Cosa Succede Se Una SRL Non Riesce A Pagare I Debiti?

Ti stai chiedendo cosa succede se una S.r.l. non riesce più a pagare i debiti?
Quando una società a responsabilità limitata entra in difficoltà finanziaria e non riesce più a onorare i pagamenti verso Fisco, banche, fornitori o dipendenti, la legge considera questa una situazione di crisi d’impresa.
Non intervenire tempestivamente può portare a gravi conseguenze legali e patrimoniali per la società e per gli amministratori. Tuttavia, con gli strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), è possibile agire per tempo e ristrutturare i debiti, evitando il fallimento e tutelando la continuità aziendale.

I segnali che indicano una crisi della S.r.l.
Una società è considerata in crisi quando si verificano una o più delle seguenti condizioni:

  • Incapienza di cassa: la società non riesce più a pagare fornitori, stipendi o contributi nei tempi dovuti.
  • Debiti fiscali o contributivi accumulati, con cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento non saldate.
  • Inadempimenti bancari: rate di mutui o leasing non pagate e revoca degli affidamenti.
  • Fornitori che interrompono i rapporti commerciali a causa dei mancati pagamenti.
  • Segnalazioni di allerta esterna da parte dell’Agenzia delle Entrate, INPS o banche, come previsto dal Codice della Crisi.

Cosa succede se la S.r.l. non paga i debiti

  1. Intervento dei creditori – I creditori possono agire legalmente chiedendo pignoramenti, sequestri o procedure esecutive contro la società.
  2. Responsabilità dell’amministratore – Se la crisi non viene gestita correttamente, l’amministratore può essere ritenuto personalmente responsabile dei danni causati ai creditori per mala gestio o per non aver attivato gli strumenti previsti dalla legge.
  3. Segnalazione di insolvenza – Gli enti pubblici (Agenzia delle Entrate, INPS, Agenzia della Riscossione) possono segnalare la situazione di insolvenza alla Camera di Commercio.
  4. Avvio delle misure di allerta – L’amministratore deve valutare l’attivazione della composizione negoziata della crisi, per cercare un accordo con Fisco, banche e fornitori.
  5. Rischio di liquidazione giudiziale (ex fallimento) – Se la società non interviene per tempo, i creditori possono chiedere la liquidazione giudiziale, con la perdita della continuità aziendale e la chiusura della S.r.l.

Come può intervenire l’amministratore per evitare la chiusura
La legge offre diversi strumenti per risanare la S.r.l. in difficoltà, tra cui:

  • Composizione negoziata della crisi: un percorso volontario e riservato che consente di negoziare con Fisco e creditori un piano di risanamento sostenibile, con l’assistenza di un esperto nominato dalla Camera di Commercio.
  • Piano di risanamento attestato (art. 56 del Codice della Crisi): un accordo certificato da un professionista indipendente che consente alla società di ristrutturare i debiti e proseguire l’attività.
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57): accordi formali con i creditori, anche fiscali, approvati dal Tribunale e vincolanti per le parti.
  • Concordato preventivo in continuità: una procedura che permette di continuare l’attività sotto controllo giudiziale, mentre si esegue un piano di rientro.

Come difendersi da debiti fiscali e cartelle esattoriali
Un avvocato tributarista esperto in crisi d’impresa può aiutare a:

  • Bloccare le azioni di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche) mediante istanze o ricorsi;
  • Negoziare con l’Agenzia delle Entrate e l’INPS piani di rateizzazione o saldo e stralcio dei debiti;
  • Attivare una composizione negoziata della crisi, sospendendo le procedure esecutive;
  • Proteggere i beni aziendali e personali dei soci e degli amministratori;
  • Evitare responsabilità patrimoniali e penali dovute all’omessa gestione della crisi.

Cosa può ottenere una S.r.l. che agisce in tempo

  • La sospensione delle azioni di riscossione e dei pignoramenti.
  • La riduzione complessiva dei debiti fiscali e commerciali.
  • La ristrutturazione dei debiti aziendali tramite accordi con i creditori.
  • La protezione del patrimonio aziendale e personale.
  • La salvaguardia dei posti di lavoro e della continuità aziendale.
  • Il ripristino della reputazione commerciale e finanziaria.

⚠️ Attenzione: ignorare i segnali di crisi o i debiti fiscali può condurre alla liquidazione giudiziale (ex fallimento) e alla responsabilità personale degli amministratori.
Il Codice della Crisi non è una punizione, ma un’opportunità: se utilizzato per tempo, consente di salvare la S.r.l., ristrutturare i debiti e garantire la continuità dell’impresa.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e risanamento aziendale – spiega cosa succede se una S.r.l. non riesce a pagare i debiti, quali rischi corrono amministratori e soci e come utilizzare il Codice della Crisi per salvare e rilanciare l’azienda.

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Introduzione

Una Società a Responsabilità Limitata (SRL) che non riesce a pagare regolarmente i propri debiti si trova in una situazione di crisi finanziaria potenzialmente evolutiva in insolvenza. In Italia, il quadro normativo è stato profondamente rinnovato con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022) , che ha sostituito la vecchia legge fallimentare. Il CCII ha introdotto nuovi strumenti per prevenire e gestire la crisi prima di arrivare alla liquidazione giudiziale (il “fallimento” in terminologia previgente) . In questa guida aggiornata a settembre 2025 esamineremo in dettaglio cosa succede quando una SRL non paga i debiti, dal punto di vista del debitore (amministratori e soci della società), con un taglio giuridico avanzato ma dal taglio divulgativo.

Scopo della guida: fornire ad avvocati, imprenditori e privati una panoramica completa sulle conseguenze legali, civilistiche, fiscali e penali dell’insolvenza di una SRL, nonché sugli strumenti di soluzione della crisi previsti dal diritto italiano aggiornato al 2025. Saranno inclusi riferimenti normativi e sentenze recenti, tabelle riepilogative, esempi pratici con dati numerici e una sezione di domande e risposte frequenti. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono elencate in fondo alla guida.

Premessa fondamentale – Autonomia patrimoniale: una SRL gode di autonomia patrimoniale perfetta: risponde dei debiti solo con il proprio patrimonio sociale, e in linea generale soci e amministratori non ne rispondono con i beni personali . Questo principio (art. 2462 c.c.) è il fondamento della responsabilità limitata. Ad esempio, se una SRL fallisce avendo 100.000 € di debiti verso fornitori ma solo 20.000 € di attivo recuperabile, i fornitori subiranno una perdita di 80.000 € e non possono chiedere ai soci o agli amministratori di coprirla di tasca propria . Tuttavia, come vedremo, esistono eccezioni e responsabilità personali in caso di comportamenti illeciti o gestione non diligente da parte degli amministratori, nonché casi in cui i soci o gli stessi amministratori abbiano fornito garanzie personali per i debiti della società (es. fideiussioni bancarie) . Inoltre, se la società viene liquidata volontariamente e cancellata, i creditori insoddisfatti possono agire contro i soci per recuperare quanto da questi percepito in sede di liquidazione (nei limiti di quanto riscosso) – ma questo riguarda la fase finale e non implica una responsabilità illimitata generale, bensì un’azione restitutoria specifica (art. 2495 c.c.).

Crisi vs insolvenza: il CCII distingue lo stato di crisi (squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza futura) dallo stato di insolvenza vero e proprio (incapacità attuale di pagare regolarmente le obbligazioni esigibili) . In pratica, una SRL è in crisi quando subisce gravi perdite, tensioni di liquidità e altri indicatori negativi ma potrebbe ancora risanarsi; diventa insolvente quando cessa i pagamenti in modo non temporaneo e i creditori iniziano ad agire (pignoramenti, decreti ingiuntivi) senza successo a causa dell’insufficienza di risorse . La legge incoraggia ad affrontare la crisi prima che degeneri in insolvenza conclamata, attivando per tempo gli strumenti di regolazione previsti. Quando l’insolvenza conclamata si verifica, scattano invece procedure più drastiche (concordato preventivo o liquidazione giudiziale) e possibili responsabilità per la gestione tardiva.

Obblighi di allerta e prevenzione: dal 2019 gli amministratori di SRL hanno il dovere di istituire assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c. e art. 3 CCII) per rilevare tempestivamente i segnali di crisi . Ciò significa tenere una contabilità accurata, monitorare attivamente indicatori come perdite di esercizio, capitale netto, flussi di cassa, debiti scaduti, ecc. Vi sono indicatori presuntivi di crisi indicati dalla legge e dagli organi di controllo (es. debiti verso dipendenti e fornitori scaduti da oltre un certo periodo, scoperti bancari prolungati) . Inoltre, esistono obblighi di segnalazione da parte di organi di controllo interni (sindaci, revisori) e creditori pubblici: ad esempio, Agenzia Entrate, INPS ed enti fiscali/previdenziali devono segnalare formalmente all’impresa quando i debiti scaduti superano soglie rilevanti (allerta esterna) . Tali segnalazioni (secondo l’art. 25-novies CCII) dovrebbero spronare l’amministratore ad attivarsi subito (ad esempio richiedendo la composizione negoziata della crisi) per evitare aggravamenti . L’inosservanza di questi obblighi può aggravare la posizione degli amministratori, esponendoli a responsabilità civili (verso la società e, in caso di insolvenza, verso i creditori) e attenuanti in caso di condotte virtuose: per contro, l’art. 24 CCII prevede premialità per l’imprenditore che tempestivamente attiva strumenti di composizione, ad esempio in termini di attenuazione di eventuali sanzioni .

Struttura della guida: nei paragrafi seguenti analizzeremo:

  • Le diverse tipologie di debiti che una SRL può avere (verso fornitori, banche, Fisco, enti previdenziali, dipendenti, soci finanziatori, ecc.) e come ciascuna categoria di credito viene trattata in caso di insolvenza.
  • Gli strumenti legali per gestire la crisi o l’insolvenza prima del fallimento: composizione negoziata, piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) e il particolare concordato semplificato post-composizione negoziata. Per ciascuno vedremo presupposti, procedura, vantaggi/svantaggi e novità normative fino al 2025.
  • Le responsabilità degli amministratori di una SRL che non paga i debiti: doveri di azione tempestiva, responsabilità civile verso società e creditori (es. ex art. 2486 c.c. in caso di aggravamento del dissesto) , possibili responsabilità penali (es. bancarotta semplice o fraudolenta se la società fallisce e vi sono state irregolarità, reati tributari per omesso versamento di imposte o contributi) e amministrative (sanzioni pecuniarie per omessi versamenti).
  • Le possibili soluzioni stragiudiziali o giudiziali dal punto di vista del debitore per fronteggiare i creditori: come comportarsi con il Fisco (Agenzia delle Entrate ed Agenzia Entrate-Riscossione), con l’INPS, con le banche e con i fornitori; come fermare o evitare azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche) e negoziare piani sostenibili.
  • Aspetti pratici operativi: saranno fornite tabelle riepilogative, simulazioni di casi tipici (es. una piccola SRL schiacciata dai debiti fiscali, una media impresa manifatturiera da ristrutturare, una SRL immobiliare senza prospettive da liquidare, e un esempio virtuoso di risanamento precoce), e infine una sezione di FAQ (domande e risposte frequenti).

Al termine, un’ampia sezione elencherà tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, con riferimenti a leggi, articoli del Codice e sentenze rilevanti (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale, Tribunali, ecc., fino al 2025).

Tipologie di debiti di una SRL e loro trattamento

Una SRL può contrarre vari tipi di debiti, ognuno dei quali presenta caratteristiche giuridiche specifiche e un diverso grado di priorità e rischio in caso di insolvenza. È utile mappare i principali debiti che una SRL insolvente potrebbe avere, perché le conseguenze e le tutele dei creditori variano a seconda della natura del credito:

  • Debiti verso fornitori (commerciali): derivano da fatture non pagate per forniture di beni o servizi. Sono in genere crediti chirografari (non garantiti) e postergati rispetto ai crediti privilegiati. In caso di insolvenza, i fornitori non pagati possono agire legalmente (decreto ingiuntivo, pignoramento); se però la situazione è generale e la società viene ammessa a una procedura concorsuale, i fornitori saranno soddisfatti pro-quota insieme agli altri creditori chirografari, in base a quanto ricavato dall’attivo residuo . Nelle procedure concorsuali ordinarie i creditori chirografari recuperano spesso solo una percentuale ridotta del loro credito (talora pochi centesimi per euro). Va segnalato che i fornitori con crediti modesti spesso non hanno la convenienza economica ad iniziative individuali, ma possono unirsi ad altri creditori nell’istanza di fallimento. Esempio: se la società Alfa Srl non paga una fattura da €10.000 a un fornitore e altri creditori restano insoddisfatti, un fornitore può chiedere il fallimento della società se ricorrono i presupposti, oppure la sua azione esecutiva individuale potrebbe venire sospesa dall’apertura di una procedura concorsuale collettiva.
  • Debiti verso banche e finanziamenti: includono mutui, finanziamenti, scoperti di conto corrente o fidi. Spesso sono assistiti da garanzie (ad esempio ipoteche su immobili sociali, pegni su beni mobili o scorte, oppure fideiussioni personali di soci/amministratori). Se la SRL è insolvente, la banca è di frequente il creditore più importante e può: (a) revocare gli affidamenti (salvo il divieto di revoca “in bianco” se è in corso una composizione negoziata con misure protettive concesse ); (b) escutere le garanzie: ad esempio, se c’è un’ipoteca, la banca può agire esecutivamente sull’immobile ipotecato; se ci sono fideiussioni, escuterle contro i garanti personali; (c) presentare istanza di fallimento. Nelle procedure concorsuali, i crediti bancari garantiti da ipoteca o pegno sono privilegiati sui beni dati in garanzia: verranno soddisfatti preferenzialmente col ricavato di quei beni (art. 153 CCII) . Se il ricavato non copre l’intero debito, la parte residua diventa chirografaria . Le banche non garantite, invece, concorrono come chirografarie. È prassi comune che le banche, prima di erogare credito a una PMI, richiedano ai soci o amministratori una garanzia personale (fideiussione): in tal caso, se la società non paga, la banca agirà anche contro il garante per l’intero importo dovuto, indipendentemente dalla procedura concorsuale. Dunque, dal punto di vista del debitore, un’insolvenza verso la banca può ripercuotersi sul patrimonio personale di chi ha prestato fideiussione. Esempio: Beta Srl ha un mutuo bancario residuo di €200.000 garantito da ipoteca su un capannone del valore corrente di €150.000; in caso di fallimento, la banca escuterà l’immobile e, supponendo ricavi €150.000 dalla vendita, resterà scoperta per €50.000 che diverranno credito chirografario. Se i soci avevano garantito il mutuo con fideiussione, la banca potrà chiedere a loro i €50.000 mancanti.
  • Debiti verso l’Erario (Fisco): comprendono imposte non pagate (IVA, imposte dirette come IRES, IRAP), ritenute non versate, cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER). Questi crediti godono in parte di privilegi generali: ad esempio, l’IVA e le ritenute fiscali hanno privilegio ai sensi dell’art. 2752 c.c. (privilegio generale sui mobili) . Ciò significa che in caso di procedura concorsuale il Fisco verrà soddisfatto con precedenza rispetto ai crediti chirografari (entro i limiti del privilegio). Inoltre, i debiti IVA e le ritenute hanno rilevanza penale se superano certe soglie di omissione, di cui diremo in seguito (art. 10-ter e 10-bis D.Lgs. 74/2000) . Per il Fisco esiste la possibilità, nell’ambito di procedure concordatarie o accordi omologati, di ricorrere alla transazione fiscale (art. 63 CCII) : ciò consente di proporre un pagamento parziale delle imposte o una dilazione, con il controllo e l’omologazione del tribunale (ne parleremo dettagliatamente più avanti). Fuori da procedure concorsuali, l’unica strada per gestire debiti fiscali è spesso la rateizzazione amministrativa (ex art. 19 DPR 602/1973), che può suddividere il debito in rate (tipicamente fino a 72 rate mensili, o piani straordinari fino a 120 rate in casi gravi). Attenzione: aver ottenuto una dilazione dal Fisco non elimina lo stato di insolvenza, ma può incidere su alcuni aspetti legali (ad esempio sulla soglia per l’istanza di fallimento, come chiarito da Cass. 4201/2025) . In ogni caso, se la SRL non onora le rate, l’accordo decade e l’intero debito fiscale ritorna esigibile; la presenza di debiti fiscali rilevanti non regolati è spesso la scintilla per iniziative coattive (pignoramenti su conti, fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili) e per l’eventuale intervento del Pubblico Ministero che può chiedere la liquidazione giudiziale d’ufficio. Esempio: Gamma Srl ha €150.000 di IVA non versata e non è in grado di pagarla: l’Agenzia Entrate iscriverà il debito a ruolo e ADER procederà con atti di pignoramento; se Gamma Srl accumula ulteriori debiti e altri creditori, potrà essere dichiarata insolvente su istanza di creditori o d’ufficio, nonostante eventuali rateizzazioni in corso (che sospendono le azioni esecutive del Fisco ma non quelle degli altri creditori).
  • Debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL): riguardano contributi obbligatori non versati (contributi previdenziali per dipendenti, contributi dovuti dalla società per i propri obblighi, premi assicurativi INAIL, ecc.). Anche questi debiti godono di privilegi (art. 2753 c.c. per i contributi obbligatori) . L’omesso versamento di contributi previdenziali può comportare sanzioni amministrative rilevanti e, per la parte di contributi trattenuti ai dipendenti e non versati, anche conseguenze penali . In particolare, se la SRL trattiene dalle buste paga i contributi a carico del lavoratore (le ritenute previdenziali) e non li versa all’INPS, il datore di lavoro commette un illecito: se l’importo omesso supera €10.000 annui scatta un reato punito con reclusione fino a 3 anni o multa fino a €1.032 . Per importi inferiori a €10.000 si applica invece una sanzione amministrativa pecuniaria . È prevista la possibilità di evitare la punibilità penale se l’azienda provvede a versare i contributi dovuti entro 3 mesi dalla contestazione o dall’accertamento (ciò estingue il reato) . Dal punto di vista civilistico, gli enti previdenziali (INPS) procedono al recupero analogamente al Fisco, tramite iscrizione a ruolo e cartelle esattoriali; in caso di procedura concorsuale, l’INPS può insistere per l’inclusione di una transazione previdenziale (anch’essa prevista dall’art. 63 CCII insieme a quella fiscale) , che consente di ristrutturare anche questi debiti con l’assenso del Tribunale. Da notare che le sanzioni amministrative per omesso versamento contributivo (ad esempio le somme aggiuntive di mora) non godono di privilegio e in caso di concordato possono essere trattate alla stregua di crediti chirografari falcidiabili (talora vengono significativamente ridotte nei piani). Esempio: Delta Srl non versa contributi INPS per €20.000 (di cui €12.000 trattenuti ai dipendenti, €8.000 dovuti dalla società): se non regolarizza entro breve, l’INPS potrà denunciarla per il reato (per i €12.000 trattenuti, superando la soglia di €10.000) e comunque iscriverà a ruolo l’intero importo più sanzioni; in fallimento, l’INPS verrà ammessa con privilegio per i €20.000 di contributi (ma non per le eventuali sanzioni), e il legale rappresentante rischia sul piano penale salvo pagamento entro i termini di legge.
  • Debiti verso i dipendenti (retribuzioni, TFR): le paghe non corrisposte ai lavoratori e le indennità di fine rapporto maturate sono debiti sensibilissimi. I dipendenti godono di un privilegio generale di grado elevato sui beni mobili del datore di lavoro per le ultime mensilità non pagate e per il TFR . In particolare, l’art. 2751-bis c.c. n.1 attribuisce privilegio ai crediti per stipendi degli ultimi 3 mesi e per TFR (entro un massimale) . Questi crediti sono tra i primi ad essere soddisfatti in caso di procedura concorsuale, subito dopo le spese di giustizia (crediti prededucibili come quelli del curatore, notaio, ecc. che hanno precedenza assoluta) . Inoltre, i dipendenti di un’azienda insolvente beneficiano del Fondo di Garanzia INPS, che interviene (previa insinuazione al passivo) a pagare ai lavoratori il TFR e le ultime mensilità non percepite, qualora il patrimonio del datore non sia sufficiente . In pratica, se una SRL fallisce lasciando stipendi arretrati, i lavoratori possono ottenere dal Fondo INPS il pagamento (fino a determinati tetti) e l’INPS subentra poi nel credito privilegiato in procedura. Dal punto di vista dell’amministratore, non pagare i dipendenti porta rapidamente a vertenze di lavoro e decreti ingiuntivi; se l’insolvenza è irreversibile, conviene coinvolgere i lavoratori in un eventuale piano concordatario assicurando loro il pagamento integrale o con minima dilazione (i giudici raramente omologano concordati che non garantiscano integralmente i crediti da lavoro, salvo eccezioni limitate in casi di continuità aziendale ). Esempio: se Omega Srl fallisce lasciando €50.000 di stipendi arretrati, i dipendenti otterranno dal Fondo INPS quelle somme (entro i limiti di legge) e l’INPS sarà surrogato nel privilegio in fallimento. Solo dopo aver soddisfatto integralmente questi crediti di lavoro, eventuali attivi residui potranno andare agli altri creditori.
  • Debiti verso soci finanziatori: spesso i soci di una SRL, in difficoltà di liquidità, immettono denaro in azienda sotto forma di finanziamenti soci (prestiti fatti dai soci alla società). La legge (art. 2467 c.c.) prevede che tali crediti dei soci verso la società siano postergati rispetto agli altri creditori quando i finanziamenti sono stati concessi in un momento di sottocapitalizzazione o di crisi dell’impresa . In altri termini, se una SRL è insolvente, i soci vengono rimborsati solo dopo che tutti gli altri creditori (anche chirografari) siano stati soddisfatti, e solo se residua attivo – il che in pratica significa quasi mai. Questo per evitare che i soci si comportino come “creditori di sé stessi” a danno degli altri: in situazione di dissesto i soci avrebbero dovuto capitale di rischio, non prestare denaro come credito. Pertanto, in fallimento i finanziamenti dei soci sono di fatto unrecoverable (salvo patrimonio eccedentario, caso raro). Spesso, nei piani di ristrutturazione, i finanziamenti soci vengono convertiti in capitale (aumento di capitale con compensazione) o comunque sacrificati. Esempio: i soci di Alfa Srl avevano versato €100.000 come prestito soci per tamponare perdite; la società fallisce e dal realizzo dei beni risulta un attivo di €50.000: nessuna somma andrà ai soci, che perderanno integralmente il loro finanziamento, mentre quei €50.000 andranno ai creditori chirografari (dopo privilegi). Se invece l’attivo fosse paradossalmente sufficiente a pagare tutti i creditori estranei al 100%, solo l’eventuale surplus andrebbe a restituire i soci (caso praticamente mai visto nelle insolvenze ordinarie).
  • Debiti derivanti da contenziosi o sanzioni: un ultimo gruppo comprende i debiti che possono nascere da cause legali (es. risarcimenti danni, penali contrattuali) o da sanzioni amministrative (multe, ammende). Questi crediti, se non assistiti da cause legittime di prelazione (privilegi speciali o pegni), rientrano tra i chirografari e in insolvenza sono trattati come tali. Alcuni crediti da cause possono però essere privilegiati per legge: ad esempio le spese di giustizia anticipate da creditori (art. 2770 c.c.), o i crediti per alcune sanzioni pecuniarie possono avere privilegio solo entro certi limiti (le sanzioni a favore dello Stato hanno grado molto basso in graduatoria, spesso insoddisfatte). È importante nelle procedure concorsuali tenere conto anche dei contenziosi pendenti: se la SRL ha una causa in corso dove potrebbe emergere un debito (es. una causa persa per risarcimento), il curatore o commissario dovrà accantonare somme o stimare quel debito. Esempio: Beta Srl ha un contenzioso per risarcimento danni ambientali da €500.000; se apre un concordato, dovrà prevedere una classe di credito (eventualmente contestato) per quel debito potenziale, magari pagando un 10% salvo esito della causa. In fallimento, il creditore danneggiato dovrà insinuarsi al passivo (anche tardivamente se la causa finisce dopo).

Riepilogo priorità dei crediti in insolvenza: in liquidazione fallimentare, i pagamenti seguono l’ordine delle cause di prelazione. Prima si soddisfano i crediti prededucibili (costi della procedura, spese legali, ecc.), poi i privilegiati secondo il grado (lavoratori, poi Fisco/INPS, via via fino ai chirografari), e infine gli eventuali crediti postergati (soci) . Una sintesi semplificata della graduatoria (al netto di articolazioni specifiche) è:

GradoCrediti (esempi)
PrededuzioneSpese procedura (curatore, commissario, professionisti autorizzati), nuovi finanziamenti autorizzati in procedura, ecc.
Privilegi di primo gradoCrediti di lavoro (ultimi stipendi, TFR) ; crediti dipendenti per mancato versamento contributi (limitatamente a quote privilegiate) ; spese di giustizia pre-fallimentari (art. 2770 c.c.).
Privilegi successiviCrediti fiscali (IVA, ritenute) ; contributi previdenziali INPS/INAIL ; crediti professionisti (ultimi 2 anni) e agenti (provvigioni ultimo anno) ; crediti artigiani e cooperative lavoro ; ecc. (secondo artt. 2751-2754 c.c. e ss.).
Crediti chirografariFornitori non privilegiati, banche non garantite, finanziatori non privilegiati, risarcimenti senza privilegio, sanzioni amministrative, ecc. – soddisfatti proporzionalmente solo se residua attivo dopo i privilegi.
PostergatiFinanziamenti soci e altri crediti postergati ex lege (es. interessi su crediti chirografari maturati dopo apertura procedure). Pagati solo dopo tutti gli altri, di regola mai .

