il capitale sotto il minimo legale, gli amministratori devono convocare senza indugio l’assemblea per gli opportuni provvedimenti (riduzione e ricostituzione del capitale, trasformazione, scioglimento della società) . La violazione di questi obblighi (es. omessa convocazione dell’assemblea malgrado il patrimonio netto negativo) è un classico indice di mala gestio. Cassazione ha chiarito che i nuovi criteri di quantificazione del danno da gestione impropria (art. 2486 c.c. comma 3 introdotto nel 2019) – basati sulla differenza tra patrimonio netto alla data in cui avrebbero dovuto attivarsi e patrimonio netto al momento dell’apertura della liquidazione – si applicano solo alle condotte successive alla riforma e sono una presunzione relativa . In sostanza, se gli amministratori non rispettano queste regole e procrastinano l’emersione delle perdite, possono essere chiamati a risarcire il danno ai creditori pari all’aggravamento del deficit patrimoniale nel periodo di ritardo . La Suprema Corte (Cass. 17834/2023) ha di recente precisato che tale criterio del netto patrimoniale è un parametro sussidiario: vale come quantificazione presunta del danno da tardiva attivazione, ma non esclude che il curatore possa provare un danno maggiore con altri metodi se vi sono elementi concreti .
- Attivazione degli strumenti di composizione della crisi: il CCII non impone automaticamente di aprire una procedura alla semplice comparsa della crisi, ma pretende che l’organo amministrativo la valuti seriamente e non la ignori. Dunque, una volta appurato che l’azienda è in crisi (o insolvente), gli amministratori hanno il dovere di considerare le opzioni offerte dalla legge. In concreto: verificare se ci sono margini per tentare una soluzione stragiudiziale (come un piano attestato con i principali creditori) oppure attivare subito una composizione negoziata richiedendo la nomina di un esperto indipendente . Se la situazione appare compromessa al punto da rendere necessario il tribunale, preparare un ricorso per concordato preventivo (anche “in bianco” per guadagnare tempo) o, nei casi estremi, valutare l’ipotesi di auto-declaratoria di insolvenza (richiesta di liquidazione giudiziale). L’importante è non restare immobili: l’inerzia prolungata può essere equiparata a mala gestio. Nelle linee guida di molti tribunali, infatti, si considera la tempestività dell’accesso alle procedure come elemento per escludere colpe degli amministratori. Anche perché – va ricordato – l’art. 2485 c.c. obbliga l’amministratore a accertare senza indugio il verificarsi di una causa di scioglimento (l’insolvenza lo è) e a procedere agli adempimenti conseguenti; continuare l’attività d’impresa in stato di insolvenza espone a responsabilità per aggravamento del dissesto.
- Conservazione e documentazione delle decisioni: gli amministratori in crisi farebbero bene a documentare puntualmente ogni passo intrapreso. Si consiglia di verbalizzare con cura le riunioni del CDA in cui si discutono i segnali di crisi e le decisioni su come procedere, nonché di conservare copia di tutti i documenti rilevanti (relazioni di esperti, corrispondenza con creditori per moratorie, piani finanziari predisposti) . Questa documentazione tornerà utile in futuro, ad esempio per dimostrare, in caso di contenziosi, che la gestione della crisi è stata affrontata con diligenza e trasparenza. In tribunale, la carta canta: verbali e relazioni redatti tempestivamente possono proteggere gli amministratori dall’accusa di inerzia o imprudenza.
In caso di fallimento o liquidazione giudiziale poi aperta sulla società, il curatore e i creditori analizzeranno col senno di poi l’operato degli amministratori. I comportamenti virtuosi (aver tentato un concordato, aver evitato atti distrattivi, aver informato correttamente i creditori) potranno esonerarli da responsabilità, mentre condotte negligenti o in malafede saranno passibili di azione di responsabilità. È bene evidenziare che la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali è oggi espressamente riconosciuta nel codice civile (art. 2476 comma 6 c.c. e art. 2486 c.c.): se per violazione dei doveri di conservazione del patrimonio l’attivo risulta insufficiente a pagare i debiti, gli amministratori ne rispondono personalmente verso il ceto creditorio. Viceversa, se essi dimostrano di aver fatto tutto il possibile (attivato assetti adeguati, informato e agito in tempo), sarà più difficile imputare loro colpe.
E i soci? Normalmente i soci di una SRL beneficiano della responsabilità limitata e non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali. Ci sono però eccezioni: soci che abbiano prestato fideiussioni personali alle banche o ai fornitori restano ovviamente obbligati verso quei creditori; inoltre, in casi estremi, la giurisprudenza ammette l’azione di responsabilità verso il socio di controllo che abbia gestito di fatto l’impresa in modo abusivo (cosiddetto “piercing the corporate veil”, applicato raramente in Italia). Va segnalato poi il principio stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2013, per cui se al termine di una liquidazione o fallimento i creditori rimangono insoddisfatti, i soci che hanno percepito riparti in sede di liquidazione possono essere tenuti a restituirli per pagare i creditori (fino a concorrenza del debito) . Anzi, la Cassazione a Sezioni Unite n. 6070/2013 ha affermato che i soci rispondono dei debiti residui anche se non hanno ricevuto nulla in sede di liquidazione, superando un precedente orientamento più favorevole ai soci . Questo principio – sebbene riferito alla liquidazione volontaria – indica una tendenza a non lasciare totalmente impuniti i soci di società “svuotate” a danno dei creditori. Ad ogni modo, nelle SRL operative è prassi che i soci subiscano principalmente la perdita del capitale investito, ma non ulteriori coinvolgimenti, salvo abbiano avuto ruoli gestori.
Profilo penale: l’insolvenza che sfocia in una liquidazione giudiziale porta con sé possibili strascichi penali. Se emerge che gli amministratori hanno tenuto comportamenti dolosi – ad esempio hanno distratto beni dell’azienda a loro vantaggio, oppure hanno pagato scientemente un creditore invece di altri poco prima del fallimento, oppure hanno falsificato i bilanci per mascherare le perdite – potranno essere incriminati rispettivamente per bancarotta fraudolenta distrattiva, bancarotta preferenziale o false comunicazioni sociali. Anche l’omesso versamento di IVA o contributi rilevanti costituisce reato come visto. Insomma, la cattiva gestione della crisi non comporta solo cause civili, ma può portare gli amministratori (e i dirigenti compiacenti) sul banco degli imputati in sede penale. La migliore protezione in tal senso è la trasparenza e correttezza: attivare formalmente una procedura concorsuale, coinvolgere il tribunale, garantisce un certo “ombrello” di legalità e buona fede. Ad esempio, presentare domanda di concordato prima che la situazione precipiti può evitare l’accusa di bancarotta preferenziale per i pagamenti fatti durante la procedura (perché autorizzati dal giudice). Anche la composizione negoziata ha effetti di esimente: se si raggiunge un accordo che consente il pagamento parziale di IVA e contributi, l’omesso versamento originario non è più punibile (la regolarizzazione evita la configurabilità del reato) . In sintesi, l’imprenditore onesto che affronta la crisi in modo trasparente e con gli strumenti legali ha alta probabilità di evitare conseguenze penali, mentre chi persevera in comportamenti occulti o favoritismi rischia grosso.
Conclusione: guidare una SRL attraverso la tempesta della crisi richiede disciplina, prontezza e consulenza adeguata. Gli amministratori virtuosi devono agire quasi come “commissionari giudiziali di sé stessi” prima ancora che intervenga un giudice: monitorare, preservare, coinvolgere, trattare. Questo aumenta non solo le chance di salvataggio dell’impresa, ma protegge anche il proprio patrimonio e la propria fedina penale. Il Codice della Crisi offre mezzi e incentivi per farlo: vediamoli nel dettaglio nel prossimo capitolo.
Gestione dei rapporti con i creditori durante la crisi
Quando una SRL entra in crisi, i rapporti con i vari creditori diventano delicatissimi. Una comunicazione sbagliata o tardiva può far perdere la fiducia e scatenare reazioni a catena (azioni legali, revoche di fido, etc.), mentre un approccio proattivo e trasparente può guadagnare tempo prezioso e collaborazione. Di seguito, esaminiamo come gestire pragmaticamente le relazioni con le principali categorie di creditori durante la crisi:
👉 Creditori pubblici (Fisco e Previdenza): Come visto, il Fisco (Agenzia Entrate/Agenzia Riscossione) e gli enti previdenziali (INPS in primis) sono creditori particolarmente “sensibili”. Strategia: giocare d’anticipo e cercare soluzioni formali. Se la SRL inizia ad accumulare debiti fiscali o contributivi, conviene contattare subito l’ufficio dell’Agenzia Entrate Riscossione o l’INPS competente per valutare piani di rateazione amministrativa. Mostrare volontà collaborativa (ad esempio versando qualcosa a fronte del debito e chiedendo la dilazione sul residuo) può evitare misure immediate come fermi e ipoteche. In parallelo, monitorare le possibili definizioni agevolate: negli ultimi anni sono frequenti le norme di “rottamazione” delle cartelle esattoriali, che consentono di estinguere i debiti eliminando sanzioni e interessi. Se si prevede di accedere a una procedura concorsuale (accordo o concordato), valutare l’utilizzo della transazione fiscale e contributiva: è uno strumento potentissimo perché permette di tagliare e diluire i debiti verso lo Stato, ma richiede un piano serio e il controllo del tribunale. È importante instaurare un dialogo con gli enti: ad esempio, durante una composizione negoziata, invitare l’Agenzia Entrate al tavolo con una proposta concreta di rientro (come nel Caso 1 vedremo) può portare ad un accordo, specie dopo le modifiche del 2022-2023 che hanno reso il Fisco più disponibile a trattare anche in sede stragiudiziale . Attenzione alle soglie penali: se ci sono violazioni oltre soglia (IVA, contributi), considerare la possibilità di sanarle entro i termini di legge per estinguere il reato (spesso pagando il dovuto prima dell’apertura del dibattimento penale si ottiene causa di non punibilità). Infine, non ignorare le comunicazioni di allerta: se arriva la famigerata PEC dall’Agenzia Entrate (“la sua impresa ha debiti scaduti per… oltre soglia…”), occorre entro 3 mesi far partire una soluzione (composizione negoziata, istanza di concordato, ecc.) per non perdere i benefici premiali.
👉 Banche e istituti di credito: Le banche vanno trattate con estrema cautela, perché dalle loro decisioni dipende spesso la sorte immediata dell’impresa (basta la revoca di un fido bancario a prosciugare la liquidità). Strategia: trasparenza vigilata e negoziazione tecnica. In prima battuta, è utile incontrare i referenti bancari prima che la situazione diventi ingestibile, magari presentando un piano di risanamento (anche solo abbozzato) e spiegando quali misure l’azienda intende prendere. Spesso la banca apprezza di essere informata anziché scoprire dai bilanci in ritardo che la situazione è precipitata. Può essere chiesto formalmente alla banca un periodo di moratoria (es. mantenimento degli affidamenti e sospensione temporanea del pagamento delle quote capitale di mutui/leasing), magari facendo leva sulle linee guida ABI per le ristrutturazioni. Se la banca percepisce che è in preparazione un percorso sotto l’egida del tribunale (accordo di ristrutturazione o concordato), sarà più incline ad attendere l’esito invece di attivare subito il contenzioso. Durante le trattative di composizione negoziata, come accennato, si possono chiedere al giudice misure cautelari che inibiscano gli istituti di credito dal revocare affidamenti o dal segnalare negativamente in Centrale Rischi : questo mette la banca in una posizione di standby forzato, per cui dovrà negoziare al tavolo con l’imprenditore e l’esperto nominato. In un concordato preventivo, dal momento del deposito della domanda scatta lo stay automatico: la banca non può iniziare né proseguire azioni esecutive e non può alterare le condizioni contrattuali per crediti pregressi. In pratica, il rapporto con le banche durante la crisi va “istituzionalizzato”: meno telefonate informali e più comunicazioni scritte o incontri con advisor presenti, così che ogni passo sia tracciato. Infine, considerare forme di finanza esterna: le banche potrebbero essere disposte a erogare nuove linee di credito “prededucibili” (che verranno cioè rimborsate prima degli altri debiti) se inserite in un piano di concordato ben congegnato e con garanzie adeguate. Oppure, possono accettare di trasformare parte dei loro crediti in partecipazione al capitale (operazione di debt-equity swap), come ipotesi in alcuni concordati in continuità . Ogni banca fa storia a sé, ma in generale se vede che la sua alternativa è perdere quasi tutto in un fallimento, sarà ricettiva a proposte che offrano una recovery ragionevole.
👉 Fornitori e creditori commerciali: I fornitori spesso sono i primi a percepire che l’azienda è in crisi (dal ritardo nei pagamenti). Strategia: comunicazione sincera e accordi di fornitura sostenibili. È di solito controproducente nascondere la crisi ai fornitori chiave: meglio chiamarli, spiegare le difficoltà e proporre un piano: ad esempio “ti pago il 50% del pregresso in 6 mesi, intanto continui a rifornirmi, altrimenti se mi fermi ora rischi di perdermi del tutto”. Molti fornitori, soprattutto se hanno un rapporto duraturo, preferiranno accettare una dilazione o un piccolo stralcio pur di non perdere il cliente. È bene mettere gli accordi per iscritto (anche una semplice mail di conferma) per evitare future contestazioni. Nei piani di risanamento attestati (PAR) spesso si formalizzano accordi bilaterali di saldo e stralcio con i fornitori: ciascun fornitore firma un accordo in cui accetta di rinunciare a una percentuale del proprio credito in cambio del pagamento del resto entro un certo termine . Questi atti, se il piano è attestato da un esperto indipendente, godono di protezione: non saranno revocabili in caso di successivo fallimento . Se invece si arriva a un concordato preventivo, i fornitori vengono raggruppati in classi e sottoposti a voto: qui la chiave è la convincenza della proposta. Un fornitore razionale voterà sì se la percentuale offerta in concordato è superiore (o non troppo inferiore) a ciò che stima di ricavare dalla liquidazione fallimentare dell’azienda. Ad esempio, se in concordato gli offro 20% di soddisfazione e in caso di fallimento stima di recuperare 5%, gli converrà votare a favore. Se alcuni fornitori sono essenziali per il business futuro (fornitori strategici), li si può classare a parte e offrire loro condizioni migliori (es. 30%) rispetto ad altri fornitori non strategici (20%), giustificando che la differenza è funzionale a garantire la continuità d’impresa . Questo treatment differenziato è ammesso purché motivato (lo prevede l’art. 84 CCII sulla formazione delle classi). Da evitare è il fai-da-te di pagare di nascosto certi fornitori mentre si è già decisa la procedura concorsuale: oltre a poter costituire bancarotta preferenziale, significa sfavorire altri creditori e rischia di far saltare la par condicio. Molto meglio inserire eventuali fornitori vitali in classe con pagamento integrale nel concordato (si può fare per quelli indispensabili, a patto che la classe li approvi e che il piano lo consenta). In composizione negoziata, l’esperto spesso chiederà ai fornitori di congelare le pretese per qualche mese (accordi di standstill individuali) in attesa di trovare una soluzione comune.
👉 Clienti e contratti in corso: Sebbene non siano “creditori” in senso tecnico, i clienti dell’impresa in crisi possono diventarlo (si pensi agli acconti versati per forniture non ancora eseguite). Inoltre, mantenere la fiducia dei clienti è vitale per qualsiasi prospettiva di risanamento. Strategia: massima attenzione alla continuità del servizio. Se possibile, onorare le consegne e i contratti verso i clienti più importanti, anche a costo di ritardare altri pagamenti: perdere i clienti chiave sarebbe il colpo di grazia. In caso di concordato, i contratti in corso possono proseguire, ma l’impresa dovrà eventualmente richiedere al tribunale l’autorizzazione a sciogliersi da contratti troppo onerosi o a sospenderli temporaneamente (artt. 94-96 CCII). Verso i clienti che hanno pagato anticipi e rischiano di non ricevere la merce, è opportuno valutare soluzioni per tutelarli (ad es. nel Caso 3 vedremo promissari acquirenti di case non consegnate). La reputazione è importante: se la crisi diventa pubblica (es. con l’iscrizione di un concordato in registro imprese), preparare una comunicazione ufficiale ai clienti rassicurandoli sulla continuità aziendale può evitare la fuga degli ordini.
In sintesi, gestire i creditori nella crisi è un esercizio di equilibrio tra fermezza e collaborazione. Da un lato l’imprenditore deve tutelarsi – usando tutti gli strumenti legali per congelare le azioni esecutive (misure protettive) e rinegoziare il debito –, dall’altro deve tenere conto degli interessi dei creditori, farli sentire parte di una soluzione equa e credibile. Il Codice della Crisi fornisce un quadro normativo perché tutto questo avvenga in modo ordinato, come vedremo ora entrando nel merito dei singoli strumenti di risanamento.
Strumenti per risanare i debiti nel Codice della Crisi d’Impresa
Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) prevede una gamma articolata di strumenti per affrontare situazioni di difficoltà economica e insolvenza, differenti per natura, grado di coinvolgimento dell’autorità giudiziaria e effetti sui debiti. L’idea è che si possa scegliere lo strumento più adatto al caso concreto, spaziando da soluzioni totalmente negoziali e stragiudiziali – lasciate all’autonomia delle parti – fino a procedure concorsuali giudiziali vere e proprie, sotto il controllo del tribunale, capaci di imporre ai creditori anche sacrifici unilaterali .
Di seguito passeremo in rassegna i principali strumenti, spiegandone presupposti, procedura, vantaggi e limiti, con particolare riferimento alle SRL “operative” (cioè aziende in attività, non mero veicolo societario vuoto). In questa sede ci concentreremo sul punto di vista del debitore (la società in crisi), ossia su come ciascun istituto può aiutarla a risanare o, nei casi estremi, a liquidare i debiti in modo ordinato.
Composizione negoziata della crisi (CNC)
La composizione negoziata della crisi è uno strumento innovativo e prevalentemente stragiudiziale, introdotto con il D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) ed ora disciplinato organicamente negli artt. 17–25 CCII . È entrata in vigore a novembre 2021, anticipando il Codice della Crisi, e ne costituisce la porta di ingresso “morbida”: il percorso che un imprenditore può attivare volontariamente quando avverte uno squilibrio economico-patrimoniale che rende probabile la crisi o l’insolvenza futura . Scopo: aiutare le imprese in difficoltà (specie PMI) a trovare un accordo con i creditori e attuare un risanamento prima di dover ricorrere a procedure concorsuali più invasive.
