Hai un’attività di riparatore di smartphone con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Negli ultimi anni, il settore delle riparazioni elettroniche è diventato uno dei più controllati dal Fisco, a causa del volume crescente di vendite e assistenze non tracciate, dell’uso del contante e delle difficoltà di gestione fiscale delle piccole attività.
Molti tecnici e laboratori si trovano oggi a gestire debiti con l’Agenzia delle Entrate, l’INPS o i fornitori, derivanti da ritardi nei versamenti, errori contabili o accertamenti IVA e IRPEF, rischiando pignoramenti, blocchi dei conti o sanzioni pesanti.
Con una difesa legale e fiscale mirata, è possibile bloccare la riscossione, ottenere una rateizzazione sostenibile e difendersi da accertamenti infondati, salvaguardando la tua attività e il tuo laboratorio di assistenza.
Quando un riparatore di smartphone entra in difficoltà fiscale
Le situazioni più comuni che portano a debiti o controlli fiscali nel settore elettronico sono:
- Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRPEF o contributi INPS non versati;
- Accertamenti fiscali per presunti ricavi non dichiarati o incongruenze tra entrate e acquisti;
- Pignoramenti o blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
- Sanzioni e interessi che moltiplicano rapidamente il debito originario;
- Ritardi nei pagamenti dei clienti o dei fornitori, che riducono la liquidità;
- Errori contabili o gestionali nella gestione della partita IVA o nel regime fiscale scelto (forfettario o ordinario).
Cosa fare se hai debiti o sei sotto accertamento fiscale
- Non ignorare le notifiche: ogni cartella o accertamento fiscale deve essere contestato o rateizzato entro 60 giorni dalla notifica.
- Verifica la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti fiscali contengono errori di calcolo, notifiche irregolari o motivazioni generiche, che possono renderli nulli.
- Controlla l’importo reale del debito: spesso la cifra include sanzioni e interessi eccessivi, che possono essere ridotti con la definizione agevolata.
- Richiedi una rateizzazione: puoi ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le procedure di riscossione.
- Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se disponibile, permette di pagare solo le imposte dovute, cancellando sanzioni e interessi.
- Impugna gli accertamenti ingiusti: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, puoi bloccare la riscossione e difendere la tua attività.
Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nella difesa delle microimprese e delle attività artigianali nel settore tecnologico può analizzare la tua posizione e costruire una strategia di difesa personalizzata.
Le azioni più efficaci comprendono:
- contestare vizi di notifica, errori di motivazione o calcolo negli accertamenti e nelle cartelle esattoriali;
- chiedere la sospensione delle azioni di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche);
- presentare ricorso contro accertamenti IVA o IRPEF basati su presunzioni o controlli automatici;
- negoziare rateizzazioni o transazioni fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
- proteggere attrezzature, strumenti di lavoro e magazzino da pignoramenti o sequestri;
- migliorare la gestione fiscale e contabile per prevenire nuovi debiti in futuro.
Il ruolo dell’avvocato nella difesa del riparatore di smartphone
- Analizza la legittimità di accertamenti, cartelle e intimazioni di pagamento;
- Predispone ricorsi e istanze di sospensione per bloccare la riscossione;
- Negozia rateizzazioni e definizioni agevolate con l’Agenzia delle Entrate;
- Difende l’imprenditore nel contraddittorio con l’Ufficio e nei giudizi tributari;
- Protegge strumenti, computer e apparecchiature di lavoro da azioni esecutive;
- Tutela la continuità operativa e la reputazione professionale.
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
- La sospensione immediata delle procedure di riscossione;
- L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi;
- La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute;
- La protezione del patrimonio e degli strumenti di lavoro;
- Il risanamento fiscale e la stabilità economica della tua attività.
⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti o sequestro delle attrezzature, impedendoti di lavorare e di gestire il tuo laboratorio.
Molte situazioni, tuttavia, possono essere risolte o ridotte, se affrontate tempestivamente con una difesa legale e fiscale competente.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa fiscale delle microimprese e dei professionisti del settore elettronico e tecnologico – spiega cosa fare se sei un riparatore di smartphone con debiti fiscali o sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ricostruire la serenità economica e professionale.
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Introduzione
Gestire un negozio di casalinghi può diventare estremamente difficile quando si accumulano debiti significativi. In tempi di crisi economica e forte concorrenza, molte piccole imprese si trovano in situazione di sovraindebitamento, ossia con obbligazioni finanziarie che superano la capacità di pagamento del titolare. In Italia il legislatore ha previsto strumenti specifici per aiutare imprenditori, professionisti e consumatori ad affrontare queste situazioni, ma comprenderli e utilizzarli correttamente richiede una conoscenza approfondita della normativa. Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – offre un quadro avanzato e dettagliato delle azioni che i creditori possono intraprendere (ad esempio decreti ingiuntivi, pignoramenti) e dei mezzi di difesa e di soluzione a disposizione di un debitore che gestisce un negozio di casalinghi in difficoltà. Verranno esaminate le diverse tipologie di debiti (verso fornitori, fiscali, contributivi, bancari, ecc.), le differenze legate alla forma giuridica dell’impresa (ditta individuale, società di persone, SRL, etc.) e i possibili rimedi sia giudiziali sia stragiudiziali (dall’opposizione a un decreto ingiuntivo ai piani di rientro, fino alle procedure di sovraindebitamento e concorsuali). Il tutto verrà esposto dal punto di vista del debitore, con linguaggio giuridico ma anche divulgativo, arricchito da tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti. L’obiettivo è fornire a imprenditori, privati cittadini e anche ai professionisti legali uno strumento completo per capire cosa fare e come difendersi quando un negozio di casalinghi è oppresso dai debiti, evitando errori comuni e sfruttando le opportunità offerte dalla legge.
Tipologie di debiti di un negozio e relative implicazioni
Un negozio di casalinghi può contrarre debiti di diversa natura. È importante distinguere le varie tipologie di debito, perché ciascuna categoria di creditore ha poteri e strumenti di riscossione diversi, e richiede strategie difensive differenti. Di seguito analizziamo i principali tipi di debiti che un piccolo imprenditore del settore commercio (casalinghi) può trovarsi ad affrontare: debiti commerciali verso fornitori, debiti fiscali verso l’erario, debiti previdenziali e contributivi verso enti come INPS, e debiti verso banche o finanziarie. Ciascuna di queste situazioni presenta rischi specifici per il debitore e possibilità di intervento peculiari.
Debiti verso fornitori
I debiti commerciali verso fornitori sorgono tipicamente dall’acquisto di merce o servizi necessari all’attività del negozio (es. acquisto di stock di casalinghi, forniture di imballaggi, servizi di pulizia, etc.) quando tali forniture non vengono pagate nei termini pattuiti. In caso di insolvenza, i fornitori hanno il diritto di attivarsi per recuperare quanto dovuto. In genere il primo passo è l’invio di solleciti di pagamento formali (diffide ad adempiere), spesso mediante raccomandata A/R o PEC, mettendo in mora il debitore. Se ciò non porta risultato, il fornitore può intraprendere un’azione legale tipica del nostro ordinamento: il decreto ingiuntivo. Si tratta di un ordine di pagamento emesso dal giudice su ricorso del creditore, quando il credito è fondato su prova scritta (fatture, DDT firmati, contratti, estratti conto autenticati, ecc.). Il decreto ingiuntivo viene notificato all’imprenditore debitore e contiene l’intimazione a pagare la somma entro 40 giorni, pena l’esecuzione forzata (o entro 10 giorni se dichiarato provvisoriamente esecutivo, eventualità prevista ad es. se il credito è fondato su cambiali, assegni o riconoscimenti di debito). Dal momento della notifica decorre il termine di 40 giorni per presentare opposizione ; in mancanza, il decreto diviene definitivo ed equiparato a una sentenza esecutiva.
Un negoziante che riceve un decreto ingiuntivo da un fornitore deve agire tempestivamente. Se il debito è contestabile (magari per merce difettosa, non consegnata, importi errati, prescrizione, ecc.), può proporre opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni ai sensi dell’art. 641 c.p.c. , instaurando un normale giudizio di cognizione in cui far valere le proprie difese. L’opposizione si propone con atto di citazione davanti al tribunale competente e, contestualmente, si può chiedere la sospensione della provvisoria esecutività del decreto (ex art. 649 c.p.c.) se già concessa, per evitare che il fornitore proceda subito con il pignoramento. Va notato che, secondo la giurisprudenza, se la notifica iniziale del decreto è nulla e il creditore la rinnova successivamente, il termine per l’opposizione decorre dalla nuova notifica valida e non da quella nulla . Ciò significa che un vizio nel primo tentativo di notifica (ad es. indirizzo errato) non può far perdere al debitore la chance di opporsi: il termine di 40 giorni scatterà dalla notifica correttamente eseguita in seguito.
Se non vi sono motivi validi di contestazione, è spesso opportuno negoziare con il fornitore prima che si arrivi a un decreto ingiuntivo definitivo. Un accordo stragiudiziale può consistere in un piano di rientro rateale (dilazionazione del debito in più tranche mensili) o in un saldo e stralcio, ossia il pagamento di una parte del dovuto (ad esempio 50-70%) in un’unica soluzione, con rinuncia del creditore a esigere il resto. Molti fornitori preferiscono una soluzione concordata – magari con garanzie come cambiali – piuttosto che affrontare tempi e costi di una causa e di un’esecuzione forzata dall’esito incerto. Dal lato del debitore, formalizzare per iscritto tali accordi è essenziale, e occorre rispettare con rigore le nuove scadenze per non decadere dal beneficio e perdere credibilità. In ogni caso, ignorare un decreto ingiuntivo è estremamente pericoloso: dopo 40 giorni il fornitore potrà ottenere formula esecutiva e procedere con il pignoramento dei beni aziendali o personali.
I rischi specifici dei debiti verso fornitori includono, oltre alla perdita del rapporto commerciale (il fornitore sospenderà le consegne, mettendo in crisi l’operatività del negozio), le spese legali e interessi di mora (spesso previsti dal D.Lgs. 231/2002 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con tassi elevati) che accrescono l’importo dovuto. Inoltre, un fornitore insoddisfatto – se il debito è rilevante e l’impresa è in evidente stato di insolvenza – potrebbe persino presentare istanza di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) nei confronti del debitore imprenditore, se quest’ultimo è soggetto alle procedure concorsuali (si veda più avanti la sezione sulle forme giuridiche e procedure concorsuali). Questo costituisce un ulteriore strumento di pressione nelle mani dei creditori commerciali maggiori. Dunque, è fondamentale non accumulare posizioni debitorie inerti verso i fornitori: meglio affrontarle per tempo con soluzioni bonarie o, se necessario, preparando una difesa giudiziaria ben articolata.
Debiti fiscali (Erario)
Tra i debiti più delicati vi sono quelli verso il Fisco, ossia verso l’Erario (Agenzia delle Entrate) per imposte non pagate. Per un negozio di casalinghi possono trattarsi di IVA non versata, IRPEF (se ditta individuale) sugli utili, IRES/IRAP (se società), nonché imposte locali come TARI o COSAP non corrisposte. Questi debiti fiscali sono caratterizzati da un regime di riscossione particolare: la legge affida il recupero coattivo all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) (ex Equitalia), che agisce in via amministrativa senza necessità di un previo giudizio ordinario. In pratica, se il contribuente non paga una cartella o un avviso bonario entro i termini, l’agente della riscossione può procedere a misure esecutive senza dover richiedere un decreto ingiuntivo.
Il processo tipico è il seguente: l’omesso versamento di un tributo genera innanzitutto un atto di accertamento o una liquidazione dall’Agenzia delle Entrate. Se questo non viene pagato o impugnato nei termini, il debito viene iscritto a ruolo e notificato all’interessato mediante una cartella esattoriale (ora denominata “cartella di pagamento”). La cartella ingiunge il pagamento entro 60 giorni. In mancanza, l’Agente della Riscossione può emettere un avviso di intimazione e quindi attivare le procedure esecutive: in primis misure cautelari come il fermo amministrativo e l’ipoteca legale, e successivamente veri e propri pignoramenti. Ad esempio, per debiti sopra una certa soglia (oggi €20.000 per imposte statali), AER può iscrivere ipoteca su un immobile del debitore senza passare dal giudice . Per debiti anche modesti (basta €1.000) può disporre il fermo amministrativo di un automezzo, cioè il blocco della circolazione del veicolo intestato al debitore fino al pagamento . Trascorsi 30 giorni dall’intimazione senza risultato, può scattare il pignoramento vero e proprio, ad esempio del conto corrente (tramite ordine diretto alla banca) o dello stipendio/pensione (pignoramento presso terzi) o dei beni immobili. Tutto ciò avviene in via automatica, senza bisogno di autorizzazione giudiziaria, in virtù della natura di titolo esecutivo propria della cartella esattoriale e degli atti successivi.
Di fronte ai debiti tributari, il debitore ha diverse possibilità di difesa o gestione, ma tutte con tempistiche stringenti. Se si ritiene che il tributo non sia dovuto (per errore, doppio pagamento, prescrizione, vizi formali dell’atto, ecc.), è necessario presentare ricorso tributario dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (cartella o avviso) contestato. In sede di ricorso si può chiedere la sospensione dell’atto per bloccare nel frattempo la riscossione. Se però il debito è effettivamente dovuto ma non si ha liquidità per pagarlo interamente, la strada da seguire è la rateizzazione amministrativa. Le norme ad oggi consentono dilazioni anche molto lunghe: a seguito della riforma introdotta dal D.Lgs. 110/2024 (in vigore dal 1° gennaio 2025), per debiti fino a €120.000 è concesso un piano ordinario fino a 84 rate mensili (7 anni), e addirittura piani estesi fino a 120 rate (10 anni) se il debitore documenta una situazione di grave e comprovata difficoltà economica . In particolare, per istanze presentate nel 2025-2026 è possibile ottenere da 85 fino a 120 rate mensili in caso di comprovata difficoltà . Questa dilazione straordinaria consente di spalmare il debito fiscale su un periodo lunghissimo, riducendo l’importo di ogni rata. La domanda di rateazione va presentata ad Agenzia Entrate-Riscossione: per importi sotto una certa soglia (oggi €120.000) basta l’istanza “semplice” con autodichiarazione di temporanea difficoltà, mentre per importi superiori occorre allegare la documentazione reddituale/patrimoniale. È importante presentare la richiesta prima che inizino le azioni esecutive (fermi, pignoramenti), perché la concessione del piano sospende e impedisce nuovi atti esecutivi, purché si rispettino le scadenze delle rate.
Oltre alla rateizzazione ordinaria, va ricordato che il legislatore negli ultimi anni ha varato varie misure di definizione agevolata dei debiti fiscali, le cosiddette “rottamazioni delle cartelle”. Ad esempio, la Rottamazione-quater (prevista dalla Legge di Bilancio 2023) permette di estinguere i ruoli affidati fino al 30 giugno 2022 pagando solo il debito capitale e interessi legali, con stralcio di sanzioni e interessi di mora, dilazionando il pagamento in 18 rate fino al 2027. Queste opportunità sono episodiche e legate a decisioni politiche contingenti , ma per un debitore in difficoltà conviene sempre verificare se è attiva una finestra di condono o rottamazione a cui aderire, perché possono ridurre drasticamente l’importo dovuto. In aggiunta, per contribuenti in gravi condizioni economiche e con ISEE basso, in passato è stato introdotto anche il “saldo e stralcio” fiscale (ad esempio con la Legge 145/2018) che consentiva di pagare solo una percentuale ridotta dell’imposta dovuta. Anche queste misure, quando disponibili, rappresentano per il debitore un importante strumento di sollievo dal carico fiscale.
Va evidenziato che alcuni debiti tributari sono assistiti da sanzioni amministrative e interessi molto elevati: l’IVA omessa, ad esempio, genera un’immediata sanzione del 30% oltre interessi giornalieri. Inoltre, certe omissioni di versamento possono avere profili penali: in particolare, il mancato versamento IVA oltre una soglia (€250.000 annui) o ritenute dovute per importi elevati configura reati tributari (Dlgs. 74/2000, artt. 10-bis e 10-ter). Dal punto di vista del “difendersi”, ciò significa che un imprenditore in crisi di liquidità dovrebbe cercare di privilegiare i pagamenti fiscali “sensibili” (IVA, ritenute) per evitare di incorrere in conseguenze penali, e casomai lasciare insoluti debiti meno pericolosi (fermo restando che rimangono esigibili civilmente). Se però l’omissione è già avvenuta, entro specifici termini è possibile estinguere il reato pagando il dovuto (ad esempio, l’omesso versamento IVA non è punibile penalmente se il contribuente paga integralmente l’imposta dovuta entro la dichiarazione annuale dell’anno successivo).
In sintesi, i debiti fiscali richiedono al debitore una reazione immediata e consapevole: verificare la correttezza dell’addebito e, se dovuto, attivarsi per dilazionare o definire il debito. Ignorare le cartelle esattoriali porta rapidamente a ipoteche sui beni, fermi amministrativi dei veicoli, pignoramenti dei conti correnti, con gravi impatti sulla vita personale e sull’operatività dell’azienda. Occorre anche tenere presente che la prescrizione dei debiti tributari è soggetta a regole particolari (generalmente 10 anni per cartelle relative a tributi erariali, ma con eccezioni e atti interruttivi). In ogni caso, la mera chiusura della partita IVA o dell’attività non estingue i debiti tributari pregressi, i quali restano a carico dell’ex titolare e possono essere riscossi anche anni dopo . Pertanto, nel pianificare la cessazione dell’attività, il titolare indebitato col Fisco deve prevedere come gestire tali posizioni (rateizzandole, definendole, o includendole in eventuali procedure concorsuali di cui diremo oltre).
Debiti contributivi e previdenziali (INPS, INAIL)
Simili ai debiti fiscali, e talvolta ancor più insidiosi, sono i debiti verso gli enti previdenziali e assistenziali, in primis l’INPS (contributi pensionistici obbligatori) e l’INAIL (assicurazione infortuni). Un negozio di casalinghi può maturare debiti contributivi sia verso i dipendenti (mancato versamento dei contributi dovuti sulle loro retribuzioni mensili) sia verso la gestione personale dell’imprenditore (contributi IVS artigiani/commercianti se ditta individuale, oppure contribuzione alla gestione separata se il titolare è amministratore di una società, etc.). Analogamente, possono esservi premi INAIL non versati, sanzioni civili per ritardi, ecc.
La riscossione dei contributi segue un percorso assimilabile a quello tributario: l’INPS emette avvisi di addebito immediatamente esecutivi (titoli esecutivi amministrativi introdotti dal 2011) che vengono affidati all’Agente della Riscossione, saltando la fase della cartella tradizionale. L’avviso notificato invita al pagamento entro 60 giorni; dopodiché si attivano le stesse procedure coattive (fermi, ipoteche, pignoramenti) viste per i tributi. Anche in questo caso, il debitore può presentare ricorso amministrativo o giudiziale (commissione o tribunale del lavoro, a seconda dei casi) se contesta il dovuto – ad esempio, contestazioni su classificazione dei lavoratori, prescrizione contributiva quinquennale, etc. – oppure può chiedere una dilazione del pagamento. L’INPS concede rateizzazioni analoghe a quelle fiscali: fino a 24 rate mensili per debiti minori, ed estendibili fino a 72 o anche 120 rate in situazioni gravi, previa domanda motivata. A differenza dei tributi, la normativa sulle definizioni agevolate non sempre include i contributi previdenziali, ma negli ultimi condoni le cartelle INPS sono state inserite nelle rottamazioni (salvo la quota di contributo dovuta ai lavoratori, che non può essere condonata). Pertanto, se è in corso una rottamazione delle cartelle esattoriali, conviene verificare se il proprio debito INPS è “rottamabile” e aderire per beneficiare dell’abbattimento di sanzioni e interessi.
Un elemento da sottolineare è che l’omesso versamento di contributi previdenziali dovuti per i dipendenti può costituire reato ai sensi dell’art. 2, co.1-bis, D.L. 463/1983 (convertito in L.638/83), ma solo oltre una soglia di omissione (attualmente €10.000 annui) e al netto di eventuali pagamenti tardivi: se il datore di lavoro versa quanto dovuto entro 3 mesi dalla contestazione, il reato è estinto. Per le omissioni di importo inferiore invece si applica una sanzione amministrativa. Ciò significa che, analogamente alle imposte, il titolare deve prestare la massima attenzione a questi adempimenti per evitare anche profili penali oltre al debito civile.
I rischi connessi ai debiti contributivi includono, oltre alle azioni di recupero coattivo identiche a quelle fiscali, effetti negativi sul fronte dei rapporti di lavoro. Ad esempio, un lavoratore dipendente il cui datore non versi i contributi potrebbe avviare un’azione legale o segnalare all’INPS l’inadempienza; tuttavia, i dipendenti non subiscono direttamente il danno perché l’INPS eroga comunque le prestazioni (pensionistiche, tfr, ecc.) attingendo eventualmente al Fondo di Garanzia, e poi si rivale sull’azienda. In fase di crisi, comunque, l’accumulo di contributi arretrati spesso si accompagna a stipendi non pagati: i dipendenti hanno privilegi speciali su retribuzioni e TFR, e potrebbero insinuarsi eventualmente in una procedura concorsuale per recuperare quanto dovuto.