Nota: I crediti garantiti da pegno o ipoteca su beni specifici (immobili, macchinari, ecc.) non sono nella tabella sopra perché il loro soddisfacimento avviene al di fuori del concorso generale: ogni credito garantito verrà pagato col ricavato del bene su cui insiste la garanzia (privilegio speciale), con precedenza su quel ricavato . Solo l’eventuale eccedenza non pagata diventa credito chirografario residuo .

Strumenti di gestione della crisi e dell’insolvenza di una SRL

Quando una SRL è in difficoltà nel pagamento dei debiti, il diritto italiano mette a disposizione diversi strumenti per evitare, se possibile, la fine traumatica della liquidazione fallimentare e tentare il risanamento o una soluzione ordinata. Il Codice della Crisi prevede un ventaglio di procedure, sia stragiudiziali che concorsuali, attivabili in base al grado di gravità della situazione. Analizziamo in ordine crescente di complessità tali strumenti, evidenziando come funzionano e quando possono essere utilizzati dal debitore (la SRL), nonché le ultime novità normative fino al 2025.

Composizione negoziata della crisi

La composizione negoziata della crisi d’impresa è uno strumento innovativo, introdotto inizialmente con il D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) e poi confluito nel CCII, operativo da novembre 2021 . Si tratta di un percorso volontario, riservato e stragiudiziale mediante il quale l’imprenditore in stato di crisi (o a rischio di insolvenza) cerca di negoziare un accordo con i propri creditori chiave, con l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio . In sintesi, le caratteristiche della composizione negoziata sono:

  • Procedura confidenziale e senza spossessamento: l’impresa mantiene la gestione ordinaria del patrimonio; non vi è una dichiarazione di procedura concorsuale pubblica (se non per alcuni aspetti eventualmente). Il tribunale interviene solo su richiesta e in modo mirato – ad esempio per concedere misure protettive o autorizzare atti di straordinaria amministrazione . Non c’è nomina di organi come curatori o commissari che sostituiscano l’imprenditore: l’eventuale esperto negoziatore affianca ma non sostituisce gli amministratori.
  • Accesso semplice tramite piattaforma: per attivarla, l’imprenditore (ad esempio l’amministratore della SRL) presenta un’istanza tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio, allegando i dati aziendali, finanziari e una relazione sulle cause della difficoltà . Se la domanda è completa, una commissione nomina un esperto (tipicamente un commercialista o avvocato con specifiche competenze in crisi d’impresa) che contatterà la società. L’esperto è indipendente e iscritto in un albo speciale, e ha il compito di facilitare le trattative .
  • Esperto indipendente e trattative: l’esperto convocherà l’imprenditore e i principali creditori per valutare le possibilità di una soluzione concordata. Agisce come un mediatore che cerca di far emergere un accordo di ristrutturazione condiviso. L’esperto verifica inoltre se esistono concrete prospettive di risanamento. È tenuto alla riservatezza e a operare in modo imparziale nell’interesse della composizione della crisi .
  • Misure protettive (“stay”): dal momento in cui la società deposita l’istanza di composizione negoziata, può chiedere immediatamente al tribunale la concessione di misure protettive temporanee a tutela del patrimonio . In pratica, la SRL può ottenere un decreto che blocca o sospende le azioni esecutive e cautelari dei creditori – ad esempio blocca i pignoramenti in corso o impedisce ai creditori di iscrivere nuove ipoteche sui beni sociali – per la durata iniziale di 120 giorni (prorogabili di altri 60) . Questo stay offre respiro alla società, congelando le aggressioni individuali e mantenendo lo status quo mentre si trattano possibili accordi. Durante la protezione, i creditori non possono neppure iniziare nuove azioni senza autorizzazione. Nota: il beneficio delle misure protettive è cruciale perché permette di evitare che un singolo creditore impaziente faccia saltare ogni tentativo collettivo (ad esempio bloccando i conti aziendali con un pignoramento). Va sottolineato che le misure protettive non sono automatiche: serve la richiesta al tribunale e una valutazione (spesso sommaria) che vi sia la possibilità di negoziare utilmente . Se concesse, vengono pubblicate nel Registro delle Imprese (quindi in quel caso la procedura diventa conoscibile dai terzi).
  • Atti urgenti autorizzati: durante la composizione negoziata, l’imprenditore può avere bisogno di compiere operazioni straordinarie (vendite di cespiti, finanziamenti ponte, sospensione o scioglimento di contratti onerosi). Poiché normalmente tali atti potrebbero essere rischiosi (specie durante lo stay), la legge prevede che il debitore possa chiedere al tribunale di autorizzare determinati atti di straordinaria amministrazione ritenuti necessari per la migliore riuscita delle trattative . Esempi: ottenere un finanziamento prededucibile per liquidità immediata, vendere beni non strategici per fare cassa, sospendere temporaneamente un contratto costoso. Il tribunale decide su queste richieste sentito l’esperto, valutando l’utilità dell’atto e assicurando che non danneggi ingiustamente i creditori .
  • Esito delle trattative: la composizione negoziata non garantisce un accordo, ma crea le condizioni per negoziare. Le possibili conclusioni sono:
    (a) Accordo stragiudiziale privato con uno o più creditori (anche accordi plurilaterali). Esempio: la SRL raggiunge intese separate con la banca (rinegoziazione del mutuo), con alcuni fornitori (saldo e stralcio parziale del loro credito) ecc., formalizzando accordi contrattuali bilaterali. È una soluzione privata che, però, non vincola eventuali altri creditori estranei.
    (b) Accordo di ristrutturazione omologato o concordato preventivo: se le trattative hanno successo ad ampio raggio, la società può “convertire” il risultato in una procedura più strutturata. Ad esempio, se ottiene il consenso di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, può presentare un Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR) in tribunale per l’omologazione (vedi oltre) . Oppure, se elabora un piano più complesso, può depositare una domanda di concordato preventivo (anche concordato semplificato se le trattative sono fallite – caso particolare introdotto nel 2022) .
    (c) Rinuncia o esito negativo: se non si raggiunge alcuna intesa, la composizione negoziata viene chiusa senza accordo. A quel punto, l’imprenditore dovrà valutare altre opzioni più drastiche: chiedere egli stesso un concordato, oppure – se insolvente – la liquidazione giudiziale. La chiusura negativa della composizione non è di per sé un default legale, ma è un forte segnale di insolvenza se i problemi non si sono risolti.
  • Vantaggi per il debitore: la composizione negoziata è flessibile e riservata. All’inizio è confidenziale (non c’è pubblicità nel Registro Imprese, a meno di misure protettive concesse, e anche in quel caso la pubblicità è limitata) . Ciò evita lo stigma di una procedura concorsuale aperta. L’imprenditore rimane al timone dell’azienda (non c’è spossessamento) e può proseguire l’attività sotto la guida dell’esperto . I costi sono relativamente contenuti: non ci sono diritti di giustizia rilevanti, solo il compenso dell’esperto secondo tariffe fissate dal decreto (in genere modulate in base alla dimensione aziendale). Inoltre, recenti modifiche normative l’hanno resa più attraente. In particolare, il “Terzo Correttivo” del CCII (D.Lgs. 136/2024) ha introdotto alcuni aggiustamenti e incentivi: ad esempio ha chiarito che anche i debiti fiscali e contributivi possono essere inclusi nelle trattative di composizione . Originariamente, infatti, la composizione negoziata non consentiva di accordarsi su tagli di IVA o contributi se non passando poi per un concordato o ADR; ora è esplicitamente possibile proporre una sorta di transazione fiscale/previdenziale all’interno della composizione stessa . Questo supera uno dei limiti iniziali che avevano reso poco utilizzato l’istituto. Altro vantaggio inserito è il divieto per le banche di revocare o ridurre fidi solo perché l’impresa ha avviato la composizione (e di non segnalarla a “sofferenza” in Centrale Rischi fintanto che c’è uno stay) . Ciò è stato confermato anche dalla giurisprudenza: ad esempio il Tribunale di Venezia (sent. 13 gennaio 2025) ha statuito che, in presenza di provvedimento di stay, la banca non può classificare il debitore come in default per i ritardi nei pagamenti dovuti esclusivamente alla trattativa in corso, ordinando di non effettuare segnalazioni a sofferenza . Questo protegge la continuità finanziaria durante la negoziazione.
  • Limiti e svantaggi: la composizione negoziata è volontaria e consensuale. Non esiste un voto a maggioranza che possa imporre un accordo ai dissenzienti (come avviene invece nel concordato): serve l’accordo individuale di ciascun creditore coinvolto . Ciò significa che basta un creditore importante non collaborativo per far fallire l’intera trattativa, poiché, scadute le misure protettive, quel creditore potrà riprendere le sue azioni esecutive . Inoltre, se alcuni creditori restano “estranei” (non aderenti) e non vengono pagati, mantengono tutti i loro diritti integri – non c’è esdebitazione automatica a favore del debitore. In altre parole, un accordo stragiudiziale con alcuni creditori non libera la società dagli altri debiti non inclusi: questi ultimi creditori potranno comunque pretendere il pagamento integrale. Pertanto, la composizione negoziata funziona bene se: (a) i creditori sono relativamente pochi e “strategici” (es. la banca principale e pochi fornitori chiave) e disponibili al dialogo; (b) oppure se l’obiettivo è guadagnare tempo per preparare un concordato preventivo o altra procedura più strutturata (molte imprese usano la composizione per congelare le azioni e predisporre il piano concordatario da presentare). Se invece la platea dei creditori è ampia e disomogenea, la probabilità di insuccesso aumenta . Infine, la composizione negoziata non è una “procedura concorsuale” propriamente detta, quindi non produce quegli effetti tipici come la cristallizzazione dei debiti, l’imponibilità o meno delle sopravvenienze, ecc., se non poi accedendo ad altri istituti (anche se, come visto, alcuni effetti premiali sono stati riconosciuti, ad es. divieto di revoca fidi e possibilità di includere Fisco/INPS nelle trattative).
  • Aggiornamenti giurisprudenziali: tra 2022 e 2025, diversi tribunali si sono espressi su aspetti applicativi della composizione negoziata. Oltre al già citato Trib. Venezia 2025 sul divieto di segnalazione a sofferenza , si segnalano linee guida di Tribunale di Milano e Firenze su come gestire le autorizzazioni ad atti straordinari e la pubblicità della procedura. Inoltre, si registra un costante aumento delle domande di composizione depositate, specie da PMI, grazie anche alle campagne informative delle Camere di Commercio e all’assenza del “marchio” di fallimento (Confindustria riferisce di uno “sportello crisi” attivo in varie città per aiutare le micro imprese ad usare questo strumento) .

Tabella – Composizione negoziata: vantaggi e svantaggi principali

VantaggiSvantaggi
Procedura riservata (inizialmente non pubblica) e rapida da avviare.Necessita consenso di tutti i creditori coinvolti (nessuna imposizione a maggioranza) .
Nessuno spossessamento: amministratori restano in carica e gestiscono l’impresa (con affiancamento dell’esperto).I creditori estranei all’accordo restano liberi di agire (dopo la fine delle protezioni) e di pretendere il 100% del loro credito.
Possibilità di stay delle azioni esecutive per ~4 mesi (protezione temporanea del patrimonio).Protezione solo temporanea e revocabile; non elimina le obbligazioni non ristrutturate.
Costo contenuto (non vi sono spese giudiziali rilevanti; compenso esperto predeterminato).Non adatta se troppi creditori disomogenei o conflittuali.
Flessibilità: negoziazione libera, soluzioni creative (moratorie, stralci parziali, conferimenti di nuova finanza).Non produce effetti definitivi di esdebitazione a fine procedura (serve concordato o ADR per ciò).
Incentivi normativi 2022-24: includibili debiti fiscali e contributivi ; divieto di revoca affidamenti bancari in pendenza , ecc.

Piano attestato di risanamento (PAR)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento di regolazione della crisi di natura contrattuale e privatistica, già presente nell’ordinamento prima della riforma (introdotto nel 2005 nell’art. 67 l.f.) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII . Esso consiste in un piano industriale e finanziario elaborato dall’imprenditore per superare la crisi, accompagnato dalla relazione di un professionista indipendente (l’attestatore) che certifica la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano . A differenza delle procedure concorsuali, il piano attestato non viene depositato in tribunale né omologato: è un accordo privato tra la società e i creditori che decidono di aderirvi. Tuttavia, la legge riconosce al piano attestato alcuni effetti protettivi/premiali se correttamente eseguito, il che lo rende un ibrido tra un semplice accordo privato e una procedura regolamentata. Vediamone le caratteristiche:

  • Volontarietà e autonomia privata: il piano attestato nasce per iniziativa unilaterale del debitore, che predispone un piano di risanamento e lo offre ai creditori affinché aderiscano individualmente . Non c’è un meccanismo di voto collettivo: ciascun creditore è libero di accettare le nuove condizioni proposte (es. dilazioni, riduzioni) o rifiutare. Non vi è intervento del tribunale, né pubblicità obbligatoria. In pratica, la SRL propone: “Ho elaborato questo piano con cui intendo pagare i miei debiti in questo modo e tempi: aderite?”. Chi aderisce stipula un accordo contrattuale (p.es. una modifica patti di pagamento, remissione parziale, ecc.); chi non aderisce resta nei termini originali.
  • Attestazione indipendente: il cuore del PAR è la relazione di attestazione redatta da un professionista indipendente (solitamente un commercialista o revisore esperto in risanamenti) . L’attestatore deve verificare e attestare due cose fondamentali: (a) la veridicità dei dati aziendali presentati (situazione debitoria, bilanci, elenco creditori, ecc.); (b) la fattibilità del piano proposto, cioè se ragionevolmente l’impresa, seguendo quel piano, potrà risanarsi e pagare i creditori alle nuove condizioni previste . L’attestazione serve a dare credibilità al piano: un soggetto terzo e qualificato conferma che i numeri non sono truccati e che l’obiettivo di risanamento è realistico. Senza attestazione, un piano di parte sarebbe poco affidabile agli occhi dei creditori. Nota: l’indipendenza e la qualità dell’attestatore sono cruciali; casi di attestazioni compiacenti o errate possono portare a responsabilità professionale e, in passato, hanno generato contenziosi (anche penali) per false attestazioni.
  • Forma e contenuto: il CCII specifica che il piano deve essere messo per iscritto e contenere determinati elementi: analisi delle cause della crisi, misure da adottare (ad es. ristrutturazione del debito, taglio costi, aumenti di capitale, cessione beni), proiezioni finanziarie su almeno 2-3 anni, indicazione delle risorse finanziarie disponibili e necessarie, ecc. . L’attestatore deve dichiarare nella sua relazione che il piano è idoneo a riequilibrare la situazione e che i creditori estranei (coloro che non aderiscono) non subiranno pregiudizio (cioè saranno pagati regolarmente) . Non vi è un registro pubblico per depositare il piano, ma spesso – per dare data certa – lo si può depositare volontariamente presso un notaio o allegare a qualche atto. Di norma, comunque, il piano resta un documento privato comunicato ai creditori interessati.
  • Benefici legali del piano attestato: pur essendo un accordo privato, se il piano è conforme alla legge (attestato e idoneo al risanamento) e viene effettivamente eseguito, la normativa gli attribuisce alcune protezioni importanti:
    (a) Esenzione dall’azione revocatoria fallimentare per gli atti compiuti in esecuzione del piano . Ciò significa che, se poi la società dovesse malauguratamente fallire, il curatore non potrà chiedere l’annullamento (revocatoria) di pagamenti, garanzie o altri atti compiuti mentre si eseguiva il piano attestato, purché il piano al momento era serio e fattibile . Questo tutela i creditori che hanno partecipato: se ad esempio un fornitore ha accettato un pagamento parziale secondo piano, quel pagamento non verrà aggredito dal curatore come preferenziale. Riferimento: art. 56 co. 3 CCII riprende l’art. 67 co. 3 lett. d) l.f. su questa esenzione . Una sentenza di Cassazione spesso citata (Cass. 13719/2016) ha chiarito che l’esenzione da revocatoria non è automatica ma dipende dalla serietà e attuabilità del piano: se il piano era solo fittizio o irrealistico, gli atti esecutivi possono essere revocati .
    (b) Non punibilità per alcuni reati di bancarotta preferenziale: il legislatore ha previsto che certi pagamenti preferenziali fatti in attuazione di un piano attestato idoneo non siano punibili come bancarotta fraudolenta preferenziale . Ad esempio, se la società – eseguendo un piano – paga integralmente un fornitore strategico mentre altri chirografari restano parzialmente impagati, ciò tecnicamente sarebbe una preferenza; ebbene, se l’atto è nei termini del piano attestato, non costituisce reato di bancarotta preferenziale (art. 217-bis l.f., ora riassorbito in CCII). Questa è una forma di “scudo penale” per l’imprenditore che agisca in buona fede secondo un piano attestato, evitando di essere poi accusato di aver favorito alcuni creditori su altri. Ovviamente, se il piano era fraudolento, la protezione cade.
    (c) Sgravi fiscali sulle sopravvenienze attive: se il piano prevede riduzioni di debito (ad esempio un creditore rinuncia al 40% del suo credito), quella parte di debito non pagato tecnicamente genererebbe una sopravvenienza attiva nei conti della società, che in situazioni normali sarebbe tassabile come reddito. Tuttavia, la legge fiscale (art. 88 comma 4-ter TUIR) equipara i piani attestati alle procedure concorsuali ai fini della non imponibilità: le riduzioni di debito ottenute con un piano attestato non sono tassate come reddito sopravvenuto . Questo per favorire il risanamento, evitando che l’Erario chieda imposte proprio sulle quote di debito condonate dai creditori (sarebbe paradossale dover pagare tasse su debiti cancellati).
    (d) Nuovi finanziamenti prededucibili: anche se non codificato esplicitamente come nelle procedure concorsuali, in prassi i creditori (tipicamente banche) che forniscono nuova finanza a sostegno di un piano attestato possono ottenere clausole contrattuali per essere rimborsati prima di altri debiti. Inoltre, se successivamente vi fosse un concordato, quei finanziamenti potrebbero essere riconosciuti come prededucibili (ossia rimborsati prioritariamente) se c’è stata autorizzazione o collegamento col piano .
  • Ambito soggettivo d’uso: qualsiasi imprenditore (anche non ancora in crisi conclamata) può ricorrere al piano attestato . Non serve trovarsi già insolvente; anzi, spesso il piano attestato è usato in fase di crisi iniziale o addirittura come misura preventiva di ristrutturazione “in bonis” (ovvero prima di risultare incapiente) . Ad esempio, se la SRL prevede difficoltà future ma ha ancora la fiducia di banche e fornitori, può attivare un piano attestato per riequilibrare la situazione ed evitare guai peggiori. È uno strumento snello e non stigmatizzante, proprio perché rimane nei confini privatistici.
  • Rapporto con i creditori non aderenti: un limite importante del piano attestato è che non coinvolge forzosamente tutti i creditori. Quelli che non aderiscono rimangono estranei e conservano il diritto di essere pagati integralmente secondo le condizioni originarie . Pertanto, è essenziale che il piano preveda come gestire anche i non aderenti. La legge addirittura impone che l’attestatore dichiari che i creditori estranei saranno comunque soddisfatti per intero alle scadenze originarie (o entro 120 giorni dall’omologa di eventuale successivo accordo ex art. 57 CCII, se il piano poi sfocia in ADR) . Questo per tutelarli ed evitare che un piano pattizio peggiori la loro posizione senza consenso. In pratica, se c’è un grosso creditore fuori piano, l’azienda dovrà comunque onorarlo separatamente, altrimenti quel creditore potrebbe – ad esempio – presentare istanza di fallimento frustrando il risanamento. Quindi, il PAR funziona meglio quando i creditori estranei sono di importanza marginale o quando la società ha risorse per pagarli comunque.
  • Quando utilizzare un piano attestato: il PAR è indicato nei casi in cui la società ha un numero limitato di creditori principali, con i quali può ragionevolmente trovare un’intesa, e magari dispone di un piano industriale credibile di rilancio. Ad esempio, se una SRL è indebitata principalmente con 4-5 banche e un paio di grossi fornitori, può essere fattibile sedersi a tavolino con ciascuno di essi (magari in incontri congiunti moderati dall’attestatore) e ottenere da tutti un consenso alle nuove condizioni (moratorie, riduzioni parziali, conversione debiti in strumenti partecipativi, ecc.) . Così si evita di andare in tribunale e si mantiene un rapporto fiduciario con i partner. Al contrario, se la SRL ha centinaia di piccoli creditori o un panorama molto disperso, risulterà quasi impossibile ottenere l’adesione integrale: in quel caso meglio orientarsi verso un accordo di ristrutturazione omologato (dove basta il 60%) o addirittura un concordato (dove il dissenso viene superato dal voto a maggioranza). In generale: PAR = opzione “soft” adatta se c’è coesione e volontà comune; se manca, occorre un’opzione “hard” (ADR o concordato) che possa forzare la mano alle minoranze .
  • Confronto con ADR e concordato: rispetto all’Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR) omologato e al concordato, il piano attestato offre maggiore velocità e riservatezza, ma è più fragile. Non prevede infatti l’automatico blocco delle azioni esecutive (a differenza dell’ADR e del concordato dove dal deposito si possono ottenere misure protettive) . Tuttavia, nulla vieta di usare strumenti in parallelo: ad esempio, depositare un’istanza di composizione negoziata per ottenere uno stay e nel frattempo perseguire un piano attestato con i creditori – questa combinazione è talvolta attuata nella pratica . Inoltre, mentre nel PAR serve di fatto l’adesione di tutti i principali creditori, l’ADR richiede almeno il 60% di crediti favorevoli per legge , ed il concordato vincola tutti con la maggioranza (50%+1). D’altra parte, l’ADR e soprattutto il concordato comportano costi e formalità maggiori (tribunale, votazioni, commissari, tempi più lunghi) . Spesso le banche preferiscono un ADR invece del concordato se c’è già un’intesa di massima, perché si evita il lungo iter del concordato ma si ottiene comunque il sigillo del tribunale sui nuovi accordi . In definitiva, la scelta dipende dalla situazione specifica: se la crisi è affrontabile con accordi mirati e pochi soggetti, il piano attestato è ideale; se serve legare le mani a una minoranza dissenziente o coinvolgere creditori pubblici con tagli (che richiedono omologa), si passa all’ADR; se il debito è troppo ampio e serve un taglio imposto a tutti, l’ultima spiaggia è il concordato.
  • Novità normative 2022–2025: il CCII ha sostanzialmente recepito la disciplina preesistente del piano attestato, formalizzando alcuni aspetti che prima erano prassi: ad esempio ha esplicitato l’obbligo di attestazione indipendente (già ovvio) e alcuni contenuti minimi del piano . I correttivi successivi non hanno modificato l’essenza del PAR, ma va segnalato che con la Direttiva UE 2019/1023 si è ribadita la validità degli strumenti di risanamento out-of-court. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate, in alcune risposte a interpelli, ha confermato il regime fiscale di esenzione delle sopravvenienze per i piani attestati equiparandolo a concordati e ADR . Dal punto di vista giurisprudenziale, oltre alla citata Cass. 13719/2016 su revocatoria, più di recente Cass. civ. Sez. I, 8 marzo 2023 n.7019 ha ribadito che il professionista attestatore risponde anche ai creditori (oltre che al debitore) in caso di relazione gravemente negligente, delineando i confini della sua responsabilità civile. Questo a monito dell’importanza di piani veritieri e attestazioni accurate.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR)

Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ADR), disciplinati dagli artt. 57-64 CCII , rappresentano un istituto a metà strada tra il piano attestato e il concordato preventivo. Si tratta di accordi che il debitore conclude con una parte significativa dei creditori e che vengono poi omologati dal tribunale, acquistando efficacia vincolante verso tutti i partecipanti e alcuni effetti protettivi verso i non aderenti. In sostanza, l’ADR è una procedura concorsuale “semplificata”: non c’è voto di tutti i creditori, ma serve comunque raggiungere una certa percentuale di consenso e sottoporre l’accordo al vaglio del giudice. Ecco le caratteristiche principali:

