Calzolaio Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai un’attività di calzolaio con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Molti artigiani del settore calzaturiero e della riparazione scarpe si trovano oggi in difficoltà per costi crescenti, crisi dei consumi e controlli fiscali sempre più frequenti.
Gestire una piccola bottega artigiana non è semplice: bastano ritardi nei pagamenti, errori contabili o accertamenti IVA e IRPEF per trovarsi con cartelle esattoriali, pignoramenti o blocchi dei conti correnti.
Con una difesa legale e fiscale strutturata, è possibile bloccare la riscossione, rateizzare i debiti e difendersi da accertamenti infondati, salvaguardando la tua attività e i tuoi strumenti di lavoro.

Quando un calzolaio entra in difficoltà fiscale
Le cause più comuni che portano a debiti o accertamenti nel settore artigianale sono:

  • Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRPEF, contributi INPS o tasse comunali non versate;
  • Accertamenti fiscali per presunti ricavi non dichiarati o errori nelle dichiarazioni dei redditi;
  • Pignoramenti o ipoteche su conti correnti o beni aziendali;
  • Sanzioni e interessi che moltiplicano rapidamente l’importo del debito;
  • Ritardi nei pagamenti da parte della clientela o riduzione delle entrate;
  • Errori contabili o di gestione della partita IVA o del regime forfettario.

Cosa fare se la tua bottega ha debiti o è sotto accertamento fiscale

  1. Agisci subito: ogni cartella o accertamento deve essere contestato o rateizzato entro 60 giorni dalla notifica.
  2. Verifica la legittimità degli atti: molti accertamenti fiscali contengono vizi di notifica, errori di calcolo o motivazioni insufficienti, che consentono di ottenerne l’annullamento.
  3. Controlla l’importo effettivo del debito: spesso la cifra comprende sanzioni e interessi eccessivi, riducibili con la definizione agevolata.
  4. Richiedi la rateizzazione: puoi chiedere fino a 120 rate mensili, sospendendo le azioni di riscossione.
  5. Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se attiva, consente di pagare solo le imposte dovute, eliminando sanzioni e interessi.
  6. Impugna gli accertamenti infondati: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, puoi bloccare la riscossione e difenderti da richieste fiscali ingiuste.

Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nella difesa delle imprese artigiane può analizzare la tua posizione e predisporre una strategia mirata per ridurre o annullare i debiti fiscali.
Le azioni più efficaci comprendono:

  • contestare errori di notifica, motivazione o calcolo negli accertamenti e nelle cartelle;
  • chiedere la sospensione delle azioni di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche);
  • presentare ricorso contro accertamenti IVA o IRPEF basati su presunzioni o controlli automatizzati;
  • negoziare rateizzazioni o transazioni fiscali sostenibili con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
  • tutelare macchinari, attrezzature e strumenti di lavoro da pignoramenti o sequestri;
  • migliorare la gestione fiscale e contabile per evitare nuovi debiti futuri.

Il ruolo dell’avvocato nella difesa del calzolaio

  • Analizza la legittimità di accertamenti, cartelle e intimazioni di pagamento;
  • Presenta ricorsi e istanze di sospensione per bloccare la riscossione;
  • Negozia rateizzazioni e definizioni agevolate;
  • Difende l’artigiano nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
  • Protegge gli strumenti di lavoro e i beni aziendali da azioni esecutive;
  • Tutela la reputazione e la continuità della bottega artigiana.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

  • La sospensione immediata delle procedure di riscossione;
  • L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi;
  • La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute;
  • La protezione del patrimonio personale e professionale;
  • Il risanamento fiscale e la stabilità economica della tua attività.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti o sequestro degli strumenti di lavoro, compromettendo la possibilità di continuare a lavorare.
Molte situazioni, tuttavia, possono essere risolte o ridotte, se affrontate tempestivamente con una difesa legale e fiscale competente.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa fiscale delle imprese artigiane e dei piccoli laboratori – spiega cosa fare se sei un calzolaio con debiti fiscali o sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ristabilire la serenità economica della tua attività.

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Introduzione

Un calzolaio in difficoltà economica si trova a fronteggiare molteplici debiti, sia personali sia legati alla propria attività artigianale. Questa guida, aggiornata a settembre 2025, offre un approfondimento avanzato sulle strategie legali per gestire e difendersi dai debiti in Italia, con un focus sul punto di vista del debitore. Si rivolge ad artigiani, imprenditori, privati e professionisti (oltre che ai loro consulenti legali), adottando un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo. Verranno esaminati gli strumenti normativi di composizione della crisi da sovraindebitamento, le tutele offerte dalla legge (ad esempio esdebitazione, piani del consumatore, concordato minore), le procedure esecutive come i pignoramenti (immobiliari, mobiliari e presso terzi) e le relative difese. In aggiunta, proporremo domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche riferite all’ordinamento italiano. L’obiettivo è fornire al debitore – in questo caso il calzolaio indebitato – una mappa chiara di cosa fare e come difendersi efficacemente nel rispetto della normativa italiana vigente (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche, nonché altre leggi speciali). Tutte le fonti normative e giurisprudenziali più autorevoli utilizzate sono elencate in fondo alla guida, per garantire attendibilità e aggiornamento.

Tipologie di debiti e creditori di un calzolaio

Un calzolaio può contrarre debiti di diversa natura, riconducibili sia alla sfera privata sia a quella professionale. È utile distinguere le principali tipologie di debito e i relativi creditori, poiché ognuno segue regole di riscossione differenti:

  • Debiti fiscali (Erario): includono imposte come IRPEF/IRES, IVA e tasse locali (es. TARI). In caso di mancato pagamento, l’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia) procede con la riscossione coattiva mediante iscrizione a ruolo e notifica di cartelle esattoriali. Se il debito persiste, possono scattare misure come l’iscrizione di ipoteca sugli immobili (per debiti oltre €20.000) e il fermo amministrativo sui veicoli (per debiti da €1.000 in su). Infine, si può giungere al pignoramento di beni o crediti del debitore . Va evidenziato che la legge tutela in parte l’abitazione principale del debitore: l’agente della riscossione non può pignorare l’unico immobile adibito ad abitazione principale (prima casa non di lusso) del contribuente . In altre parole, il Fisco non può espropriare la prima casa se è l’unica proprietà del debitore, è la sua residenza anagrafica ed è di categoria non di lusso . Ciò rappresenta una garanzia minima abitativa voluta dal legislatore, ferma restando la possibilità per l’erario di iscrivere ipoteca su tale immobile per tutelare il credito (senza però poter procedere alla vendita forzata) . Per debiti tributari rilevanti (oltre €120.000) e in presenza di altri immobili di proprietà, l’espropriazione immobiliare diventa invece possibile secondo le norme del D.P.R. 602/1973 .
  • Debiti contributivi (INPS ed enti previdenziali): riguardano contributi obbligatori (ad esempio i contributi artigiani e commercianti INPS, o eventuali contributi dipendenti se il calzolaio ha personale assunto). La riscossione segue un percorso analogo a quello fiscale: l’INPS si avvale anch’essa dell’Agenzia Entrate Riscossione per emettere avvisi di addebito e cartelle. In caso di insolvenza, si applicano le stesse procedure coattive (fermo, ipoteca, pignoramento) con le medesime tutele (es. limite sulla prima casa). Anche le sanzioni civili per ritardo nel pagamento dei contributi possono accumularsi, aggravando l’esposizione debitoria.
  • Debiti bancari e finanziari: comprendono esposizioni verso banche o finanziarie, come mutui, prestiti personali, scoperti di conto corrente, leasing per macchinari, fidi e scoperti su carte di credito. Se il calzolaio ha ottenuto un mutuo ipotecario (ad esempio per l’acquisto del laboratorio o di un immobile), il mancato pagamento delle rate consente alla banca di avviare la procedura esecutiva immobiliare sul bene ipotecato (es. esecuzione forzata sull’immobile dato in garanzia). In caso di prestiti chirografari (senza garanzie reali), la banca dovrà munirsi di un titolo esecutivo (solitamente un decreto ingiuntivo non opposto o una sentenza) per procedere al pignoramento dei beni del debitore. Spesso, i contratti bancari prevedono clausole risolutive espresse: anche un breve ritardo può far decadere dal beneficio del termine e rendere l’intero debito immediatamente esigibile. Inoltre, il credito bancario insoluto viene segnalato nelle banche dati (es. CRIF) causando un deterioramento del rating creditizio del calzolaio, con impatto sulla sua capacità di ottenere nuovo credito. È frequente che i debiti bancari vengano ceduti a società di recupero crediti (c.d. NPL): queste ultime agiranno con solleciti e azioni legali analoghe per il recupero.
  • Debiti verso fornitori e altri creditori privati: si tratta dei debiti commerciali contratti nell’ambito dell’attività (es. forniture di pellami, cuoio, attrezzature, affitto del negozio) oppure di debiti personali verso privati (es. bollette non pagate, canoni, finanziamenti privati). I fornitori insoluti possono richiedere un decreto ingiuntivo dal tribunale presentando fatture non saldate o altri documenti probatori. Ottenuto il titolo esecutivo (decreto o sentenza), anche un creditore privato può attivare pignoramenti sui beni del calzolaio: pignoramento mobiliare presso l’esercizio (macchinari, scorte, arredamento del negozio), pignoramento presso terzi (somme dovute al calzolaio da clienti, oppure il conto corrente bancario) e pignoramento immobiliare (ad esempio sulla casa di proprietà, senza le restrizioni previste invece per il Fisco – i creditori privati possono teoricamente far vendere all’asta anche la prima casa, non trovando applicazione l’art. 76 DPR 602/1973 che vale solo per i crediti erariali ). Naturalmente, nella prassi i fornitori valutano costi/benefici di un’esecuzione immobiliare e spesso preferiscono aggredire conti correnti o attrezzature più facilmente liquidabili.
  • Debiti verso dipendenti o collaboratori: se il calzolaio ha alle proprie dipendenze apprendisti, commessi o collaboratori e non paga stipendi o TFR, i lavoratori possono agire legalmente (anche tramite sindacati) ottenendo decreti ingiuntivi per le somme dovute e privilegi sul TFR. Questi crediti godono di privilegio legale e, in caso di procedure concorsuali, sono soddisfatti con priorità. Il mancato versamento di retribuzioni o contributi può esporre l’imprenditore anche a sanzioni e, in casi gravi, a denunce (es. omesso versamento di ritenute previdenziali oltre soglie di punibilità).
  • Debiti personali extra-attività: un calzolaio è anche un privato cittadino, quindi potrebbe avere debiti personali come prestiti al consumo, rate per l’auto, carte di credito, debiti familiari (es. assegni di mantenimento all’ex coniuge, bollette domestiche arretrate, etc.). Tali debiti, pur non legati all’azienda, concorrono comunque alla situazione di sovraindebitamento complessiva. Ad esempio, se il calzolaio ha contratto debiti personali e allo stesso tempo debiti per la bottega, sarà rilevante capire se può accedere come consumatore o meno a determinate procedure (come vedremo più avanti).

Riepilogo in tabella – Principali debiti di un calzolaio e creditori coinvolti:

Tipo di debitoCreditori tipiciEsempi di importi dovutiStrumenti di riscossione
Fiscali e contributiviAgenzia Entrate Riscossione (Fisco, INPS)Imposte (IVA, IRPEF), contributi INPSCartella esattoriale, ipoteca, fermo auto, pignoramento
Bancari/finanziariBanche, società finanziarie, leasingRate mutuo, prestito, fido bancarioDecadenza dal termine, decreto ingiuntivo, pignoramento
Commerciali (fornitori, affitto)Fornitori materiali, locatore, serviziFatture fornitori, canoni locazioneDecreto ingiuntivo, pignoramento beni o crediti
Personali (consumo, bollette)Finanziarie consumo, privati, utenzeRate acquisto auto, bollette insoluteDecreto ingiuntivo (per somme rilevanti), distacco servizi (utenze)
Lavoro (dipendenti)Dipendenti, collaboratori, INAILStipendi non pagati, TFR, contributiDecreto ingiuntivo, privilegio su beni, denunce in casi estremi

Conseguenze del mancato pagamento e rischi per il debitore

Quando un calzolaio si trova nell’impossibilità di pagare i propri debiti alle scadenze, le conseguenze possono diventare gravose. Ogni categoria di creditore attiverà i rimedi legali disponibili per recuperare le somme, con tempistiche e modalità differenti. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere questi meccanismi per capire come difendersi. Esaminiamo le principali conseguenze:

  • Interessi moratori e sanzioni: Il primo effetto del ritardo è l’applicazione di interessi di mora e, per alcuni debiti, di sanzioni. Il Fisco applica interessi moratori sulle cartelle e sanzioni amministrative per omessi versamenti (in genere dal 30% in su, a seconda dei casi). Le banche possono applicare interessi di mora contrattuali elevati su rate non pagate. Fornitori spesso indicano in fattura interessi commerciali di mora (D.Lgs. 231/2002) in caso di ritardo. Questi oneri fanno lievitare il debito, aggravando il sovraindebitamento.
  • Messa in mora e solleciti: Prima delle vie legali, il debitore riceverà comunicazioni di sollecito. L’Agenzia Entrate Riscossione invia una “comunicazione di intimazione” dopo la cartella, intimando il pagamento entro 5 giorni. Banche e finanziarie inviano lettere di messa in mora, talvolta con toni formali (art. 1219 c.c.), avvertendo delle possibili azioni (ad esempio segnalazione in Centrale Rischi o avvio procedure legali). Anche i fornitori possono far inviare da legali diffide di pagamento. Ignorare questi solleciti può spingere i creditori ad accelerare sulle azioni esecutive.
  • Decadenza dal beneficio del termine: Nei contratti di finanziamento, il mancato pagamento di alcune rate spesso determina la decadenza dal beneficio del termine (DBT). Ciò significa che l’intero debito residuo diventa esigibile in un’unica soluzione. Ad esempio, saltare più di una rata di un prestito può portare la banca a richiedere immediatamente tutto il capitale residuo in una volta. Questo ovviamente peggiora la situazione del debitore, trovandosi richiesto di saldare importi ingenti in breve tempo.
  • Segnalazioni nelle banche dati creditizie: Un effetto collaterale importante è la segnalazione a sistemi come CRIF, Experian, Cerved ecc. Se il calzolaio ritarda il pagamento di finanziamenti, verrà classificato come “cattivo pagatore”. Questo pregiudica la reputazione creditizia, rendendo impossibile ottenere nuovi finanziamenti o fidi bancari. Anche dopo la regolarizzazione, le segnalazioni permangono per un certo periodo. Ciò blocca qualsiasi tentativo di rifinanziamento del debito tramite nuovi prestiti (una strada che talvolta i debitori esplorano, ma che diventa impraticabile se segnalati negativamente).
  • Decreto ingiuntivo e formazione del titolo esecutivo: Per i creditori non muniti di titolo (ad es. fornitori o banche per crediti chirografari), il passo necessario è adire il tribunale. Ottenere un decreto ingiuntivo richiede di provare il credito con documenti (fatture, estratti conto). Il decreto, se non opposto entro 40 giorni, diviene esecutivo. A quel punto il creditore potrà notificare al debitore l’atto di precetto (intimazione a pagare entro 10 giorni) e, decorso tale termine, avviare l’esecuzione forzata. Il debitore che ritenga inesistente o già pagato il debito può proporre opposizione al decreto (entro 40 giorni) o al precetto/pignoramento (opposizione esecutiva), ma deve averne fondati motivi giuridici. In mancanza di opposizione efficace, il titolo esecutivo legittima i creditori a pignorare i beni.
  • Pignoramento mobiliare: Consiste nel sequestro forzoso, a opera dell’ufficiale giudiziario, dei beni mobili del debitore. Un calzolaio potrebbe subire il pignoramento di beni presenti in negozio o in laboratorio: macchinari (es. la cucitrice professionale, i banconi da lavoro), scorte di pellame, merci in esposizione, arredi. Tuttavia, la legge tutela gli strumenti di lavoro indispensabili: grazie alle modifiche introdotte dal “Decreto del Fare” (L. 98/2013) gli utensili e beni indispensabili all’attività o mestiere sono pignorabili solo nei limiti di 1/5 del loro valore . In pratica, l’agente della riscossione (per i crediti erariali) o l’ufficiale giudiziario (per crediti privati) può pignorare solo una parte dei beni strumentali, lasciando al debitore gli altri per continuare l’attività . Questa limitazione opera però a condizione che gli altri beni del debitore siano insufficienti a saldare il credito . Ad esempio, se un calzolaio possiede 5 macchinari simili, al massimo 1 potrà essere pignorato (1/5), salvo che non vi siano altri beni aggredibili. Inoltre l’art. 515 c.p.c. tutela in genere gli attrezzi di lavoro, eccetto i casi in cui il creditore procede per il loro prezzo o per mutui contratti per acquistarli (in tal caso può pignorarli anche oltre il limite). Per i beni mobili non indispensabili, invece, non vi sono limiti: l’ufficiale giudiziario potrà pignorare ad esempio l’incasso in cassa, eventuali mobili non essenziali, o beni di valore presenti (televisori, computer non strettamente funzionali, etc.). Il pignoramento mobiliare viene trascritto in un verbale e i beni sono poi stimati e messi in vendita all’asta se il debitore non paga nel frattempo.
  • Pignoramento presso terzi: Avviene quando il creditore aggredisce crediti che il debitore vanta verso terze persone. I casi tipici sono due: conto corrente bancario e stipendi/somme dovute da terzi. Se il calzolaio ha disponibilità su conto corrente, il creditore (Fisco o privato) può notificare un atto di pignoramento alla banca: le somme presenti sul conto fino a concorrenza del credito diventano bloccate. La banca, come “terzo pignorato”, congela il saldo e rende una dichiarazione circa le somme disponibili. Dopo la pronuncia giudiziale di assegnazione, il denaro viene girato al creditore pignorante. Per i debiti fiscali, il DL 69/2013 ha esteso da 15 a 60 giorni il termine di efficacia del pignoramento presso terzi dell’ADER, dando più tempo al debitore per intervenire . Inoltre, sempre per i pignoramenti esattoriali, è previsto che l’ultimo stipendio accreditato sul conto corrente rimanga libero: se sul conto è confluita l’ultima mensilità di stipendio (o pensione) prima del pignoramento, essa non può essere toccata dall’atto di pignoramento fiscale . Ciò per garantire mezzi di sostentamento minimi al debitore. Attenzione: questa tutela dell’“ultimo emolumento” vale solo per l’esecuzione esattoriale; nel pignoramento presso terzi ordinario (tra privati), attualmente la prevalente interpretazione consente di pignorare le somme sul conto anche se provenienti da stipendio, salvo il limite di impignorabilità relativo al minimo vitale della pensione (vedi oltre). L’altro caso di pignoramento presso terzi è il pignoramento dello stipendio o altri crediti che il calzolaio deve ricevere da qualcuno. Se, ad esempio, il calzolaio svolge anche un secondo impiego come lavoratore dipendente part-time, il creditore potrebbe pignorare il suo stipendio presso l’azienda per cui lavora. Oppure, se il calzolaio ha ceduto dei macchinari a un terzo ma attende ancora il pagamento, quel credito può essere pignorato dal creditore procedente. Si noti che se il debitore è coniugato in regime di comunione legale, i creditori possono aggredire anche i beni comuni o i conti cointestati per la quota spettante al debitore, con alcune particolarità procedurali.
  • Pignoramento di stipendi, salari o pensioni: Quando il debitore percepisce uno stipendio o una pensione, la legge fissa rigorosi limiti alla pignorabilità di queste entrate, per assicurare mezzi di sostentamento. In generale, sia per esecuzioni ordinarie che esattoriali, il tetto massimo pignorabile dello stipendio/pensione è un quinto del netto mensile (20%). Tuttavia, se coesistono più pignoramenti (es. uno per crediti alimentari e uno per crediti ordinari), possono cumularsi entro il limite della metà dello stipendio. Per i pignoramenti presso terzi esattoriali, esistono scaglioni più favorevoli per i debitori con redditi bassi: 1/10 dello stipendio se l’importo netto è fino a €2.500, 1/7 se tra €2.501 e €5.000, e 1/5 sopra €5.000 . Ad esempio, con uno stipendio di €1.500, l’ADER potrà trattenere al massimo €150 al mese (1/10) mentre un creditore privato potrebbe chiederne €300 (1/5) . Per le pensioni, la legge tutela inoltre una soglia minima impignorabile, il cosiddetto “minimo vitale”: è impignorabile una somma pari a 1,5 volte l’assegno sociale (nel 2025 circa €750) della pensione, e solo la parte eccedente tale importo è pignorabile nei limiti di un quinto. Ad esempio, se un pensionato percepisce €1.000 mensili, la parte fino a €750 è intoccabile e solo i restanti €250 possono essere considerati per calcolare il quinto (quindi massimo ~€50 pignorabili al mese in tal caso). Queste regole intendono evitare che l’esecuzione privi il debitore di mezzi per vivere dignitosamente.
  • Ipoteche e azioni conservative: Prima ancora del pignoramento, alcuni creditori possono tutelarsi iscrivendo ipoteca sui beni immobili del debitore. L’ipoteca è frequente nel caso del Fisco (che può iscrivarla su immobili per debiti sopra €20.000 ) o delle banche (in forza di contratto di mutuo o anche con decreto ingiuntivo su immobile libero da vincoli). L’ipoteca non espropria il bene, ma lo vincola: al momento della vendita volontaria, il ricavato deve prima soddisfare il creditore ipotecario. Per il debitore, subire un’ipoteca riduce il valore commerciale dell’immobile e complica l’accesso al credito (comparendo nelle visure). Altre azioni conservative includono il sequestro conservativo (ordinato dal giudice su istanza del creditore, se c’è pericolo nel ritardo, per “congelare” beni in attesa di giudizio) o il pignoramento “pro forma” su beni specifici per prevenire la loro alienazione.
  • Procedura concorsuale (fallimento/liquidazione giudiziale): L’evento più grave è la dichiarazione di fallimento (ora denominata “liquidazione giudiziale” nel nuovo Codice della crisi d’impresa) del debitore. Questo può avvenire se il calzolaio possiede i requisiti di imprenditore commerciale assoggettabile a fallimento e versa in stato di insolvenza. Occorre chiarire che i piccoli imprenditori sotto determinate soglie non possono essere dichiarati falliti: la legge qualifica come “impresa minore” quella che nei tre esercizi precedenti non ha superato congiuntamente tre limiti dimensionali – attivo patrimoniale €300.000, ricavi lordi €200.000, debiti (anche non scaduti) €500.000 . Gli artigiani, tipicamente, rientrano in queste soglie (specie un calzolaio con bottega di quartiere) e sono dunque considerati “non fallibili” . In tal caso, i creditori non potranno chiedere il fallimento dell’imprenditore, e dovranno limitarsi alle azioni esecutive individuali. Se invece l’attività del calzolaio ha dimensioni sopra soglia (ipotesi rara ma non impossibile, ad es. un calzolaio con diversi punti vendita, dipendenti e fatturati elevati), egli potrebbe essere soggetto a fallimento su istanza dei creditori o propria. La liquidazione giudiziale comporta la spossessione dei beni, la nomina di un curatore e il consolidamento di tutte le azioni esecutive in un’unica procedura concorsuale. Va sottolineato che, con la riforma del Codice della crisi (D.Lgs. 14/2019), il termine “fallimento” è stato sostituito proprio da “liquidazione giudiziale” per attenuarne lo stigma e allinearsi al linguaggio europeo. Ad ogni modo, per il debitore l’effetto è simile: perdita della disponibilità del patrimonio, blocco delle azioni individuali e formazione della massa fallimentare per pagare i creditori secondo l’ordine dei privilegi. Il fallimento di un piccolo imprenditore individuale era un’eventualità prima rara grazie alle esenzioni per gli “imprenditori minori”; oggi rimane generalmente esclusa per il calzolaio artigiano sotto soglia, ma qualora accadesse (perché sopra soglia o perché operante tramite una società fallibile), rappresenta lo scenario più estremo della crisi debitoria.