Dal lato difensivo, il titolare indebitato con l’INPS può sfruttare le rateazioni e le eventuali sanatorie come detto, ma se la situazione è compromessa dovrà includere i crediti contributivi in un’eventuale procedura di composizione della crisi (piano di ristrutturazione, concordato, ecc.), tenendo presente che questi crediti godono di privilegio generale sui mobili (ex art. 2753 c.c.) e quindi, in un piano, dovranno essere soddisfatti almeno parzialmente con una certa priorità. Importante: i debiti per contributi, essendo debiti verso lo Stato o enti assimilati, non rientrano tra quelli liberamente esdebitabili al 100% nelle procedure di sovraindebitamento se sorti dopo la domanda, e comunque la quota relativa alle ritenute previdenziali dei dipendenti non può essere falcidiata neppure nel concordato (trattandosi di somme sottratte ai lavoratori). Dunque, vanno trattati con particolare riguardo.
In conclusione, i debiti previdenziali vanno affrontati con serietà analogamente ai debiti fiscali: monitorando le comunicazioni dell’INPS, verificando gli estratti debitori, contestando formalmente eventuali errori (anche perché l’INPS talvolta notifica importi caduti in prescrizione, che è quinquennale per i contributi, termine interrotto però da atti come avvisi e cartelle), e attivando piani di rientro sostenibili. Trascurare questi debiti conduce rapidamente a misure come fermi e ipoteche, e mette a rischio il patrimonio personale dell’imprenditore esattamente come i debiti tributari, dato che anche qui vale il principio di responsabilità patrimoniale illimitata nel caso di ditte individuali o soci illimitatamente responsabili (principio di cui diremo tra poco).
Debiti bancari e finanziari
Un’altra categoria di debiti cruciale per un’attività commerciale è quella verso banche, istituti di credito o finanziarie. Ad esempio, il negoziante potrebbe aver acceso un mutuo ipotecario per acquistare il locale, oppure ottenuto un fido (scoperto di conto corrente) per finanziare il magazzino, o ancora utilizzato linee di credito commerciale (anticipo su fatture, castelletti per sconto cambiali) o prestiti da società finanziarie. Se l’attività entra in crisi e non riesce a rispettare le rate o le condizioni dei fidi, la banca può attivare una serie di rimedi contrattuali e legali.
In caso di mutuo ipotecario, il contratto prevede di norma la decadenza dal beneficio del termine se il debitore salta un determinato numero di rate (spesso anche solo 2 rate trimestrali): la banca può quindi richiedere l’immediato pagamento di tutto il capitale residuo. Se il debitore non è in grado di pagare, l’istituto può avviare la procedura esecutiva immobiliare sul bene ipotecato. Tipicamente il procedimento consiste in un atto di precetto seguito dal pignoramento immobiliare sull’immobile dato in garanzia (es. il locale commerciale o, se il mutuo era per liquidità, magari la casa del titolare se data in ipoteca). Segue la fase di vendita all’asta del bene, salvo che il debitore non riesca prima a saldare il dovuto o a trovare un accordo (come una vendita privata per pagare la banca, o un piano di rientro concordato). È bene evidenziare che l’abitazione principale del debitore, se vi risiede e non è di lusso, è protetta soltanto dall’esecuzione per debiti fiscali (la legge vieta ad Agenzia Riscossione di pignorarla in certi casi), ma non è affatto impignorabile per i creditori privati: quindi una banca può pignorare anche la prima casa ipotecata in suo favore o anche senza ipoteca se necessario, per soddisfare il proprio credito.
Nel caso invece di affidamenti bancari (fidi di conto, castelletto effetti, anticipo merci), la banca in genere ha la facoltà di revocare l’affidamento se il cliente è in sofferenza o se vengono meno le garanzie. La revoca del fido trasforma l’esposizione in debito esigibile a vista: la banca manderà una lettera di revoca chiedendo il rientro immediato (spesso da onorare entro 10-15 giorni). Se il cliente non rientra, la banca può procedere anch’essa con decreto ingiuntivo per l’importo dovuto sul conto, basandosi sull’estratto conto certificato ex art. 50 TUB. Ottenuto il decreto (spesso provvisoriamente esecutivo dato il valore di titolo degli estratti contabili), si passa anche qui al precetto e ai pignoramenti di beni. Nel caso di conti e finanziamenti, i primi bersagli dell’esecuzione sono i conti correnti stessi (pignoramento diretto del saldo attivo se ve ne sono presso la stessa o altre banche) e i beni mobili o immobili del debitore.
Un aspetto da considerare è che per la concessione del credito le banche quasi sempre richiedono garanzie aggiuntive: ad esempio, fideiussioni personali dei titolari o dei loro familiari, oppure ipoteche su immobili di terzi, o il rilascio di cambiali, polizze fideiussorie, pegno su beni o su quote societarie. Ciò implica che, in caso di insolvenza del debitore principale (il negozio o la società), la banca potrà agire anche contro i garanti. Molti piccoli imprenditori costituiscono società di capitali (s.r.l.) confidando nella responsabilità limitata, ma poi firmano fideiussioni personali “omnibus” a garanzia delle esposizioni bancarie: di fatto, così facendo, estendono alla propria sfera personale il rischio. Il garante che subisce l’escussione dalla banca dovrà pagare il debito e poi potrà rivalersi sul debitore principale, ma se quest’ultimo è insolvente, in pratica il garante sopporta la perdita. Difendersi da queste situazioni ex post è difficile: se la fideiussione è valida, la banca può ottenere un decreto ingiuntivo anche immediatamente contro il fideiussore (basta l’insolvenza del debitore principale e la conoscenza da parte del garante). Unica possibile via di difesa è verificare se la fideiussione contenga clausole nulle per violazione della normativa antitrust (Banca d’Italia segnalò che gli schemi ABI di fideiussione omnibus erano intesi a restringere la concorrenza, e la giurisprudenza ha talora dichiarato nulle alcune clausole, come la rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.) – ma sono eccezioni da far valere in giudizio con esito incerto. Pertanto, un imprenditore garante deve considerare le stesse strategie del debitore principale: trattare con la banca un piano di rientro o una rimodulazione del debito prima che sia tardi. Spesso le banche, soprattutto se il debitore è in difficoltà conclamata, preferiscono trovare un accordo (ad es. consolidare il debito in un finanziamento a più lungo termine, magari assistito da ipoteca se non c’era, oppure accettare un saldo a stralcio parziale) piuttosto che procedere per via giudiziale. Ciò è vero specialmente se il debitore presenta un piano credibile e se la banca percepisce che altrimenti rischia di incassare molto meno (ad es. in un eventuale fallimento). È prassi anche che le banche, dopo una certa fase di sofferenza, cedano il credito a società di recupero (cosiddetti “fondi speculativi” o servicer): questi ultimi spesso acquistano il credito a forte sconto e quindi possono avere margine per chiudere con il debitore a saldo e stralcio (magari proponendo il 50% del dovuto pagato in un’unica soluzione).
Infine, va menzionato l’effetto reputazionale: un debitore insolvente verso banche verrà segnalato in Centrale Rischi di Banca d’Italia e in altre banche dati (CRIF, Experian), risultando inaffidabile per il sistema finanziario. Ciò comporta l’impossibilità di ottenere nuovi finanziamenti, emettere assegni, aprire conti, e altre restrizioni che possono di fatto paralizzare la capacità di fare impresa. Anche per questo, dal punto di vista difensivo, può valere la pena di ricorrere – quando possibile – a strumenti come il “piano del consumatore” o l’accordo di ristrutturazione dei debiti (descritti più avanti) che, se omologati dal tribunale, permettono al debitore di cancellare le segnalazioni negative e ripartire pulito.
In sintesi, i debiti bancari vanno gestiti con una duplice attenzione: tecnica, perché si tratta di crediti spesso ben documentati e garantiti (difficile contestarne l’esistenza, salvo errori di calcolo o usura sui tassi, voci che si possono far valere in un’opposizione per guadagnare tempo o ridurre l’importo); e strategica, perché il rapporto con la banca può talora essere rinegoziato. Un consiglio per il debitore è di non aspettare la revoca dei fidi o la morosità conclamata: appena si prevede di non poter rispettare le prossime scadenze, contattare l’istituto e spiegare la situazione, magari presentando un piano di ristrutturazione del debito. Se il negozio ha prospettive di risanamento (es. riduzione di costi, nuovo socio finanziatore, ecc.), la banca potrebbe accettare una moratoria o un allungamento del piano di ammortamento. Se invece la situazione è compromessa, allora bisognerà valutare strumenti più incisivi come le procedure concorsuali minori (sovraindebitamento) o il fallimento, come vedremo.
Altre possibili debiti (locazione, fornitori di utenze, dipendenti)
Oltre ai macro-gruppi sopra esaminati, un negozio può trovarsi esposto verso altri soggetti. Debiti verso il locatore: se l’immobile del negozio è in affitto e non si pagano i canoni, il proprietario potrà agire con sfratto per morosità (ottenendo in tempi brevi un’ordinanza di rilascio) e insieme con ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti. Il rischio per l’imprenditore è duplice: perdere la sede dell’attività (con inevitabile chiusura o trasferimento) e subire pignoramenti per i canoni non pagati. La difesa, in questo caso, consiste nel cercare un accordo col locatore (es. dilazionare gli arretrati e magari ridurre temporaneamente il canone corrente) oppure, se si oppone allo sfratto, saldare il dovuto entro i termini di grazia concessi dal tribunale. Debiti verso i fornitori di utenze (energia, telefono, acqua): in caso di mancato pagamento, oltre alle penali contrattuali, vi è il concreto rischio di distacco delle forniture, che per un negozio significherebbe impossibilità di proseguire (basti pensare all’elettricità per luci e casse, o ad internet per il POS). Le utility in genere preferiscono soluzioni negoziali (piani di rientro) ma non esitano a sospendere il servizio se l’insoluto cresce. Quindi è essenziale tenere in regola almeno i pagamenti essenziali di questo tipo, o trovare alternative (es. cambiare fornitore se possibile, prima di accumulare troppi debiti con uno). Infine, debiti verso dipendenti (stipendi non corrisposti, TFR): il mancato pagamento dei lavoratori può portare a vertenze di lavoro; i dipendenti possono dimettersi per giusta causa e chiedere all’azienda il pagamento immediato di tutte le spettanze. Hanno il privilegio di grado più elevato sui beni mobili e immobili del datore (art. 2751-bis c.c.), quindi in qualsiasi procedura concorsuale verranno soddisfatti prima degli altri crediti chirografari. Se l’azienda fallisce o non paga, i lavoratori possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime mensilità, ma ciò non solleva l’imprenditore dall’obbligo: l’INPS subentrerà come creditore surrogato. Anche qui, la miglior difesa è preventiva: in caso di crisi di liquidità, è preferibile dialogare coi dipendenti, magari riducendo l’orario o utilizzando ammortizzatori sociali (cassa integrazione se prevista per quel settore e dimensione) piuttosto che accumulare mensilità non pagate. D’altro canto, in un contesto di decozione irreversibile, i dipendenti stessi probabilmente cercheranno altre opportunità e le pretese salariali insoddisfatte finiranno per confluire (come crediti privilegiati) in un eventuale concordato preventivo o fallimento.
Forma giuridica dell’impresa e responsabilità per i debiti
Il punto di vista del debitore cambia significativamente a seconda di come è strutturata la sua attività dal punto di vista giuridico. Un “negozio di casalinghi” infatti può essere gestito come ditta individuale, oppure tramite una società (sia essa di persone – ad esempio una SNC o una SAS – o di capitali come una SRL). La forma giuridica determina chi è legalmente obbligato verso i creditori e con quali beni, nonché quali procedure concorsuali si applicano in caso di insolvenza. Di seguito esamineremo le caratteristiche principali:
- Nelle ditte individuali l’imprenditore è la stessa persona fisica che esercita l’attività, senza separazione patrimoniale: ciò comporta la responsabilità illimitata sui debiti (art. 2740 c.c.) e alcune conseguenze rilevanti in caso di cessazione o insolvenza.
- Nelle società di persone (S.n.c., S.a.s., società di fatto) esiste un patrimonio sociale distinto ma i soci (illimitatamente responsabili) rispondono comunque con i propri beni, sebbene con alcuni benefìci di escussione.
- Nelle società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.r.l.s.) vige la regola opposta: la società è una persona giuridica autonoma, dotata di patrimonio proprio, e i soci non rispondono delle obbligazioni sociali se non nei limiti del capitale conferito. Ciò offre protezione ai beni personali dei soci, ma con eccezioni importanti (come garanzie personali prestate, o responsabilità per mala gestio).
Vediamo più in dettaglio questi aspetti, anche in rapporto alle procedure di insolvenza applicabili (fallimento, concordato, sovraindebitamento).
Impresa individuale (ditta individuale)
La ditta individuale è la forma più semplice e comune per i piccoli negozi. Giuridicamente non c’è separazione tra la persona dell’imprenditore e l’azienda: i debiti contratti per l’attività gravano direttamente sulla persona fisica titolare, la quale risponde con tutto il proprio patrimonio personale presente e futuro (salvo limitazioni legali) . Questo principio, sancito dall’art. 2740 c.c., implica che anche dopo la cessazione dell’attività l’ex imprenditore resta obbligato per i debiti sorti durante l’esercizio. La chiusura della partita IVA e la cancellazione dal Registro Imprese sono meri atti amministrativi e non estinguono affatto i debiti aziendali pregressi . In altri termini, il creditore potrà agire esecutivamente sui beni personali del titolare anche anni dopo la chiusura, purché il debito non sia prescritto. Ad esempio, se Tizio cessa la propria ditta individuale “Casalinghi Tizio” nel 2025 con debiti verso una banca e alcuni fornitori, nel 2026 o 2027 (o oltre) quei creditori potranno comunque notificargli atti di precetto e pignorargli l’auto o la casa, poiché Tizio rimane il debitore in senso civile.
La responsabilità illimitata rende dunque permanente il rischio patrimoniale. Questo influisce anche sulla pianificazione patrimoniale personale: ad esempio l’imprenditore individuale che abbia beni immobili potrebbe valutare strumenti come il fondo patrimoniale o il trust per tutelarli, ma come vedremo più avanti tali strumenti offrono una protezione limitata di fronte ai debiti di impresa contratti per scopi non familiari (il fondo patrimoniale, in particolare, protegge solo dai debiti estranei ai bisogni familiari, onere di prova sul debitore ).
Va detto che la legge esclude dall’applicazione del fallimento (ora liquidazione giudiziale) i piccoli imprenditori: chi nei tre esercizi precedenti ha avuto un attivo patrimoniale non superiore a €300.000, ricavi lordi annui non oltre €200.000 e debiti non oltre €500.000, non è soggetto a fallimento (art. 1 L.Fall, ripreso dall’art. 2, c.1, lett. d) Codice della Crisi) . Molte ditte individuali rientrano in queste soglie e pertanto, se insolventi, non possono essere dichiarate fallite su istanza dei creditori. Attenzione: ciò non significa che i debiti svaniscano, ma solo che si dovranno gestire con strumenti diversi dal fallimento (ad esempio le procedure di sovraindebitamento ex L.3/2012, di cui infra). Tuttavia, se la ditta individuale supera anche solo uno dei parametri sopra, diventa fallibile. In tal caso l’imprenditore può essere trascinato in liquidazione giudiziale se insolvente. Dunque, un negozio anche piccolo ma con debiti oltre mezzo milione potrebbe in teoria essere dichiarato fallito su iniziativa di un creditore. È bene saperlo perché in tal scenario è preferibile che l’imprenditore si muova proattivamente (es. presentando un concordato preventivo o accordo) piuttosto che subire passivamente il fallimento.
Cosa accade se una ditta individuale fallisce? Formalmente, verrà dichiarato in liquidazione l’intero patrimonio dell’imprenditore (poiché non c’è distinzione con quello aziendale), e il titolare stesso sarà soggetto a procedure come l’esdebitazione a fine procedura (in qualità di debitore civile). Di fatto, la liquidazione giudiziale di un imprenditore individuale coincide con il suo fallimento personale: tutti i beni (non coperti da regimi di impignorabilità) saranno venduti dal curatore per pagare i creditori . Questo è ovviamente l’esito più drastico, che si cerca di evitare ricorrendo a strumenti meno traumatici come il concordato preventivo (se l’attività è ancora viable) o, per i non fallibili, le procedure di sovraindebitamento.
È anche possibile che l’imprenditore cessi l’attività con debiti ma non sia né fallito né abbia attivato procedure. In tal caso, tecnicamente rimane un debitore “semplice” a disposizione dei creditori. Se però non possiede beni, di fatto i creditori non potranno recuperare nulla: un imprenditore nullatenente non rischia escussioni (non si può cavare sangue da una rapa), anche se resta segnalato e i debiti permangono indefinitamente (trasmissibili anche agli eredi, salvo rinuncia all’eredità) . Ciò significa che, in assenza di patrimonio aggredibile, può trovarsi in una sorta di limbo: nessun esecutore busserà alla sua porta finché è nullatenente, ma la situazione muterà se in futuro acquisterà dei beni o otterrà redditi: allora i vecchi creditori potranno subito rivalersi. Per evitare questa spada di Damocle, la legge oggi offre l’istituto dell’esdebitazione del debitore incapiente (nel Codice della Crisi): il nullatenente onesto può chiedere al tribunale di cancellare i propri debiti residui senza offrire nulla ai creditori, a patto di meritare il beneficio (nessuna frode, nessuna violazione degli obblighi di collaborazione) . Si tratta di una novità di grande rilievo per chi, come un ex imprenditore individuale, chiude bottega sommerso dai debiti e senza più nulla: una volta nella vita può ottenere il “fresh start” liberatorio, come vedremo in dettaglio più avanti.
Un’ultima notazione: nella ditta individuale non c’è distinzione tra debiti “dell’impresa” e debiti “personali” – sono tutti debiti della stessa persona. Questo può creare confusione ad esempio nei rapporti di famiglia: alcuni imprenditori sposati mettono beni in fondo patrimoniale sperando di salvarli dai creditori aziendali. Ma la Cassazione ha chiarito (sent. 32146/2024) che grava sul debitore l’onere di provare che il creditore conosceva la natura estranea all’attività familiare del debito, per opporre il fondo patrimoniale . In pratica, un debito contratto per l’attività imprenditoriale si presume estraneo ai bisogni familiari (essendo legato all’impresa), però perché il vincolo del fondo operi occorre dimostrare che il creditore lo sapeva. Le banche e fornitori solitamente lo sanno (es. una banca che finanzia la ditta sa che è per scopi d’impresa), ma la giurisprudenza recente tende comunque a non dare per scontata l’impignorabilità, specie se i redditi d’impresa venivano usati anche per la famiglia. In sostanza, il fondo patrimoniale offre una protezione relativa, che spesso non regge di fronte ai creditori dell’imprenditore individuale . Analoghe cautele valgono per altri espedienti: ad es., vendere beni a parenti o donarli per sottrarli ai creditori è operazione facilmente attaccabile con azione revocatoria (art. 2901 c.c.) entro 5 anni , specie se fatta quando i debiti già incombono.
Tabella – Differenze di responsabilità per forma giuridica dell’impresa
| Forma giuridica | Patrimonio separato? | Responsabilità verso i debiti | Procedure concorsuali applicabili |
|---|---|---|---|
| Ditta individuale | No (coincide con la persona fisica) | Illimitata su tutti i beni presenti e futuri del titolare (art. 2740 c.c.) . Nessuna autonomia patrimoniale: i creditori possono aggredire beni aziendali e personali. | Sovraindebitamento (piano del consumatore, accordo o liquidazione controllata) se “piccolo imprenditore” sotto soglie . Liquidazione giudiziale (fallimento) possibile se supera le soglie di non fallibilità. Concordato preventivo possibile se fallibile. |
| Società di persone <br> (S.n.c., S.a.s.) | Sì, c’è patrimonio sociale distinto da quello dei soci. | Illimitata per i soci: i soci di S.n.c. e i soci accomandatari di S.a.s. rispondono con beni personali di tutte le obbligazioni sociali (art. 2267 c.c.). Tuttavia, vige il beneficio di escussione: i creditori devono escutere prima la società e poi i soci (art. 2304 c.c.). I soci accomandanti di S.a.s. invece hanno responsabilità limitata alla quota conferita (se non ingeriscono nella gestione). | La società è soggetta a fallimento/liquidazione giudiziale se supera le soglie (le soglie si valutano sul complesso aziendale). In caso di fallimento della S.n.c., falliscono di diritto anche i soci illimitatamente responsabili. Strumenti di concordato preventivo disponibili per la società. Se sotto soglie, società e soci possono accedere alle procedure di sovraindebitamento (dibattuto per società di persone, ma in genere società “non fallibile” può usare concordato minore ex CCII). |
| Società di capitali <br> (S.r.l., S.p.A., S.r.l.s.) | Sì, piena autonomia patrimoniale: la società è persona giuridica distinta dai soci. | Limitata al capitale per i soci: i creditori sociali possono soddisfarsi solo sul patrimonio della società (art. 2462 c.c. per S.r.l.). I soci non rischiano i propri beni salvo impegni specifici (fideiussioni, finanziamenti postergati, etc.) o casi di abuso di personalità giuridica. Gli amministratori possono rispondere verso la società o i creditori per condotte illecite (azione di responsabilità, art. 2476 c.c.). | Sempre fallibile (non esistono soglie di non fallibilità per le società di capitali, anche micro SRL seguono disciplina concorsuale ordinaria). Quindi in insolvenza: concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, o liquidazione giudiziale (fallimento). I soci non falliscono (a meno di garanzie escusse), la società sì. Non ammesse alle procedure di sovraindebitamento (riservate a non fallibili). |
Società di persone (S.n.c. e S.a.s.)