  • Soglia di adesioni richiesta: il debitore deve aver raggiunto un accordo con creditori che rappresentino almeno il 60% del totale dei crediti (calcolati in valore) . Questa è la soglia standard prevista dall’art. 60 CCII (già art. 182-bis l.f.). Significa che se la SRL ha debiti per 1 milione, deve ottenere firme di accordo da creditori per almeno 600mila. I creditori aderenti sottoscrivono un accordo di ristrutturazione che può prevedere dilazioni, stralci parziali, ecc. I creditori non aderenti, invece, non sono vincolati dall’accordo: rimangono con i loro diritti intatti e vanno pagati a condizioni originali, salvo possibili effetti indiretti (vedi sotto). Dunque, mentre nel concordato tutti i creditori chirografari subiscono la falcidia decisa a maggioranza (compresi i dissenzienti), nell’ADR i dissenzienti mantengono il diritto al 100% del loro credito . Di fatto, l’accordo serve per sistemare la posizione con la maggioranza disponibile, mentre la minoranza viene comunque soddisfatta per intero (di solito col ricavato generato dal piano). Per questo l’ADR funziona se la minoranza dissenziente è contenuta e sostenibile finanziariamente. Nota: il CCII, in recepimento parziale della direttiva UE, ha introdotto alcune varianti di ADR: ad esempio l’accordo di ristrutturazione agevolato con soglia di consenso ridotta al 30% per PMI in certi casi, e l’accordo ad efficacia estesa per classi omogenee di creditori (dove se aderisce il 75% di una certa classe – tipicamente banche – l’accordo si estende anche al restante 25% di quella classe) . Queste varianti ampliano la flessibilità, ma richiedono specifiche condizioni e la nostra trattazione resterà sul modello base salvo cenni.
  • Deposito e omologazione in tribunale: una volta raccolte le adesioni necessarie, il debitore (SRL) deposita l’accordo presso il tribunale competente chiedendone l’omologazione . Il tribunale verifica vari aspetti: la regolarità della procedura, il rispetto della soglia di legge, l’assenza di pregiudizio per i creditori non aderenti (che devono essere pagati integralmente fuori accordo o comunque non danneggiati), la fattibilità del piano. Viene nominato un giudice delegato (o relatore) e il PM dà un parere. I creditori non aderenti e eventuali terzi possono fare opposizione se ritengono che l’accordo li pregiudichi. Se tutto è in regola, il tribunale omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes . Con l’omologazione, l’ADR acquista forza di titolo esecutivo e non è più revocabile dai creditori aderenti: diventa definitivo come un provvedimento giudiziario di concorde volontà.
  • Misure protettive durante l’iter: dal momento in cui la società deposita la domanda di omologazione ADR, può chiedere al tribunale misure protettive analoghe a quelle del concordato: tipicamente la sospensione o il divieto di azioni esecutive individuali per 60-120 giorni . Il CCII consente di ottenere uno stay fino a 6 mesi, eventualmente rinnovabile, durante il quale i creditori (anche non aderenti) non possono procedere in via esecutiva. Questo protegge il patrimonio mentre si perfeziona l’omologazione . È importante perché se un creditore non aderente stesse per pignorare un bene cruciale, l’azienda può bloccarlo invocando le misure protettive. Occorre un decreto del giudice a tal fine. Inoltre, pendente la procedura di omologazione, è sospeso l’obbligo di ricapitalizzare o liquidare la società per perdite (art. 91 CCII), e si congelano i provvedimenti di scioglimento società eventualmente già in corso.
  • Trattamento dei creditori non aderenti: come accennato, chi non firma l’accordo non subisce riduzioni di legge sul proprio credito (a differenza del concordato). Ciò comporta che devono essere pagati integralmente alle scadenze originarie o comunque secondo i termini di legge. L’ADR, però, offre due cose: (1) se l’accordo va a buon fine, l’impresa risanata potrà naturalmente pagare i residui dissenzienti; (2) se un creditore non aderente provasse ad agire individualmente dopo l’omologazione, il debitore può opporre l’accordo omologato come elemento per ottenere quantomeno una protezione temporanea . In pratica, durante l’esecuzione del piano l’accordo omologato può costituire motivo per cui il giudice sospende eventuali richieste esecutive di dissenzienti, a patto che siano nei limiti del piano. Inoltre, se l’azienda non riesce poi a pagare i dissenzienti, l’ADR presumibilmente fallisce e si passa ad altra procedura (concordato o liquidazione).
  • Contenuto dell’accordo ADR: è generalmente simile a un piano di concordato semplificato: indica come saranno soddisfatti i creditori aderenti (es. percentuale di stralcio, tempi di pagamento dilazionati) e come verranno reperite le risorse (continuità aziendale? vendita di beni? nuovi finanziamenti?). Deve essere allegata una attestazione di un esperto che certifichi la veridicità dei dati e l’attuabilità dell’accordo (art. 56 CCII rinvia all’art. 61 per l’attestazione) – infatti anche in ADR serve una relazione asseverata come in concordato . Inoltre, l’art. 63 CCII consente espressamente di includere nell’accordo una transazione fiscale e contributiva, cioè una proposta di pagamento parziale/dilazionato di debiti fiscali e contributivi, con eventuale falcidia di imposte e sanzioni, il tutto soggetto a omologazione . Questa è una differenza importante rispetto al piano attestato: nell’ADR si possono tagliare IVA e contributi (cosa che fu a lungo dibattuta), purché il tribunale ritenga che la proposta al Fisco/INPS sia conveniente rispetto alla liquidazione e venga omologata. Il Terzo Correttivo 2024 ha introdotto nuove limitazioni alla cosiddetta omologazione “cram-down” del Fisco: oggi se l’Erario vota contro (esprime dissenso motivato), l’omologazione forzosa è possibile solo entro paletti molto stringenti . Tuttavia, se il Fisco aderisce (o non si oppone efficacemente), nell’ADR anche i debiti tributari possono essere ridotti.
  • Vantaggi dell’ADR (per il debitore): permette di concludere un accordo anche se c’è una minoranza contraria, evitando la complessità di un concordato preventivo completo . È quindi utile quando la maggior parte dei creditori è d’accordo e solo pochi dissenzienti ostacolerebbero un risanamento: con l’ADR la maggioranza procede comunque e i dissenzienti vengono gestiti in altra maniera (pagati esternamente, oppure soddisfatti coi benefici generati dall’accordo). Inoltre l’ADR, una volta omologato, dà una certa sicurezza giuridica: è un provvedimento giudiziario, quindi non può essere facilmente impugnato dai dissenzienti (se non con reclamo in Appello nei termini). Dà all’impresa un titolo esecutivo per pretendere dai creditori aderenti il rispetto degli accordi (es: se una banca aveva accettato uno stralcio e poi ci ripensa, l’omologa glielo impone). Dà anche accesso ai vantaggi fiscali (sopravvenienze attive non tassabili per i debiti ridotti, come detto) . Le banche apprezzano l’ADR perché consente loro di smaltire crediti deteriorati con un accordo omologato dal giudice, che quindi nelle sedi di compliance interna è forte quanto un decreto del tribunale.
  • Limiti dell’ADR: innanzitutto, non può imporre riduzioni ai creditori non aderenti: ciò vuol dire che l’azienda deve comunque trovare le risorse per pagarli al 100% , magari utilizzando nuova finanza o i flussi generati dal piano. Se i non aderenti rappresentano una porzione consistente del debito, l’ADR rischia di diventare insostenibile finanziariamente: in tali casi meglio il concordato, dove anche ai dissenzienti viene imposta la falcidia . Inoltre, l’ADR non blocca automaticamente le azioni esecutive prima del deposito in tribunale (mentre un concordato può farlo già con la “prenotativa” o il ricorso); c’è un periodo durante la trattativa privata in cui un creditore può comunque agire, a meno che il debitore non si cauteli con misure d’urgenza o con la composizione negoziata parallela. Un altro svantaggio: benché più semplice del concordato, l’ADR comunque richiede spese legali, l’attestatore, e un iter giudiziale (che se ci sono opposizioni può allungarsi). Non da ultimo, l’ADR vincola solo chi ha firmato: se dopo l’omologa l’azienda non paga un creditore dissenziente, questi è libero di agire (non ha rinunciato a nulla), quindi l’ADR deve essere predisposto molto bene per non fallire in corso d’opera.
  • Quando usare l’ADR: tipicamente quando la SRL ha ampi consensi tra i creditori principali (≥60%), ma qualche parte – specialmente creditori pubblici o un investitore isolato – non è disposto a firmare un accordo stragiudiziale . Con l’ADR si cementa il consenso della maggioranza e si cristallizza l’accordo con efficacia legale. Un esempio: un’azienda ha 5 banche creditrici e 100 fornitori. 4 banche e 90 fornitori (rappresentanti il 80% del debito totale) accettano di ridursi i crediti del 30%. 1 banca e 10 fornitori piccoli per il restante 20% non aderiscono. Con un ADR, l’azienda può omologare l’accordo col 80% e deve comunque pagare integralmente il 20% non aderente (ad es. con il cash flow generato in alcuni anni) . Le banche e fornitori aderenti riceveranno il 70% concordato, evitandosi il fallimento; i non aderenti dovranno essere soddisfatti a parte, ma magari l’accordo libera abbastanza risorse per farlo. Se invece quell’accordo non fosse sostenibile, si opterebbe per un concordato dove anche quel 20% prende, poniamo, il 70% (ma con tutte le complessità del caso).
  • Novità 2022-2025: l’ADR è stato interessato da modifiche per recepire la direttiva UE 2019/1023: in particolare, i sopra menzionati “accordi agevolati” (30%) e “ad efficacia estesa” per categorie omogenee. Il D.Lgs. 83/2022 e il D.Lgs. 136/2024 (correttivo ter) hanno introdotto procedure per rendere più flessibile l’ADR: ad esempio, l’accordo agevolato al 30% è riservato a imprese sotto certi parametri e richiede il parere favorevole del commissario giudiziale nominato ad hoc; l’accordo ad efficacia estesa consente, per i creditori finanziari, di imporre l’accordo anche a quelli che non hanno aderito purché rappresentino meno del 25% e siano omogenei per tipologia. Inoltre, il correttivo ter 2024 ha meglio definito l’interazione con la transazione fiscale: oggi, se l’Erario rifiuta una proposta in un ADR, il tribunale non può omologare comunque se la proposta non garantisce almeno il 20% del credito fiscale o se l’adesione erariale era determinante per la percentuale . Queste regole sono tecniche, ma in sostanza il legislatore ha reso un po’ più difficile “forzare” un accordo sul Fisco in caso di suo diniego, richiedendo un livello di soddisfazione minima. Sul fronte giurisprudenziale, merita citare Cass. Sez. Un. 27 marzo 2023 n. 8557, che ha risolto un contrasto: ha stabilito che nelle domande tardive di crediti in un accordo poi non adempiuto, i creditori possono partecipare al successivo fallimento con riserva senza dover fare opposizione all’omologa. È un dettaglio procedurale, indicativo però di come la Suprema Corte stia affrontando le questioni di coordinamento ADR-concordato-fallimento. Infine, Cass. 4201/2025 (già menzionata) ha toccato l’effetto della rateazione fiscale su soglia fallimento, affermando che la sola dilazione ex art.19 DPR 602/73 non impedisce la dichiarazione di fallimento se l’insolvenza permane – segnale che per mettere al riparo l’azienda serve uno strumento concorsuale vero e proprio come ADR o concordato, non un semplice piano di rientro col Fisco.

Tabella – Confronto sintetico PAR vs ADR vs Concordato

CaratteristicaPiano attestato (PAR)Accordo ristrutturazione (ADR)Concordato preventivo
Approvazione creditoriAdesione individuale di tutti i coinvolti (consenso integrale di fatto) .Adesione di ≥60% crediti, omologazione per efficacia . Dissenzienti non ridotti (pagamento 100%).Voto a maggioranza (50%+ crediti, e maggioranza classi se suddivisi) . Dissenzienti vincolati se omologa .
Ruolo del tribunaleNessuno (strumento contrattuale privato).Omologazione richiesta; controllo legalità e merito (fattibilità, trattamento equo) .Procedura giudiziale formale dall’inizio (ricorso, commissario, voto, omologa) .
Misure protettive (stay)Non automatiche. Possibile ottenerle solo usando altri strumenti (es. composizione negoziata in parallelo) .Sì, ottenibili dal deposito (sospensione azioni fino 6 mesi) .Sì, automatiche dal ricorso (divieto azioni esecutive per tutta la procedura, salvo autorizzazioni) – art. 54 CCII.
Coinvolgimento creditori pubblici (Fisco/INPS)Non possibile falcidiare imposte e contributi, se non attraverso successivo concordato/ADR (pre 2023) – aggiornamento: dal 2024 possibile includerli in trattativa ma senza efficacia esdebitatoria formale .Possibile con transazione fiscale/previdenziale ex art.63 CCII inserita nell’accordo . Omologa valutativa con eventuale cram-down fiscale (ora limitato) .Possibile falcidiare imposte e contributi tramite piano e transazione fiscale (art. 63 CCII). Se Fisco dissente, tribunale può omologare se comunque offre almeno il realizzo da liquidazione e >20% (salve modifiche 2024).
Esonero revocatoria atti pagamentoSì, per atti eseguiti in adempimento piano attestato idoneo .Sì, l’omologazione copre gli atti previsti dall’accordo (equiparati ad atti concorsuali autorizzati).Sì, gli atti effettuati nel concordato omologato non sono revocabili (a meno di frodi).
Esdebitazione finaleNo procedura, quindi tecnicamente no discharge automatica (debiti residui verso non aderenti restano esigibili).Limitata: accordo vincola aderenti; non aderenti conservano credito (nessuna esdebitazione su loro quota).Sì, al termine del concordato omologato i debiti anteriori non soddisfatti si estinguono per la società (se liquidazione, società cessata; se continuità, società esdebitata prosegue).
Ambito tipicoCrisi gestibile con pochi creditori coesi; necessità di rapidità e riservatezza.Crisi con consenso largo ma non unanime; pochi dissenzienti “pagabili” per intero; utile per accordi con banche.Insolvenza grave o situazione in cui serve imporre perdite a molti creditori; strutture di debito complesse; bisogno di intervento autoritativo.

Concordato preventivo (in continuità e liquidatorio)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale di “composizione” per eccellenza, storicamente alternativa al fallimento. Consente al debitore insolvente o in crisi di proporre un piano di ristrutturazione dei debiti ai creditori, sotto controllo del Tribunale, in modo da evitare la liquidazione giudiziale . Il CCII lo disciplina negli artt. 84-120, distinguendo due tipi principali: il concordato con continuità aziendale (quando l’attività d’impresa prosegue, in capo alla stessa società o tramite terzi) e il concordato liquidatorio (quando si prevede la cessazione dell’attività e la sola liquidazione dei beni, ma con certi requisiti aggiuntivi) . Per una SRL sommersa dai debiti, il concordato preventivo spesso rappresenta “l’ultima spiaggia” per evitare il fallimento: permette o di tentare un salvataggio dell’impresa (continuità) o quantomeno di effettuare una chiusura ordinata e meno penalizzante (liquidatorio con pagamento parziale ai creditori) .

Ecco i punti essenziali del concordato:

  • Procedura giudiziale formale: il concordato inizia con un ricorso depositato in tribunale. Da quel momento è una procedura pubblica: il tribunale dichiara aperta la procedura di concordato (se la domanda è ammissibile), nomina un Commissario Giudiziale (un professionista indipendente che vigila sull’operato del debitore durante la procedura) e ordina le comunicazioni ai creditori . I creditori sono chiamati a votare sulla proposta di concordato. Infine, se il voto approva e il piano rispetta la legge, il tribunale omologa il concordato, rendendolo efficace per tutti . Durante la procedura, la società debitrice rimane in possesso (diversamente dal fallimento in cui c’è spossessamento), ma ogni atto di straordinaria amministrazione dev’essere autorizzato e c’è vigilanza del commissario.
  • Presupposti di ammissibilità: possono accedere al concordato gli imprenditori commerciali (come le SRL) che versano in stato di crisi o insolvenza (non occorre essere insolventi conclamati; basta anche la crisi prospettica) . Occorre però soddisfare i requisiti dimensionali per essere soggetti al fallimento (imprenditore “non minore”): in generale, la SRL rientra sempre a meno che non sia micro-impresa sotto soglie irrilevanti (in tal caso sarebbe sovraindebitamento). Il CCII ha mantenuto per il concordato liquidatorio un requisito introdotto nel 2015: l’apporto di risorse esterne ≥ 10% dell’attivo . Significa che, se si propone un concordato puramente liquidatorio (niente prosecuzione azienda), il debitore deve aggiungere valore al patrimonio almeno per un decimo dell’attivo, a beneficio dei creditori. Questo per garantire un miglior risultato rispetto al fallimento semplice. Nel concordato in continuità, invece, non serve un apporto esterno fisso, ma la legge impone altre garanzie (es. pagamento integrale dei crediti prededucibili e dei lavoratori, salvo dilazioni) e soprattutto richiede che l’azienda risulti salvata e che i creditori ottengano un recupero ragionevolmente superiore a quello che avrebbero dalla liquidazione immediata.
  • Proposta, piano e classi: la SRL debitrice, con il ricorso di concordato, presenta una proposta ai creditori e un piano dettagliato. La proposta indica chi viene pagato, in che percentuale e in che tempi. Ad esempio: “si propone di pagare i creditori chirografari al 30% in 2 anni, i privilegiati in parte in contanti in parte dilazionati, ecc.” . La legge consente di suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei . Ad esempio, tipicamente si fanno classi separate per: banche ipotecarie (ognuna soddisfatta con il valore del proprio immobile), fornitori chirografari, eventuali fornitori strategici (cui offrire di più per mantenerli fedeli), dipendenti (di norma integralmente pagati, classe privilegiata), Fisco/INPS (privilegiati forse parzialmente falcidiati se in continuità) e così via . Si possono anche prevedere classi di soci o di nuovi investitori che apportano denaro, i quali nel concordato in continuità possono assumere il piano. Il piano allegato deve spiegare analiticamente come si genereranno le risorse per pagare quelle percentuali: se tramite la continuità aziendale, con i flussi finanziari futuri dell’attività, magari affiancati da nuovi investimenti; se tramite la liquidazione di beni, con un calendario di vendite; se con operazioni straordinarie (vendita di rami d’azienda, aumenti di capitale, intervento di un assuntore che rileva l’azienda e paga un corrispettivo). Un professionista attestatore redige la relazione ex art. 87 CCII, certificando veridicità e fattibilità del piano, condicio sine qua non per l’ammissibilità.
  • Trattamento dei creditori e par condicio: il concordato consente di falcidiare (ridurre) i crediti chirografari praticamente senza limiti prefissati (non c’è più l’obbligo del 20% minimo introdotto nel 2015 e poi eliminato dal CCII) . Tuttavia, i creditori devono ricevere almeno quanto riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, secondo il fondamentale principio del “best interest test” : il tribunale confronta cosa otterrebbe ciascuna classe di creditori da un fallimento e cosa ottiene dal concordato; se il concordato offre di meno, non può essere omologato. In un concordato liquidatorio, anche se la legge non fissa più un dividendo minimo, in pratica i creditori si aspettano una percentuale significativa (altrimenti preferirebbero far fallire la società e tentare con l’attivo disponibile). In un concordato in continuità, sono ammesse percentuali anche basse ai chirografari, purché giustificate dall’efficacia del piano e dal fatto che nessuno prende meno di quanto avrebbe con la liquidazione . La legge consente persino – ed è una novità del CCII – di sacrificare parzialmente l’ordine dei privilegi se ciò è funzionale al salvataggio dell’impresa: ad esempio, si può proporre che un creditore privilegiato generale (es. il Fisco con privilegio su mobiliare) non sia pagato al 100% ma magari all’80%, purché nessun creditore di grado inferiore (i chirografari) prenda più di lui e soprattutto purché in liquidazione quel privilegiato non avrebbe comunque preso il 100% . Questa è una deroga all’absolute priority rule introdotta per favorire concordati di continuità (art. 84 co.6 CCII). Restano tuttavia intoccabili i crediti con privilegio sui beni essenziali e i crediti di lavoro: i lavoratori infatti per legge vanno pagati integralmente (salvo dilazione) nei concordati in continuità , e comunque solitamente anche nei liquidatori si prevede di pagarli per intero data la natura particolarmente tutelata. I crediti privilegiati da ipoteca/pegno su specifici beni possono essere soddisfatti nel concordato in misura non inferiore al ricavato stimato di quei beni (non si può dare loro meno del valore di garanzia, altrimenti violazione del diritto di prelazione; se si vuole liberarli, serve il loro assenso o offrire il valore integrale del bene).
  • Voto dei creditori: una volta ammesso alla procedura (verificati i requisiti di legge e depositata l’attestazione), si apre la fase di voto. Il commissario giudiziale comunica ai creditori la proposta e il piano e li invita ad esprimere il voto. Se i creditori sono suddivisi in classi, il voto si esprime per classi (ogni classe approva a maggioranza interna e serve il sì della maggioranza delle classi) . Se non ci sono classi, conta il voto complessivo dei crediti. La regola base è: maggioranza di crediti ammessi al voto, in valore, superiore al 50% . I creditori privilegiati che sono pagati interamente non hanno diritto di voto (perché non incisi). Se c’è almeno una classe che vota contro, il tribunale può comunque omologare il concordato applicando il cram-down interclassi: se almeno una classe di grado non inferiore ha votato a favore, il giudice può superare il dissenso di un’altra classe, a condizione che la proposta sia comunque equa e conveniente per la classe dissenziente (nessuna discriminazione ingiustificata e rispetto del best interest test) . Questa è un’ulteriore novità (già anticipata dal DL 83/2015): si evita che una classe minoritaria ma strategica (es. Fisco) possa bloccare tutto, se la proposta per essa è equa e un’altra classe pari grado l’ha accettata. Il meccanismo è complesso e raramente applicato, ma c’è.
  • Omologazione: se la votazione dà esito favorevole (maggioranza raggiunta, o anche non raggiunta ma con ricorso al cram-down su richiesta del debitore), si passa all’udienza di omologazione. Qui il tribunale verifica definitivamente la legalità e fattibilità del piano, ascolta le eventuali opposizioni dei creditori contrari (un creditore dissenziente può opporsi lamentando, ad esempio, che non viene rispettato il best interest test, o che ci sono irregolarità) . Il tribunale decide con sentenza: se omologa, il concordato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche quelli che hanno votato no o non si sono presentati) . Questo è l’effetto fondamentale: la falcidia e la dilazione dei debiti diventa definitiva ed efficace erga omnes. Da quel punto, i creditori possono pretendere solo quanto previsto dal piano (es: il 30% del loro credito in 2 anni) e nient’altro; non possono più agire individualmente per l’importo residuo (è giuridicamente cancellato salvo riattivarsi in caso di successivo fallimento del concordato, i.e. revoca o risoluzione).
  • Esecuzione e chiusura: a seguito dell’omologa, la società (o l’eventuale assuntore o liquidatore designato) dà esecuzione al piano. Se è un concordato in continuità diretta, l’azienda continua a operare sotto la sorveglianza del commissario (che spesso diventa attestatore dell’esecuzione a fine periodo) e paga i creditori secondo i flussi di cassa previsti. Se è un concordato liquidatorio, tipicamente l’azienda cessa l’attività e un liquidatore giudiziale (spesso lo stesso commissario) procede a vendere i beni e distribuire il ricavato ai creditori nelle percentuali stabilite. In alcuni casi c’è un assuntore esterno: un terzo che si impegna a pagare i creditori in cambio dell’acquisizione dell’azienda o di beni (è il concordato in continuità indiretta). Una volta che il piano è stato adempiuto (o comunque sono stati pagati i dividendi promessi ai creditori), il tribunale dichiara la chiusura del concordato. La società ne esce: se era in continuità prosegue la sua attività “liberata” dai debiti residui; se era liquidatoria, di solito la società viene cancellata. Giuridicamente, i debiti anteriori rimasti inadempiuti sono cancellati: la società ottiene l’esdebitazione per la parte falcidiata . Va precisato che l’esdebitazione nel concordato è automatica per la società, mentre per le persone fisiche (imprenditori individuali) occorre una specifica pronuncia (nel fallimento); nel concordato delle società, semplicemente la società continua senza quei debiti oppure si estingue. I creditori possono ancora agire per debiti esclusi dal concordato (ad es. quelli sorti durante la procedura, oppure quelli volontariamente lasciati fuori perché il debitore li vuole pagare integralmente fuori piano), ma non per quelli oggetto di falcidia.
  • Concordato con continuità aziendale: merita un focus perché dal punto di vista del debitore imprenditore è spesso la scelta preferibile: consente alla SRL di sopravvivere come entità economica. Si definisce “con continuità” il concordato in cui è prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa, sia in capo alla stessa società (continuità diretta) sia tramite un soggetto terzo (continuità indiretta mediante cessione o affitto d’azienda) . La continuità può essere attuale (l’azienda continua durante il concordato) o solo prospettata (ad es. l’azienda è temporaneamente ferma ma c’è un piano di riavvio). Il CCII prevede alcune norme specifiche: la possibilità di derogare temporaneamente all’ordine dei privilegi (come detto), la tutela dei crediti strategici (si possono pagare in prededuzione i fornitori essenziali per non interrompere la produzione), la protezione dei contratti in corso (il debitore può chiedere di sciogliere contratti troppo onerosi o mantenerli se vitali). Inoltre, la presenza di continuità consente di preservare valore: spesso i creditori chirografari prendono più in un concordato in continuità (dove l’azienda produce utili per pagarli) di quanto otterrebbero dalla vendita spezzettata dei beni. È un meccanismo di massimizzazione dell’interesse comune. Il rovescio della medaglia è che servono controlli stringenti: il tribunale autorizza l’eventuale esercizio provvisorio (ossia la continuazione dell’attività durante la procedura ante omologa) solo se c’è vantaggio per i creditori. Dopo l’omologa, l’attività prosegue secondo il piano e, se l’azienda non rispetta gli obiettivi, si rischia la risoluzione del concordato e il fallimento. Un punto importante: in continuità il debitore può proporre di non pagare integralmente alcuni creditori privilegiati (come il Fisco, INPS, ecc.) purché la percentuale offerta a loro non sia inferiore a quella offerta ai chirografari e comunque non avrebbero potuto ricevere di più in una liquidazione . È un’innovazione che consente, ad esempio, di trattare l’Erario al, poniamo, 50% (anziché 100%) se i chirografari prendono 50% e se in caso di fallimento l’Erario avrebbe preso poco comunque perché magari gli immobili coprono a malapena le ipoteche. Rimane invece inderogabile il principio che i crediti di lavoro vanno soddisfatti integralmente (salvo dilazione entro un anno dall’omologa), salvo il consenso degli stessi lavoratori a prendere meno – consenso improbabile . In sintesi, il concordato in continuità è uno strumento flessibile e potenzialmente win-win: l’azienda viene ristrutturata e continua, i creditori ricevono in prospettiva più che dalla liquidazione, i dipendenti mantengono il posto di lavoro, e spesso anche l’indotto economico ne giova. Non a caso, la normativa dal 2012 in poi ha spinto molto su questa formula, introducendo anche concetti di piani attestati di continuità e concordati con intervento di nuovi investitori.
  • Concordato liquidatorio: se non ci sono prospettive di salvare l’azienda come attività in funzionamento, la SRL può proporre un concordato liquidatorio, in cui sostanzialmente mette a disposizione tutto il proprio patrimonio per liquidarlo sotto controllo del tribunale e distribuire il ricavato ai creditori, evitando però alcune rigidità del fallimento e magari introducendo risorse aggiuntive (ad es. un socio che mette un contributo per chiudere la vicenda). Il CCII richiede, come detto, che nel concordato liquidatorio vi sia almeno il 10% di finanza esterna – in assenza, la proposta sarebbe dichiarata inammissibile perché non abbastanza migliorativa rispetto alla liquidazione giudiziale. Questo 10% può provenire da terzi (soci, nuovi investitori) o anche dal risparmio di costi ottenuto tramite concordato rispetto al fallimento. In pratica, nel concordato liquidatorio la SRL chiede: “invece di fallire, fatemi vendere i beni io stesso sotto supervisione e distribuisco ai creditori un po’ più di quanto avreste col fallimento, e in tempi più rapidi, evitando contestazioni”. Se creditori e giudice si fidano, si risparmia tempo (anche perché nel concordato i beni si possono vendere in deroga a certe formalità fallimentari) e i creditori possono ottenere percentuali leggermente maggiori. Ad esempio, se dalla stima i creditori col fallimento avrebbero preso 30%, la SRL può proporre un concordato dando il 35% grazie a un modesto apporto dei soci e una riduzione dei costi, e chiudere tutto in un anno invece che in 5 anni di fallimento: molti creditori potrebbero preferirlo. Tuttavia, se il patrimonio è complesso o vi sono troppe incertezze, spesso i creditori (o il tribunale stesso) preferiranno la liquidazione giudiziale, che offre garanzie maggiori di imparzialità (curatore) e poteri forti (azioni revocatorie, ecc.). Nel concordato liquidatorio, gli amministratori cedono la gestione al liquidatore nominato ma evitano le restrizioni personali del fallimento (ad es. interdizione da attività economiche). Attenzione: se il concordato liquidatorio dovesse non andare a buon fine (ad es. non si riescono a vendere i beni come previsto, o il debitore non rispetta i pagamenti), scatta la liquidazione giudiziale d’ufficio . Infatti, l’omologazione di un concordato vincola anche il debitore: se questi non esegue il piano, su segnalazione del commissario il tribunale revoca il concordato e apre il fallimento immediatamente (art. 119 CCII).
  • Figure particolari: nel concordato possono intervenire soggetti terzi “assuntori”: un investitore può proporsi di assumere il concordato, cioè di rilevare (comprare) l’intera azienda o alcuni asset e in cambio farsi carico di pagare i creditori secondo la proposta. Questo spesso accade in concordati con continuità indiretta: ad esempio, un concorrente compra la azienda della SRL insolvente attraverso il concordato, assicurando risorse per pagare i creditori (tipicamente più di quanto avrebbero spuntato vendendo i pezzi separatamente). In tal caso, l’assuntore sottoscrive il piano e a lui si applicano gli obblighi di esecuzione.
  • Concordato preventivo “in bianco” (o con riserva): è uno strumento procedurale introdotto per consentire al debitore di bloccare subito le azioni dei creditori mentre prepara la proposta. Consiste nel depositare un ricorso di concordato con riserva (art. 44 CCII, ex art. 161 co.6 l.f.), cioè senza allegare immediatamente il piano e la proposta completi, ma con la riserva di presentarli entro un termine (di norma 60-120 giorni) . Il tribunale, se accetta la domanda in bianco, concede le misure protettive immediatamente (blocco dei pignoramenti) e nomina eventualmente un commissario provvisorio. Entro il termine assegnato, la società dovrà depositare il piano vero e proprio. Questo istituto serve a gestire crisi improvvise: ad esempio, un’azienda scopre di non poter pagare stipendi e fornitori domani, allora deposita il “concordato in bianco” per fermare ingiunzioni e iniziare a trattare la ristrutturazione mentre è protetta. Tuttavia, il tribunale ammette questa procedura solo se c’è una prospettiva seria di presentare una proposta concreta: diversamente può dichiarare inammissibile l’uso dilatorio dello strumento. Nel CCII è presente e viene usata ancora in pratica, sebbene la composizione negoziata l’abbia in parte “sostituita” come opzione iniziale meno stigmatizzante.
  • Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: novità assoluta introdotta col DL 118/2021 e confermata dal CCII art. 25-sexies. È un concordato senza voto dei creditori, riservato esclusivamente al caso in cui una composizione negoziata sia fallita (l’esperto dichiara che non si è trovata soluzione) . In tale frangente, l’imprenditore può proporre al tribunale un concordato liquidatorio “semplificato” dove i creditori non votano – decide solo il tribunale se omologare. È pensato per evitare il fallimento quando le trattative sono fallite ma c’è comunque la possibilità di liquidare attivo nell’interesse dei creditori senza le lungaggini del fallimento. Il tribunale valuta la convenienza della proposta rispetto al fallimento. In pratica è un mezzo di ultima istanza: non c’è stato largo utilizzo (è uno strumento eccezionale). Ad esempio, nel 2022 una pronuncia del Tribunale di Milano ha omologato uno dei primi concordati semplificati post composizione negoziata, liquidatorio puro, ritenendo che comunque i creditori prendevano il massimo possibile e più in fretta . Per il debitore, è un’arma da usare con cautela: può evitare il fallimento tradizionale, ma essendo senza voto, i creditori possono essere scontenti e opporsi in omologa (anche se formalmente non c’è voto, possono far valere ragioni contrarie). Resta un’opzione se le trattative falliscono ma il debitore vuole comunque gestire la liquidazione lui stesso (magari perché riesce a ottenere un prezzo migliore per alcuni cespiti rispetto a quello che otterrebbe un curatore fallimentare). In caso di abuso o proposta iniqua, il tribunale la rigetta e dichiara il fallimento.