Caratteristiche chiave: la composizione negoziata è riservata e volontaria. L’imprenditore mantiene la gestione della sua azienda (nessuno spossessamento dei beni) e non vi è una dichiarazione formale di procedura concorsuale aperta . Viene però affiancato da un esperto indipendente, nominato da un’apposita Commissione istituita presso la Camera di Commercio, con il compito di facilitare le trattative con i creditori e verificare le prospettive di risanamento. È quindi un percorso assistito: l’esperto funge da “regista” neutrale che aiuta le parti a trovare un terreno d’intesa. Importante: tutte le imprese possono accedere alla composizione negoziata, di qualsiasi dimensione e settore (anche le agricole), indipendentemente dai requisiti dimensionali che in passato limitavano le procedure di allerta . Dunque anche una piccola SRL sotto soglia (che non sarebbe soggetta a fallimento) può comunque usare la CNC.
Accesso: l’imprenditore presenta una istanza tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio) allegando informazioni economico-patrimoniali: ultimi bilanci, elenco creditori, situazione aggiornata finanziaria, una relazione sulle cause della crisi e sulle prospettive di ripresa, ecc. . Occorre anche fornire un piano di risanamento potenziale (anche sintetico) e indicare le iniziative già tentate. Non serve dimostrare di essere in stato di crisi grave: è sufficiente trovarsi in condizioni di “squilibrio” che rendono probabile la crisi o l’insolvenza futura (definizione art. 2 CCII). Quindi la soglia di accesso è volutamente bassa e preventiva. Novità 2024: il terzo correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha ulteriormente semplificato l’accesso, eliminando alcune formalità e chiarendo che l’imprenditore può accedervi anche più di una volta, purché per crisi distinte, e pure se ha già in corso un piano attestato (purché i due procedimenti siano coordinati) . Sono inoltre state introdotte misure per imprese di piccole dimensioni (imprese sotto-soglia): un percorso semplificato con esperti nominati anche da elenchi locali e costi ridotti .
Nomina dell’esperto: ricevuta l’istanza, la Commissione (composta da commercialisti, avvocati, esperti nominati dal Ministero) designa entro pochi giorni un esperto indipendente, scelto da un apposito elenco nazionale. L’esperto deve avere competenze in ristrutturazione aziendale. Egli convoca subito l’imprenditore per un primo incontro, in cui valuta se esistono ragionevoli prospettive di risanamento. Se dall’analisi preliminare emergesse che l’azienda è completamente decotta e senza possibilità di recupero, l’esperto può anche segnalare subito che la composizione negoziata è inutile – in tal caso l’imprenditore valuterà il concordato o la liquidazione (nel Caso 3 vedremo questa evenienza). In generale però, se c’è anche una minima chance di sistemare le cose, si procede.
Svolgimento: l’esperto elabora, insieme all’imprenditore, un piano di lavoro e inizia a contattare i principali creditori. La forza della CNC sta proprio nel mettere tutti allo stesso tavolo, con una figura terza che garantisce imparzialità. Si svolgono incontri – di norma riservati – in cui si cerca una soluzione: ad esempio, si discute di dilazioni di pagamento, riduzioni di credito (stralci), conversione di parte dei crediti in capitale, ingresso di nuovi soci finanziatori, vendita di asset per pagare i creditori, ecc. L’esperto verifica la fattibilità delle proposte e sprona le parti a concessioni reciproche. Durata: la composizione negoziata dura inizialmente fino a 3 mesi, prorogabili di altri 3 (per un totale di 6), ma il correttivo 2024 ha dato facoltà di estendere fino a 12 mesi su richiesta motivata, se le trattative sono in corso e c’è utilità a proseguirle . Durante questo periodo, l’impresa continua ad operare normalmente – non c’è procedura concorsuale aperta – salvo il fatto che alcune operazioni straordinarie (ad es. alienare l’azienda o rami importanti, ipotecare immobili, ecc.) possono richiedere un’autorizzazione del tribunale su parere dell’esperto (per evitare atti pregiudizievoli ai creditori). In generale comunque l’imprenditore mantiene la gestione in bonis.
Misure protettive e cautelari: uno dei vantaggi maggiori della CNC è la possibilità di ottenere uno stay delle azioni dei creditori. L’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive che bloccano, per la durata delle trattative, le azioni esecutive individuali e cautelari da parte dei creditori . In pratica, si può ottenere un decreto che sospende i pignoramenti in corso e impedisce di avviarne di nuovi, nonché di acquisire titoli esecutivi (decreti ingiuntivi) se non già notificati. Lo stay inizialmente dura fino a 120 giorni, estendibile fino a compimento dei 240 giorni (8 mesi) con eventuale proroga della procedura – la legge parla di massimo 6+6 mesi di protezione su istanza. Durante questo periodo, i creditori chirografari non possono iniziare o proseguire azioni di recupero (salvo ottenere dal giudice un’esenzione se provano che la mancata tutela pregiudicherebbe irreparabilmente il loro credito, ipotesi rara). I creditori privilegiati (come le banche con pegno/ipoteca) possono chiedere di essere autorizzati ad escutere le garanzie se dimostrano che il valore si sta deteriorando; tuttavia i tribunali tendono a mantenere un congelamento generale, salvo casi lampanti. Inoltre – come visto – i giudici possono emanare misure cautelari ad hoc, ad esempio ordinare alle banche di non revocare i fidi e non segnalare lo “stato di crisi” alle centrali rischi durante la negoziazione . Questo è cruciale perché impedisce che la notizia della crisi si propaghi e aggravi la situazione (effetto stigma). Le misure protettive non sono automatiche con l’istanza: vanno richieste con apposito ricorso al tribunale e convalidate dopo un’udienza. Dal momento in cui l’istanza di misure protettive è pubblicata nel registro delle imprese, i creditori eventualmente non informati ne vengono a conoscenza e devono adeguarsi.
Esito della composizione negoziata: può concludersi in vari modi (art. 23 CCII): – Accordo stragiudiziale con i creditori: è l’esito ottimale. Si formalizza un accordo di ristrutturazione “privato” in cui la società e tutti o la gran parte dei creditori trovano un’intesa su come regolare i debiti (es. piano di pagamenti dilazionati e parziali) . Spesso non vi sarà un unico documento firmato da tutti (non è necessario per legge avere l’adesione del 100% dei creditori), ma una serie di accordi bilaterali con cui ciascun creditore aderente accetta il piano proposto . Non servono voti di maggioranza: l’accordo deve avere il consenso individuale di ogni creditore coinvolto . Questo è un limite: basta un grosso creditore che dica no per far saltare il piano su quel credito (che rimarrà estraneo). L’esperto, a conclusione, redige una relazione finale attestando che l’accordo è stato raggiunto e che “lo scopo del risanamento è stato ottenuto”. L’accordo può avere forma di piano attestato di risanamento (se viene asseverato da un professionista come veritiero e fattibile) e può essere eseguito con tranquillità: gli atti compiuti in attuazione del piano risanatorio saranno protetti da revocatoria fallimentare futura . – Accordo con intervento del tribunale (omologazione): se non si riesce ad ottenere l’adesione di tutti i creditori, ma si ha quella della maggioranza (per valore) e l’accordo può diventare vincolante per tutti col crisma dell’autorità giudiziaria, allora si può “convertire” la composizione in un accordo di ristrutturazione omologato (strumento di cui parleremo a breve) oppure in un concordato preventivo semplificato (se certi creditori non ne vogliono sapere e la negoziazione è fallita in parte). In altre parole, la composizione negoziata può sfociare in una procedura concorsuale veloce: l’esperto certifica che l’accordo non è stato raggiunto in modo consensuale con tutti, ma consiglia un percorso concorsuale (concordato o accordo ex art. 57 CCII) in base a quanto emerso, e l’imprenditore può depositare subito la domanda per tale procedura. Spesso, se c’è accordo con molti creditori ma qualche testa calda resiste, la via è l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (che con il 75% di adesioni permette di “forzare” i dissenzienti finanziari, v. oltre). – Esito negativo e apertura concorsuale liquidatoria: se le trattative falliscono del tutto e l’esperto rileva che non c’è accordo né prospettiva di risanamento, egli chiude la procedura con esito negativo. A quel punto l’imprenditore (entro 60 giorni) può ripiegare sul concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, una procedura speciale senza voto dei creditori introdotta proprio come “piano B” post-composizione negoziata . Ne parleremo tra poco. Se neanche questo viene fatto, è probabile che uno dei creditori chieda la liquidazione giudiziale (o la società stessa vi sia trascinata). – Ritiro volontario: l’imprenditore può anche interrompere la composizione negoziata in qualsiasi momento se ritiene di aver trovato soluzioni alternative o se la situazione migliora. Ad esempio, può usare la CNC solo per ottenere lo stay e guadagnare tempo, e poi decidere di abbandonarla perché ha reperito fondi e risolto la crisi diversamente. In tal caso, cessa ogni effetto protettivo e si torna alla normale attività.
Vantaggi della composizione negoziata: – È confidenziale (non c’è pubblicità legale, a parte l’eventuale notifica delle misure protettive ai creditori). Questo evita il rischio di danno reputazionale immediato che invece un concordato pubblicato comporta. – È flessibile: non ci sono schemi rigidi di cosa si può proporre. Si possono costruire soluzioni su misura per i creditori che aderiscono, senza dover rispettare par condicio (dato che serve accordo individuale) . Questo consente ad esempio accordi creativi: dilazioni lunghe, conversione di crediti in strumenti finanziari, affitti d’azienda temporanei, etc. – Costo contenuto e rapidità: rispetto a un concordato, i costi procedurali sono minori (non c’è un commissario da pagare, l’esperto ha compenso calmierato) e tutto avviene più velocemente e fuori dal tribunale. È particolarmente indicata per PMI che vogliono evitare la pesantezza di un fallimento o concordato.
Svantaggi/limiti: – Nessun effetto “impositivo” sui dissenzienti: se anche un solo creditore importante rifiuta l’accordo, quell’esposizione rimane irrisolta e il creditore potrà comunque agire (magari dopo la fine dello stay) . In composizione negoziata non esiste voto a maggioranza: senza l’assenso individuale non si può imporre un sacrificio al singolo creditore. Quindi funziona bene se il numero di creditori è relativamente limitato e c’è collaborazione; se c’è una platea molto ampia di creditori e alcuni sono ostili, la CNC rischia di fallire. – Stay temporaneo e precario: il blocco delle azioni è provvisorio e richiede conferma periodica. Inoltre non impedisce ai creditori di maturare interessi di mora né (salvo provvedimenti specifici) di interrompere forniture o revocare contratti per inadempimento. Si può arrivare ad un massimo di 12 mesi di protezione: se oltre tale termine non si chiude un accordo, i creditori possono scatenarsi di nuovo. – Necessità di collaborazione attiva: l’imprenditore deve essere molto trasparente e collaborativo con l’esperto, mettendo sul tavolo tutte le informazioni. Se tenta di nascondere dati o di fare il furbo, l’esperto può dimettersi o comunque redigere una relazione negativa che vanifica lo strumento. Anche i creditori devono essere disposti a negoziare: se uno “fa muro”, l’esperto non ha poteri per costringerlo a concessioni (diversamente da un giudice in concordato, che può imporre il cram down). – Nessuna immediata esdebitazione: poiché di per sé è un accordo privato, la CNC non cancella automaticamente i debiti verso chi non aderisce. Solo se si finalizza con un concordato o accordo omologato si ottiene la fresh start dai debiti residui non pagati. Se invece si chiude con un accordo stragiudiziale, tecnicamente i creditori che hanno rinunciato a parte del credito non possono più pretendere altro (perché hanno firmato), ma i creditori che non hanno aderito rimangono estranei e potranno richiedere il 100% del loro credito (magari dilazionato se beneficiano indirettamente dello risanamento). – Impegno gestionale: gestire una trattativa multi-creditore è oneroso: l’imprenditore deve dedicare tempo ed energie, aiutato dai consulenti e dall’esperto, in una fase in cui l’azienda è già in crisi. Non tutte le PMI hanno le risorse manageriali per affrontare questo percorso negoziale con efficacia.
Novità fiscali e incentivi: Il legislatore, per incoraggiare il ricorso alla CNC (che inizialmente è stato inferiore alle attese, con poche decine di casi nei primi mesi), ha introdotto incentivi tributari. Ad esempio, con il D.Lgs. 83/2022 e ancor più con il D.Lgs. 136/2024, è stato previsto che: se l’imprenditore raggiunge un accordo con transazione fiscale entro la composizione negoziata, può beneficiare di un trattamento fiscale di favore (tipo esenzione da alcune imposte sulle riduzioni di debito); inoltre, i finanziamenti effettuati dai soci durante la composizione negoziata, se il piano va a buon fine, sono considerati prededucibili (verranno rimborsati prima di altri crediti in caso di successivo default) e non sono soggetti a postergazione ex art. 2467 c.c. Queste “premialità” servono a incentivare soci e terzi a immettere nuova finanza durante le trattative.
In conclusione, la composizione negoziata è uno strumento prezioso per tentare il salvataggio in via concordata e confidenziale. È particolarmente indicata quando l’impresa ha prospettive di recupero (ordini, mercato) ma è zavorrata da debiti che richiedono di essere ristrutturati, e quando c’è speranza di ragionare pacificamente con i creditori. Nei casi di studio vedremo un esempio di composizione negoziata riuscita (Caso 1). Se però manca la collaborazione o la situazione è troppo compromessa, occorre passare a strumenti più “forti” come gli accordi omologati o il concordato preventivo.
(Nota: Oltre alla composizione negoziata “generale”, il CCII ha previsto anche un particolare strumento di composizione per le imprese minori non soggette a liquidazione giudiziale, denominato “composizione assistita” presso gli OCRI. Tale parte del codice, tuttavia, è stata di fatto sostituita proprio dalla composizione negoziata introdotta nel 2021, e gli OCRI non sono mai entrati in funzione. Pertanto non la trattiamo separatamente.)
Piano attestato di risanamento (PAR)
Il piano attestato di risanamento, disciplinato oggi dall’art. 56 CCII (già art. 67 L.F.), è uno strumento stragiudiziale puro, in cui l’azienda in crisi elabora un piano di risanamento e un professionista indipendente (l’“attestatore”) ne assevera la veridicità dei dati e la fattibilità. Scopo: consentire all’impresa di risanarsi raggiungendo accordi privati con i propri creditori, sotto la garanzia di un attestatore che certifica che il piano è realistico, e ottenere in cambio alcune tutele di legge (in primis l’esenzione da azioni revocatorie fallimentari per gli atti compiuti in esecuzione del piano). Il PAR è l’esempio di soluzione “privata” incoraggiata dal Codice: nessun tribunale coinvolto (tranne una comunicazione finale al Registro Imprese), massima flessibilità nelle trattative, oneri formali ridotti.
Presupposti: è necessario che l’impresa sia potenzialmente risanabile. Il piano deve prevedere il riequilibrio della situazione finanziaria dell’azienda entro un ragionevole periodo (tipicamente 3-5 anni) e assicurare la sostenibilità economica futura. Non viene richiesta l’unanimità di tutti i creditori, ma è evidente che se alcuni creditori chiave non “stanno al gioco”, il piano perde efficacia. Tipicamente, il PAR funziona quando l’impresa ha pochi creditori principali con cui può trovare un’intesa, e magari vari creditori minori che comunque potranno essere pagati regolarmente grazie al risanamento. Non c’è un limite legale alla condizione dell’impresa: può essere usato sia in caso di semplice crisi incipiente, sia in caso di vera e propria insolvenza già manifesta (prima del fallimento). Tuttavia, se l’insolvenza è conclamata e diffusa, affidarsi ad un piano privato rischia di essere insufficiente – in tal caso è più opportuno un concordato.
Procedura: la società, con l’aiuto di consulenti (aziendalisti, legali), redige un piano industriale e finanziario che delinei le misure per superare la crisi. Ad esempio, il piano potrà prevedere: ristrutturazione del debito con taluni creditori (accordi di stralcio o dilazione individuali), cessione di asset non strategici per fare cassa, riduzione di costi operativi, ricerca di finanza fresca (nuovi soci o credito), ecc. Parallelamente, un professionista indipendente (iscritto all’albo dei gestori della crisi o comunque con requisiti di esperienza in restructuring) viene incaricato di esaminare il piano e le informazioni aziendali, e rilasciare la relazione di attestazione. In essa dichiara che i dati aziendali sono veritieri e che le ipotesi del piano sono realistiche e realizzabili, tale da portare al risanamento dell’impresa. La figura dell’attestatore è cruciale: deve essere super partes e assumersi la responsabilità (anche penale, in caso di false attestazioni) di ciò che scrive.
Contenuto degli accordi: il piano attestato non impone alcun contenuto tipico. Tipicamente però include accordi con i creditori principali, che vengono negoziati individualmente. Ad esempio: la banca Alfa accetta di prorogare i finanziamenti e magari rinunciare a interessi di mora; il fornitore Beta accetta un pagamento parziale del 70% del suo credito entro 1 anno; il socio Gamma versa nuovi fondi da destinare ai creditori in cambio di mantenere la quota sociale, etc. È frequente, in sede di PAR, concludere accordi contestuali plurimi, tutti datati lo stesso giorno, in cui ciascun stakeholder aderisce al piano complessivo. Non è necessario che tutti i creditori aderiscano: quelli che non aderiscono rimangono estranei e dovranno comunque essere pagati integralmente alle scadenze originali. Per questo, il piano deve prevedere che i flussi di cassa futuri bastino a pagare regolarmente i creditori non rinegoziati. Se ad esempio l’Agenzia Entrate non aderisce ad alcun stralcio, il piano dovrà considerare il pagamento integrale dei debiti fiscali dovuti. Ciò spesso limita l’efficacia del PAR: basta un grande creditore non disponibile a sconti per obbligare l’azienda a onorarlo al 100%, il che a volte rende il risanamento impraticabile. Il CCII 2022 ha introdotto la possibilità che un piano attestato includa la richiesta al tribunale di misure protettive temporanee (simili a quelle della composizione negoziata) per bloccare azioni esecutive mentre il piano viene negoziato e formalizzato: l’azienda può cioè avviare in parallelo una composizione negoziata o chiedere protezione ex art. 18 CCII per il tempo necessario a ottenere le firme sul piano, prevenendo iniziative ostili durante quel lasso . Una volta che il piano è sottoscritto dai vari soggetti interessati e attestato, viene pubblicato (su base volontaria) nel registro delle imprese.
Effetti legali: la pubblicazione del piano di risanamento e della relativa attestazione nel registro imprese consente all’impresa di beneficiare di una protezione: gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non potranno essere soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 166, co.3, lett. d CCII). Questo scudo è molto rilevante: ad esempio, se l’azienda paga un fornitore in base al piano, e poi dopo due anni fallisce, quel pagamento non potrà essere revocato dal curatore come preferenziale perché era previsto nel piano attestato eseguito regolarmente . Ciò dà sicurezza ai creditori aderenti: sanno che quanto incassano è “blindato”. Inoltre, il piano attestato permette di accedere a eventuali benefici tributari (simili a quelli del concordato) se previsti – ad esempio, la remissione di debiti può non generare tassazione ai fini delle imposte sul reddito, in presenza di attestazione (questo aspetto tecnico è stato oggetto di interpretazioni, ma il principio è di favorire la neutralità fiscale delle riduzioni di debito in piani attestati). Va sottolineato che, a differenza degli accordi di ristrutturazione e concordati, il piano attestato non richiede omologa: quindi non vincola i creditori estranei. Ogni creditore che non abbia firmato un accordo è libero di agire come crede. Per questo, spesso durante un piano attestato l’imprenditore cerca comunque di ottenere almeno un impegno informale di tutti i principali creditori a non agire unilaterlamente.