In sintesi, il mancato pagamento dei debiti espone il calzolaio a una cascata di effetti negativi: economici (interessi, maggiorazioni, costi legali), giuridici (cause, pignoramenti, possibili procedure concorsuali) e personali (stress, reputazione compromessa, rischio di perdere beni). È cruciale, per “difendersi”, conoscere quali tutele offre la legge al debitore e quali strumenti esistono per risolvere o attenuare la crisi debitoria. Nel prosieguo vedremo come affrontare la situazione, analizzando dapprima le soluzioni stragiudiziali (accordi, piani di rientro) e successivamente le procedure legali di composizione della crisi da sovraindebitamento e altre forme di tutela del patrimonio.

Strumenti stragiudiziali per gestire i debiti (negoziazione e accordi)

Prima di ricorrere ai tribunali, un debitore in difficoltà dovrebbe valutare le soluzioni stragiudiziali, ovvero accordi e strumenti volontari di ristrutturazione del debito. Tali strumenti consentono, laddove vi sia collaborazione dei creditori, di evitare sia i costi e i tempi delle procedure formali sia le conseguenze gravose delle esecuzioni forzate. Ecco le principali opzioni a disposizione di un calzolaio indebitato per gestire la propria esposizione fuori dalle aule di giustizia:

1. Rinegoziazione e piani di rientro con i creditori: La via più immediata è contattare i creditori e proporre un piano di rientro sostenibile, ossia una dilazione del debito. Molti creditori preferiscono spesso recuperare gradualmente il dovuto anziché affrontare l’incertezza e i costi di azioni esecutive. Ad esempio, il calzolaio potrebbe concordare con un fornitore di pagare un vecchio debito di €5.000 in 10 rate mensili da €500 l’una. È consigliabile formalizzare tali accordi per iscritto, magari con l’assistenza di un legale, per evitare fraintendimenti. Un piano di rientro contrattato privatamente sospende di solito le iniziative legali dei creditori, a patto che il debitore rispetti le rate convenute. Attenzione: la rateizzazione privata non estingue il debito originario, ma ne fraziona il pagamento; se il debitore manca alle nuove scadenze, il creditore potrà agire (eventualmente utilizzando l’accordo come prova dell’ammissione del debito). È buona pratica dunque proporre piani realistici, basati sulle effettive capacità finanziarie del negozio.