Per il debitore (SRL) indebitato, quali sono i pro e contro del concordato?

Vantaggi: è uno strumento potente perché può imporre ai creditori una soluzione anche senza il loro consenso unanime. Permette di cancellare una parte significativa dei debiti, salvando l’azienda (nei concordati in continuità) o comunque chiudendo la vicenda in modo gestito. L’amministratore che sceglie la via del concordato, se lo fa tempestivamente, adempie ai propri doveri di gestione conservativa e può evitare responsabilità per aggravamento del dissesto. Inoltre, l’apertura del concordato blocca i pignoramenti, evita che i beni siano svenduti all’asta disordinatamente e consente di trattare in modo organico coi creditori. In termini di responsabilità personale, il ricorso al concordato può costituire una attenuante in sede penale: ad esempio, l’aver attivato procedure di soluzione della crisi in tempo utile evita l’imputazione per bancarotta semplice da tardiva richiesta di fallimento . Anche eventuali reati tributari (omessi versamenti) possono vedere sospese le azioni penali se il debito è incluso e soddisfatto in concordato. Altro vantaggio: se il concordato va a buon fine, gli amministratori evitano le sanzioni interdittive personali che conseguono al fallimento (ad es. l’inabilitazione all’esercizio d’impresa, l’interdizione dai pubblici uffici, ecc., previste dal R.D. 267/42 per il fallito persona fisica).

Svantaggi: il concordato è una procedura pubblica e complessa. Richiede costi notevoli (spese legali, costi del commissario, compenso attestatore, ecc.), tempi non brevissimi (6 mesi – 1 anno per arrivare all’omologa in media, talora di più), e soprattutto perdita parziale del controllo: l’azienda è sotto scrutinio costante, ogni decisione fuori dall’ordinario passa dal giudice e dal commissario. Un altro rischio è che, se il concordato non viene omologato (ad es. perché i creditori lo bocciano o il tribunale lo rigetta), la società finisce quasi inevitabilmente in liquidazione giudiziale aggravando ulteriormente il dissesto (si saranno anche spesi soldi e perso tempo) . Inoltre, dal punto di vista reputazionale e commerciale, la procedura di concordato può creare sfiducia in clienti, fornitori e banche, quindi va gestita con un adeguato piano di comunicazione e in tempi rapidi per non distruggere la continuità (questo soprattutto per il concordato in continuità: serve la credibilità che la ditta, pur in concordato, riuscirà a consegnare prodotti e onorare i nuovi impegni).

Conclusione su concordato: è lo strumento più invasivo ma anche risolutivo. La SRL dovrebbe considerarlo quando è di fatto insolvente o molto prossima all’insolvenza e gli accordi stragiudiziali sono impraticabili. Andrebbe preferibilmente impostato in continuità se c’è un core business ancora valido (magari con ridimensionamento), mentre se l’attività non ha più prospettive, un concordato liquidatorio può risultare solo un modo più guidato di liquidare l’esistente, con benefici modesti se non vi sono contributi esterni. Spesso, nelle crisi, si tenta prima la strada della ristrutturazione stragiudiziale (piano attestato o ADR) e solo in mancanza di successo si ripiega sul concordato. Ciò è coerente con la filosofia del CCII, che vede il concordato come opzione successiva da valutare dopo aver esperito le misure di allerta e composizione negoziata .

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che ha sostituito il “fallimento” tradizionale . Rappresenta la soluzione di ultima istanza quando l’insolvenza non è più evitabile né gestibile con misure di risanamento. In pratica, se una SRL è insolvente e nessuno strumento di composizione è attivabile o ha avuto successo, il Tribunale – su istanza di un creditore, o su iniziativa del debitore stesso o del PM – dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale. Da quel momento la società viene spossessata dei beni e un Curatore fallimentare procede a liquidarli per soddisfare i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione.

Vediamo i punti chiave:

  • Dichiarazione di liquidazione giudiziale: può avvenire su ricorso di un creditore, su istanza della stessa società debitrice, oppure su richiesta del Pubblico Ministero (quest’ultimo interviene se l’insolvenza risulta da fatti noti, ad esempio società che hanno debiti fiscali enormi o protesti) . Spesso accade così: un fornitore o una banca presenta ricorso perché la SRL non paga ed è evidente che non ha le risorse; il tribunale verifica la sussistenza dello stato di insolvenza (incapacità definitiva di adempiere) e, se accertato, emette la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Dal 2022, la legge ha mantenuto la soglia d’accesso: non si può dichiarare fallita un’impresa se i debiti scaduti non superano €30.000 (art. 49 co.1 CCII). Questa soglia serve ad evitare fallimenti “insignificanti”. Inoltre restano esclusi gli imprenditori sotto soglia (“minori”), ossia che negli ultimi esercizi hanno avuto meno di €200k di ricavi, €300k di attivo e debiti sotto €500k (parametri ex art. 2 CCII): costoro non sono soggetti a liquidazione giudiziale ma alle procedure di sovraindebitamento. Tuttavia, la maggior parte delle SRL operative supera almeno uno di tali parametri, quindi è assoggettabile a fallimento .
  • Effetti immediati della dichiarazione: con la sentenza, cessano i poteri degli amministratori e si apre lo spossessamento: il patrimonio sociale passa nelle mani del Curatore, nominato contestualmente dal tribunale . Il curatore è un professionista (commercialista, avvocato o esperto in gestione di imprese in crisi) iscritto in apposito albo. Egli rappresenta la società fallita, amministra e vende i suoi beni, e distribuisce il ricavato ai creditori secondo legge. Gli amministratori perdono la gestione e devono collaborare col curatore, consegnandogli i beni, le scritture contabili e fornendo informazioni. La società mantiene la personalità giuridica ma gli organi sociali non possono più compiere atti sul patrimonio (spossessamento: es.: un amministratore non può disporre dei conti correnti, firmare contratti su beni sociali, etc.). Vengono cessate le attività d’impresa salvo che il Tribunale, su proposta del curatore, autorizzi un esercizio provvisorio per evitare dispersione di valore (capita raramente e solo se continuare temporaneamente l’attività aumenta il valore di realizzo, ad es. completare commesse in corso).
  • Sospensione delle azioni individuali: dalla data di dichiarazione di liquidazione giudiziale, tutti i creditori non possono più iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sui beni della società (scatta il divieto di azioni esecutive analogo a quello in concordato, ma in questo caso per legge ex art. 150 CCII). I beni vengono destinati a soddisfare i creditori in modo concorsuale e paritario (par condicio). Eventuali pignoramenti in corso si spengono e confluiscono nella procedura. Anche i debiti tributari e verso lo Stato non possono più essere riscossi singolarmente, ma solo tramite l’insinuazione al passivo.
  • Procedimento di verifica crediti: il curatore invita tutti i creditori a presentare domanda di insinuazione al passivo entro una certa data. Poi predispone uno stato passivo (elenco dei crediti ammessi, con indicazione di importo e grado di privilegio). Il Giudice Delegato tiene un’udienza di verifica, esamina eventuali contestazioni, ed emette un decreto che fissa lo stato passivo definitivo. Questo momento determina ufficialmente quali crediti parteciperanno e come (chirografari o privilegiati, importi ammessi o esclusi se non riconosciuti).
  • Liquidazione dell’attivo: il curatore predispone un programma di liquidazione (entro 60 giorni dalla dichiarazione), che viene approvato dal Giudice Delegato e dal Comitato dei Creditori. Nel programma si stabilisce come vendere i beni: ad es. asta pubblica per l’immobile, vendita competitiva del magazzino, cessione di eventuali crediti, ecc. Ormai quasi ovunque le vendite giudiziali avvengono tramite portali telematici per favorire la trasparenza e la partecipazione . Il CCII incoraggia vendite celeri e con modalità innovative (possibile l’affidamento a esperti o società specializzate). Il curatore, venduti i beni, raccoglie le somme.
  • Ripartizione ai creditori: periodicamente il curatore effettua i piani di riparto, distribuendo le somme incassate secondo l’ordine dei privilegi. Fa riserve per i crediti contestati (se c’è un contenzioso in corso su un credito) e paga in acconto i privilegiati man mano. Alla fine, fa il riparto finale. I creditori chirografari ricevono solo la percentuale residua dopo privilegi e spese. Ad esempio, se l’attivo ha permesso di pagare interamente privilegi e rimangono 100k per 500k di chirografari, ciascuno prende il 20% del suo credito.
  • Chiusura della procedura: una volta esaurito l’attivo, il curatore presenta un rendiconto finale. Approvato quello, il tribunale dichiara chiusa la liquidazione giudiziale. Se la società aveva attivo sufficiente a pagare tutti i creditori, verrebbe riabilitata (caso raro); altrimenti di norma la società viene cancellata dal Registro delle Imprese per cessazione (anche d’ufficio). I creditori chirografari insoddisfatti restano tali ma, essendo la società estinta, non hanno più un soggetto giuridico da aggredire – di fatto le loro pretese restano insoddisfatte.
  • Conseguenze per gli amministratori e soci: sul piano giuridico, l’apertura della liquidazione giudiziale comporta alcune conseguenze: gli amministratori possono subire (se il tribunale lo ritiene) inabilitazioni e interdizioni (non possono per 2 anni esercitare altre imprese o uffici direttivi in società, per es., art. 312 CCII), soprattutto se la procedura evidenzia colpe a loro carico. Inoltre, l’apertura di un fallimento espone gli amministratori a possibili azioni di responsabilità promosse dal curatore nell’interesse dei creditori (azione sociale e azione dei creditori ex art. 2394/2476 c.c. e 2486 c.c.) di cui diremo tra poco. I soci della SRL, in quanto a responsabilità, di regola perdono il capitale investito ma non rispondono oltre (salvo versamenti ancora dovuti sulle quote non liberate). Un caso particolare: se la SRL fallita ha soci unici o di controllo che abbiano abusato della personalità giuridica (società usata come schermo per attività illecite o distrazione di attivi), talvolta la giurisprudenza ha dichiarato il “piercing del velo” rendendo quei soci personalmente responsabili verso i creditori, ma sono ipotesi estreme e non codificate chiaramente in Italia . Più spesso i soci possono essere chiamati dal curatore se, ad esempio, avevano incassato utili fittizi o rimborsi spese non dovuti in tempi di dissesto (azione di restituzione ex art. 2497 o bancarotta per indebita restituzione di conferimenti).
  • Creditori insoddisfatti e garanzie: al termine della liquidazione giudiziale, i creditori non pienamente soddisfatti non possono più agire contro la società (che viene estinta). Tuttavia, possono agire contro eventuali coobbligati e garanti personali . Esempio tipico: se un socio o amministratore aveva garantito un debito bancario, e in fallimento la banca recupera solo il 50%, per il restante 50% può rivalersi sul garante . Anche i fideiussori (persone fisiche) o un obbligato in solido (per esempio altra società garante) restano obbligati. Inoltre, se emergono fatti di reato (es. distrazioni), i creditori potrebbero avere diritto a costituirsi parte civile contro l’amministratore nel processo penale per ottenere risarcimento.
  • Differenze rispetto al concordato: in breve, la liquidazione giudiziale è una procedura involontaria (per il debitore), finalizzata esclusivamente a liquidare e distribuire l’attivo in base alla legge, senza salvare l’impresa. Il concordato, viceversa, è volontario del debitore, può avere l’obiettivo di salvare l’impresa o comunque offrire un piano, e i creditori hanno voce in capitolo (voto). Nel fallimento i creditori non votano, subiscono la legge; nel concordato votano sulla proposta del debitore. In liquidazione giudiziale, i tempi e i costi possono essere elevati (anche anni) e i creditori spesso recuperano percentuali basse; nel concordato si cerca di migliorare la tempestività e la resa (ma non sempre riesce). Dal punto di vista dell’amministratore, il fallimento è l’evento più indesiderabile: implica perdita totale di controllo, possibili azioni di responsabilità, e implicazioni penali (se emergono reati fallimentari). È davvero l’extrema ratio, da evitare attivandosi prima.

In sintesi, cos’è la liquidazione giudiziale per la SRL che non paga i debiti? È la procedura concorsuale pubblica e giudiziaria che elimina l’impresa dal mercato, liquida il suo patrimonio e distribuisce il ricavato ai creditori secondo la legge . Dal punto di vista di creditori e ordinamento è una funzione di “pulizia” e soddisfacimento residuale; dal punto di vista del debitore è la fine dell’attività e l’inizio di potenziali guai (economici e giudiziari) per gli amministratori se hanno commesso irregolarità.

Responsabilità degli amministratori di una SRL insolvente

Una SRL insolvente pone immediatamente l’attenzione sulla condotta degli amministratori: questi hanno doveri precisi di gestione prudente e conservativa del patrimonio sociale, e se la crisi non viene gestita correttamente possono incorrere in pesanti responsabilità civili verso la società e i creditori, oltre a potenziali responsabilità penali in caso di bancarotta o altri reati.

Vediamo i diversi profili di responsabilità dei gestori di una SRL che non riesce a pagare i debiti:

1. Responsabilità civile verso la società (azione sociale): l’amministratore che, con dolo o colpa, viola i propri doveri gestionali causando un danno al patrimonio sociale, risponde verso la società ai sensi dell’art. 2476 c.c. (per le SRL) . In situazioni di crisi, gli amministratori hanno l’obbligo di preservare l’integrità del patrimonio sociale e non aggravare la situazione. Se hanno assunto decisioni imprudenti, o omesso di reagire tempestivamente alla crisi, potrebbero aver causato un danno (ad esempio continuando un’attività in perdita che ha bruciato cassa e aumentato il deficit). Dopo la dichiarazione di fallimento, la legittimazione ad agire spetta al Curatore, che esercita sia l’azione sociale di responsabilità (a beneficio della società e indirettamente dei creditori) sia l’azione in favore dei creditori (vedi punto successivo). Il CCII all’art. 378 ha rafforzato questo meccanismo: ha introdotto un nuovo comma all’art. 2486 c.c., prevedendo criteri presuntivi di calcolo del danno in caso di prosecuzione dell’attività oltre la soglia di perdita del capitale . In particolare, se gli amministratori avrebbero dovuto adottare una soluzione (come avviare una procedura concorsuale o liquidare) a una certa data, e non lo hanno fatto, il danno presunto è la differenza tra patrimonio netto a quella data e patrimonio netto al momento dell’apertura della procedura concorsuale . In altre parole, tutto il peggioramento del deficit durante il “periodo di mala gestio” è considerato danno imputabile agli amministratori, salvo prova contraria. Ad esempio, se la SRL al momento in cui il capitale si azzera aveva un patrimonio di -50.000 e al fallimento si ritrova con -200.000, quel delta di 150.000 è il danno da mala gestio presumibile. Questa norma facilita il curatore nel chiedere risarcimenti. Cassazione 23659/2023 ha confermato che tale criterio presuntivo (introdotto dal D.Lgs. 14/2019) si applica anche alle azioni dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. , consolidando la tutela dei creditori contro la gestione colposa.

2. Responsabilità verso i creditori sociali (azione di responsabilità “esterna”): se il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i creditori (tipicamente in insolvenza/fallimento), scatta la responsabilità degli amministratori verso i creditori, per non aver conservato l’integrità del patrimonio stesso . È la cosiddetta azione ex art. 2394 c.c. (applicabile alle SRL per richiamo dell’art. 2476 c.c.), che il CCII all’art. 378 ha in parte riscritto: adesso è chiaramente sancito che in caso di insolvenza gli amministratori rispondono verso i creditori sociali se con la loro condotta negligente o dolosa hanno aggravato il dissesto . La novità, come detto, è il comma 3 di 2486 c.c. che quantifica il danno in via presuntiva , facilitando la prova. Questa azione è esercitata dal curatore (che cumula quella sociale e quella dei creditori) in caso di fallimento. Fuori dal fallimento, i creditori possono esercitarla individualmente solo se la società è dissolta e il patrimonio insufficiente (concordato preventivo non genera la legittimazione diretta dei creditori, ma all’esito se c’è un liquidatore può farlo). Il concetto base: gli amministratori devono evitare di erodere garanzie dei creditori; se lo fanno, ne rispondono col proprio patrimonio personale. Un esempio tipico è l’inosservanza degli obblighi ex art. 2482-bis c.c. (riduzione del capitale per perdite): se gli amministratori non convocano l’assemblea per ricapitalizzare o sciogliere la società in presenza di gravi perdite, e proseguono l’attività generando nuovi debiti, saranno responsabili di quei debiti aggiuntivi.