Controlli: non c’è un giudice che approva il piano, ma l’attestatore svolge una funzione di “controllo sostanziale”. Inoltre, se la crisi dovesse degenerare e portare a fallimento, il curatore andrà a guardare come è stato gestito il piano: se emergeranno irregolarità o se il piano era manifestamente inadeguato, potrebbe essere indice di mala fede (in passato qualche piano attestato è stato usato in modo abusivo per guadagnare tempo e sottrarre attivi, e i tribunali sono molto vigili su questo).
Vantaggi del PAR: – Massima riservatezza e rapidità: si evita il passaggio in tribunale e la pubblicità di una procedura concorsuale. L’azienda può presentarsi all’esterno come “in risanamento volontario” senza clamore. – Flessibilità negoziale: non ci sono rigidi quorum o classi; l’azienda può trattare solo con chi serve e modulare accordi diversi per ciascun creditore (a differenza del concordato, dove i creditori della stessa classe devono ricevere trattamento paritario). – Costi ridotti: l’unico costo significativo è l’attestatore e i consulenti che redigono il piano, ma non ci sono spese di procedura concorsuale (niente commissari, nessun contributo unificato per omologa, ecc.). – Protezione dai rischi fallimentari: come detto, i pagamenti effettuati secondo il piano attestato sono protetti da revocatoria, e gli amministratori che lo eseguono difficilmente potranno essere accusati di preferenze indebite (poiché tutto è giustificato nel piano). Cassazione però ha avvertito: l’esenzione da revocatoria non è automatica solo perché c’è un piano attestato; occorre che il piano fosse idoneo al risanamento e non un mero espediente . Se emergesse che il piano era irrealistico o redatto in malafede, i pagamenti potrebbero comunque essere revocati (perché in tal caso l’attestazione sarebbe considerata viziata). Dunque il beneficio è subordinato alla serietà del piano.
Svantaggi e limiti: – Nessun effetto nei confronti dei non aderenti: il punto debole principale. Se ho 10 creditori e solo 7 accettano i termini, i 3 restanti possono da un giorno all’altro fare istanza di fallimento o pignorare beni, mandando a monte il piano. Quindi il PAR funziona in situazioni “sotto controllo”, non con decine di creditori litigiosi. – Nessuna moratoria generale automatica: durante la negoziazione del piano, se non si attiva una composizione negoziata parallela, l’azienda non è protetta dalle azioni dei creditori. Ci si basa sulla fiducia e sulla goodwill: ecco perché spesso si chiede qualche accordo ponte ai creditori (tipo: “non mi fare azioni per 3 mesi mentre predisponiamo il piano”). Ma è volontario. – Rischio di fallimento successivo: se il piano fallisce o non viene rispettato, l’azienda può finire in default e a quel punto dovrà gestire le conseguenze (concordato o fallimento). In caso di fallimento entro 2 anni dall’attestazione, il curatore lo guarderà con sospetto: se riscontra che il piano era basato su dati falsi o colposamente errati, l’attestatore potrebbe risponderne e anche gli amministratori potrebbero subire censure per averlo proposto in mala fede. – Affidabilità dell’attestatore: molto dipende dalla competenza e dall’indipendenza del professionista. Negli ultimi anni sono stati emanati Principi di attestazione (da parte del CNDCEC e FNC, ultimo aggiornamento nel 2024) per uniformare la prassi . Un attestatore serio chiederà tanti documenti, farà stress test sul piano, ecc. Questo è un bene (garantisce qualità) ma può anche allungare i tempi e costare di più in parcella.
Quando preferire il PAR: in genere, quando la crisi è ancora gestibile in via amichevole e l’azienda ha una credibilità residua con i creditori. Ad esempio, se una SRL ha 4 banche esposte e qualche debito minore commerciale, potrebbe optare per un PAR accordandosi con le banche (che magari posticipano le rate e rinunciano a qualcosa) e continuando a pagare regolarmente fornitori e fisco. Se riesce a eseguire il piano, la crisi si risolve senza nemmeno essere diventata “pubblica”. È un po’ la soluzione “privata” per evitare la parola concordato. Tuttavia, se la platea dei creditori è molto ampia o se servono effetti cogenti (es. stralciare l’IVA o forzare i dissenzienti), il PAR non basta e occorre procedere con un istituto omologato.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, disciplinati dagli artt. 57-64 CCII (corrispondenti all’ex art. 182-bis L.F.), rappresentano uno strumento “a metà strada” tra il piano attestato e il concordato preventivo. Sono accordi negoziati privatamente con i creditori, ma che poi vengono omologati dal tribunale, acquisendo efficacia vincolante e alcuni effetti tipici delle procedure concorsuali. In altre parole, negli ADR c’è un intervento del giudice limitato all’approvazione finale dell’accordo, ma non c’è alcuna procedura concorsuale ampia come nel concordato: non c’è voto dei creditori, non c’è commissario, l’impresa non viene dichiarata in procedura, e l’accordo resta un atto contrattuale (seppur con l’imprimatur giudiziario).
Tipologie e quorum: Il CCII prevede diverse varianti: – L’accordo di ristrutturazione “semplice” (ordinario) richiede che l’impresa abbia raggiunto un accordo con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali . Questo è il requisito base: serve una maggioranza qualificata (non di teste ma di valore del credito) che abbia sottoscritto l’accordo. Per il restante 40% (i creditori non aderenti), l’accordo non è automaticamente vincolante: essi rimangono fuori e devono essere pagati integralmente, però beneficiano di eventuali moratorie legali (vedi oltre). – Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa: se tra i creditori estranei ci sono istituti finanziari o banche, l’art. 61 CCII consente di estendere gli effetti dell’accordo anche ai dissenzienti appartenenti a una certa categoria, purché abbiano complessivamente almeno il 50% di adesioni in quella categoria e l’accordo sia stato approvato da almeno il 75% del totale dei crediti finanziari . Ad esempio, se la società ha 5 banche creditrici e 4 su 5 (che rappresentano l’80% del credito bancario) sottoscrivono l’accordo, il tribunale può estenderne gli effetti anche alla quinta banca dissenziente (cram down settoriale). – Accordi agevolati o con percentuale ridotta (30%): il CCII, recependo la Direttiva UE 2019/1023, ha introdotto sperimentalmente la possibilità di omologare accordi con soglia di adesione ridotta (30%) in certi casi, ad esempio se l’impresa versa in particolari condizioni. Questi istituti (accordi “agevolati” ex art. 60-bis e “ad efficacia estesa speciale” ex art. 61-bis) sono piuttosto tecnici e qui li segnaliamo solo: l’idea è che se c’è urgenza e la maggior parte dei crediti è frammentata, si possa procedere con meno del 60% di adesioni, ottenendo ugualmente l’omologa, ma con interventi dell’autorità più penetranti. Si tratta comunque di varianti poco utilizzate al momento. – Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari (art. 62 CCII): se i debiti finanziari (banche, leasing, obbligazionisti) sono almeno il 75% dell’indebitamento, è possibile concludere un accordo con queste categorie e chiedere al tribunale l’estensione anche alle altre banche dissenzienti, a patto di avere il 75% appunto. Simile a quanto detto sopra.
In sintesi, il caso tipico è: impresa ottiene accordo dal 60% dei creditori (per valore), poi chiede l’omologazione; se tra i creditori che hanno firmato c’è una sufficiente maggioranza anche di banche, può chiedere di legare al carro pure le banche dissenzienti.
Iter procedurale: l’impresa deve predisporre un piano di ristrutturazione dei debiti, simile a quello del piano attestato ma pensato per essere poi sottoposto all’omologazione. Anche qui è richiesta un’attestazione da parte di un esperto indipendente che certifichi la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità dell’accordo a garantire l’integrale pagamento dei creditori estranei entro 120 giorni (per i debiti scaduti) o 180 giorni (per i debiti non ancora scaduti) . Questa verifica è necessaria per tutelare chi non ha firmato: per legge, i creditori non aderenti devono essere pagati per intero entro quei termini (4 o 6 mesi dall’omologa). L’impresa deposita in tribunale la domanda di omologazione dell’accordo, allegando il testo dell’accordo con l’elenco dei creditori aderenti (con relative percentuali), la situazione patrimoniale aggiornata, la relazione attestativa e un progetto di stato passivo per i non aderenti. Il tribunale, verificati i requisiti formali (percentuali, documentazione) concede entro 30 giorni le misure protettive automatiche analoghe a quelle del concordato: per esempio, sospende le azioni esecutive su istanza del debitore . Dopodiché convoca un’udienza entro 4 mesi per eventualmente sentire i creditori dissenzienti che volessero opporsi. In mancanza di opposizioni (o se le opposizioni vengono respinte), omologa l’accordo dichiarando che sono rispettate le condizioni di legge. Da quel momento, l’accordo diventa vincolante per i creditori aderenti secondo i suoi termini e – per effetto dell’omologa – produce alcuni effetti speciali anche sui non aderenti.
Effetti per i creditori aderenti e non aderenti: – I creditori aderenti sono vincolati a quanto sottoscritto: essi possono aver accettato riduzioni del credito, dilazioni, conversioni, ecc. e queste modifiche diventano definitivamente efficaci. L’omologa rende l’accordo un titolo esecutivo. – I creditori non aderenti restano formalmente esclusi dall’accordo (non subiscono stralci del credito), ma: 1) non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali fino a 60 giorni dopo la scadenza dei termini per i pagamenti loro spettanti (i famosi 120 o 180 giorni) – in pratica, hanno una moratoria legale temporanea; 2) se l’accordo lo prevede, possono essere soggetti a una moratoria di pagamento: l’art. 58 CCII consente di chiederne l’autorizzazione al tribunale, purché non ecceda i 120/180 giorni succitati. Quindi, il debitore può ottenere dall’omologa il beneficio di pagare i non aderenti entro quei termini, senza che essi possano pretendere prima (purché sia assicurato che riceveranno il 100% in quel lasso di tempo) . 3) Se sono creditori finanziari dissenzienti e ricorrono le condizioni dell’art. 61 CCII (75% adesione degli altri), l’omologa estende l’accordo anche a loro: di fatto, diventano come aderenti forzosi, subendo magari una falcidia o dilazione secondo l’accordo (questo è un vero e proprio cram down settoriale). 4) Tutti i creditori (aderenti e non) non possono più chiedere il fallimento o altre procedure concorsuali per fatti anteriori, a patto che l’accordo sia rispettato. – Sui debiti fiscali e contributivi: l’accordo può contenere anche una transazione fiscale ex art. 63 CCII, con falcidia di imposte e contributi, ma a differenza del concordato serve il consenso dell’ente o comunque il rispetto del test di convenienza in caso di cram-down (principio confermato dalla Cassazione anche in sede di accordi) . Se l’Erario non aderisce e non c’è cram-down fiscale applicabile, rimane come creditore estraneo da pagare integralmente.
Misure protettive: come accennato, dalla data di pubblicazione della domanda di omologa l’impresa gode di un automatic stay analogo a quello concordatario: i creditori non possono iniziare o proseguire esecuzioni e cautelari per 120 giorni (prorogabili). Questo strumento è spesso usato in pratica anche solo per ottenere protezione: molte imprese depositano un pre-accordo con magari il 61% di adesioni solo per bloccare i pignoramenti in corso, e poi durante i mesi di stay raccolgono altre adesioni per rafforzare la posizione.
Confronto con il concordato: l’ADR è molto più snello: niente voto, niente commissario (salvo il giudice ne nomini uno se ritiene), tempi rapidi (4-6 mesi per l’omologa). È però volontario: se non si raggiunge quell’adesione iniziale del 60%, non si può proprio presentare la domanda. Quindi non aiuta in situazioni molto conflittuali. È utile quando la maggioranza dei creditori è d’accordo e si vuole legare anche la minoranza dissenziente, evitando magari il costo e lo stigma del concordato. Anche nei concordati comunque oggi esiste il cram down fiscale e la possibilità di confermare nonostante alcuni no, ma l’ADR può essere preferito se il numero di creditori è ristretto e li convince quasi tutti.
Vantaggi degli accordi di ristrutturazione: – Rapidità e minore invasività: la gestione resta all’imprenditore senza organi commissariali (tranne rare nomine di ausilio). Una volta depositato l’accordo firmato dal 60%, l’esito è pressoché certo salvo opposizioni, e in pochi mesi si chiude. – Possibilità di cram-down settoriali: se ho poche banche e quasi tutte firmano, posso comunque trascinare la restante minoranza. Questo aiuta a superare fenomeni di holdout (il creditore che non firma sperando di essere pagato meglio). – Stay legale immediato: non appena pubblicata la domanda, i creditori sono bloccati (a differenza del piano attestato, qui c’è un potere di protezione legale). Ciò “congela” la situazione e crea uno spazio di respiro. – Maggiore flessibilità rispetto al concordato: nessuna soglia minima di soddisfazione del 20% come nel concordato liquidatorio (nei piani di accordo non c’è quel vincolo), nessuna formazione di classi, nessuna par condicio orizzontale – posso discriminare creditori purché quelli fuori prendano 100%. In pratica, posso falcidiare i creditori aderenti come voglio, se loro accettano: ad esempio uno può prendere 30%, un altro 50%, diversamente, cosa che nel concordato sarebbe contestabile come disparità di trattamento non giustificata. – Esenzione da revocatorie: come per i piani attestati, pure gli atti esecutivi di un accordo omologato sono protetti: i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione non sono revocabili in caso di successivo fallimento (art. 166 CCII). Questo tranquillizza i creditori che aderiscono, come nel PAR.
Svantaggi e rischi degli ADR: – Percentuale di adesione iniziale non banale: raggiungere il 60% di crediti è a volte arduo, specie se i creditori sono tanti. Se rimani al 59%, l’ADR è precluso. (In verità, il CCII ha introdotto la figura dell’accordo di ristrutturazione su proposta del debitore – art. 63 – in cui il debitore può chiedere l’omologa anche senza aver raggiunto la soglia, e il tribunale omologa se poi in giudizio si presenta la percentuale richiesta. È un meccanismo per non far fallire l’azienda solo perché un creditore era in ritardo a firmare. Ma richiede comunque di arrivarci entro l’omologa). – Obbligo di pagamento integrale dei non aderenti in tempi brevi: questo può essere un collo di bottiglia. Esempio: ho il 65% di creditori che aderiscono accettando 50%, ma il 35% non aderisce (tra cui Fisco, qualche fornitore). Devo dimostrare che quei non aderenti li pago cash entro 4-6 mesi dall’omologa. Se non ho quella liquidità, l’accordo non è attestabile positivamente. Ciò a volte costringe a includere tutti, oppure a trovare finanza ponte per pagare i dissenzienti (es. un finanziatore terzo che anticipa il 100% ai dissenzienti, poi rientra man mano). – Opposizioni in omologa: anche un solo creditore non aderente può fare opposizione all’omologa lamentando che dall’accordo è pregiudicato indebitamente. Se il giudice ritiene fondate le sue ragioni (ad es. contesta la convenienza per lui), potrebbe rifiutare l’omologa. In pratica è raro, però c’è margine di contenzioso. – Pubblicità e impatto reputazionale: l’accordo di ristrutturazione, pur meno “notorio” di un concordato, viene iscritto in registro imprese e portato a conoscenza di tutti i creditori. È comunque un evento pubblico di crisi. Anche se l’azienda continua in bonis, nei fatti i terzi sapranno che c’è un accordo di ristrutturazione, con possibili cautele conseguenti (ad es. fornitori futuri più diffidenti). – Mancato coinvolgimento di tutti: se un creditore importante resta fuori e dev’essere pagato per intero, può comunque decidere di agire successivamente (dopo 180 giorni se non è stato pagato). Inoltre, l’accordo non prevede esdebitazione: i creditori aderenti rinunciano a parte del credito contrattualmente, i dissenzienti ricevono il loro, quindi non c’è un residuo da esdebitare se l’accordo è rispettato. Se invece l’accordo fallisce e subentra un fallimento, si torna in gioco con eventuali differenze tra quanto promesso e quanto pagato. – Limitata applicazione finora: storicamente gli ADR sono stati meno usati dei concordati, perché richiedono molto lavoro di convincimento previo e sono efficaci soprattutto con pool di banche. Tuttavia, con la possibilità di cramdown fiscale introdotta dal CCII (art. 64-bis, che consente al giudice di omologare l’accordo anche se l’Erario non aderisce, purché la proposta soddisfi il test di convenienza), gli ADR sono diventati più appetibili per gestire anche debiti fiscali senza veto del Fisco .
Quando usare un accordo di ristrutturazione? Spesso quando la società ha troppi debiti per un piano attestato, ma ha ancora un core business valido e la maggioranza dei creditori è disposta a collaborare, senza però voler passare per un concordato (che ha stigmi più pesanti). Un tipico scenario: l’impresa concorda il risanamento con le banche e alcuni fornitori maggiori, ma preferisce un ADR per cristallizzare quell’accordo e proteggerlo dalle iniziative di eventuali minoranze. Se invece c’è disaccordo diffuso, meglio optare direttamente per un concordato preventivo, dove decide la maggioranza con voto.
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)
Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale, presente da decenni nel nostro ordinamento e ora rinnovata dal CCII (artt. 84 e ss.). Consiste in una procedura giudiziaria in cui l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un piano per soddisfarli – parzialmente o in forme dilazionate – ed evitare la liquidazione giudiziale, il tutto sotto il controllo del tribunale. Se i creditori approvano a maggioranza e il tribunale omologa, il piano diventa vincolante per tutti i creditori (dissenzienti compresi) e l’imprenditore lo esegue sotto vigilanza. In caso di esito positivo, l’impresa evita il fallimento e i debiti pregressi vengono regolati secondo il piano (con eventuale stralcio).
