Piastrellista Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai un’attività di piastrellista con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Il settore dell’edilizia e delle finiture è tra i più colpiti da crisi di liquidità, controlli fiscali e ritardi nei pagamenti, soprattutto dopo la fine dei bonus edilizi e la stretta sui crediti fiscali.
Molti artigiani piastrellisti si trovano oggi a dover gestire debiti con il Fisco, l’INPS o i fornitori, causati da ritardi nei versamenti, errori contabili o accertamenti IVA e IRPEF, con il rischio di cartelle esattoriali, pignoramenti o blocchi dei conti correnti.
Con una difesa legale e fiscale ben strutturata, è possibile bloccare la riscossione, rateizzare i debiti e difendersi da accertamenti infondati, salvaguardando la tua attività e la tua serenità economica.

Quando un piastrellista entra in difficoltà fiscale
Le situazioni più comuni che generano debiti o accertamenti nel settore edile e artigianale sono:

  • Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRPEF, IRES o contributi non versati;
  • Accertamenti fiscali per presunti ricavi non dichiarati o incongruenze tra fatture, materiali e commesse;
  • Pignoramenti o ipoteche su conti correnti, mezzi o attrezzature;
  • Sanzioni e interessi che fanno lievitare rapidamente l’importo del debito;
  • Ritardi nei pagamenti da parte di imprese appaltatrici o clienti privati;
  • Errori nella gestione contabile o nella dichiarazione dei redditi.

Cosa fare se la tua attività ha debiti o è sotto accertamento fiscale

  1. Agisci subito: ogni cartella o accertamento ha scadenze precise – di norma 60 giorni dalla notifica – per essere impugnato o rateizzato.
  2. Verifica la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti fiscali contengono errori di notifica o calcoli sbagliati, che consentono di chiederne l’annullamento.
  3. Controlla l’importo reale del debito: spesso le somme richieste includono sanzioni e interessi eccessivi, che possono essere ridotti con una definizione agevolata.
  4. Richiedi una rateizzazione: puoi ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente la riscossione.
  5. Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se attiva, consente di pagare solo il capitale dovuto, cancellando sanzioni e interessi.
  6. Impugna accertamenti ingiusti: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, puoi bloccare la riscossione e difendere la tua impresa.

Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nella difesa delle imprese artigiane e del settore edilizio può analizzare la tua situazione e costruire una strategia difensiva su misura per ridurre o annullare i debiti.
Le azioni più efficaci comprendono:

  • contestare vizi di notifica, motivazione o calcolo negli accertamenti e nelle cartelle;
  • chiedere la sospensione delle azioni di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche);
  • presentare ricorso contro accertamenti IVA o IRPEF fondati su presunzioni o dati incompleti;
  • negoziare rateizzazioni o transazioni fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
  • tutelare mezzi, strumenti di lavoro e beni aziendali da sequestri o pignoramenti;
  • migliorare la gestione fiscale e contabile per evitare nuovi debiti in futuro.

Il ruolo dell’avvocato nella difesa del piastrellista

  • Analizza la legittimità di accertamenti, cartelle e intimazioni di pagamento.
  • Predispone ricorsi e istanze di sospensione per bloccare la riscossione.
  • Negozia rateizzazioni e definizioni agevolate con l’Agenzia delle Entrate.
  • Difende l’artigiano nel contraddittorio con l’Ufficio e nei giudizi tributari.
  • Protegge attrezzature, veicoli e beni aziendali da pignoramenti o sequestri.
  • Tutela la continuità dei cantieri e la reputazione professionale.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

  • La sospensione immediata delle procedure di riscossione.
  • L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi.
  • La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute.
  • La protezione del patrimonio aziendale e familiare.
  • Il risanamento fiscale e la stabilità economica della tua attività.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti o sequestro dei mezzi di lavoro, impedendoti di proseguire i lavori e onorare i contratti.
Molte situazioni, tuttavia, possono essere risolte o ridotte, se affrontate tempestivamente con una difesa legale e fiscale qualificata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa fiscale delle imprese artigiane e del settore edilizio – spiega cosa fare se sei un piastrellista con debiti fiscali o sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ristabilire la serenità economica della tua attività.

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Introduzione

Un piastrellista – tipico artigiano edile che lavora spesso come ditta individuale o in piccole imprese familiari – può trovarsi in difficoltà economica accumulando debiti di vario genere. Possono esserci debiti fiscali verso l’erario (IVA, imposte sui redditi), debiti previdenziali per contributi non versati, esposizioni con banche o finanziarie, importi non saldati a fornitori, o ancora debiti verso privati (ad esempio prestiti personali o risarcimenti dovuti). Inoltre, situazioni di insolvenza possono sfociare in protesti di assegni o cambiali non pagati, iscrizioni a centrali rischi e altre conseguenze negative sul piano creditizio. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere quali strumenti offre l’ordinamento italiano per difendersi e gestire la crisi debitoria, evitando ove possibile azioni esecutive sui propri beni e – nei casi estremi – le sanzioni penali connesse ai mancati pagamenti dolosi.

In questa guida approfondiremo in modo avanzato e aggiornato a settembre 2025 come un artigiano indebitato possa tutelarsi. Esamineremo le diverse tipologie di debito e i relativi rischi, i mezzi per contestare o negoziare le pretese dei creditori, nonché le procedure legali di composizione della crisi (dalle soluzioni stragiudiziali fino alle procedure di sovraindebitamento e al fallimento). Ci concentreremo sul quadro normativo italiano vigente – inclusa la riforma introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – e sulle sentenze più recenti della giurisprudenza, offrendo un taglio giuridico ma divulgativo adatto sia ai professionisti (avvocati, consulenti) sia ai debitori non esperti. Saranno fornite tabelle riepilogative, casi pratici simulati, oltre a una sezione di domande e risposte frequenti, il tutto dal punto di vista del debitore che vuole capire “cosa fare e come difendersi” in caso di debiti fuori controllo. Le fonti normative e giurisprudenziali citate sono elencate in fondo alla guida, per garantire autorevolezza e possibilità di approfondimento.

Tipologie di debiti di un artigiano e rischi connessi

Un artigiano piastrellista può accumulare debiti di natura diversa, ciascuna regolata da norme e procedure specifiche. Analizziamo le principali categorie di debito e le relative conseguenze in caso di mancato pagamento.

Debiti fiscali (Erario e Agenzia Riscossione)

I debiti fiscali comprendono imposte non pagate o arretrate – ad esempio IVA, IRPEF, IRAP, addizionali – e relative sanzioni e interessi. In caso di omesso versamento delle tasse, l’Agenzia delle Entrate potrà iscrivere a ruolo le somme dovute e incaricare l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (AdER) (ex Equitalia) di procedere alla riscossione coattiva. Dopo la notifica della cartella esattoriale, se il debitore non paga entro 60 giorni, AdER può attivare misure cautelari ed esecutive: dal fermo amministrativo su veicoli, all’ipoteca su immobili, fino al pignoramento di beni mobili, immobili o crediti (come stipendi e conti correnti).

Va evidenziato che la legge offre una particolare protezione per la prima casa del debitore nei confronti di AdER, se ricorrono specifiche condizioni. In base all’art. 76 del D.P.R. 602/1973 (modificato dal DL 69/2013), l’Agente della Riscossione non può pignorare l’unico immobile adibito ad abitazione principale del debitore, purché non si tratti di un bene di lusso (categorie catastali A/8 o A/9) e il debito totale con AdER sia inferiore a 120.000 € . In altre parole, se il piastrellista possiede solo la casa in cui risiede (non di lusso) e ha un debito fiscale sotto quella soglia, AdER non potrà eseguire un’espropriazione immobiliare su tale immobile. Potrà tuttavia iscrivere ipoteca per debiti sopra 20.000 € (fino a 120.000 €) come forma di garanzia, pur senza procedere alla vendita forzata . Questa tutela non è assoluta: ad esempio non si applica se il creditore procedente non è un ente pubblico. Un creditore privato (una banca, un fornitore, ecc.) potrà pignorare la casa anche se unica ed essenziale, poiché la protezione della “prima casa” vale solo verso la riscossione esattoriale pubblica . Inoltre, se il debito fiscale supera i 120.000 €, AdER riacquista il potere di pignoramento anche sulla prima casa .

Esecuzione forzata su beni del debitore – In Italia la normativa limita il pignoramento della prima casa da parte del Fisco solo in presenza di determinate condizioni (immobile non di lusso, unica proprietà, residenza del debitore, debito sotto 120.000 €). Tuttavia, i creditori privati non sono soggetti a tali vincoli e possono aggredire l’abitazione senza particolari limitazioni se muniti di titolo esecutivo.

Oltre alla casa, AdER può pignorare conti correnti e crediti presso terzi (ad esempio lo stipendio del debitore, se è anche lavoratore dipendente, o i pagamenti dovuti al piastrellista dai suoi clienti). In caso di pignoramento dello stipendio o della pensione, la legge prevede limiti per garantire mezzi di sostentamento al debitore: generalmente è impignorabile il minimo vitale (circa l’ammontare dell’assegno sociale aumentato della metà) e la parte eccedente può essere pignorata nei limiti di un quinto per i crediti ordinari; per il Fisco si applicano percentuali progressive (1/10, 1/7 o 1/5 a seconda dell’importo dello stipendio) sulle somme eccedenti la quota impignorabile. Anche i beni mobili indispensabili al debitore (es. arredamento essenziale, abiti, elettrodomestici di base) non possono essere pignorati (art. 514 c.p.c.), mentre gli strumenti di lavoro (ad esempio gli attrezzi e utensili del piastrellista) sono relativamente impignorabili: possono essere pignorati solo in parte (di regola nei limiti di 1/5 del loro valore) e solo se il resto del patrimonio non è sufficiente a soddisfare il credito .

Di fronte a un debito fiscale, il piastrellista ha alcune possibilità per evitare o sospendere le azioni esecutive di AdER. Anzitutto, può chiedere una rateizzazione del debito tributario: attualmente, per importi fino a 120.000 € è concessa di diritto una dilazione in 72 rate mensili (6 anni) presentando semplice istanza, mentre per debiti superiori o per ottenere piani fino a 120 rate (10 anni) occorre documentare una temporanea situazione di difficoltà economica. Il beneficio della rateazione, se concesso, impedisce nuove azioni esecutive di AdER purché le rate vengano pagate regolarmente. Negli ultimi anni il legislatore ha introdotto varie misure di definizione agevolata (le cosiddette “rottamazioni delle cartelle”): ad esempio, la rottamazione-quater prevista dalla Legge di Bilancio 2023 ha consentito ai debitori di estinguere i carichi affidati ad AdER negli anni 2000-2017 pagando solo l’imposta dovuta senza sanzioni né interessi di mora, in un massimo di 18 rate. Tali misure sono straordinarie e a scadenza; al settembre 2025 non risulta aperta una nuova finestra di rottamazione, ma il debitore dovrebbe monitorare eventuali provvedimenti futuri di “pace fiscale”.

Va sottolineato che i debiti fiscali possono essere inclusi nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (di cui diremo oltre), sebbene l’Erario goda di privilegi e tutele specifiche. In un piano di ristrutturazione del consumatore o concordato minore, l’Agenzia delle Entrate – Riscossione partecipa come creditore e il piano può prevedere un pagamento parziale dei tributi dovuti. Il giudice dovrà verificare che ai crediti fiscali privilegiati sia riservato almeno quanto otterrebbero in una liquidazione, rispettando i vincoli di legge (ad esempio l’IVA è un tributo per il quale, in ossequio al diritto UE, non si può offrire meno del 100% sul capitale in assenza di dissesto conclamato, salvo diversa interpretazione giurisprudenziale). In un liquidazione controllata (procedura concorsuale), i debiti tributari vengono trattati secondo il loro grado di privilegio: quelli privilegiati (es. IVA, ritenute) saranno soddisfatti prioritariamente sul ricavato della liquidazione, mentre la parte eventualmente eccedente rimarrà chirografaria e potrà essere oggetto di esdebitazione finale.

Infine, occorre menzionare i profili penali collegati ai debiti fiscali, che approfondiremo a parte. Qui basta ricordare che l’ordinamento punisce penalmente solo omessi versamenti di imposte oltre determinate soglie: in particolare, l’omesso versamento IVA superiore a €250.000 annui configura reato (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) punito con la reclusione fino a 2 anni. Recenti riforme hanno però esteso il termine entro cui il contribuente può ravvedersi: il reato si perfeziona solo se l’IVA dovuta (come da dichiarazione) non viene versata entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione . Ad esempio, per l’IVA dell’anno d’imposta 2023 dichiarata nel 2024, il termine ultimo per evitare il penale è il 31 dicembre 2025 (pagando integralmente l’imposta o riducendo l’omesso sotto soglia) . Analogamente, l’omesso versamento di ritenute fiscali (ad es. ritenute IRPEF operate sui dipendenti) è reato se eccede €150.000 annui (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000). Sotto tali soglie le omissioni costituiscono solo illecito amministrativo, con sanzioni pecuniarie elevate ma non la reclusione (come confermato di recente dalla Corte Costituzionale) . Attenzione: questi reati scattano solo se il contribuente non regolarizza il pagamento entro i termini indicati; inoltre, il pagamento integrale del dovuto (imposta, sanzioni e interessi) prima dell’apertura del dibattimento estingue comunque il reato tributario . Il piastrellista con debiti IVA o ritenute dovrà quindi valutare attentamente, con l’aiuto di un professionista, piani di rientro o definizioni che evitino lo sconfinamento nelle soglie penali.

Debiti previdenziali (INPS e INAIL)

Gli artigiani sono tenuti al versamento di contributi previdenziali obbligatori (gestione IVS artigiani/commercianti presso l’INPS), oltre ad eventuali premi assicurativi all’INAIL. Se il piastrellista ha anche dei dipendenti, dovrà versare mensilmente le ritenute previdenziali a loro carico e i contributi a proprio carico. Mancati pagamenti di contributi generano debiti verso gli enti previdenziali, che adottano procedure di recupero simili a quelle fiscali. L’INPS oggi emette un avviso di addebito immediatamente esecutivo per i contributi dovuti e non versati, e decorsi i termini affida il titolo direttamente ad AdER per l’esecuzione forzata (dunque anche i debiti contributivi confluiscono in cartelle di pagamento). Pertanto, le azioni esecutive e le tutele illustrate per i debiti fiscali valgono in buona parte anche per i debiti verso INPS: AdER potrà procedere con fermi, ipoteche e pignoramenti, e la prima casa godrà della medesima protezione (se unica, non di lusso, residenza del debitore, debito sotto soglia) anche per i debiti previdenziali, trattandosi sempre di riscossione pubblica .

Anche per i debiti contributivi la legge consente dilazioni: l’INPS può accordare piani di rateazione del dovuto (tipicamente fino a 24 rate mensili, estendibili in casi gravi) e AdER a sua volta consente rateizzazioni sulle cartelle comprensive di contributi, analogamente a quanto detto per le imposte. Talvolta sono state introdotte misure agevolative (es. stralcio di piccole somme o riduzione di sanzioni) anche per contributi previdenziali – ad esempio il condono dei debiti sotto €1.000 affidati fino al 2015, previsto dalla L. 197/2022, ha riguardato anche ruoli INPS – ma in generale i contributi non godono di “rottamazioni” frequenti quanto le imposte.

Un capitolo delicato riguarda i contributi trattenuti ai dipendenti e non versati. Questa condotta integra un illecito penale specifico: l’art. 2 comma 1-bis del D.L. 463/1983 punisce con la reclusione fino a 3 anni e multa fino a €1.032 il datore di lavoro che omette il versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni, se l’importo omesso supera €10.000 annui. Sotto tale soglia, dal 2016, la violazione non è più reato ma comporta una sanzione amministrativa pecuniaria (dal 150% al 400% dell’importo dovuto) . È irrilevante, ai fini del reato, l’eventuale crisi di liquidità dell’azienda: la giurisprudenza ha ritenuto che la difficoltà economica non esime il datore dall’obbligo, essendo somme trattenute al lavoratore e destinate a tutele fondamentali. La Corte Costituzionale nel 2025 ha giudicato non incostituzionale questo regime sanzionatorio differenziato (amministrativo sotto 10.000 €, penale sopra) proprio in considerazione dell’elevato disvalore della condotta, pur riconoscendo che le sanzioni amministrative, in casi marginali, possono risultare economicamente molto onerose . In pratica, se il piastrellista datore di lavoro ha attraversato un periodo di crisi e non è riuscito a versare contributi per i propri operai o apprendisti, dovrà correre ai ripari: il pagamento integrale delle ritenute entro il termine di tre mesi dalla contestazione evita il procedimento penale (causa di non punibilità introdotta nel 2016), mentre una volta superati i €10.000 senza ravvedimento, scatterà la denuncia. Sarà comunque possibile estinguere il reato versando tutto il dovuto prima del dibattimento in tribunale, analogamente a quanto avviene per i reati tributari (art. 13 D.Lgs. 74/2000, applicabile anche al reato contributivo).