3. Responsabilità per violazione di obblighi tributari e contributivi – art. 36 D.P.R. 602/1973: esistono normative speciali che possono rendere personalmente responsabili amministratori e liquidatori per debiti erariali e previdenziali. In particolare l’art. 36 del DPR 602/1973 prevede che il liquidatore di una società risponde in proprio dei debiti tributari non pagati se, durante la liquidazione, ha distribuito attivi ai soci senza aver prima soddisfatto i crediti tributari o quelli di ordine superiore . In pratica, il liquidatore (anche di fatto) deve pagare prima le imposte dovute per il periodo di liquidazione e quelle pregresse, e può dare soldi ai soci solo dopo. Se viola quest’obbligo, l’Agenzia Entrate può emettere avviso di accertamento a carico del liquidatore per le imposte rimaste impagate (nei limiti di quanto distribuito ai soci) . Importante: questa è una responsabilità civile di natura speciale, accertata con atto fiscale (non serve l’iscrizione a ruolo preventiva, come chiarito da Cass. Sez. Un. 32790/2023) . Non è necessario che la società sia fallita; basta che sia stata liquidata o cessata l’attività con debiti fiscali insoddisfatti. Anche gli amministratori non formalmente liquidatori potrebbero essere chiamati in causa se hanno di fatto gestito la liquidazione senza regole. Ad esempio, se una SRL non paga le tasse e viene cancellata, l’Agenzia può notificare un avviso ex art. 36 al soggetto che ha chiuso la società, chiedendogli il pagamento. Allo stesso modo, per i debiti contributivi, l’art. 3 D.Lgs. 46/99 prevede la responsabilità del liquidatore per contributi non versati analogamente. Per gli amministratori non in liquidazione, una norma rilevante è l’art. 2392 c.c. per le SPA (applicato in parte anche alle SRL) che impone il dovere di vigilare affinché la società adempia agli obblighi legali: alcune pronunce hanno configurato la responsabilità dell’amministratore per omesso versamento di IVA o ritenute come danno alla società (sanzioni e interessi poi gravano), ma si tratta di costruzioni indirette. Più incisive sono norme come l’art. 256 D.Lgs. 152/2006 (responsabilità per spese ambientali) o normative sulla sicurezza sul lavoro, ma esulano dal focus sui debiti finanziari.

4. Responsabilità contrattuali personali (garanzie): al di fuori delle previsioni di legge, spesso gli amministratori (o i soci) assumono obblighi personali per garantire i debiti sociali, ad esempio firmando fideiussioni a favore di banche o fornitori. Questo è sul piano contrattuale, non societario, ma è comunissimo. In caso di insolvenza della SRL, il creditore garantito certamente escuterà la garanzia. L’amministratore-garante quindi risponde con il proprio patrimonio secondo il contratto di fideiussione . Tale responsabilità non discende dal suo ruolo di amministratore ma dall’obbligo negoziale assunto. Tuttavia, va menzionata perché nella pratica molte PMI funzionano così: la SRL non paga e la banca si rifà sul patrimonio personale dell’amministratore/socio che aveva garantito. Da notare che, se il garante paga il debito, acquisisce surroga o rivalsa verso la società, ma in insolvenza è destinata a rimanere insoddisfatta; quindi subisce la perdita.

5. “Piercing the corporate veil” (abuso di forma giuridica): come accennato, dottrina e giurisprudenza italiane hanno elaborato il concetto (di origine anglosassone) di abuso della personalità giuridica. In casi estremi, se si dimostra che la SRL era un mero schermo fittizio usato dai soci o amministratori per commettere abusi o frodi, un giudice può dichiarare inopponibile ai creditori il limite della responsabilità limitata, facendo rispondere i soci/amministratori col proprio patrimonio . Questi casi sono rari ma esistono: tipicamente si richiede una sovrapposizione completa tra società e persona, asset confusi, sottocapitalizzazione dolosa, o utilizzo dell’azienda per fini personali illeciti. Ad esempio, in presenza di una SRL di comodo che viene usata per accumulare debiti e poi svuotata, i creditori possono chiedere in giudizio che i soci siano dichiarati responsabili in solido, perché la società era un simulacro. La giurisprudenza italiana non è monolitica sul punto, ma possiamo citare ad esempio Tribunale di Milano, sent. 20 aprile 2016 (caso Phonemedia) in cui venne affermato l’abuso di personalità per eterodirezione illecita e i soci di controllo furono condannati a pagare. Resta però l’extrema ratio.

Riassumendo: l’amministratore di una SRL insolvente non risponde automaticamente dei debiti sociali (grazie alla responsabilità limitata), ma se ha gestito male la società – tardando a affrontare la crisi, violando obblighi legali, favorendo fraudolentemente alcuni creditori o sé stesso – allora la legge offre vari strumenti per chiamarlo a rispondere in proprio. La chiave di volta è la distinzione tra rischio d’impresa (che grava sui creditori quando un’azienda fallisce onestamente) e mala gestio (che trasferisce il peso su chi l’ha causata).

Cosa dovrebbe fare l’amministratore diligente in crisi? Appena percepisce segnali di insolvenza, deve attivare gli strumenti di allerta (assetti adeguati, composizione negoziata, etc.), evitare di aggravare il dissesto (es. non contrarre ulteriori debiti se sa che non potrà onorarli), non pagare preferenzialmente alcuni creditori a scapito di altri in fase di insolvenza (questo è illecito e potenzialmente penale), non disperdere beni sociali con atti gratuiti o conflitti di interesse. Se l’amministratore si muove subito e in buona fede, attiva un piano di risanamento o chiede il concordato preventivo tempestivamente, può evitare sia la bancarotta sia le responsabilità risarcitorie . Il CCII al riguardo prevede anche “premi”: ad esempio, se un concordato preventiva la liquidazione giudiziale, certi reati di bancarotta semplice non sono puniti e la condotta diligente è valutata a favore in possibili giudizi penali .

Infine, va menzionata la copertura assicurativa D&O (Directors and Officers): molte società stipulano polizze per coprire i danni da responsabilità civile degli amministratori. Questo può alleviare l’impatto economico di eventuali azioni risarcitorie (salvo dolo, che in genere è escluso dalle coperture). Tuttavia non copre sanzioni penali né debiti fiscali ex art.36, ed è inoperante in caso di condotte fraudolente.

Conseguenze per i soci di una SRL insolvente

I soci di regola beneficiano dell’autonomia patrimoniale: perdono al massimo il capitale investito. I creditori sociali non possono chiedere ai soci il pagamento dei debiti sociali. Le eccezioni principali sono:

  • Versamenti ancora dovuti sul capitale sottoscritto: se il socio non aveva versato integralmente la quota sottoscritta, il curatore può escutere il credito verso soci (richiedere i decimi ancora da versare).
  • Finanziamenti soci postergati: come detto, i soci finanziatori possono vedersi azzerare il rimborso (perdono i crediti postergati). Non è propriamente “pagare debiti altrui”, ma rinunciare ai propri crediti.
  • Responsabilità per distribuzioni illegittime: se prima del fallimento i soci hanno ricevuto utili o acconti dividendi non realmente distribuili (ad es. utili fittizi su bilanci in perdita), il curatore può agire per farseli restituire (azione ex art. 2476 comma 7 c.c. o configurare bancarotta semplice per i soci che hanno consapevolmente percepito tali utili).
  • Soci liquidatori: se un socio era liquidatore della società (capita nelle piccole SRL che il socio unico sia anche liquidatore finale), allora ricade nella responsabilità ex art.36 DPR 602/73 per debiti fiscali come visto sopra.
  • Fideiussioni: se hanno garantito personalmente, rispondono come normali garanti contrattuali.

Caso particolare è quando la società viene cancellata dal Registro con debiti pendenti: qui la Cassazione (SS.UU. 6070/2013) ha stabilito che i creditori insoddisfatti possono far valere le loro pretese nei confronti dei soci, ma limitatamente alle somme da questi riscosse in sede di bilancio finale di liquidazione. Quindi se una SRL chiude e distribuisce 10.000 € a un socio mentre lascia 50.000 di debiti, i creditori possono chiedere a quel socio quei 10.000 € (nulla di più). È un’azione diretta di recupero. Se nulla è stato distribuito, i creditori non hanno bersaglio (non possono chiedere ai soci di tasca propria). Questa regola di salvaguardia impedisce ai soci di dissolvere la società intascandosi attivo e abbandonando i debiti.

In sintesi, i soci non amministratori raramente subiscono conseguenze patrimoniali personali dall’insolvenza della SRL, a meno di comportamenti fraudolenti (società usata per frode) o impegni personali (garanzie). Tuttavia, ovviamente, perdono l’investimento nella società: le loro partecipazioni diventano prive di valore. Se la società dovesse in futuro tornare in bonis (caso di concordato con continuità), i soci spesso si vedono diluiti o azzerati comunque, perché tipicamente il piano prevede aumenti di capitale con nuovi investitori o conversione debiti in quote. Dunque il rischio economico per i soci è altissimo (fino al 100% del capitale), ma il rischio giuridico di dover pagare i debiti sociali è molto limitato e circoscritto a scenari particolari.

Debiti verso categorie particolari di creditori: cosa succede in pratica

Abbiamo già descritto le varie tipologie di crediti (fornitori, banche, Fisco, ecc.) e il loro rango in caso di insolvenza. Qui, dal punto di vista operativo, vediamo cosa può fare ciascuna categoria di creditore e quali conseguenze specifiche si profilano:

  • Fornitori: il fornitore non pagato può anzitutto sospendere ulteriori forniture (opponendo l’eccezione di inadempimento se il contratto lo consente, o attivando clausole di salvaguardia tipo cash on delivery per future consegne). Per recuperare il suo credito scaduto, solitamente ottiene un decreto ingiuntivo e può tentare un pignoramento di beni o conti della SRL. Se la SRL è davvero insolvente, spesso il pignoramento risulta infruttuoso (conto vuoto, nessun immobile libero da ipoteche, ecc.). A quel punto il fornitore può decidere di presentare ricorso per fallimento: questa è un’arma di pressione notevole. Basta un credito certo, liquido ed esigibile (anche non accertato giudizialmente, ma di solito si allega il decreto ingiuntivo non opposto) e la prova che la società non paga debiti per oltre €30k. Il tribunale esaminerà e, se riscontra l’insolvenza, dichiarerà la liquidazione giudiziale. Ciò ovviamente nuoce anche al fornitore, che dovrà poi insinuarsi e forse prendere solo un piccolo dividendo anni dopo; ma a volte è l’unico modo per far valere i propri diritti e fermare l’agonia. Dal lato della SRL debitore: ricevere istanze di fallimento da fornitori è un segnale gravissimo; se il debito è reale, l’unica difesa è dimostrare di non essere insolventi (magari mostrando che si stanno pagando altri creditori, o che il credito è contestato), oppure correre ai ripari chiedendo un concordato preventivo prima che l’udienza di fallimento avvenga. Va anche considerato che i fornitori insoddisfatti parlano tra loro e con i clienti, quindi l’insolvenza può diffondersi reputazionalmente e isolare la società dal mercato.
  • Banche: la banca creditrice, se l’azienda non paga rate di mutuo o scoperti, può revocare gli affidamenti (se non l’ha già fatto per altre clausole di rating) e segnalarla in Centrale Rischi come insolvente (default). Questo spesso innesca una reazione a catena: altre banche chiudono le linee, fornitori chiedono pagamento anticipato, etc. La banca può attivare procedure esecutive rapide: decadimento dal beneficio del termine del mutuo (il debito diventa immediatamente esigibile) e precetto per il pagamento. Se c’è un’ipoteca su un immobile, la banca inizierà un pignoramento immobiliare che può portare alla vendita all’asta dell’immobile dopo mesi/anni e recupero del suo credito (o parte di esso). Se la banca è garantita da pegno su macchinari o su crediti, può far valere quelle garanzie (pignoramento presso debitore per i pegni su crediti, vendita privata per pegno di cosa mobile, etc., secondo norme). Se c’è una fideiussione, la banca spesso prima ancora di aggredire la società escute il fideiussore (tipicamente il socio/amministratore) per via extragiudiziale, così da essere ripagata in modo più semplice. In molti casi di PMI, la banca viene soddisfatta proprio tramite le garanzie personali e non ha interesse a spingere la società in fallimento (perché tanto recupera dai garanti). Tuttavia, se le esposizioni sono alte e magari i garanti non hanno patrimonio sufficiente, la banca attiverà tutte le leve: istanza di fallimento compresa, soprattutto se ravvisa comportamenti poco collaborativi o rischi di distrazione di beni. Notiamo che dal 2021 con l’entrata in vigore delle misure di allerta, le banche hanno anche obblighi di segnalazione quando revocano o riducono linee di credito e l’impresa appare in difficoltà, per favorire l’emersione anticipata della crisi . Questo rende ancora più rapida la presa d’atto dell’insolvenza. Dal lato della SRL: se una banca minaccia la revoca dei fidi, l’amministratore deve tempestivamente cercare di negoziare (ristrutturazione del debito, moratoria ABI, ecc.) e se vede che la banca è orientata a esecuzioni, valutare il ricorso agli strumenti del CCII (composizione negoziata per proteggersi dagli attacchi, concordato per congelare la situazione).
  • Erario (Agenzia delle Entrate – Riscossione): i debiti fiscali seguono un iter: dopo l’omesso pagamento, l’Agenzia emette atti (avvisi di accertamento esecutivi o iscrizioni a ruolo con cartelle). Se la SRL continua a non pagare, l’Agente della Riscossione (ADER, ex Equitalia) può attivare misure cautelari come il fermo amministrativo sui veicoli aziendali, l’ipoteca fiscale sugli immobili (scatta per debiti ≥ €20.000) e misure esecutive come il pignoramento di conti correnti e beni. ADER ha poteri speciali, ad esempio può pignorare crediti verso terzi anche senza passare dal giudice (invio diretto di ordine al debitore del contribuente). Tuttavia, se la società è in crisi, spesso i suoi conti sono già vuoti e gli immobili magari ipotecati dalle banche (il privilegio fiscale immobiliare viene dopo le ipoteche volontarie se iscritte prima). ADER può iscrivere ipoteca su immobili liberi per congelare il bene (impedirne la vendita senza saldare le imposte). Una volta dichiarato fallimento, ADER deve insinuarsi al passivo come gli altri e le azioni individuali si interrompono. Prima del fallimento, ADER è normalmente il creditore più “aggressivo” e rigido. Tuttavia, recentemente il legislatore ha previsto varie definizioni agevolate (“rottamazioni” delle cartelle) e piani straordinari. Dal punto di vista del debitore, comunicare con il Fisco è importante: ignorare le cartelle porta solo ad aggravio di sanzioni e interessi. Spesso conviene chiedere una rateazione standard (72 rate) perché ciò sospende nuove azioni esecutive finché si pagano le rate. L’azienda insolvente può usare la rateazione come tampone, magari pagandone qualche rata per guadagnare tempo (tuttavia, non pagare le successive revocherà il beneficio e peggiorerà la situazione). Nell’ambito di un concordato o ADR, il debitore può proporre al Fisco una transazione fiscale: tipicamente offrire il pagamento parziale dell’IVA e altre imposte e stralcio integrale di sanzioni e interessi. Se l’offerta è pari o superiore a quanto il Fisco otterrebbe in caso di fallimento, il tribunale può omologarla anche senza l’accordo dell’Erario (salvo i limiti di legge post-2024). Questo strumento può ridurre drasticamente il carico fiscale e rendere sostenibile il piano di ristrutturazione . Ad esempio, se una SRL ha €500k di debiti con AE (di cui 300k IVA, 100k IRES, 100k sanzioni e interessi), un concordato potrebbe offrire di pagare 200k totali in 4 anni: se in fallimento l’Erario stimerebbe di recuperare solo 100k, il tribunale potrebbe approvare il concordato nonostante l’Erario voti no. Dal 2024, però, se l’Erario vota no e la sua percentuale di soddisfo sarebbe inferiore al 20%, il tribunale non può omologare (indicativamente). Quindi il debitore deve cercare di coinvolgere attivamente l’Erario nelle trattative, magari con l’adesione dell’Agenzia (non impossibile: negli ultimi anni AE e INPS partecipano di più alle composizioni negoziate, come evidenziato dal fatto che ora sono inclusi anche in quell’ambito ).
  • INPS e debiti contributivi: simile al Fisco come iter: l’INPS notifica avvisi di addebito, poi cartelle. L’INPS è meno rapida dell’AE in azioni esecutive, spesso si appoggia anch’essa ad ADER. Una particolarità: per crediti di contributi, l’INPS può ricorrere al Privilegio generale mobiliare ex art. 2753 c.c. che è molto elevato in graduatoria (viene subito dopo i crediti di lavoro e equiparati). Dunque in fallimento l’INPS spesso viene soddisfatta in buona parte (salvo enorme sproporzione). Come deterrente, l’INPS può attivare ispezioni e bloccare il rilascio del DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva), necessario per partecipare ad appalti e attività edilizie. Un’azienda senza DURC non può lavorare in molti settori, quindi il debito contributivo si riflette operativamente. L’azienda in crisi può chiedere una dilazione contributiva (anche qui 24-36 rate a seconda), e lo Stato ha introdotto talvolta condoni di sanzioni (es. la legge di Bilancio 2023 ha previsto definizione agevolata per avvisi di addebito INPS). In procedure di concordato, l’INPS rientra nella transazione fiscale (che in realtà è “fiscale e previdenziale”) e può subire un taglio analogamente alle imposte . Sulla responsabilità personale: l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (quota dipendenti) oltre €10.000 annui è reato . Se l’azienda fallisce, l’amministratore sarà verosimilmente imputato di questo reato se quelle somme non furono versate e non c’è causa di non punibilità (es. crisi di liquidità improvvisa, vedi profili penali infra). Inoltre, l’INPS può attivare la procedura per Responsabilità solidale degli amministratori per il TFR non versato al Fondo di Garanzia: se il fallimento non consente di pagare TFR e ultime mensilità, l’INPS paga i lavoratori ma può regredire verso chi avrebbe dovuto versare contributi e TFR, in alcuni casi mirando agli amministratori per omessa contribuzione (questo più sul lato penale o azione di responsabilità generica, non c’è una norma specifica come art.36 per i contributi, salvo per liquidatore).
  • Dipendenti: i dipendenti di una SRL insolvente sono tutelati, come visto, dal privilegio e dal Fondo di Garanzia. Però nel frattempo possono soffrire mancate retribuzioni. Il datore in crisi può ricorrere ad ammortizzatori sociali (es. Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per crisi, se ha i requisiti) per attenuare l’impatto e ridurre i costi del personale legalmente. Se i dipendenti non ricevono lo stipendio, possono dimettersi per giusta causa (maturando diritto a TFR immediato e NASpI), e molti lo faranno peggiorando la capacità dell’azienda di operare. Inoltre i dipendenti possono presentare istanza di fallimento come creditori per le loro spettanze (anche se di solito attendono il Fondo di Garanzia). In concordato, come detto, i crediti di lavoro vanno preferibilmente soddisfatti integralmente; se è una continuità, i dipendenti di solito restano e l’azienda post-concordato continua a pagarli regolarmente. In liquidazione giudiziale, i rapporti di lavoro pendenti vengono sciolti dal curatore (il fallimento è causa di cessazione automatica dei rapporti di lavoro subordinato entro breve, art. 189 CCII, salvo esercizio provvisorio). I dipendenti rimasti senza lavoro recupereranno TFR e arretrati tramite il Fondo di Garanzia INPS dopo l’ammissione al passivo. L’amministratore, se non ha versato i contributi su retribuzioni, può essere sanzionato e pure, moralmente, additato (la gestione che non paga i lavoratori è considerata socialmente molto grave).

Esempio pratico combinato: Gamma Srl (immobiliare) ha: 1 mln di debiti con una banca (ipoteca su immobile aziendale), 200k debiti fiscali, 100k debiti fornitori, 50k debiti vari. Non ha dipendenti. Patrimonio: quell’immobile vale 800k, poche liquidità. Gamma Srl prova a vendere l’immobile per saldare la banca ma non trova compratori al valore sperato; nel frattempo non paga IVA. La banca potrebbe pignorare l’immobile: esito probabile, verrà venduto all’asta a 600k; la banca incasserà 600k (perdendo 400k) e poi molto probabilmente chiederà il fallimento per chiudere la partita. Il Fisco, vedendo l’IVA non pagata per 100k, iscrive ipoteca di secondo grado sull’immobile, ma prenderà quasi zero dall’asta perché la banca assorbe il ricavato come creditore ipotecario di primo grado. I fornitori da 100k restano scoperti del tutto. Il tribunale dichiara il fallimento su istanza della banca e di un paio di fornitori coalizzati. Il curatore vende l’immobile (ormai pignorato, magari l’asta in fallimento ricava 650k se va bene). Paga la banca 100% fino a 650k, la banca resta con 350k insoddisfatti (diventano chirografari). Il Fisco come chirografo (il privilegio mobiliare su quell’immobile è subordinato all’ipoteca) prende zero. I fornitori e gli altri chirografari ricevono anch’essi zero (perché neppure la banca ha avuto sufficiente). Fine: Gamma Srl sparisce; la banca per i 350k residui escute la fideiussione del socio (che aveva garantito max 300k: incassa 300k da lui, il socio vede la sua casa pignorata; i restanti 50k banca li porta a perdita). Il Fisco, vedendo nulla dal fallimento, se ne va con un credito inesigibile; potrà però valutare se l’amministratore ha colpa e, se ravvisa reato di bancarotta preferenziale per aver pagato magari qualche fornitore pre-fallimento a scapito di altri, lo denuncerà. L’amministratore inoltre subirà un procedimento penale per omesso versamento IVA di 100k (sopra soglia 250k è reato, qui 100k è sotto soglia, quindi in realtà non punibile penalmente dopo le modifiche del 2015, giusto: soglia IVA è 250k). Quindi niente reato IVA in questo esempio; ma se fosse stata 300k, sì (punito fino 2 anni reclusione). Comunque quell’amministratore rischierà sanzioni per il debito tributario e un possibile art. 36 se ha distribuito qualcosa ai soci (non pare). I fornitori e gli altri creditori chirografari restano col danno, forse potranno agire contro l’amministratore se emergesse che ha aggravato il dissesto (ad es. vendendo l’immobile a un prezzo vile prima del fallimento a un compiacente – in tal caso il curatore agirebbe per revocatoria o bancarotta fraudolenta). In soldoni: uno scenario pessimo per tutti, che forse poteva essere evitato se Gamma Srl avesse trattato prima (es. concordato: vendere immobile a 800k a investitore, offrire a banca 800k, a Fisco 50k, a fornitori 50k – i creditori avrebbero preso più di quanto effettivamente preso nel fallimento).

Profili penali dell’insolvenza: reati fallimentari e tributari

L’insolvenza di una società può trascinare con sé conseguenze penali, in particolare a carico degli amministratori (o liquidatori). Distinguiamo due ambiti principali: i reati concorsuali (fallimentari) e i reati tributari/contributivi connessi all’omesso pagamento di imposte e contributi.

Reati fallimentari (bancarotta e affini): sono previsti dal R.D. 267/42 (legge fallimentare) tuttora in vigore per la parte penale, sebbene rinominati come reati di liquidazione giudiziale nel CCII. Si configurano solo in caso di fallimento (liquidazione giudiziale) dichiarato. I principali sono:

  • Bancarotta fraudolenta (artt. 216-223 l.fall.): è il reato commesso dall’imprenditore (o amministratore di società) che, prima o durante il fallimento, ha distratto o dissipato beni sociali, esposto passività inesistenti, occultato o falsificato scritture contabili o comunque agito con frode ai danni dei creditori. Comprende anche la bancarotta preferenziale, ovvero l’aver eseguito pagamenti o atti di favore verso qualche creditore a detrimento di altri in situazione di insolvenza. È un reato doloso e gravemente punito: la bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale è punita con la reclusione da 3 a 10 anni; la bancarotta preferenziale con la reclusione fino a 2-6 anni (oggi simili alle pene della bancarotta semplice, ma considerata fraudolenta se intenzionale). Nel contesto di una SRL insolvente, rischia la bancarotta fraudolenta l’amministratore che abbia, ad esempio, sottratto beni aziendali portandoli a sé o a terzi prima del fallimento (distrazione), oppure che abbia tenuto una contabilità talmente irregolare da non permettere la ricostruzione del patrimonio (falsa contabilità, considerata come documentale), o che in prossimità del dissesto abbia pagato per intero il debito di un fornitore amico lasciando gli altri a bocca asciutta (preferenziale). Rischiano anche eventuali complici (es. il socio che si presta a farsi cedere beni sotto costo). Esempio tipico: l’amministratore preleva dalla cassa €50.000 e “sparisce” con quel denaro prima del fallimento – bancarotta fraudolenta patrimoniale; oppure vende un macchinario a prezzo stracciato alla società della moglie – stessa fattispecie (distrazione); o, sapendo di essere insolvente, paga integralmente un creditore che gli è più simpatico – bancarotta preferenziale. In tali casi, la condanna è quasi certa se vi è fallimento e prove, e comporta pene detentive rilevanti (spesso attorno ai 4-5 anni per vari episodi).
  • Bancarotta semplice (art. 217 l.fall., ora art. 324 CCII): punisce condotte meno gravi, generalmente per colpa (negligenza) o lieve dolo, che abbiano contribuito al dissesto. Esempi: aver speso somme in operazioni manifestamente imprudenti, aver aggravato il dissesto per ritardo nell’istanza di fallimento, non aver tenuto i libri contabili regolarmente. È punita con reclusione da 6 mesi a 2 anni. Nell’ambito della SRL insolvente, tipici casi di bancarotta semplice: l’amministratore che ha proseguito l’attività accumulando debiti quando avrebbe dovuto fermarsi (ritardata richiesta di concordato/fallimento), oppure che ha tenuto la contabilità in modo caotico per negligenza (non fraudolento, ma tale da impedire di capire). Anche l’aver fatto spese personali col denaro sociale se non c’è intento di frode può configurare bancarotta semplice (perché atto imprudente). La distinzione col fraudolento talvolta è sottile: se c’è malafede chiara, è fraudolenta; se c’è solo incapacità o leggerezza, è semplice. Le pene sono minori e spesso i casi possono essere dichiarati prescritti se il processo arriva tardi. Tuttavia, la condanna per bancarotta semplice comporta comunque per l’amministratore l’interdizione per un certo periodo dall’esercizio di imprese e dagli uffici direttivi.
  • Altri reati concorsuali: ce ne sono diversi: ad esempio il ricorso abusivo al credito (art. 218 l.fall.) punisce chi, in stato di insolvenza, continua a fare nuovi debiti sapendo di non poterli pagare, aggravando il dissesto; oppure l’omessa consegna di libri al curatore (bancarotta impropria, art. 220). Anche i soggetti diversi dall’imprenditore possono commettere reati: i soci possono rispondere di bancarotta se hanno concorso (ad es. socio che aiuta a nascondere beni), i terzi pure (si parla di concorso nel reato). I sindaci e revisori potrebbero essere imputati di concorso in bancarotta se consapevolmente non hanno impedito atti fraudolenti.