Tipologie: il CCII distingue principalmente tra: – Concordato in continuità aziendale: quando prevede che l’attività d’impresa prosegua, sia direttamente da parte del debitore (continuità diretta) sia tramite la cessione o conferimento dell’azienda ad un terzo che la continua (continuità indiretta). L’obiettivo è salvare la continuità aziendale e i posti di lavoro . In questi concordati solitamente l’azienda rimane operativa durante e dopo la procedura, generando flussi che andranno anche a beneficio dei creditori. La legge incoraggia molto questa via, prevedendo maggiori incentivi (es. esonero dall’IVA sui trasferimenti) e requisiti leggermente meno stringenti sui pagamenti dei creditori privilegiati. – Concordato liquidatorio: quando prevede principalmente la cessione dei beni dell’impresa e la distribuzione del ricavato ai creditori, con cessazione dell’attività . È simile ad un fallimento concordato: l’azienda non sopravvive, ma la liquidazione avviene sotto forma concordataria, spesso garantendo tempi più rapidi e un miglior realizzo rispetto a un fallimento tradizionale. Il CCII consente il concordato liquidatorio solo se assicura ai creditori chirografari una soddisfazione minima del 20% (soglia confermata rispetto al passato), oppure se è previsto l’apporto di risorse esterne che aumentino significativamente il recupero per i creditori (allora la soglia può essere ridotta). Inoltre, nel concordato liquidatorio non c’è obbligo di proseguire attività, anche se talvolta si prevede un esercizio provvisorio limitato per vendere l’azienda sul mercato a un prezzo migliore. – Concordato misto: alcuni piani combinano elementi di continuità e di liquidazione (es. l’azienda prosegue ma si vendono alcuni asset non core). La distinzione si fa in base alla prevalenza del valore: se oltre la metà dell’attivo distribuito ai creditori proviene dalla continuità, è in continuità; se la maggior parte proviene da liquidazione di beni, è liquidatorio (art. 84 CCII).
Procedura: spiegata in brevissimo: 1. L’impresa presenta un ricorso al tribunale contenente il piano e la proposta ai creditori, corredato da relazione di un attestatore indipendente (obbligatorio) che attesta fattibilità e veridicità dei dati. 2. Opzionalmente, può presentare un ricorso “in bianco” (concordato con riserva, art. 44 CCII) per bloccare subito i creditori e poi depositare il piano entro 60-120 giorni. Questo spesso è utilizzato per guadagnare tempo nella redazione del piano. 3. Il tribunale verifica i requisiti minimi (documenti completi, percentuale minima se liquidatorio, ecc.) e ammette la società al concordato, nominando un commissario giudiziale (figura di controllo) e fissando l’adunanza dei creditori per il voto. 4. Nel frattempo, scatta immediatamente lo stay su tutti i creditori: dal deposito della domanda, i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive o cautelari (lo stay è automatico per legge) . L’impresa continua la gestione sotto la supervisione del commissario e del giudice delegato: atti di ordinaria amministrazione permessi, per atti straordinari serve autorizzazione. 5. I creditori vengono suddivisi in classi secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei (es. separando chirografari, privilegiati se parzialmente falcidiati, banche vs fornitori, etc.). Ogni classe vota la proposta. Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (>= 51%) e almeno la maggioranza delle classi favorevoli (salvo classi prive di diritto di voto). 6. Se il voto ha esito positivo, si passa all’omologazione: il tribunale verifica che il piano soddisfi i requisiti di legge (fattibilità in senso giuridico e convenienza economica rispetto a una liquidazione fallimentare, anche d’ufficio) . In assenza di opposizioni o se queste vengono rigettate, il concordato è omologato con decreto e diventa vincolante erga omnes. 7. Esecuzione: post-omologa, l’impresa (o il liquidatore nominato nel piano) esegue gli adempimenti: paga i creditori secondo le percentuali e le scadenze previste, eventualmente cede beni, incassa proventi dalla continuità, ecc., sotto la vigilanza del commissario (che diventa giudice delegato e a fine procedura fa relazione finale). 8. A esecuzione completata, il tribunale dichiara chiuso il concordato. I crediti anteriori restano sodisfatti nella misura concordataria e nessuno potrà pretenderne il residuo (esdebitazione dell’ente). L’impresa esce dalla procedura e prosegue la sua vita se in continuità, oppure viene cancellata se era liquidatoria.
Effetti sui debiti: con il concordato preventivo omologato, tutti i creditori anteriori sono vincolati al trattamento previsto dal piano . Ciò significa che eventuali creditori che hanno votato contro o non hanno partecipato non possono più agire per il 100% del loro credito, ma solo per quanto stabilito (esempio: se il piano prevede 30% a 5 anni per chirografari, anche chi era contrario dovrà accontentarsi di quello). Gli unici debiti esclusi tipicamente sono quelli verso i garanti: attenzione, se i soci o terzi hanno garantito personalmente debiti sociali, la liberazione del debito in capo alla società non libera il garante, salvo il creditore rinunci espressamente. Questo spesso porta i garanti a cercare di negoziare contestualmente, ma tecnicamente il concordato non li copre (questo è stato confermato anche di recente: l’omologazione di un concordato non estingue il debito verso il fideiussore, che potrà essere escusso dal creditore per l’importo non pagato dall’azienda) .
I debiti pregressi una volta eseguito il concordato restano estinti per la parte falcidiata (esdebitazione dell’azienda). Nelle società, la legge non parla di esdebitazione in senso tecnico (riservata alle persone fisiche), ma di fatto l’effetto è analogo: la società post concordato è “pulita” dai debiti anteriori oltre quanto pagato . In caso di concordato liquidatorio, dopo l’esecuzione e la cancellazione della società, eventuali crediti residui sono inesigibili (ente estinto), salvo rivolgersi a coobbligati/garanti e amministratori se vi sono responsabilità.
Trattamento dei creditori privilegiati: in concordato in continuità, i creditori privilegiati (es. ipotecari) possono essere pagati parzialmente se la parte non coperta da garanzia (perizia alla mano) li rende in parte chirografari. Devono comunque ricevere almeno quanto otterrebbero liquidando la garanzia nella liquidazione fallimentare (best interest test). I creditori privilegiati non possono subire una dilazione oltre i 120 giorni dal dovuto, salvo consenso, se non viene loro riconosciuto l’intero. Nel concordato liquidatorio, i privilegiati o si pagano per intero su quanto ricavato dalla vendita dei beni oggetto di privilegio, oppure se si chiede loro una falcidia devono approvare esplicitamente (hanno diritto di veto se non integrale). In genere, il concordato consente di ristrutturare anche i debiti fiscali e contributivi mediante transazione fiscale integrata nel piano: se l’Erario vota contro ma il piano offre almeno il “quantum di liquidazione”, il tribunale può comunque omologare (cram-down fiscale ex art. 48, co.5 CCII) .
Vantaggi del concordato preventivo: – Efficacia universale: è l’unico strumento (insieme alla liquidazione giudiziale) che consente di imporre le soluzioni a tutti i creditori, con approvazione a maggioranza. Se c’è troppa dispersione di posizioni e non si riesce ad ottenere consensi individuali, il concordato è la via maestra: con il voto si può vincere la resistenza di minoranze significative e legare tutti. – Possibilità di tagliare drasticamente i debiti (anche fiscali) erga omnes: uno degli scopi principali è quello. Se l’azienda è sovraindebitata, solo il concordato (o il fallimento) possono disporre che i creditori rinuncino forzosamente a una parte rilevante del credito. Ad esempio, stralciare l’80% dei debiti chirografari è fattibile in concordato (purché il 20% restante sia soddisfatto in una ragionevole prospettiva, e rispetti eventuale soglia minima se liquidatorio). – Protezione totale durante la procedura: dallo stay immediato ai poteri del giudice di autorizzare finanza interinale prededucibile, alla possibilità di sciogliersi da contratti onerosi (il CCII lo prevede all’art. 95) e di superare clausole contrattuali risolutive legate all’insolvenza (divieto di ipso facto clauses). È un umbrella legale robusto. – Possibilità di attuare operazioni straordinarie complesse in sicurezza: es. vendere l’azienda “free of debts” a un investitore (che paga e quei soldi vanno ai creditori), oppure convertire crediti in quote societarie (con il consenso dei creditori in classe), oppure effettuare aumenti di capitale con nuovi soci durante la procedura, ecc. Tutte operazioni fattibili con le autorizzazioni del tribunale e non contestabili successivamente. – Responsabilità attenuata per gli amministratori: la scelta del concordato tempestivo è vista di solito come atto di corretta gestione (non a caso uno degli incentivi di cui parlavamo è la non punibilità per tardivo fallimento se concordato entro allerta). Se il concordato riesce, di solito vengono meno le ragioni di agire contro gli amministratori perché hanno portato a casa una soluzione. (Diverso se concordato depositato tardissimo e fallito, allora peggiora solo le cose, ma qui parliamo del caso virtuoso).
Svantaggi del concordato: – Iter lungo e costoso: la procedura richiede tipicamente 6-12 mesi per arrivare ad omologa (talvolta più per complessità), ed è costosa: ci sono da pagare il commissario giudiziale, eventuali consulenti, spese giudiziarie. Questo può erodere risorse (anche se tali costi sono prededucibili e quindi vengono prima di altri debiti). – Pubblicità e impatto commerciale: un concordato è un fatto notorio, segnalato nei registri, spesso riportato sulla stampa locale se l’azienda è nota. Fornitori e clienti ne verranno a conoscenza; alcuni contratti possono risolversi per eccessiva onerosità (es. fornitori che non vogliono più rifornire se temono di non essere pagati per intero, anche se legalmente non potrebbero rescindere solo per il concordato). Dunque c’è un impatto reputazionale serio. – Perdita (parziale) di gestione: seppur l’impresa rimane in possesso (“debtor in possession”), ogni mossa rilevante è sotto supervisione di commissario e giudice. Questo vincolo può complicare l’ordinaria attività. Tuttavia, nelle continuità è previsto che l’organo gestisca continuando l’esercizio: è un possesso attenuato ma pur sempre possesso. – Rischio di esito negativo: se i creditori votano contro (non si raggiunge la maggioranza) o se il tribunale nega l’omologa per mancanza dei requisiti (ad esempio piano non fattibile), il concordato viene dichiarato inammissibile o non omologato e in quel caso normalmente il tribunale dichiara immediatamente la liquidazione giudiziale (fallimento). Quindi è un’arma a doppio taglio: una volta intrapreso il concordato, il fallimento è sospeso ma in agguato se non si esegue con successo il piano. Perciò va intrapreso solo con convinzione che sussistano le condizioni. – Vincoli legali stringenti: ad esempio, nel concordato liquidatorio devo garantire almeno il 20% ai chirografari , altrimenti neanche ammissibile. Oppure non posso falcidiare creditori muniti di pegno/ipoteca se non rinunciano salvo per la parte scoperta dal valore del bene. O ancora, devo assicurare che eventuali creditori postergati non prendano prima di subordinati etc., rispettare cause legittime di prelazione tra classi (Absolute Priority Rule interna alle classi). Tutta questa impalcatura rende la struttura del piano un esercizio tecnico non banale, soggetto a possibili contestazioni.
Novità CCII: il nuovo codice ha introdotto anche il “piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” (PRO), una sorta di concordato “semplificato” con classi e senza voto se determinate maggioranze di adesione esterna sono già raggiunte. Non entriamo nei dettagli, ma è menzionato come strumento intermedio (nel prospetto comparativo è omesso per brevità) . Inoltre, come anticipato, esiste il concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies) accessibile solo dopo una composizione negoziata fallita: ne parliamo a parte qui sotto.
In conclusione, il concordato preventivo rimane lo strumento principe per situazioni di crisi avanzata dove serve un intervento impositivo e si vuole tentare di salvare l’azienda (concordato in continuità) o almeno di evitare il fallimento disordinato (concordato liquidatorio). L’esempio del Caso 2 mostrerà un concordato in continuità ben riuscito. Per converso, se un’azienda è chiaramente insolvente senza speranza di risanamento, spesso conviene procedere direttamente alla liquidazione giudiziale (fallimento) – a meno che non vi siano benefici concreti nell’offrire un concordato liquidatorio (ad es. un +5% ai creditori grazie a vendite più ordinate o contributi esterni).
Concordato semplificato post-composizione negoziata
Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio è un istituto speciale introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021, art. 25-sexies CCII) come “paracadute” se la composizione negoziata non produce accordi. È una procedura concorsuale liquidatoria senza voto dei creditori. In pratica: se l’esperto della composizione negoziata conclude che non si è trovato un accordo e che non ci sono prospettive di risanamento, entro 60 giorni l’imprenditore può depositare un ricorso per concordato semplificato, proponendo la liquidazione dei suoi beni ai creditori, alle condizioni che ritiene opportune, senza passare per il voto.
Caratteristiche: – Accessibilità limitata: solo chi ha svolto una composizione negoziata e l’ha conclusa con esito negativo può accedervi . È dunque uno strumento di “atterraggio controllato” dopo un tentativo di risanamento extragiudiziale fallito. – Procedura veloce: il tribunale, ricevuta la domanda, nomina un ausiliario (di solito il medesimo esperto o un commissario) e convoca i creditori in camera di consiglio. Non essendoci voto, i creditori possono solo presentare eventuali osservazioni o opposizioni. – Contenuto del piano: essendo liquidatorio, normalmente consiste nella vendita unitaria o frazionata dei beni aziendali, oppure nella cessione dell’azienda a un terzo che si è fatto avanti durante la composizione negoziata. Infatti spesso succede: durante la CNC arriva un investitore interessato a comprare l’azienda per X euro; i creditori non trovano accordo per continuità, ma quell’offerta può essere usata per un concordato semplificato. L’imprenditore propone: “Tribunale, voglio vendere tutto a Tizio per 100, con questi 100 pago i creditori privilegiati tot e i chirografari probabilmente zero, però Tizio si impegna anche a farsi carico di alcune obbligazioni (es. completare le opere per i clienti)”. Questa proposta viene comunicata ai creditori. – Omologazione senza voto: il tribunale verifica che la proposta sia conveniente rispetto al fallimento (test di migliore soddisfazione) e che siano rispettate le priorità di legge, e se del caso omologa senza passare da votazione dei creditori . I creditori non possono opporsi sul merito economico se il test di convenienza è superato (possono opporsi per vizi procedurali eventualmente, ma raramente hanno margine). – Liquidazione ed esdebitazione rapida: una volta omologato, un ausiliario nominato dal tribunale (spesso un curatore designato ad hoc) procede a liquidare i beni secondo la proposta. Non c’è voto, non c’è piano da eseguire a lungo termine: si fa cassa e si ripartisce. La società viene poi cancellata, e i debiti residui dei creditori chirografari restano insoddisfatti e quindi di fatto cancellati insieme all’ente . Da notare: non esistono soglie minime di pagamento nel concordato semplificato (può anche prevedere zero ai chirografari) , a patto che si dimostri che in un fallimento prenderebbero comunque zero, o meno di zero utilità.
Differenze dal concordato “ordinario”: niente voto, niente percentuale minima 20%, niente suddivisione in classi, tempi più brevi. Di fatto, è simile a una liquidazione guidata dall’accordo con un compratore. I creditori subiscono la procedura ma l’idea è che convenga anche a loro perché si evitano lungaggini e costi di un fallimento. Esempio dal Caso 3: vendere subito un cantiere a un compratore al 60% del credito ipotecario della banca, ma garantire ai clienti acquirenti delle case una prospettiva di consegna futura, può essere meglio che far fallire la società (dove la banca forse recupererebbe 40% e i clienti nulla) .
Vantaggi: consente di chiudere rapidamente situazioni disperate evitando il fallimento. I creditori privilegiati spesso sono d’accordo perché ricevono subito quel che c’è senza attendere anni di procedure. I chirografari se tanto non avrebbero ricevuto nulla, non hanno molto da opporsi, e magari ottengono qualche utilità indiretta (come nel caso di acquirenti di immobili che almeno vedranno finita la casa da parte del compratore subentrante) . Per l’imprenditore, evita la dichiarazione di fallimento con tutto ciò che comporta (stigma, possibile azione di responsabilità aggravata): presentare un concordato semplificato è visto come un gesto collaborativo e di solito riduce il rischio di azioni penali aggressive, a meno che emergano irregolarità.
Limiti: può essere utilizzato solo se c’è un “deal” concreto all’orizzonte. Cioè se l’esperto individua una soluzione liquidativa migliore del fallimento – tipicamente un acquirente o investitore pronto. Se non c’è nulla, il tribunale potrebbe anche non omologare perché manca convenienza evidente. Inoltre, essendo molto nuovo, c’è poca giurisprudenza; qualche tribunale inizialmente era cauto nell’applicarlo, ma ormai nel 2023-2024 ha trovato applicazione in alcuni casi noti.
In sintesi, il concordato semplificato è l’ultimo strumento tentabile prima del fallimento, utile quando la composizione negoziata fallisce ma lascia sul tavolo opportunità di realizzo comunque superiori al fallimento. Va considerato come extrema ratio per chiudere dignitosamente la crisi.
Liquidazione giudiziale (ex “fallimento”)
Se nessuno dei percorsi di risanamento o di composizione concordata riesce o è praticabile, resta la liquidazione giudiziale, ossia la procedura concorsuale liquidatoria che ha sostituito il tradizionale “fallimento”. Il CCII la disciplina nel Titolo V (artt. 121 e ss.). La liquidazione giudiziale è il processo formale attraverso cui un’impresa insolvente viene spossessata dei suoi beni, che vengono venduti per distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole di graduazione previste dalla legge . È la soluzione di ultima istanza quando non vi sono possibilità di risanamento né accordo con i creditori.