Le società di persone rappresentano una forma intermedia: c’è un ente distinto dai soci, con proprio patrimonio e propria ragione sociale, ma i soci (esclusi gli accomandanti nella S.a.s.) conservano una responsabilità illimitata e solidale per i debiti sociali. Ad esempio, in una S.n.c. (Società in nome collettivo) tutti i soci rispondono dei debiti della società con i propri beni personali, in solido tra loro (cioè il creditore può rivolgersi a qualsiasi socio per l’intero). L’unico vantaggio per il socio è il cosiddetto beneficio di escussione previsto dall’art. 2304 c.c.: il creditore deve prima tentare di soddisfarsi sul patrimonio della società e solo se questo risulta insufficiente può rivalersi sui soci. In pratica, però, se la società è insolvente, i soci diventano bersagli naturali. Nella S.a.s. (Società in accomandita semplice) esistono due categorie di soci: gli accomandatari, che gestiscono e hanno responsabilità illimitata come i soci di S.n.c., e gli accomandanti, che sono meri finanziatori esclusi dall’amministrazione e la cui responsabilità è limitata al capitale conferito. Un accomandante che di fatto immischiandosi nella gestione perde la limitazione e risponde illimitatamente.
Per i creditori, avere di fronte una società di persone significa avere più debitori su cui rivalersi: la società + i soci illimitatamente responsabili (e eventuali garanti). Dal punto di vista del debitore, essere socio illimitatamente responsabile equivale quasi a essere una ditta individuale in termini di rischio patrimoniale (si risponde con tutto), con l’unica differenza che il patrimonio sociale fa da primo filtro. Ma se la società non paga, il socio dovrà pagare. Non a caso, in caso di fallimento di una S.n.c., la legge impone la dichiarazione di fallimento anche di tutti i soci illimitatamente responsabili (art. 147 L.Fall), proprio perché i creditori hanno diritto a rivalersi anche su di essi. Quindi il socio di S.n.c. non evita il fallimento personale solo per aver “messo su società” anziché ditta individuale. Questo è un fattore da considerare: mettersi in società di persone non protegge il patrimonio personale (a differenza delle società di capitali).
Sul fronte procedure concorsuali, le società di persone, se superano i limiti di fallibilità, sono soggette a fallimento e concordato come le imprese maggiori. Se invece la società è sotto soglia, dottrina e prassi suggeriscono che possa accedere alle procedure di sovraindebitamento (il Codice della Crisi parla di “debitore non soggetto a liquidazione giudiziale”, nozione che ricomprende anche enti collettivi non fallibili). Ad esempio, una S.n.c. familiare con debiti modesti potrebbe tentare un concordato minore (ex accordo di composizione) al posto del fallimento. I soci illimitati, essendo co-obbligati, verrebbero anch’essi coinvolti nella procedura per la parte di debito non soddisfatta dal patrimonio sociale.
Un cenno va fatto alla società di fatto o impresa familiare: talvolta piccoli negozi sono gestiti in modo informale da più familiari senza costituire formalmente una società. In caso di debiti, i creditori potrebbero dimostrare l’esistenza di una società di fatto tra i familiari e chiedere di escutere anche il coniuge o i figli coinvolti nell’attività (soci occulti). Sono situazioni delicate, in cui il punto chiave è la prova dell’“affectio societatis” e partecipazione agli utili. Dal lato difensivo, chi si trova coinvolto in queste situazioni può contestare la qualità di socio se non corrisponde al vero, oppure regolarizzare l’attività in forme giuridiche definite per circoscrivere le responsabilità.
Riassumendo, se il negozio di casalinghi è gestito in forma di società di persone, i debiti sociali possono colpire anche il patrimonio personale dei soci (esclusi accomandanti). La difesa del socio illimitatamente responsabile in sostanza coincide con la difesa della società stessa: bisogna far in modo che la società onori i debiti o li ristrutturi, altrimenti si pagherà di tasca propria. Non c’è scudo, se non quello temporaneo del beneficio di escussione (che però decade se la società è manifestamente insolvente o chiusa). Inoltre, ogni atto dispositivo del socio (alienare beni personali) quando i debiti incombono può essere sospettato di frode e revocato. Quindi la gestione del rischio per un socio consiste nel mantenere il controllo della situazione finanziaria societaria ed eventualmente nel ricorrere anche qui a procedure concorsuali per gestire globalmente l’indebitamento.
Società di capitali (S.r.l., S.p.A.)
Le società di capitali offrono per loro natura il beneficio della separazione patrimoniale: la società è un soggetto giuridico a sé, dotato di capitale proprio, e risponde verso i creditori solo con il proprio patrimonio. I soci di una S.r.l. o S.p.A. sono di regola esenti da responsabilità per i debiti sociali (c.d. responsabilità limitata), salvo l’obbligo di versare i conferimenti sottoscritti. Questo è un forte incentivo per imprenditori ad operare tramite S.r.l. anziché come ditte individuali, proprio per proteggere la casa e gli altri beni personali dal rischio d’impresa. Tuttavia, nella pratica delle piccole S.r.l., tale protezione spesso si riduce a causa di vari fattori:
- Garanzie personali dei soci/amministratori: come già accennato, banche e fornitori importanti spesso chiedono ai soci o agli amministratori garanzie personali (fideiussioni, avalli, pegni su quote) per concedere credito alla S.r.l. Dunque, se la società non paga, i creditori escuteranno la garanzia colpendo il patrimonio personale del garante, vanificando la limitazione di responsabilità.
- Responsabilità dell’amministratore: i dirigenti delle società di capitali hanno obblighi precisi di legge. In caso di dissesto, se emergono atti di mala gestio (es. distrazione di beni sociali, pagamenti preferenziali a taluni creditori a scapito di altri poco prima del fallimento, violazioni dei doveri di conservazione del patrimonio), l’amministratore può essere chiamato a rispondere dei danni verso la società o direttamente verso i creditori. Ad esempio, se un amministratore aggrava dolosamente il dissesto pagando solo se stesso o i familiari, il curatore fallimentare potrà promuovere un’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. per far entrare nel patrimonio sociale le somme mal gestite . Anche i soci potrebbero eccezionalmente rispondere se hanno abusato della società come schermo (in giurisprudenza si parla di “piercing the corporate veil” in casi di confusione patrimoniale, sottocapitalizzazione fraudolenta, utilizzo della società per commettere illeciti, etc.).
- Obblighi di capitale: se una S.r.l. perde capitale oltre certo limite deve ricapitalizzare o sciogliersi (art. 2482-bis c.c.). I soci possono dover immettere fondi o perdere la società. Questo non è una responsabilità verso creditori, ma incide sulla prosecuzione dell’attività. Se i soci non ricapitalizzano e lasciano aggravare la situazione, rischiano conseguenze in sede fallimentare (accuse di bancarotta preferenziale o semplice).
Dal punto di vista del debitore-società, il vantaggio è che i creditori non possono pignorare i beni dei soci per debiti sociali (a meno di garanzie): quindi ad esempio i risparmi personali del titolare-socio non sono attaccabili per un debito del negozio se esso è gestito da una S.r.l., mentre lo sarebbero in ditta individuale. I creditori potranno semmai attaccare le quote societarie dei soci (pignoramento di quote), ma questo dà loro solo il diritto a utili eventuali o alla liquidazione, non il pagamento diretto del credito. Pertanto, sul piano individuale il socio di S.r.l. è più al riparo. Il rovescio della medaglia è che se la società non paga i debiti, può incorrere in procedure concorsuali (concordato o fallimento) con perdita del controllo per i soci e spesso azzeramento dell’investimento.
Le società di capitali sono sempre soggette a fallimento in caso d’insolvenza, indipendentemente dalla dimensione (la norma delle soglie di non fallibilità non si applica alle S.r.l./S.p.A., interpretazione comune) . In realtà il Codice della Crisi non distingue espressamente per forma giuridica nelle soglie, ma di fatto qualsiasi società esercente attività commerciale è potenzialmente fallibile, perché anche se di piccole dimensioni formalmente rientra nella categoria di imprenditore commerciale. In pratica, però, micro-S.r.l. con attivo e fatturato minimi potrebbero cercare di eccepire la non fallibilità se rientrano nei parametri – la questione non è di immediata definizione, ma generalmente l’intento del legislatore era esonerare solo i piccoli imprenditori individuali o collettivi di persone, non le società di capitali che per definizione dovrebbero avere mezzi adeguati. Sta di fatto che al primo segnale di insolvenza, una S.r.l. deve considerare gli strumenti predisposti per le imprese: concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati o la composizione negoziata della crisi (introdotta dal 2021) per evitare di arrivare al fallimento puro e semplice. Se poi il fallimento (liquidazione giudiziale) avviene, i soci perderanno l’azienda e le eventuali somme a loro credito verso la società verranno soddisfatte per ultime (essendo soci). Potranno tuttavia costituirne un’altra e ripartire – non vi è una preclusione permanente, salvo le interdizioni temporanee per i casi di bancarotta fraudolenta o inibizioni a ricoprire cariche se deliberate (oggi il Codice della Crisi prevede che dopo la chiusura della liquidazione giudiziale vi sia la riabilitazione automatica, e addirittura in costanza di procedura i soci non falliti possono avviare nuove attività).
In conclusione, la S.r.l. limita la responsabilità dei soci ma non elimina i debiti: semplicemente sposta l’attenzione sul patrimonio sociale. Da debitore società, “difendersi” dai creditori significa attivare tutti i meccanismi interni (ricapitalizzazioni, finanziamenti soci, vendita di asset non strategici) per pagare o ridurre l’esposizione, oppure ricorrere tempestivamente a soluzioni come accordi con i creditori o procedure concorsuali che consentano la continuazione o la liquidazione ordinata dell’attività. I soci, dal canto loro, devono stare attenti a non mescolare i conti personali con quelli sociali e a non compiere atti che possano essere qualificati come distrattivi o preferenziali, perché in tal caso rischiano conseguenze (azioni di responsabilità o anche sanzioni penali in sede fallimentare).
Azioni legali dei creditori: come difendersi
Passiamo ora ad esaminare le principali azioni esecutive e legali che i creditori possono intraprendere per recuperare i loro crediti, e quali strumenti di difesa la legge mette a disposizione del debitore. In questa sezione, faremo riferimento soprattutto alla posizione personale del debitore, sia esso l’imprenditore individuale o il socio garante, dato che per le società di capitali l’azione ricade sul patrimonio sociale. Comprendere il meccanismo dell’esecuzione forzata è essenziale per attuare contromisure efficaci.
Le tappe classiche che un creditore segue (se non si raggiunge prima un accordo) sono: messa in mora, procedimento monitorio (decreto ingiuntivo), ottenimento di un titolo esecutivo, precetto e infine pignoramento ed esecuzione forzata sui beni del debitore. Analizziamole singolarmente dal punto di vista del debitore.
Lettere di sollecito e costituzione in mora
Prima di andare in giudizio, la maggior parte dei creditori invia al debitore uno o più solleciti di pagamento. Possono essere semplici comunicazioni via lettera o PEC, oppure diffide legali inviate dall’avvocato (spesso intimando il pagamento entro un termine breve, ad es. 7 giorni, “pena il ricorso alle vie giudiziarie”). Queste comunicazioni non vanno ignorate: costituiscono la “messa in mora” formale del debitore (ai sensi dell’art. 1219 c.c.), dalla quale iniziano a decorrere eventualmente gli interessi moratori legali o contrattuali. Inoltre interrompono la prescrizione del credito, mantenendolo esigibile anche oltre i termini ordinari. È buona prassi, quando si riceve una diffida, rispondere – seppur per prendere tempo – manifestando magari la volontà di pagare e chiedendo una dilazione. Tale risposta non implica un formale riconoscimento del debito (a meno di ammissioni esplicite), ma può contribuire ad instaurare un dialogo e evitare l’immediato ricorso al giudice. Se il debitore ha validi motivi per contestare il credito (ad es. contestazione di lavori fatti male, merce difettosa, fattura già pagata parzialmente, ecc.), è opportuno rispondere per iscritto punto per punto, eventualmente con l’assistenza di un legale, esponendo le ragioni. Una diffida ben argomentata del debitore può indurre il creditore a riflettere prima di agire o a proporre soluzioni transattive.
Ovviamente, se la situazione è tale per cui il debitore riconosce il debito ma non può pagare in unica soluzione, il momento della messa in mora è quello giusto per proporre un piano: ad esempio, offrire alcune migliaia di euro subito e il resto a rate, oppure offrire un importo ridotto a saldo se il creditore rinuncia al resto. Spesso i creditori professionali (banche, finanziarie, recuperatori) attendono proprio una reazione del debitore per capire se c’è margine di recupero senza andare in giudizio. Un silenzio assoluto, al contrario, viene interpretato come atteggiamento non collaborativo e può velocizzare l’azione legale.
Decreto ingiuntivo e opposizione
Quando il creditore ritiene di avere prove scritte del credito e non riceve soddisfazione spontanea, può presentare ricorso per decreto ingiuntivo al giudice competente. Il decreto ingiuntivo (o ingiunzione di pagamento) è stato già descritto in precedenza in relazione ai debiti verso fornitori e banche. Qui ne riepiloghiamo gli aspetti generali e le strategie difensive.
- Il decreto ingiuntivo viene emesso inaudita altera parte (senza convocare il debitore) sulla base dei documenti forniti dal creditore. Tipici esempi: estratto notarile delle scritture contabili per banche, fatture con timbro di ricezione per fornitori, contratto firmato per affitti o leasing, assegno impagato, ecc. Il giudice verifica che il credito appaia certo, liquido ed esigibile e firma il decreto.
- Una volta notificato, il decreto ingiuntivo impone al debitore di pagare entro 40 giorni (o il termine diverso indicato, ad es. 10 giorni se provvisoriamente esecutivo) oppure di proporre opposizione entro lo stesso termine. Se non viene proposta opposizione nei termini, il decreto diviene definitivo e non più contestabile, equiparabile a una sentenza passata in giudicato.
- Opporsi al decreto ingiuntivo: consiste nel citare in giudizio il creditore davanti al tribunale che ha emesso il decreto, esponendo le proprie difese. L’opposizione trasforma il procedimento in un giudizio ordinario di primo grado, in cui il creditore diventa attore sostanziale (deve provare il suo credito) e l’opponente è convenuto. Nel giudizio di opposizione, il debitore può far valere tutte le eccezioni di merito (es.: “il bene fornito era viziato, quindi nulla è dovuto” oppure “ho già pagato parzialmente, il credito è solo X euro” oppure “il tasso applicato era usurario”) e di forma (es.: nullità della notifica, incompetenza territoriale, ecc.).
- Effetto sospensivo: l’opposizione non sospende automaticamente l’efficacia esecutiva del decreto. Se il decreto non era provvisoriamente esecutivo, comunque il creditore deve attendere 40 giorni prima di poter procedere (e se l’opposizione viene notificata nel frattempo, la procedura esecutiva eventualmente iniziata sarebbe prematura). Ma se il decreto è provvisoriamente esecutivo, il creditore può procedere subito al pignoramento, anche durante i 40 giorni, a meno che il debitore non ottenga una sospensione dal giudice. Ex art. 649 c.p.c., il giudice dell’opposizione può sospendere l’esecutività del decreto se ricorrono gravi motivi. Ad esempio, se il debitore opposto presenta prove solide (come quietanze di pagamento) o vi è un evidente errore nel decreto, si può ottenere la sospensione, bloccando temporaneamente i pignoramenti fino all’esito del giudizio. Questa richiesta di sospensione va fatta con l’opposizione o con istanza separata prima che inizi l’esecuzione.
- Opposizione tardiva: se il decreto non è stato notificato regolarmente (notifica nulla o viziata) e il debitore ne viene a conoscenza solo più tardi, l’art. 650 c.p.c. consente di fare opposizione anche dopo i 40 giorni, purché entro 10 giorni dalla prima azione esecutiva utile. Inoltre, come visto, se la notifica iniziale era nulla e il creditore la rinnova in una data successiva, i 40 giorni decorrono dalla nuova notifica . In pratica, la legge cerca di evitare che un debitore perda ogni difesa per problemi di notifica non imputabili a lui. Fuori da questi casi, tuttavia, un’opposizione proposta in ritardo sarà dichiarata inammissibile.
Per un debitore, dunque, la difesa fondamentale è monitorare con attenzione le notifiche che arrivano: spesso i decreti ingiuntivi vengono notificati tramite ufficiale giudiziario o PEC. Ignorarli è letale; reagire è possibile e doveroso se ci sono elementi.
Nel predisporre l’opposizione, è importante sollevare tutte le contestazioni sin da subito (principio di concentrazione delle difese), e presentare subito i documenti a supporto. Ad esempio, nel caso di contestazione di lavori fatti male, allegare perizie; nel caso di eccepita prescrizione, indicare le date pertinenti; nel caso di usura bancaria, depositare i conteggi. Una volta instaurato il giudizio di opposizione, i tempi si dilatano (possono volerci mesi o anni per una sentenza definitiva), il che può essere un vantaggio per il debitore se nel frattempo riesce magari a trovare un accordo col creditore. Molte opposizioni a decreto ingiuntivo si risolvono con transazioni prima della sentenza: è un aspetto tattico da considerare.
Naturalmente, fare opposizione solo per prendere tempo senza reali motivi può essere rischioso: se si tratta di un mero tentativo dilatorio, il giudice potrebbe concedere comunque la provvisoria esecuzione del decreto durante la causa (ex art. 648 c.p.c., se l’opposizione non ha fondamento, su istanza del creditore). Inoltre, a fine giudizio, il debitore soccombente dovrà pagare le spese legali maggiorate. Quindi bisogna valutare caso per caso la convenienza. Se il debito è indiscutibile, forse è meglio impiegare i 40 giorni per negoziare piuttosto che fare una causa persa. Se però c’è incertezza sul credito o spiragli di contestazione, l’opposizione è un diritto sacrosanto per il debitore.
Atto di precetto
Superata la fase monitoria (decreto ingiuntivo non opposto, o sentenza ottenuta, o altro titolo esecutivo), il creditore in possesso di un titolo esecutivo deve, prima di procedere al pignoramento, notificare al debitore un atto di precetto. Il precetto è un’intimazione formale di pagamento entro un termine non minore di 10 giorni (art. 480 c.p.c.), indicando il titolo in base al quale si agisce e avvertendo che in difetto si procederà ad esecuzione forzata. In pratica è l’ultimo avviso, questa volta già in fase esecutiva.
Dal punto di vista del debitore, ricevere un precetto è un segnale di allarme rosso: significa che il creditore è pronto a pignorare. Cosa fare quando arriva un precetto? Ci sono diverse opzioni:
- Pagare quanto dovuto entro i 10 giorni (o chiedere un brevissimo rinvio per pagare). Se il debitore ha nel frattempo reperito le risorse, pagando integralmente (comprensivo di interessi e spese legali indicate nel precetto) si chiude la vicenda ed evita l’esecuzione.
- Ignorare il precetto senza pagare: allo scadere dei 10 giorni il creditore potrà legittimamente incaricare l’ufficiale giudiziario di procedere con il pignoramento. Questa non è una scelta saggia se si hanno beni facilmente aggredibili, a meno che il debitore non sia nullatenente o disposto a subire il pignoramento.
- Opposizione: se il debitore ritiene che qualcosa nel precetto non vada (ad esempio, perché il titolo è invalidato, o perché l’importo precettato è errato, o perché il diritto di procedere è estinto per fatti sopravvenuti), può proporre una opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi. L’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) mira a contestare il diritto del creditore di eseguire, ad esempio sostenendo che il debito è già stato pagato, oppure che il titolo (es. il decreto ingiuntivo) è stato annullato in appello, o ancora che il credito è prescritto dopo il titolo. Questa opposizione, se proposta prima che inizi l’esecuzione (cioè dopo precetto ma prima di pignoramento), va fatta con atto di citazione al tribunale competente, e si può chiedere al giudice la sospensione della possibilità di procedere. Se invece viene proposta dopo l’inizio dell’esecuzione, diventa un’opposizione all’esecuzione in corso, con rito diverso. L’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) contesta invece vizi formali degli atti: ad esempio, il precetto è nullo perché manca la indicazione delle parti, o il titolo notificato è incompleto, o la notifica è invalida, ecc. Questa va proposta entro 20 giorni dalla notificazione dell’atto viziato. In entrambi i casi, proporre opposizione può far guadagnare tempo, ma bisogna avere dei motivi seri, altrimenti il giudice rigetterà l’istanza e l’esecuzione proseguirà. Ad esempio, non si può con opposizione rimettere in discussione il merito del credito già cristallizzato nel titolo (salvo eventi nuovi come un pagamento intervenuto, o compensazione con altro credito certo).
- Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): se il precetto è stato ignorato e l’esecuzione è partita con un pignoramento, il debitore ha ancora un’ultima carta per evitare la vendita forzata: può chiedere di convertire il pignoramento versando subito una somma almeno pari a 1/5 del debito precettato e delle spese, e ottenendo dal giudice la facoltà di pagare il restante in rate mensili fino a un massimo di 18 mesi (salvo eccezioni in cui si può arrivare a 36 mesi, secondo le riforme introdotte). In tal modo, il debitore evita la vendita all’asta dei propri beni pignorati, sostituendola col pagamento dilazionato della somma dovuta . Questa procedura richiede comunque di avere liquidità almeno per coprire il 20% iniziale, e comporta costi (viene costituito un deposito in tribunale, e se non si pagano le rate si perde il beneficio e riprende l’esecuzione).
In sintesi, l’atto di precetto è l’ultimo campanello prima del pignoramento. Se il debitore può evitare l’esecuzione, è il momento di farlo (pagando o accordandosi). Se non può, deve prepararsi a reagire durante il pignoramento stesso.
Pignoramento ed esecuzioni forzate
Trascorso il termine del precetto senza pagamento, il creditore può attivare il pignoramento, ossia il primo atto dell’esecuzione forzata. Il pignoramento è l’atto con cui si assoggettano determinati beni del debitore all’autorità del tribunale, in vista della liquidazione forzata per soddisfare i crediti. Esistono vari tipi di pignoramento, a seconda della natura dei beni aggrediti:
- Pignoramento mobiliare presso il debitore: l’ufficiale giudiziario si reca presso la sede del negozio o l’abitazione del debitore e individua beni mobili pignorabili (merce, attrezzature, arredi, veicoli, denaro contante, ecc.). Redige un verbale in cui descrive i beni pignorati, che da quel momento non possono più essere alienati o spostati dal debitore (pena sanzioni anche penali per sottrazione di beni pignorati). I beni normalmente restano in custodia al debitore o a un custode nominato, in attesa della vendita all’asta. Nella pratica, per i piccoli negozi, il pignoramento mobiliare spesso dà esito limitato: molti beni usati hanno scarso valore di realizzo all’asta, e vi sono beni impignorabili per legge (art. 514 c.p.c. – ad esempio letti, frigorifero e beni indispensabili per la vita familiare, abiti, ecc., e gli strumenti di lavoro indispensabili fino a un certo valore). La legge infatti tutela in parte il “minimo vitale” e la capacità lavorativa: ad esempio macchinari e attrezzi necessari per l’attività del debitore possono essere pignorati solo entro certi limiti (non tutti, e preferibilmente se il loro valore eccede quello necessario alla sopravvivenza dell’impresa). In un negozio di casalinghi, i mobili espositori e la merce possono essere pignorati, ma se il loro valore è basso rispetto al credito, spesso il creditore preferisce altre forme di pignoramento più fruttuose.
- Pignoramento immobiliare: colpisce beni immobili di proprietà del debitore (o quote di essi). Il creditore deposita un’istanza di pignoramento immobiliare e notifica al debitore e al conservatore dei registri immobiliari l’atto di pignoramento. Ciò vincola l’immobile (casa, negozio, terreno) a favore della procedura esecutiva. Segue la fase di vendita: un perito stima il valore, si pubblica l’avviso d’asta, ecc. Il debitore nella procedura può cercare di vendere privatamente l’immobile prima dell’asta (richiedendo l’autorizzazione a presentare un acquirente: “vendita delegata”), oppure può chiedere la sospensione se ci sono trattative in corso, ma serve l’accordo del creditore. Il pignoramento immobiliare è molto incisivo: la prima casa del debitore privato può essere pignorata da banche o altri creditori privati senza limiti (sebbene spesso le banche preferiscano avere un’ipoteca; un creditore chirografario può pignorare un immobile ma, se esistono ipoteche pregresse, dovrà soddisfare prima quelle). Come accennato, solo il Fisco ha dei vincoli: l’Agente della riscossione non può pignorare l’abitazione principale se il debitore ha un solo immobile non di lusso e vi risiede (art. 76 DPR 602/1973), e comunque per altri immobili deve attendere che il debito fiscale superi €120.000 e sono passati 6 mesi dall’iscrizione di ipoteca senza pagamento. Queste tutele però non valgono per i creditori ordinari.
- Pignoramento presso terzi: è la forma di esecuzione rivolta ai crediti del debitore verso altri soggetti o ai beni del debitore in possesso di terzi. L’esempio più comune è il pignoramento del conto corrente: il creditore notifica un atto al debitore e alla banca (terzo) in cui intima alla banca di non disporre delle somme del debitore fino a concorrenza del credito. La banca “blocca” immediatamente il conto per l’importo richiesto (se disponibile). Poi il giudice dell’esecuzione, in un’udienza successiva, assegnerà le somme pignorate al creditore . Un’altra forma diffusa è il pignoramento dello stipendio o pensione (se il debitore ha un altro lavoro o una pensione): si notifica l’atto al datore di lavoro o ente pensionistico, e d’ora in poi una quota della retribuzione (di regola un quinto massimo, 20%) verrà accantonata ogni mese a favore del creditore. Oppure, nel caso di un negozio che vanta crediti verso clienti o verso carte di credito, il creditore potrebbe pignorare quei crediti (ad esempio presso un marketplace, presso un servizio di pagamento). Il pignoramento presso terzi è spesso molto efficace perché intercetta direttamente liquidità o flussi di denaro. Dal lato del debitore, difendersi qui significa essenzialmente monitorare i conti e considerare di tenerli meno capienti. Da notare che dal 2021 circa è in vigore una norma che tutela i depositi di somme da stipendio/pensione: se il conto del debitore contiene solo accrediti da stipendio/pensione, la parte già depositata al momento del pignoramento è pignorabile solo per il residuo eccedente il triplo dell’assegno sociale (circa €1.500); le somme accreditate successivamente invece sono pignorate nella misura di 1/5 man mano (art. 545 c.p.c. modificato). Ciò per garantire al debitore almeno i mezzi di sostentamento di un mese. Questa tutela però non si applica ai conti aziendali di una società, ma solo a persone fisiche.
- Altre forme particolari: esiste il pignoramento di autoveicoli, navi, aeromobili che segue regole in parte proprie (es. l’ufficiale pignora il veicolo e ne fa annotare il pignoramento al PRA). Nel caso di un negoziante, un’auto di proprietà può essere pignorata come bene mobile registrato. Inoltre, se il debitore è una società, i creditori possono pignorare le sue quote societarie o azioni, oppure i brevetti e marchi registrati, e così via, con procedure dedicate.
Di fronte a un pignoramento in atto, il debitore ha alcune strade di difesa residuali:
- Come detto, può opporre il pignoramento (se viziato) entro 20 giorni, o opporsi all’esecuzione sostenendo che il credito non esiste/più esiste.
- Può chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione (ex art. 624 c.p.c.) se ha proposto opposizione e ci sono gravi motivi.
- Può cercare di ridurre l’oggetto del pignoramento: ad esempio, se l’ufficiale giudiziario ha pignorato beni di valore sproporzionato rispetto al credito, il debitore può istanza di riduzione (art. 496 c.p.c.). Oppure se sono stati pignorati beni impignorabili (es. arredi di casa indispensabili), può fare ricorso al giudice per farli liberare.
- Come già detto, può attivare la conversione del pignoramento depositando somme a garanzia e rateizzando.
- Può sempre cercare un accordo last-minute col creditore: spesso le esecuzioni immobiliari si concludono in modo soddisfacente per entrambi se il debitore trova un acquirente per l’immobile che paga un prezzo adeguato (magari superiore a quello d’asta), permettendo di saldare il creditore. In tal caso il creditore può rinunciare al pignoramento una volta pagato e la vendita avviene liberamente. Anche in un pignoramento mobiliare, se il debitore raccoglie i fondi può convincere il creditore a desistere (in cambio di pagamento). Finché i beni non sono aggiudicati all’asta, il debitore mantiene la proprietà e può disporne col consenso del giudice e dei creditori.
Un caso particolare di difesa è quando il debitore non possiede nulla di valore: se un pignoramento mobiliare risulta negativo (ufficiale attesta “nulla da pignorare” perché il debitore non ha beni utili), spesso il creditore ci riprova con un pignoramento presso terzi (conto corrente). Se anche quello risulta infruttuoso (conto vuoto) e il debitore non ha immobili, di fatto l’esecuzione va deserta. Il creditore potrà tornare alla carica entro 90 giorni con altri atti, ma se la situazione patrimoniale rimane nulla, l’esecuzione si chiuderà con un nulla di fatto. Questo, tuttavia, non cancella il debito: come già detto, resta pendente e potrà essere fatto valere su future disponibilità.
Esempio pratico: Mario ha un negozio di casalinghi come ditta individuale ed è debitore di €50.000 verso un fornitore, che ha ottenuto un decreto ingiuntivo definitivo. Il fornitore notifica il precetto a Mario, che però non paga perché non ha liquidità. Trascorsi 10 giorni, l’ufficiale giudiziario pignora i beni nel negozio: scaffali, stoviglie, elettrodomestici in esposizione. Mario, conoscendo il loro modesto valore, non si oppone; il valore stimato è €5.000. Il fornitore allora esegue anche pignoramento presso terzi: blocca il conto corrente aziendale di Mario, su cui però ci sono solo €2.000. Infine, scopre che Mario è proprietario di un piccolo appartamento (non prima casa, perché Mario risiede altrove in affitto). Avvia quindi il pignoramento immobiliare su quell’appartamento, del valore stimato di €80.000, per recuperare il suo credito. A questo punto Mario ha varie opzioni: può cercare di vendere privatamente l’appartamento (magari a €80.000) per pagare il fornitore – se ci riesce prima dell’asta, soddisferà il creditore e si terrà l’eventuale eccedenza. Oppure Mario può provare a trovare €10.000 (tra familiari) per chiedere la conversione dei pignoramenti: ad esempio, deposita €10.000 a garanzia e si fa autorizzare a pagare i restanti €42.000 in 24 rate. Se il giudice accorda, l’asta sull’immobile verrà sospesa finché Mario paga le rate. Se invece Mario non fa nulla, l’appartamento andrà all’asta e potrà essere venduto magari a €60.000: il fornitore prenderà i suoi €50.000 (più spese e interessi) da quel ricavato, e l’eventuale surplus tornerà a Mario. I beni mobili del negozio verosimilmente non verranno nemmeno venduti, se l’immobile copre il credito (saranno liberati). Mario tuttavia perderà l’appartamento e, di conseguenza, avrà di fatto pagato il debito col suo bene. Questa breve simulazione mostra come la strategia di difesa debba adattarsi e anticipare la mossa del creditore: se Mario avesse agito prima (ad es. proponendo al fornitore di ipotecare l’appartamento e pagarlo a rate, senza passare per l’asta), avrebbe forse evitato costi e ottenuto condizioni migliori.
Altri strumenti cautelari dei creditori
Oltre al classico pignoramento, i creditori (specialmente banche e Stato) dispongono di strumenti cautelari per tutelarsi in attesa di soddisfazione:
- Ipoteca giudiziale: qualsiasi creditore munito di sentenza o di decreto ingiuntivo definitivo può iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore. L’ipoteca non consente di espropriare immediatamente (serve sempre passare per il pignoramento), ma mette il creditore in una posizione di privilegio su quell’immobile e può impedire al debitore di venderlo a terzi senza pagare l’ipoteca. L’iscrizione di ipoteca ha spesso uno scopo di pressione (specie da parte di Agenzia Entrate Riscossione, che iscrive ipoteche per spingere al pagamento). Una volta ipotecato un immobile, il debitore per liberarlo deve saldare il debito.
- Sequestro conservativo: in situazioni dove vi è fondato timore che il debitore disperda i suoi beni durante un processo ancora in corso, il creditore può chiedere al giudice un sequestro conservativo sui beni (mobili, immobili, crediti). Se concesso, è simile a un pignoramento anticipato: i beni vengono “congelati” in attesa della sentenza. Dal punto di vista del debitore, subire un sequestro conservativo è molto grave: significa vedersi bloccati beni prima ancora di un titolo definitivo. Tuttavia, ciò avviene solo se il creditore dimostra urgenza e fumus boni iuris. Il debitore può difendersi opponendosi all’istanza di sequestro o offrendo una cauzione alternativa.
- Azioni revocatorie: un cenno già fatto ma da ribadire. Se il debitore, mentre ha debiti insoluti, compie atti di disposizione del patrimonio (vendite sottocosto, donazioni, pagamenti a taluni creditori) pregiudizievoli per gli altri creditori, questi ultimi possono agire con l’azione revocatoria per far dichiarare inefficaci tali atti rispetto a loro. Classico esempio: il negoziante trasferisce la proprietà della sua casa ai figli a titolo di donazione per non farla pignorare; i creditori possono, entro 5 anni, far revocare la donazione e pignorare comunque la casa . Anche pagamenti preferenziali a creditori “amici” poco prima del fallimento possono essere revocati dal curatore (entro 6 mesi o 1 anno se il creditore sapeva dello stato d’insolvenza). Ciò significa che cercare di far “sparire” i beni o favorire qualcuno a discapito di altri raramente funziona e anzi peggiora la posizione del debitore (anche in termini di buona fede).
- Procedura fallimentare: come anticipato, un creditore (tipicamente con credito sopra una certa soglia, es. €30,000) può depositare un’istanza di fallimento se il debitore è un imprenditore commerciale insolvente. Per un piccolo negozio, questo è lo scenario estremo: la dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) spossessa l’imprenditore dalla gestione del patrimonio che passa al curatore, e tutte le azioni esecutive individuali si fermano confliggendo nella procedura collettiva. Dal punto di vista del debitore, paradossalmente il fallimento può essere a volte una “difesa” contro il caos delle esecuzioni: se la situazione è disperata e con tanti creditori, meglio una procedura concorsuale ordinata in cui magari chiedere l’esdebitazione, piuttosto che subire una molteplicità di pignoramenti. Tuttavia, il fallimento comporta molte conseguenze (restrizioni, possibile inabilitazione all’attività, controllo giudiziario su atti di vita quotidiana durante la procedura) ed è quindi l’ultima risorsa.
Riassumendo, le azioni dei creditori vanno da semplici solleciti fino a misure esecutive dure. Difendersi significa reagire tempestivamente con gli strumenti legali appropriati (opposizioni, richieste di sospensione, soluzioni concordate) e, preferibilmente, prevenire l’escalation (ad esempio offrendo garanzie volontarie per ottenere più tempo, o avviando il debitore stesso procedure di composizione della crisi prima che lo facciano i creditori). Nel prossimo capitolo, vedremo proprio questi strumenti pro-attivi che il debitore può e dovrebbe utilizzare per gestire la propria situazione debitoria in modo organico.
Soluzioni stragiudiziali e strumenti di composizione bonaria
Oltre alle azioni giudiziarie difensive, il debitore in difficoltà ha la possibilità di perseguire soluzioni stragiudiziali, cioè accordi e piani concordati fuori dalle aule di tribunale, per rientrare dai debiti o ridurli. In molti casi, un accordo negoziato può evitare il peggio (cause lunghe, pignoramenti, fallimento) ed essere vantaggioso per entrambe le parti: il creditore incassa più rapidamente almeno una parte di quanto dovuto, il debitore evita misure esecutive e magari ottiene uno sconto o comunque tempi più sostenibili. Vediamo gli strumenti principali di componimento bonario:
Accordi stragiudiziali e piani di rientro
La forma più comune di soluzione è il piano di rientro concordato direttamente col creditore. Si tratta, in sostanza, di una dilazione volontaria: il debitore riconosce il debito e promette di pagarlo a rate (mensili, trimestrali, quello che si conviene), eventualmente con interessi di dilazione, impegnandosi a rispettare il piano pena la decadenza dai benefici. Spesso il piano viene formalizzato con una scrittura privata o con l’emissione di effetti cambiari (le cambiali quietanzate via via che si pagano). Un esempio: il negoziante ha €30.000 di debito col fornitore, concordano di pagare €5.000 ogni 3 mesi per 18 mesi, il fornitore sospende le azioni legali purché le scadenze siano rispettate. Dal punto di vista del debitore, firmare un piano di rientro comporta di solito anche il riconoscimento del debito (interrompendo eventuali termini di prescrizione e consolidando la posizione del creditore). Tuttavia, se il piano è fattibile e si riesce a onorarlo, è la soluzione più indolore. È fondamentale fare un piano realistico: promettere rate che non si riusciranno a pagare servirà solo a posticipare di poco il problema e a far perdere credibilità. Meglio negoziare importi sostenibili, magari presentando al creditore un prospetto delle proprie entrate e uscite in modo da giustificare la richiesta.
Un altro tipo di accordo stragiudiziale è il saldo e stralcio: si offre un pagamento immediato di una certa somma a completa definizione del debito, con rinuncia del creditore a ogni ulteriore pretesa. Ciò comporta uno sconto sul dovuto. Tipicamente i crediti bancari deteriorati vengono “stralciati” anche con riduzioni del 30-50% o più, se il debitore riesce a procurarsi liquidità (spesso aiutato da terzi o con mutui di consolidamento). Anche con fornitori commerciali è possibile: ad esempio “ti devo 10, ti do 6 subito e chiudiamo la partita”. Naturalmente il creditore accetta solo se dubita di poter recuperare il 100% in tempi brevi o teme l’insolvenza totale – il che è frequente quando il debitore è in grave crisi.
Nel fare accordi stragiudiziali, può essere utile coinvolgere un professionista (avvocato o commercialista esperto di crisi d’impresa) che assista il debitore nelle trattative. Questo per due motivi: primo, dare un segnale di serietà e preparazione al creditore (un piano elaborato da un advisor è più credibile); secondo, evitare di concedere clausole troppo gravose. Ad esempio, se si firma una confessione di giudizio o si rilascia cambiali, è bene valutare le implicazioni. Un avvocato può inserire nel piano clausole di moratoria su azioni legali finché le rate sono pagate, e di “automatico stralcio” se si paga una certa percentuale.
Va ricordato che l’accordo stragiudiziale non vincola gli altri creditori: è un patto solo con quel determinato creditore. Ciò può creare il problema del “fronte comune”: se ho 5 fornitori e ne pago solo uno con un piano, gli altri potrebbero sentirsi incentivati a fare causa per primi per non restare indietro. Bisogna quindi gestire la comunicazione con i vari creditori con attenzione, magari cercando di proporre piani a tutti proporzionati e spiegando che un’azione aggressiva di uno potrebbe far saltare l’azienda e far perdere tutti. Questa gestione multi-creditore non è facile da fare informalmente; se i creditori sono numerosi, conviene considerare gli strumenti formali (concordato preventivo o accordo di ristrutturazione) che vedremo in seguito, i quali hanno efficacia erga omnes una volta approvati.
Negoziazione assistita e mediazione civile
L’ordinamento prevede alcuni strumenti di ADR (Alternative Dispute Resolution) che possono essere impiegati anche per questioni debitorie: la negoziazione assistita e la mediazione civile.
- La negoziazione assistita (D.L. 132/2014 conv. L.162/2014) è un accordo attraverso cui le parti di una lite concordano di cooperare in buona fede per trovare una soluzione, con l’assistenza dei rispettivi avvocati, entro un certo termine. È obbligatoria in taluni casi (per es. alcune cause di risarcimento danni da circolazione), ma può essere utilizzata volontariamente per qualsiasi controversia civile patrimoniale. Nel contesto debitorio, il debitore e uno o più creditori potrebbero sottoscrivere una convenzione di negoziazione: ad esempio il debitore invita formalmente il creditore a negoziazione; se questi accetta, si apre un tavolo (avvocati presenti) per tentare un accordo sul debito. Se entro il termine (es. 2-3 mesi) si trova un accordo, questo viene formalizzato in un accordo sottoscritto dagli avvocati, che ha efficacia di titolo esecutivo. Se non si trova, le parti restano libere di agire in giudizio. Il vantaggio è che durante la negoziazione di solito il creditore sospende le azioni legali, e c’è un clima di discussione protetto (gli avvocati spesso scambiano proposte senza che questo pregiudichi in giudizio poi, grazie alle regole di riservatezza della procedura).
- La mediazione civile (D.Lgs. 28/2010) è un’altra procedura ADR in cui un mediatore imparziale aiuta le parti a trovare un accordo. È obbligatoria come tentativo prima del giudizio in alcune materie (tra cui contratti bancari e finanziari, leasing, società, oltre che diritti reali, successioni, etc.). Ciò significa, ad esempio, che se un debitore volesse contestare in giudizio un contratto di conto corrente bancario (per usura o anatocismo), deve prima esperire la mediazione con la banca. Nel nostro caso, la mediazione può essere uno strumento se il debitore vuole proporre qualcosa al creditore con l’aiuto di un mediatore neutrale. Tuttavia, nella prassi i creditori finanziari spesso usano la mediazione come formalità (mandano l’avvocato a ribadire la richiesta e basta). Comunque, se c’è spazio negoziale, un buon mediatore può far emergere soluzioni creative: ad esempio, riduzione del tasso e allungamento piano di mutuo, oppure consolidamento dei debiti in un unico pagamento ridotto.