Per quanto riguarda i contributi personali del titolare artigiano, il mancato versamento non è sanzionato penalmente (incide però sul diritto alla pensione, perché l’INPS non accrediterà le annualità non pagate). L’INPS cercherà comunque di recuperarli coattivamente: ad esempio, potrà iscrivere ipoteca sulla casa del debitore (con le limitazioni viste: non sulla prima casa unica se il debito è sotto 120.000 €) e procedere al pignoramento di altri beni o crediti. Anche questi debiti possono rientrare in un’eventuale procedura di sovraindebitamento: l’INPS parteciperà come creditore privilegiato per i contributi non versati, e il piano potrà prevederne il pagamento parziale in conformità alle norme (di solito i contributi, essendo privilegiati sul patrimonio del debitore, devono essere soddisfatti almeno per l’ammontare che il realizzo dei beni garantirebbe loro). In caso di liquidazione controllata, i crediti contributivi seguiranno anch’essi la graduatoria dei privilegi nel riparto dell’attivo, e l’eventuale importo non pagato potrà essere oggetto di esdebitazione.

Debiti bancari e finanziari

Il piastrellista, come piccolo imprenditore, potrebbe aver acceso finanziamenti bancari per la propria attività (ad esempio un mutuo per acquistare un autocarro o un prestito per acquistare attrezzature) oppure debiti verso società finanziarie (come il credito al consumo, leasing di macchinari, scoperti di conto corrente, ecc.). I debiti bancari presentano dinamiche proprie: il rapporto è regolato da contratti (di mutuo, apertura di credito, leasing, ecc.) che prevedono obblighi di pagamento rateale e, in caso di inadempimento, clausole risolutive o decadenza dal beneficio del termine. Se l’artigiano non paga le rate di un prestito, tipicamente la banca dopo poche rate insolute può risolvere il contratto e chiedere l’immediato pagamento del residuo in un’unica soluzione. Può ottenere in via rapida un decreto ingiuntivo dal tribunale, essendo il credito fondato su prova scritta (estratti conto, contratto) e spesso “di denaro”. Ottenuto il titolo esecutivo (decreto ingiuntivo definitivo), la banca potrà procedere al pignoramento dei beni del debitore: in primo luogo cercherà liquidità (conto corrente aziendale e personale), crediti verso terzi (ad esempio somme dovute al piastrellista da clienti per lavori eseguiti), e se necessario beni mobili registrati (veicoli) o immobili. In caso di mutuo ipotecario, la banca ha già un titolo esecutivo (il contratto di mutuo fondiario è considerato titolo per iscrivere ipoteca e agire) e può avviare direttamente la esecuzione immobiliare sulla casa ipotecata se il debitore cade in morosità (nel credito fondiario, per legge il ritardo di 7 mensilità può far scattare l’esecuzione; in pratica le banche attendono diverse rate e tentano soluzioni alternative prima di avviare l’asta). Se l’immobile ipotecato è la prima casa del debitore, ciò non impedisce l’azione della banca: come detto, la legge di blocco della prima casa vale solo per il Fisco, non per le banche . Dunque un piastrellista che abbia acceso un mutuo sulla propria abitazione rischia, in caso di insolvenza, di perdere la casa per esecuzione forzata da parte della banca mutuante.

Sul piano creditizio, un debito bancario impagato comporta la segnalazione alle centrali rischi e SIC (Sistema di Informazioni Creditizie, es. CRIF, Experian, Cerved) con grave pregiudizio per la reputazione finanziaria del debitore: ottenere nuovi finanziamenti diventa molto difficile finché la posizione risulta “in sofferenza” o protestata. Inoltre, se il piastrellista ha fornito garanzie personali (es. una fideiussione) o ipoteche su beni di terzi (es. la casa del coniuge o di un parente), la banca potrà escutere anche tali garanzie: il garante sarà chiamato a pagare l’intero debito e subirà le stesse azioni esecutive in caso di mancato adempimento.

Come può difendersi il debitore verso una banca? Anzitutto, valutando la regolarità del rapporto di credito: negli anni passati molti debitori hanno sollevato eccezioni su tassi di interesse usurari o su clausole contrattuali abusive, come interessi di mora eccessivi o anatocismo (capitalizzazione degli interessi). Alcune di queste contestazioni hanno fondamento: ad esempio, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2020 ha confermato la nullità delle clausole anatocistiche non pattuite espressamente e la rideterminazione del saldo; più di recente, la Cassazione (sent. n. 9479/2023) ha evidenziato che un debitore-consumatore può far valere la vessatorietà di clausole bancarie anche tardivamente, proponendo opposizione contro un decreto ingiuntivo bancario oltre i termini ordinari, se nel contratto erano presenti clausole abusive non valutate dal giudice . In altre parole, anche dopo molto tempo dall’emissione di un decreto ingiuntivo non opposto, un consumatore che scopra clausole contrarie al Codice del Consumo nel contratto bancario originario può chiedere al giudice dell’esecuzione di riesaminare la legittimità di quel titolo, a tutela dei propri diritti . Questa possibilità, riconosciuta dalla Cassazione, costituisce un importante strumento difensivo: ad esempio, se la banca ha ottenuto un decreto ingiuntivo e avviato un pignoramento immobiliare, il debitore-consumatore può eccepire la nullità di clausole (come interessi ultra-soglia, penali sproporzionate, ecc.) e ottenere la sospensione dell’esecuzione finché non si accerti l’effettivo importo dovuto e la validità del titolo. Va precisato che la nozione di “consumatore” esclude l’imprenditore per i debiti attinenti alla sua attività: se il piastrellista ha sottoscritto il finanziamento in qualità di professionista o ditta, le tutele del Codice del Consumo non si applicano. Tuttavia, restano sempre invocabili le norme di carattere generale, ad esempio sulla nullità degli interessi usurari (art. 1815 c.c.) o sulla violazione di norme imperative bancarie. Dunque, in caso di somme contestate, il debitore può promuovere una perizia contabile sul rapporto bancario e, se emergono irregolarità, proporre un’opposizione al decreto ingiuntivo (se nei termini) o un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. se l’esecuzione è in corso, per far valere la minor somma effettivamente dovuta. In presenza di un mutuo, ad esempio, potrebbe emergere l’applicazione di un tasso di mora oltre la soglia d’usura: in tal caso la clausola è nulla e non sono dovuti interessi di mora, riducendo sensibilmente l’esposizione debitoria.

Accanto agli aspetti legali, c’è la gestione pratica del debito bancario. Spesso le banche, di fronte a difficoltà del cliente, preferiscono negoziare una ristrutturazione del debito piuttosto che avviare lunghe azioni giudiziarie. Il piastrellista può tentare di concordare con la banca un nuovo piano di rientro: ad esempio, una moratoria temporanea delle rate, un allungamento del finanziamento per ridurre l’importo mensile, o un saldo e stralcio (pagamento di una parte subito a fronte dell’esdebitazione del residuo). Tali accordi stragiudiziali vanno negoziati con cura – preferibilmente con l’assistenza di un legale o di un esperto in crisi d’impresa – e formalizzati per iscritto. Se la banca percepisce che il debitore è avviato verso l’insolvenza conclamata (magari con altri creditori che agiscono), potrebbe comunque preferire cedere il credito a una società di recupero (cosiddetto “NPL”). In ogni caso, per il debitore questo significa che il creditore avrà convenienza a trovare un accordo rapido: una transazione potrebbe chiudere la posizione con il pagamento di una percentuale del dovuto (ad esempio molte finanziarie accettano il 40-50% a saldo su crediti deteriorati, se ricevono liquidità immediata). Attenzione però: se il piastrellista dispone di qualche asset aggredibile (es. un immobile non prima casa), il creditore potrebbe invece preferire il pignoramento per soddisfarsi integralmente; la strategia negoziale funziona meglio quando il debitore dimostra trasparenza sulla propria condizione e fa un’offerta seria che massimizza il realizzo per la banca rispetto all’incertezza della via giudiziaria.

Debiti verso fornitori e privati

Un’altra categoria tipica di debiti per l’artigiano sono quelli verso i fornitori di materiali e servizi utilizzati nell’attività (rivendite di piastrelle, ferramenta, noleggi attrezzature, consulenti, ecc.). Se il piastrellista non paga le fatture ai fornitori, questi possono reagire interrompendo le forniture (mettendo in difficoltà la prosecuzione dei lavori) e attivandosi per il recupero del credito. Molti fornitori, per tutelarsi, fanno firmare al cliente cambiali o effetti cambiari a garanzia delle forniture a credito: se l’artigiano “va sotto” con i pagamenti, il fornitore può presentare all’incasso la cambiale o RI.BA. e, in caso di mancato pagamento, farla protestare. La cambiale protestata costituisce un titolo esecutivo immediato: ciò significa che il fornitore può notificare direttamente un atto di precetto e poi procedere a pignoramento, senza bisogno di un giudizio per accertare il credito (la cambiale insoluta e protestata ha efficacia analoga a una sentenza). Analogamente, un assegno bancario dato in pagamento e risultato scoperto equivale a titolo esecutivo dopo il protesto o la constatazione del mancato pagamento: il prenditore dell’assegno può agire in via esecutiva contro l’emittente. Pertanto, il piastrellista che abbia emesso cambiali o assegni ai fornitori rischia un’esecuzione molto rapida se non onora tali titoli alla scadenza.

Se invece il fornitore non dispone di titoli di credito, dovrà agire in via monitoria o ordinaria: spesso per le fatture non pagate si ricorre al decreto ingiuntivo (il creditore presenta le fatture e i DDT firmati come prova scritta del credito commerciale). Ottenuto il decreto, dopo 40 giorni (in mancanza di opposizione) esso diviene esecutivo e si procede col precetto e quindi col pignoramento dei beni del debitore. I fornitori, a differenza di banche e fisco, non godono di privilegi particolari: sono creditori chirografari, il che significa che in caso di concorso con altri creditori saranno soddisfatti per ultimi, proporzionalmente. Questo li spinge talvolta ad essere attivi e aggressivi nel recupero: temendo di arrivare “dopo” altri (ad es. dopo la banca che pignora l’immobile), possono essere tra i primi a presentare atti di precetto non appena fiutano l’insolvenza.

Dal punto di vista del debitore, i debiti verso fornitori possono qualche volta essere oggetto di contestazioni (ad esempio, merce non conforme, vizi nei materiali, ritardi di consegna): in tali casi l’artigiano può opporre eccezioni per ridurre l’importo da pagare o posticiparlo, cercando magari un accordo transattivo. Tuttavia, se il debito è certo e scaduto, rimane da valutare come gestire la posizione. Anche qui la trattativa è spesso la via più efficiente: il piastrellista può proporre al fornitore un piano di rientro dilazionato o un saldo parziale immediato (se dispone di liquidità o se ottiene un sostegno, ad es. un parente disposto ad aiutarlo, o incassa un pagamento da un cliente). I fornitori commerciali sono generalmente interessati a mantenere il rapporto col cliente, se pensano che superata la crisi tornerà in bonis: dunque possono essere disponibili a riduzioni e dilazioni, magari subordinando l’accordo a garanzie (es. nuove cambiali, garanzie di terzi, ecc.). D’altro canto, se la situazione è compromessa, il fornitore potrebbe decidere di protestare il debitore per tutelarsi (iscrivendolo nel Registro Informatico dei Protesti) e per mettere in allerta altri creditori. Va ricordato che l’iscrizione come protestato comporta gravi disagi: il debitore protestato vede precluso l’accesso al credito bancario, non può emettere altri assegni (sarà iscritto nella CAI – Centrale Allarme Interbancaria – con revoca di sistema dell’autorizzazione ad emettere assegni per almeno 6 mesi) e la notizia del protesto è pubblica, disponibile presso le Camere di Commercio.

Debiti verso privati possono includere anche prestiti ricevuti da amici o parenti, oppure debiti derivanti da cause civili (es. risarcimenti danni a clienti per lavori eseguiti male o incompleti, oppure restituzione di caparre). Questi creditori privati seguono le stesse regole civilistiche: dovranno munirsi di un titolo (accordo scritto, sentenza o decreto) e possono poi attivare pignoramenti. In certi casi, se il debito ha natura di danno risarcitorio da fatto illecito, potrebbe non essere ammesso alla totale esdebitazione (il Codice della crisi prevede che alcune obbligazioni risarcitorie derivanti da fatto doloso restino dovute anche dopo la procedura). Un piastrellista con cause in corso per risarcimenti dovrà tener presente che eventuali condanne civili al pagamento di somme possono anch’esse essere portate in esecuzione dai creditori vittoriosi.

Registro dei protesti e riabilitazione

Merita un approfondimento il tema dei protesti di cambiali e assegni, data la sua frequenza nel commercio. Come detto, subire un protesto significa essere iscritti nell’elenco ufficiale tenuto dai Registri informatici dei protesti, consultabile pubblicamente. Tale iscrizione permane per 5 anni salvo cancellazione anticipata. È possibile ottenere la cancellazione del protesto in due modi: (1) se il protesto è illegittimo o erroneo, si può chiedere la cancellazione entro un anno; (2) se invece il debitore ha successivamente pagato quanto dovuto, può ottenere la riabilitazione. La riabilitazione del protestato è una procedura da richiedere al Presidente del Tribunale competente: occorre che sia trascorso almeno 1 anno dall’ultimo protesto e che tutti i debiti protestati siano stati saldati (inclusi interessi e spese di protesto) . Ottenuto il decreto di riabilitazione, il debitore può presentare istanza alla Camera di Commercio per la cancellazione dal Registro dei protesti . Questa è la strada per “ripulire” la propria posizione creditizia prima dei 5 anni. Nel caso di assegni, esiste anche la procedura di oblazione amministrativa: pagando l’assegno, gli interessi di mora e la sanzione pecuniaria comminata dal Prefetto, si ottiene il provvedimento riabilitativo che consente la cancellazione. Il consiglio per il piastrellista protestato è di onorare i titoli insoluti il prima possibile: ad esempio, se un assegno è andato impagato ma viene pagato entro 60 giorni dall’avviso di mancato pagamento, si può evitare la sanzione e ottenere dal portatore la quietanza necessaria per non venire iscritti (il cosiddetto pagamento tardivo ex L. 386/1990). Se il protesto è già avvenuto, pagare e poi attendere un anno per la riabilitazione è comunque preferibile a restare protestati per 5 anni. Nel frattempo, ovviamente, sarà difficile operare con il sistema bancario (niente carnet assegni, difficoltà ad ottenere fidi). Anche per questo, le procedure di composizione della crisi di cui parleremo possono aiutare: l’apertura di una procedura di sovraindebitamento o di liquidazione concorsuale sospende le azioni esecutive e, di fatto, può includere anche i crediti portati da cambiali o assegni protestati, offrendo una soluzione unica per tutti i debiti.

Strategie di difesa del debitore: contestare, negoziare, ristrutturare il debito

Di fronte a una mole di debiti impagabili, il debitore-artigiano non è privo di strumenti di difesa. In questa sezione vediamo le strategie pratiche che il piastrellista può adottare nel breve periodo per contenere gli effetti negativi e guadagnare tempo, in attesa di soluzioni di più ampio respiro (come le procedure concorsuali). Si tratta di verificare se i crediti sono effettivamente dovuti per intero, di utilizzare le tutele di legge per i casi di sovraindebitamento, e di cercare accordi con i creditori quando possibile.

Verifica della legittimità dei debiti e opposizioni

Il primo passo è sempre analizzare criticamente ogni debito: spesso, i debiti vengono percepiti dal piccolo imprenditore come qualcosa di incontestabile (“lo devo e basta”). In realtà, soprattutto per i debiti bancari, fiscali e verso grandi enti, può accadere che siano presenti errori, prescrizioni maturate o vizi procedurali che il debitore può far valere a proprio favore. Ad esempio:

  • Prescrizione dei crediti: ogni diritto di credito si estingue se il creditore non lo esercita entro un certo termine. Molti debiti civili hanno prescrizione ordinaria di 10 anni (es. prestiti, fatture, rate scadute di mutuo), ma alcune categorie hanno termini più brevi: interessi e rate trimestrali di conto corrente si prescrivono in 5 anni, così come le bollette di utenze, mentre i contributi previdenziali hanno prescrizione quinquennale (salvo atti interruttivi). I tributi hanno termini di decadenza e prescrizione propri fissati dalle leggi fiscali (spesso 5 anni per la notifica delle cartelle e ulteriori 5 per la riscossione, in assenza di atti). È essenziale verificare, con l’aiuto di un legale, se alcuni debiti sono ormai prescritti o se qualche atto non è stato notificato nei termini: in tal caso, il debitore può sollevare l’eccezione di prescrizione per ottenere l’annullamento della pretesa.
  • Vizi formali e procedurali: ad esempio, nel caso di cartelle esattoriali non correttamente notificate (mancato invio dell’atto o vizio nella relata di notifica), il debitore può proporre ricorso al giudice competente (Commissione Tributaria per tributi, Tribunale se si tratta di contributi) per far dichiarare nullo l’atto. Analogamente, un decreto ingiuntivo non notificato regolarmente potrebbe essere opposto tardivamente ex art. 650 c.p.c. Se il creditore ha intrapreso un pignoramento senza titolo valido o su beni impignorabili, il debitore può reagire con un’opposizione all’esecuzione.
  • Contestazione dell’ammontare: come visto, per debiti bancari vi può essere spazio per ricalcoli (usura, anatocismo). Anche con i fornitori, il debitore può contestare parte del credito allegando ad esempio forniture difettose, lavori non eseguiti a regola d’arte, ecc., cercando così di ridurre il saldo dovuto in via transattiva o giudiziale.