Riassumiamo le fasi principali della liquidazione giudiziale per una SRL: – Apertura (sentenza di liquidazione giudiziale): è pronunciata dal tribunale su ricorso di un creditore, del debitore stesso o su istanza del PM (se emergono indizi di insolvenza) . Presupposto: lo stato d’insolvenza attuale dell’impresa, ossia l’incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni. Il tribunale accerta l’insolvenza in udienza e, se la dichiara, emette la sentenza di apertura. – Effetti immediati della sentenza: decadono automaticamente gli amministratori dalle loro funzioni, si nomina un curatore (professionista che gestirà la procedura) e un giudice delegato, e la società viene spogliata dei suoi beni (tutto il patrimonio passa sotto la gestione del curatore) . L’impresa cessa l’attività salvo che il tribunale autorizzi l’esercizio provvisorio (solo se strettamente necessario per evitare dispersione di valore, es. completare commesse in corso per vendere meglio l’azienda). Ogni azione individuale dei creditori viene bloccata (vige la par condicio creditorum): i creditori devono presentare le proprie istanze nel concorso, non possono più aggredire i beni singolarmente . – Verifica del passivo: il curatore invita i creditori a presentare domanda di ammissione al passivo. Si forma lo stato passivo, elenco di tutti i crediti ammessi con l’indicazione della loro natura (privilegiati, ipotecari, chirografari, subordinati, ecc.) . Il giudice delegato tiene udienza di verifica, esamina le domande e forma lo stato passivo definitivo. Ciò stabilisce chi ha diritto a cosa nella distribuzione. – Liquidazione dell’attivo: il curatore predispone un programma di liquidazione, approvato dal comitato dei creditori, e procede a vendere i beni: tramite aste telematiche, trattative private autorizzate, cessione in blocco di rami d’azienda, ecc. . Recupera anche eventuali crediti esigibili (incassa crediti verso clienti, ecc.) e può promuovere cause a beneficio della massa: es. azioni di responsabilità contro amministratori colpevoli (per risarcimento danni al patrimonio), azioni revocatorie di pagamenti preferenziali ricevuti da creditori nei mesi precedenti (per far rientrare quelle somme nella massa) , cause contro terzi debitori, etc. Oggi la vendita dell’attivo è spesso facilitata da portali online, e dal 2020 in poi c’è più attenzione a evitare svendite. – Distribuzione ai creditori: man mano che si ricava denaro, il curatore predispone piani di riparto (parziali e finale) che, approvati dal giudice, distribuiscono le somme secondo l’ordine delle cause di prelazione previsto . Ordine tipico: 1) Crediti prededucibili (spese di procedura, compensi del curatore, crediti sorti dopo l’apertura autorizzati, ecc.); 2) Crediti privilegiati: prima i privilegi speciali su beni specifici (es. ipoteche su immobili: tali creditori prendono dal ricavato dell’immobile ipotecato), poi i privilegi generali (es. lavoratori, fisco) sul residuo attivo mobiliare; 3) Crediti chirografari: ricevono solo se rimangono fondi dopo aver soddisfatto integralmente i privilegiati (cosa rara, in genere prendono solo una percentuale pro quota); 4) Crediti postergati e subordinati: ultimi, pagati solo se tutti gli altri sono pagati (quasi mai succede). Spesso nei fallimenti i crediti chirografari ricevono poco o nulla: le statistiche parlano di percentuali sotto il 10% nella maggioranza dei casi, spesso zero, specie se vi sono molti privilegiati davanti. – Chiusura e esdebitazione: esauriti i riparti, il curatore chiude la liquidazione. La società viene cancellata dal Registro Imprese e cessa di esistere . Formalmente i debiti insoddisfatti rimangono, ma essendo la società estinta non c’è più un soggetto da perseguire. Come detto altrove, i garanti personali e coobbligati rimangono obbligati per intero anche dopo la chiusura (es. i soci che avessero garantito, o eventuali co-firmatari) – questi possono trovarsi a dover pagare ciò che la società non ha pagato . Gli amministratori rimangono perseguibili per azioni di responsabilità se il curatore le ha promosse (anche dopo chiusura, la sentenza può arrivare dopo). Il codice prevede la esdebitazione dell’imprenditore individuale e del socio illimitatamente responsabile: per costoro (persone fisiche) a chiusura del fallimento residuo c’è la liberazione dai debiti rimasti (art. 278 CCII) . Per le società di capitali come la SRL, la esdebitazione è concettualmente non necessaria perché, una volta estinta la società, i creditori non possono più rivalersi su di essa e il problema dei debiti residui non pagati si chiude lì. Ciò non toglie che, se i creditori intravedono patrimoni dei soci da aggredire, possano tentare azioni (es. far dichiarare inesistente la cancellazione societaria per mantenere in vita i crediti, ma è complicato). In sostanza, la SRL “muore” con i suoi debiti, mentre i crediti restano insoddisfatti ma senza più un debitore.
Conseguenze per soci e amministratori: come già accennato, chiusura non sempre significa fine dei guai. I soci potrebbero vedersi chiedere indietro somme incassate in liquidazione (nel caso anomalo di distribuzioni), e soprattutto gli amministratori possono subire cause dal curatore (azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. per mala gestio) e condanne penali (se accertata bancarotta, che viene perseguita d’ufficio). Inoltre, l’insolvenza grave può portare a misure interdittive (es. divieto di ricoprire cariche se condannati per bancarotta).
Impatto pratico della liquidazione giudiziale: per i creditori, spesso significa recuperi magri e tardivi. I tempi di chiusura di un fallimento complesso possono essere di vari anni. Il Codice della Crisi ha cercato di accelerare e rendere più efficiente la liquidazione (vendite telematiche, ecc.), ma resta la soluzione meno soddisfacente in termini di valori. Questo spinge creditori e debitori a preferire concordati e accordi, quando possibile, per ottimizzare la soddisfazione.
Rapporto con piccoli imprenditori: segnaliamo che il CCII prevede che le imprese “sotto soglia” (quelle che non superano determinati parametri dimensionali: attivo inferiore a ~300k, ricavi sotto ~200k e debiti sotto 500k, grosso modo) non siano soggette a liquidazione giudiziale. Se tali soglie ricorrono, la crisi/insolvenza di una micro-impresa viene trattata con le procedure di sovraindebitamento (concordato minore o liquidazione controllata). In concreto, una piccola SRL sotto soglia insolvente non verrà dichiarata “fallita” ma potrà richiedere un concordato minore (procedura semplificata, analoga al concordato ma con quorum ridotti e più flessibile) oppure subire una liquidazione controllata dei beni (simile al fallimento ma con iter più snello e con l’esdebitazione estesa anche all’imprenditore persona fisica dietro la SRL) . Va detto però che molte SRL superano le soglie (basta avere qualche decina di migliaia di euro di debiti per superare alcuni parametri), quindi nella prassi non sono tanti i casi di SRL “non fallibili”. Se una SRL è davvero piccolissima da non poter fallire, i creditori comunque possono chiederne la liquidazione controllata che, ai fini di recupero, è analoga – cambia solo che l’imprenditore persona fisica eventualmente potrà chiedere esdebitazione e la procedura è gestita dal tribunale come sovraindebitamento.
Conclusione su liquidazione giudiziale: è la soluzione estrema e indesiderata, da usare solo quando l’impresa è irrecuperabile (nessun piano fattibile, debiti esorbitanti, nessun accordo possibile) o quando già è troppo tardi. Dal punto di vista del debitore, evitare la liquidazione giudiziale significa mantenere controllo (seppur mediato da procedure) e spesso ottenere risultati migliori per tutti. Tuttavia, come vedremo nelle Domande frequenti, a volte la scelta si riduce a “concordato liquidatorio vs fallimento”: in quel caso, proporre un concordato liquidatorio con qualche miglioramento può essere opportuno per chiudere dignitosamente e con più ordine, piuttosto che subire passivamente il fallimento .
Nei capitoli precedenti abbiamo descritto in dettaglio ciascun strumento. Per facilità di consultazione, presentiamo ora una tabella comparativa che confronta i principali istituti in termini di natura, ruolo del tribunale, consenso richiesto dei creditori, misure protettive disponibili, effetti sui debiti e destino finale dell’impresa:
| Strumento | Natura & Ruolo Tribunale | Consenso Creditori | Misure Protettive | Effetti sui debiti | Esito per l’impresa |
|---|---|---|---|---|---|
| Composizione negoziata | Stragiudiziale assistita. Tribunale coinvolto solo per misure protettive e atti urgenti (autorizzazioni). | Consenso individuale: ogni creditore deve aderire volontariamente agli accordi di risanamento (non c’è voto a maggioranza) . | Sì, su richiesta: stay fino a 12 mesi complessivi disposto dal tribunale (confermabile e prorogabile) . Possibili misure cautelari ad hoc (es. inibire revoca fidi) . | I debiti vengono ristrutturati solo per chi aderisce (dilazioni, stralci secondo accordi). I creditori non aderenti rimangono fuori e conservano integrale diritto (salvo moratoria temporanea se c’è stay) . Nessun effetto erga omnes di riduzione unilaterale dei crediti. | Se si raggiunge l’accordo, l’impresa continua l’attività e prosegue “pulita” dai debiti ristrutturati. Se non c’è accordo, può accedere a procedure successive (concordato, ecc.) oppure finire in liquidazione. In sé, la composizione non apre procedure concorsuali . |
| Piano attestato di risanamento | Stragiudiziale privato. Tribunale non coinvolto (salvo eventuale comunicazione registro imprese). Attestatore indipendente richiesto (controllo tecnico) . | Adesione di fatto unanime dei principali creditori: serve accordo bilaterale con tutti i creditori rilevanti (non c’è meccanismo per imporre a dissenzienti) . I creditori minori possono rimanere estranei pagando loro il 100%. | Nessuno stay legale automatico. Possibile chiedere misure protettive via tribunale attivando composizione negoziata parallela se necessario . Altrimenti, la protezione deriva dalla buona volontà dei creditori durante la negoziazione. | Debiti ristrutturati per accordo con chi aderisce; i creditori che non partecipano vanno pagati integralmente fuori piano. Se il piano è attestato e pubblicato, i pagamenti e gli atti eseguiti in attuazione del piano sono protetti da revocatoria in futuro . | L’impresa prosegue l’attività normalmente se il piano riesce. Non c’è procedura concorsuale, quindi nessuna interruzione formale – l’azienda rimane “in bonis”. Se il piano fallisce, potrà comunque finire in procedura concorsuale successivamente. |
| Accordo di ristrutturazione (ADR) | Semi-concorsuale (accordo privato + omologa tribunale). Procedura breve di omologazione davanti al tribunale . Nessun organo nominato (salvo ausiliari in casi particolari). | 60% dei crediti totali minimo di adesioni richiesto per legge . Se raggiunto, l’accordo vincola aderenti. I non aderenti rimangono estranei ma: vige moratoria legale per loro e possibile cram-down di banche dissenzienti con 75% consensi finanziari . Non c’è voto a maggioranza, conta la % di firme. | Sì, stay concesso dal tribunale appena depositata domanda, per max 6 mesi + 6 (automatic stay) . I creditori non aderenti non possono agire fino a omologa e per un breve periodo dopo. | Debiti falcidiati/dilazionati per i creditori aderenti secondo quanto stabilito nell’accordo. I dissenzienti devono essere pagati integralmente al di fuori dell’accordo (entro 120-180 gg dall’omologa) ma possono subire una moratoria autorizzata e, se finanziari, l’estensione forzata dell’accordo se ricorrono i presupposti . Transazione fiscale possibile integrata. | L’impresa prosegue se l’accordo è in continuità (di solito sì, trattandosi di soluzione negoziata) oppure può anche prevedere la liquidazione parziale di asset. In generale l’azienda rimane in piedi, in quanto l’accordo non prevede spossessamento o cessazione (a meno che l’accordo stesso preveda cessione di azienda). |
| Concordato preventivo | Concorsuale giudiziale a tutti gli effetti. Tribunale coinvolto in ammissione, omologa; nominati Commissario e GD . Procedura complessa sotto controllo giudiziario continuo. | Voto a maggioranza: serve >50% in peso dei crediti votanti favorevoli e maggioranza di classi (se classi previste) . I creditori sono suddivisi in classi omogenee e votano il piano. La volontà della maggioranza vincola i dissenzienti (cram down generale) . | Sì, stay automatico dal momento del deposito ricorso (in bianco o completo) fino all’omologa . Sospensione di tutte le azioni esecutive. Inoltre, la legge prevede possibilità di misure cautelari e protettive aggiuntive (es. sospensione contratti, divieto di compensazione). | Debiti ristrutturati o falcidiati erga omnes secondo il piano omologato . Una volta omologato, il piano impone a tutti i creditori anteriori la riduzione o dilazione prevista (anche a chi ha votato contro). Transazione fiscale integrata possibile per tagliare debiti erariali con cram-down se Fisco dissente . A esecuzione completata, i crediti pregressi si considerano soddisfatti e la società non deve il residuo (esdebitazione dell’ente). | Continuità aziendale se il piano la prevede (concordato in continuità): l’impresa è risanata e prosegue l’attività sotto nuova sostenibilità. Oppure liquidazione ordinata se è un concordato liquidatorio: i beni sono venduti e la società al termine si estingue . In entrambi i casi si evita la liquidazione giudiziale classica e si chiude la vicenda debitoria con maggiore ordine e tempi definiti. |
| Concordato semplificato | Concorsuale giudiziale speciale, senza voto creditori. Tribunale nomina ausiliario (curatore) e decide su omologa . Accesso riservato post-composizione negoziata fallita. | Nessun voto: i creditori non votano, il tribunale decide l’omologa valutando la convenienza della proposta rispetto al fallimento . I creditori possono essere sentiti ma non hanno potere deliberativo. | Sì, come concordato (misure protettive analoghe, se richieste contestualmente). Dalla domanda di omologa, protezione delle masse attive. | Debiti trattati come in un concordato liquidatorio: i creditori ricevono quanto previsto dalla proposta (che può anche non garantire soglie minime ai chirografari) . Non c’è voto, ma l’omologa verifica che i creditori non otterrebbero di più dal fallimento. Dopo l’omologa e l’esecuzione (liquidazione beni), i debiti residui sono cancellati come in concordato (la società viene estinta). | Liquidazione rapida dell’azienda: è pensato per chiudere l’impresa. L’attività cessa e i beni sono liquidati, di solito con cessione a terzi in breve tempo. La società viene poi cancellata. In pratica, l’impresa non sopravvive come entità economica, ma la soluzione avviene più velocemente che in fallimento e può offrire qualcosa in più ai creditori o altre utilità (es. continuità di rami ceduti) . |
| Liquidazione giudiziale | Concorsuale liquidatoria (ex fallimento). Tribunale dichiara insolvenza con sentenza; nominato curatore, giudice delegato. Procedura giudiziaria completa di durata variabile . | Nessun consenso richiesto: i creditori non hanno scelta, subiscono la procedura. Possono solo insinuarsi e far valere i propri crediti secondo le regole legali. Non esiste voto o accordo. | Sì, implicito: dal fallimento tutti i creditori sono bloccati (sospensione di esecuzioni individuali per legge) . | I debiti sono soddisfatti in ordine di grado col ricavato dell’attivo . Spesso i creditori chirografari percepiscono percentuali basse o nulla. I debiti eventualmente non soddisfatti rimangono formalmente, ma la società essendo estinta non li paga nessuno (coobbligati e garanti restano responsabili per intero) . Non c’è esdebitazione per la società (ente cessato), solo per persone fisiche coinvolte. | L’impresa cessa immediatamente (salvo esercizio provvisorio temporaneo se autorizzato) . I beni aziendali sono venduti dal curatore. La società, al termine, viene cancellata dal registro imprese e quindi scompare. Non c’è continuazione dell’attività (se non per brevi periodi se utili per vendita). In sostanza, la liquidazione giudiziale segna la fine dell’impresa sul mercato. |
Nota: esistono anche strumenti dedicati a soggetti non fallibili o “minori” (imprese sotto soglia, consumatori), come il concordato minore e la liquidazione controllata (eredi della legge sul sovraindebitamento). In una SRL ordinaria tali istituti non trovano applicazione (salvo il caso di SRL microscopiche sotto soglia, che potrebbero accedere al concordato minore) . Per completezza: il concordato minore funziona in modo simile al preventivo ma con iter semplificato e requisiti ad hoc; la liquidazione controllata è l’equivalente del fallimento per un soggetto non fallibile, con la particolarità dell’esdebitazione finale anche per l’imprenditore. Nel contesto di questa guida – focalizzata sulle SRL operative di dimensioni ordinarie – ci concentriamo sugli strumenti sopra descritti.
Nei prossimi paragrafi illustreremo attraverso simulazioni pratiche come, in diverse situazioni di crisi di una SRL, possano essere combinati o scelti gli strumenti sopra descritti, e successivamente risponderemo alle domande frequenti. Infine, verranno elencate tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate.
Casi pratici: simulazioni di gestione della crisi
Per rendere più concreti i concetti esposti, presentiamo alcune simulazioni pratiche basate su scenari tipici di SRL in difficoltà. Ogni caso evidenzia una diversa combinazione di debiti e le possibili soluzioni ai sensi del Codice della Crisi, adottando il punto di vista del debitore (cioè della società indebitata e dei suoi amministratori):
Caso 1: Piccola SRL commerciale con debiti fiscali e previdenziali prevalenti
Scenario: Alfa S.r.l. è una piccola società che gestisce due negozi di abbigliamento (3 dipendenti). Negli ultimi anni, complice il calo dei consumi e la pandemia, Alfa ha accumulato debiti con il Fisco (~150.000 € di IVA non versata e ritenute IRPEF) e con l’INPS (~50.000 € di contributi arretrati). Per cercare di tenere aperto, gli amministratori hanno pagato molti fornitori utilizzando liquidità che avrebbero dovuto destinare a imposte e contributi – una scelta discutibile ma dettata dall’urgenza di riassortire i negozi. Ora però l’Agenzia Entrate-Riscossione ha notificato cartelle esattoriali per l’IVA non pagata e minaccia pignoramenti su conti e merci; l’INPS ha inviato diffida per i contributi omessi. I debiti verso fornitori invece sono contenuti (circa 30.000 € recenti, per merce acquistata negli ultimi mesi). La liquidità in cassa e in banca è quasi zero; la banca ha revocato il piccolo fido di conto corrente per gli insoluti. In sostanza, Alfa è al bivio: l’attività è anche potenzialmente redditizia (uno dei due negozi va bene, l’altro in perdita), ma il macigno dei debiti fiscali/previdenziali e l’azione aggressiva degli enti rischiano di travolgerla.
Problema: Debiti concentrati verso creditori pubblici (Erario e INPS), i quali hanno poteri speciali (privilegi, azioni esecutive rapide) e tolleranza bassa. La liquidità è scarsa. Siamo in presenza di uno stato di crisi serio ma forse non irreversibile: se si riuscisse a dilazionare il debito fiscale/contributivo (magari sfruttando qualche definizione agevolata) l’azienda potrebbe tornare in bonis, dato che il fatturato dei negozi è in ripresa.
Azione intrapresa: Gli amministratori di Alfa, consultato il commercialista, decidono di attivarsi immediatamente prima che il Fisco blocchi i conti o ipotechi i locali. Optano per la Composizione Negoziata della crisi: presentano istanza sulla piattaforma online presso la Camera di Commercio. In pochi giorni viene nominato un esperto indipendente. Contestualmente, Alfa richiede al tribunale misure protettive: il giudice concede un decreto di blocco temporaneo delle azioni esecutive da parte di Agenzia Entrate-Riscossione . Ciò sospende i pignoramenti già minacciati sui conti. Protetta dallo stay, Alfa – con l’aiuto dell’esperto – avvia il dialogo con l’Agenzia Entrate e l’INPS proponendo una transazione fiscale e contributiva nell’ambito della composizione negoziata: in sostanza offre di pagare il 60% del dovuto, dilazionato in 5 anni a rate mensili, con stralcio totale di sanzioni e interessi (che rappresentano una buona fetta del debito) . Per rendere più credibile l’offerta, gli amministratori mettono subito sul piatto un piccolo acconto di 20.000 € (raccolto facendosi prestare soldi dai soci stessi a titolo di finanziamento infruttifero), da versare immediatamente al Fisco appena l’accordo sarà sancito, a dimostrazione di buona fede . L’esperto aiuta a stendere un piano finanziario prospettico: suggerisce di chiudere il punto vendita meno redditizio (tagliando costi di affitto e personale) e concentrare le risorse sull’altro negozio che ha vendite migliori; stima così che Alfa, liberata di quell’onere, potrà generare cassa per ~40.000 € all’anno con cui sostenere le rate concordate .