2. Saldo e stralcio del debito: Il saldo e stralcio è un accordo transattivo in cui il creditore accetta di chiudere la posizione debitoria a fronte del pagamento immediato di una percentuale del debito, rinunciando al restante. Tipicamente, i creditori accettano il saldo a stralcio quando temono di non riuscire altrimenti a recuperare il credito intero (magari perché il debitore è in crisi conclamata) oppure quando vogliono incassare velocemente almeno una parte. Esempio pratico: il calzolaio ha un debito di €10.000 con una banca derivante da scoperto di conto; propone di versare €4.000 in un’unica soluzione entro 30 giorni, a titolo di saldo e stralcio, e la banca rinuncia al resto di €6.000. Se la banca valuta che in caso di esecuzione forzata potrebbe recuperare ancora meno (magari perché il debitore non ha beni aggredibili), potrebbe accettare l’offerta. È essenziale in tal caso farsi rilasciare una quietanza liberatoria che attesti il pagamento a saldo e l’impegno a non avanzare ulteriori pretese. Il saldo e stralcio è comune con banche/finanziarie e con società di recupero crediti (che acquistano i crediti deteriorati spesso a valori bassi, e quindi possono chiudere con il debitore a cifre inferiori al nominale). Anche fornitori o privati talvolta accettano stralci, specie se la controparte offre un pagamento immediato di una porzione significativa. Dal lato del debitore, raccogliere la liquidità per un saldo e stralcio non è semplice, ma può intervenire un aiuto familiare o la vendita di un bene non essenziale per ottenere la somma transattiva. Va considerato che l’eventuale abbattimento del debito ottenuto con saldo e stralcio potrebbe avere rilevanza fiscale (in teoria la parte di debito abbonata dal creditore potrebbe configurare sopravvenienza attiva tassabile per il debitore, seppur spesso ciò non venga applicato in caso di persona fisica non in contabilità).

3. Rateizzazione delle cartelle esattoriali: Per i debiti fiscali e contributivi, esiste la possibilità di chiedere un pagamento dilazionato direttamente all’Agente della Riscossione, prima che scatti l’esecuzione forzata. Questa è una procedura amministrativa semplificata: presentando istanza di rateizzazione, si blocca ogni azione esecutiva purché si rispettino le rate concesse. Attualmente (anche alla luce della riforma della riscossione in vigore dal 2025) le regole di rateazione prevedono: fino a 84 rate mensili (7 anni) con una semplice richiesta se il debito totale per cui si chiede dilazione è ≤ €120.000 . In situazioni di temporanea difficoltà economica, il contribuente può ottenere un piano lungo fino a 120 rate (10 anni) fornendo documentazione della grave e comprovata difficoltà . Le novità normative (D.Lgs. 110/2024 attuativo della riforma fiscale) prevedono un ampliamento graduale: ad esempio per richieste presentate nel 2025-2026 si arriva a 84 rate senza condizioni, mentre per importi maggiori o con comprovata difficoltà si può salire a 120 rate sin da subito . Importante: presentare domanda di rateazione implica il riconoscimento del debito ex art. 19 D.P.R. 602/1973 e interrompe i termini di prescrizione , ma d’altra parte consente di evitare pignoramenti: l’ADER non procede ad esecuzioni finché il piano di rate è attivo e in regola. Bisogna però rispettare le scadenze: con 8 rate non pagate, anche non consecutive, si decade dalla dilazione (il cosiddetto “decadenza dalla rateazione”) e l’intero importo residuo torna immediatamente esigibile . Nel caso di decadenza, difficilmente si otterrà una nuova dilazione. Dunque, è uno strumento utile ma da usare con prudenza, assicurandosi di poter adempiere al calendario di pagamento. Per un calzolaio con debito fiscale, poter spalmare ad esempio €12.000 in 72 rate mensili da circa €167 può fare la differenza tra il default e la sostenibilità finanziaria.

4. Definizioni agevolate, “rottamazione” e stralcio di cartelle: Negli ultimi anni, il legislatore fiscale ha introdotto strumenti straordinari per alleggerire il carico delle cartelle esattoriali. Si ricordano le varie edizioni della “rottamazione delle cartelle” (rottamazione-ter nel 2018, rottamazione-quater avviata con la Legge di Bilancio 2023) che consentono di pagare le somme iscritte a ruolo senza sanzioni e interessi di mora, oppure il “saldo e stralcio” dei carichi per contribuenti in difficoltà (misura una-tantum del 2019 riservata a persone fisiche con ISEE basso) che ha permesso a taluni di chiudere i debiti fiscali pagando solo una percentuale ridotta del dovuto. Ad esempio, con la rottamazione-quater (art. 1 commi 231-252 L.197/2022) un artigiano poteva estinguere i debiti affidati all’Agente riscossione dal 2000 al 30/6/2022 pagando solo l’imposta e l’aggio, ma non le sanzioni e gli interessi, con possibilità di diluire il pagamento fino a 18 rate in 5 anni. Tali misure hanno scadenze e requisiti specifici dettati dalla legge di volta in volta. A settembre 2025, ad esempio, è in corso la definizione agevolata 2023 (rottamazione-quater) le cui prime rate sono dovute tra il 2023 e 2024. Il calzolaio interessato deve monitorare queste opportunità: quando aperte, presentare domanda entro i termini e rispettare i pagamenti previsti, poiché la decadenza dalla rottamazione reintroduce il debito originario con sanzioni. Non è garantito che simili misure vengano prorogate, ma la prassi recente mostra frequenti interventi legislativi in tal senso. Un capitolo particolare è il “stralcio” automatico dei mini-debiti: la L.197/2022 ha previsto l’annullamento d’ufficio dei debiti fino a €1.000 affidati dal 2000 al 2015. Dunque, piccoli importi su vecchie cartelle potrebbero essere cancellati senza azione del debitore. In generale, queste definizioni agevolate sono strumenti legislativi straordinari per dare respiro ai contribuenti sovraindebitati con il Fisco, e vanno colte quando disponibili.

5. Consolidamento dei debiti o rifinanziamento: Questa opzione consiste nel tentare di rifinanziare il debito esistente con un nuovo prestito a condizioni più gestibili. Ad esempio, il calzolaio potrebbe chiedere un prestito di consolidamento ad una banca: la banca salderebbe tutti i vari debiti (banche, fornitori) e il calzolaio restituirebbe un’unica rata più bassa in un periodo più lungo. Tuttavia, questa strada è molto difficile da praticare per chi è già in uno stato di insolvenza avanzata. Le banche concedono consolidamenti solo a soggetti ancora affidabili creditiziamente. Se il debitore ha segnalazioni negative o pignoramenti in corso, difficilmente troverà istituti disposti a prestare altro denaro. In alcuni casi, può intervenire un garante terzo o un familiare con capacità finanziaria che ottiene il prestito e aiuta a chiudere i debiti. Vi sono anche cooperative o consorzi fidi che assistono piccoli artigiani nel reperire credito (ad esempio i Cofidi regionali) fornendo garanzie al posto loro. Ma è fondamentale valutare se il consolidamento risolve il problema o lo rinvia: contrarre nuovi debiti per pagarne vecchi è sostenibile solo se l’attività ha prospettive di ripresa e se i tassi e importi della nuova esposizione sono realmente affrontabili.