In generale, è opportuno che il debitore raccolga e ordini tutta la documentazione relativa ai debiti (contratti, estratti conto, cartelle, ingiunzioni, avvisi, ecc.) e si rivolga a un professionista (avvocato o consulente esperto in diritto fallimentare/tributario) per una due diligence della propria situazione debitoria. Questa analisi potrà far emergere punti deboli nelle pretese creditorie, che costituiranno preziosi argomenti nelle trattative o nei giudizi. Ad esempio, se tra le cartelle di AdER ce ne sono di prescritte o già annullate (magari perché il contribuente aveva vinto un ricorso fiscale ma AdER non ne ha tenuto conto), si potrà chiedere la sospensione dell’esecuzione su quelle partite. Oppure, se un creditore ha ottenuto un titolo, si verificherà se è decorso il termine di 10 anni senza esecuzione (il titolo si sarebbe prescritto, richiedendo un nuovo giudizio).

Opporsi alle azioni esecutive: quando un creditore avvia un pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi), il debitore ha la facoltà di proporre opposizione sia per motivi formali (es. opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., se vi sono vizi nella procedura) sia per motivi sostanziali (la già menzionata opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., quando si contesta in tutto o in parte il diritto del creditore di procedere). L’opposizione può far guadagnare tempo prezioso e, se fondata, portare all’annullamento del pignoramento. Occorre però avere motivi seri – il semplice “non riesco a pagare” non è un motivo di opposizione – e rispettare termini stringenti (spesso 20 giorni dall’atto contestato). Un esempio utile: se AdER pignora un bene coperto da fondo patrimoniale o comunque impignorabile per legge, il debitore può prontamente fare opposizione per far dichiarare improcedibile l’esecuzione su quel bene, mostrando che il credito era estraneo ai bisogni familiari (come vedremo, però, la giurisprudenza recente in tema di fondo patrimoniale è divenuta più severa verso il debitore).

In sintesi, contestare i debiti quando vi siano le basi è un diritto del debitore e spesso una strategia: anche solo contestare formalmente un credito può incentivare il creditore ad accettare un accordo transattivo più favorevole, pur di evitare l’incertezza e la lungaggine di un giudizio.

Negoziare con i creditori: piani di rientro e saldo a stralcio

La via extragiudiziale – cercare un accordo direttamente con i creditori – è sempre percorribile e andrebbe tentata prima di arrendersi a fallimenti o esecuzioni disastrose. Per un piccolo imprenditore spesso pochi creditori chiave (una banca principale, il fisco, un paio di fornitori maggiori) detengono la fetta più grande del debito. Riuscendo a trovare un’intesa con questi, la situazione potrebbe rientrare. Ecco alcune forme di accordo:

  • Piano di rientro rateale: consiste nel concordare con il creditore un calendario di pagamenti diluiti nel tempo. Ad esempio, il piastrellista promette di saldare un debito di €20.000 in 24 rate mensili da ~€833 l’una, magari con il supporto di garanzie (fideiussione di un familiare, cambiali a garanzia delle rate, ecc.). Un tale piano, se accettato, va redatto per iscritto (una scrittura privata di ricognizione del debito e nuova dilazione) per evitare future contestazioni. È importante inserire la clausola che, rispettando il piano, il creditore non attiverà ulteriori azioni (una sorta di standstill). Il debitore deve essere onesto sulla sostenibilità delle rate: promettere rate impossibili da mantenere servirà solo a rimandare di poco il problema. È meglio negoziare rate più basse su un periodo più lungo, ottenendo il consenso del creditore sulla base di una pianificazione realistica delle entrate.
  • Transazione a saldo e stralcio: se il debitore riesce a reperire una certa somma immediata – ad esempio grazie alla liquidazione di un bene, o a un prestito da un familiare, o un anticipo su futuri lavori – può offrirla al creditore in cambio della cancellazione del debito. Molti creditori finanziari sono disposti ad accettare somme inferiori al 100% del dovuto se ricevute subito e se ritengono che altrimenti rischiano di recuperare meno o nulla. Ad esempio, su un debito di €50.000 con una banca, offrire €20.000 subito a saldo e stralcio potrebbe essere accettato se il credito è incagliato da tempo. È fondamentale che l’accordo di saldo e stralcio sia formalizzato per scritto, con l’impegno del creditore a rinunciare a ogni ulteriore pretesa una volta incassata la somma concordata. Il pagamento andrebbe fatto con modalità tracciabili e a ritiro di ogni procedimento pendente (pignoramento, precetto, ecc.). Questa soluzione chiude definitivamente la posizione ed evita al debitore strascichi, ma richiede di solito di disporre di liquidità immediata. In alcuni casi il debitore può ottenerla vendendo volontariamente qualche bene (evitando di farlo pignorare e svendere all’asta) e usando il ricavato per negoziare gli stralci.
  • Mediatore creditizio o organismo di composizione: se i creditori sono numerosi, può essere utile farsi assistere da un professionista terzo – avvocato, commercialista o organismo specializzato (OCC) – che contatti i creditori proponendo un accordo di ristrutturazione informale. Ad esempio, il mediatore potrebbe prospettare a tutti i creditori chirografari il pagamento del 30% entro 6 mesi, garantito dall’apertura di un conto dedicato o con la minaccia implicita che, se non accettano, il debitore ricorrerà a una procedura concorsuale in cui forse avrebbero zero. Questa sorta di concordato stragiudiziale può funzionare solo se c’è trasparenza e fiducia: spesso i creditori preferiscono un male minore certo a un’incognita peggiore. Non essendo però vincolante per i dissenzienti (a differenza delle procedure giudiziali), basta un creditore contrario per dover trovare un compromesso diverso con lui o rischiare comunque azioni individuali.

Un elemento essenziale nella negoziazione è la prioritizzazione: il piastrellista dovrebbe analizzare quali debiti sono più pericolosi (tipicamente quelli con garanzie o titoli esecutivi già pronti) e quali creditori hanno margini per sconti. Ad esempio, l’AdER difficilmente farà stralci extra-giudiziali, però offre rate lunghe; la banca potrebbe ridurre interessi e more; il fornitore potrebbe accettare il solo capitale pur di non perdere il cliente; un parente creditore magari rinuncia a interessi o attende tempi migliori. Ogni trattativa è a sé, ma presentare un piano coerente giova: se i vari creditori vengono a sapere di trattamenti difformi, saranno meno collaborativi. Meglio quindi predisporre un piccolo piano finanziario personale: es. “debito totale €100k, propongo di pagarne €50k in 5 anni suddivisi così: banche 30k su 60k (50%), fornitori 15k su 30k (50%), fisco 5k su 10k (con rateazione standard)”. Con questo schema, il debitore può affrontare le negoziazioni dando un segnale di equità (tutti sacrificano qualcosa in proporzione). Naturalmente, se uno dei creditori ha garanzie reali (es. ipoteca) sarà meno incentivato a stralciare rispetto a un chirografario senza alcuna garanzia.

Bloccare temporaneamente le azioni esecutive: durante le trattative, il debitore deve guadagnare tempo. Può chiedere informalmente al creditore di sospendere le procedure in corso (standstill agreement), magari versando intanto un acconto a dimostrazione di buona fede. Se ciò non è possibile e un pignoramento incombe, torniamo agli strumenti giudiziari: un’istanza di sospensione al giudice dell’esecuzione (ad esempio in sede di opposizione ex art. 615 c.p.c.) può ottenere un rinvio dell’asta o del pignoramento, dando respiro per concludere l’accordo. Queste mosse vanno ponderate con l’avvocato, poiché serve allegare un fumus (motivi di opposizione non pretestuosi) e un periculum (il danno che si avrebbe senza sospensione). Se, ad esempio, il piastrellista è vicino a vendere privatamente un suo capannone per pagare i creditori, ma AdER ha fissato un’asta giudiziaria prima di quella data, potrà chiedere al giudice di sospendere l’esecuzione evidenziando che è in corso una vendita stragiudiziale più vantaggiosa per tutti (offrendo magari di depositare in tribunale il preliminare o una garanzia).

In conclusione, la negoziazione stragiudiziale richiede capacità di mediazione e spesso l’affiancamento di un professionista esperto che dialoghi coi creditori “parlando la loro lingua”. Se ben condotta, può evitare al debitore soluzioni drastiche e preservare l’attività. Tuttavia, quando il sovraindebitamento è troppo grave e non si raggiunge un accordo globale, diventa necessario valutare le procedure legali di composizione della crisi, che analizziamo di seguito.

Procedure formali di composizione della crisi da debiti (sovraindebitamento)

Quando i debiti superano ampiamente la capacità di rimborso del debitore e le trattative informali non portano a soluzioni sufficienti, il nostro ordinamento mette a disposizione delle procedure concorsuali specifiche per le persone fisiche e le piccole imprese non assoggettabili al fallimento, volte a trovare una soluzione equa e legalmente vincolante per tutti i creditori. Si parla comunemente di procedure di sovraindebitamento, introdotte originariamente con la L. 3/2012 (detta anche “legge salva-suicidi”) e ora rifuse ed aggiornate nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), entrato pienamente in vigore nel 2022 . Tali procedure consentono al debitore meritevole – anche se non imprenditore “grande” – di proporre un piano per il pagamento parziale dei debiti e ottenere la cancellazione di quelli residui (esdebitazione) . Vediamo gli strumenti principali dal punto di vista di un artigiano piastrellista indebitato:

Soggetti non fallibili e accesso alle procedure di sovraindebitamento

Per prima cosa, bisogna chiarire chi può accedere a queste procedure. La L. 3/2012 (oggi artt. 65 e segg. CCII) era rivolta ai debitori civili o piccoli imprenditori non assoggettabili al fallimento (ora “liquidazione giudiziale”). Si tratta dei “soggetti non fallibili”, definiti sulla base di soglie dimensionali: in particolare, negli ultimi 3 esercizi il debitore non deve aver superato contemporaneamente i seguenti limiti :

  • €300.000 di attivo patrimoniale annuo (totale cespiti in bilancio);
  • €200.000 di ricavi lordi annui;
  • €500.000 di debiti (anche non scaduti).

Se il piastrellista opera come ditta individuale artigiana, è molto probabile che rientri in questi parametri (che delimitano le piccole imprese). Anche molte società di persone (S.n.c., S.a.s.) e persino società di capitali “micro” potrebbero, se sotto soglia, essere considerate non fallibili e quindi ammesse alle procedure di sovraindebitamento. Il CCII elenca espressamente tra i soggetti non fallibili: i consumatori, gli imprenditori minori, gli imprenditori agricoli, le start-up innovative, gli enti non commerciali, ecc., nonché gli artigiani e le partite IVA che non superano le soglie anzidette . Dunque un piastrellista individuale o una Srl artigiana semplificata con fatturati modesti e debito sotto mezzo milione può accedere. Al contrario, un’impresa che ecceda queste soglie è considerata fallibile e dovrà ricorrere alle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale) .

Va anche soddisfatto un requisito di onestà: il debitore non deve aver commesso atti di frode o mala fede verso i creditori (ad esempio aver occultato beni, simulato nuovi debiti per danneggiare altri creditori, ecc.) . Inoltre, non deve aver già usufruito di un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. Se tutti i presupposti sono presenti, il debitore può rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a un professionista gestore nominato dal tribunale, per avviare la procedura più adatta. Gli strumenti oggi previsti sono tre:

1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore) – È l’erede del “piano del consumatore” della L.3/2012, riservato però ai debitore persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale. In pratica, serve al consumatore sovraindebitato. Il vantaggio di questo piano è che non richiede l’approvazione dei creditori: il debitore, con l’ausilio dell’OCC, predispone un piano di pagamento parziale dei debiti, sostenibile in base al suo reddito e patrimonio, e lo presenta al giudice. Sarà il Tribunale ad omologare il piano, dopo aver verificato la fattibilità e la meritevolezza del debitore (ovvero che non abbia colpa grave o frode nell’aver causato il proprio indebitamento). I creditori vengono convocati ma non votano: anche se qualcuno dissente, il giudice può ugualmente approvare il piano se lo ritiene equo . Questo strumento è ideale per chi ha solo debiti personali (es. un artigiano che ha chiuso l’attività ma è rimasto con debiti privati, carte di credito, finanziarie, mutuo casa, ecc.) oppure per l’imprenditore individuale che ha sia debiti di lavoro sia personali ma vuole separare i due ambiti – in tal caso i debiti “personali” possono essere trattati col piano consumatore, mentre quelli professionali con altra procedura. Nel nostro caso, se il piastrellista ha contratto molti debiti come privato cittadino (magari fideiussioni personali, finanziamenti personali per spese familiari, etc.) e ora possiede un reddito stabile (ad es. una pensione o stipendio da lavoro dipendente se ha cambiato attività), potrebbe proporre di pagare ai creditori in 5 anni una quota del reddito e ottenere la esdebitazione del resto. Il piano del consumatore richiede comunque che il debitore metta a disposizione tutte le risorse disponibili oltre a quelle necessarie per vivere dignitosamente. Se ha beni di valore non indispensabili (es. una seconda casa, un’auto di lusso) dovrà venderli o includerli nel piano per il soddisfo dei creditori.

2. Concordato minore (già accordo di composizione) – È la procedura destinata agli imprenditori non fallibili, quindi perfetta per l’artigiano commerciale sotto soglia. Si chiama “minore” in contrapposizione al concordato preventivo delle imprese maggiori, ma la logica è simile: il debitore propone un accordo a tutti i creditori, indicando quanto percentualmente otterranno sui loro crediti e in che tempi, eventualmente prevedendo la continuazione dell’attività. A differenza del piano del consumatore, qui i creditori votano: per l’omologazione serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino almeno il 50% dei crediti ammessi al voto . Se la maggioranza approva e il tribunale verifica la regolarità, il concordato è omologato ed efficace anche per i creditori dissenzienti (è un vincolo erga omnes). Nel concordato minore è ammessa la continuità aziendale: il piastrellista può proporre di continuare la sua attività di piastrellista, usando parte dei profitti futuri per pagare i creditori man mano. Oppure può optare per una liquidazione dell’attivo con prosecuzione parziale. Questa procedura è quindi indicata quando si vuole evitare la cessazione dell’impresa e si ritiene di poter offrire ai creditori una soddisfazione migliore restando sul mercato. Ad esempio, il nostro artigiano potrebbe dire ai creditori: “Se fallisco ora otterrete forse il 20%; se invece mi fate lavorare e accettate un concordato minore, vi pago il 40% in 4 anni con i guadagni”. Importante: al concordato minore si applicano gran parte delle norme del concordato preventivo (in quanto compatibili), quindi ad esempio vanno rispettate le cause di prelazione (privilegi, ipoteche) – i crediti privilegiati vanno pagati almeno fino a capienza del bene su cui insistono, o il debitore deve offrire loro in cambio garanzie equivalenti. I creditori chirografari possono invece subire falcidie anche elevate, purché non inferiori a quanto otterrebbero in liquidazione. La soglia di voto al 50% è più bassa di quella che un tempo era nell’accordo di composizione (era il 60%): il legislatore ha dunque reso più accessibile l’approvazione . Se i creditori non approvano la proposta, il tribunale non potrà omologarla (salvo forse qualche meccanismo di cram-down fiscale per l’Erario, ma sono dettagli). In caso di voto negativo o di impossibilità di formulare un concordato, resta sempre la terza opzione, la liquidazione controllata.