Esito delle trattative: Grazie anche alle novità normative (il D.Lgs. 83/2022 ha consentito la transazione fiscale anche in composizione negoziata, mentre prima era ammessa solo in concordato o ADR), l’Agenzia delle Entrate accetta la proposta di stralcio e dilazione nell’ambito di questo accordo stragiudiziale . Anche l’INPS aderisce per la parte contributiva: entrambe le agenzie firmano un atto formale di transazione che verrà depositato. Rimangono i fornitori: su 30k di debiti commerciali, l’esperto li contatta uno ad uno e propone loro il pagamento integrale del dovuto però dilazionato in 12 mesi, spiegando che l’azienda sta raggiungendo un accordo col Fisco e chiedendo pazienza . I fornitori, fiutando che l’alternativa è vedere Alfa fallire (nel qual caso prenderebbero briciole), accettano. In definitiva, l’esperto certifica che è stato raggiunto un accordo con la totalità dei creditori: il 100% dei creditori di Alfa ha sottoscritto intese di risanamento. Erario e INPS mediante un atto transattivo ufficiale, i fornitori mediante accordi privati di dilazione .
Chiusura: Dopo circa 4 mesi dall’avvio, la composizione negoziata si conclude con successo. L’esperto redige la relazione finale positiva e la procedura viene archiviata. Alfa S.r.l. esce dalla composizione e riprende la normale attività. Ha chiuso uno dei due negozi (quello in perdita), ma l’altro punto vendita continua a funzionare bene e, liberato dall’eccesso di debiti, torna gradualmente in utile. Negli anni successivi Alfa paga regolarmente le rate concordate con Fisco e INPS (che vigileranno ovviamente sui versamenti) e onora i piani con i fornitori. Grazie a ciò, evita sia la dichiarazione di fallimento sia qualsiasi procedura concorsuale giudiziale. Gli amministratori hanno anche evitato conseguenze penali: l’omesso versamento IVA da 150k € sarebbe un reato, ma se la società rispetta la transazione e versa quel 60%, il reato viene estinto per effetto della speciale causa di non punibilità (versamento integrale del debito tributario per iva dopo la soglia, anche se parziale in virtù di transazione) . La società è salva e i posti di lavoro (almeno di un negozio) preservati.
Considerazioni: Questo caso mostra come una crisi prevalentemente fiscale/previdenziale possa essere risolta senza ricorrere al fallimento né al concordato, sfruttando la flessibilità della composizione negoziata e le opportunità della transazione fiscale. Senza tali strumenti, probabilmente Alfa avrebbe subito pignoramenti sui conti e sui beni e sarebbe fallita in breve tempo, con scarse chance di soddisfare i creditori e altissime probabilità di chiusura totale. Invece, con un piccolo apporto di liquidità fresca da parte dei soci e un piano credibile attestato dall’esperto, perfino il Fisco ha preferito accordarsi: incasserà 60% in 5 anni (forse poco, ma più di quanto avrebbe ottenuto liquidando forzatamente i negozi, considerati i costi e le perdite connesse) . Alfa ha potuto continuare l’attività ridimensionandosi ma mantenendo un negozio in vita. I creditori chirografari (fornitori) hanno accettato una semplice dilazione, rassicurati dal fatto che l’azienda ha risolto il grosso del problema fiscale e quindi è tornata solvibile. La morale: per le imprese la cui crisi deriva principalmente da debiti verso lo Stato, gli istituti di composizione e transazione oggi offrono un’ancora di salvezza, purché ci sia un business di base ancora valido. Essenziale è muoversi prima che scattino misure irreversibili (pignoramenti, istanze di fallimento da Agenzia Entrate): la tempestività nel caso di Alfa è stata decisiva.
Caso 2: Media SRL manifatturiera indebitata con banche e fornitori (continuità possibile)
Scenario: Beta S.r.l. è un’azienda manifatturiera di medie dimensioni (60 dipendenti) nel settore metalmeccanico. Ha accumulato debiti finanziari ingenti verso le banche (circa 4 milioni € in totale: mutui ipotecari per 2M su capannone, scoperti di conto e anticipi fatture per 1M, leasing su macchinari per 1M) e debiti verso fornitori per circa 1,5 milioni € già scaduti da mesi. Inoltre ha debiti fiscali per 200k € (IVA e IRES non ancora a ruolo) e verso dipendenti 100k € (straordinari e TFR arretrati). Dal lato attivo: possiede un capannone industriale (valore stimato 1,5M ma gravato da ipoteca residua 2M), macchinari in leasing (residuo 1M), magazzino e crediti verso clienti per circa 800k. L’azienda è di fatto insolvente: da 4 mesi non paga i fornitori, le banche hanno segnalato sconfinamenti e minacciano revoca dei fidi. Tuttavia Beta ha in mano ordini importanti per l’anno prossimo grazie a un nuovo contratto con un cliente estero; se riuscisse a finanziarsi per acquistare materie prime e lavorare, potrebbe generare utili e risanarsi nel medio termine.
Problema: Situazione complessa con molti creditori e insolvenza già manifesta. C’è una potenziale via di salvezza (il portafoglio ordini futuro), ma serve tempo e una ristrutturazione del debito significativa. I creditori attuali hanno interessi divergenti: le banche vorrebbero rientrare (alcune hanno garanzie, altre no), i fornitori sono allo stremo, il fisco incalza per l’IVA. Beta da sola non può farcela: ha bisogno di ridurre drasticamente l’ammontare dei debiti e dilazionarli, oltre che di nuova finanza per continuare la produzione.
Azione intrapresa: Dopo valutazione con i consulenti, Beta conclude che un semplice piano attestato non basterebbe: convincere singolarmente ~50 fornitori sarebbe arduo, e le banche difficilmente acconsentirebbero senza un quadro vincolante. D’altra parte, Beta vuole evitare la liquidazione fallimentare, perché ciò annullerebbe gli ordini in corso e distruggerebbe la continuità. Opzione scelta: il concordato preventivo in continuità aziendale. Beta deposita presso il tribunale un ricorso di concordato “con riserva” (c.d. concordato in bianco), ottenendo immediatamente il blocco dei pignoramenti e delle azioni individuali (lo stay automatico) . Ciò le dà respiro. Nei successivi 3 mesi, con l’aiuto di un advisor finanziario, Beta prepara un piano di concordato dettagliato: prevede una serie di misure di risanamento: – Riorganizzazione interna e riduzione dei costi (taglio di spese non strategiche, efficientamento produttivo). – Vendita di alcuni macchinari inutilizzati (valore stimato 200k) per fare cassa. – Ricerca di un investitore disposto a immettere 500k € di nuova finanza a titolo di prestito o equity (da concedere in prededuzione) per sostenere il capitale circolante. – Strutturazione di una proposta ai creditori in classi: – Classe 1: Dipendenti (TFR e stipendi arretrati) – proposta pagamento 100% entro 6 mesi dall’omologa (priorità morale e legale) . – Classe 2: Erario (IVA/IRES) – sono crediti con privilegio parziale, proposta di pagamento 50% in 4 anni, sfruttando la transazione fiscale per azzerare sanzioni . – Classe 3: Fornitori strategici (quelli senza cui l’azienda non potrebbe proseguire) – proposta 30% in 5 anni (li consideriamo vitali e li “premiamo” con un dividendo maggiore per assicurarci la loro continuità) . – Classe 4: Banche chirografarie (parte non garantita delle banche, ossia per la quota di credito non coperta da ipoteche) – proposta 20% in 4 anni . – Classe 5: Fornitori generici (altri fornitori non strategici) – proposta 20% in 5 anni (allineati alle banche chirografe) . – (Nota: i crediti bancari garantiti da ipoteca o leasing su beni specifici saranno soddisfatti al di fuori del concordato: Beta prevede di risolvere i leasing vendendo i beni, e di trattare con la banca ipotecaria magari vendendo il capannone e riconoscendole il ricavato di 1,5M a saldo parziale – queste operazioni possono essere tecnicamente incorporate nel piano come stralcio extra-concordatario per quelle posizioni garantite).
Parallelamente, Beta prepara un dettagliato piano industriale per convincere i creditori che l’azienda, liberata dal peso dei debiti, tornerà redditizia grazie ai nuovi ordini e potrà sostenere i pagamenti proposti . Il piano mostra proiezioni di ricavi in crescita e margini tali da coprire quelle percentuali e rimborsare il prestito prededucibile dell’investitore.
Trattative durante la procedura: Prima ancora del voto, Beta (supportata dal commissario nominato dal tribunale) incontra banche e fornitori principali per illustrare il piano. Le banche ipotecarie, vedendo che la proposta per la parte non garantita è solo 20%, inizialmente storcono il naso; Beta però fa loro notare che se l’azienda fallisce, con le procedure esecutive sul capannone rischiano di recuperarne forse il 50% (svendita in asta), e i chirografari zero, quindi prendere 20% come chirografari non è scandaloso in comparazione . Inoltre offre alle banche la possibilità di convertire parte del credito in partecipazione (quote) insieme al nuovo investitore, così che possano avere un eventuale upside se l’azienda risale – alcune banche apprezzano e accettano la conversione di quota di credito in equity, altre preferiscono incassare la percentuale cash . I fornitori strategici (ad es. fornitori di componenti speciali che Beta non può rimpiazzare facilmente) sono relativamente soddisfatti di vedersi offrire 30% invece di 20%, e soprattutto di mantenere Beta come cliente in futuro, quindi si dichiarano a favore . I fornitori piccoli, pur delusi dal 20% in 5 anni, capiscono anche loro che in caso di fallimento prenderebbero quasi zero, e che la continuità di Beta potrebbe portar loro futuri ordini; pragmaticamente, molti si orientano per votare sì. L’Erario (Agenzia Entrate), grazie alla transazione fiscale, è d’accordo sul 50% (in parte perché metà del suo credito era chirografario, quindi in linea col 20% offerto agli altri chirografari – ma qui sale a 50% includendo la parte privilegiata, per via delle regole di falcidia) e ottiene così comunque più di quanto farebbe nella maggior parte dei fallimenti. I dipendenti, rassicurati dal mantenimento dei posti di lavoro e con la garanzia del pagamento integrale degli arretrati, appoggiano ovviamente il piano .
Esito: Al voto, quasi tutte le classi approvano a larga maggioranza. Classe 1 (dipendenti) unanime sì; Classe 2 (Erario) favorevole; Classe 3 (fornitori strategici) approva; Classe 5 (fornitori generici) pure con buona maggioranza. Classe 4 (banche chirografarie) è la più critica ma comunque il 75% dei crediti in quella classe vota sì, 25% no (alcuni fondi che avevano comprato crediti in sofferenza votano contro per politica aziendale, non accettano stralci così alti) . Globalmente, in termini di maggioranza per teste, il concordato è approvato avendo anche >50% dei crediti complessivi a favore e 5 classi su 5 favorevoli (in realtà 4 su 5 se contiamo che la classe banche ha 75% sì, quindi favorevole ai sensi di legge). Una banca dissenziente presenta opposizione all’omologa lamentando disparità di trattamento: sostiene che “perché ai fornitori strategici il 30% e a noi solo 20%?”. Il tribunale tuttavia rigetta l’opposizione motivando che c’è una giustificazione economica: i fornitori strategici vanno incentivati per la continuità, mentre le banche – oltre ad avere spesso garanzie reali su altre parti del credito – possono accontentarsi in quanto il loro rischio è stato valutato e comunque il 20% è congruo considerando le loro prospettive in caso di fallimento . Inoltre, il tribunale verifica che nessuna classe riceve meno di quanto riceverebbe una classe inferiore (principio di priorità relativa rispettato: 20% è il minimo ai chirografari, eventuali creditori postergati avrebbero preso ancor meno) e soprattutto che nessun creditore dissenziente avrebbe comunque avuto di più nella liquidazione giudiziale alternativa (test di convenienza superato) . Pertanto il tribunale omologa il concordato.
A seguito dell’omologa, Beta riceve l’apporto di 500k € dall’investitore (che entra anche come socio di minoranza insieme a due banche che hanno convertito parte dei crediti in equity) . Tali fondi consentono di finanziare la ripresa produttiva: Beta compra le materie prime per evadere i nuovi ordini e torna a produrre a pieno regime. Nel frattempo, con la cassa generata e alcune vendite di asset, inizia a pagare le prime tranche come da piano (ad esempio, paga subito gli arretrati ai dipendenti, versa acconti ai fornitori per dimostrare buona fede, ecc.). Nei successivi 5 anni, Beta esegue regolarmente il piano: grazie ai nuovi contratti e a una gestione più snella, produce utili e liquidi con cui paga puntualmente le rate dovute ai creditori nelle varie classi. L’azienda torna profittevole e, a piano concluso, rimane attiva, anche se con una nuova governance (l’investitore e alcune banche convertite ora siedono nel CDA, i vecchi proprietari hanno diluito le quote) . I vecchi debiti oltre le percentuali concordatarie sono definitivamente cancellati. Gli amministratori originari non subiscono azioni di responsabilità – il concordato ha di fatto “sanato” la situazione e avendo agito in tempo, hanno evitato l’aggravamento del dissesto; anzi la soluzione concordataria li mette abbastanza al riparo da accuse (nessun creditore può dire di aver ricevuto meno che in fallimento) .
Considerazioni: Questo caso illustra un concordato in continuità ben riuscito. Beta era insolvente ma possedeva prospettive di rilancio: la procedura concorsuale ha permesso di cramdown i creditori dissenzienti (imporre loro la riduzione del credito a maggioranza) e di attirare finanza esterna in condizioni di sicurezza (l’investitore ha accettato di entrare sapendo di avere prelazione e di trovare un’azienda “ripulita” dai debiti pregressi) . Senza il concordato, Beta quasi certamente sarebbe fallita perché non c’era né tempo né unanimità per un accordo stragiudiziale. Un accordo di ristrutturazione forse non sarebbe bastato: Beta avrebbe dovuto comunque pagare per intero i creditori non aderenti, troppo oneroso. Quindi lo strumento giusto era il concordato preventivo. Si noti come la differenza di trattamento tra classi (30% ad alcuni, 20% ad altri) sia lecita se giustificata da ragioni oggettive . Nel piano di Beta ciò è avvenuto (necessità di incentivare fornitori vitali). Casi simili a Beta sono comuni nella prassi: PMI sovraindebitate ma con un nucleo di attività valido – il concordato in continuità (magari con l’ingresso di investitori) è spesso l’unica via per salvarle. La chiave del successo sta in proposte realistiche e in una buona comunicazione con i creditori durante il processo.
Caso 3: SRL immobiliare senza prospettive (liquidazione inevitabile)
Scenario: Gamma S.r.l. è una società edile che, a seguito di una grave crisi del mercato, ha cessato i lavori e non ha più cantieri attivi. Ha un grosso debito verso una banca (5 milioni € garantito da ipoteca su un cantiere immobiliare incompiuto, unico asset rimasto) e debiti verso vari promissari acquirenti (privati che avevano versato anticipi per case mai completate, per complessivi 2 milioni €). Debiti fiscali minori ~100k. Le opere sono ferme, la società non ha liquidità e la reputazione è rovinata, nessuno investirebbe in Gamma. Siamo di fronte a insolvenza conclamata: Gamma non può restituire nulla ai creditori se non vendendo quell’unico cantiere, il cui valore però è molto inferiore ai debiti (stima forse 3M se venduto a un’impresa che lo completi).
Problema: Non esiste un’azienda da salvare, l’unica soluzione è liquidare l’attivo (il cantiere) e distribuire i soldi. La banca ipotecaria ha già avviato pignoramento sull’immobile, i promissari acquirenti – arrabbiatissimi per le case non ricevute – alcuni hanno depositato istanza di fallimento per Gamma. Scenario purtroppo classico di impresa edile fallenda con potenziale contenzioso e lungaggini (case bloccate per anni, acquirenti beffati).
Azione intrapresa: Gli amministratori, seppur consapevoli che non c’è salvezza per Gamma, vogliono evitare accuse di bancarotta preferenziale (sanno di aver pagato qualche creditore amico di recente) e provare a gestire la chiusura in modo più ordinato per limitare i danni reputazionali. Decidono quindi di tentare una liquidazione concordata invece di subire passivamente il fallimento. Presentano istanza per una composizione negoziata, ma ben presto l’esperto constata che non c’è nulla da negoziare: la banca vuole solo riavere i suoi soldi, i clienti vogliono i loro anticipi o le case, non c’è margine di accordo perché non esiste soluzione continuativa (l’azienda non ripartirà). Dopo qualche riunione infruttuosa, l’esperto redige relazione finale negativa entro poche settimane . A questo punto, Gamma – entro 60 giorni dalla chiusura della CNC – propone un concordato semplificato per la liquidazione (ai sensi dell’art. 25-sexies CCII) . Nella proposta al tribunale, Gamma illustra un piano molto semplice: vendere subito il cantiere incompiuto a un investitore edile che si è detto interessato, al prezzo di 3 milioni €, e distribuire il ricavato: la banca ipotecaria prenderebbe quei 3M (circa il 60% del suo credito, ma almeno li realizza subito senza aste), i promissari acquirenti purtroppo prenderebbero zero come soddisfazione monetaria (perché il ricavato basta a malapena per la banca), però – e qui sta l’elemento di “utilità” – l’investitore acquirente del cantiere si accolla di finire i lavori e consegnare le case ai promissari acquirenti, liberandoli così dal credito monetario e dando loro finalmente ciò per cui avevano pagato (anche se con ritardo) . Questa è un’utilità che in un fallimento difficilmente avrebbero: nel fallimento i clienti sarebbero creditori chirografari puri e prenderebbero zero, e le case probabilmente non verrebbero completate (avrebbero perso soldi e case). Il tribunale analizza la proposta: la banca è favorevole (ha anche scritto di preferire prendere 3 subito che forse 2 tra anni di esecuzioni), e soprattutto i promissari acquirenti – pur formalmente avendo soddisfazione zero in termini di soldi – non si oppongono ferocemente perché ottengono la prospettiva delle case finite dal nuovo costruttore, e sanno che nel fallimento rischierebbero di perdere sia acconti che case . Inoltre non c’è una votazione, quindi conta il giudizio del tribunale: questi valutando il best interest test, rileva che in caso di fallimento i promissari non avrebbero avuto nulla e le case sarebbero rimaste incompiute – quindi la proposta concordataria, pur dando zero monetario, offre un valore aggiunto (case completate) superiore al fallimento.