6. Interventi sul bilancio familiare e dismissione di beni non essenziali: Una strategia “di contorno” ma utile è ridurre le uscite e/o aumentare entrate occasionali per far fronte ai debiti. Ad esempio, sul piano personale il calzolaio e la sua famiglia possono tagliare spese non essenziali, vendere beni secondari (un’automobile in più, attrezzature non usate) e destinare il ricavato al pagamento dei creditori più pressanti. Se possiede beni intestati non funzionali all’attività (es. una casa al mare ereditata), potrebbe valutare di venderli volontariamente: meglio liquidare un bene a valore di mercato e pagare i debiti, piuttosto che vederselo pignorato e venduto all’asta a valori inferiori. Inoltre, vendendo spontaneamente alcuni asset per pagare, si evita l’accumulo di spese di procedura e si può scegliere quali debiti saldare in via prioritaria (magari quelli che liberano garanzie come ipoteche).

In generale, negoziare attivamente con i creditori è segno di buona volontà e spesso paga: alcuni creditori, vedendo l’impegno del debitore, sono più disponibili a concessioni. È importante affrontare il problema subito, preferibilmente prima che scattino le azioni legali. Un proverbio tra gli addetti ai lavori dice: “il miglior accordo si ottiene quando ancora non c’è una causa in corso”. Se il calzolaio si rende conto di non poter pagare, non deve aspettare di ricevere il precetto o il pignoramento: contattare i creditori prima, magari con l’ausilio di un professionista (avvocato o commercialista), per prospettare soluzioni consensuali. In questa fase stragiudiziale, inoltre, Organismi di mediazione o di composizione della crisi (come le camere arbitrali, le Camere di Commercio o gli OCC – Organismi di composizione della crisi istituiti dalla legge sul sovraindebitamento) possono offrire un supporto. Ad esempio, la Composizione negoziata della crisi – introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021) e ora parte del Codice della crisi – consente all’imprenditore (anche minore) in stato di difficoltà di richiedere la nomina di un esperto indipendente che lo assista nel negoziare con i creditori un accordo stragiudiziale di ristrutturazione. È una procedura volontaria e riservata, priva di effetti coercitivi sui creditori, ma offre al debitore consulenza qualificata e, in certi casi, misure protettive temporanee (come la sospensione delle azioni esecutive previa autorizzazione del tribunale) mentre cerca un accordo . Per un piccolo artigiano la composizione negoziata potrebbe sembrare complessa, ma è comunque uno strumento a disposizione (gratuito nelle Camere di Commercio) che andrebbe valutato se il debito è elevato e frammentato tra più creditori.

Tabella riepilogativa – Strumenti stragiudiziali per uscire dai debiti:

StrumentoDescrizioneVantaggiSvantaggi/Rischi
Piano di rientroAccordo informale per rateizzare il debito col creditoreEvita cause, rapporto rimane cooperativoNon vincola altri creditori; decadono se non paghi
Saldo e stralcioPagamento percentuale immediato in cambio di esdebitazioneRiduzione significativa del debito dovutoServe liquidità subito; possibili effetti fiscali (sopravvenienza)
Rateizzazione ADERPiano rate cartelle (fino 84/120 mesi)Sospende azioni esecutive Fisco; lungo periodoDecadenza se 8 rate saltate; riconoscimento integrale debito
Rottamazione/StralciDefinizione agevolata per legge (no sanzioni/interessi o percentuali ridotte)Riduce importo totale dovuto; normative di favoreDisponibili solo se previste da legge (tempi limitati); decadono se non paghi nei termini
ConsolidamentoNuovo prestito per estinguere i debiti pregressiUnica rata più bassa; semplificazioneDifficile da ottenere se già insolvente; allunga l’indebitamento nel tempo
Autotutela patrimonialeTaglio spese, vendita beni non essenziali per pagare debitiRiduce il fabbisogno di risorse esterne; evita esecuzioni su quei beniSacrificio di patrimonio personale; richiede disponibilità beni vendibili
Composizione negoziataProcedura volontaria con esperto per trovare accordi con creditoriSupporto di esperto indipendente; può dare tempo e soluzioni creativeNon impone accordo ai creditori dissenzienti; formalità da seguire

Va chiarito che tutti questi strumenti non escludono le procedure legali di cui parleremo dopo: anzi, spesso se fallisce la strada stragiudiziale, si passa a quella giudiziale. In alcuni casi, però, un buon accordo privato può rendere inutile attivare le procedure concorsuali. Il calzolaio debitore dovrà quindi valutare, magari con l’aiuto di un avvocato, se la propria situazione è risolvibile bonariamente (ad esempio perché i creditori principali sono pochi e ragionevoli) oppure se è troppo compromessa e serve l’intervento del tribunale per gestirla in modo organico.

Nel prossimo capitolo affronteremo dunque le procedure legali di sovraindebitamento, specifiche per soggetti come il calzolaio, che offrono soluzioni strutturate e protette per uscire dai debiti, compresa – quando possibile – la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione).

Procedure di sovraindebitamento: come funzionano e quando usarle

Quando i debiti sono insostenibili e le soluzioni informali non bastano, il legislatore offre al debitore civile (privato, piccolo imprenditore o professionista) la possibilità di ricorrere a speciali procedure concorsuali minori, comunemente note come procedure di sovraindebitamento. Queste procedure consentono di gestire in modo unitario tutti i debiti, sotto il controllo del tribunale, con l’obiettivo di trovare una soluzione equa tra debitore e creditori. Il fine ultimo è duplice: da un lato soddisfare (almeno parzialmente) le ragioni dei creditori secondo le possibilità del debitore, dall’altro liberare il debitore dai debiti residui non pagati, concedendogli un fresh start (nuovo inizio).

Il concetto di sovraindebitamento è stato introdotto per la prima volta dalla Legge 3/2012, nota anche come legge “salva suicidi”, concepita proprio per aiutare privati e piccoli imprenditori sommersi dai debiti a trovare una via d’uscita legale . La legge 3/2012 (in vigore fino al 2022) ha inaugurato tre procedure: il piano del consumatore, l’accordo di composizione e la liquidazione del patrimonio. Dal 15 luglio 2022, con la piena entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019), queste procedure sono confluite nel nuovo codice con alcune modifiche sostanziali e terminologiche . Pertanto oggi non si parla più di “piano del consumatore” o “legge 3/2012”, ma di “ristrutturazione dei debiti del consumatore”, “concordato minore” e “liquidazione controllata del sovraindebitato”. I concetti base però restano simili: consentire a chi è non fallibile (o comunque non soggetto a liquidazione giudiziale) di accedere a procedure concorsuali semplificate per risolvere la crisi da debiti.