Sia la negoziazione assistita che la mediazione richiedono cooperazione: se il creditore è totalmente indisponibile e decide di agire in fretta, non c’è obbligo di accettarle (a parte i casi di mediazione obbligatoria). Ma spesso i giudici stessi, quando vedono cause su crediti non pagati, invitano le parti a trovare un accordo (soprattutto se è chiaro che spremere il debitore è inutile perché la coperta è corta). Dunque, il debitore può attivamente proporre “facciamo una mediazione/negoziazione per vedere se troviamo un punto d’incontro”. Non costa molto provarci e può congelare per un po’ la situazione.
Un aspetto da considerare: se si raggiunge un accordo tramite negoziazione o mediazione e poi il debitore non lo rispetta, il creditore ha comunque in mano un titolo esecutivo (l’accordo autenticato) e può procedere senza tornare in causa. Quindi il debitore deve essere veramente convinto di poter rispettare l’accordo prima di firmarlo, altrimenti peggiora la sua posizione (perché in giudizio magari avrebbe potuto contestare qualcosa, invece con l’accordo riconosce tutto).
Composizione negoziata della crisi d’impresa
Strumento recentissimo (introdotto nel 2021 e ora disciplinato nel Codice della Crisi) è la composizione negoziata della crisi. Questo è un procedimento semi-stragiudiziale rivolto specificamente alle imprese (anche ditte individuali) in stato di crisi o in via di insolvenza, che consente di tentare un risanamento con l’assistenza di un esperto indipendente. In pratica, l’imprenditore in difficoltà può rivolgersi ad una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio e chiedere la nomina di un esperto negoziatore (generalmente un commercialista o esperto di ristrutturazioni) . L’esperto, esaminata la situazione aziendale, convoca i creditori principali e cerca di facilitare la conclusione di accordi tra impresa e creditori, per superare la crisi. La composizione negoziata è volontaria e riservata (non è pubblica la sua attivazione, a meno che l’imprenditore chieda misure protettive). Non è una procedura concorsuale né giudiziaria, ma ha alcuni agganci con il tribunale: l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive temporanee (come il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive per la durata delle trattative, in genere 3+2 mesi) mentre la negoziazione è in corso. Inoltre, se si raggiunge un accordo, questo può assumere varie forme: un contratto di ristrutturazione del debito fuori dal tribunale, oppure fungere da preludio per un concordato semplificato, etc.
Nel contesto di un negozio di casalinghi, la composizione negoziata sarebbe indicata soprattutto se si vuole tentare di salvare l’attività continuando a operare. Ad esempio, la crisi è dovuta a un calo temporaneo di vendite, ma l’impresa è ancora valida: con l’aiuto dell’esperto, si potrebbe convincere i creditori a dilazionare i debiti, a ridurli magari in cambio di strumenti partecipativi (come fornitori che accettano beni o quote di società in luogo del credito), ottenere nuova finanza (magari un investitore esterno o un socio). L’esperto ha il compito di trovare un equilibrio tra le pretese creditorie e la possibilità di rilancio dell’impresa. Durante la negoziazione, il debitore mantiene la gestione, ma sotto monitoraggio dell’esperto, e deve astenersi da atti gravemente pregiudizievoli per i creditori.
Per il debitore, i vantaggi della composizione negoziata sono: protezione (se concessa dal giudice, evita fallimento e pignoramenti per un breve periodo), professionalità (si ha un esperto a fianco che dà credibilità al piano) e flessibilità (non è rigida come un concordato, si possono trovare soluzioni su misura e coinvolgere solo alcuni creditori). Lo svantaggio è che è un percorso volontario che richiede la collaborazione dei creditori: se i creditori chiave non vogliono sentire ragioni, l’esperto non può costringerli.
Se la negoziazione non porta risultati, l’imprenditore ha comunque aperte le strade “classiche” concorsuali: può proporre un concordato preventivo semplificato (introdotto per i casi di esito negativo della negoziazione, consente di chiedere al tribunale l’omologazione di un concordato liquidatorio senza voto dei creditori, se l’esperto attesta che comunque è la soluzione migliore per loro) o avviarsi verso la liquidazione giudiziale.
In definitiva, la composizione negoziata è uno strumento innovativo orientato al risanamento piuttosto che alla liquidazione: vale la pena considerarlo se c’è prospettiva di mantenere in vita il negozio di casalinghi (ad esempio perché ha un buon avviamento commerciale che verrebbe perso in caso di fallimento). Se invece l’attività è decotta, la negoziazione servirà solo a guadagnare un po’ di tempo e dovrà confluire in una soluzione liquidatoria.
Attenzione agli atti in frode e alle soluzioni “fai da te”
Un paragrafo di ammonimento: talvolta il debitore tenta soluzioni fai-da-te per liberarsi dei debiti, che possono peggiorare la situazione. Ad esempio:
- Chiudere la partita IVA e riaprire con altro nome: come visto, la chiusura formale non estingue i debiti . I creditori inseguitanno comunque l’ex titolare. Se poi riapre un nuovo negozio intestandolo a un parente o un prestanome pensando di ricominciare da zero, attenzione che i creditori potrebbero agire per dimostrare la continuità aziendale (es. con l’azione ex art. 2560 c.c. sulla cessione d’azienda, se la nuova ditta rileva di fatto l’attività della vecchia). L’art. 2560 c.c. infatti prevede che chi acquista un’azienda commerciale risponde dei debiti aziendali pregressi risultanti dai libri contabili . Quindi se Caio, moglie di Tizio, apre “Casalinghi da Caio” nello stesso locale e con stessa merce di “Casalinghi da Tizio” appena chiuso, i fornitori potrebbero sostenere che c’è stata una cessione d’azienda e rivalersi su Caio. O addirittura insinuare una società occulta tra i due. Insomma, sotterfugi del genere spesso finiscono per essere smascherati.
- Trasferire proprietà di beni a terzi: come già detto, vendite o donazioni di beni quando si è indebitati possono essere revocate . Inoltre, in ambito fallimentare, potrebbero configurare reati di bancarotta fraudolenta per distrazione se compiuti da imprenditore poi fallito. Quindi alienare la casa alla moglie per non farla pignorare può portare a effetti peggiori (revoca e, se c’è fallimento, anche sanzioni penali).
- Costituzione di nuove società/enti: alcune persone credono di rifugiarsi dietro trust o fondazioni per blindare i beni. Sebbene strumenti sofisticati di pianificazione possano proteggere patrimoni futuri, se fatti in extremis con debiti esistenti, rischiano anch’essi la declaratoria di inefficacia o addirittura l’accusa di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000, reato specifico tributario per chi aliena beni al fine di non pagare tasse dovute).
In sostanza, la miglior strategia è affrontare il problema alla luce del sole, usando gli strumenti legali previsti, anziché tentare vie elusive. I creditori, specie istituzionali, sono ben assistiti legalmente e hanno mezzi (informativi, legali) per contrastare escamotage. Invece, mostrarsi proattivi e trasparenti può anche guadagnare la loro fiducia e far ottenere condizioni migliori negli accordi.
Procedure giudiziali di gestione della crisi (sovraindebitamento e concorsuali)
Se l’indebitamento ha raggiunto un livello tale da non poter essere gestito efficacemente con accordi informali o se la situazione di insolvenza è conclamata, il debitore può (e spesso deve) ricorrere alle procedure giudiziali previste dall’ordinamento per regolare la crisi. In Italia esistono due grandi famiglie di procedure concorsuali:
- Le procedure di sovraindebitamento (introdotte dalla L. 3/2012 e ora incorporate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII) destinate ai debitore civili “non fallibili”: consumatori, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, imprenditori agricoli, start-up innovative, enti non commerciali. Queste procedure consentono di ristrutturare o liquidare i debiti con l’ausilio del tribunale, ma in modo semplificato e calibrato sui soggetti minori.
- Le procedure concorsuali maggiori destinate ai soggetti fallibili: in particolare il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale (nuovo nome del fallimento), oltre ad istituti affini come gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati. Queste sono riservate alle imprese che superano le soglie di fallibilità (in pratica medie e grandi imprese, incluse le società di capitali, e anche piccoli imprenditori sopra soglia).
Nel caso tipico di un negozio di casalinghi a gestione familiare, è più probabile rientrare nel primo gruppo (sovraindebitamento), a meno che non si tratti di una S.r.l. di dimensioni rilevanti. In ogni caso, illustreremo entrambi gli ambiti, dato che la guida è di livello avanzato e anche un piccolo imprenditore deve conoscere almeno in termini generali come funzionerebbero un concordato o un fallimento.
Procedure di sovraindebitamento (Codice della Crisi, già Legge 3/2012)
La L. 3/2012 (detta “legge salva-suicidi” nel linguaggio giornalistico) è stata la prima normativa organica in Italia per consentire a privati e piccole imprese non fallibili di liberarsi dai debiti insostenibili. Dal 15 luglio 2022, questa legge è stata abrogata e assorbita nel nuovo Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019), che ha però confermato e in parte modificato gli strumenti in questione . Oggi parliamo dunque di procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, che includono:
- Il Piano di ristrutturazione del consumatore (ex “piano del consumatore” L.3/2012);
- L’Accordo di composizione della crisi (ora a regime detto anche “concordato minore” in alcuni commentari);
- La Liquidazione controllata del patrimonio (ex liquidazione dei beni);
- La particolare procedura di Esdebitazione del debitore incapiente (introdotta dal CCII);
- La possibilità di procedura familiare (per più membri di una famiglia con debiti).
Queste procedure si svolgono sotto l’egida del Tribunale competente (di regola il tribunale civile sez. fallimentare del luogo di residenza o sede del debitore). Viene nominato un organismo o un professionista gestore (il Gestore della crisi o OCC – Organismo di Composizione della Crisi) che assiste il debitore nel predisporre la proposta e verifica i dati . Le procedure offrono la sospensione delle azioni esecutive una volta ammesse e, se completate con successo, portano alla esdebitazione, cioè alla cancellazione dei debiti residui non pagati .
Vediamole singolarmente in breve.
Piano di ristrutturazione del consumatore: riservato ai debitori che sono persone fisiche che non agiscono come imprenditori commerciali (oppure piccoli imprenditori sotto soglia che optano per il piano come consumatori). In pratica, un ex imprenditore individuale che ha chiuso l’attività può accedere come “consumatore” se i debiti sono personali, oppure un socio che ha garantito debiti sociali, ecc. Il piano permette di proporre al giudice un progetto di pagamento parziale dei debiti senza bisogno di approvazione dei creditori . È il giudice che omologa il piano valutando due aspetti chiave: la fattibilità del piano rispetto al reddito/patrimonio del debitore e la meritevolezza del debitore. Meritevolezza significa che il debitore non deve aver colposamente provocato la propria insolvenza. Nel CCII, il criterio è che il consumatore non deve aver commesso frodi o colpa grave nel contrarre i debiti . Questo è un po’ diverso dal criterio di meritevolezza puro richiesto dalla vecchia legge 3/2012 (dove alcuni tribunali erano molto rigidi nel valutare se il debitore fosse stato “troppo imprudente” nel fare debiti). La Cassazione di recente (sent. 22890/2023) ha chiarito che col nuovo Codice conta l’assenza di dolo o colpa grave e non si applicano pedissequamente i vecchi parametri di meritevolezza . Il vantaggio del piano del consumatore è che i creditori sono vincolati dal piano omologato anche se non erano d’accordo, purché ricevano almeno quanto otterrebbero in una liquidazione (principio del “best interest of creditors”). Quindi, se un consumatore ad esempio ha debiti per €100.000 e può pagare solo €20.000 in 5 anni, propone di pagare 200€/mese per 5 anni ai creditori chirografari (senza dover pagare integralmente privilegiati futuri come sanzioni fiscali ecc. che potrebbero essere esclusi). Il giudice, verificata la sua buona fede e che quei €20.000 sono il massimo delle sue possibilità (e non inferiori a ipotetico ricavato vendendo tutto subito), può omologare. A quel punto il debitore paga le rate e, completato il piano, ottiene l’esdebitazione del restante 80%. Attenzione: se il debitore non rispetta le rate o fornisce informazioni false, il beneficio salta. E se emergono sopravvenienze attive (soldi in più) durante il piano, in certi limiti vanno destinate ai creditori.
Accordo di composizione della crisi (concordato minore): è destinato invece ai debitori che svolgono attività d’impresa o professionale, non soggetti a fallimento (o anche soggetti fallibili ma che cercano di usarlo? In teoria no, se fallibile deve fare concordato preventivo). Ad esempio, un negoziante ancora in attività ma piccolo. In questo caso, a differenza del piano consumatore, serve il voto dei creditori: il debitore propone un accordo di ristrutturazione in cui indica quanto intende pagare a ciascuno (di solito in percentuale). È richiesto per legge che vengano pagati per intero i crediti privilegiati (salvo diverso accordo esplicito di quei creditori) e che i creditori chirografari ottengano almeno il 20% del loro credito . Inoltre serve l’adesione di una maggioranza del 60% (in valore) dei crediti chirografari . Se si raggiunge questa maggioranza, il tribunale – verificati gli altri presupposti – omologa l’accordo e questo diventa vincolante anche per i creditori dissenzienti. Se non si raggiunge, la procedura sfuma (e si può ripiegare su liquidazione del patrimonio). Durante la raccolta delle adesioni, il debitore è coadiuvato dall’OCC che certifica la veridicità dei dati e convoca i creditori . È un po’ simile al concordato preventivo delle grandi imprese ma semplificato e su misure minori. La Cassazione ha anche chiarito alcuni punti: ad esempio, con ordinanza 4613/2023 ha stabilito che nel valutare la convenienza dell’accordo per un creditore ipotecario va considerato anche il valore di eventuali beni donati prima (aggredibili con revocatoria) , e con sentenza 30543/2024 ha ribadito che se l’accordo prevede di non pagare integralmente un creditore privilegiato, lo si può omologare solo se quel creditore comunque riceve più che in alternativa liquidatoria . In pratica, c’è attenzione a non ledere troppo i diritti dei privilegiati senza giustificazione.
Liquidazione controllata del patrimonio: questa è la soluzione liquidativa per il sovraindebitato. Viene utilizzata quando il debitore non ha la possibilità di offrire un pagamento parziale soddisfacente in un piano o accordo, e dunque mette a disposizione tutti i suoi beni (non necessari alla vita dignitosa) per liquidarli sotto il controllo del tribunale e di un liquidatore . È volontaria (il debitore la chiede) oppure può essere chiesta dai creditori o dall’OCC in caso di fallimento di un accordo/piano. La procedura ricalca molto un fallimento in piccolo: si forma lo stato passivo dei creditori, nominato un liquidatore (spesso un curatore fallimentare o OCC), si vendono i beni secondo regole d’asta o altre modalità, e poi si distribuisce il ricavato secondo le cause di prelazione . Terminata la liquidazione, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione dei debiti rimasti insoddisfatti . I vantaggi rispetto al fallimento tradizionale sono: procedure più snelle, minore stigma sociale (non si chiama fallimento; ad esempio, non c’è l’annotazione nel casellario giudiziale), possibilità di conservare alcuni beni essenziali (es. stipendio in parte, beni impignorabili), maggiore flessibilità nel chiudersi con esiti di esdebitazione. In concreto, per un negoziante travolto dai debiti che possiede una casa e poco altro, la liquidazione controllata significherà vendere la casa e distribuire il ricavato. Ma a differenza dell’esecuzione individuale, la liquidazione assicura che tutti i debiti vengono trattati insieme e poi alla fine ci si libera. Importante: durante la liquidazione, le eventuali procedure esecutive individuali sono sospese (confluiscono nella liquidazione) .
Esdebitazione del debitore incapiente: questo è un istituto di “perdono” integrale introdotto col CCII. Si rivolge al debitore persona fisica meritevole che non ha alcun patrimonio liquidabile né reddito disponibile e quindi non può offrire nulla ai creditori . Invece di avviare una liquidazione di beni inesistenti (che sarebbe inutile), il debitore può chiedere subito al tribunale di essere esdebitato dai suoi debiti senza pagamento . Il tribunale verifica che: i) il debitore non ha occultato beni o redditi, ii) non ha dilapidato patrimonio con dolo o colpa nei 5 anni precedenti, iii) che non ha già usufruito di esdebitazione incapiente prima (è ammesso una volta sola in vita) . Se tutto ok, emette un decreto che cancella i debiti chirografari. Restano esclusi comunque (come in ogni esdebitazione) certi debiti: alimenti, risarcimenti per illecito extra-contrattuale, debiti fiscali con dolo, multe penali . Inoltre, se nei 4 anni successivi l’esdebitato incapiente “miracolato” dovesse acquistare nuovi beni o redditi significativi (es. vince alla lotteria, eredita una fortuna), i creditori esdebitati possono chiedere di essere pagati fino a concorrenza di quanto ricevuto (non oltre ovviamente). Questo per evitare furbizie. L’esdebitazione incapiente è stata pensata per situazioni umanamente problematiche (il cosiddetto “fresh start”), come piccoli imprenditori rovinati da eventi sfortunati che altrimenti rimarrebbero inseguiti a vita da cartelle e decreti. Anche per i commercianti in crisi nera può essere la soluzione: ad esempio un ex negoziante senza più nulla, affogato dai debiti con Fisco e banche, dopo aver chiuso l’attività può chiedere l’esdebitazione totale. In passato (ante 2022) questo non era possibile senza passare da un fallimento con zero attivo – ora invece c’è una via diretta.
Procedura familiare: menzioniamo che se più membri della stessa famiglia sono indebitati (es. marito e moglie coobbligati, o genitori e figli per fideiussioni), possono presentare un unico procedimento di sovraindebitamento con un unico piano o accordo congiunto . Questo consente una soluzione coordinata, evitando procedure separate e magari confliggenti . Ad esempio, marito e moglie commercianti, entrambi falliti dentro, possono proporre un unico piano per ristrutturare il debito familiare.
Esdebitazione a fine procedura: da notare anche che, a prescindere dall’esdebitazione incapiente, la legge prevede che chiunque completi una procedura di liquidazione controllata possa chiedere l’esdebitazione. Anche i soci illimitatamente responsabili di società fallite possono ottenere esdebitazione. L’esdebitazione cancella i debiti residui verso tutti i creditori concorrenti (quelli non soddisfatti). Non cancella i debiti verso i creditori estranei non concorrenti (ma in sovraindebitamento tendenzialmente tutti devono concorrere). Non cancella neppure eventuali debiti nuovi sorti durante la procedura (ad es. tasse maturate dopo). Nella liquidazione controllata, l’art. 282 CCII elenca i debiti non soggetti a esdebitazione: oltre ai soliti (alimenti, risarcimenti da illecito e multe) anche quelli per obblighi di mantenimento, e i debiti fiscali sortì dopo l’apertura. Inoltre, se il debitore ha tenuto comportamenti fraudolenti durante la procedura, non avrà l’esdebitazione. Se invece tutto regolare, l’ordine generale è di dare una “seconda opportunità” al debitore onesto ma sfortunato .