Esito: Non essendoci votazione, il tribunale verifica la convenienza e fattibilità della proposta. Con l’ok dell’esperto (nominato ora ausiliario), omologa il concordato semplificato . Si procede quindi a formalizzare la vendita del cantiere all’investitore per 3M. La banca incassa quei 3M (soddisfacendo in parte il suo credito, per il residuo dovrà rinunciare) . I promissari acquirenti, come previsto, non ricevono rimborsi in denaro, però l’investitore si impegna a completare le costruzioni e consegnare loro le case per cui avevano contrattato (ovviamente questi clienti dovranno versare all’investitore il saldo finale del prezzo pattuito nel rogito, ma questo era previsto comunque) . Gamma S.r.l., a quel punto, non ha più beni e la procedura si chiude. La società verrà cancellata. Gli amministratori si mettono a disposizione del curatore/ausiliario per eventuali verifiche su operazioni pregresse, ma avendo scelto la via concordataria ed evitato lo scenario peggiorativo (fallimento), è improbabile che vengano perseguiti severamente: non emergono evidenti distrazioni o mala fede, solo sfortuna economica e incapacità di completare il progetto . La banca può essere insoddisfatta di non aver recuperato il 40%, ma quel rischio c’era comunque; i clienti riceveranno con ritardo ciò che volevano; il fisco e gli altri piccoli creditori purtroppo restano a mani vuote, ma realisticamente non avrebbero ottenuto nulla neanche altrove.
Considerazioni: Qui la soluzione è stata una liquidazione non fallimentare con lo strumento più innovativo del Codice: il concordato semplificato. Si noti che questo istituto consente di concludere velocemente la vicenda se c’è un deal chiaro (qui: vendere l’unico attivo e distribuire il ricavato) ma non c’è tempo o consenso per un concordato normale . Ha funzionato perché c’era un bene appetibile e un compratore concreto, e i creditori chirografari (i promissari) hanno avuto un’altra utilità – la futura casa – come compensazione, anche se formalmente il loro credito è stato cancellato al 100% . Va detto: se invece Gamma non avesse avuto alcun attivo significativo né offerte di acquisto, non ci sarebbe stata scelta se non la liquidazione giudiziale ordinaria. Il concordato semplificato è un’ottima soluzione solo in casi specifici dove fallisce la ristrutturazione ma esiste un modo di liquidare i beni in maniera più efficiente che nel fallimento. Per il debitore (Gamma) è stato utile perché ha evitato ai soci e amministratori la gogna di un fallimento e possibili strascichi peggiori; per la banca, ha velocizzato il recupero; per i clienti, ha ridato speranza di vedere completato l’immobile.
Caso 4: SRL “in bonis” che adotta misure di allerta e risanamento precoce
(Un esempio virtuoso, per cambiare prospettiva.)
Scenario: Delta S.r.l. è un’azienda alimentare di medie dimensioni. Non è insolvente, paga ancora tutti, ma i margini si sono ridotti e sta subendo tensioni di cassa perché un grande cliente estero ha ritardato di parecchi mesi i pagamenti. Delta ha iniziato ad accumulare ritardi verso alcuni fornitori (pagando a 120 giorni anziché 60) e ha dovuto saltare un pagamento IVA trimestrale. Gli indicatori interni calcolati dal CFO mostrano che a 6 mesi il DSCR è sceso a 0,9 (<1, segnale di potenziale crisi) e i debiti verso fornitori a oltre 120 giorni rappresentano il 45% del totale fornitori (anche questo è un segno di tensione). Delta ha un collegio sindacale che, esaminati i dati, invia al CDA una segnalazione interna di allerta evidenziando “fondati indizi di crisi” e chiedendo quali iniziative si intendano prendere .
Problema: Delta non è in crisi irreversibile, ma sta entrando in zona d’allerta. Deve intervenire prima che i problemi diventino gravi (ad esempio, prima che la banca le riduca gli affidamenti o che il DSCR cali ancora e qualche creditore pubblico faccia segnalazione esterna). Siamo in un caso di applicazione corretta degli strumenti di allerta interna: la società è tuttora solvibile, ma presenta squilibri che potrebbero peggiorare se ignorati.
Azione intrapresa: Gli amministratori, pungolati dalla segnalazione dei sindaci, reagiscono prontamente. Entro 15 giorni rispondono formalmente al collegio indicando un piano di intervento (come richiesto dall’art. 14 CCII) : 1. Negoziare con il cliente estero che sta ritardando i pagamenti un rientro più rapido, magari offrendo uno sconto per incasso immediato su parte del credito, così da migliorare la cassa. 2. Nel frattempo, chiedere alla banca un affidamento aggiuntivo di 200k € per pagare i fornitori strategici e normalizzare i termini (evitando rotture di stock che sarebbero catastrofiche). Per convincere la banca, i soci decidono di intervenire in azienda con fondi propri: deliberano di rinunciare ai dividendi previsti e immettere 100k € a fondo perduto come riserva (dimostrando impegno) . 3. Per il pagamento IVA saltato, Delta immediatamente attiva la rateizzazione in 6 rate presso l’Agenzia Entrate, regolarizzando prima che partano cartelle o segnalazioni esterne (il debito IVA non ancora scaduto di 90 gg non genera ancora alert formale, e l’aver chiesto dilazione lo eviterà del tutto). 4. Contestualmente, l’azienda avvia un programma di riduzione costi interni (energia, logistica), rinegozia alcuni contratti di fornitura per recuperare marginalità, e sospende spese non indispensabili finché la liquidità non migliora.
Esito: Queste misure, attuate nell’arco di pochi mesi, riportano Delta in equilibrio: il grande cliente estero, sollecitato e incentivato, paga una buona parte dei suoi debiti; la tensione di cassa rientra dopo l’incasso. La banca, vedendo la reazione proattiva dell’azienda e l’immissione di capitale fresco dei soci, concede fiducia: estende il fido richiesto e non segnala Delta come problematica in Centrale Rischi (quindi niente stigma, anzi la classificazione di merito di credito rimane buona). I fornitori tornano a essere pagati a 60 giorni come da prassi, e apprezzano anche la comunicazione franca ricevuta sul momentaneo ritardo e sulle azioni intraprese. Delta ha evitato di scivolare nella crisi vera e propria: la “quasi-crisi” è stata sventata sul nascere, senza necessità di accedere a procedure concorsuali o coinvolgere tribunali . La segnalazione interna del collegio sindacale ha sortito l’effetto desiderato di pungolare gli amministratori, che hanno reagito in tempo. Nessun creditore ha subito danni permanenti e la reputazione di Delta sul mercato è rimasta intatta (solo pochi fornitori si erano accorti del problema, e hanno apprezzato la sincerità e il pronto pagamento).
Considerazioni: Questo “caso” dimostra l’importanza degli strumenti di allerta interna e delle misure pre-concorsuali semplici (come dilazioni fiscali) per prevenire la crisi vera e propria . Non sempre è necessario arrivare a un concordato: l’ideale è non entrarci proprio in procedura concorsuale. Delta, applicando diligenza e trasparenza, ha evitato problemi maggiori. Dal punto di vista del Codice della Crisi, il comportamento di Delta è esattamente quello sperato dal legislatore: grazie agli adeguati assetti di controllo la crisi incipiente è stata rilevata (DSCR <1, fornitori pagati a 120gg), grazie all’allerta interna gli amministratori sono stati costretti a guardare in faccia il problema e agire, e così l’impresa ha evitato un deterioramento che avrebbe potuto condurla all’insolvenza e al concordato/fallimento. Per gli amministratori, questo significa anche mettersi al riparo da rischi di responsabilità: hanno dimostrato di agire tempestivamente e con competenza, e se anche Delta fosse poi finita in crisi successivamente per cause imprevedibili, si potrebbe evidenziare come attenuante il loro comportamento virtuoso. In sintesi, la migliore crisi è quella evitata agendo prima. Il Codice della Crisi vuole proprio incentivare condotte come quelle di Delta: amministratori diligenti che, di fronte ai segnali di crisi, non nascondono la testa sotto la sabbia ma coinvolgono partner (banche, soci, fornitori) e applicano soluzioni di mercato (rifinanziamenti, ricapitalizzazioni) prima di arrivare al punto di non ritorno .
Abbiamo esplorato vari scenari, dal salvataggio in extremis di una piccola SRL fiscale, al concordato di una PMI indebitata, alla liquidazione concordata di un’impresa decotta, fino al caso virtuoso di prevenzione della crisi. Queste simulazioni aiutano a comprendere come le norme e gli strumenti descritti possano applicarsi nella pratica concreta.
Passiamo ora a una sezione di Domande Frequenti (FAQ), dove risponderemo in modo sintetico ai dubbi più comuni di imprenditori, professionisti e stakeholder quando si parla di SRL con debiti e risanamento con il Codice della Crisi.
Domande Frequenti (FAQ)
D: Quando una SRL può considerarsi in “stato di crisi” ai sensi del Codice?
R: Il Codice definisce lo stato di crisi come la probabilità di futura insolvenza, desumibile da uno squilibrio economico-finanziario. In pratica, un’impresa è in crisi se – pur essendo magari ancora adempiente oggi – le proiezioni indicano che non riuscirà a far fronte regolarmente ai debiti nei prossimi 12 mesi . Indici utili: flussi di cassa prospettici insufficienti (es. DSCR a 6 mesi < 1), capitale netto che tende al negativo, ritardi crescenti nei pagamenti, utilizzo completo e prolungato dei fidi bancari, debiti scaduti verso dipendenti/fornitori oltre certe soglie (es. salari non pagati per più di metà dell’importo dovuto, per oltre 30 giorni) . La crisi è dunque uno stadio precedente all’insolvenza conclamata (in cui invece l’impresa è già incapace di adempiere ai debiti esigibili). Il CCII incoraggia gli imprenditori a cogliere questi segnali di pre-crisi e intervenire subito, anziché attendere l’insolvenza conclamata .
D: Che differenza c’è tra crisi e insolvenza?
R: Crisi significa difficoltà oggettiva che, se non risolta, può evolvere in insolvenza; insolvenza è invece l’incapacità attuale di pagare regolarmente i debiti ed ottenere ulteriore credito. Ad esempio: un’azienda con flussi di cassa molto tesi, ma che non ha ancora “saltato” pagamenti importanti, è in crisi; se invece ha già vari debiti scaduti da tempo e non paga stipendi o fornitori, è già insolvente . La distinzione è importante: la crisi consente accesso a misure di allerta e a strumenti di risanamento prima di dover ricorrere a procedure concorsuali, mentre l’insolvenza di regola richiede l’avvio di un concordato preventivo o della liquidazione giudiziale senza ulteriore indugio.
D: Quali sono i primi passi che gli amministratori devono compiere quando si accorgono che la società ha problemi di liquidità o solvibilità?
R: Attivarsi tempestivamente. In concreto: (1) fare subito un’analisi approfondita della situazione finanziaria (cassa, debiti scaduti, impegni futuri) e delle cause della crisi; (2) informare il CDA e gli eventuali soci della gravità del quadro; (3) evitare di aggravare il dissesto: niente spese non essenziali, bloccare investimenti non urgenti, non prendere nuovi debiti se non strettamente necessari; (4) valutare immediatamente le opzioni previste dal CCII: ad esempio contattare i creditori chiave informalmente per sondare la disponibilità a una moratoria volontaria, oppure presentare istanza di Composizione Negoziata se la situazione lo consiglia (così da ottenere un esperto e bloccare le azioni esecutive) ; (5) attivare eventuali procedure interne di allerta: se c’è un collegio sindacale, confrontarsi con esso; se si tratta di un’impresa grande con OCRI (nelle intenzioni originarie della riforma, poi non attuato), eventualmente contattarlo; (6) rivolgersi a consulenti specializzati (un advisor finanziario, un legale di crisi d’impresa) per predisporre un piano di risanamento o comunque una strategia di gestione della crisi . L’errore capitale è aspettare sperando in miracoli: ogni giorno di ritardo può peggiorare la situazione e, in caso di fallimento poi, i curatori guarderanno con sospetto l’inerzia degli amministratori (che può costituire culpa in vigilando).
D: Gli amministratori o i soci di una SRL rispondono personalmente dei debiti sociali?
R: In linea generale no: il bello della SRL è la responsabilità limitata. I soci sono al riparo, e anche gli amministratori non rispondono dei debiti sociali di regola. Tuttavia, ci sono importanti eccezioni: – I soci rispondono personalmente se hanno prestato garanzie personali (es. fideiussioni alla banca) o in casi di abuso della personalità giuridica (il cosiddetto piercing the veil, applicato raramente e solo in presenza di confusione patrimoniale fraudolenta). – Inoltre, dopo la chiusura di una liquidazione (fallimentare o concordataria), i soci possono essere chiamati a restituire quanto incassato nel bilancio finale di liquidazione se i creditori sono rimasti insoddisfatti. La giurisprudenza recente (Cass. Sez. Un. 6070/2013) ha esteso questo principio persino al caso in cui la liquidazione non abbia distribuito nulla ai soci: in certe situazioni di mala gestio, i soci potrebbero dover rispondere dei debiti residui anche se formalmente non hanno ricevuto riparti . È una teoria complessa, ma segnala che i soci non sono sempre intoccabili se si dimostra che hanno svuotato la società a danno dei creditori. – Gli amministratori, invece, possono incorrere in responsabilità verso i creditori se, violando i loro doveri di gestione diligente, hanno provocato un danno al patrimonio sociale poi insufficiente a pagare i creditori. Questo si concretizza tipicamente con l’azione di responsabilità per aggravamento del dissesto promossa dal curatore fallimentare o dai creditori: se l’amministratore ha ritardato colpevolmente l’accesso alla procedura o ha gestito male nella crisi (pagamenti preferenziali, nessun assetto adeguato, ecc.), può essere condannato a risarcire il deficit . Inoltre, gli amministratori rispondono sempre verso la società per mala gestio ex art. 2476 c.c., e i soci possono fare causa se la gestione ha causato perdite ingenti. – Sul piano penale, amministratori e anche soci (se amministratori di fatto) possono essere puniti per reati concorsuali: la bancarotta fraudolenta (distrazione di beni, documenti falsi), bancarotta preferenziale (pagamenti preferenziali in danno della par condicio), ecc., se la società fallisce e emergono quelle condotte . I soci non coinvolti nella gestione di solito non rispondono penalmente, salvo casi di concorso (es. se hanno beneficiato di distrazioni consapevolmente). Quindi, in sintesi: i soci rischiano poco di tasca propria (salvo impegni specifici o condotte fraudolente), gli amministratori rischiano in proprio se gestiscono male la crisi.
D: Cosa succede se la società non paga i debiti fiscali e previdenziali?
R: I debiti verso Erario e INPS sono molto “sensibili”. Se una SRL non paga l’IVA o le ritenute fiscali, oltre agli interessi maturano sanzioni amministrative elevate; superate certe soglie scatta la segnalazione di crisi dal Fisco (come creditore pubblico qualificato) e potenzialmente anche una denuncia penale. Ad esempio, l’omesso versamento IVA oltre €250k annui o di ritenute oltre €150k annui è reato . Sul fronte previdenziale, l’omissione di versamento contributi oltre circa €10k è reato (punito con multa e nei casi gravi anche arresto) . Inoltre, l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) può attivare procedure esecutive rapide: fermi amministrativi di veicoli, pignoramenti dei conti correnti, blocchi dei crediti verso terzi, ipoteche sugli immobili della società . Un altro effetto paralizzante: se hai debiti fiscali/previdenziali, non ottieni il DURC (documento di regolarità contributiva), e senza DURC niente appalti pubblici e problemi con i cantieri. La reputazione crolla. Inoltre, i grandi enti come AE e INPS possono presentare istanza di fallimento se la situazione degenera. In poche parole, i debiti fiscali/previdenziali non pagati possono paralizzare l’azienda: conti bloccati, impossibilità di lavorare con la PA, rischio penale, ecc. . Cosa offre il CCII? Soluzioni concordate: attraverso un accordo di ristrutturazione o un concordato con transazione fiscale, è possibile pagare solo parzialmente e in forma dilazionata questi debiti, ottenendo la regolarizzazione. Ad esempio, si può proporre di pagare l’IVA al 30% senza sanzioni in un concordato: se il tribunale omologa, l’Erario deve accettarlo (è il cram-down fiscale) . Fuori dalle procedure, l’unica strada sono le rateizzazioni ordinarie concesse dagli enti o sperare in periodiche rottamazioni di cartelle decise dal legislatore (ad esempio la “Rottamazione-quater” del 2023) . Queste sanatorie straordinarie permettono di estinguere i debiti fiscali riducendo o azzerando sanzioni e interessi: se l’impresa ne ha diritto, dovrebbe sempre valutare di aderire, perché aiutano moltissimo . In generale, i debiti verso lo Stato vanno gestiti con priorità assoluta: spesso conviene pagare prima quelli correnti e, se proprio, ritardare i fornitori (previo accordo con loro), perché il Fisco ha poteri molto più invasivi e il “costo” del debito fiscale (sanzioni, interessi, rischi) è ben più alto.
D: Quali scelte ha un’azienda troppo indebitata per salvarsi (priva di prospettive di risanamento)?
R: Se un’analisi onesta rivela che l’azienda non è più risanabile (ad esempio: non c’è mercato per i suoi prodotti, gli asset non generano flussi, i debiti superano di molto gli attivi, nessun investitore interessato), allora rimangono essenzialmente due vie: il concordato liquidatorio o la liquidazione giudiziale (fallimento) . Il concordato liquidatorio può essere utile se c’è la possibilità di offrire ai creditori qualcosa in più rispetto a un fallimento standard: ad esempio vendere l’intero complesso aziendale in blocco a un acquirente che continui l’attività (massimizzando il prezzo di cessione rispetto allo spezzatino fallimentare), oppure far entrare i soci con un contributo aggiuntivo destinato ai creditori. Se non ci sono queste condizioni migliorative, probabilmente il tribunale non ammetterà nemmeno il concordato, perché non soddisferebbe i requisiti di convenienza per i creditori . In tal caso si andrà direttamente in liquidazione giudiziale. In alcuni casi particolari, come visto nel Caso 3, se prima si era tentata la composizione negoziata, si può accedere al concordato semplificato: questo non salva l’impresa (la liquida), però evita le lungaggini del fallimento e magari consegna i beni più rapidamente ai creditori (o a chi di dovere) . Quindi, la scelta per un’azienda decotta è sul come liquidare, non sul se liquidare: concordato (ordinario o semplificato) oppure fallimento. Dal punto di vista degli amministratori, proporre un concordato liquidatorio è di solito visto di buon occhio: dimostra volontà collaborativa, porta a una soluzione più ordinata e può mitigare le responsabilità (hanno almeno tentato qualcosa); al contrario, lasciar precipitare in un fallimento senza aver fatto nulla li espone a critiche severe e possibili azioni di responsabilità per aver aggravato il dissesto . In breve: se non c’è nulla da fare per salvare l’impresa, conviene comunque pilotare la liquidazione attraverso una procedura concorsuale piuttosto che subire passivamente il fallimento.