Chi può accedere e condizioni generali

Soggetti ammessi: le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai debitori “non fallibili”, cioè quelli che non possono essere assoggettati a fallimento/liquidazione giudiziale. Come visto, rientrano in questa categoria le persone fisiche private (consumatori), gli imprenditori individuali sotto soglia (piccoli imprenditori, artigiani), i professionisti, gli imprenditori agricoli (esclusi per legge dal fallimento), le start-up innovative, le associazioni e fondazioni non commerciali, gli enti non profit, i soci illimitatamente responsabili di società personali che abbiano cessato la società da oltre un anno, e altri casi particolari . In pratica il calzolaio artigiano è il prototipo del soggetto ammesso: è un imprenditore commerciale di ridotte dimensioni e dunque non fallibile (oltre che persona fisica). Anche se il calzolaio svolge attività professionale autonoma con Partita IVA, rimane eleggibile alle procedure di sovraindebitamento (non rientra nelle procedure maggiori se sotto soglia). Da notare che può accedere anche il consumatore puro, cioè il privato che ha solo debiti personali (ad es. un pensionato indebitato con banche e fisco). Il Codice della crisi ha introdotto la possibilità di presentare procedure familiari congiunte: se più membri della stessa famiglia sono indebitati, possono proporre un unico piano o accordo quando i debiti hanno un’origine comune (es. coniugi coobbligati) . Questo può riguardare, ad esempio, un calzolaio e il coniuge se hanno debiti comuni.

Condizioni soggettive – la “meritevolezza”: La legge richiede che il debitore abbia tenuto un comportamento sufficientemente corretto e diligente prima e durante l’accesso alla procedura. In passato (legge 3/2012 originaria) si parlava di requisito di meritevolezza molto rigoroso: il giudice doveva escludere che il debitore avesse colpa nell’aver contratto i debiti senza prospettiva di adempimento, o sproporzionati alle sue capacità, ecc. (il cosiddetto “triplice test” di meritevolezza) . Questo impediva l’accesso a chi, ad esempio, si era indebitato imprudentemente oltre le proprie possibilità. Oggi la normativa è più permissiva: dopo la riforma del 2020 (DL 137/2020 conv. L.176/2020) recepita nel Codice 2019, il debitore è escluso solo se ha causato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode . Sono stati eliminati quindi i criteri della “prospettiva ragionevole di adempimento” e del “ricorso al credito sproporzionato” . Ciò significa che il piano è inammissibile soltanto se il debitore ha posto in essere comportamenti gravemente colposi o dolosi all’origine dei debiti (es. ha contratto obbligazioni sapendo di non poterle onorare con colpa grave o ha agito in frode). La semplice imprudenza o eccesso di ottimismo non precludono più l’accesso. La Cassazione nel 2023 ha chiarito che la valutazione di meritevolezza del consumatore deve ora basarsi esclusivamente sull’assenza di colpa grave o malafede, essendo superati i precedenti criteri più stringenti . In pratica, il calzolaio potrà accedere alla procedura se, pur avendo accumulato debiti, non l’ha fatto con dolo o colpa gravissima. Ad esempio, se i debiti derivano da un calo di lavoro, spese impreviste, crisi economica, egli è considerato “meritevole”; se invece ha contratto volontariamente debiti spropositati per speculazioni azzardate o ha frodato i creditori nascondendo patrimonio, potrebbe essere escluso. Da notare che per la ristrutturazione del debito del consumatore (ex piano del consumatore) la verifica di colpa grave/malafede viene fatta dal giudice in omologazione; per il concordato minore la legge non richiede espressamente la meritevolezza, ma la giurisprudenza ritiene che si debba comunque valutare l’affidabilità del debitore e il suo comportamento pregresso, sebbene non in termini di rigido test . In ogni caso, l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) incaricato aiuterà a vagliare questi aspetti prima di presentare la domanda.

Presupposto oggettivo – sovraindebitamento: Deve esistere una situazione di sovraindebitamento definita dalla legge come “persistente squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, e la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente ai propri obblighi” (art. 2, co.1 lett. c CCII). In parole povere, il debitore deve trovarsi incapace di pagare i debiti nei tempi e modi previsti. Non occorre l’insolvenza conclamata come nel fallimento, basta l’incapacità prospettica di soddisfare regolarmente le obbligazioni. Il calzolaio che non riesce più a pagare fornitori, tasse, bollette e ha arretrati su mutui si trova in questa condizione di sovraindebitamento. È importante elencare tutti i debiti nel ricorso, non si può essere selettivi (si parla appunto di crisi “da sovraindebitamento” complessiva).

Divieto di abuso e di atti in frode: Il debitore deve astenersi dal compiere atti dispositivi pregiudizievoli prima di accedere alla procedura. Se ha compiuto atti in frode ai creditori (es. regalare un immobile al figlio per sottrarlo ai creditori, costituire un fondo patrimoniale per occultare beni senza giustificazione) la sua domanda sarà respinta . Ad esempio, se il calzolaio nei mesi precedenti ha svuotato il conto o venduto sotto prezzo macchinari per non farli trovare ai creditori, rischia di vedersi negata l’ammissione perché non agisce in buona fede. La legge elenca esplicitamente alcune condotte che ostacolano l’esdebitazione: simulazione di debiti, distrazione di beni, trasferimenti gratuiti sospetti, trust con finalità elusive, rinuncia ad eredità attive non giustificate . In più, l’art. 69 CCII (piano consumatore) e l’art. 77 CCII (concordato minore) disciplinano le cause di inammissibilità relative a colpa grave e altri elementi, rimettendo molta responsabilità all’attestatore/gestore OCC nel valutare la condotta del debitore .

Chiarite queste condizioni generali, passiamo a descrivere le tipologie di procedura oggi disponibili nel 2025 per il sovraindebitamento, focalizzandoci su quelle più pertinenti al caso del calzolaio artigiano indebitato. Le procedure previste dal Codice della crisi sono essenzialmente quattro:

  1. Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore legge 3/2012) – dedicata ai debitori persone fisiche che hanno contratto debiti estranei all’attività imprenditoriale (pur potendo avere anche partiva IVA per altri debiti, ma qui rileva la natura dei debiti oggetto del piano). È una procedura unilaterale: non richiede consenso dei creditori, ma viene valutata e omologata dal tribunale se il piano proposto è fattibile e il consumatore è meritevole. Approfondiamo sotto.
  2. Concordato minore (ex accordo di composizione legge 3/2012) – destinato agli imprenditori, professionisti e partite IVA non fallibili (come il nostro calzolaio) per i debiti derivanti dall’attività. È una procedura collettiva con voto: i creditori votano il piano proposto e serve almeno il 50% di assenso in valore perché il tribunale possa omologarlo . Consente anche la continuazione dell’attività e la tutela dei beni non liquidati.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio legge 3/2012) – è una procedura di tipo liquidatorio: il patrimonio del debitore (non fallibile) viene gestito da un liquidatore nominato dal tribunale, venduto per pagare i creditori, e al termine il debitore può ottenere l’esdebitazione delle somme non pagate. È simile concettualmente al fallimento ma in un contesto di piccolo debitore e con regole più snelle. Può accedervi chiunque dei soggetti sovraindebitati, su propria richiesta (anche senza consenso creditori), o può essere imposta come conversione se un piano/concordato minore non riesce.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente (detta anche “esdebitazione senza utilità”) – introdotta dal Codice della crisi, è una procedura speciale in cui il debitore persona fisica totalmente privo di beni da liquidare può chiedere ugualmente di essere liberato dai debiti, senza offrire alcun pagamento ai creditori . È un beneficio concesso una sola volta nella vita e condizionato a rigorosi requisiti di meritevolezza e controllo post-procedura (vedremo a parte questa importante novità).