Tabella – Procedure di sovraindebitamento principali
| Procedura (CCII) | Soggetti ammessi (esempi) | Caratteristiche principali | Consenso creditori | Esdebitazione finale? |
|---|---|---|---|---|
| Piano di ristrutturazione del consumatore (artt. 67-73 CCII) | Persona fisica non fallibile con debiti personali (es. ex imprenditore, consumatore puro) | – Piano volontario basato sulle capacità di pagamento del debitore .<br>– Nessuna votazione dei creditori; decide il giudice su fattibilità e buona fede del debitore. – Prevista verifica di meritevolezza (no frode o colpa grave nella genesi dei debiti) . – Possibile falcidiare anche debiti privilegiati (es. ipotecari) purché il piano offra ad essi non meno di quanto otterrebbero liquidando garanzie. – Protezione: sospende azioni esecutive dall’ammissione. | No, non serve accordo dei creditori (vincolati dal decreto di omologa) | Sì, al completamento del piano, cancellazione dei debiti residui (salvo eccezioni di legge). Se il piano non viene eseguito, l’omologa può essere revocata e niente esdebitazione. |
| Accordo di composizione della crisi (concordato minore) (artt. 74-83 CCII) | Imprenditore (anche individuale) non fallibile o professionista indebitato (es. negoziante sotto soglia ancora in attività) | – Proposta di accordo con i creditori chirografari, con ausilio OCC . – Voto dei creditori: serve il sì di almeno 60% dei crediti chirografari . – Pagamento crediti privilegiati integralmente, salvo accordo diverso; creditori chirografari soddisfatti in misura ≥20% . – Dopo voto, omologa del tribunale che lo rende vincolante per tutti (anche dissenzienti, anche eventualmente privilegiati parziali se condizioni rispettate) . – Viene nominato un OCC che verifica il piano e attesta veridicità dati e fattibilità. – Permette anche la continuità aziendale (impresa può proseguire l’attività durante e dopo). | Sì, richiesto almeno 60% dei crediti chirografari (e rispetto condizioni su privilegiati). Senza quorum, non omologabile. | Sì, una volta eseguito l’accordo, il debitore è liberato dai debiti residui non soddisfatti (ad eccezione dei debiti esclusi ex lege) . Se accordo non eseguito, può essere risolto e allora niente esdebitazione. |
| Liquidazione controllata del patrimonio (artt. 268-277 CCII) | Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o imprenditore non fallibile) anche su istanza creditori. Utile se patrimonio insufficiente per accordo/piano. | – Il tribunale apre procedura nominando un liquidatore . – Il liquidatore vende tutti i beni del debitore secondo modalità competitive, realizza denaro. – Formazione di uno stato passivo: creditori presentano domande e vengono ammessi secondo prelazioni. – Distribuzione del ricavato ai creditori in ordine di privilegio (come in un fallimento). – Durata variabile (dipende dall’attivo da liquidare). Debitore conserva solo i beni impignorabili ex lege e quota di stipendio per vivere. – Debitore persona fisica non soggetto a incapacità personali (differenza col fallimento: non c’è interdizione commerciale generale). | Nessun voto richiesto (procedura giudiziale d’ufficio). I creditori partecipano presentando domande e possono eventualmente proporre reclami su atti. Non c’è bisogno di loro consenso: subiscono la liquidazione. | Sì, possibile esdebitazione a fine procedura su istanza del debitore . Se il debitore ha cooperato e non ha fatto atti in frode, il tribunale cancella i debiti rimasti . Debiti esclusi: obblighi alimentari, risarcimenti da fatto illecito, multe penali, debiti fiscali post-domanda, ecc. . |
| Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) | Persona fisica sovraindebitata priva di beni e redditi (nullatenente o quasi), meritevole. Non disponibile per società. | – Procedimento semplificato: il debitore chiede direttamente al tribunale di essere esdebitato senza attivare accordi o liquidazione . – Il tribunale valuta: assenza di atti in frode o colpa grave, completezza informazioni, impossibilità oggettiva di offrire utilità ai creditori . – Se accolto, viene emesso decreto di esdebitazione immediata di tutti i debiti chirografari. Procedura one-shot. – Il debitore si impegna, se nei successivi 4 anni dovesse migliorare la sua situazione con redditi o eredità significative, a pagare i creditori in proporzione fino a concorrenza dei debiti cancellati (clausola di “riserva” per eventi fortunati futuri). | Non applicabile (non c’è accordo né massa attiva). I creditori possono eventualmente opporsi se ritengono che il debitore abbia nascosto qualcosa, ma in genere non sono consultati formalmente prima del decreto (possono fare reclamo dopo). | Sì, è proprio la finalità principale: il provvedimento cancella i debiti esdebitabili immediatamente. Debiti esclusi: come da legge (alimenti, illeciti, ecc.). È concessa una sola volta in vita al debitore. |
Come si vede, la filosofia delle procedure di sovraindebitamento è: se puoi pagare qualcosa, paghi quel qualcosa e poi ti liberiamo il resto (piano/accordo); se proprio non puoi pagare nulla, liquidiamo quel poco che hai e poi ti liberiamo comunque, perché insistere è inutile. Il tutto condizionato al fatto che tu sia stato onesto e collaborativo. Questo approccio di “fresh start” è ormai un principio riconosciuto a livello europeo (Direttiva UE 2019/1023).
Per un piccolo imprenditore (come il titolare del negozio di casalinghi), queste procedure rappresentano spesso l’unica via d’uscita da una situazione disperata. Mentre un grande imprenditore poteva accedere al fallimento con relativa esdebitazione finale, prima del 2012 il privato cittadino e il piccolo imprenditore restavano a vita debitori. Ora non più: c’è una luce in fondo al tunnel purché si intraprenda una di queste strade e ci si attenga alle regole. Non è un percorso indolore – spesso comporta perdere beni di famiglia, restrizioni finanziarie durante il piano, stigma – ma è finalizzato a tornare ad una vita normale senza debiti pregressi.
Procedure concorsuali per imprese soggette a fallimento (concordato preventivo e liquidazione giudiziale)
Passiamo brevemente in rassegna le procedure per le imprese cosiddette maggiori, ossia quelle non rientranti nel sovraindebitamento. Un negozio di casalinghi potrebbe trovarsi in quest’area se è gestito da una società di capitali (SRL) o se comunque supera le soglie di fallibilità. Ad esempio, un negozio con più filiali, fatturati sopra €200.000 e debiti sopra €500.000 rientra tra le imprese fallibili.
Le due procedure cardine qui sono il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale (nuovo nome del fallimento). Vi sono poi strumenti “ibridi” come gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati e i piani attestati di risanamento, ma rimaniamo sui primi due, più tipici.
Concordato preventivo: è una procedura che l’imprenditore in crisi (ancora non dichiarato insolvente) può chiedere al tribunale, presentando un piano di risanamento o di liquidazione che prevede una qualche soddisfazione per i creditori e possibilmente il superamento della crisi. Si chiama “preventivo” perché mira a evitare il fallimento. Ci sono varie tipologie di concordato:
- Concordato liquidatorio: se l’impresa è decotta, consiste nel proporre di liquidare tutti i beni però con modalità concordate (magari vendendoli in blocco a un offerente, o con gestione controllata) e distribuire il ricavato ai creditori offrendo una percentuale minima garantita ai chirografari (attualmente la legge richiede almeno 20% ai chirografari nel concordato liquidatorio puro, salvo apporto di risorse esterne che migliorino l’offerta). Il vantaggio rispetto al fallimento è che c’è più controllo da parte del debitore, si possono vendere i beni a valori migliori di un’asta, e si evitano i costi e le lungaggini di un fallimento. Il debitore però perde comunque la disponibilità dei beni (viene nominato un liquidatore concordatario) ma almeno sceglie lui quando e come attivare la procedura, e può negoziare eventualmente con creditori strategici prima di presentarla.
- Concordato in continuità aziendale: se invece c’è la possibilità di proseguire l’attività (da parte dello stesso debitore o tramite un affittuario/acquirente dell’azienda), si può presentare un piano di concordato che preveda la continuazione dell’esercizio. Ad esempio, il negozio di casalinghi potrebbe presentare un piano in cui continua a operare, utilizza i flussi di cassa futuri per pagare i creditori gradualmente, e forse cede qualche asset non essenziale. In tal caso il legislatore è più flessibile su alcune condizioni (non c’è soglia minima di pagamento dei chirografari, purché il piano sia attestato come più conveniente del fallimento e garantisca certe tutele per creditori privilegiati, come pagamento integrale dei crediti IVA ecc.). L’idea è privilegiare la salvaguardia dei posti di lavoro e il valore dell’azienda in funzionamento.
La procedura di concordato prevede che, una volta ammessa (dopo un controllo di fattibilità iniziale), i creditori siano suddivisi in classi e poi chiamati a votare sul piano. Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice >50% in valore; se classi, anche maggioranza di classi salvo cram down se certe condizioni). Se i creditori approvano, il tribunale (dopo eventuali opposizioni) omologa il concordato, che diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Durante tutta la procedura (che dura vari mesi per arrivare al voto), l’impresa è protetta dal divieto di azioni esecutive individuali (stay automatico). Il debitore rimane in possesso dei beni (di solito c’è l’“debtor in possession” con la vigilanza di un commissario nominato dal tribunale) fino all’omologa, poi se è liquidatorio cede i beni al liquidatore.
Per il debitore imprenditore (es. SRL del negozio), il concordato è uno strumento assai potente per gestire la crisi: si può decidere come falcidiare i crediti, si possono anche sciogliere contratti pendenti se onerosi (pagando eventuale indennizzo come credito concorsuale), si possono vendere beni liberi da ipoteche (surrogando i creditori ipotecari sul prezzo). Tuttavia, predisporre un concordato è complesso: servono piani industriali e finanziari dettagliati, valutazioni di stima dei beni, e soprattutto bisogna convincere i creditori che è meglio accettare il piano che mandare l’azienda in fallimento. In un contesto di piccolo commerciante, non è comunissimo usare il concordato perché i costi professionali e la complessità possono essere sproporzionati (infatti per i piccoli c’è la versione sovraindebitamento). Ma poniamo il caso di una catena di 3-4 negozi di casalinghi sotto una SRL indebitata con banche e fornitori: il concordato in continuità potrebbe permettere di chiudere i punti meno redditizi, vendere immobili se ce ne sono, far entrare un nuovo socio, e pagare i creditori al 40% in 5 anni. I creditori valuterebbero che, se la SRL fallisse, probabilmente prenderebbero meno e più tardi, quindi sarebbero incentivati a votare sì.
Liquidazione giudiziale (fallimento): se non ci sono alternative o se i creditori o il debitore stesso non attivano procedure di concordato, lo sbocco per l’insolvenza di un’impresa fallibile è la liquidazione giudiziale. Viene aperta su sentenza del tribunale, su ricorso di un creditore, del debitore o del PM. Da quel momento l’imprenditore è spossessato dei beni che passano al curatore, vengono cristallizzati i debiti (blocco interessi chirografari, sospensione cause, ecc.), i creditori presentano le domande di insinuazione al passivo, e il curatore procede a liquidare l’attivo: vende l’azienda o i beni separatamente, incassa crediti, etc. Il ricavato va in un fondo fallimentare distribuito secondo cause di prelazione a chiudere. Il debitore (se persona fisica) può chiedere l’esdebitazione dei debiti insoddisfatti una volta chiuso il fallimento (istituto introdotto nel 2015 per il fallito onesto e mantenuto dal CCII). La liquidazione giudiziale è quindi simile alla liquidazione controllata del sovraindebitamento, ma con procedure più formali e pesanti. Ad esempio, c’è lo stato di insolvenza conclamato richiesto, c’è la possibilità (ora ridotta) di sanzioni come l’inabilitazione all’esercizio di impresa per alcuni anni per i falliti, e in generale un controllo più invasivo. Se poi emergono condotte illecite, scatta il procedimento penale fallimentare (bancarotta, etc.). In un piccolo contesto, di solito il fallimento finisce con la chiusura senza attivo o con attivo irrisorio, e il debitore persona può poi essere esdebitato.
Dal punto di vista di un debitore fallibile, si preferisce sempre il concordato al fallimento, perché nel concordato l’azienda può essere salvata e il debitore ha un ruolo propositivo, mentre nel fallimento subisce la liquidazione e perde l’azienda. Inoltre nel concordato l’imprenditore non subisce l’onta del fallimento (che porta con sé percezioni negative, e una serie di effetti collaterali come revoche di licenze, difficoltà a fare business per qualche anno). Tuttavia il concordato non sempre è praticabile: se i creditori sono ostili o se l’impresa non ha proprio prospettive di risanamento, il tribunale potrebbe non ammettere il concordato o i creditori bocciarlo.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (ART 182-bis L.F. / 57 CCII): menzioniamoli solo per completezza: un imprenditore può anche evitare il concordato se ottiene privatamente l’accordo con la maggioranza qualificata di creditori (almeno 60%), e poi far omologare tale accordo dal tribunale. È una via di mezzo: non c’è voto formale di tutti, solo i consenzienti firmano, ma l’omologa estende gli effetti anche ai non firmatari (che però devono essere pagati al 100% o comunque non pregiudicati rispetto ad alternativa). Questi accordi spesso si usano con banche (ristrutturazione del debito bancario con piano attestato). Per un negoziante, difficilmente si applica perché implica avere tanti creditori e convincerne i 60% a firmare – tanto vale fare un concordato minore se sei non fallibile o un concordato preventivo se fallibile. Però ci sono casi di imprese familiari che preferiscono accordarsi con banche e fornitori chiave e poi dare efficacia generale.
Piani attestati di risanamento (art. 56 CCII): questo è un piano predisposto dall’azienda con l’aiuto di un professionista che attesta che è idoneo a risanarla, e comunicato a tutti i creditori. Non passa dal tribunale e non vincola i creditori dissenzienti, ma serve a rendere non revocabili gli atti compiuti in esecuzione del piano se poi la società fallisce. È uno strumento tipico per prevenire il fallimento in via riservata. Un piccolo negozio difficilmente lo adotta formalmente, ma potrebbe seguirne la logica: predisporre un business plan di rilancio e convincere i creditori a stare alle condizioni.
Integrazione col sovraindebitamento: può capitare che un imprenditore fallibile con la sua azienda abbia anche debiti personali non coperti dalla procedura. Ad esempio: fallisce la SRL del negozio, il socio aveva firmato fideiussioni personali e si trova ora con debiti personali verso le banche. Il socio in quanto persona fisica non fallisce con la SRL (perché società di capitali), ma resta debitore. Quel socio però può ricorrere alla legge 3/2012 / sovraindebitamento per i suoi debiti personali. Oppure un socio di SNC fallita: lui è dichiarato fallito come persona, quindi non può usare la legge 3 (non fallibile) – ma può chiedere l’esdebitazione nel fallimento stesso. Insomma, dipende dai casi. Se il titolare del negozio è una persona fisica fallita, segue regole fallimentari e poi esdebitazione tradizionale; se non è fallibile, usa sovraindebitamento; se è società e socio garante, società in concorsuale e socio in sovraindebitamento parallelo.
Esempio pratico concorsuale: supponiamo che “Casalinghi XYZ S.r.l.” con 3 punti vendita accumuli 1 milione di debiti (fornitori e banche) e non riesca più a pagarli, ma abbia ancora un buon giro d’affari potenziale. La società può depositare un ricorso di concordato preventivo in continuità proponendo di pagare il 40% ai chirografari in 5 anni, integralmente banche garantite (magari rinegoziando i mutui), e ciò finanziato dalla chiusura di 1 punto vendita in perdita e dall’apporto di €100.000 di un nuovo investitore per rilevare il 50% società. I creditori votano; se approvano e omologa, la società continua operare con 2 negozi e ripaga i debiti ridotti. Se i creditori invece rifiutano (vogliono di più o non si fidano), la società fallirà. Nel fallimento, i punti vendita verrebbero venduti a pezzi, magari uno rilevato da un concorrente, uno chiude; i creditori incasserebbero forse il 20% e tardi. Quindi sta anche a loro scegliere.
Conclusione su concorsuali: per un negoziante debitore, le procedure concorsuali sono un terreno da maneggiare con consulenza specialistica. Dal suo punto di vista però, sapere che esistono il concordato e la liquidazione giudiziale serve a comprendere che – se i debiti sono troppi – non esiste semplicemente andare avanti ignorandoli: prima o poi o cerchi un concordato o subisci un fallimento. Ignorare segnali di insolvenza e farsi travolgere porta al fallimento con tutti i suoi inconvenienti; attivarsi per tempo può dare chance di concordato o accordi. Questo è il messaggio centrale della recente riforma: incentivare gli imprenditori ad anticipare la gestione della crisi (anche con composizione negoziata), invece che aspettare l’aggravarsi.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito, presentiamo una serie di domande comuni che possono porsi i titolari di negozi indebitati, con risposte sintetiche basate su quanto esposto finora. Questo formato “Domande e Risposte” aiuta a chiarire dubbi pratici e concreti dal punto di vista del debitore.
D: Il fornitore può bloccare le forniture se sono in ritardo con i pagamenti? Posso obbligarlo a continuare a rifornirmi?
R: Sì, in generale un fornitore non è tenuto a fornire merce a un cliente inadempiente. Se i termini di pagamento pattuiti non sono rispettati, il fornitore può sospendere ulteriori consegne (eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c.). Inoltre molti contratti prevedono espressamente la facoltà di sospensione o risoluzione se il cliente ritarda nei pagamenti. Quindi il negoziante non può pretendere ulteriori forniture a credito. L’unica via per continuare ad approvvigionarsi è cercare un accordo: ad esempio, pagare almeno in parte gli arretrati o offrire garanzie (come pagamenti anticipati per i nuovi ordini, rilascio di cambiali, fideiussioni). Se il rapporto si interrompe, purtroppo il fornitore è nel suo diritto e il negozio dovrà trovare altri fornitori (magari meno convenienti). In caso di procedure concorsuali (ad es. concordato), la legge prevede che i fornitori “essenziali” non debbano interrompere le forniture durante la procedura, ma con garanzie di pagamento corrente.
D: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo. Cosa succede se non mi oppongo entro 40 giorni?
R: Se non presenti opposizione al decreto ingiuntivo nei termini (40 giorni dalla notifica, salvo termini diversi indicati), quel decreto diventa definitivo e non più contestabile . Il creditore potrà procedere con l’esecuzione forzata (pignoramenti) sulla base di esso come fosse una sentenza. Non avrai più la possibilità di discutere nel merito se dovevi o meno quei soldi: il debito si considera accertato. Ciò non significa che automaticamente ti porteranno via i beni al 41° giorno, ma il creditore potrà, dopo averti notificato il precetto, iniziare i pignoramenti. Se invece c’è qualche motivo di opposizione (totale o parziale) è fondamentale attivarsi entro i 40 giorni, altrimenti perdi tale difesa. Ricorda che, se per qualche ragione non hai saputo in tempo del decreto (ad es. notifica nulla), potresti avere la chance di opposizione tardiva , ma sono situazioni eccezionali. In sintesi: ignorare un decreto ingiuntivo equivale quasi ad ammettere il debito.
D: Ho tanti debiti, ma sono nullatenente e senza stipendio fisso. Cosa possono farmi concretamente i creditori?
R: Se realmente non possiedi beni intestati (case, auto, conti con soldi) e non hai uno stipendio/pensione, i creditori trovano ben poco da pignorare – nel breve periodo, praticamente nulla. Questa condizione di “nullatenenza” ti rende di fatto inespropriaile nel momento presente. È per questo che si dice talvolta “se non hai niente, non ti possono prendere niente”. Tuttavia, i debiti rimangono pendenti: i creditori potranno rifarsi se in futuro acquisirai dei beni o redditi. Ad esempio, se fra 5 anni avrai un lavoro con stipendio, potrebbero iniziare un pignoramento del quinto; oppure se ereditassi una casa da un parente, potrebbero ipotecarla/pignorarla. Inoltre, essere nullatenente con debiti comporta altre noie: potresti trovarti protestato o segnalato in banche dati, con impossibilità di ottenere credito, dover tenere conti correnti a zero perché verrebbero bloccati se ci metti soldi, ecc. E attenzione: se i debiti sono verso lo Stato (Agenzia Entrate Riscossione) e superano certe soglie, anche se non hai beni ora potresti subire ipoteche iscritte su eventuali proprietà future. Soluzione: in questa situazione estrema, hai l’opportunità di ricorrere all’esdebitazione del debitore incapiente prevista dal Codice della Crisi . In pratica chiedi al giudice di cancellare tutti i tuoi debiti, dichiarando la tua totale insolvenza e meritevolezza. Se te la concedono, sarai libero dai debiti pregressi e potrai ripartire – ovviamente rimane la difficoltà economica di non avere beni, ma almeno non avrai più quei creditori alle calcagna se un domani migliori la tua condizione.
D: Posso oppormi a un pignoramento del mio conto sostenendo che mi serve per campare?
R: In parte. La legge prevede alcune tutele sul conto corrente per le somme derivanti da stipendio o pensione: se sul conto c’è accreditato lo stipendio/pensione, al momento del pignoramento il saldo “impignorabile” è pari all’ultimo emolumento mensile ricevuto . Il resto è pignorabile. E per ciò che affluisce successivamente sul conto, la banca deve lasciare ogni mese una somma pari all’assegno sociale (~€574) e può destinare al pignoramento solo il quinto della parte eccedente. Queste regole proteggono parzialmente i redditi da lavoro. Però, se sul conto hai risparmi non provenienti da stipendio recente, quelli possono essere bloccati interamente sino a soddisfo del credito. Quindi, se diciamo avevi €10.000 sul conto di tua liquidità personale (non stipendio recente), un pignoramento può congelare quell’intera somma per assegnarla al creditore. Non c’è un principio generale di “mi serve per vivere quindi non pignorate”: la legge ha definito soglie precise. Fuori da esse, il giudice difficilmente accoglierà un’opposizione. Diverso è per il pignoramento mobiliare domiciliare: lì l’art. 514 c.p.c. elenca beni impignorabili (letti, elettrodomestici base, abiti, ecc.). Se l’ufficiale giudiziario avesse pignorato cose necessarie (es. l’unico frigorifero di casa), potresti fare opposizione agli atti per rimuovere quel bene dal pignoramento.
D: Se vendo privatamente un mio bene prima che lo pignorino, faccio qualcosa di illecito?
R: Vendere beni di per sé non è illecito (ognuno può alienare ciò che è suo), ma se sei in debito grave e vendi sottoprezzo o a persone vicine per sottrarre il bene ai creditori, potresti incorrere in azione revocatoria: il creditore può far dichiarare inefficace quella vendita e considerare il bene ancora tuo ai fini della loro esecuzione . La revocatoria è possibile entro 5 anni se la vendita è a titolo gratuito (donazione) o anche se onerosa ma il creditore prova che c’era consapevolezza del pregiudizio. Quindi vendere un immobile al figlio per poco denaro un mese prima di fallire è tipico caso di atto revocabile. Inoltre, se poi vieni dichiarato fallito, quella vendita potrebbe essere considerata bancarotta fraudolenta (se fatta per danneggiare i creditori). Diverso è se la vendita è fatta a valore di mercato e per fare cassa da offrire ai creditori: es. vendi l’auto per pagare parte dei debiti. Quello di solito non viene contestato (anzi, può essere ragionevole). L’ideale, se prevedi di ricorrere a procedure concorsuali, è evitare atti di disposizione inconsulti prima: una volta in procedura, potrai vendere i beni però con l’ok degli organi della procedura, in modo legittimo. Vendere tutto prima e magari spendere/incassare i soldi senza criterio può metterti a rischio di azioni legali peggiori.