Nel CCII è rimasto praticamente tutto invariato sul penale rispetto alla vecchia legge fallimentare – il legislatore delegato del 2019 aveva inizialmente ipotizzato di spostare i reati nel codice penale ma poi li ha lasciati lì. Ha giusto rivisto le denominazioni (invece di “fallito” si dirà “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale”) e poco altro. L’effetto pratico: se una SRL viene dichiarata in liquidazione giudiziale, il curatore trasmette al PM una relazione dettagliata sui fatti di gestione; se emergono anomalie gravi, il PM apre un fascicolo per bancarotta e affini. Molti fallimenti di PMI finiscono con rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta dei titolari, soprattutto per distrazioni o mancanza di libri contabili. Invece, se l’impresa riesce a evitare il fallimento tramite un concordato, l’amministratore non può più essere imputato di bancarotta (perché il reato presuppone il fallimento). Ecco perché spesso, anche in passato, alcuni imprenditori provavano a liquidare la società in bonis (cancellarla) per non farla fallire e scansare la bancarotta – ma attenzione: la Cassazione ha affermato che se c’è stato un dissesto fraudolento, i responsabili rispondono di reato di bancarotta fraudolenta postuma anche senza dichiarazione formale di fallimento, se la mancata dichiarazione era dovuta a un atto fraudolento (Cass. SS.UU. 22474/2016). Ciò per dire che non basta far finta di nulla: le condotte fraudolente possono emergere e essere punite come “reato societario” diverso (tipo appropriazione indebita aggravata) o come bancarotta fraudolenta se si dimostra che il fallimento non c’è stato per espedienti. Ad ogni modo, la via concordataria se genuina e corretta evita gran parte dei rischi penali: l’amministratore che collabora e non nasconde nulla raramente avrà problemi (può al più emergere qualche irregolarità amministrativa, ma non penale grave).

Reati tributari e omessi versamenti: questi prescindono in parte dallo stato di insolvenza, ma spesso accompagnano la crisi. I più rilevanti, disciplinati dal D.Lgs. 74/2000, sono:

  • Omesso versamento di IVA (art. 10-ter): se la SRL non versa l’IVA dovuta annualmente per un importo superiore a una certa soglia, commette reato. La soglia è stata elevata a €250.000 per periodo d’imposta . La riforma fiscale 2023 (D.Lgs. 156/2019 e succ. modif.) ha modificato il termine di consumazione del reato: ora scatta se l’IVA non viene versata entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello della dichiarazione . Ciò concede un periodo extra per regolarizzare. Inoltre, se il contribuente ha ottenuto una rateazione dall’Agenzia e la sta pagando, il reato non scatta; scatterà solo se decade dalla rateazione e il debito residuo supera €75.000 . La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 2 anni . Esempio: IVA 2023 non versata di €300k; se entro il 31/12/2024 la società non l’ha ancora pagata né rateizzata, il reato si perfeziona. Se aveva chiesto rateazione e poi non paga e decade, e restano >75k, il reato si concretizza al momento della decadenza. Nel contesto di insolvenza, spesso l’IVA rimane non versata: l’amministratore può essere imputato di questo reato, ma può evitare la condanna se paga il dovuto prima del dibattimento (il ravvedimento operoso o pagamento integrale è causa estintiva del reato fino all’apertura del dibattimento , e l’art. 13 D.Lgs 74/2000 prevede attenuanti forti se paga dopo l’apertura). Se la società fallisce, però, difficilmente pagherà poi. Un aspetto nuovo introdotto nel 2023 è una causa di non punibilità se l’omissione dipende da fatti non imputabili al contribuente (es. crisi di liquidità dovuta a un mancato pagamento di un cliente rilevante, forza maggiore) . Questo potrebbe aiutare amministratori che dimostrino che non pagare l’IVA fu dovuto a circostanze eccezionali e non a volontà o colpa grave.
  • Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis): riguarda le ritenute IRPEF operate sulle buste paga dei dipendenti o su compensi a lavoratori autonomi, che la società trattiene ma non versa allo Stato. Soglia di punibilità €150.000 annui . Termine di consumazione ora anche qui spostato al 31 dicembre dell’anno successivo alla certificazione . Pena uguale: 6 mesi – 2 anni. Sostanzialmente se la SRL per un anno ha trattenuto ritenute per €200k e non le versa entro l’anno seguente, scatta il reato. Anche qui vale la non punibilità se paghi integralmente entro la soglia temporale o se causa non imputabile, e soglia residua punibile dopo decadenza da eventuale rateazione è €50.000 . In pratica, lo Stato ha di recente (decreto 2023) abbassato la tensione su questi reati: prima erano consumati al momento della scadenza (16 febbraio anno dopo per IVA, 16 del mese successivo per ritenute) e soglie 250k e 150k; ora dà tempo fino a fine anno e la chance di rateizzare per evitare il penale. Questo per dare respiro alle imprese in temporanea crisi di liquidità.
  • Omesso versamento di contributi previdenziali (art. 2 comma 1-bis DL 463/1983): abbiamo già esposto: soglia €10.000 annui , punito con reclusione fino a 3 anni o multa fino €1.032 . È un reato contravvenzionale (punibile anche per colpa) e si estingue se entro 3 mesi dalla contestazione (procura della Repubblica che notifica invito a pagare) l’imputato versa tutto il dovuto . Questa è una chance concreta di evitare condanna: a differenza dei reati fiscali dove devi pagare tutto magari anni dopo, qui la norma stessa prevede che se paghi entro 3 mesi dall’accertamento non sei punibile. Nel frattempo, il governo ha depenalizzato le omissioni fino a 10k: quindi se debiti contributivi per anno <10k, niente penale (ma restano sanzioni civili). E se >10k e paghi parziale riducendo sotto soglia, vali? In giurisprudenza talvolta sì, ma in generale serve il totale. Nel contesto di insolvenza, questo reato scatta in quasi tutti i fallimenti con dipendenti, perché tipicamente non hanno versato le ultime ritenute. L’amministratore può evitare condanna se dimostra che l’omissione fu senza colpa grave (c’è un filone giurisprudenziale: se l’imprenditore prova di aver destinato tutte le risorse ai pagamenti dei dipendenti netti e non aveva modo di pagare l’INPS, può invocare l’assenza di dolo/colpa grave – alcune assoluzioni su questo, ma altalenanti) . Però è rischioso far conto su quello; meglio se può racimolare i fondi entro i 3 mesi. In procedure concorsuali, può anche capitare che il reato venga dichiarato estinto se il curatore o un terzo paga quell’importo durante il processo.
  • Altri reati fiscali: meno direttamente legati al “non riuscire a pagare i debiti” ma al contorno: ad esempio l’omessa dichiarazione IVA o imposte è reato sopra €50k di imposta evasa (art. 5 D.Lgs 74/2000); la dichiarazione infedele con soglia più alta; l’occultamento/distruzione di documenti contabili (art. 10 D.Lgs 74/2000) se uno non tiene le scritture per evadere le imposte, punito con 3-7 anni. Quest’ultimo può sovrapporsi alla bancarotta documentale. Spesso nelle crisi gravi l’amministratore può cadere nella tentazione di non presentare più dichiarazioni o di non tenere conti: attenzione, sono reati pure quelli, indipendenti dal fallimento. Anche l’frode fiscale (dichiarazione fraudolenta) può emergere se si sono usate fatture false per ridurre l’IVA da versare – a volte aziende disperate lo fanno. Quelle sono condotte dolose gravi punite con 4-8 anni a seconda dell’importo. Ma esulano dall’ipotesi “non riesco a pagare”: lì c’è proprio volontà di evadere.

Riassumendo i reati più direttamente connessi alla situazione di insolvenza della SRL, in ordine cronologico possono presentarsi così:

  • In fase di pre-fallimento: per cercare di stare a galla, l’amministratore potrebbe aver commesso reati tributari (non pagare IVA e contributi è spesso forzato dalla crisi, configurando 10-ter, 10-bis e art. 2 OMISSIS) oppure può aver falsificato bilanci per ottenere credito (false comunicazioni sociali, reato ex art. 2621 c.c. punito 1-5 anni, aggravato se in danno a società o creditori). Magari ha continuato a chiedere prestiti alle banche nascondendo che era insolvente (indebita esposizione creditizia, che è penalmente rilevante come bancarotta preferenziale se i soldi li ha persi).
  • In fase di dissesto conclamato: se si rende conto che la società è spacciata, potrebbe commettere condotte predatorie (distrazione di beni a sé, vendite sottocosto, ecc.) – queste poi diventano bancarotta fraudolenta post-fallimentare. Oppure pagare qualche creditore di testa sua (bancarotta pref.).
  • Con la dichiarazione di fallimento: scattano i reati di bancarotta (fraudolenta o semplice a seconda dei casi). Il curatore segnala eventuali omessi versamenti rilevanti (che vanno alla Procura per 10-ter & co.), e segnala se mancano libri (bancarotta doc.), se vede preferenze tra creditori.

Va notato che il CCII all’art. 25 prevede attenuanti specifiche per gli imprenditori che abbiano tempestivamente avviato una composizione negoziata o altre procedure di allerta: ad esempio, se poi comunque falliscono, il giudice penale nel valutare la bancarotta semplice terrà conto favorevole del fatto che avevano provato a risanare . Non elimina il reato, ma può portare a sanzioni minori o in qualche caso all’irrilevanza per particolare tenuità.

Conclusione parte penale: l’amministratore di una SRL insolvente rischia implicazioni penali serie soprattutto se ha agito in modo disonesto o scorretto. Se invece la sua condotta è stata improntata a correttezza (nessuna frode, trasparenza coi creditori) e la crisi è dovuta a cause esterne o errori non dolosi, difficilmente subirà condanne penali gravi. Il fallimento in sé non è reato (non esiste “bancarotta di per sé”), ma molte azioni comuni in contesti di insolvenza possono esserlo (es. privilegiare un creditore sì – bancarotta; mentire ai creditori – potenzialmente truffa o false comunicazioni; non pagare contributi – reato). Dunque, un amministratore avveduto in difficoltà dovrebbe: a) evitare qualsiasi distrazione di asset, b) trattare tutti i creditori equamente e non occultare informazioni, c) mantenere contabilità e documenti in ordine anche se la barca affonda (questo è cruciale: presentarsi al curatore dicendo “ecco tutti i libri, i beni sono questi, mi dispiace è andata male” solitamente evita accuse di frode), d) se proprio deve scegliere chi pagare, farlo con criteri oggettivi (es. pagamento stipendi dipendenti – questo non viene considerato bancarotta preferenziale, è escluso per legge il reato se paghi lavoratori o tasse dovute, perché considerati pagamenti dovuti e non di favore). E, preferibilmente, come più volte ribadito, attivare per tempo le soluzioni concordate (piani, accordi, concordato) in modo da regolarizzare la posizione sotto l’egida del tribunale. Ad esempio, pagare un fornitore all’interno di un concordato approvato non è reato; pagarlo fuori da procedure con altri creditori che rimangono a bocca asciutta è reato.

Aspetti fiscali nella gestione dei debiti in crisi

Oltre ai profili penali già esaminati, vi sono questioni fiscali importanti da considerare quando si affronta la situazione debitoria di una SRL, specialmente in caso di ristrutturazioni del debito o procedure concorsuali. Ne evidenziamo alcuni:

  • Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti: in situazione normale, se un creditore rinuncia a una parte del proprio credito verso la società (ad es. saldo a stralcio), la quota di debito annullata genera per la società debitrice una sopravvenienza attiva tassabile ai fini IRES/IRAP, in quanto è un arricchimento (uscita di una passività) secondo l’art. 88 TUIR. Eccezione: il TUIR esclude dalla tassazione le sopravvenienze derivanti da procedure concorsuali e accordi assimilati. In particolare, non sono imponibili le riduzioni di debiti effettuate nell’ambito di: concordati preventivi omologati; accordi di ristrutturazione omologati; piani attestati di risanamento pubblicati (per estensione interpretativa) . Questa norma di favore è pensata per non ostacolare il risanamento: se l’azienda ottiene sconti dai creditori per 1 milione, non deve poi pagarci 240k di imposte, altrimenti vanificherebbe in parte il vantaggio. Pertanto, dal punto di vista del piano di ristrutturazione, conviene inquadrarlo in uno degli istituti riconosciuti, così da evitare sorprese fiscali. Ad esempio, se i soci di una SRL trovano privatamente intese con tutti i creditori per abbattere i debiti, ma lo fanno senza un piano attestato o procedura, fiscalmente rischiano di dover contabilizzare e tassare le remissioni (anche se magari chiudono poi con perdite fiscali e non pagano comunque, però formalmente sarebbero redditi). Mentre se fanno un accordo ex art. 182-bis (ADR) omologato, quell’effetto è esente. L’Agenzia delle Entrate ha anche chiarito (Risoluzione AdE n. 84/2012 ad esempio) che le riduzioni di debito in piani attestati godono dello stesso trattamento se c’è asseverazione del professionista. Quindi, a fini fiscali: meglio passare attraverso un percorso formale.
  • Utilizzo perdite fiscali e interessi passivi: una società in crisi di solito accumula perdite fiscali. In caso di procedure concorsuali, il regime delle perdite fiscali può essere complicato. Il concordato preventivo in continuità non interrompe il periodo d’imposta, per cui la società può continuare a riportare perdite pregresse e utilizzarle per compensare eventuali redditi futuri post-concordato (ma spesso non ci sono redditi, a meno che il piano generi utile). Nel fallimento, la procedura fallimentare costituisce un nuovo soggetto fiscale limitatamente all’IRPEG/IRE (vecchia norma), oggi CCII indica che il curatore deve fare le dichiarazioni per la procedura, e la società fallita perde la possibilità di utilizzare perdite pregresse (che di fatto muoiono con essa). In ADR e piani non c’è interruzione: la società rimane la stessa. Comunque, raramente nelle crisi l’uso delle perdite fiscali è determinante, perché di solito non vi saranno utili nel breve periodo. Ma in qualche risanamento con continuità può essere rilevante (es. la NewCo che subentra in affitto d’azienda potrebbe usare le perdite se rispetta art. 172 TUIR? In caso di fusione dopo concordato, ci sono limiti stringenti al riporto perdite).
  • IVA nelle procedure concorsuali: qui entra il conflitto con la normativa UE. L’IVA non pagata è un problema: l’Italia in passato con l’art. 182-ter l.fall. permetteva di falcidiare l’IVA in concordato solo se lo Stato non otteneva meno di quanto avrebbe ricevuto liquidando i beni su cui aveva privilegio (di fatto un test di convenienza). La Corte di Giustizia UE (causa C-546/14 del 2016) ha detto che non si può imporre ai creditori pubblici la riduzione dell’IVA senza il loro consenso perché l’IVA è risorsa UE. Pertanto, oggi in un concordato o ADR l’IVA può essere falcidiata solo con adesione dell’ente (Agenzia Entrate) o se c’è il silenzio-assenso e il giudice verifica che comunque è meglio del fallimento. Il CCII consente di includerla e se AE vota no, come detto, il giudice può omologare solo se soddisfa certe condizioni (post correttivo 2024, se non le soddisfa, no omologa). Quindi, fiscalmente l’IVA è la voce più “dura”. Nei piani attestati non omologati non si può proprio toccare formalmente (puoi al più ottenere una rateazione amministrativa parallela). Nella composizione negoziata, come aggiornato nel 2023-24, si può proporre all’Agenzia Entrate un accordo di transazione del debito IVA e contributi anche senza passare per omologa , ma in pratica quell’accordo dovrà poi essere formalizzato in un ADR o concordato perché abbia efficacia erga omnes. Forse l’ADER potrebbe accettare di suo un piano dilazionato extragiudiziale se convinta (lo consente l’art. 19 DPR 602/73 con piani straordinari 120 rate). Va segnalato che nel 2023 l’Italia ha varato un’ampia rottamazione-quater delle cartelle (L. 197/2022) permettendo di pagare i ruoli fiscali senza interessi e sanzioni in 18 rate. Molte aziende in crisi ne hanno approfittato, migliorando la loro posizione fiscale (pagano solo il capitale e un po’ di aggio).
  • Trattamento fiscale dei costi/proventi durante il concordato o fallimento: durante un concordato in continuità l’azienda è operativa, quindi fattura, addebita IVA, deduce costi normalmente. Il commissario supervisiona ma la gestione fiscale resta ordinaria (con qualche complicazione: es., sanzioni per ritardi di dichiarazione possono essere abbuonate ex lege se causate da procedure concorsuali). Nel fallimento, il curatore deve gestire le imposte relative agli anni della procedura: ad esempio, se affitta un immobile del fallito, deve pagare l’IVA su quei canoni e presentare dichiarazione IVA per la procedura; se matura interessi attivi sul conto, pagherà IRES su quell’”utile” (che comunque va ai creditori). Spesso i fallimenti non generano utile tassabile, a meno di recuperi crediti superiori ai debiti (in quel caso finirebbe in imposte, ma quell’avanzo in realtà va ai soci post chiusura, e sconta la tassazione come provento liquidazione per i soci).
  • Fiscalità dei finanziamenti prededucibili: se un socio o terzo eroga un finanziamento ad un’azienda in crisi, e questo è poi non restituito, fiscalmente per il creditore potrà essere una perdita deducibile (se qualificata come credito vs impresa assoggettata a procedure, è deducibile quando è definitivo). Per la società, invece, se glielo condonano, rientra nella regola delle sopravvenienze non tassabili se nel contesto concorsuale; se lo ripaga, nulla da segnalare. Spesso i nuovi finanziamenti in concordato vengono strutturati come finanza esterna e non generano reddito tassabile, e se generano interessi, questi si pagano come costo deducibile per la società (entro limiti di thin cap, ma in crisi di solito interessi attivi non ce ne sono).
  • Costo delle procedure concorsuali: il curatore, il commissario ecc. emettono parcelle soggette a IVA, ed essendo spese della procedura (prededucibili) l’IVA su di esse è un debito della massa. Spesso il fallimento non ha credito IVA da compensare e quell’IVA viene scaricata sui creditori (è un costo). Qualche volta il curatore riesce a farsi riconoscere il privilegio erariale per quell’IVA in sede di riparto (cioè pagarla come spesa di giustizia). Non incide sul debitore in sé se poi la società è estinta. In continuità, il commissario di solito fattura alla società (che continua l’attività e detrae l’IVA su di lui).

Conclusione aspetti fiscali: la normativa offre strumenti per ristrutturare i debiti fiscali all’interno di procedure legali (transazione fiscale) e per alleviare il carico fiscale sulle imprese risanate (non tassando i “guadagni” da taglio debiti). Tuttavia, l’Erario rimane un creditore particolare: alcuni tributi (IVA, ritenute) sono considerati “sensibili” e ottengono trattamento di favore (come i privilegi e la rigidità UE sulla falcidia). Dal punto di vista del debitore, la gestione dei debiti fiscali è spesso uno degli aspetti più difficili del risanamento, ma allo stesso tempo cruciali: ignorarli porta rapidamente a misure coercitive (ipoteche, fermi) che bloccano l’attività. Quindi, un consiglio pratico: interlocuzione costante con l’Agenzia Entrate e Riscossione, far conoscere che si sta avviando una procedura, e magari chiedere la sospensione temporanea delle azioni (l’art. 19 DPR 602/73 consente all’ADER di sospendere le azioni se il debitore documenta di aver presentato un piano di concordato o simili, in attesa di definizione).

Esempi pratici (simulazioni)

Di seguito presentiamo alcune simulazioni numeriche semplificate di casi tipici, per illustrare come, variando la composizione dei debiti e le scelte adottate, possono cambiare gli esiti per la SRL e per i creditori:

Caso 1: Piccola SRL commerciale con debiti fiscali e previdenziali prevalenti
Scenario: Alfa S.r.l. ha 3 dipendenti e opera nel commercio al dettaglio. Negli ultimi anni ha accumulato debiti soprattutto verso l’erario e l’INPS, perché in crisi di liquidità ha privilegiato il pagamento di fornitori strategici e stipendi netti, omettendo di versare IVA e contributi. I dati: debito IVA €50.000, debiti ritenute e INPS €30.000, debiti verso fornitori €20.000, banca €10.000 (scoperto CC). Totale debiti €110.000. Attività: magazzino per €20.000 (valore realizzo), arredi e scaffali €5.000, cassa €5.000, crediti verso clienti €10.000 (incassabili), nessun immobile di proprietà. Il socio non può immettere denaro fresco perché già indebitato personalmente. La società è tecnicamente insolvente (non ha risorse per coprire €110k).

Opzione A – Liquidazione fallimentare: verrebbe nominato un curatore che liquida il magazzino (difficile vendere merce usata: forse ricava €10k), gli arredi (€2k), raccoglie i €10k di crediti. Attivo totale diciamo €22.000. Spese procedura €5.000 (curatore etc.). Rimangono €17.000 da distribuire. I crediti privilegiati: debiti IVA €50k (privilegio generale), INPS €30k (privilegio), dipendenti (stipendi ultimi 3 mesi, supponiamo nulla di arretrato perché li aveva pagati, tranne TFR €5k cumulativo, anche quello privilegio). Ordine: dipendenti €5k pagati integralmente dal Fondo INPS (che subentra nel privilegio), INPS contributi €30k e AE IVA €50k concorrono sul residuo €17k: proporzionalmente, AE prende ~€10k, INPS ~€7k (circa il 20% dei loro crediti). La banca (€10k) e fornitori (€20k) chirografari prendono zero (nessun residuo). Quindi esiti: dipendenti recuperano tutto (via fondo), Fisco/INPS ~20%, fornitori/banca 0%. L’amministratore subisce processi per omesso versamento IVA (50k sotto soglia 250k => non punibile penalmente, solo sanzioni), omesso versam. contributi (30k >10k => reato contravvenzionale, può evitarlo se paga almeno €20k entro 3 mesi, improbabile -> rischia condanna, ma potrà patteggiare con pena lieve). Bancarotta: ha pagato fornitori anziché fisco – questo è bancarotta preferenziale verso fornitori per ~20k: punibile, ma forse giudice la vede come scelta non moralmente riprovevole perché ha pagato fornitori per continuare attività; comunque tecnicamente è preferenziale. Rischia 6 mesi-2 anni su questo, magari pena sospesa. Reputazione rovinata, azienda chiusa.

Opzione B – Concordato preventivo “in continuità minore”: Alfa Srl potrebbe proporre un concordato con prosecuzione dell’attività in forma ridotta: il piano prevede di continuare l’attività per 2 anni per massimizzare il valore del magazzino (vendendolo a clienti al dettaglio invece che all’asta) e generare utili per pagare i creditori. Stima flussi in 2 anni: €50k di incassi liberi (grazie a riduzione spese, licenziamento di 1 dipendente con costo coperto da fondo, mantenimento degli altri 2). Propone: pagamento integrale dei debiti previdenziali e dei dipendenti (€30k INPS + €5k TFR) dilazionato 2 anni, pagamento parziale dell’IVA (ad es. 50% = €25k) dilazionato 2 anni, pagamento simbolico 10% ai chirografari (€3k su 30k totali fornitori+banca). Totale oneri piano: €63k. Copertura: €50k da gestione futura + €13k conferimento soci o magari finanziamento terzi. Se il tribunale crede alla fattibilità (attestatore dice ok: flussi credibili), i creditori votano: AE (Stato) ha €50k privilegio, forse si oppone a 50% di IVA; INPS €30k privilegio probabile favorevole perché prende 100%; dipendenti (TFR €5k) favorevoli (100%); banca+fornitori (€30k chirog.) votano presumibilmente sì perché il 10% è meglio di zero. Il concordato può essere omologato col cram-down sul fisco se almeno INPS e altri privilegiati dicono sì e al fisco si dà comunque più di quanto avrebbe preso in fallimento (in fallimento AE prendeva €10k, qui offrono €25k: migliorativo!). Quindi omologa probabile. Esiti: Alfa Srl esce dal concordato in 2 anni, alleggerita, continua l’attività con 2 dipendenti e debiti azzerati (ha pagato quelli pattuiti). I creditori: INPS e dipendenti soddisfatti 100%, Fisco 50% (meglio di 20%), chirografi 10% (meglio di 0%). L’amministratore evita il fallimento, quindi niente bancarotta; gli verrà comunque contestato l’omesso versamento contributi, ma se rispetta il piano pagando contributi entro l’esecuzione, potrebbe invocare la causa di non punibilità (evento di pagamento integrale anche se tardivo); per l’IVA 25k non versata residua, niente reato (sotto soglia 250k). Reputazione: fornitori e banca ricevono poco ma apprezzano forse la continuità (possono continuare a vendere a Alfa Srl in futuro). Lo Stato incassa di più e in tempi certi. Dunque opzione B nettamente migliore collettivamente, anche se comporta sacrifici per tutti.