3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio) – Questa procedura è l’equivalente del “fallimento” per i non fallibili. Viene avviata su istanza del debitore sovraindebitato – o in taluni casi anche di un creditore o dell’OCC – quando il debitore intende mettere a disposizione tutti i suoi beni per soddisfare i creditori in modo ordinato, ottenendo in cambio la liberazione dai debiti residui. In pratica, il tribunale nomina un liquidatore (che svolge funzioni simili al curatore fallimentare), il quale individua l’attivo del debitore, lo vende (liquida) e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le priorità di legge. La “liquidazione controllata” è indicata quando il debitore non ha margini per proporre pagamenti parziali accettabili oppure quando non vi è tempo/consenso per un piano: ad esempio, se i beni del piastrellista sono già pignorati da più parti, può essere utile convogliare tutto in un’unica procedura di liquidazione concorsuale, evitando l’aggressione disordinata da parte di diversi creditori e ottenendo alla fine l’esdebitazione. La liquidazione può essere richiesta anche in caso di insuccesso di un piano o concordato (come “ripiego”). Il vantaggio per il debitore è che, sebbene metta sul piatto tutti i suoi beni (fatti salvi quelli impignorabili per legge, come gli strumenti di lavoro indispensabili, gli stipendi nei limiti impignorabili, ecc.), anche se il ricavato è irrisorio ciò non impedisce l’accesso alla liberazione dai debiti . La legge prevede espressamente che se dalla vendita del patrimonio si ricava molto poco, il debitore persona fisica possa versare ai creditori in sostituzione una parte del suo reddito futuro per qualche anno , ma senza l’obbligo di coprire interamente il debito: trascorso il periodo stabilito, il debitore potrà chiedere l’esdebitazione e azzerare ogni pretesa residua . In pratica, la liquidazione controllata offre al debitore onesto un “fresh start” dopo aver sacrificato tutto il sacrificabile. Durante la procedura, similmente al fallimento, tutte le azioni esecutive individuali sono sospese e i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo. Il liquidatore potrà anche esercitare azioni di recupero particolari, come le azioni revocatorie (per riprendere beni che il debitore ha regalato o svenduto prima della procedura) e farle confluire nell’attivo. Ciò è spiacevole per eventuali familiari che abbiano ricevuto beni dal debitore insolvente, ma garantisce equità verso i creditori.

Esdebitazione (cancellazione dei debiti) – Il fine ultimo delle procedure di sovraindebitamento è permettere al debitore di ripartire da zero, una volta soddisfatti i creditori nella misura possibile. L’esdebitazione è la discharge dai debiti pregressi: il giudice, al termine dell’esecuzione del piano, concordato o liquidazione, emette un decreto che libera il debitore da tutti i debiti non pagati (tranne eventuali debiti esclusi per legge, come le obbligazioni alimentari, i debiti per risarcimenti da illecito doloso e le sanzioni penali/amministrative pecuniarie, che restano comunque dovuti). Nell’ambito del fallimento, l’esdebitazione del fallito era stata introdotta nel 2006 e richiedeva che il fallito persona fisica fosse meritevole e avesse cooperato. Ora nel Codice della crisi le regole sono allineate: anche un soggetto ex “fallibile” (liquidazione giudiziale) può chiedere l’esdebitazione a fine procedura . L’importante novità del CCII (art. 283) è l’esdebitazione del debitore incapiente, detta anche “esdebitazione senza utilità”. Questa consente, una volta nella vita, al debitore persona fisica meritevole che non ha alcun patrimonio liquidabile e nessuna capacità di pagare (il cosiddetto nullatenente) di ottenere comunque la cancellazione dei debiti, subito, senza dover prima pagare una parte tramite un piano . In altre parole, se il piastrellista è totalmente privo di beni e con un reddito appena sufficiente alla sopravvivenza, può chiedere al tribunale di essere liberato dai suoi debiti anche senza offrire nulla ai creditori, purché la sua insolvenza non derivi da colpa grave, frode o mala fede e abbia cercato in passato di adempiere. Questa misura, introdotta per evitare i cosiddetti “debitori perpetui”, prevede comunque che nei 4 anni successivi l’esdebitato incapiente versi ai creditori (tramite l’OCC) eventuali somme sopravvenute oltre una certa soglia, ad esempio se dovesse ereditare dei beni o migliorare inaspettatamente il proprio reddito (una sorta di condizione risolutiva). Inoltre, la Legge di Bilancio 2025 ha istituito un Fondo per l’esdebitazione degli incapienti con una dotazione iniziale statale (500.000 €) destinata a coprire le spese vive delle procedure di sovraindebitamento per chi non può permettersele . In pratica, si vuole evitare che chi è poverissimo resti escluso dall’accesso all’esdebitazione solo perché non può pagare compensi e costi procedurali: questo fondo coprirà, ad esempio, il compenso dell’OCC in questi casi. Si tratta di un segnale importante di civiltà giuridica: anche il piccolo artigiano sommerso dai debiti, senza più nulla da offrire, ha diritto a una chance di ripartenza, piuttosto che lavorare in nero o cadere nell’irregolarità per evitare i creditori.

Procedura familiare: un’ulteriore innovazione del CCII è la possibilità per più membri dello stesso nucleo familiare indebitati di accedere con un’unica procedura al sovraindebitamento (art. 66 CCII). Se, ad esempio, il piastrellista e sua moglie hanno entrambi debiti (magari per finanziamenti cointestati, fideiussioni reciproche, ecc.), possono presentare un piano comune, riducendo costi e frammentazione . È necessario che siano conviventi e che i debiti abbiano origine comune . Questa possibilità è utile soprattutto se c’è un patrimonio comune (es. la casa coniugale in comunione): si evita di dover frammentare le procedure e si presenta una soluzione unitaria.

Effetti per il debitore: durante la procedura di sovraindebitamento, il debitore è protetto dai creditori (vige un automatic stay simile al fallimento: non si possono iniziare o proseguire pignoramenti individuali). Il debitore però perde la disponibilità dei beni inclusi nel piano/liquidazione: ad esempio, se cede i beni a un liquidatore, non potrà venderli da sé; se concorda di pagare un quinto del reddito, dovrà destinare effettivamente quella quota al piano sotto controllo dell’OCC. La procedura comporta inoltre, per la sua durata, una certa limitazione della facoltà di indebitarsi ulteriormente: il debitore non può aggravare la sua esposizione né compiere atti in frode (verrebbe altrimenti revocata l’omologazione). Tuttavia, una volta completata con successo, il debitore riacquista piena capacità e – soprattutto – vede cancellati i debiti pregressi. Questo implica che i creditori non possono più pretendere nulla (essi subiscono le eventuali rinunce concordatarie e lo stralcio finale in caso di esdebitazione). Ad esempio, se su €100k di debiti il piano stabilisce che ne verranno pagati €30k e il giudice omologa ed esdebità, gli altri €70k non saranno più esigibili: il piastrellista potrà tornare a fare impresa o lavorare senza quel fardello e, col tempo, ricostruirsi anche un merito creditizio (la sua centrale rischi riporterà la procedura concorsuale ma non i singoli sofferti).

Meritevolezza: un concetto chiave in queste procedure è la “meritevolezza” del debitore. Il giudice valuta se il debitore ha colpevolmente contratto debiti oltre le proprie possibilità o se ha assunto atteggiamenti fraudolenti. Comportamenti come aver dissipato patrimonio in attività speculative, aver fatto nuovi debiti sapendo di non poterli pagare, o aver falsificato documenti, possono portare a negare l’omologazione per abuso della procedura. La Cassazione ha, ad esempio, escluso dal beneficio un debitore che aveva accumulato debiti di gioco senza informare il proprio coniuge e poi cercava di scaricarli sui creditori (mala fede e fraudolenza). Nel caso del piastrellista, bisogna dimostrare che l’indebitamento è dovuto a cause oneste: crisi del settore edilizio, mancati pagamenti da clienti, eccesso di tasse e contributi, malattia o infortuni, ecc., e non ad esempio a scelte imprudenti gravissime o a volontà di frodare. Su questo la giurisprudenza sta diventando più elastica: l’indebitamento può anche derivare da errori del debitore, ma questi non devono sfociare nella colpa gravissima. Inoltre, la violazione degli obblighi informativi verso la banca (overstatement del merito creditizio) può rilevare: si parla di merito creditizio inverso, in cui la Cassazione ha detto che anche la banca ha responsabilità se ha concesso prestiti sconsiderati (Cass. 262/2021). Ciò può giocare a favore del debitore in sede di omologazione del piano, ridimensionando le accuse di imprudenza a suo carico.

Costi e tempi: le procedure di sovraindebitamento non sono gratuite. Ci sono spese di giustizia modeste (marche da bollo, contributo unificato ridotto) ma soprattutto c’è il compenso del gestore della crisi/OCC. Questo è calcolato per legge in percentuale sull’attivo e sul passivo, con minimi tariffari (es: qualche migliaio di euro). Il decreto di omologa di solito pone i compensi a carico del debitore, pagabili nell’ambito del piano. Per un artigiano già in difficoltà pagare l’OCC può essere un ostacolo: come detto, dal 2025 per i casi di totale incapienza interverrà un Fondo a coprire tali oneri . In altri casi, il debitore deve magari ottenere un piccolo prestito da familiari per saldare le spese iniziali. I tempi dipendono dal tribunale: mediamente un piano o accordo può essere omologato in 4-6 mesi dal deposito della domanda (salvo intoppi, es. opposizione di creditori che si risolve con sentenza). La liquidazione controllata dura di più, perché bisogna vendere i beni: potrebbe protrarsi 1-2 anni o più, specie se ci sono immobili da mettere all’asta. Durante questo tempo, come detto, il debitore è protetto dai vecchi creditori ma deve rispettare le condizioni del piano.

Conclusione su sovraindebitamento: per un piastrellista con debiti insostenibili, le procedure ex L.3/2012 – ora nel CCII – rappresentano spesso l’unica via d’uscita legale e dignitosa. Consentono di evitare la spirale infinita di interessi, more, pignoramenti a catena, che spesso sfocia nel lavoro irregolare o nell’usura. Ovviamente non sono una “scappatoia” facile: richiedono trasparenza totale sui propri beni, un certo stigma (bisogna dichiarare il fallimento personale, in senso lato) e il dover sottostare a un piano di ristrettezze per alcuni anni. Ma al termine di quel percorso, il debitore torna libero dai debiti pregressi. Il legislatore italiano, spronato anche dall’UE, ha ormai normalizzato il concetto di esdebitazione per il debitore onesto ma sfortunato. È bene che l’artigiano indebitato ne sia consapevole e, assistito da professionisti, valuti questa opportunità prima che la situazione degeneri in iniziative giudiziarie disordinate.

Tabella riepilogativa – Procedure di composizione della crisi (sovraindebitamento):

ProceduraDestinatari (requisiti)Caratteristiche principaliVantaggi per il debitoreCoinvolgimento creditori
Piano del consumatore (ristrutturazione debiti)Persona fisica “consumatore” (debiti non professionali); non richiesto limite quantitativo di debito, ma deve essere non fallibile. Necessaria meritevolezza.– Il debitore propone un piano di pagamenti sostenibile (durata variabile, es. 4–5 anni) .<br>– Prevista anche moratoria di alcuni crediti.<br>– Nessun obbligo di pagare integralmente i debiti privilegiati se il patrimonio non lo consente (ma va assicurato il best effort).Nessun voto dei creditori: decide il giudice sull’omologazione .<br>– Possibile includere anche debiti fiscali e contributivi senza il loro consenso (cram-down).<br>– Il debitore conserva i beni non destinati al piano.Creditori informati e possono opporsi in udienza, ma non votano. Possono presentare osservazioni; il giudice può omologare anche in presenza di dissensi, se il piano è fattibile ed equo.
Concordato minore (ex accordo)Imprenditori e professionisti non fallibili (es. artigiani, società sotto soglia) . Anche consumatori con debiti misti.<br>Necessaria meritevolezza.– Il debitore presenta una proposta ai creditori (con percentuali di pagamento e eventuale piano di continuazione dell’attività) .<br>– Dev’essere assicurato almeno quanto ottenibile in liquidazione. Possibile trattamento differenziato di classi di creditori.<br>– Durata variabile, può prevedere cessione di beni, apporto di terzi, ecc.Continuità aziendale ammessa: l’impresa può proseguire l’attività durante il concordato .<br>– I creditori sono vincolati all’esito favorevole se c’è maggioranza (anche i dissenzienti).<br>– Possibile ridurre carichi fiscali e contributivi con voto favorevole dell’erario (o anche cram-down se aderisce la maggioranza di un’altra classe).Creditori votano sulla proposta: serve ≥50% dei crediti votanti per l’approvazione (no quorum di teste).<br>– Se approvato, il tribunale omologa salvo opposizioni.<br>– Se non approvato, procedura infruttuosa (possibile conversione in liquidazione).
Liquidazione controllata (del sovraindebitato)Qualsiasi debitore sovraindebitato non fallibile (consumatore o imprenditore minore). Può accedervi anche chi non è “meritevole” per le altre procedure (resta valutazione in sede di esdebitazione).– Si apre una procedura concorsuale assimilabile a un fallimento semplificato: il tribunale nomina un liquidatore che spossessa il debitore dei suoi beni e li vende per pagare i creditori .<br>– Incluse le azioni di recupero (revocatorie, ecc.).<br>– Durata: fino completamento vendite e riparti (1-2 anni in media, salvo beni difficili).Sospensione di tutte le azioni esecutive individuali.<br>– Il debitore scarica su liquidatore oneri e stress del realizzo dei beni.<br>– Anche se i creditori ricevono pochissimo, il debitore può ottenere ugualmente l’esdebitazione (salvo eccezioni di legge) .<br>– Il debitore persona fisica può trattenere i beni impignorabili e una parte di reddito necessario al mantenimento.I creditori non votano. Partecipano al riparto secondo i privilegi.<br>– Possono segnalare al liquidatore beni o atti sospetti e possono opporsi alla chiusura/esdebitazione se rilevano irregolarità.<br>– Nessun consenso richiesto: la procedura è giudiziaria d’ufficio.

Procedura comparativa: concordato minore vs liquidazione giudiziale (fallimento)

È utile, infine, evidenziare la differenza tra le procedure da sovraindebitamento sopra descritte e le procedure “maggiori” come il fallimento, per capire in quale situazione potrebbe trovarsi un artigiano se superasse le soglie di fallibilità.

  • Liquidazione giudiziale (ex fallimento): se il piastrellista fosse soggetto a fallimento (ad esempio gestisce una Srl ordinaria che supera le soglie, o una SNC commerciale di dimensioni rilevanti) e si trova insolvente, i creditori o lui stesso potrebbero chiedere la liquidazione giudiziale. Questa è molto simile alla liquidazione controllata, ma con formalità maggiori e, storicamente, uno stigma peggiore. Il curatore fallimentare vende i beni dell’impresa e del fallito (se imprenditore individuale), e al termine il fallito persona fisica può chiedere l’esdebitazione (a certe condizioni). Durante la procedura vi sono però restrizioni più marcate: ad esempio, l’imprenditore dichiarato fallito può subire l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale per qualche tempo e altre interdizioni legali. Le azioni di responsabilità sono più frequenti (es. verso amministratori per cattiva gestione). Inoltre, l’apertura del fallimento (oggi liquidazione giudiziale) può comportare la revoca di appalti, la perdita di fiducia dei clienti, etc., segnando la fine dell’attività.
  • Concordato preventivo: il corrispettivo per i fallibili del concordato minore. Se la Srl del piastrellista volesse evitare il fallimento, potrebbe proporre un concordato preventivo ai sensi del CCII (ci sono varie forme: in continuità, liquidatorio con almeno 20% ai chirografari, ecc.). I meccanismi di voto sono simili (maggioranza in percentuale), ma sono previste procedure competitive per offerte concorrenti sugli asset, controlli più stringenti sulla fattibilità da parte dei commissari giudiziali, e costi più elevati. È pensato per aziende più strutturate, anche se oggi perfino le piccole Srl semplificate possono tentare un concordato preventivo se non vogliono passare dal concordato minore.

In sostanza, la linea di demarcazione è la dimensione. Un piastrellista individuale o piccola società userà gli strumenti di sovraindebitamento; una realtà più grande dovrà utilizzare concordato preventivo o, se non vi riesce, subire la liquidazione giudiziale. Per l’artigiano la buona notizia è che la legge cerca di evitare, ove possibile, di farlo passare per le forche caudine del “fallimento tradizionale”, offrendogli soluzioni più proporzionate. Tuttavia, se un artigiano dovesse comunque essere dichiarato fallito (magari perché inizialmente sembrava sopra soglia, o per iniziativa di creditori prima che lui attivasse il sovraindebitamento), gli effetti sarebbero analoghi: curatore, vendita beni, ecc. In tali frangenti, è cruciale la tempestività: attivarsi volontariamente con un concordato minore o un piano prima che un creditore ottenga un fallimento coatto può fare la differenza tra gestire la crisi o subirla.

La tutela del patrimonio personale del debitore

Uno dei principali timori di chi ha debiti è perdere i propri beni, frutto di anni di lavoro: la casa di abitazione, i risparmi, gli strumenti dell’attività, ecc. Il diritto italiano, nel bilanciare diritti dei creditori e dignità del debitore, prevede alcune forme di tutela del patrimonio del debitore. D’altro canto, chi accumula debiti e cerca di sottrarre i propri beni alle pretese può incorrere in azioni revocatorie o persino in responsabilità penali. In questa sezione esaminiamo come difendere i beni essenziali (casa, beni familiari, strumenti di lavoro) e quali sono i limiti entro cui lo si può fare lecitamente.