D: Una piccola SRL può evitare il fallimento? Esistono procedure “più leggere” per imprese minori?
R: Sì. Il Codice prevede che le cosiddette imprese minori (quelle sotto specifici parametri di attivo, ricavi e debiti) non siano soggette a liquidazione giudiziale, bensì alle procedure previste per il sovraindebitamento (ora chiamate “crisi da debiti” dei non fallibili). In concreto, una piccola SRL sotto soglia, se insolvente, non viene dichiarata fallita ma può accedere al concordato minore o alla liquidazione controllata . Il concordato minore è molto simile a un concordato preventivo ma semplificato: c’è comunque un piano, un commissario e l’omologa del tribunale, ma è calibrato su realtà più piccole e con maggior flessibilità (ad esempio quorum di voto più bassi). La liquidazione controllata è l’equivalente del fallimento per il piccolo imprenditore, svolta dal tribunale ma con formalità ridotte e possibilità di esdebitazione finale anche dell’ex imprenditore . In sostanza, le micro-imprese hanno un “paracadute” per evitare la parola fallimento e le relative interdizioni. Tuttavia, molte SRL superano le soglie di non fallibilità (basta spesso avere un attivo > €300k o debiti > €500k per essere fallibili), e quindi non rientrano tra i minori. Per queste, le procedure sono quelle ordinarie: concordato preventivo o liquidazione giudiziale. Vale la pena notare che, se una SRL è sotto soglia, in caso di insolvenza potranno essere i creditori a chiedere al tribunale che venga dichiarata non la liquidazione giudiziale, bensì la liquidazione controllata ex L.3/2012 (ora confluita nel CCII) . In pratica, per il creditore cambia poco (c’è comunque un liquidatore nominato che vende i beni), ma per l’imprenditore c’è il vantaggio di non essere formalmente “fallito” e di avere più chance di liberarsi dei debiti residui grazie all’esdebitazione personale.
D: Come si tutela l’imprenditore onesto in caso di fallimento? C’è l’esdebitazione?
R: Sì. Il CCII prevede che, dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, la persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) sia liberata dai debiti residui automaticamente entro certi limiti (art. 278 CCII) . Nel caso di SRL, la società viene cancellata, quindi il problema dell’esdebitazione societaria non si pone (cessando il soggetto, i debiti rimasti sono inesigibili). Ma per l’imprenditore inteso come persona fisica dietro la società, come funziona? I soci di SRL di norma non rispondono dei debiti sociali, quindi non hanno bisogno di esdebitazione (a meno che abbiano dato garanzie personali; però, in tal caso, l’esdebitazione del socio-fideiussore non è automatica: dovrebbe eventualmente fare una procedura di sovraindebitamento a parte, se come persona fisica è insolvente). In sintesi: l’esdebitazione è un istituto che riguarda gli imprenditori individuali e i soci illimitatamente responsabili una volta esaurito il fallimento, e consente loro di ripartire senza quei debiti . Per l’ex amministratore di SRL, invece, l’esdebitazione non cancella eventuali condanne risarcitorie se è stato ritenuto responsabile verso i creditori o la massa. Quindi attenzione: l’esdebitazione libera dai debiti concorsuali, ma non da obblighi risarcitori per mala gestione o da pene pecuniarie per reati .
D: Cosa comporta la segnalazione di allerta inviata da INPS/Agenzia Entrate?
R: Quando l’INPS, l’Agenzia Entrate o l’Agenzia Riscossione inviano la comunicazione di allerta esterna (del tipo: “La informiamo che la sua impresa ha debiti scaduti per €XX superiori alle soglie…”), da quel momento scattano alcune cose: (1) l’organo amministrativo ha 90 giorni per reagire in modo adeguato, preferibilmente presentando un’istanza di composizione negoziata o attivando altra procedura (accordo di ristrutturazione, concordato) ; (2) se lo fa tempestivamente, potrà beneficiare delle misure premiali previste (riduzione di interessi e sanzioni fiscali, non punibilità per ritardata dichiarazione di fallimento, ecc., come da artt. 25-octies e seguenti CCII) ; (3) se non lo fa, l’inerzia viene registrata: la legge non prevede sanzioni immediate (non è che scatta automaticamente il fallimento), ma in caso di successivo fallimento il fatto che l’amministratore abbia ignorato l’allerta verrà valutato negativamente (potrebbe costituire colpa grave) e l’azienda perde i benefici premiali; (4) inoltre, trascorsi i 90 giorni, i creditori pubblici qualificati possono autonomamente presentare istanza di liquidazione giudiziale (anzi, dovrebbero valutare di farlo se il debitore non dà segnali) . In pratica, la segnalazione d’allerta crea una forte pressione: o reagisci subito attivando strumenti, oppure sai che se poi fallisci, ti verrà contestato di non aver agito e perderai possibili “sconti” (e intanto l’INPS/AE potrebbe nel frattempo averti portato in tribunale). L’obiettivo è far sì che l’imprenditore non ignori i debiti con lo Stato: se arriva la lettera, meglio muoversi, perché ignorarla peggiora solo le cose.
D: In un concordato preventivo, si possono falcidiare i debiti verso il Fisco e l’INPS?
R: Sì, è possibile tramite la transazione fiscale e contributiva prevista dall’art. 63 CCII. In un concordato (o anche in un accordo di ristrutturazione omologato), il debitore può proporre di pagare parzialmente e/o in forma dilazionata i debiti tributari e contributivi, incluse IVA e ritenute, che prima erano intoccabili . La condizione è che la proposta sia conveniente rispetto alla liquidazione: deve offrire all’Erario/INPS almeno quanto otterrebbero in caso di fallimento del debitore. Se tale condizione è soddisfatta, il tribunale può omologare anche senza il voto favorevole del Fisco (è il cosiddetto cram-down fiscale introdotto dalla legge 159/2020) . Ad esempio, se la mia SRL in concordato offre di pagare il 30% dell’IVA e dimostra che in fallimento l’Agenzia Entrate prenderebbe 5%, il tribunale può confermare il concordato anche se l’Agenzia ha votato no. Naturalmente, se invece la proposta fiscale offre meno del realizzo fallimentare, l’Agenzia può opporsi e avrebbe ragione. Va anche detto che spesso l’Amministrazione finanziaria, se vede che la proposta è seria e conforme al test, partecipa al voto e la approva (non è più un soggetto che mette veti preconcetti come in passato, grazie anche alle nuove norme). Fuori dalle procedure, invece, non è ammesso stralciare imposte e contributi: al massimo si possono ottenere dilazioni o rottamazioni, ma non un taglio dell’importo se non pagando integralmente il capitale. Quindi la sede concordataria è l’unica in cui lo Stato accetta di perdonare una parte di tasse e contributi dovuti, pur di massimizzare la chance di incasso del resto.
D: Cos’è la composizione negoziata e quando conviene utilizzarla?
R: Ne abbiamo parlato molto nel testo: la Composizione Negoziata è un percorso volontario e riservato in cui l’impresa in difficoltà cerca un accordo con i creditori assistita da un esperto indipendente, senza procedure concorsuali formali . Conviene utilizzarla quando l’impresa non è ancora insolvente irrimediabilmente, ma si trova in uno squilibrio e ha bisogno di una ristrutturazione del debito consensuale. È spesso il primo step consigliato: si tenta di risolvere fuori dal tribunale, con l’ombrello temporaneo delle misure protettive. Se funziona, si evita il concordato; se non funziona, comunque si può uscire dalla negoziazione ed entrare in concordato semplificato. In sintesi, conviene provare la Composizione Negoziata quando: la crisi è incipiente o comunque gestibile con accordi, c’è apertura al dialogo da parte dei creditori, e l’azienda preferisce evitare la pubblicità e rigidità di un concordato. Ad esempio, se ho 5 banche e 10 fornitori e tutti sono ragionevoli, con l’aiuto di un esperto potrei trovare una soluzione su misura senza dover portare i libri in tribunale. Inoltre, la CNC è utile per ottenere uno standstill immediato (blocco azioni) magari mentre cerco un investitore o definisco un piano. Viceversa, se i creditori sono troppi o litigiosi, o se serve imporre sacrifici a una parte consistente di essi, allora tanto vale andare in concordato preventivo direttamente.
D: Cosa significa che gli atti in esecuzione di un piano attestato o accordo omologato non sono soggetti a revocatoria?
R: La legge fallimentare e ora il CCII prevedono che in caso di fallimento (liquidazione giudiziale) certi pagamenti o garanzie concessi prima del fallimento possano essere revocati dal curatore se fatti in periodo sospetto e lesivi della par condicio. Tuttavia, per favorire le soluzioni concordate, si è stabilito che se un pagamento o una garanzia è effettuato in esecuzione di: – un piano attestato di risanamento pubblicato, – oppure di un accordo di ristrutturazione omologato, – oppure di un concordato preventivo omologato,
allora quel pagamento/garanzia non potrà essere oggetto di revocatoria nel successivo eventuale fallimento . Esempio: se nel contesto di un piano attestato pago anticipatamente un fornitore strategico e poi un anno dopo la società fallisce, il curatore non potrà chiederli indietro a quel fornitore, purché il piano era vero e pubblicato. Questo serve a dare sicurezza ai creditori che collaborano al risanamento: non rischiano di dover restituire in futuro. Attenzione però: la Cassazione ha chiarito che questa esenzione vale solo se l’atto era funzionale al piano e il piano era serio . Se il piano era farlocco e serviva solo a giustificare pagamenti preferenziali, allora la protezione potrebbe venire meno (perché quello non era un vero risanamento). Ma nella normalità, è una garanzia: creditore, se accetti il nostro accordo e prendi il 50% ora, sappi che se poi le cose vanno male, quel 50% te lo tieni. Stesso discorso per chi riceve pagamenti in un accordo di ristrutturazione o in un concordato: sono definitivi.
D: Quali vantaggi pratici ha la procedura di composizione negoziata rispetto al concordato preventivo?
R: In breve: – Riservatezza: la composizione negoziata è confidenziale, il suo avvio non viene pubblicato (solo le misure protettive vengono pubblicate, ma sono generiche). Il concordato invece è pubblico e spesso notizia, con possibili danni di reputazione. – Flessibilità: nella CNC non ci sono regole rigide su percentuali, classi, maggioranze. Si possono trovare soluzioni creative e su misura, coinvolgendo solo alcuni creditori e modulando accordi diversi con ciascuno . Nel concordato bisogna rispettare par condicio all’interno delle classi e principi di uniformità. – Costo e tempi ridotti: la CNC di norma dura pochi mesi e ha costi contenuti (solo compenso dell’esperto in base a tariffe, e consulenti eventuali). Il concordato dura spesso oltre un anno, con spese di giustizia, commissari, legali, etc. – Mantenimento pieno del controllo: in CNC l’imprenditore resta pienamente in sella (l’esperto non gestisce, solo consiglia). In concordato l’imprenditore è in possesso, ma vigilato strettamente dal commissario e deve chiedere autorizzazioni per atti straordinari. – Nessun stigma legale: la CNC non è “procedura concorsuale”, quindi l’impresa non è considerata in default legale. Ad esempio, contratti con clausole di risoluzione per fallimento non scattano; non si perde la possibilità di partecipare a gare (mentre col concordato a volte sì, sebbene la norma ora lo consenta in continuità). – Possibilità di ottenere comunque uno stay: anche se è stragiudiziale, tramite il tribunale si possono congelare i creditori finché si tratta , ottenendo nei fatti un effetto protettivo simile al concordato ma senza aprire una procedura formale. Naturalmente, il rovescio è che la CNC richiede consenso di tutti i principali creditori, mentre il concordato no (basta la maggioranza). Quindi è più delicata da far funzionare.
D: In caso di concordato preventivo, i garanti (fideiussori) dei debiti sociali restano obbligati?
R: Sì, attenzione: il concordato preventivo non libera i coobbligati. Questo è espressamente previsto (art. 285 CCII, ex art. 184 L.F.). Significa che se Tizio ha fatto da fideiussore per il mutuo bancario della SRL, e la SRL in concordato paga solo il 50% di quel mutuo, la banca può chiedere a Tizio il restante 50%. Il concordato vincola solo la società debitrice e i suoi creditori, ma non i terzi garanti o obbligati in solido . La logica è che la fideiussione è un contratto a sé: il garante ha promesso di pagare a prima richiesta tutto in caso di inadempimento, e il concordato è considerato equiparabile a un inadempimento parziale. Quindi, se siete soci che avete garantito debiti sociali, tenete presente che anche se la società si libera dei debiti col concordato, voi potreste doverli onorare. L’unico modo per evitare ciò è cercare di negoziare con i creditori una liberatoria del garante come parte del piano (possibile, ma dipende dalla benevolenza del creditore). Però legalmente, la liberatoria del garante non è automatica. Per inciso, lo stesso vale in fallimento: se la società fallisce, i creditori vanno dal fideiussore. E anche l’esdebitazione post-fallimentare dell’imprenditore non libera eventuali coobbligati rimasti (come da art. 279 CCII). In poche parole: il creditore può farsi pagare una volta sola, ma se non ha avuto tutto dalla procedura concorsuale, può rifarsi sul garante per la parte mancante.
Conclusione: Abbiamo visto come la gestione di una SRL indebitata sia un percorso insidioso ma affrontabile con gli strumenti del Codice della Crisi. Per avvocati e professionisti, il quadro normativo offre molte opzioni, da quelle soft stragiudiziali a quelle hard concorsuali, da modulare sul caso concreto; per imprenditori e soci, è fondamentale comprendere che oggi esiste un arsenale di soluzioni legali per evitare il tracollo disordinato e persino liberarsi di parte dei debiti, ma bisogna agire per tempo e con trasparenza.
L’auspicio è che questa guida – con fonti aggiornate e casi pratici – possa servire da bussola per orientarsi in situazioni tempestose. Conoscere i propri doveri e diritti in caso di crisi è il primo passo per uscirne. Il Codice della Crisi rappresenta un’opportunità concreta per le SRL in difficoltà economica, a patto che la si gestisca sin da subito con l’assistenza giusta e la volontà di compiere scelte coraggiose e tempestive.
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👉 Prima regola: non ignorare la crisi.
Oggi, grazie al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), è possibile intervenire in tempo e risanare l’azienda evitando la chiusura o il fallimento.
Con una gestione legale e fiscale mirata, puoi ristrutturare i debiti, negoziare con il Fisco e le banche, e salvare la tua SRL.
⚖️ Quando una SRL entra in crisi
Secondo il Codice della Crisi, una società è considerata in difficoltà quando:
- Non riesce più a pagare regolarmente fornitori, dipendenti o imposte;
- Ha debiti scaduti che superano i limiti previsti dalla legge (es. IVA o INPS non versati);
- È in perdita per più esercizi consecutivi;
- I flussi di cassa non coprono i costi fissi e le rate dei finanziamenti;
- È esposta al rischio di insolvenza o perdita della continuità aziendale.
👉 In questi casi, non serve chiudere o fallire, ma attivare subito gli strumenti di allerta e risanamento previsti dal Codice della Crisi.
🧩 Gli strumenti del Codice della Crisi per risanare la SRL
💠 1. Composizione negoziata della crisi
È la procedura principale per le SRL in difficoltà.
Consente di:
- Nominare un esperto indipendente che media tra la società e i creditori;
- Sospendere le azioni esecutive e i pignoramenti;
- Negoziare con Fisco, banche e fornitori per ridurre o dilazionare i debiti;
- Evitare la liquidazione giudiziale (ex fallimento), mantenendo la gestione aziendale.
💠 2. Piano di risanamento attestato
Permette di ristrutturare i debiti con l’approvazione di un professionista che attesta la sostenibilità del piano.
È uno strumento flessibile che consente di concordare rientri sostenibili e tutelare la continuità aziendale.
💠 3. Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCI)
È un’intesa con i creditori che rappresentano almeno il 60% del totale dei debiti.
Può prevedere tagli parziali, rateizzazioni lunghe o conversioni del debito in quote societarie.
💠 4. Concordato preventivo semplificato
Quando la crisi è più grave, consente alla SRL di proporre ai creditori un piano di pagamento parziale dei debiti e ottenere la protezione giudiziale senza bloccare completamente l’attività.
📌 I vantaggi del Codice della Crisi
- Blocca pignoramenti e azioni esecutive durante la procedura.
- Evita la liquidazione giudiziale (ex fallimento).
- Permette di rinegoziare i debiti con il Fisco, banche e fornitori.
- Salva posti di lavoro e continuità aziendale.
- Tutela gli amministratori, evitando responsabilità personali per mancata gestione della crisi.
🛠️ Come capire se la tua SRL può essere risanata
Prima di avviare la procedura, occorre verificare:
- La situazione economico-finanziaria (bilanci, debiti e crediti);
- Il livello di sostenibilità dell’attività produttiva;
- Le possibilità di accordo con i principali creditori;
- La disponibilità di flussi di cassa per un piano di risanamento.
Se la tua SRL è ancora operativa e ha un potenziale di continuità, il Codice della Crisi ti consente di salvarla legalmente e fiscalmente.
⚖️ Perché agire subito è fondamentale
Secondo il nuovo Codice, gli amministratori di SRL hanno l’obbligo legale di intervenire tempestivamente in caso di crisi.
Ignorare i segnali può comportare:
- Responsabilità personali per mala gestio;
- Azioni di responsabilità da parte dei creditori;
- Liquidazione giudiziale d’ufficio (ex fallimento).
Agire in tempo, invece, permette di:
- Bloccare le azioni di recupero;
- Evitare la perdita di clienti e fornitori;
- Ristrutturare i debiti in modo sostenibile;
- Preservare il controllo della società.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la situazione debitoria e i bilanci della SRL.
- 📌 Valuta se esistono i presupposti per la composizione negoziata o il piano di risanamento.
- ✍️ Predispone tutta la documentazione necessaria per accedere agli strumenti del Codice della Crisi.
- ⚖️ Ti assiste nella negoziazione con Fisco, banche e fornitori per ridurre o dilazionare i debiti.
- 🔁 Offre consulenza continuativa per prevenire future situazioni di crisi e proteggere gli amministratori da responsabilità personali.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
- ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.
- ✔️ Specializzato nella ristrutturazione del debito di SRL e società di capitali tramite gli strumenti del Codice della Crisi.
Conclusione
Una SRL con debiti può essere salvata, ma serve intervenire subito e con il supporto di un professionista esperto.
Il Codice della Crisi d’Impresa ti offre strumenti legali per bloccare pignoramenti, negoziare con i creditori e ricostruire la stabilità finanziaria della tua azienda.
Agire oggi significa tutelare la società, i soci, gli amministratori e il futuro della tua impresa.
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