Caso 2: Media SRL manifatturiera indebitata con banche e fornitori (continuità possibile)
Scenario: Beta S.r.l. produce componenti meccanici con 60 dipendenti. Debiti: banche €5 milioni (mutui e fidi, in parte garantiti da ipoteche su capannone del valore €3M e pegno su macchinari €1M), fornitori €2M, altri (fisco, INPS) €0.5M, altri finanziatori €0.5M (bond). Totale €8M. Attività: impianti e macchinari valore stimato €1M (ma ipotecati a banca?), capannone ipotecato €3M, crediti v/clienti €1M, magazzino €0.5M, cassa €0.1M. Causa crisi: calo ordini, difficoltà mercato. Insolvenza non ancora conclamata, ma tensione finanziaria fortissima (rate mutui saltate, fornitori non pagati da 120gg).

Opzione A – Concordato liquidatorio: Se Beta getta la spugna e liquida, in fallimento il curatore venderebbe capannone (ipoteticamente €2.5M ricavato), macchinari (€0.5M), incassa crediti €0.8M, vende magazzino €0.3M. Totale attivo €4.1M. Costi procedura €0.2M, residuo €3.9M. Banche: hanno ipoteca su capannone (€3M credito) e pegno su macchinari (€1M credito) – supponiamo bancaA e bancaB. BancaA ipoteca su capannone per €2M: prende €2M quasi full; bancaB ipoteca su stesso capannone per €1M secondo grado: prende residuo €0.5M (50% del suo); bancaB ha anche pegno su macchinari per suo credito residuo €0.5M, prende €0.5M da lì. Quindi banche recuperano abbastanza: bancaA 100%, bancaB 100% (0.5 da capannone + 0.5 da macchinari). Fornitori €2M chirografo: rimangono €0.9M attivo (3.9-3.0 distribuiti a banche) per soddisfare: privilegio INPS/fisco su parte di 0.5M forse ~0.5M, dunque privilegio pubblico prende magari €0.4M (80%); restano €0.5M per chirografari su €2.5M (fornitori+bond), dividendo ~20%. Dipendenti: privilegio su TFR arretrati €0.2M, pagati dal Fondo e poi prededotti su attivo prima dei chirografi, già incluso nelle spese direi. Esiti: banche ~100%, fornitori ~20%, fisco/INPS ~80%, obbligazionisti 20%. Azienda chiusa, 60 persone licenziate (INPS paga TFR e stipendi arretrati).

Opzione B – Concordato in continuità con investitore: Beta Srl cerca un investitore che creda nella risoluzione. Arriva Gamma Spa disposta a investire €2M per rilevare l’azienda in funzionamento (marchio, impianti, know-how, contratto affitto capannone) e proseguire l’attività. Viene proposto un concordato in continuità indiretta: Gamma Spa apporta €2M, da destinare ai creditori; Beta Srl cede a Gamma l’azienda (senza capannone, che rimane di Beta ma affittato a Gamma) e licenzia 20 addetti (con costi coperti in parte da Gamma). Il piano di concordato prevede: soddisfare banche garantite ipotecarie con €2.5M (83% dei 3M dovuti) – l’investitore vuole uno sconto, le banche accettano perché sennò nell’alternativa fallimento avrebbero preso simile; soddisfare fornitori con €0.5M (25%); soddisfare bondholder con €0.1M (20%); pagare debiti fiscali €0.5M in full (Gamma impone di pulire pendenze fiscali), e TFR dipendenti €0.2M in full. Totale risorse richieste: €2M da Gamma + usare €0.5M cassa/crediti esistenti. Copertura totale €2.5M. I creditori votano: banche (83% recupero) certamente sì perché scenario fallimento era incerto ma simile; fornitori (25% vs 20% fallimento) dovrebbero dire sì, almeno i principali; bondholder forse frammentati ma 20% vs 20% invariato, tuttavia l’azienda continua, quindi magari meglio; Fisco e INPS prendono 100% (meglio di 80% fallimento) -> possono votare no perché tanto privilegio, ma essendo soddisfatti integralmente non hanno veto (e comunque in classi separate privilegiati non votano se integralmente pagati). Il tribunale omologa. Esiti: Gamma Spa assume l’azienda e continua produzione con 40 dipendenti, portando capitali freschi; Beta Srl esce dalla procedura come “contenitore vuoto” (ha ancora il capannone da vendere, ma il piano prevede di destinarne ricavato in affitto a restanti creditori forse). I creditori: banche incassano 83% subito (o in tempi concordato brevi) e magari mantengono rapporto con Gamma per nuovo credito; fornitori 25% (meglio di 20 e mantengono cliente con Gamma Spa che continua attività – potenziale business futuro); obbligazionisti 20% (uguale al fallimento, ma più rapidi); Stato 100%; dipendenti 100% e 40 di loro mantengono lavoro (20 escono con TFR pagato). Dal punto di vista del territorio: l’impresa è salva, non si perde know-how. Per Beta Srl (debitor): eseguito il concordato, poi verosimilmente si mette in liquidazione volontaria per vendere il capannone – magari a Gamma stessa – e distribuire quell’incasso residuo (forse potrebbero recuperare qualcosa in più i creditori chirografi). L’amministratore evita il fallimento, e se non ha commesso reati antecedenti, non avrà guai penali perché la gestione è stata traghettata correttamente. Magari qualche creditore di minoranza è scontento, ma nel complesso net benefit.

Caso 3: SRL immobiliare senza prospettive (liquidazione inevitabile)
Scenario: Gamma S.r.l. era una società di costruzioni, ha terminato i lavori e non ha più attività operativa. Ha un grosso debito verso una banca (€5M mutuo) garantito da ipoteca su un immobile invenduto (valore attuale €4M), e altri debiti: €1M verso fornitori e subappaltatori, €0.5M debiti fiscali (IVA su vendite fatte), €0.5M altri (utenze, legali). Totale €7M. Asset principale: immobile finito, stimato €4M vendibile in qualche anno; qualche attrezzatura e cassa per tot €0.2M. Niente dipendenti ormai.

Qui l’azienda è di fatto conclusa. L’insolvenza è certa (7M debiti vs 4.2M attivi). Nessun investitore vuole rilevare un’attività finita.

Scelta obbligata: concordato liquidatorio o fallimento. Proviamo concordato semplificato: Gamma potrebbe fare un concordato in cui propone: “cedo l’immobile a un fondo acquirente per €4M in 2 anni, e distribuisco il ricavato così: banca 4M (80% del suo credito 5M), fornitori 0%, Fisco 0% oltre parziale (non c’è legge minima, ma almeno ciò che residua dopo banca), altri 0%. Inoltre apporto €0.2M (cassa) per pagare spese e un 10% a fornitori e Stato.”. Dovrebbe però mettere 10% esterno per legge (10% di attivo 4.2M = €0.42M). Non li ha, i soci dovrebbero metterli – improbabile se i soci sono decotti. Se non li mette, tribunale non ammette il concordato liquidatorio normale. Potrebbe allora, essendo priva di prospettive, tentare la composizione negoziata per vendere privatamente l’immobile: ma la banca ipotecaria non vedrebbe motivo di sconto, preferisce escutere ipoteca. Dunque finisce quasi certamente in liquidazione giudiziale. Esito fallimento: curatore vende immobile a €3.5M netti (valutazione forzata). Banca ipotecaria prende tutti i 3.5M (rimane scoperta 1.5M, chirografa). Altri attivi 0.2M vanno a spese e poco residuo a privilegio fiscale (qualche spicciolo su 0.5M IVA). Fornitori prendono 0. Banca per il residuo 1.5M si insinua chirografa e prende 0. Quindi creditori recuero: banca ~70%, Stato 0, fornitori 0, altri 0. I fornitori probabilmente fanno causa agli amministratori per inadempimento contrattuale, ma porterebbe nulla se non trovano colpe, più efficiente era far fallire come è successo per concorso di creditori. L’amministratore: rischio penale? Non ha preferito nessuno (non c’erano soldi per farlo), ha solo perso sul mercato l’immobile, quindi forse nulla di fraudolento (a meno che quell’immobile sia stato sopravvalutato in bilancio – reato false comunicazioni se per credito bancario). Comunque effetto: azienda muore, creditori chirografari perse, solo banca parzialmente soddisfatta. Questo scenario evidenzia come, senza prospettive di continuità e con asset non sufficienti, purtroppo il fallimento diventa inevitabile e i creditori deboli (fornitori, fisco) restano a mani vuote.

Caso 4: SRL “in bonis” che adotta misure di allerta e risanamento precoce
(Un esempio virtuoso, per cambiare prospettiva.)

Scenario: Delta S.r.l., piccola azienda di servizi, è attualmente in bonis (paga regolarmente, non ha creditori scaduti oltre 30 giorni). Tuttavia, ha subito un calo significativo di fatturato e presenta i primi segnali di crisi: nel 2025 prevede perdita di €100k che eroderà il capitale del 50%. Ha debiti finanziari per €300k con banche, che sta pagando ma a fatica (fidi sempre tirati, interessi elevati); debiti correnti verso fornitori €100k; nulla col Fisco arretrato (solo debiti per imposte correnti dilazionati regolarmente). Gli amministratori, consapevoli dei trend negativi, decidono di attivare subito gli strumenti di allerta interna: convocano l’assemblea, illustrano la situazione e riducono costi. Implementano assetti adeguati di controllo flussi. Si rendono conto che, in assenza di interventi esterni, entro un anno la società potrebbe diventare insolvente. Allora volontariamente accedono alla composizione negoziata della crisi . Un esperto viene nominato; con lui, Delta Srl negozia con le banche una revisione dei piani di rientro (moratoria di 12 mesi sui rimborsi capitale e allungamento linee) e con alcuni fornitori strategici ottiene una riduzione del 10% sugli importi futuri (in cambio di pagamenti più pronti). Non c’è bisogno di misure protettive perché nessuno ha ancora agito. Nel frattempo i soci reperiscono €50k da immettere nella società a titolo di aumento di capitale. L’esperto attesta che con queste misure la società torna sostenibile (costo interessi ridotto, liquidità migliorata). Dopo 3 mesi la composizione negoziata si conclude con un accordo stragiudiziale: le banche firmano un accordo privato di ristrutturazione del debito (non omologato, perché erano solo 2 banche e entrambe consenzienti), i fornitori firmano intese di sconto su forniture. Non serve passare dal tribunale perché tutti hanno aderito (accordi bilaterali). A fine 2025 la società chiude ancora in perdita ma nel 2026 torna in pareggio. Gli indicatori di allerta rientrano nella norma.

Esito: insolvenza evitata! Nessun creditore ha subito perdite “forzose” (le banche hanno solo spostato timeline, i fornitori hanno dato piccolo sconto in cambio di futuro rapporto). I dipendenti hanno mantenuto il posto. Gli amministratori hanno adempiuto perfettamente all’obbligo di agire tempestivamente: di fatto, allerta interna e composizione negoziata hanno funzionato. Non solo: gli amministratori dovessero in futuro affrontare una nuova crisi, potrebbero beneficiare delle premialità previste (ad es., se malauguratamente nel 2028 Delta Srl fallisse, il fatto di aver utilizzato l’allerta nel 2025 giocherebbe a loro favore per evitare accuse di negligenza grave). Questo esempio illustra lo scopo ultimo del CCII: far sì che gli strumenti siano usati prima che il valore d’impresa vada distrutto, così da tutelare meglio creditori e posti di lavoro.

Domande frequenti (FAQ)

D: I soci di una SRL insolvente rischiano di pagare i debiti sociali con il proprio patrimonio?
R: In linea generale no, i soci godono di responsabilità limitata: possono perdere al massimo il capitale investito (quote) e i finanziamenti soci postergati, ma non sono tenuti a ripianare i debiti della società con beni personali . Eccezioni: se hanno fornito garanzie personali (fideiussioni) ai creditori, saranno escussi come qualsiasi garante; se la società viene liquidata e i soci hanno ricevuto distribuzioni dall’attivo, i creditori insoddisfatti possono chiederne la restituzione entro i limiti di quanto percepito (art. 2495 c.c.); inoltre, in casi di abuso della forma societaria (frodi manifeste), un giudice potrebbe dichiarare i soci responsabili (piercing the veil) , ma ciò è molto raro. Dunque normalmente i soci non pagano i debiti sociali. Attenzione però: il socio amministratore può incorrere in responsabilità specifiche (tributarie o di mala gestio) e in quel caso risponderà con il proprio patrimonio, ma in veste di amministratore, non di socio.

D: L’amministratore di una SRL insolvente può essere chiamato a rispondere personalmente dei debiti verso fornitori o banche?
R: Di regola no, i creditori devono agire contro la società, non contro gli amministratori. Tuttavia, se l’amministratore ha commesso atti di mala gestio (cattiva gestione) che hanno danneggiato i creditori, questi ultimi (o il curatore fallimentare) possono esercitare un’azione di responsabilità contro di lui . Ad esempio, se ha continuato ad aggravare il dissesto invece di prendere provvedimenti, se ha distratto beni sociali o violato obblighi di conservazione del patrimonio, il tribunale può condannarlo a risarcire il danno (che andrà a beneficio dei creditori) . Inoltre, in caso di procedure concorsuali, l’art. 2486 c.c. quantifica il danno presumibilmente come la differenza di patrimonio netto aggravata dalla prosecuzione indebita . In pratica: un amministratore diligente e onesto non risponderà dei debiti sociali, mentre uno negligente o infedele sì, nei limiti del danno causato. Quanto a debiti specifici verso banche o fornitori: se l’amministratore li ha garantiti personalmente (firma di fideiussione, molto comune), allora la banca/fornitore può chiedergli il pagamento in base alla garanzia, indipendentemente dal suo ruolo societario .

D: Che differenza c’è tra la liquidazione volontaria di una SRL e la liquidazione giudiziale (fallimento)?
R: La liquidazione volontaria è decisa dai soci quando la società intende cessare l’attività pur essendo in grado di pagare i debiti (o comunque con l’accordo dei creditori). I soci nominano un liquidatore che paga i debiti e distribuisce l’eventuale residuo. Se però durante la liquidazione volontaria emerge che la società non può pagare tutti i debiti, il liquidatore o i creditori devono avviare la procedura concorsuale (non si può proseguire in volontaria insolvente). La liquidazione giudiziale invece è la procedura concorsuale coattiva aperta dal tribunale quando la società è insolvente . In essa un curatore, sotto controllo giudiziario, liquida l’attivo a beneficio di tutti i creditori secondo la legge. Nella liquidazione volontaria gli amministratori/liquidatori sono responsabili personalmente se pagano i soci prima dei creditori (vedi art. 36 DPR 602/73 per le imposte) . Nel fallimento, gli amministratori perdono ogni potere e subiscono possibili azioni di responsabilità e sanzioni penali se colpevoli. Quindi: la liquidazione volontaria è un atto privatistico ordinato (per società solventi o con debiti concordati), la liquidazione giudiziale è un procedimento concorsuale pubblico per insolvenza.

D: Quando conviene tentare un concordato preventivo invece di lasciare che la società fallisca?
R: Se c’è la possibilità di offrire ai creditori una soddisfazione migliore o più rapida rispetto al fallimento, conviene tentare il concordato. Conviene in particolare se: esiste un’attività d’impresa ancora valida da proseguire (concordato in continuità), oppure se si possono apportare risorse esterne (nuovi investitori, soci) per aumentare il ricavato. Nel concordato si possono anche evitare alcuni costi del fallimento (ad es. con vendite più snelle) e cancellare parte dei debiti garantendo comunque ai creditori un esito più vantaggioso che in caso di liquidazione giudiziale . Per l’imprenditore, il concordato evita le conseguenze infamanti del fallimento (stato di insolvenza dichiarato, restrizioni personali, reati di bancarotta se rilevanti). Quindi conviene se si ha un piano concreto e fattibile. Se invece la società è completamente priva di prospettive, senza alcun attivo significativo né possibilità di finanza esterna, un concordato potrebbe essere respinto o fallire – in tal caso tanto vale il fallimento diretto. In sintesi: conviene il concordato quando si intravede un valore da salvare (l’azienda stessa, o anche solo tempo e percentuale migliore per i creditori). Se non c’è niente da salvare e i creditori non otterrebbero più che in fallimento, il tribunale non omologa neppure il concordato.

D: In un concordato preventivo, i creditori vengono pagati tutti nella stessa misura?
R: Non necessariamente. Nel concordato, il debitore può proporre trattamenti differenziati per classi di creditori . Di solito i creditori privilegiati (garanzie reali o privilegi legali) devono essere pagati integralmente almeno fino a concorrenza del valore di realizzo delle garanzie. Possono ricevere percentuali minori solo in concordati di continuità con particolari condizioni di legge (e.g. falcidia di crediti fiscali privilegiati) . I creditori chirografari (non garantiti) ricevono il cosiddetto dividendo che può essere anche molto basso (10%, 5%…) purché non inferiore a quanto otterrebbero in caso di fallimento . È possibile creare classi di chirografari con trattamenti differenziati, ma serve una giustificazione economica (ad es. fornitori strategici pagati 30% vs altri fornitori 10%) . La regola è che non ci sia discriminazione ingiustificata tra creditori di pari grado. Quindi, si possono pagare percentuali diverse se i creditori sono “diversi” (per ruolo, o perché qualcuno apporta nuova finanza, ecc.). Ad esempio, spesso i piccoli fornitori vengono messi in una classe con un dividendo leggermente più alto per ragioni etiche o per mantenere rapporti; oppure i bondholder possono avere trattamento diverso dai fornitori commerciali. Importante: i lavoratori dipendenti di norma sono privilegiati e vengono pagati 100% (nel concordato in continuità è obbligatorio non tagliare i loro crediti, solo dilazionarli) .

D: Quali debiti della società non si possono “tagliare” in un concordato?
R: I debiti con garanzia reale (ipoteca, pegno) vanno pagati almeno fino al valore della garanzia. Se ad esempio c’è mutuo €100 con ipoteca su immobile che in vendita libera vale €80, nel concordato quel creditore ipotecario va soddisfatto per €80 (può subire una falcidia solo sulla parte “scoperta”, cioè €20, che diventa chirografa). Inoltre, alcuni crediti privilegiati come quelli di lavoro vanno integralmente soddisfatti (salvo consenso degli stessi lavoratori ad accettare meno, cosa rara) . Per i debiti fiscali, la legge consente di proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, ma l’Agenzia delle Entrate e l’INPS devono essere coinvolti nella proposta di transazione fiscale (art. 63 CCII) . L’IVA e le ritenute fiscali possono essere falcidiate solo col consenso dell’erario o comunque rispettando i limiti imposti (non meno di quanto otterrebbe in liquidazione e almeno il 20% salvo eccezioni) . In pratica l’IVA può essere ridotta in concordato, ma spesso l’Agenzia vota contro se non è almeno parzialmente soddisfatta, e il tribunale può non omologare se la percentuale è troppo bassa. Riassumendo: garanzie reali vincolano fino al valore del bene; stipendi e TFR dei lavoratori non tagliabili; IVA e ritenute teoricamente tagliabili ma con stretta valutazione (in passato erano intoccabili senza adesione Fisco, ora c’è un minimo richiesto per cram-down). Tutto il resto (debiti chirografari verso fornitori, banche per la parte non garantita, debiti commerciali vari, penali contrattuali, ecc.) può essere ridotto liberamente nella proposta, fermo restando il voto dei creditori e l’ok del giudice se conviene rispetto al fallimento.

D: Cosa succede ai debiti verso i fornitori se la società fallisce?
R: I fornitori chirografari (non garantiti) nel fallimento diventano creditori concorsuali chirografari: dovranno insinuarsi al passivo e parteciperanno al riparto finale solo se rimangono attivi dopo aver pagato tutti i creditori privilegiati. In pratica, spesso ricevono solo una piccola percentuale del loro credito, oppure nulla se l’attivo basta appena per i privilegiati. Ad esempio, se dopo liquidati i beni della SRL restano €100 da distribuire a chirografari che vantano €1000 complessivi, ogni fornitore prende il 10% del proprio credito. Il resto del suo credito rimane insoddisfatto (e con la chiusura fallimento non c’è più su chi rivalersi, a meno di garanzie esterne). I fornitori possono anche attivarsi prima: se uno di loro presenta istanza di fallimento, otterrà solo il dividendo concorsuale come gli altri – non ha preferenza solo perché ha promosso la procedura. In alternativa, se la società non è fallita ma è in concordato, i fornitori riceveranno quanto previsto dal piano (che può essere maggiore di quello in fallimento se il piano è ben congegnato). In sintesi, nel fallimento i fornitori sono l’anello debole: ricevono dopo tutti gli altri e spesso quasi nulla. Per questo a volte preferiscono accordi stragiudiziali (meglio un saldo e stralcio del 20% subito che forse 5% dopo anni di fallimento).

D: Se la società ha debiti verso l’erario (IVA, tasse) e va in liquidazione, chi li paga?
R: Nel fallimento, i debiti fiscali (IVA, imposte) vengono soddisfatti come crediti privilegiati di grado non altissimo (l’IVA ha privilegio generale sui mobili, che viene dopo i crediti di lavoro e pochi altri) . Quindi il Fisco prende solo se c’è attivo sufficiente dopo aver pagato, ad esempio, i dipendenti. Spesso recupera parzialmente. I debiti per ritenute non versate e altre imposte dirette hanno anch’essi privilegio (art. 2752 c.c.). In molti casi il Fisco rimane parzialmente insoddisfatto e deve mandare a perdita il residuo. Però attenzione: i rappresentanti legali possono incorrere in conseguenze personali. Ad esempio, per IVA non versata sopra soglia scatta reato (quindi il fallimento non fa “dimenticare” quel debito: l’amministratore può essere punito penalmente) . Inoltre, se durante eventuale liquidazione volontaria l’amministratore/liquidatore ha pagato altri creditori o soci prima di pagare il Fisco, l’Agenzia può chiedere a lui il pagamento ex art. 36 DPR 602/73 . Dunque il debito fiscale può “morire” con la società fallita, ma risorgere a livello di responsabilità personale se c’è stata violazione di legge (pagare soci prima del fisco, omesso versamento sanzionato penalmente). Se invece la società riesce a portare a termine un concordato con transazione fiscale, la parte di debito fiscale stralciata viene condonata legalmente e l’amministratore non ne risponde (né penalmente se la transazione riguarda l’IVA con esenzione penale prevista).

D: Se l’amministratore non paga i contributi INPS dei dipendenti, cosa rischia?
R: Rischia sia sanzioni amministrative (le cosiddette somme aggiuntive di mora) sia sanzioni penali. In particolare, come detto, il mancato versamento delle ritenute previdenziali (quote trattenute ai dipendenti in busta paga) per un importo > €10.000 annui costituisce reato punibile con fino a 3 anni di reclusione . L’azione penale scatta tipicamente su segnalazione dell’INPS. L’amministratore può evitare la condanna se entro 3 mesi dalla contestazione paga tutti i contributi dovuti (estinzione del reato) oppure, in giudizio, dimostrando che il mancato pagamento non fu dovuto a dolo o colpa grave (difesa difficoltosa, perché in teoria bastava non trattenere quelle somme se non poteva pagarle). Per la parte di contributi a carico datore di lavoro (non trattenuti al dipendente), non c’è reato, ma pesanti sanzioni civili e il privilegio che permetterà all’INPS di recuperare qualcosa in fallimento. Inoltre, se la società viene liquidata senza soddisfare l’INPS, l’Istituto può rivalersi sul liquidatore (analogo ad art.36 ma per contributi, la giurisprudenza dibatte sulla natura ma tendenzialmente sì, c’è responsabilità del liquidatore per contributi non versati). Riassumendo: non pagare l’INPS è molto pericoloso per l’amministratore. In aggiunta, ne risentono i dipendenti, ma per loro interviene il Fondo di Garanzia a coprire i contributi ai fini pensionistici.