D: La finanziaria mi minaccia di portarmi via i macchinari del negozio. Possono farlo davvero?
R: Dipende. Se la finanziaria (o banca) ha un titolo esecutivo (ad esempio hai firmato cambiali o un contratto di leasing risolto) e procede per via legale, può far pignorare i beni strumentali della tua attività. Però la legge prevede che gli strumenti indispensabili per l’attività lavorativa siano parzialmente tutelati: l’art. 515 c.p.c. dice che gli strumenti, oggetti e libri necessari per l’esercizio della professione, arte o mestiere del debitore possono essere pignorati solo per il valore eccedente quello necessario per il suo svolgimento e in misura non superiore al quinto (se ciò non pregiudica l’attività). In parole povere: se hai 5 macchinari uguali e te ne servono 4 per lavorare, ne possono pignorare 1; se hai un solo macchinario essenziale, teoricamente è impignorabile a meno che il creditore non dimostri che comunque puoi farne a meno o che il suo valore eccede di molto l’essenziale. Questa è teoria, in pratica l’ufficiale giudiziario valuta caso per caso. Ad esempio, per un negozio: il registratore di cassa di solito non lo pignorano perché serve all’attività ed ha scarso valore usato; gli scaffali e parte delle merci invece possono pignorarli se pensano di ricavarci qualcosa all’asta (spesso però il valore mercanzia usata è basso e scoraggia il pignoramento). In ogni caso, la finanziaria deve prima ottenere un titolo ed eseguire legalmente: non può venire arbitrariamente a prendersi la merce (sarebbe reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni). Dunque, se ancora non c’è un atto del giudice, quelle sono pressioni. Una volta in possesso di un titolo (decreto ingiuntivo non opposto ad esempio) e precetto, possono incaricare l’ufficiale di pignorare. Tu potrai eventualmente opporre l’impignorabilità di certi beni davanti al giudice. Occhio che se i macchinari sono in leasing o con riserva di proprietà, in quei casi sì che la finanziaria può riprenderseli direttamente risolvendo il contratto, perché non sono giuridicamente tuoi finché non finisci di pagarli.
D: Ho una sola casa dove vivo con la famiglia. Possono pignorarmela per i debiti del negozio?
R: Sì, purtroppo sì per i creditori privati, no (in parte) per il Fisco. Mi spiego: se i debiti sono con banche, fornitori, persone, non c’è alcuna esenzione per la prima e unica casa. Quel beneficio (introdotto nel 2013) vale solo per i crediti riscossi da Agenzia Entrate-Riscossione: l’ente pubblico non può ipotecare/pignorare l’unico immobile di residenza del debitore se non superano certe soglie . Ma un creditore normale (banca, ecc.) può eccome iscrivere ipoteca giudiziale e procedere a pignoramento della tua abitazione anche se ci vivi e non hai altri alloggi. I giudici vendono case all’asta per soddisfare crediti, con l’unica accortezza che se è abitata dal debitore, di solito c’è da aspettare il decreto di trasferimento e eventuali proroghe per liberarla (ma nulla di insormontabile). Quindi, se la casa è l’unico bene di valore e i debiti sono grandi, realisticamente i creditori tenteranno di aggredirla. Cosa fare in tal caso? Spesso l’unica via è tentare di rifinanziare o ristrutturare il debito prima che arrivino a venderti la casa. Ad esempio, vendere tu la casa sul mercato libero (a prezzo migliore dell’asta) e usare il ricavato per pagare i debiti – magari rimettendoti qualcosa in tasca per ricominciare. Oppure proporre un piano di concordato/sovraindebitamento in cui la casa viene messa in vendita controllata e i creditori prendono il ricavato. Queste soluzioni sono più dignitose e talora più convenienti per tutti rispetto all’esecuzione forzata. Attenzione: se la casa è cointestata con un coniuge non debitore, pignoreranno solo la tua quota (ma poi il giudice può disporre la vendita dell’intero e dare al coniuge la metà del ricavato). Quindi non è un gran scudo la cointestazione. Alcuni costituiscono un fondo patrimoniale sulla casa: come detto, per debiti di impresa questa protezione è quasi fittizia, i creditori possono iscrivere ipoteca e agire se provano che il debito era per scopi estranei ai bisogni familiari e che tu l’hai contratto sapendo di nuocere alla famiglia (onere della prova tuo, peraltro) . E per debiti sorti prima della costituzione del fondo, l’esecuzione è ammessa senz’altro. Quindi non fare troppo affidamento sul fondo patrimoniale in tali casi.
D: Quanto tempo durano i debiti? C’è una prescrizione che li estingue automaticamente?
R: I debiti scaduti hanno tutti un termine di prescrizione oltre il quale il creditore non può più legalmente esigerli, se il debitore eccepisce la prescrizione. Per i debiti tipici di un negozio: i crediti commerciali di fornitori generalmente hanno prescrizione ordinaria 10 anni (art. 2946 c.c.), salvo che riguardino forniture periodiche (ma in genere no, la fornitura di merci è contratto singolo). I debiti bancari (mutui, finanziamenti) anche 10 anni dopo la scadenza o dopo la decadenza dal termine. I debiti derivanti da cambiali 3 anni dopo scadenza del titolo (salvo atti interruttivi), assegni 6 mesi per protesto e poi azione causale 10 anni. I debiti da affitto di locali commerciali 5 anni per ogni canone. Debiti da lavoro (stipendi) 5 anni. Debiti tributari variano: per imposte come IRPEF, IVA, la cartella esattoriale si prescrive in 10 anni di regola (alcune in 5 se non riscosse via ruolo), le multe auto 5 anni, i contributi INPS 5 anni, etc. Quindi c’è una varietà, ma diciamo molti debiti si prescrivono in 10 anni se il creditore non fa nulla. Il problema è che basta un atto (una raccomandata di messa in mora, una notifica di atto giudiziario, ecc.) per interrompere la prescrizione e farla ripartire da capo (art. 2943 c.c.). Nella pratica, i creditori attivi non lasciano decorrere il termine: prima che scada ti manderanno qualcosa per interrompere. Ad esempio, Equitalia (AER) manda intimazioni ogni tot anni per non far prescrivere le cartelle. Quindi non è saggio contare sull’oblio decennale. Se però un creditore per caso dorme per anni, il debito può divenire non più esigibile in giudizio. Tieni presente inoltre che dopo che un creditore ha ottenuto un titolo (sentenza o decreto), quel titolo vale 10 anni rinnovabili con atti esecutivi (che interrompono). Quindi i tempi possono allungarsi moltissimo. In sintesi: la prescrizione esiste ma raramente “matura” in favore del debitore a meno di creditori negligenti. Se pensi che un debito sia prescritto, devi eccepirlo tu eventualmente in giudizio: non è automatico, va fatto valere come difesa.
D: Ho paura di essere dichiarato fallito. Cosa comporta per me personalmente il fallimento?
R: Se sei un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile e vieni dichiarato in liquidazione giudiziale (fallimento), le conseguenze principali sono: la perdita dell’amministrazione e disponibilità dei tuoi beni (li gestirà il curatore), l’apertura di un procedimento giudiziario dove i creditori insinuano i crediti e i beni vengono liquidati. A livello personale: non puoi pagare i creditori fuori dal fallimento, non puoi disporre liberamente del tuo patrimonio; inoltre, la sentenza di fallimento comporta alcuni effetti limitativi: decadono eventuali tuoi poteri di amministratore in altre società, non puoi ricoprire cariche pubbliche, il tuo nome viene pubblicato nel registro fallimentare. Non puoi iniziare una nuova attività d’impresa se non in forma di dipendente o con autorizzazione del giudice (durante la procedura). Il curatore può sentirti per chiarimenti e devi cooperare (il reato di bancarotta scatta se nascondi beni o documenti). I creditori durante il fallimento non possono più agire in proprio, devono aspettare la ripartizione. Dal tuo punto di vista, il lato positivo è che alla fine – se hai agito onestamente – potrai chiedere l’esdebitazione e liberarti dai debiti rimasti . Finché la procedura è pendente, è un periodo un po’ pesante: tipicamente dura qualche anno. Post-fallimento, per qualche anno residuo potresti avere delle restrizioni (la legge fall. prevedeva 5 anni di divieto di assumere cariche societarie, ma col CCII queste misure sono modulate caso per caso). In sostanza, il fallimento è un evento invasivo ma non “fine vita”: è pensato per chiudere una partita con i creditori e poi darti modo di ripartire pulito (grazie all’esdebitazione). Ovviamente è meglio evitarlo se ci sono alternative, sia per la tua reputazione sia perché in procedure concordate potresti salvare l’impresa (mentre col fallimento l’impresa è in genere compromessa definitivamente).
D: Che differenza c’è tra il concordato preventivo e il piano di sovraindebitamento?
R: In termini semplici: il concordato preventivo è per imprese “fallibili” più grandi, il piano di sovraindebitamento è per soggetti più piccoli o persone fisiche. Operativamente, un piano di sovraindebitamento del consumatore non richiede il voto dei creditori (decide il giudice) e l’intera procedura è più snella e calibrata su situazioni di modesta dimensione; il concordato invece comporta voto delle categorie di creditori, presenza di un commissario, regolamentazione più complessa perché coinvolge spesso centinaia di creditori e importi significativi. Ad esempio, un negoziante con €300k debiti totali probabilmente userà la procedura di sovraindebitamento (se non fallibile) per proporre un piano al giudice; un’azienda con €3 milioni di debiti farà un concordato preventivo. Dal lato dei risultati: entrambi mirano a ridurre i debiti e soddisfarli parzialmente in modo ordinato, e in entrambi i casi c’è protezione dalle azioni esecutive durante la procedura. Il concordato però è pubblico e le informazioni circolano (forse sul bollettino dei fallimenti, etc.), il piano di sovraindebitamento è meno noto e coinvolge solo i creditori noti. Inoltre, nel piano del consumatore il giudice valuta la meritevolezza (se uno è “colpevole” di essersi indebitato, rischia il rigetto); nel concordato l’analisi è più economica (fattibilità e convenienza per creditori, la “colpa” dell’imprenditore non è oggetto di giudizio se non per eventuali reati).
D: Ho garantito con fideiussione i debiti del negozio (società) verso la banca. La società sta andando in liquidazione (o fallirà). Io come garante posso fare qualcosa per non pagare tutto?
R: Quando scatta l’inadempimento della società, la banca chiamerà te come fideiussore a pagare l’intero importo garantito. Purtroppo la fideiussione tipica è “a prima richiesta e rinuncia al beneficio di escussione ex art. 1944 c.c.”, quindi la banca non deve nemmeno escutere prima la società: può venire direttamente da te. Come garante potresti verificare se la fideiussione rilasciata contiene clausole nulle (es. quelle censurate da Banca d’Italia nel 2005 – clausole di reviviscenza, ecc. – se coincidono potresti far causa per nullità parziale). Ci sono state cause su questo, con alterne fortune. Ma supponendo che la fideiussione regga, la banca ottiene un decreto e può agire sul tuo patrimonio personale (casa, conto, stipendio). Cosa puoi fare: se l’importo è enorme e tu da solo non riesci, potresti inserire questo debito in una procedura di sovraindebitamento a tuo nome (come consumatore, perché la fideiussione per debito altrui rientra tra i tuoi debiti personali) . Per esempio, se la banca vuole 200.000€ e tu hai solo una casa che ne vale 100.000, puoi proporre un piano in tribunale offrendo la vendita della casa e liberandoti del resto del debito. Oppure tentare un accordo a saldo e stralcio con la banca prima che proceda: spesso se la società fallisce, la banca insinua il credito nel fallimento e contemporaneamente tratterà con te; se può recuperare qualcosa in fallimento (tipo 20%) e tu offri un altro 30% immediato, potrebbe accettare e liberarti. In sintesi, come garante hai le stesse tutele di un debitore principale: negoziazione o procedure concorsuali personali. Non c’è uno scudo automatico salvo casi limite (fideiussione nulla per antitrust). Tieni presente: se paghi tu come garante, subentri nel credito verso la società (surroga), quindi potresti insinuarti nel fallimento della società e recuperare qualcosa in riparto (magari poco). Ma almeno eviti azioni peggiori (pignoramenti) se trovi un accordo.
D: Conviene chiudere la partita IVA e aspettare che i debiti cadano in prescrizione?
R: Chiudere la partita IVA può essere un passo da fare se l’attività non è più sostenibile, ma non fa sparire i debiti . Come spiegato, i crediti di fornitori, banche, Fisco restano verso di te (impresa individuale) o verso la società (che andrà liquidata). I creditori possono proseguire azioni anche dopo la cessazione, purché entro i termini di legge. Sperare poi nella prescrizione è rischioso: spesso i creditori non si dimenticano di somme importanti, e come detto basta una diffida per interrompere il termine. Nel frattempo, dopo aver chiuso l’attività, i debiti possono crescere di interessi e sanzioni. Inoltre, una volta chiusa l’attività, perdi la possibilità di generare utili per pagarli e “dar loro meno argomenti”: paradossalmente, se rimani in attività potresti convincere alcuni creditori che vendendo e guadagnando li pagherai in parte, se chiudi ufficialmente, loro penseranno che non vedranno più nulla e possono accelerare le azioni. Quindi chiudere per scomparire funziona solo se sei nullatenente e conti che nessuno ti insegua (ma ad es. per debiti fiscali lo Stato continuerà a cercarti per decenni). Meglio: se decidi di cessare, fallo integrando una strategia: ad esempio, chiudi e contestualmente avvia una procedura di sovraindebitamento per ripulire la situazione in modo legale. Oppure chiudi e cerca un saldo e stralcio con i principali creditori con quel poco che ricavi vendendo le rimanenze. Non lasciare tutto al caso. Se invece conti su una prescrizione, assicurati di conoscere i tempi e di evitare interruzioni, ma per farlo dovresti restare irreperibile per anni, il che non è facile (ormai con la PEC, la residenza digitale, i creditori riescono a notificare atti).
D: I debiti mi stanno togliendo il sonno. Vale la pena fare queste procedure (piano, liquidazione) o è meglio far finta di niente finché posso?
R: Comprensibilmente, affrontare procedure giudiziarie fa paura e può sembrare meglio “tirare avanti”. Tuttavia, fingere che il problema non esista raramente funziona: i debiti seri raramente spariscono da soli, anzi tendono a peggiorare. Se sei insolvente e non fai nulla, vivrai continuamente sotto la minaccia di cause, pignoramenti, ufficiali giudiziari alla porta, conti bloccati – una situazione che sicuramente toglie il sonno e inoltre paralizza qualsiasi possibilità di ripresa economica. Invece, aderire a una procedura legale di composizione della crisi ti dà un percorso definito, con un inizio e (soprattutto) una fine, in cui sai che dopo potrai ricominciare senza quell’enorme fardello. Certo, è impegnativo: dovrai mettere carte in tavola, forse perdere beni, accettare restrizioni. Ma sei protagonista della soluzione, non una preda passiva. Pensa anche alla tranquillità mentale: molti riferiscono che, una volta avviata formalmente la procedura (con il supporto di professionisti), provano un sollievo perché sanno di aver preso il toro per le corna e di essere sotto una specie di “protezione” dell’autorità (nessuno li può più tormentare individualmente). Quindi, sì, vale la pena, se la situazione è grave, utilizzare questi strumenti. L’alternativa di prolungare l’agonia potrebbe portare addirittura a perdere più di quanto avresti perso attivandoti (esempio: per paura non chiedi concordato, poi un creditore ti fa fallire lo stesso ma in modo disordinato e finisci anche con azioni di responsabilità a tuo carico). In conclusione, affrontare i debiti in modo ordinato – sia stragiudiziale che giudiziale – è la via migliore per “difendersi” sul serio, perché ti consente di controllare il danno, ridurlo e infine eliminarlo, pur con sacrifici.