Impignorabilità della prima casa: limiti e condizioni

Come già descritto in riferimento ai debiti fiscali, la legge impedisce ai creditori pubblici (AdER) di pignorare la prima casa del debitore in presenza di specifiche condizioni . Ricapitolando, i requisiti perché la prima casa sia impignorabile da parte del Fisco sono :

  • Deve trattarsi dell’unico immobile di proprietà del debitore, adibito a sua abitazione principale (residenza anagrafica);
  • L’immobile non deve appartenere alle categorie di lusso A/8, A/9 (ville, castelli) – solo case “civili” ordinarie sono protette;
  • Il creditore procedente deve essere AdER (per crediti tributari o contributivi). Creditori privati non beneficiano di questo limite;
  • L’importo del debito con AdER deve essere < €120.000. Sopra tale soglia, anche AdER può procedere (dopo aver iscritto ipoteca e atteso 6 mesi) .

Se tutte queste condizioni sono soddisfatte, AdER non può iniziare o proseguire esecuzioni sulla casa: qualsiasi pignoramento eventualmente iniziato è nullo e il debitore può chiederne l’estinzione. Attenzione però: questa norma non impedisce altri pignoramenti immobiliari. Quindi, se il piastrellista ha un mutuo non pagato, la banca può – come visto – pignorare la casa (l’ipoteca iscritta prima prevale sulla regola del D.P.R. 602/73). Parimenti, un creditore privato (fornitore, finanziaria) può iscrivere ipoteca giudiziale e pignorare anche l’unica casa senza infrangere alcuna norma (salvo casi umanitari estremi discussi solo in giurisprudenza). Insomma, la “prima casa impignorabile” è uno slogan da prendere con cautela: vale solo contro il Fisco, e anche lì con eccezioni (debito oltre soglia, casa di lusso, non abitazione).

La Cassazione ha avuto modo di specificare alcuni aspetti: ad esempio, ha chiarito che questo divieto di pignoramento si applica anche ai procedimenti in corso all’entrata in vigore della legge 69/2013, data la natura processuale (Cass. 19270/2014, confermata da ord. 32759/2024) . Ha inoltre stabilito che la protezione riguarda l’espropriazione forzata civile, ma non impedisce sequestri penali: se l’immobile è oggetto di misure cautelari in sede penale (es. sequestro per reati tributari), la regola dell’impignorabilità non si applica . In sostanza, in caso di evasione fiscale grave il Fisco potrebbe chiedere un sequestro preventivo della casa come corpo del reato, e ciò prevale sul divieto ordinario.

Per il debitore, la protezione della prima casa è senza dubbio un sollievo parziale, ma non deve indurre ad inazione. Infatti, anche se AdER non può pignorare la casa, può però iscrivere ipoteca su di essa per debiti da €20.000 in su . L’ipoteca non toglie il possesso immediato al debitore, ma vincola l’immobile: se un domani il debitore volesse venderlo, troverebbe l’ipoteca che impone di pagare il debito per cancellarla. Inoltre, se il debito poi cresce oltre 120.000 o escono nuovi immobili di proprietà del debitore, AdER potrà procedere.

Strumenti di protezione patrimoniale: il fondo patrimoniale

Molti piccoli imprenditori, specialmente se coniugati, hanno in passato utilizzato il fondo patrimoniale (artt. 167 ss. c.c.) per provare a proteggere i beni di famiglia dai creditori aziendali. Il fondo patrimoniale è un vincolo su determinati beni (immobili, titoli) costituito da una coppia coniugata o da un terzo, destinandoli al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. La legge prevede che sui beni del fondo non si possa procedere esecutivamente per debiti estranei ai bisogni familiari, che il creditore sapeva tali al momento in cui sono sorti (art. 170 c.c.). In pratica, se il piastrellista nel 2018 ha messo la casa di proprietà in un fondo patrimoniale a favore della moglie e dei figli, sperava che eventuali debiti professionali contratti dopo non potessero colpire quella casa, in quanto debiti “estranei ai bisogni della famiglia”. Tuttavia, la giurisprudenza – soprattutto di recente – ha fortemente limitato l’efficacia protettiva del fondo patrimoniale** per debiti d’impresa e fiscali.

Un punto cruciale è capire cosa si intenda per “debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. Secondo un orientamento tradizionale della Cassazione (espresso ad es. nell’ord. n. 2904/2021), i debiti dell’attività imprenditoriale o professionale del coniuge in linea di massima si presumono estranei ai bisogni familiari, in quanto contratti per finalità lavorative e non per mantenimento della famiglia . Partendo da ciò, alcuni giudici di merito in passato hanno accolto opposizioni di debitori che, avendo un fondo patrimoniale, si vedevano iscrivere ipoteche o pignoramenti per debiti bancari dell’azienda: ragionavano che, essendo il debito di natura imprenditoriale, fosse al di fuori dei bisogni familiari (che normalmente sono casa, alimentazione, salute, istruzione dei figli) e dunque non espropriabile da art. 170 c.c., specie se il creditore (es. la banca) era consapevole di questa estraneità perché aveva erogato un mutuo per l’impresa. Tuttavia, la Cassazione più recente ha cambiato impostazione: con la sentenza n. 32146 del 12/12/2024 (Sez. III), è stato affermato un principio di diritto che ribalta la presunzione: l’attività d’impresa di un coniuge si presume svolta anche nell’interesse della famiglia, poiché i proventi derivanti da essa servono in via ordinaria al mantenimento del nucleo . Quindi, un debito contratto nell’ambito dell’attività professionale non è automaticamente estraneo ai bisogni familiari, anzi di regola è funzionale (salvo prova contraria) a produrre reddito per la famiglia . Questa sentenza ha inoltre stabilito che l’onere della prova circa la conoscenza, da parte del creditore, della estraneità del debito grava interamente sul debitore che eccepisce la impignorabilità del fondo . Il coniuge debitore deve cioè dimostrare sia che il debito fu contratto per scopi non attinenti ai bisogni della famiglia, sia che il creditore ne era a conoscenza al momento (ad esempio, provando che il creditore sapeva che quel mutuo serviva per un’operazione meramente speculativa e non per il mantenimento familiare).

Questa evoluzione giurisprudenziale – che recepisce una linea già presente in alcune pronunce e spinta da considerazioni di tutela dei creditori – rende oggi molto difficile opporsi con successo a un pignoramento su bene in fondo patrimoniale per debiti come quelli fiscali o bancari dell’impresa. Nel caso deciso dalla Cassazione a fine 2024, ad esempio, un imprenditore edile aveva costituito un fondo patrimoniale sulla casa e poi contratto un mutuo bancario per costruire immobili (attività d’impresa). Al mancato rimborso, la banca iscrisse ipoteca e lui fece opposizione ex art. 170 c.c.: la Cassazione gli ha dato torto, cassando la sentenza d’appello che inizialmente gli era favorevole. La Suprema Corte ha detto chiaramente che salvo prova contraria, l’attività lavorativa è svolta per mantenere la famiglia, quindi i relativi debiti non sono estranei ai bisogni della famiglia . Ha inoltre enunciato il principio generale che il debitore, per sottrarre il bene al pignoramento, deve dimostrare la piena consapevolezza del creditore circa l’estraneità del debito allo scopo familiare (e ha delineato i bisogni familiari in senso ampio: comprendono anche il benessere economico della famiglia e lo sviluppo dell’attività lavorativa dei suoi membri) . Ne consegue che debiti fiscali (derivando dall’attività con cui la famiglia trae sostentamento) e debiti commerciali dell’artigiano saranno considerati normalmente attinenti ai bisogni familiari (perché mirano a procurare reddito alla famiglia), a meno che il debitore provi uno scopo voluttuario o speculativo del tutto estraneo e conosciuto dal creditore. Un esempio di debito veramente “estraneo” potrebbe essere un prestito contratto per giocare in borsa o al casinò – qualcosa di chiaramente non legato alle esigenze familiari. In mancanza di situazioni del genere, il fondo patrimoniale non impedirà l’esecuzione.

Quindi, se il piastrellista aveva pensato di mettere la casa in un fondo per tenerla al riparo da Equitalia o dalle banche, oggi questa mossa offre una protezione assai debole. Anzi, c’è il rischio che la costituzione del fondo possa essere vista come un atto in frode ai creditori se fatta quando i debiti erano già prevedibili: i creditori potrebbero esperire l’azione revocatoria entro 5 anni dall’atto istitutivo del fondo, sostenendo che esso pregiudica il loro soddisfacimento (art. 2901 c.c.). I giudici di merito spesso revocano i fondi patrimoniali fatti da imprenditori in situazioni di insolvenza, specie se la costituzione è successiva al sorgere di alcuni debiti o se il debitore era già decotto. La Cassazione ha chiarito che l’atto di costituzione del fondo è a titolo gratuito (se i coniugi non ricevono corrispettivo), dunque la revocatoria è ammessa anche se il creditore non prova la malafede del coniuge beneficiario, bastando la semplice anteriorità del credito e la consapevolezza del debitore di recare pregiudizio (che in caso di gratuità è presunta) . Ad esempio, con sentenza n. 28593/2024 la Cassazione ha confermato la revocabilità di un fondo patrimoniale costituito tra coniugi, affermando che il creditore non deve nemmeno dimostrare l’intento fraudolento, data la natura gratuita dell’atto . In conclusione, il fondo patrimoniale non è più uno scudo affidabile: può essere revocato se recente, e anche se resiste alla revocatoria, la sua protezione è stata erosa dall’interpretazione restrittiva dell’art. 170 c.c. emersa negli ultimi anni .

Altri strumenti: trust, vincoli di destinazione, separazione dei beni

Oltre al fondo patrimoniale, alcuni debitori hanno tentato di proteggere beni tramite il trust o i vincoli ex art. 2645-ter c.c. (destinazione per 90 anni a certi scopi). Questi strumenti però, se istituiti in prossimità dell’insolvenza, sono altrettanto vulnerabili alle azioni revocatorie dei creditori e, quando opposti, subiscono valutazioni analoghe al fondo. Ad esempio, la Cassazione penale ha equiparato il conferimento di immobili in un trust all’atto fraudolento ex art. 11 D.Lgs. 74/2000 se finalizzato a sottrarre garanzie all’Erario . In generale, il trust familiare non ferma i creditori se questi dimostrano che il debitore vi ha conferito beni per sfuggire alle esecuzioni: anch’esso verrà revocato o ignorato nelle procedure esecutive (ormai vari tribunali vendono beni in trust ritenendo il trust non opponibile ai creditori, se fraudolento).

La separazione dei beni tra coniugi è invece un regime patrimoniale che incide sulla responsabilità per debiti dell’altro coniuge. Se i coniugi sono in regime di comunione legale, i debiti contratti da uno di essi per bisogni della famiglia o per la gestione dei beni comuni possono essere soddisfatti anche sui beni in comunione (art. 189 c.c.), mentre quelli personali restano a carico del solo coniuge ma comunque, in sede esecutiva, il creditore può aggredire i beni comuni chiedendo la separazione della quota spettante al coniuge obbligato (art. 190 c.c.). In pratica, con la comunione il patrimonio è mescolato e in parte esposto ai creditori dell’altro. Con il regime di separazione dei beni, invece, ciascun coniuge mantiene la titolarità esclusiva del proprio patrimonio e non risponde dei debiti dell’altro, salvo che abbia prestato garanzie personali. Dunque, se il piastrellista è sposato, la scelta della separazione dei beni (preferibilmente già all’atto di matrimonio, o comunque prima di contrarre i debiti) fa sì che, ad esempio, lo stipendio o la casa intestata alla moglie non possano essere toccati dai creditori dell’attività di lui. Attenzione: passare da comunione a separazione dopo che i debiti sono sorti può anch’esso essere sindacato come atto in frode (ci sono state cause di revocatoria di convenzioni matrimoniali volte a sottrarre beni alla comunione proprio prima di un crack). Però, se l’indebitamento è soltanto potenziale o futuro, adottare il regime di separazione è legittimo e consigliabile per tutelare il coniuge incolpevole.

Per i figli, vale che non sono mai responsabili dei debiti dei genitori durante la vita di questi. Solo in sede ereditaria si pone il problema: i figli potrebbero trovarsi davanti a un’eredità con più debiti che attivo; in tal caso, hanno la facoltà di rinunciare all’eredità o di accettarla con beneficio d’inventario per evitare di pagare debiti oltre il valore dei beni ereditati. Quindi un piastrellista anziano, preoccupato di lasciare debiti ai figli, può rassicurarli che potranno non accettare l’eredità (ovviamente perdendo anche i beni patrimoniali, ma almeno non accollandosi il passivo).

Beni impignorabili e limiti all’esecuzione forzata

Abbiamo già toccato questo punto: la legge rende impignorabili o parzialmente pignorabili certi beni per ragioni sociali. Un rapido elenco utile al debitore:

  • Beni di prima necessità: letti, biancheria, armadi, tavoli da pranzo, fornelli, frigorifero, lavatrice (ora inclusa nei beni impignorabili essenziali), utensili di cucina, e in generale gli oggetti di uso quotidiano della casa, nonché i ricordi di famiglia, gli animali da compagnia, non possono essere pignorati (art. 514 c.p.c.). Il creditore procedente, accompagnato dall’Ufficiale Giudiziario in un pignoramento mobiliare in casa, non potrà asportare questi beni. Nel caso di un laboratorio artigiano, esistono dubbi se i macchinari “indispensabili” possano rientrare nella relativa impignorabilità, ma in genere quelli sono considerati strumenti produttivi e ricadono sotto l’art. 515.
  • Strumenti di lavoro del debitore: l’art. 515 c.p.c. stabilisce che “gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, arte o mestiere del debitore” possono essere pignorati nei limiti di 1/5 e solo se il presumibile realizzo dagli altri beni non è sufficiente . Questo significa che, ad esempio, se il piastrellista ha 5 macchinari simili, se ne possono pignorare al massimo 1 lasciandogli gli altri 4 per continuare l’attività; oppure, se ha un solo furgone e quello è indispensabile per lavorare, in teoria non lo si dovrebbe pignorare (anche se, come notavamo, su veicoli e mezzi di trasporto la prassi è severa: spesso vengono pignorati comunque, ritenendo che non siano indispensabili se c’è il trasporto pubblico o altri mezzi – interpretazioni discutibili). Comunque l’idea è che gli attrezzi base di un artigiano – trapani, tagliapiastrelle, utensili manuali – siano protetti: portar via tutto significherebbe impedire al debitore di produrre reddito per pagare i creditori stessi. Questa norma pone però la condizione “fintanto che gli altri beni non bastano a soddisfare i crediti”: se il debitore non ha null’altro, anche quegli strumenti in teoria potrebbero essere presi (entro il limite del quinto). In pratica, gli Ufficiali Giudiziari usano una certa sensibilità: tendono a non toccare attrezzature di lavoro di modesto valore, concentrandosi su altri beni aggredibili (auto, conti, ecc.).
  • Limiti su stipendio/pensione: come già detto, vige la regola generale del quinto: sul netto dello stipendio mensile del debitore, si può trattenere massimo il 20% per crediti ordinari (banche, privati) e un altro 20% per crediti qualificati (alimenti, fisco, ecc.), con un cumulo che non può superare il 50%. Per le pensioni, prima si deve lasciare intatto un minimo vitale pari all’assegno sociale aumentato della metà (circa €750 x 1.5 = €1.125 circa nel 2025), e sul resto si applicano gli stessi limiti del quinto. Per i conti correnti, se su un conto affluiscono stipendi o pensioni, la legge (art. 545 c.p.c. come modificato) prevede che: le somme già accreditate prima del pignoramento sono pignorabili solo per la parte eccedente l’ammontare dell’ultimo stipendio/pensione mensile; le somme accreditate dopo la notifica del pignoramento sono bloccate anch’esse nel limite del quinto per stipendi e del minimo vitale per pensioni. Questo per evitare che, se uno ha appena ricevuto lo stipendio sul conto e viene pignorato l’intero saldo, resti senza nulla.
  • Beni in comproprietà: se il piastrellista possiede un bene in comunione con altri (es. un immobile al 50% con il fratello), il creditore può pignorare la quota del debitore, ma non vendere direttamente tutta la cosa se non dopo aver tentato la divisione. In pratica, i pignoramenti di quote indivise non sono molto appetibili: spesso non trovano acquirenti, perché nessuno vuole comprare “mezzo appartamento” in comunione con un estraneo. Il creditore può allora chiedere al tribunale la divisione giudiziale (se la cosa è divisibile) o la vendita dell’intero con attribuzione al comproprietario estraneo della sua metà. Ciò complica e allunga la procedura, dando margine al debitore e al comproprietario di magari trovare un accordo per liquidare il creditore o vendere spontaneamente alle proprie condizioni.

Riassumendo, il nostro ordinamento non permette di ridurre il debitore sul lastrico: alcuni beni essenziali e quote di reddito minimo sono off-limits per i creditori. Questo però non significa che si possa evitare di pagare i debiti rifugiandosi dietro tali limiti – servono a garantire la sopravvivenza, non a eludere le obbligazioni. Un piastrellista con debiti dovrebbe conoscere questi limiti per sapere che, ad esempio, non gli porteranno via gli attrezzi indispensabili (quindi potrà continuare a lavorare), e che se ha un lavoro dipendente o una pensione sarà al massimo pignorato in parte. Ciò può dare sollievo psicologico e far comprendere che è possibile ristrutturare la propria vita economica senza perdere tutto. Tuttavia, attenzione a non abusare di queste soglie: contrarre nuovi debiti confidando che “tanto ho solo stipendio e casa prima, non mi fanno nulla” è un cattivo consiglio. Infatti i creditori possono comunque creare forte pressione (blocco conto, pignoramento 1/5 stipendio per anni, ipoteca casa) e peggiorare di molto la qualità di vita del debitore.