D: Aprire una composizione negoziata o un concordato preventivo influenza la reputazione e le relazioni coi partner?
R: Sì, inevitabilmente aprire una procedura di crisi segnala al mercato la difficoltà dell’impresa. Ad esempio, nella composizione negoziata, se si chiedono misure protettive, viene iscritta pubblicità al Registro Imprese , e le controparti possono reagire con diffidenza (banche congelano fidi, fornitori chiedono pagamento anticipato). Nel concordato preventivo, la notizia dell’ammissione è pubblica e spesso diffusa sui media locali, con possibili effetti negativi su creditori e clienti (rischio di perdere commesse perché si dubita della capacità di adempimento). Tuttavia, tali effetti sono mitigabili: per la composizione negoziata esiste il divieto per banche di revocare fidi solo per l’accesso alla procedura , e i tribunali hanno tutelato l’aspetto reputazionale (es. ordinando alle banche di non segnalare come sofferenze dei ritardi dovuti allo stay ). Nel concordato in continuità, spesso l’impresa, con l’aiuto del commissario, comunica ai clienti e fornitori un piano di prosecuzione per mantenere la fiducia. Molti fornitori preferiscono continuare a fornire (magari con pagamenti in contanti) piuttosto che perdere un cliente per fallimento. Quindi è un’arma a doppio taglio: inizialmente cala la reputazione, ma se la procedura viene percepita come strumento di risanamento serio, partner chiave potrebbero sostenere comunque l’azienda (soprattutto se la comparazione col fallimento li vede favoriti nel concordato). Ad esempio, un fornitore che nel concordato ottiene il 40% e la prospettiva di proseguire la relazione, preferirà supportare, mentre nel fallimento prenderebbe forse 10% e perde il cliente. Va detto che, psicologicamente, in Italia c’è ancora stigma sul concordato (“azienda in concordato” suona male), ma sta migliorando con la cultura della seconda opportunità promossa anche a livello UE. Dunque, l’imprenditore deve mettere su una comunicazione trasparente e proattiva: informare i partner che la procedura è volta a salvaguardare l’impresa e a massimizzare il soddisfacimento, mostrando magari il sostegno di qualche soggetto terzo (una banca che resta affidante, ecc.) per infondere fiducia. Quindi sì, c’è impatto reputazionale, ma è gestibile e spesso preferibile al tracollo improvviso e disordinato che un fallimento comporterebbe.

D: Quali sono i tempi di un fallimento rispetto a quelli di un concordato?
R: Una liquidazione giudiziale (fallimento) può durare diversi anni, a seconda della complessità del patrimonio da liquidare e delle cause legali eventualmente da svolgere. In media le procedure fallimentari in Italia duravano 5-7 anni, ma il CCII ha cercato di ridurre i tempi (obiettivo 3 anni, non sempre realistico). Alcuni fallimenti con pochi beni si chiudono in 2 anni, altri con contenziosi complessi durano 10 anni. Il concordato preventivo ha tempi più compressi: la fase di ammissione e omologa solitamente si svolge in 6-12 mesi ; poi c’è l’esecuzione del piano che dipende dal piano stesso (può durare anch’essa anni se i pagamenti ai creditori sono rateali ad es. su 5 anni). Però almeno i creditori sanno fin dall’omologa cosa aspettarsi e quando. Un concordato liquidatorio puramente potrebbe completarsi in 1-2 anni se si vendono i beni subito. Quindi, di solito il concordato porta a una definizione più rapida e pianificata, mentre il fallimento è più incerto nei tempi (anche se i creditori possono insinuarsi subito, poi aspettano riparti che arrivano magari dopo anni). Soprattutto, nel concordato in continuità i creditori iniziano a ricevere i pagamenti come da piano (es. percentuale annuale), mentre nel fallimento spesso ricevono qualcosa solo alla fine o con riparti parziali molto tardivi. Il CCII impone ai curatori di fare un primo riparto entro 12 mesi, se possibile , ma non sempre c’è liquidità per farlo. Insomma, tempi: Concordato 1 anno per definire + esecuzione 1-3 anni; Fallimento 4-6 anni frequente (in caso di beni immobili da vendere, etc.). Per l’imprenditore poi la differenza è: in concordato, se tutto va bene, dopo l’esecuzione può ripartire immediatamente con nuova attività; in fallimento, se persona fisica, ha restrizioni per anni (per fortuna l’imprenditore società di capitali non ha queste restrizioni personali in automatico, ma come visto può avere interdizioni se condannato per bancarotta).

D: È possibile che dopo il fallimento della SRL i creditori inseguano gli amministratori per i soldi?
R: Sì, può succedere in due modi: (1) Azione di responsabilità: come spiegato, dopo il fallimento il curatore (o i creditori con suo permesso) può far causa agli amministratori per atti di mala gestio, chiedendo loro un risarcimento . Se la causa ha successo, gli amministratori dovranno pagare e quelle somme vanno a incrementare l’attivo fallimentare a beneficio dei creditori (non al singolo creditore, salvo particolari). Ad esempio, se l’amministratore viene condannato a €100k, il curatore li incassa e fa un riparto supplementare ai creditori tutti. (2) Debiti specifici garantiti da legge: ad esempio l’art. 36 DPR 602/73 citato – in virtù di questo, l’Agenzia Entrate Riscossione può notificare direttamente all’amministratore o liquidatore un avviso di pagamento per imposte non pagate dalla società, se lui ha violato l’obbligo di pagarle prima di distribuire beni ai soci . Quello è un diritto di credito dell’Erario verso l’amministratore, che agisce al di fuori del fallimento (è un’obbligazione propria dell’amministratore, non si concorre con gli altri creditori). Dunque, in tal caso, l’ex amministratore rischia di subire cartelle esattoriali a proprio nome. Altri esempi: l’INPS potrebbe fare lo stesso per contributi con l’istituto analogo; oppure i creditori sociali possono citare in giudizio l’amministratore (anche in assenza di fallimento, ex art. 2394 c.c.) se provano che il patrimonio è stato depauperato illegittimamente. In sintesi: i creditori, terminato il fallimento, non avranno più titolo contro la società (che viene cancellata) ma se individuano responsabilità personali degli amministratori potranno percorrere quelle vie legali per recuperare qualcosa. È comunque un percorso non facile: serve dimostrare la colpa grave o dolo dell’amministratore. Non possono invece semplicemente chiedere il pagamento del credito sociale in quanto tale (non esiste passaggio automatico del debito ai gestori, se non per quelle previsioni tributarie specifiche). Una volta chiuso il fallimento, se non ci sono state azioni di responsabilità promosse dal curatore, il singolo creditore può trovarsi con nulla in mano se l’amministratore non ha commesso illeciti perseguibili.

D: La composizione negoziata della crisi funziona davvero?
R: È uno strumento recente (attivo da fine 2021) e inizialmente ha visto un utilizzo limitato – molte imprese erano scettiche o le soluzioni proposte dagli esperti non vincolanti lasciavano insoddisfatti. Anche il fatto che i debiti fiscali non fossero includibili era un grosso limite, ora rimosso . Stanno però emergendo casi di successo (soprattutto PMI che rinegoziano con banche). La Composizione negoziata funziona bene se: l’impresa la attiva per tempo (in crisi incipiente, non quando è già insolvente profonda), e se ha un nucleo di creditori principali ragionevoli (ad es. banche disposte a ristrutturare, fornitori disponibili a moratorie). I dati indicano che in percentuale non altissima di casi si arriva a un accordo stragiudiziale, ma spesso la composizione funge da preludio ad un concordato “preparato” meglio. Uno dei vantaggi principali – il blocco delle azioni esecutive – è reale e ha aiutato aziende a evitare disgregazione durante la trattativa . Dunque, la risposta è: sta iniziando a funzionare e con le correzioni normative (inclusione Fisco, divieto revoche fidi, ecc.) la sua efficacia è migliorata. Tuttavia non è panacea: se la crisi è troppo grave e troppi creditori coinvolti, la negoziazione pura può fallire e allora serve il passaggio a concordato o ADR.

D: Una SRL può accedere alle procedure di “sovraindebitamento” previste per le persone fisiche?
R: In generale no, le SRL sono soggette alle procedure ordinarie (concordato, liquidazione giudiziale). Le procedure di sovraindebitamento (accordo del debitore, ristrutturazione dei debiti del consumatore, liquidazione controllata) sono riservate a debitori non fallibili: consumatori, professionisti, imprenditori minori sotto soglie. Una SRL, essendo società di capitali, è considerata imprenditore commerciale e quindi fallibile a prescindere dalla dimensione (anche se piccolissima SRL, la legge fallimentare ante 2022 la includeva comunque tra i soggetti fallibili, e il CCII conferma che solo “imprenditori minori” ne sono esclusi e una SRL di solito non è qualificata come minore) . C’è un caso limite: la SRL semplificata unipersonale con numeri microscopici – teoricamente anche quella è soggetta, la legge non distingue. Quindi, no, una SRL non può fare ad es. il “piano del consumatore” o la “esdebitazione del sovraindebitato”: quelle sono per persone fisiche o enti non fallibili. Può però succedere che una SRL venga dichiarata non assoggettabile a fallimento se prova di non aver superato mai le soglie art. 2 CCII (es. attivo <300k, debiti <500k). In tal caso, se è insolvente, ricade nella liquidazione controllata del sovraindebitato (procedura residuale per chi non può fallire) . Ma è raro per una SRL che opera, generalmente qualche soglia la supera.

D: Una volta chiuso il concordato o il fallimento, la società è libera dai vecchi debiti?
R: Dopo un concordato preventivo regolarmente eseguito e chiuso, la società è liberata da tutti i debiti anteriori oggetto del concordato . Quindi sì, ottiene una sorta di esdebitazione. Se però la società prosegue l’attività, i rapporti precedenti potrebbero essere stati novati: es. un fornitore con cui si è concordato 40% perde per sempre il diritto al restante 60%. Nel fallimento, la società una volta chiusa la procedura di liquidazione viene cancellata dal registro imprese e si estingue; i debiti insoddisfatti rimangono tali ma senza un soggetto da poter perseguire (a meno di riapertura fallimento se emergessero nuovi attivi). Quindi indirettamente sono cancellati anch’essi, ma perché muore il debitore. (Le persone fisiche fallite invece possono chiedere l’esdebitazione personale, ma questa è un’altra storia: per le società non serve esdebitazione perché sono entità che cessano di esistere). Riassumendo: concordato – sì esdebitazione “operativa” con prosecuzione società; fallimento – la società sparisce, i debiti non pagati restano solo come perdite per i creditori e non più esigibili da nessuno. Un appunto: i garanti rimangono obbligati anche dopo l’esdebitazione del debitore principale; ad esempio, se un socio aveva garantito un debito, e il debito viene falcidiato dal concordato al 40%, legalmente il creditore può chiedere al garante il 60% residuo (il garante non beneficia automaticamente del taglio concordatario). Spesso però nei concordati si cerca di coinvolgere i garanti per contribuire o per liberarsene con transazione.

D: Quali sono i costi da sostenere per accedere a queste procedure (composizione, concordato)?
R: C’è un costo professionale e gestionale: nella composizione negoziata, ad esempio, c’è il compenso dell’esperto (fissato per legge su base parametrica, spesso qualche migliaio di euro, a carico dell’impresa) ; nel concordato, i costi sono più alti: occorre pagare l’attestatore per redigere la relazione (compensi variabili – per PMI magari 5-20 mila €, per grandi debiti anche di più), ci sono contributi unificati e bolli (qualche migliaio), e soprattutto c’è poi il compenso del commissario e del liquidatore giudiziale che verrà determinato dal tribunale ed è a carico della massa attiva. Il CCII cerca di contenere i costi, ma realisticamente un concordato comporta spese legali e tecniche consistenti (diciamo un 5-10% dell’attivo a volte va in costi). Ci sono poi costi indiretti: dover depositare un patrimonio di soddisfo minimo (per concordato liquidatorio 10% attivo esterno). Ad esempio, se un’attività è al limite, potrebbe non avere soldi liquidi neanche per pagare i professionisti per avviare il concordato. In tali casi lo Stato non anticipa tali costi (non esiste un gratuito patrocinio per procedure concorsuali). Quindi a volte piccole imprese rinunciano a concordato per mancanza di mezzi per sostenere i costi iniziali. La composizione negoziata è invece stata concepita per costare poco: si paga solo l’esperto (che spesso è un commercialista con tariffa sui €4-6k per PMI) e i consulenti che l’azienda deciderà di coinvolgere (non c’è obbligo di avvocato, sebbene sia consigliato). Incentivi: ci sono incentivi fiscali minori, ad esempio per chi accede alla composizione negoziata è previsto esonero dall’imposta di registro su atti necessari e la prededucibilità dei finanziamenti autorizzati – cose utili ma non risparmi diretti di cassa. Quindi, in definitiva, sì, serve prevedere un certo budget per affrontare la ristrutturazione legale. Molti imprenditori lo vedono come male minore rispetto al dissesto totale.

D: Un concordato preventivo può essere revocato o annullato?
R: Sì, ci sono casi in cui un concordato omologato può essere annullato o risolto. L’annullamento (art. 120 CCII) può essere pronunciato se si scopre che il debitore ha dolosamente occultato parte dell’attivo o fraudolentemente aumentato il passivo durante la procedura – in pratica, se ha ingannato i creditori ed il tribunale sulla sua reale situazione (frode ai creditori). In tal caso, su istanza di creditore o del PM, il tribunale annulla l’omologazione e apre d’ufficio la liquidazione giudiziale . La risoluzione del concordato (art. 121 CCII) invece avviene se il debitore non adempie gli obblighi previsti dal piano (es: non paga le percentuali promesse) . Un creditore o il commissario chiederà la risoluzione e il tribunale, verificato l’inadempimento non di scarsa importanza, dichiara il fallimento (liquidazione giudiziale) immediatamente. Quindi, l’imprenditore deve attenersi scrupolosamente al piano: il concordato è un “patto” vincolante; se lo viola, si torna alla casella fallimentare (e con ancor più danno, perché tempo perso e nel frattempo potenziali attivi consumati). In aggiunta, la risoluzione del concordato fa rivivere i debiti originari dedotti nel concordato (meno quanto eventualmente già pagato), per cui i creditori tornano con le azioni enforcement. Va notato che il CCII ha introdotto la possibilità di modificare il concordato omologato attraverso accordo con i creditori per evitare la risoluzione – un meccanismo di flessibilità prima mancante. Ma è complicato da attuare. Dunque, sì, concordato può essere revocato per dolo o risolto per inadempimento.

D: Cosa comporta per un amministratore essere dichiarato colpevole di bancarotta?
R: Una condanna per bancarotta fraudolenta comporta: la pena detentiva (da 3 a 10 anni, spesso intorno a 4-6 anni in casi tipici), e pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici per 10 anni, l’interdizione all’esercizio di impresa commerciale per 10 anni e l’incapacità a ricoprire ruoli direttivi in imprese per lo stesso periodo (art. 317 CCII e art. 216 l.f.). Anche per la bancarotta semplice vi sono interdizioni ma di durata minore (da 2 a 5 anni). Inoltre il condannato per bancarotta fraudolenta viene spesso additato professionalmente, è una macchia pesante. E ovviamente scatta l’obbligo di risarcire i danni ai creditori (il curatore spesso aveva già avviato causa civile, ma la sentenza penale lo consolida). In più, sul piano penale una volta scontata la pena, l’interdizione decennale impedisce di tornare legalmente a fare l’amministratore di società (salvo riabilitazione anticipata). Quindi è devastante per la carriera. Anche se la bancarotta semplice ha pene minori, condanne anche brevi oggi comportano difficilmente l’arresto (spesso sotto 2 anni la pena è sospesa), ma restano interdizioni e reputazione rovinata. Detto ciò, c’è un meccanismo di esdebitazione penale: se dopo la fine del fallimento il condannato paga integralmente i debiti (cosa rarissima), può chiedere la revoca delle pene accessorie anche prima dei 10 anni. Nel CCII è previsto che chi coopera attivamente col curatore può avere riduzioni di pena. In definitiva: per un amministratore onesto, evitare la bancarotta significa evitare di diventare un “delinquente” agli occhi della legge; per chi invece ha compiuto frodi, la bancarotta è destinata a segnarlo a vita, a meno di esiti giudiziari favorevoli (assoluzioni).

D: In caso di crisi, è preferibile rivolgersi a un avvocato, a un commercialista o direttamente alle istituzioni (Camere di Commercio)?
R: Idealmente bisognerebbe coinvolgere più competenze: un commercialista esperto in crisi d’impresa è utile per l’analisi finanziaria, il piano industriale, i numeri; un avvocato esperto in diritto fallimentare è fondamentale per la strategia legale, la redazione di accordi con i creditori, la gestione delle procedure in tribunale. Le Camere di Commercio offrono servizi di primo orientamento: ad esempio, per la composizione negoziata c’è una piattaforma online e referenti camerali; alcuni enti come OCRI (che dovevano partire per l’allerta) e OCC (Organismi crisi da sovraindebitamento) possono dare consulenze. Tuttavia, la gestione concreta conviene affidarla a professionisti di fiducia (un advisor) che possano lavorare nell’interesse dell’impresa e interloquire efficacemente con i creditori. Le istituzioni (Camere di Commercio) forniscono l’esperto indipendente nella composizione negoziata e gestiscono la piattaforma, ma quell’esperto non è un consulente dell’imprenditore – è terzo. Quindi, l’imprenditore farebbe bene ad avere un suo consulente. Spesso la squadra è: commercialista + avvocato (a volte la figura coincide in un professionista di studi associati). In casi minori, si può iniziare consultando il commercialista aziendale per check-up e poi l’avvocato per impostare le mosse. Se già c’è conflittualità con creditori, l’avvocato è essenziale. Se è questione di ristrutturare debiti finanziari, può servire anche un consulente finanziario. Quindi, breve: rivolgersi a specialisti, e se non si sa a chi, le associazioni di categoria, le camere di commercio, l’Ordine dei Dottori Commercialisti hanno sportelli che indirizzano a professionisti qualificati in “gestione della crisi”.

D: Cosa succede se la SRL ha commesso reati tributari (es. false fatture) prima o durante la crisi?
R: Se emergono reati fiscali (dichiarazione fraudolenta con false fatture, frode carosello, ecc.), la crisi non li estingue. Una eventuale procedura concorsuale non cancella la responsabilità penale degli amministratori per quei reati. Anzi, il curatore fallimentare è obbligato a segnalare al PM eventuali illeciti (anche fiscali) scoperti. Quindi l’amministratore potrebbe subire un procedimento penale a prescindere, e la presenza di un fallimento peggiora la sua posizione (il giudice potrebbe considerare che ha portato la società al fallimento tramite reati). Alcune condotte come l’occultamento di scritture costituiscono sia reato fallimentare che reato fiscale ex art.10 D.Lgs 74/2000 – in tali casi la Cassazione ritiene si applichi il più specifico (in genere bancarotta documentale). Comunque, la sostanza è: i reati commessi non vengono “perdonati” dalle procedure di crisi. L’unico caso di “clemenza” è previsto per gli omessi versamenti (reati 10-bis e 10-ter): se vengono pagati nel concordato, l’art. 13 D.Lgs 74/2000 prevede causa di non punibilità (pagamento integrale del debito tributario prima del dibattimento) . Quindi, se con il concordato l’IVA viene saldata anche in parte, ciò può evitare la condanna (ma deve essere integrale per evitare reato; se in concordato l’IVA è pagata al 50%, il reato rimane per l’intero importo originale, anche se l’Erario ha accettato 50% – curiosamente la norma penale chiede il pagamento totale per estinguere, a meno di cause di forza maggiore). D’altra parte, procedure come il concordato bloccano la maturazione di ulteriori sanzioni e interessi e spesso portano a definizione transattiva di pendenze tributarie. Ma per reati già commessi (tipo emissione di false fatture nel 2022) la procedura di per sé non evita il processo. In conclusione: eventuali reati commessi dalla SRL o dai suoi rappresentanti seguiranno il loro corso legale separatamente dalla gestione dei debiti.

La tua società a responsabilità limitata (SRL) non riesce più a far fronte ai debiti fiscali, bancari o verso fornitori? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua società a responsabilità limitata (SRL) non riesce più a far fronte ai debiti fiscali, bancari o verso fornitori?
Ti stai chiedendo quali conseguenze legali e patrimoniali comporta la mancata capacità di pagamento e come evitare il fallimento o la chiusura forzata?

👉 Prima regola: non aspettare che la situazione degeneri.
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) ha introdotto strumenti precisi per intervenire in tempo e salvare la SRL, evitando che i debiti portino alla liquidazione giudiziale (ex fallimento).


⚖️ Quando una SRL è considerata in crisi

Una SRL entra in stato di crisi o insolvenza quando:

  • Non riesce più a pagare regolarmente fornitori, dipendenti o imposte;
  • Ha debiti scaduti superiori ai limiti stabiliti dalla legge (es. IVA o contributi non versati);
  • Registra perdite ripetute e capitale sociale ridotto al di sotto del minimo legale;
  • È soggetta a pignoramenti, blocchi dei conti o ipoteche;
  • Non è più in grado di garantire la continuità aziendale.

👉 In queste condizioni, la SRL non è automaticamente fallita, ma deve attivarsi subito per gestire la crisi prima che i creditori o il tribunale intervengano.


📌 Cosa succede se la SRL non paga i debiti

  1. I creditori avviano azioni di recupero: pignoramenti, decreti ingiuntivi, iscrizioni ipotecarie o sequestri.
  2. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione può bloccare i conti, aggredire beni aziendali e iscrivere ipoteche sugli immobili sociali.
  3. Le banche possono revocare affidamenti o segnalare la società in Centrale Rischi.
  4. I fornitori possono sospendere le forniture e chiedere il pagamento immediato dei crediti.
  5. Il tribunale può disporre, su richiesta dei creditori, la liquidazione giudiziale (ex fallimento) se non vengono attivati strumenti di risanamento.

⚠️ Le responsabilità degli amministratori

Contrariamente a quanto molti pensano, la responsabilità limitata non protegge automaticamente gli amministratori.
Se non intervengono tempestivamente:

  • Possono essere personalmente responsabili dei danni causati ai creditori (art. 2476 c.c.);
  • Rischiano azioni di responsabilità per cattiva gestione o omessa richiesta di composizione della crisi;
  • In caso di gravi irregolarità, possono incorrere in sanzioni civili e penali.

👉 Agire in tempo significa anche proteggere il patrimonio personale degli amministratori.


🧩 Le soluzioni previste dal Codice della Crisi

Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza offre diversi strumenti per salvare una SRL indebitata:

💠 1. Composizione negoziata della crisi

  • Si avvia tramite piattaforma telematica presso la Camera di Commercio.
  • Viene nominato un esperto indipendente che aiuta a negoziare con creditori, Fisco e banche.
  • Durante la procedura si ottiene la sospensione delle azioni esecutive.
  • Obiettivo: ristabilire equilibrio economico e continuità aziendale.

💠 2. Accordi di ristrutturazione dei debiti

  • Permettono di concordare con i creditori la riduzione o la rateizzazione dei debiti.
  • Se approvati dal 60% dei creditori, diventano efficaci anche per gli altri.

💠 3. Piano di risanamento attestato

  • È una soluzione extragiudiziale, certificata da un professionista, per evitare il fallimento e rilanciare l’attività.

💠 4. Concordato preventivo semplificato

  • In casi più gravi, consente di pagare solo una parte dei debiti e mantenere la gestione dell’impresa sotto il controllo del tribunale.

🛠️ Cosa può fare una SRL per risanarsi

  • Analizzare la situazione economico-finanziaria (bilanci, debiti, liquidità, flussi di cassa).
  • Attivare subito gli strumenti del Codice della Crisi.
  • Negoziare con Fisco, banche e fornitori per dilazioni e riduzioni.
  • Proteggere il patrimonio personale degli amministratori.
  • Riorganizzare la gestione interna, riducendo i costi e migliorando la redditività.

⚖️ Perché agire subito è fondamentale

Il Codice della Crisi impone agli amministratori di monitorare costantemente la salute finanziaria della società.
Ignorare i segnali di difficoltà può comportare:

  • Responsabilità diretta per aggravamento della crisi;
  • Azione giudiziale dei creditori;
  • Liquidazione giudiziale forzata.

Agire in tempo, invece, permette di:

  • Bloccare le azioni esecutive e i pignoramenti.
  • Mantenere la continuità aziendale.
  • Ristrutturare i debiti in modo sostenibile.
  • Evitare la perdita totale della società.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la situazione economico-finanziaria e i debiti della tua SRL.
  • 📌 Valuta la possibilità di accedere alla Composizione Negoziata della Crisi o ad altri strumenti del Codice.
  • ✍️ Predispone piani di risanamento, accordi di ristrutturazione e difese contro le azioni esecutive.
  • ⚖️ Assiste amministratori e soci nella tutela del patrimonio personale.
  • 🔁 Offre consulenza continuativa per la gestione fiscale e la prevenzione delle crisi future.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
  • ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.
  • ✔️ Specializzato nella ristrutturazione del debito di SRL e società di capitali tramite il Codice della Crisi.

Conclusione

Se una SRL non riesce a pagare i debiti, non è automaticamente destinata a chiudere: la legge oggi prevede strumenti concreti per risanarla e proteggerla.
Con il supporto di un avvocato esperto, puoi bloccare pignoramenti, negoziare con i creditori e salvare la tua impresa, tutelando anche gli amministratori e i soci.
Agire ora significa prevenire il fallimento e costruire un nuovo equilibrio economico per la tua società.


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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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