Tabelle riepilogative
Di seguito proponiamo due tabelle riassuntive per fissare alcuni concetti chiave emersi:
Tabella 1 – Tipologia di creditore vs azioni e difese
| Tipo di credito | Azioni tipiche del creditore | Rischi per il debitore | Possibili difese del debitore |
|---|---|---|---|
| Fornitore commerciale | – Solleciti di pagamento e messa in mora. – Decreto ingiuntivo per fatture non pagate (ottenibile in ~1-2 mesi). – Precetto e pignoramento beni (merce, conto, ecc.). | – Interessi moratori elevati (D.Lgs 231/2002) e spese legali addebitate. – Sospensione forniture, rottura rapporto commerciale. – Pignoramento di merci e attrezzature del negozio o saldo di cassa/conti. – Eventuale azione revocatoria se hai pagato altri creditori preferendoli. | – Opposizione a decreto ingiuntivo entro 40 gg con eventuale richiesta di sospensione . – Trattativa: proporre un piano di rientro rateale o uno stralcio (pagare parte a saldo). – In extremis, includere il debito in un piano di sovraindebitamento o concordato preventivo (blocca azioni esecutive in corso). |
| Banca/Finanziaria | – Revoca fidi e richiesta rientro immediato del conto scoperto. – Decadenza dal termine nei mutui (se rate non pagate) e richiesta immediata intero capitale residuo. – Decreto ingiuntivo (spesso immediatamente esecutivo ex art. 50 TUB con estratto conto). – Esecuzione su immobili ipotecati (pignoramento immobiliare) e su garanti/fideiussori. – Segnalazione in Centrale Rischi Bankitalia e CRIF del debitore in sofferenza. | – Blocco dei conti aziendali (post revoca fidi). – Perdita liquidità e reputazione finanziaria (nessun altro concederà credito). – Pignoramento della casa o altri beni dati in garanzia (es. ipoteca) con aste giudiziarie. – Escussione dei fideiussori (che subiscono azioni sul loro patrimonio). – Potenziale azione penale per eventuali assegni scoperti o uso illecito fidi (capi di imputazione minori, es. art 646 c.p. se fraudolento). | – Mediazione civile obbligatoria prima di causa (ambito bancario): occasione per negoziare rinegoziazione mutuo o saldo a stralcio. – Opposizione a D.I. se ci sono contestazioni (anatocismo, usura, errori di calcolo), ottenendo eventualmente CTU per ricalcolo. – Consolidamento debiti: ricorrere a un nuovo finanziamento (se possibile) per chiudere l’esposizione a sconto. – Trattare un saldo e stralcio specialmente se il credito viene ceduto a società di recupero (che l’ha comprato a sconto). – Se minacciano escussione ipoteca: valutare vendita privata dell’immobile per estinguere debito (evitando asta). |
| Erario (Fisco) | – Iscrizione a ruolo e notifica cartella esattoriale (dopo mancato pagamento imposte, anche IVA/ritenute). – Applicazione interessi di mora e sanzioni amministrative automatiche. – Fermo amministrativo su veicoli per debito > €1.000 (dopo 30 gg preavviso). – Ipoteca legale su immobili per debito > €20.000 (preavviso 30 gg) . – Pignoramento presso terzi (conto corrente, affitto) o immobiliare senza passare dal tribunale (procedura esattoriale). – Possibile pignoramento stipendio/pensione nei limiti di legge. – Azione penale per omesso versamento IVA > soglia (€250k) o ritenute > soglia (€150k). | – Perdita disponibilità automezzo aziendale (fermo ACI, non circolante). – Iscrizione ipotecaria su beni immobili (complica vendita, credito privilegiato su immobile). – Prelievo forzoso dal conto corrente aziendale o personale (blocco importi fino a concorrenza debito). – Blocco di 1/5 di eventuali crediti verso clienti pubblici (es. se vanti crediti PA). – Difficoltà nell’ottenere il DURC regolare (impedisce lavori con PA, accesso a bonus ecc.). – Rischio di indagini penali per violazioni tributarie gravi, con eventuali sequestri penali. | – Autotutela/ricorso tributario: se il tributo non è dovuto o vizi procedurali, ricorrere entro 60 gg alla Commissione Tributaria e chiedere sospensione. – Rateizzazione: chiedere dilazione fino a 120 rate (10 anni) secondo normativa vigente , ottenendo sospensione di fermi/pignoramenti durante il piano. – Definizioni agevolate: aderire a rottamazione cartelle se aperta (stralcio sanzioni e interessi). Sgravi/sospensioni emergenziali: verificare normative (talvolta post-Covid ci sono state sospensioni pagamenti). – Nel penale: pagare prima del dibattimento per evitare condanna (causa estinguente reato omesso versamento se fatto nei termini). – Concordato preventivo o sovraindebitamento: includere il Fisco tra i creditori, prevedendo pagamento parziale (possibile falcidia di IVA/ritenute solo in concordato preventivo in continuità, non liquidatorio; in sovraindebitamento falcidia IVA ammessa, ritenute no). Durante procedure concorsuali, Agenzia Riscossione sospende azioni esecutive. |
| Contributi previdenziali (INPS) | – Avviso di addebito immediatamente esecutivo (funziona come cartella) per contributi non versati. – Stesse azioni esecutive dell’Agente Riscossione (fermi, ipoteche, pignoramenti) delegate all’Agente. – Eventuale denuncia penale per omesso versamento contributi dipendenti > €10.000 annui (reato). – Escussione di eventuali fideiussioni se presenti (raramente per contributi). | – Aggressione del patrimonio simile al Fisco: ipoteche su immobili, fermi su auto, pignoramenti conti. – Impedimenti amministrativi: DURC irregolare (niente appalti pubblici, ecc.), possibili sanzioni interdittive per contributi non versati su lavoratori. – Azione penale: rischio di condanna a multa/reato penale, salvo pagamento integrale prima del giudizio. | – Ricorso amministrativo/giudiziale: se addebito errato (es. contributi prescritti 5 anni, calcoli sbagliati), fare opposizione ad avviso entro 40 gg al tribunale del lavoro o ricorso INPS. – Rateazione INPS: chiedere dilazione (fino a 72 rate standard, estensibile a 120 se grave crisi) analogamente a quelle fiscali. – Rottamazione: se ricompreso, aderire alle definizioni agevolate per stralciare sanzioni civili. – Transazione fiscale-previdenziale: nell’ambito di concordato o accordo ristrutturazione, includere debiti INPS (si possono falcidiare contributi solo in concordato in continuità, altrimenti vanno pagati privilegiati almeno in parte). INPS vota nei concordati tramite Agenzia Entrate (credito previdenziale va considerato privilegiato fino al 50% e chirografo per il resto). |
Tabella 2 – Confronto rapido: soluzioni stragiudiziali vs giudiziali
| Soluzione | Natura | Vantaggi | Svantaggi | Quando usarla |
|---|---|---|---|---|
| Accordo stragiudiziale individuale (piano di rientro, saldo e stralcio) | Volontario, privato tra debitore e singolo creditore. | – Rapido e flessibile: si adatta alle parti. – Non pubblico: preserva reputazione (nessun registro pubblico). – Evita costi legali prolungati. – Può prevedere riduzione debito (stralcio) immediata. | – Vincola solo il creditore aderente (gli altri possono agire comunque). – Nessuna protezione legale: se un creditore rompe l’accordo, bisogna ricominciare da capo. – Possibile “effetto domino”: altri creditori, saputo dell’accordo, accelerano azioni per non restare indietro. – Rischio di clausole sfavorevoli (poca supervisione: es. confessi importi non dovuti). | – Debito isolato con un creditore importante, mentre altri sono gestibili. – Stato di crisi iniziale, vuoi guadagnare tempo e mantenere rapporti (es. chiedi rate a fornitore storico). – Disponi di una somma liquida per convincere il creditore a fare stralcio e vuoi evitare procedure formali. |
| Negoziazione assistita / Mediazione | Volontaria o legale (mediazione) – paragiudiziale, con avvocati o mediatore. | – Coinvolge eventualmente più creditori in un tavolo unico (puoi invitare più parti in mediazione). – Sospende termini e azioni nel frattempo (in negoziazione assistita, le parti di norma congelano iniziative). – Ha l’intervento di terzi (mediator/avvocati) che facilitano accordo. – L’accordo raggiunto ha efficacia esecutiva (se fatto come previsto dalla legge). | – Se creditori non collaborano, è perdita di tempo e danaro (devono aderire volontariamente, salvo mediazione obbligatoria in alcune materie). – Non vincola i non partecipanti: creditori estranei possono continuare agire. – Richiede comunque spese (onorari mediatori, avvocati). – Formalismo: in mediazione obbligatoria, se creditore non compare spesso non succede nulla (solo condanna spese). | – Controversie specifiche (es. contestazione di interessi bancari, clausole): mediazione obbligatoria come occasione di accordo tecnico. – Molti creditori frammentati: negoziazione assistita multi-parte per cercare moratoria generale (funziona se creditori medio-piccoli, es. vari fornitori locali). – Come ultimo tentativo prima di attivare procedure giudiziali: tenti via bonaria strutturata per dire di averle provate tutte. |
| Composizione negoziata (per crisi d’impresa) | Volontaria, ibrida (procedura camerale con eventuali interventi giudice). | – Consente gestione riservata e stragiudiziale con supporto esperto indipendente. – Misure protettive possibili (blocco azioni esecutive su decreto tribunale). – Può sfociare sia in accordi privati sia in concorsuali semplificate (flessibile negli esiti). – Favorita da norme (es. contratti essenziali non si possono interrompere unilateralmente, finanziamenti durante negoziazione prededucibili ecc.). | – Applicabile solo a imprese (no consumatori puri). – Serve pagare costi di OCC e vari consulenti, non è gratuita.< – Se i creditori principali non collaborano, l’esperto ha poteri limitati (non può imporre tagli). – Durata breve (3+2 mesi proroghe): se crisi molto complessa, tempo insufficiente. | – Azienda con basi ancora valide ma crisi finanziaria temporanea: composizione per evitare fallimento e riprendere attività (es. shock esogeno: pandemia, aumento costi temporaneo). – Quando ci sono molti stakeholder (banche, fisco, fornitori) e si vuole una cabina di regia unica con figura terza. – Situazione non ancora compromessa al punto da richiedere liquidazione: scopo è il risanamento. |
| Procedure sovraindebitamento (piano del consumatore, accordo minore, liquidazione, ecc.) | Giudiziali (Tribunale) ma volontarie (il debitore propone o chiede). | – Offrono soluzione definitiva e legalmente garantita (dopo, i creditori non possono più chiedere altro). – Sospendono tutte le azioni esecutive individuali appena aperte . – Possibile riduzione forte del debito (anche esdebitazione totale incapiente ). – Regole chiare su cosa fare e tempi (anche se lunghetti). – Include anche i debiti erariali e previdenziali (possibile diluirli/falcidiarli con omologazione giudice). – Prevede assistenza di organismi specializzati (OCC) e controllo del giudice, quindi trasparenza e equità. | – Procedura pubblica (registro procedure concorsuali): una certa perdita di riservatezza. – Coinvolgimento di un giudice: decisioni non tutte nelle tue mani (specie piano consumatore: potere discrezionale valutazione meritevolezza). – Può essere rigettata se il giudice rileva atti in frode, documentazione incompleta, non sostenibilità piano, ecc. – Comporta sacrifici: piani pluriennali di pagamento con impegno di redditi futuri; liquidazione beni di proprietà; restrizioni di spesa per vivere solo con minimo necessario, ecc. – Durata: da pochi mesi (omologa piano) a qualche anno (esecuzione piano o vendite in liquidazione). Non è immediata la fine. | – Debiti totali insostenibili rispetto al patrimonio/reddito (insolvenza conclamata) – unico percorso per evitare pignoramenti a catena per tutta la vita. – Quando hai più tipi di debiti (banche, fisco, fornitori) e importo elevato e necessiti un reset generale col visto del tribunale. – Se vuoi cancellare i debiti residui dopo aver pagato il possibile (fresh start) e ricominciare pulito – specie in caso di cessazione attività. – In situazioni in cui i creditori non accetterebbero mai spontaneamente stralci forti: col giudice puoi imporli (piano cons) o forzarli con maggioranza (accordo). |
| Concordato preventivo (o accordo di ristrutturazione) | Giudiziale (Tribunale) su richiesta debitore fallibile. | – Potente stay legale: blocca subito istanze di fallimento e pignoramenti (presentando anche solo domanda riservata 44 CCII). – Consente di ristrutturare l’azienda: ad es. vendere rami d’azienda, cedere contratti onerosi, ridurre organico – tutto sotto protezione del tribunale e con alcune facilitazioni (es. scioglimento contratti previa autorizzazione). – I debitori possono ottenere tagli di debito significativi con il consenso delle maggioranze di creditori richieste. – Mantieni (in concordato in continuità) la possibilità di proseguire attività e magari salvare l’impresa e posti di lavoro. – Dopo l’omologa, sei esdebitato per la parte eccedente (società si libera, se persona fisica imprenditore, poi può chiedere esdebitazione persona nel chiusura fallimento se mai). | – Complesso e costoso: servono piani industriali, attestazioni di professionisti, spese di giustizia, commissario, legali… sostenibile di solito per imprese medio-grandi.<br>– Tempi medio-lunghi per omologa (mesi o un anno+). – Esito incerto: i creditori votano e potrebbero bocciare la proposta se la ritengono sconveniente; il tribunale può non omologare se la ritiene contraria a legge o in frode. – Durante la procedura c’è vigilanza: devi informare e far autorizzare alcuni atti dal giudice o commissario. Perdi parte dell’autonomia gestionale. – Richiede liquidità per gestione corrente: non puoi usare incassi per pagare vecchi debiti, ma devi onorare i nuovi (altrimenti salta la continuità). Spesso serve finanza aggiuntiva. | – Società o ditte fallibili con insolvenza ma ancora valore economico da salvare (marchio, avviamento, rete clienti) che andrebbe disperso in fallimento. – Quando un terzo è disposto a investire o rilevare l’azienda ma attraverso la procedura (es. concordato con assunzione da parte di investitore). – Debiti enormi rispetto ad attivo, ma creditori potrebbero essere più soddisfatti con piano ordinato (es. piccoli creditori prendono qualcosa subito vs. niente in fallimento). – Insomma, se l’azienda ha chance di turnaround o se vuoi evitare le conseguenze del fallimento (perdita totale controllo, possibili azioni di responsabilità dirette contro amministratori, etc.). |
| Liquidazione giudiziale (fallimento) | Giudiziale – processo concorsuale coatto su istanza creditori/PM o del debitore stesso. | – Libera il debitore imprenditore dal peso della gestione: passa tutto al curatore, tu non devi più occuparti di come pagare chi (anche perché non potresti). – Consolidamento delle azioni: in fallimento eventuali atti in frode possono essere annullati, asset occultati recuperati (vantaggio per creditori, che indirettamente può riflettersi su minor responsabilità tua se collabori). – Possibile esdebitazione persona fisica a fine procedura: se sei socio illimitato o ditta individuale, dopo la chiusura e soddisfatte formalità puoi essere perdonato dai debiti rimasti (purché cooperativo e meritevole). – Tempi di prescrizione si interrompono e iniziano procedure ordinarie: tu non gestisci più nulla, ma almeno sai che in X anni il fallimento si chiuderà e potrai eventualmente ripartire pulito. | – Perdita totale di disponibilità dei beni: non puoi disporre di nulla del tuo patrimonio fallito. – Stigma e limitazioni: iscrizione registro, se persona fisica alcuni diritti limitati (non puoi fare l’imprenditore per un periodo, ecc.). – Indagini approfondite su di te: il curatore e il giudice scrutinano conti e movimenti pregressi. Se emergono irregolarità, potresti subire azioni di responsabilità o denunce per bancarotta, ecc. – Tempi spesso lunghi (anche 5-10 anni) durante i quali la tua situazione è “congelata”. – Se sei socio di Srl, perdi l’azienda; se ditta individuale, perdi tutto l’avviamento e clientela; la continuità aziendale di solito cessa (tranne rari casi di esercizio provvisorio). Creditori chirografari spesso recuperano poco niente. | – Ultima ratio quando nessun’altra soluzione è praticabile o quando i creditori ti precedono (se arriva istanza e non puoi opporre nulla). – Se il debito supera di tanto l’attivo e non c’è più business, tanto vale un fallimento pilotato: chiudi e fai istanza tu stesso magari, per dimostrare buona fede, poi chiedi esdebitazione. – A volte necessario per attivare azioni che solo il curatore può fare: es. revocare pagamenti a terzi o far valere responsabilità di amministratori (in una società, i creditori optano per far fallire per permettere al curatore di agire contro soci o altri soggetti). – In alcuni casi, il fallimento può essere parte di strategia: ad es. fallimento società e concordato persone garanti, ecc., in quadro generale di soluzione. |
Conclusioni
Trovarsi con un negozio di casalinghi indebitato è una condizione che richiede coraggio e lucidità nell’affrontare i problemi finanziari. Abbiamo visto che esistono numerosi strumenti, da quelli informali a quelli giudiziali, per gestire e risolvere la crisi debitoria. Il filo conduttore è che il debitore ha comunque dei diritti e delle opportunità di difesa: non è mai totalmente in balia dei creditori, se agisce per tempo e nella legalità.
Un punto fondamentale emerso è la distinzione tra forme giuridiche: il titolare di una ditta individuale o società di persone purtroppo risponde illimitatamente e quindi deve mettere in conto anche sacrifici personali per risolvere i debiti . Un socio di S.r.l. invece ha la protezione del patrimonio personale, ma la sua azienda sarà soggetta alle procedure concorsuali ordinarie se insolvente, e lui potrà dover intervenire come garante. Conoscere queste differenze aiuta a capire quali beni possono essere toccati e quali no.
Dal punto di vista pratico, questa guida evidenzia alcuni consigli chiave:
- Non restare paralizzato: attivarsi presto, cercando dialogo con i creditori, magari con l’aiuto di un professionista, può spesso evitare che la situazione degeneri in cause e pignoramenti costosi.
- Documentare tutto e agire in buona fede: chi vuole accedere alle procedure di sovraindebitamento o semplicemente convincere i creditori della propria buona volontà deve poter mostrare conti chiari, bilanci, elenco debiti completo. Trasparenza genera fiducia con creditori e con l’eventuale giudice .
- Valutare le soluzioni legali disponibili: spesso il piccolo imprenditore teme il tribunale e preferisce soluzioni “artigianali”. Ma come abbiamo visto, gli accordi informali hanno dei limiti e, se il debito è grave, solo un quadro giuridico (piano omologato, ecc.) può dare certezza di ristoro e di chiusura definitiva del contenzioso. Non bisogna aver paura di parole come “fallimento” o “concordato”: sono strumenti, se ben usati, che possono persino salvare il salvabile e offrire una via d’uscita dignitosa.
- Evitare le scorciatoie illegali o ingannevoli: niente fughe all’estero dei beni, niente intestazioni fittizie a parenti – la legge e la giurisprudenza hanno meccanismi per vanificare queste mosse , e si rischia di complicare la posizione (anche penalmente). Molto meglio affrontare apertamente la crisi.
- Farsi assistere da consulenti esperti: un avvocato specializzato in diritto fallimentare, un commercialista esperto di crisi d’impresa o un OCC possono fare la differenza nell’imbastire una strategia vincente. Ad esempio, evitare errori tecnici che portano a rigetto di un piano (errori che – secondo le statistiche – sono la causa del 72% dei piani bocciati, come ricordato da una fonte ).
- Punto di vista del debitore, ma rispetto per i creditori: difendersi dai debiti non significa farla franca a spese altrui; le normative offrono sollievo al debitore onesto ma al contempo cercano di massimizzare la soddisfazione possibile dei creditori. Tenere un approccio corretto (non nascondere redditi, non favorire indebitamente qualcuno, ecc.) è premiante: il tribunale concederà più facilmente esdebitazione e i creditori saranno più propensi a transigere.
Infine, possiamo dire che la normativa italiana, soprattutto dopo le riforme del 2020-2022, è ormai al passo con gli standard europei nel consentire un fresh start all’imprenditore sfortunato . È importante quindi sfruttare queste possibilità con consapevolezza. Un negozio di casalinghi che ha accumulato debiti, forse a causa di crisi economiche o eventi imprevisti (come la pandemia citata in una nostra fonte ), non deve necessariamente chiudere nel peggiore dei modi o travolgere la vita del titolare per sempre. Ci sono vie per difendersi legalmente, ridurre il danno e, se possibile, ripartire.
In conclusione, il debitore – assistito dai suoi consulenti – dovrebbe impostare una strategia integrata: negoziare ove possibile, opporre resistenza legale ove vi siano torti evidenti, e concorsualizzare la crisi quando i debiti superano ampiamente le possibilità. Seguendo questo percorso, dal primo sollecito di un creditore fino alla chiusura di una procedura concorsuale con decreto di omologazione o esdebitazione, il titolare di un negozio potrà attraversare la tempesta dei debiti e giungere, a tempo debito, a un porto sicuro – che sia la salvaguardia dell’attività ristrutturata o quantomeno la liberazione personale dal peso dei debiti pregressi.
Hai un’attività di riparazione smartphone e dispositivi elettronici, o lavori come tecnico freelance nel settore dell’assistenza, e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai un’attività di riparazione smartphone e dispositivi elettronici, o lavori come tecnico freelance nel settore dell’assistenza, e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, solleciti di pagamento, o temi pignoramenti, fermi amministrativi o blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione o dei creditori?
👉 Prima regola: non ignorare la situazione.
Nel mondo dell’elettronica e della telefonia, anche un piccolo calo di incassi o una gestione fiscale errata possono creare debiti difficili da sostenere.
Con una difesa legale e fiscale mirata, puoi bloccare le azioni esecutive, ristrutturare i debiti e proteggere la tua attività di tecnico e la tua reputazione professionale.
⚖️ Le cause più comuni di indebitamento nei riparatori di smartphone
- Calo delle vendite o concorrenza crescente online.
- Costi elevati di affitto, energia e materiali di ricambio.
- Mancato versamento di IVA, IRPEF o contributi INPS.
- Errori nella gestione contabile o nelle dichiarazioni fiscali.
- Cartelle esattoriali e interessi di mora accumulati.
- Leasing o finanziamenti per l’acquisto di attrezzature e strumenti tecnici.
- Ritardi nei pagamenti da parte dei clienti o dei rivenditori.
📌 I rischi per un riparatore indebitato
- Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti o incassi POS.
- Fermi amministrativi su veicoli o mezzi di lavoro.
- Iscrizioni ipotecarie su locali o beni personali.
- Blocco dei crediti IVA o dei rimborsi fiscali.
- Revoca di linee di credito bancarie o blocco delle forniture.
- Rischio di chiusura o liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza.
🔍 Cosa fare subito
- Analizza la tua posizione debitoria, distinguendo tra debiti fiscali, contributivi e bancari.
- Verifica la legittimità delle cartelle e degli atti ricevuti, poiché molti contengono vizi o debiti prescritti.
- Blocca eventuali pignoramenti o ipoteche con ricorsi o istanze di sospensione.
- Richiedi una rateizzazione o valuta una definizione agevolata (“rottamazione”), se disponibile.
- Affidati a un avvocato tributarista esperto, per costruire una strategia di difesa e risanamento sostenibile.
🧾 Strumenti per difendersi e risolvere i debiti
💠 Rateizzazione delle cartelle
È possibile ottenere una rateizzazione fino a 120 rate mensili, evitando pignoramenti e sospendendo la riscossione.
💠 Definizione agevolata o “rottamazione”
Quando disponibile, consente di pagare solo l’imposta dovuta, eliminando sanzioni e interessi di mora.
💠 Istanza di autotutela o ricorso tributario
Permette di contestare cartelle o atti fiscali errati, bloccando la riscossione illegittima.
💠 Composizione negoziata della crisi
Uno strumento utile per negoziare con Fisco, banche e fornitori, salvaguardando la continuità dell’attività e sospendendo le azioni esecutive.
💠 Piano di risanamento personale o aziendale
Con una consulenza legale e contabile, puoi ristrutturare i debiti, ridurre i costi fissi e mantenere la tua attività operativa.
🛠️ Strategie di difesa per un riparatore di smartphone indebitato
- Analizzare ogni cartella o atto fiscale per verificare errori o prescrizioni.
- Contestare pignoramenti, ipoteche o fermi non legittimi.
- Dimostrare la crisi di liquidità temporanea per ottenere sospensioni o rateizzazioni.
- Attivare accordi di rientro con Fisco, banche e fornitori.
- Proteggere strumenti, attrezzature e dispositivi di lavoro da azioni esecutive.
- Migliorare la gestione fiscale e amministrativa per prevenire nuovi debiti futuri.
⚖️ Perché agire subito è fondamentale
Nel lavoro di riparatore, attrezzature e strumenti tecnici sono indispensabili per garantire l’assistenza ai clienti.
Un blocco dei conti o un pignoramento può interrompere l’attività e far perdere la clientela fidelizzata.
Agire tempestivamente ti consente di:
- Bloccare cartelle e pignoramenti.
- Difendere la tua attività e il tuo reddito.
- Rinegoziare i debiti e ridurre le somme dovute.
- Ripristinare equilibrio economico e serenità lavorativa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la tua situazione debitoria e gli atti notificati.
- 📌 Valuta la legittimità delle cartelle e la possibilità di sospensione o rateizzazione.
- ✍️ Predispone piani di risanamento, istanze di autotutela e ricorsi tributari personalizzati.
- ⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e alla Corte di Giustizia Tributaria.
- 🔁 Offre consulenza continuativa su fiscalità artigianale, tutela del patrimonio e gestione della crisi personale o aziendale.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
- ✔️ Specializzato nella difesa di riparatori, tecnici informatici e imprese di elettronica contro debiti fiscali e bancari.
- ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Un riparatore di smartphone con debiti può risollevarsi, ma solo agendo tempestivamente con l’assistenza di un professionista esperto.
Con una difesa legale e fiscale efficace, puoi bloccare cartelle e pignoramenti, ridurre l’esposizione debitoria e tutelare la tua attività e i tuoi clienti.
Agire oggi significa salvaguardare il tuo lavoro, la tua reputazione e il futuro della tua impresa di assistenza tecnica.
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