Profili penali connessi all’insolvenza del debitore

L’ordinamento italiano, pur non contemplando il carcere per il semplice fatto di non pagare i debiti civili (debitore nullatenente non va in prigione, sancisce l’art. 2740 c.c. comma 2 che esclude la “prigionia per debiti”), prevede tuttavia alcune fattispecie di reato legate a comportamenti fraudolenti o gravemente colpevoli nell’ambito dell’insolvenza. Un artigiano indebitato deve esserne consapevole per evitare di incorrervi involontariamente. Ecco i principali reati che possono rilevare:

Insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.)

È un reato che punisce chi contrare un’obbligazione dissimulando il proprio stato di insolvenza e con il proposito di non adempierla . In sostanza, l’insolvenza fraudolenta scatta quando una persona, sapendo di non poter pagare, prenda deliberatamente beni o servizi da un creditore ingannandolo sul proprio stato finanziario (pur senza artifizi o raggiri complessi, altrimenti sarebbe truffa). Esempio tipico: il piastrellista che ordina €5.000 di piastrelle da un fornitore nascondendo che la sua ditta è prossima al fallimento, con l’intenzione di non pagarle. Se poi non le paga davvero, il reato è consumato. La pena prevista è relativamente lieve (reclusione fino a 2 anni o multa fino a 516 €) e l’azione penale richiede una querela del creditore offeso. Inoltre, il reato si estingue se il debitore paga prima della condanna . Ciò fa sì che sia poco applicato: spesso il debitore insolvente, se querelato, cerca di pagare quel creditore per evitare conseguenze penali. Tuttavia, in casi di insolvenze seriali, alcuni creditori presentano querela anche per mettere pressione. Si pensi all’artigiano che continua a ordinare materiali da vari fornitori pur avendo già il conto scoperto: potrebbe delinearsi una condotta fraudolenta. La difesa sta nel dimostrare di non aver mai nascosto dolosamente la propria difficoltà – ad esempio, se i fornitori sapevano benissimo della sua crisi ma hanno continuato a fornirlo sperando in pagamenti futuri, l’elemento del dolo di insolvenza viene meno. È importante infatti la prova che il debitore avesse fin dall’inizio il “proposito di non adempiere” .

Caso particolare di insolvenza fraudolenta è quello dell’assegno emesso senza provvista quando l’emittente sapeva di non avere fondi e il traeva in inganno il creditore sulla solvibilità. In passato l’emissione di assegno a vuoto era reato specifico, oggi è depenalizzato e punito amministrativamente; potrebbe però ridiventare penalmente rilevante come insolvenza fraudolenta se contornato da circostanze fraudolente (ma di solito si punisce con la sanzione prefettizia di cui si diceva).

In sintesi, il debitore deve evitare comportamenti ingannevoli verso i creditori nell’acquisire nuova merce o prestazioni, specialmente quando è tecnicamente insolvente. Meglio essere chiari sul proprio stato: ordinare forniture facendo credere di poter pagare regolarmente, mentre si sa che non si pagherà, è eticamente e legalmente molto rischioso.

Reati fallimentari (bancarotta semplice e fraudolenta)

Questi si applicano solo se interviene una dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) nei confronti dell’imprenditore. Nel caso del piastrellista, se egli è un semplice artigiano non fallibile e non subisce alcuna procedura concorsuale “maggiore”, non potrà mai essere incriminato per bancarotta, in quanto la bancarotta presuppone formalmente la qualità di fallito. Qualora però la sua impresa venga sottoposta a liquidazione giudiziale (ad esempio è una S.r.l. artigiana che supera le soglie, o una società di persone fallita insieme ai soci), allora si aprono gli scenari penal-fallimentari.

La bancarotta fraudolenta (artt. 216-223 L.F., ora trasfuse nel CCII con adattamenti) è il reato che punisce il fallito (o gli amministratori della società fallita) che abbia dolosamente distratto o sottratto beni, occultato o falsificato scritture contabili, esposto passività inesistenti o commesso altri atti di frode ai danni dei creditori. È un reato grave, punito con la reclusione da 3 a 10 anni (in media) per il fallito, variabile in base alle condotte. Ad esempio, se il piastrellista fallito nasconde dei macchinari per non farli trovare al curatore, o vende sottocosto un immobile a un parente prima del fallimento (distrazione di beni), commette bancarotta fraudolenta patrimoniale. Se teneva le scritture contabili in modo da non permettere la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (bancarotta fraudolenta documentale), è parimenti colpevole (la tenuta irregolare di contabilità può essere punita anche come bancarotta “semplice” se non c’è malizia). La logica è punire chi, sapendosi in decozione, dissipa attivamente risorse che dovevano andare ai creditori o rende impossibile accertare il suo operato.

La bancarotta semplice invece punisce condotte meno gravi ma imprudenti del fallito, ad esempio aver aggravato la propria insolvenza con spese personali eccessive, oppure non aver tenuto i libri contabili o non aver presentato la istanza di fallimento in proprio quando era obbligato. È punita con reclusione fino a 2 anni.

Per un artigiano piccolo, questi reati di solito entrano in gioco raramente, perché raramente c’è un fallimento formale. Tuttavia, se il piastrellista gestiva una S.r.l. e viene dichiarato il fallimento della società, egli come amministratore potrebbe rispondere di bancarotta per gli atti compiuti nella società (es. aver sottratto beni sociali prima del fallimento, o non aver tenuto la contabilità). Si tenga presente che dal 2022, con il CCII, il termine fallimento è abolito in ambito civile ma è rimasto nel codice penale: vi è equiparazione tra “liquidazione giudiziale” e la vecchia dichiarazione di fallimento ai fini dei reati. Inoltre, il CCII ha introdotto qualche fattispecie nuova per reati commessi durante procedure di sovraindebitamento: ad esempio, sanziona penalmente il debitore incapiente che al fine di accedere all’esdebitazione senza utilità presenti documenti falsi o sottragga attivo (art. 344 comma 2 CCII). Similmente, la legge punisce chi, durante un concordato preventivo o concordato minore, distrae beni custodiendoli apparentemente nell’impresa.

In sostanza, se l’impresa del debitore cade in procedura concorsuale, egli deve agire con la massima trasparenza e correttezza: non deve far sparire attrezzature, non deve favorire di nascosto qualche creditore a danno di altri (la preferenza dolosa di un creditore prima del fallimento è bancarotta preferenziale), non deve alterare libri o nascondere fatture. Il rischio altrimenti è di subire un procedimento penale per bancarotta, con pene che possono portare anche alla detenzione effettiva nei casi più fraudolenti. È capitato a molti piccoli imprenditori di sottovalutare questi aspetti – “tanto sono piccolo, chi vuoi che mi accusi?” – e poi ritrovarsi condannati magari per aver venduto macchinari “in nero” poco prima di fallire: azione vista come frode ai creditori. Il consiglio è dunque: in previsione di insolvenza, evitare qualunque atto di occultamento o dissipazione. Meglio utilizzare canali legali (procedure concorsuali) per gestire la crisi che rischiare il penale.

Omesso versamento di imposte e contributi (reati tributari)

Ne abbiamo già parlato: il piastrellista può incorrere in reati tributari specifici se non versa quanto dovuto al fisco oltre certe soglie. Riassumendo i principali:

  • Omesso versamento IVA > €250.000 annui (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000): reclusione 6 mesi – 2 anni . Termine di consumazione: 31 dicembre dell’anno successivo alla dichiarazione IVA , con possibilità di ravvedersi entro tale scadenza. Non punibile se prima del dibattimento si estingue il debito (art. 13).
  • Omesso versamento ritenute certificate > €150.000 annui (art. 10-bis): stessa pena 6 mesi – 2 anni. Termine di consumazione: il 31 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta cui si riferiscono le ritenute. Anche qui non punibile se si paga tutto prima del dibattimento.
  • Omesso versamento contributi previdenziali > €10.000 annui (L. 638/1983 art. 2): reclusione fino a 3 anni + multa fino a €1.032. Termine: 3 mesi dalla notifica dell’accertamento dell’INPS (prima che scatti la comunicazione in procura). Anche in questo caso l’adempimento prima del giudizio evita la punibilità (è ammesso il pagamento tardivo entro l’inizio del processo). Sotto €10.000 annui, come visto, si tratta di illecito amministrativo con multa 1,5-4 volte l’omesso .

Queste norme colpiscono la mancata fedeltà fiscale in fase esecutiva (dopo la dichiarazione). Non si tratta di evasione in fase di dichiarazione (che è un altro capitolo: esistono reati per dichiarazione infedele o fraudolenta, ma normalmente riguardano chi falsa le scritture per pagare meno tasse; nel caso dell’artigiano indebitato, spesso le dichiarazioni sono state anche corrette, solo che poi non riesce a pagare il dovuto). I reati di omesso versamento puniscono quindi la scelta di non destinare risorse al pagamento di tributi o contributi già dovuti per legge. Come la Corte Costituzionale ha rimarcato, appropriarsi delle ritenute dei dipendenti è particolarmente grave perché significa usare per l’azienda soldi prelevati dalle buste paga e destinati alla pensione dei lavoratori .

Il debitore artigiano deve quindi tenere a mente queste soglie penali: se in un anno la sua ditta non versa €260k di IVA, rischia grosso. Per evitare il reato, potrebbe considerare di presentare (se siamo ancora nei termini) una dichiarazione IVA omettendo parte dell’imposta? Questo configurerebbe altri reati (dichiarazione infedele se l’imposta evasa > €100k e >10% del dichiarato, art. 4 D.Lgs. 74/2000). Non pagare è reato oltre soglia, dichiarare meno è reato pure in certi casi: insomma, l’unica è cercare di pagare o ridurre il debito sotto soglia. Fortunatamente, come spiegato, la riforma 2023-2024 concede un anno in più di tempo per mettersi in regola (fino al 31/12 dell’anno successivo alla dichiarazione) . E anche se non si riesce a eliminare tutto il debito, pagarne una parte almeno per scendere sotto le soglie di punibilità può salvare dal penale. Ad esempio, se il piastrellista ha €300k di IVA non versata per il 2024, se entro fine 2025 riesce a versarne €51k e scendere a €249k, non sarà più punibile (lo scopo del legislatore è appunto stimolare il pagamento almeno parziale). Idem per ritenute: supponendo €180k omesse, pagando almeno €31k entro l’anno successivo porta sotto 150k.

In caso di procedimento penale avviato, ricordiamo che salda tutto = niente condanna (fino all’apertura dibattimento). Se invece non si riesce e si viene condannati, le pene non sono altissime e spesso con la condizionale non c’è carcere effettivo, ma rimane la fedina penale sporca e potenziali interdizioni (ad esempio l’interdizione dai pubblici uffici se la pena supera 2 anni, o da cariche societarie per certi reati tributari gravi). Inoltre, lo Stato sta iniziando a prevedere la responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs. 231/2001) anche per alcuni reati fiscali: una Srl che omette di pagare IVA potrebbe trovarsi a rispondere anche come ente con sanzioni pecuniarie, se non ha modelli organizzativi idonei.

Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000)

Questo reato, spesso poco noto, è invece assai importante nel contesto di cui trattiamo. Esso punisce chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte o di sanzioni tributarie, compie atti dispositivi sui propri beni in modo da rendere inefficace la riscossione coattiva . In pratica, se un imprenditore con un grosso debito fiscale in arrivo (magari dopo un accertamento) inizia a vendere o cedere tutti i suoi beni a terzi, o li vincola in trust o fondo patrimoniale, può commettere questo reato. Non è richiesta la formale apertura di un’esecuzione: basta la finalità di evitare il pagamento delle imposte dovute. Per essere penalmente rilevante, l’ammontare delle imposte, sanzioni e interessi cui ci si vuole sottrarre deve superare i €50.000 . La pena è significativa: reclusione fino a 4 anni (che diventano 6 anni se si tratta di sottrazione di beni per un importo elevato, oltre €200k). Ad esempio, se il piastrellista, sapendo di avere cartelle per €100k, dona la sua casa al figlio per evitare che gliela ipotechano, compie un atto che integra gli estremi della sottrazione fraudolenta (è un atto idoneo a frustrare la riscossione). Non importa che la casa fosse prima casa e impignorabile: il reato sta nell’averla conferita a terzi con intento elusivo. La giurisprudenza ha infatti ritenuto colpevoli anche contribuenti che trasferivano l’unico immobile in fondo patrimoniale o trust a famigliare, proprio come atto fraudolento ex art. 11 . Quindi, attenzione a non fare “furbate” col patrimonio se si hanno debiti fiscali importanti: si rischia non solo la revocatoria in sede civile, ma addirittura il penale.

Un’altra condotta punita dallo stesso articolo (comma 2) è far usare artifici per ottenere pagamenti parziali dal Fisco: ad esempio, simulare crediti verso l’Erario per compensarli col debito e quindi pagare di meno, oltre soglie modeste, è reato.

Altri reati eventuali

Ci sono ulteriori fattispecie che, pur non legate strettamente all’insolvenza, possono emergere in situazioni di forte crisi debitoria:

  • Usura: paradossalmente, il debitore insolvente potrebbe divenire vittima di usurai. Ovviamente essere vittima non è reato, anzi è protetto (ci sono leggi che tutelano chi denuncia l’usuraio). Ma se il debitore stesso, in crisi di liquidità, compie atti di usura verso terzi (es. subaffitta un immobile pretendendo interessi esorbitanti) commetterebbe reato. Non tipico per l’artigiano piastrellista.
  • Violazioni in materia di fallimento societario: se la ditta del piastrellista è una società, ci sono reati come l’omessa presentazione del bilancio (sanzionata amministrativamente), false comunicazioni sociali (se per ottenere credito ha falsificato bilanci), ecc. Questi possono aggravare la posizione dell’imprenditore in difficoltà.
  • Reati di lavoro: il piastrellista per pagare meno potrebbe tentare scorciatoie illecite – ad esempio, impiegare lavoratori in nero sistematicamente, o non versare a lungo lo stipendio ai dipendenti. Il mancato pagamento delle retribuzioni non è di per sé reato (diventa titolo per decreto ingiuntivo dei dipendenti), ma può configurare il reato di appropriazione indebita se riguardasse ad esempio trattamenti di fine rapporto destinati a fondi o simili. Inoltre, se il datore non paga per più mensilità, i dipendenti potrebbero sporgere querela per estorsione se vengono costretti a lavorare gratis sotto minaccia di licenziamento – ipotesi limite, ma da ricordare.

In conclusione, il principio fondamentale per il debitore è: la legge non punisce la mera insolvenza, ma punisce l’insolvenza accompagnata da comportamenti fraudolenti, maliziosi o violazioni gravi di obblighi legali. Un artigiano onesto che, malgrado gli sforzi, non riesce a pagare tutti i debiti, non finirà in carcere per questo. Ma se cerca di farla franca ingannando creditori o Stato, potrebbe incorrere in conseguenze penali. La strada maestra per l’imprenditore in crisi è la trasparenza e l’uso degli strumenti legali consentiti. Fortunatamente, oggi esistono vie d’uscita come abbiamo visto (piani del consumatore, concordati minori, ecc.) che permettono di evitare illegalità. Seguire quei percorsi, magari sopportando qualche sacrificio, è sicuramente preferibile a tentare scorciatoie illecite che spesso portano più problemi di quanti ne risolvano.

Domande frequenti (FAQ)

D: Un artigiano può essere dichiarato fallito?
R: Sì, ma solo se svolge un’attività d’impresa di dimensioni oltre certe soglie. Gli artigiani e i piccoli imprenditori sotto i limiti di legge (attivo ≤ 300.000 €, ricavi ≤ 200.000 €, debiti ≤ 500.000 €) sono considerati “non fallibili” . Ciò significa che, se insolventi, non subiranno una procedura di fallimento tradizionale, ma possono accedere alle procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata). Invece, un artigiano individuale che di fatto abbia superato quei parametri (ad es. debiti per 800.000 €) o una società artigiana di persone/capitali (es. Srl) di dimensioni più grandi può essere assoggettato a liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”). In quest’ultimo caso, la procedura è simile a un fallimento: nomina di un curatore, vendita dei beni e possibili conseguenze penali (bancarotta) in caso di irregolarità. Va notato che le soglie si riferiscono agli ultimi 3 esercizi: se un’impresa artigiana ha superato anche solo in uno di essi i limiti, la valutazione giuridica può essere complessa – ma in generale si tende a considerare la continuità. Dunque, la maggior parte dei piastrellisti artigiani non fallirà, ma userà strumenti ad hoc; tuttavia, forme societarie come una S.n.c. artigiana con esposizioni molto alte potrebbe comunque finire in liquidazione giudiziale su istanza di creditori .

D: I debiti si prescrivono dopo tot anni?
R: Dipende dal tipo di debito. I debiti civili ordinari (prestiti, forniture) in genere hanno prescrizione di 10 anni dal momento in cui il credito è esigibile, a meno che il creditore non compia atti interruttivi (diffide, atti di citazione, ingiunzioni) che fanno ripartire il termine. Alcune categorie hanno termini più brevi: le fatture per forniture periodiche si prescrivono in 5 anni (secondo parte della giurisprudenza), i compensi di liberi professionisti in 3 anni (dopo prestazione se non riconosciuti), gli interessi annuali in 5 anni. I debiti tributari hanno regole proprie: solitamente l’accertamento deve avvenire entro 5 anni dal periodo d’imposta e la cartella va notificata entro termini di decadenza specifici (anche qui 2-3 anni dall’accertamento), dopodiché, una volta notificata la cartella, il diritto di AdER a riscuotere si prescrive in 5 anni se non ci sono intimazioni o atti interruttivi. I contributi INPS pure in 5 anni (recentemente uniformati a 5 anche per i datori di lavoro, salvo atti interruttivi). Attenzione: se un creditore ottiene un titolo giudiziale (es. una sentenza, un decreto ingiuntivo passato in giudicato), quel titolo vale 10 anni e ogni atto esecutivo (pignoramento, precetto) lo rinnova per altri 10. Quindi, dire che “il debito si estingue da solo col tempo” è rischioso: solo l’inattività del creditore porta a prescrizione, e molti creditori interrompono i termini periodicamente. Inoltre, alcune prescrizioni possono essere sospese (ad es. tra coniugi finché dura il matrimonio per certi crediti). In pratica, se sono passati parecchi anni senza alcuna richiesta, può valere la pena far verificare la prescrizione ad un legale e, in caso, eccepirla formalmente: è una difesa potente perché estingue il debito per legge. Ma va sollevata in giudizio; se il debitore paga spontaneamente un debito prescritto, non può poi pretendere indietro.

D: Posso finire in carcere per i miei debiti?
R: Per i debiti civili in quanto tali no: la Costituzione e il codice civile vietano l’arresto o detenzione per l’impossibilità di adempiere obbligazioni civili (salvo il caso delle obbligazioni alimentari, dove si può arrivare a una multa o poco più per chi non mantiene i figli, ma non al carcere per il solo insoluto). Tuttavia, come spiegato, ci sono situazioni in cui l’insolvenza sfocia in reato: ad esempio, se contraggo dolosamente debiti che so di non poter pagare (insolvenza fraudolenta), oppure se dissipo il patrimonio prima di fallire (bancarotta fraudolenta), o se non verso ingenti tributi (omesso versamento IVA) ecc. In questi casi, è il comportamento fraudolento o antigiuridico ad essere punito, non semplicemente l’avere debiti. La stragrande maggioranza dei debitori insolventi non subisce conseguenze penali. Dovrà magari subire pignoramenti, restrizioni finanziarie, ma non perderà la libertà personale. Ciò a patto di non commettere atti illeciti come quelli sopra descritti. È molto importante evitare la tentazione di “nascondere i soldi ai creditori” in modi illegali: se fatto verso il Fisco (sopra soglia di €50.000) è reato di sottrazione fraudolenta ; se fatto verso creditori privati in prossimità di fallimento, integra bancarotta. Quindi, carcere no per i debiti, ma sì per le frodi correlate ai debiti.

D: Ho una casa di proprietà dove abito: posso perderla?
R: Dipende da chi sono i creditori e da alcune caratteristiche dell’immobile. Se il debitore ha debiti col Fisco (es. cartelle Agenzia Riscossione) ed è prima e unica casa, non di lusso, e vi risiede, AdER non potrà pignorarla grazie al divieto di legge introdotto nel 2013. Questo vale anche per i debiti contributivi riscossi da AdER. Tuttavia, AdER può comunque ipotecarla se il debito supera €20.000, impedendone di fatto la vendita finché non paga . Se invece i creditori sono privati (banche, finanziarie, fornitori), oppure se il debitore ha altre case, la protezione “prima casa” non si applica . Ciò significa che qualsiasi creditore munito di titolo esecutivo (sentenza, decreto, cambiale protestata, ecc.) può iscrivere ipoteca giudiziale e, decorso il termine di legge, avviare un pignoramento immobiliare anche sulla casa di abitazione. Nel processo di esecuzione, la casa verrà stimata e messa all’asta; se l’asta va deserta più volte, il giudice può ridurre il prezzo base progressivamente. Alla vendita, dal ricavato si pagheranno i creditori procedenti (secondo grado di ipoteca o pignoramento). Il debitore ha fino all’ultimo la possibilità di evitare la perdita della casa pagando il debito (più spese) o trovando un accordo col creditore (es. vendere la casa privatamente e soddisfare i creditori col prezzo, magari superiore a quello d’asta). Esistono anche strumenti come la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.), che consente al debitore di chiedere di sostituire la cosa pignorata con una somma di denaro equivalente, bloccando l’asta: in pratica, versando una cauzione del 20% e impegnandosi a pagare il resto entro 90 giorni, può “liberare” l’immobile. Ma bisogna avere risorse finanziarie. In sintesi: la casa può essere salva nel confronto col Fisco entro certi limiti, ma non è affatto intoccabile per gli altri creditori. L’unica vera eccezione è se la casa è in fondo patrimoniale e il debito è estraneo a bisogni familiari: ma come abbiamo visto, oggi questa è un’eccezione di difficile applicazione, specie per debiti d’impresa . Dunque un piastrellista con casa di proprietà rischia concretamente di perderla se ha debiti bancari o con fornitori importanti. Potrà valutare soluzioni come la vendita volontaria (magari realizzando un prezzo migliore e trasferendosi in affitto) per pagare i debiti ed evitare l’asta giudiziaria, che spesso svende a valori più bassi.

D: Cosa succede ai beni in fondo patrimoniale?
R: Il fondo patrimoniale protegge i beni conferiti da esecuzioni solo per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni familiari e se il creditore era consapevole di tale estraneità (art. 170 c.c.) . In passato molti ritenevano automatico che i debiti dell’attività lavorativa fossero “estranei” alla famiglia. Ma la Cassazione oggi presume il contrario: i proventi dell’attività servono alla famiglia, dunque i debiti relativi sono per bisogni familiari . Ne consegue che Fisco, banche e fornitori possono aggredire i beni in fondo patrimoniale, contestando che i debiti dell’impresa artigiana servivano indirettamente alla famiglia (mantenimento tramite reddito) . Il debitore dovrebbe provare l’estraneità totale (es. debito per scopi voluttuari) e che il creditore lo sapeva – prova molto difficile . Quindi, di regola, il fondo patrimoniale non impedirà il pignoramento. Inoltre, se il fondo è stato costituito in epoca sospetta, il creditore può farne la revocatoria entro 5 anni , facendone decadere gli effetti protettivi. In più, se fatto per sfuggire al Fisco >€50k, configura reato ex art. 11 D.Lgs. 74/2000 . In pratica, oggi il fondo patrimoniale offre scarsa protezione ai debitori imprenditori: spesso viene “impallinato” dai giudici . Solo per debiti chiaramente personali e voluttuari (e se il creditore ne era consapevole) potrebbe funzionare la difesa. Ma per debiti fiscali e aziendali, difficilmente. Dunque, se la casa o altri beni sono in fondo patrimoniale, non si deve cullare in false sicurezze: conviene studiare altre soluzioni del debito perché la giurisprudenza potrebbe autorizzarne comunque il pignoramento. Anche i beni in fondo, se venduti in sede di liquidazione controllata o fallimento, vanno ai creditori (salvo dimostrare estraneità, il che raramente riesce). In sintesi: il fondo patrimoniale non garantisce che i creditori non toccheranno quei beni; può giusto complicare loro un po’ la vita, ma ora come ora la spunta quasi sempre il creditore.

D: Posso usare un trust o donare i beni ai figli per salvarli dai creditori?
R: Sconsigliato. La donazione ai figli è facilmente impugnabile con azione revocatoria se fatta quando il debitore era già indebitato (fino a 5 anni dopo) e spesso anche se precedente (i creditori possono provare la dolosa preordinazione se c’erano già “sentori” di insolvenza). Inoltre, la donazione fatta per sottrarre beni ai creditori può costituire reato di sottrazione fraudolenta (art. 11) se riguardante debiti fiscali o, se poi si finisce falliti, bancarotta fraudolenta per distrazione. Il trust ugualmente: i giudici guardano alla sostanza, se vedono che un imprenditore ha messo la casa in un trust familiare sapendo di avere debiti, dichiarano il trust non opponibile ai creditori (sequestro e vendita lo stesso) e il comportamento potrebbe essere considerato fraudolento. Esempi giurisprudenziali abbondano: trust liquidatori o familiari istituiti in prossimità del dissesto che vengono ignorati o revocati. Quindi “girare” i beni a parenti o entità fiduciarie non è una soluzione sicura; anzi può peggiorare la situazione aggiungendo contenziosi. L’unico caso in cui il debitore può alienare beni senza rischi di reato è quando lo fa per pagare i debiti stessi (es. vende la casa e usa il ricavato per soddisfare i creditori pro quota – qui non c’è intento di sottrarre, anzi di pagare). Ma vendere per nascondere i soldi su un conto estero, ad esempio, è chiaramente fraudolento e penalmente rilevante. Pertanto, meglio evitare queste vie: se proprio si vuole preservare un bene di famiglia, l’approccio più corretto è negoziare con i creditori (ad es. offrire altri asset o piani in cambio di lasciare la casa) oppure ricorrere a procedure concorsuali che magari prevedono che il bene resti al debitore se i creditori accettano altre risorse (non comune, ma possibile in un concordato).

D: Se muoio con tanti debiti, la mia famiglia dovrà pagarli?
R: I debiti non si trasmettono automaticamente agli eredi: si trasmettono solo se gli eredi accettano l’eredità. La legge consente agli eredi di rinunciare all’eredità del defunto (in tal caso, non ricevono i beni, ma neppure i debiti) o di accettare con beneficio d’inventario, opzione con cui il patrimonio del defunto resta separato da quello dei successori e i debiti si pagano solo entro il valore dell’attivo ereditario. Quindi, se un piastrellista muore lasciando più passività che attività, i suoi eredi faranno bene a valutare una rinuncia pura e semplice (specie se l’attivo è nullo o esiguo) o il beneficio d’inventario (se c’è qualche bene da liquidare per soddisfare parzialmente i creditori, senza intaccare il loro patrimonio personale). Occorre fare queste dichiarazioni formali entro tempi precisi (3 mesi per inventario se si è in possesso dei beni, 10 anni max per rinuncia se nulla si è toccato, ma in pratica prima è meglio è). Se i figli rinunciano, i creditori del defunto possono tentare di farsi autorizzare ad accettare l’eredità in loro favore per liquidare i beni (successione giacente), ma gli eredi avranno comunque “salvato” il proprio patrimonio. Discorso diverso se ci sono fideiussioni o coobbligati vivi: quelli resteranno obbligati anche dopo la morte dell’artigiano (perché la loro obbligazione è autonoma). Ad esempio, se la moglie ha firmato da garante, la morte del marito debitore principale non la libera: la banca potrà aggredire lei come fideiussore. Ma per il resto della famiglia non obbligata, vale il detto: mors debitoris solvit obligationem, la morte del debitore chiude i suoi debiti (nei limiti del suo patrimonio). Non a caso, molti creditori preferiscono avviare procedure di pignoramento prima che il debitore anziano eventualmente deceda, perché poi con eredi ostili il recupero diventa complicato (dovendo aprire successione, nominare curatore, ecc.). Un aspetto importante: i debiti con lo Stato (fiscali, multe) non si trasmettono agli eredi se l’eredità è rinunciata, tranne quelli per sanzioni amministrative (che si estinguono proprio con la morte del trasgressore). Le imposte invece passerebbero agli eredi accettanti, ma se rinunciano, lo Stato non può rivalersi (salvo ipoteche etc. sul patrimonio del de cuius). Quindi, la famiglia ha modo di non essere caricata dei debiti del congiunto defunto, a costo però di perdere anche l’eventuale patrimonio attivo ereditario.

D: Se ottengo l’esdebitazione, i miei precedenti debiti sono cancellati anche dalle banche dati?
R: L’esdebitazione (sia da procedura di sovraindebitamento sia da fallimento) libera il debitore dall’obbligo legale di pagare i debiti residui, che diventano inesigibili. Tuttavia, il “curriculum” creditizio del debitore rimane segnato per un certo periodo. In Centrale Rischi della Banca d’Italia, ad esempio, le sofferenze vengono aggiornate se c’è un accordo o una procedura concorsuale: di solito viene segnalato che il credito è stato chiuso per “saldo a stralcio” o “remissione debito”, e resta storicizzato almeno per 36 mesi dalla data di aggiornamento finale. Anche nei SIC privati (CRIF, Experian) un debito non rimborsato per intero rimane come segnalazione di insoluto per qualche anno, sebbene se c’è stata una procedura concorsuale ciò possa risultare (ad esempio, come “conto chiuso a seguito di procedura di composizione della crisi”). Dopo un tot di anni (in genere 36 mesi dalla chiusura), le segnalazioni negative vengono cancellate. Inoltre, le informazioni di fallimento personale o procedura concorsuale appaiono nei Registri Pubblici (il Registro delle Insolvenze tenuto presso il tribunale e, per le imprese, il Registro Imprese). Ma per un privato non imprenditore, l’esdebitazione non è pubblicizzata oltre (anche se per legge potrebbe essere annotata nei registri anagrafici su istanza, ma non mi risulta prassi). Dunque, l’effetto è che il soggetto può tornare a indebitarsi lecitamente, anche se nel breve periodo alcune banche potrebbero essere diffidenti nel concedere credito fresco sapendo che ha appena “stralciato” debiti pregressi. Non ci sono però preclusioni legali: ad esempio, dopo l’esdebitazione il debitore può aprire una nuova attività, anche in forma societaria (nel fallimento ante 2006 c’erano interdizioni quinquennali, oggi no se esdebitato). Tuttavia, attenzione: l’esdebitazione non cancella eventuali ipoteche iscritte sui beni prima della procedura. Se ad esempio la casa del debitore non è stata venduta e su essa grava ipoteca di un creditore soddisfatto parzialmente in procedura, quell’ipoteca potrebbe rimanere come peso (perché il credito, sebbene inesigibile dal debitore, rimane a carico del bene vincolato verso un terzo acquirente). In pratica l’ipoteca resta finché il credito non è estinto integralmente o il creditore la cancella volontariamente. Quindi, conviene occuparsi di farla cancellare (spesso i creditori la mantengono come leva nel caso il bene venga venduto a terzi). Comunque, dal punto di vista del debitore persona fisica, dopo l’esdebitazione i vecchi creditori non potranno più avanzare pretese personali e ciò consente di ripartire economicamente.

D: Vale la pena cercare un finanziamento per consolidare i debiti?
R: Dipende. Se il piastrellista gode ancora di un minimo di affidabilità creditizia, potrebbe pensare di chiedere un prestito di consolidamento (ad esempio un mutuo ipotecario sulla casa) per pagare tutti i debiti e rimanere con una sola rata più sostenibile. Questa soluzione può funzionare se il livello di indebitamento non è ancora eccessivo e se c’è un garante o bene su cui la banca conceda un nuovo credito. Tuttavia, spesso chi è in grave crisi non ha accesso a nuovi prestiti (perché risulta già segnalato male). Inoltre, consolidare debiti con ipoteca significa talvolta mettere a rischio la casa per debiti che prima erano chirografari – quindi attenzione. È preferibile consolidare se il nuovo prestito ha condizioni nettamente migliori (tasso più basso, durata lunga) e se con quello si chiude completamente coi creditori vecchi (ottenendo liberatorie da ognuno). Una alternativa per chi ha un immobile libero è la rinegoziazione del mutuo o surroga se il tasso è alto, in modo da abbassare la rata e liberare risorse per altri debiti. Va detto che affidarsi a finanziarie poco serie che promettono consolidamenti miracolosi può finire male: alcuni debitori, pur di evitare procedure concorsuali, si buttano in prestiti a tassi elevatissimi da operatori borderline, peggiorando la situazione (es. cessione del quinto su pensione già bassa, che risolve poco e impoverisce di più il debitore). Quindi sì a consolidare se la banca primaria ancora supporta e se c’è un reale risparmio; no a indebitarsi ulteriormente con finanziatori opachi. In certi casi, meglio dichiarare default e usare la legge che fare la “robo de’ San Pietri” (prendere a prestito per pagare altri e poi avere un buco più grande). Una valutazione va fatta con un consulente indipendente.

D: Qual è la differenza tra sovraindebitamento e fallimento?
R: In breve, il sovraindebitamento è la situazione di insolvenza o squilibrio economico in cui versano soggetti non fallibili (privati, piccoli imprenditori, professionisti) . Le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata) sono procedure concorsuali semplificate destinate a questi soggetti e finalizzate alla regolazione della crisi con possibile esdebitazione. Il fallimento (ora chiamato liquidazione giudiziale) è invece la procedura concorsuale tradizionale applicabile agli imprenditori commerciali medio-grandi e alle società di capitali di certe dimensioni. In pratica: entrambe portano a liquidare il patrimonio e liberare dai debiti, ma il fallimento è più complesso, costoso e stigmatizzante, con possibili sanzioni personali (interdizioni, reati fallimentari) e con l’intervento d’ufficio di tribunale su istanza di creditori. Le procedure di sovraindebitamento sono spesso volontarie (le chiede il debitore stesso) e calibrate sulla sua realtà; inoltre, in quelle il debitore talvolta conserva la gestione se c’è un piano, cosa che nel fallimento non accade (il curatore prende in mano tutto). Quindi, per un piastrellista, meglio trovarsi a dire “ho fatto un piano del consumatore e sono uscito dai debiti” che “sono stato dichiarato fallito”. La seconda ipotesi coinvolge anche aspetti reputazionali (il fallimento è pubblicato sul Registro Imprese, il piano del consumatore no). Infine, nelle procedure da sovraindebitamento c’è più spazio per la reintegrazione economica del debitore: ad es. la esdebitazione dell’incapiente non esiste nel fallimento ordinario (dove qualcosa va comunque liquidato se c’è). Nel CCII anche il fallito ha diritto all’esdebitazione di diritto se rispetta condizioni, ma il concetto di fondo rimane: le procedure “minori” sono più orientate alla fresh start della persona fisica, mentre il fallimento tradizionale era più punitivo.

D: Cosa succede se durante un piano di rientro (o una procedura concordataria) non riesco a rispettare i pagamenti?
R: Se hai negoziato privatamente un piano dilazionato con un creditore e poi non rispetti una rata, in genere l’accordo prevede la decadenza dal beneficio: il creditore potrà immediatamente agire per il saldo intero (magari riprendendo un pignoramento sospeso). Tuttavia, spesso i creditori, se vedono buona fede, possono ridiscutere le scadenze. Se invece stiamo parlando di un piano del consumatore o concordato minore omologato dal tribunale, il mancato adempimento può portare alla risoluzione della procedura: i creditori chiedono al giudice di dichiarare risolto il concordato/piano per inadempimento e riacquistano pieni diritti sui debiti originari (dedotto quanto eventualmente già incassato). Nel caso di concordato minore, la risoluzione può essere dichiarata su istanza di creditore se il debitore manca di eseguire gli obblighi. Dopodiché i creditori possono agire esecutivamente come se la procedura non vi fosse mai stata (però le somme già pagate restano acquisite per loro). Per il piano del consumatore, il CCII prevede all’art. 268 la possibilità di revoca dell’omologazione se risulta che il debitore ha dolosamente o con colpa grave violato i doveri assunti (o ha occultato beni). Se revocato, i creditori ritornano alla carica. In liquidazione controllata, se il debitore non collabora o emergono atti in frode, può decadere dai benefici e alla fine il giudice può negare l’esdebitazione. Ad esempio, se si scopre che il debitore aveva nascosto un bene di valore durante la liquidazione, il giudice può escluderlo dalla liberazione dei debiti. Quindi, è fondamentale, una volta intrapresa una soluzione, fare di tutto per rispettarla. Se sopraggiunge un imprevisto (es. malattia, perdita del nuovo lavoro), meglio rivolgersi subito all’OCC o ai legali per cercare una modifica del piano (a volte possibile) o misure protettive aggiuntive, piuttosto che far passare il tempo inadempiendo. Da notare che nell’ambito concorsuale c’è la possibilità di chiedere al tribunale di posticipare alcune scadenze o modificare il piano se la situazione lo impone, ma serve l’assenso dei creditori o condizioni particolari (nel concordato preventivo ad esiste la possibilità di modica minore entro certi limiti). Nel concordato minore, per analogia, si potrebbe presentare un nuovo piano se prima non era deliberatamente inadempiente ma per cause di forza maggiore. Comunque, se tutto fallisce e la procedura viene meno, restano aperte altre strade? In genere se un piano fallisce, l’ultima spiaggia è la liquidazione controllata: i creditori magari chiederanno quella (o la conversione a quella). Se anche quella era già stata fatta e sei inadempiente su eventuali obblighi post-liquidazione, rischi di non avere l’esdebitazione. Insomma, non rispettare un accordo o un piano ha conseguenze gravi: i creditori riacquisiscono pieno titolo e probabilmente meno pazienza di prima.

D: Posso aprire una nuova attività se sono sovraindebitato o durante/ dopo la procedura?
R: Prima della procedura, se sei pieno di debiti ma non fallito, legalmente puoi aprire, ad esempio, un’altra ditta individuale o società. Non ci sono restrizioni legali – ma aprire una nuova attività senza aver sistemato i debiti precedenti può essere rischioso, perché i vecchi creditori potrebbero subito aggredire i nuovi guadagni o beni della nuova impresa. Durante una procedura di concordato minore, se è in continuità, stai proprio proseguendo la tua attività, quindi sì continui a operare (sotto vigilanza OCC). Se invece hai optato per liquidazione, formalmente la tua impresa cessa (la partita IVA può essere chiusa su istanza). Potresti aprire un’altra ditta individuale? Non è vietato aprire una nuova P.IVA, ma se stai liquidando il patrimonio per i debiti, qualsiasi nuovo guadagno significativo potrebbe essere acquisito per i creditori (soprattutto se ancora in procedura). Meglio attendere fine procedura. Dopo aver ottenuto l’esdebitazione, nulla vieta di tornare a fare impresa. Se eri socio di società fallita, dopo l’esdebitazione puoi anche costituirne una nuova (prima c’era uno stigma ma oggi no). Certo, potresti trovare difficoltà pratiche: ad esempio le banche potrebbero negarti fidi inizialmente, e fornitori potrebbero essere prudenti se sanno del passato. Ma legalmente, sei una persona “pulita” debitoriamente. Nota: nel caso di esdebitazione dell’incapiente, la legge vieta di concederla di nuovo per almeno 8 anni, e anche di accedere ad altre procedure concorsuali prima di 4 anni. Ciò per evitare che uno faccia incapienza, riparta e tra 2 anni rifaccia altri debiti e chieda altro stralcio. Quindi se riparti con impresa, dovrai stare attento a non ricadere subito nel sovraindebitamento perché non potresti ottenere un altro “perdono” tanto facilmente.

D: I debiti fiscali e contributivi possono essere stralciati nelle procedure?
R: Sì, ma con qualche particolarità. Nelle procedure di sovraindebitamento e concordatarie i debiti fiscali e contributivi rientrano tra i crediti privilegiati (per la parte di tributi con privilegio generale mobiliare come IVA, ritenute, e contributi Inps) o chirografari (per sanzioni e interessi eccedenti). La regola generale nei concordati è che i crediti privilegiati vanno pagati almeno in misura pari al valore di realizzo dei beni su cui hanno privilegio. In pratica, il fisco non può ricevere meno di quanto otterrebbe vendendo i beni del debitore su cui vanta privilegio. Se il debitore è nullatenente o quasi, paradossalmente questo consente anche di pagare poco il fisco (perché se non ci sono beni, neanche il fisco avrebbe soddisfazione). Nel piano del consumatore, il giudice può anche omologare senza il voto del fisco un pagamento parziale, purché ritenga che il piano è l’unica via e che il trattamento dell’Erario è equo in rapporto agli altri. Nella liquidazione controllata, invece, i crediti fiscali vengono soddisfatti in ordine di privilegio: ad es. prima i crediti per ritenute (privilegio di grado più alto), poi IVA, poi contributi, poi eventuale residuo. Se non c’è abbastanza attivo, rimangono insoddisfatti e vengono esdebitati (le sanzioni pecuniarie per definizione sono inesigibili dopo la procedura). C’è un particolare per l’IVA: la Corte di Giustizia UE in passato aveva detto che uno Stato può ammettere la falcidia dell’IVA in procedure di insolvenza solo se c’è giustificazione e trattamento equo; l’Italia lo permette nei concordati con continuità aziendale, mentre nei liquidatori ci sono state discussioni. Ormai comunque la cancellazione parziale dell’IVA è considerata lecita nelle procedure concorsuali se fatta secondo la legge (il CCII ha recepito la Direttiva UE 2019/1023 che incoraggia composizioni del debito, quindi anche i tributi possono essere stralciati, fatta salva la valutazione del tribunale sull’equità). In sintesi: , i debiti con Agenzia Entrate e INPS possono essere trattati e ridotti in un piano o concordato, e alla fine esdebitati (lo Stato viene trattato come un creditore qualunque per la parte chirografaria). Ci sono però casi esclusi: l’esdebitazione non libera dalle sanzioni penali e relative multe penali, nonché dalle obbligazioni di mantenimento e alimenti. Quindi, se per esempio il piastrellista aveva una multa penale da 5.000 € per un reato, quella non si cancella; se aveva debiti per assegni di mantenimento ai figli non pagati, quelli restano (perché sono debiti alimentari). Il fisco e contributi invece sono cancellabili, compresi gli interessi e sanzioni amministrative relative (che anzi in molti casi vengono pagate zero in procedure). Vale la pena ricordare che a volte l’Erario fa opposizione in tribunale se ritiene che il piano offra troppo poco rispetto a possibili scenari: l’Agenzia Entrate ha linee guida interne per votare sì/no nei concordati o piani. Se offre meno del 5% di IVA di solito votano no, ma il giudice può omologare lo stesso se il dissenso è irragionevole nel piano del consumatore. Nelle procedure minori, l’erario partecipa e spesso è comprensivo se c’è trasparenza. L’importante è non nascondere nulla al fisco, perché se scoprono beni occulti possono far saltare l’esdebitazione per frode.

D: Conviene affrontare la crisi da soli o farsi aiutare da un esperto?
R: Decisamente conviene farsi aiutare. La materia è complessa – come si evince da questa guida – e improvvisare soluzioni fai-da-te può portare a errori irreversibili (ad es. un’opposizione mal proposta, una trattativa condotta male, o ignorare la finestra per certe procedure). Rivolgersi a un professionista specializzato (un avvocato esperto in diritto fallimentare o un commercialista esperto in crisi d’impresa iscritto come OCC) è fondamentale. Inoltre, molte scelte (attivare un piano, presentare un’istanza di liquidazione, ecc.) richiedono per legge l’assistenza di un OCC o di un legale. Gli organismi di composizione della crisi (OCC) istituiti presso gli Ordini e le Camere di Commercio possono offrire una prima consulenza e assegnare un gestore esperto. Ci sono anche associazioni di categoria e di consumatori che aiutano sovraindebitati. L’importante è non isolarsi: il fai-da-te spesso degenera in procrastinazione (si spera nel colpo di fortuna, nel prossimo lavoro che andrà bene) e intanto i debiti lievitano. Almeno un confronto con un esperto consente di capire se la situazione è rimediabile con un accordo semplice o se serve un intervento più strutturato. Molti artigiani esitano per orgoglio o vergogna a chiedere aiuto, ma i professionisti hanno visto tanti casi simili e sanno come muoversi senza giudizio morale. Tra l’altro, da luglio 2022 esiste una procedura chiamata composizione negoziata per la soluzione della crisi (D.L. 118/2021, ora nel CCII) pensata per le imprese, anche minori, che prevede la nomina di un esperto indipendente che aiuta l’imprenditore a trovare un accordo con i creditori. Potrebbe essere applicabile ad una ditta artigiana che vuole evitare concorsuali formali: si accede tramite piattaforma CCII online. Anche qui serve assistenza tecnica, ma è un percorso protetto. Quindi, conviene sfruttare gli strumenti esistenti con chi li conosce. In sintesi: affrontare la crisi con l’aiuto di professionisti aumenta di molto le chance di uscirne con minor danni, e spesso consente di risparmiare soldi (evitando cause perse o pignoramenti che avrebbero preso più del compenso dell’esperto).

Hai un’attività di posa piastrelle o lavori come artigiano edile e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai un’attività di posa piastrelle o lavori come artigiano edile e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento, o temi pignoramenti, fermi amministrativi o blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione o dei creditori?

👉 Prima regola: agisci subito, non aspettare che la situazione peggiori.
Molti piastrellisti e artigiani edili finiscono in difficoltà per ritardi nei pagamenti, aumento dei costi dei materiali o errori nella gestione contabile e fiscale.
Con una difesa legale e fiscale ben pianificata, puoi bloccare le azioni esecutive, ristrutturare i debiti e proteggere la tua attività e la tua reputazione professionale.


⚖️ Le cause più comuni di indebitamento nei piastrellisti

  • Ritardi nei pagamenti da parte di imprese, cantieri o clienti privati.
  • Aumento dei costi di materiali e forniture.
  • Mancato versamento di IVA, IRPEF o contributi INPS artigiani.
  • Errori nella gestione della contabilità o nelle dichiarazioni fiscali.
  • Cartelle esattoriali e sanzioni accumulate nel tempo.
  • Mutui o leasing onerosi per mezzi e attrezzature.
  • Calo delle commesse o crisi del settore edilizio.

📌 I rischi per un piastrellista indebitato

  • Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti e incassi.
  • Fermi amministrativi su veicoli e mezzi di lavoro.
  • Iscrizioni ipotecarie su immobili o depositi.
  • Blocco dei crediti IVA o dei rimborsi fiscali.
  • Revoca di linee di credito o affidamenti bancari.
  • Rischio di chiusura o liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza.

🔍 Cosa fare subito

  1. Analizza la tua situazione debitoria, distinguendo tra debiti fiscali, contributivi e bancari.
  2. Verifica la legittimità delle cartelle e degli atti notificati, poiché molte contengono vizi o debiti prescritti.
  3. Blocca eventuali azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, fermi) con ricorsi o istanze di sospensione.
  4. Richiedi una rateizzazione o valuta una definizione agevolata (“rottamazione”), se disponibile.
  5. Affidati a un avvocato tributarista esperto, per pianificare una strategia di difesa e risanamento concreta.

🧾 Strumenti per difendersi e risolvere i debiti

💠 Rateizzazione delle cartelle

Puoi chiedere una rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo pignoramenti e azioni di riscossione.

💠 Definizione agevolata o “rottamazione”

Quando disponibile, consente di pagare solo l’imposta dovuta, eliminando sanzioni e interessi di mora.

💠 Istanza di autotutela o ricorso tributario

Permette di contestare cartelle o atti fiscali errati, bloccando la riscossione illegittima.

💠 Composizione negoziata della crisi

Uno strumento moderno per negoziare con Fisco, banche e fornitori, salvando la continuità della tua impresa artigianale.

💠 Piano di risanamento aziendale

Con una consulenza legale e contabile, puoi ristrutturare i debiti, ridurre i costi e proteggere la tua attività artigianale.


🛠️ Strategie di difesa per un piastrellista indebitato

  • Analizzare ogni cartella e atto notificato per individuare errori o prescrizioni.
  • Contestare pignoramenti, ipoteche o fermi amministrativi non legittimi.
  • Dimostrare la crisi temporanea di liquidità per ottenere rateizzazioni agevolate.
  • Attivare accordi di rientro con Fisco, banche e fornitori.
  • Proteggere attrezzature, veicoli e strumenti di lavoro da azioni esecutive.
  • Migliorare la gestione fiscale e contabile per evitare nuovi debiti futuri.

⚖️ Perché agire subito è fondamentale

Nel lavoro del piastrellista, la continuità dei cantieri e delle forniture è essenziale.
Un pignoramento o il blocco dei conti può fermare i lavori e causare la perdita di clienti e imprese appaltanti.
Agire tempestivamente consente di:

  • Bloccare cartelle e pignoramenti.
  • Difendere la tua attività e la tua reputazione.
  • Rinegoziare i debiti e ridurre l’esposizione fiscale.
  • Ritrovare equilibrio economico e serenità professionale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la tua posizione debitoria e la documentazione ricevuta.
  • 📌 Valuta la legittimità delle cartelle e la possibilità di sospensione o rateizzazione.
  • ✍️ Predispone piani di risanamento, istanze di autotutela e ricorsi tributari personalizzati.
  • ⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e alla Corte di Giustizia Tributaria.
  • 🔁 Offre consulenza continuativa su fiscalità artigianale, tutela patrimoniale e gestione della crisi d’impresa.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
  • ✔️ Specializzato nella difesa di piastrellisti, artigiani e imprese edili contro debiti fiscali, bancari e contributivi.
  • ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Un piastrellista con debiti può risanare la propria impresa e ripartire, ma serve agire subito con il supporto di un professionista esperto.
Con una difesa legale e fiscale ben strutturata, puoi bloccare cartelle e pignoramenti, ridurre i debiti e tutelare la tua attività artigianale e la tua reputazione.
Agire oggi significa salvare la tua impresa, i tuoi cantieri e il futuro del tuo lavoro.


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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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