Vediamo ora in dettaglio le prime tre, che sono le “classiche” soluzioni di composizione della crisi, e successivamente l’esdebitazione speciale.

Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex Piano del consumatore)

Questa procedura è riservata al debitore consumatore, definito come la persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. In pratica, anche un imprenditore può essere consumatore rispetto a debiti personali. Ma se la maggior parte dei debiti deriva dall’attività, non può usare il piano del consumatore per quelli. Caso del calzolaio: se il calzolaio ha debiti principalmente verso fornitori, banche per il negozio e Fisco per IVA, questi sono debiti “professionali” e dovrà usare il concordato minore o liquidazione. Potrebbe usare il piano del consumatore solo per debiti personali distinti (ad esempio un prestito per spese famigliari, non correlato all’attività, qualora volesse separare le due masse). Di solito, però, un soggetto con debiti misti li affronta con un’unica procedura, la più consona alla sua figura prevalente. Per semplicità, tratteremo il piano del consumatore come opzione per chi è davvero consumatore puro (o vuole risolvere la parte personale dei debiti).

Caratteristiche principali: Il debitore elabora, con l’aiuto obbligatorio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e di un professionista legale, un piano di ristrutturazione in cui propone ai creditori il pagamento, anche parziale e dilazionato, dei propri debiti senza necessità di voto da parte loro . Il piano deve indicare come verranno soddisfatti i crediti (in che percentuale e tempi) e con quali risorse del debitore. Può prevedere la continuazione del pagamento di alcune obbligazioni e il taglio di altre, purché il tutto sia sostenibile e non danneggi eccessivamente i creditori rispetto all’alternativa. Ad esempio, un consumatore potrebbe offrire il pagamento del 20% di tutti i debiti chirografari in 4 anni, conservando però la casa di abitazione (su cui magari non c’è ipoteca) e continuando a pagare regolarmente il mutuo; oppure vendere un immobile per soddisfare parzialmente i creditori e chiedere stralcio del resto.

Ruolo del tribunale: Il giudice è centrale in questa procedura. Presentata la proposta, viene fissata un’udienza. I creditori possono eventualmente fare opposizione (sollevare contestazioni sul piano). Il giudice valuta: (a) la fattibilità e idoneità del piano (ad esempio, che le entrate future del debitore siano realistiche, o che l’eventuale liquidazione di beni copra le percentuali offerte); (b) la meritevolezza del debitore (come detto, oggi intesa come mancanza di colpa grave o frode) ; (c) il rispetto delle cause di esclusione (atti in frode, etc.). Se tutto è in regola, il tribunale omologa il piano, rendendolo vincolante per tutti i creditori inclusi, anche dissenzienti. Durante la procedura, su istanza del debitore, il giudice può emettere provvedimenti di sospensione delle azioni esecutive in corso (c.d. misure protettive), per evitare che un creditore impaziente rovini la fattibilità del piano pignorando beni fondamentali.

Nessun voto dei creditori: Questa è la grande differenza rispetto alle altre procedure. Nel piano del consumatore i creditori non votano sulla proposta . La loro tutela è affidata al controllo di legittimità e convenienza compiuto dal giudice. In particolare, il giudice deve verificare che i creditori ricevano non meno di quanto otterrebbero in una eventuale liquidazione dei beni del debitore (principio della convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria). Inoltre, alcuni crediti con privilegio (es. ipoteche, pegni) devono essere trattati in modo da rispettare la prelazione: il piano può prevedere il pagamento non integrale dei crediti privilegiati solo se si dimostra che comunque ricevono almeno il valore che avrebbero in una liquidazione . Un recente arresto della Cassazione (sent. 30543/2024) ha ribadito che la presenza di un pagamento parziale di un credito privilegiato impone al giudice di verificare la maggiore convenienza del piano rispetto alla liquidazione . Se il piano non rispetta questa regola, verrà negata l’omologazione. Tuttavia, il debitore potrà eventualmente presentare una nuova proposta corretta e migliorata, poiché il rigetto per inammissibilità non preclude di riprovare . Anzi, la Cassazione ha chiarito che un provvedimento di inammissibilità del piano (che non entra nel merito definitivo) non è impugnabile in Cassazione perché non decisorio – segno che l’ordinamento preferisce consentire al debitore di rielaborare una soluzione piuttosto che chiudergli la porta.

Durata e impegni: Un piano del consumatore tipicamente può prevedere pagamenti rateali per alcuni anni. In genere la durata massima si aggira attorno a 5 anni (60 mesi), coerentemente con il principio di ragionevole durata del procedimento concorsuale . Ad esempio, pagare una certa somma mensile per 5 anni ai creditori. Tuttavia, non c’è un termine fisso di legge: l’importante è che il piano sia fattibile. Il debitore dovrà destinare ai creditori tutto il surplus di reddito non necessario al mantenimento suo e della famiglia in modo dignitoso (il tribunale valuta un budget familiare in base al minimo vitale e altre spese essenziali). È possibile che il piano del consumatore preveda la vendita di alcuni beni (es. una seconda casa, un’auto di lusso) con il ricavato da distribuire ai creditori, e nel contempo lasci al debitore beni essenziali (come la prima casa, se si riesce a proteggerla, o gli strumenti di lavoro). Il tutto è costruito caso per caso. Durante l’esecuzione del piano, il debitore è sotto la vigilanza dell’OCC nominato e del giudice: se non rispetta gli impegni senza giustificato motivo, può essere revocata l’omologazione.

Esdebitazione finale: Se il piano viene completamente eseguito secondo i termini, il debitore ottiene la piena esdebitazione dei crediti concorsuali residui. Già nell’omologa, il giudice di fatto stabilisce che, a fronte dell’adempimento del piano, i creditori non potranno più pretendere altro (si “stralciano” legalmente le porzioni non pagate dei debiti) . Ad esempio, se il piano prevede di pagare il 30% di ogni credito chirografario, al termine il restante 70% viene cancellato d’ufficio (salvo eccezioni di legge su cui torneremo, come debiti alimentari, etc.). Dunque il beneficio principale per il debitore consumatore è proprio la cancellazione dei debiti insostenibili e la possibilità di ripartire pulito. In caso di mancata esecuzione del piano per colpa del debitore, invece, i creditori riacquistano pieni diritti per le somme originarie al netto di quanto eventualmente incassato.

Esempio pratico (simulazione) – Piano del consumatore: Luigi è un ex calzolaio in pensione, con debiti personali di €50.000 tra finanziarie, arretrati fiscali e bollette. Propone un piano offrendo la sua pensione integrativa per 5 anni: €500 al mese su 60 mesi, quindi €30.000 in totale da distribuire, pari a circa il 60% del debito. Dimostra che tenuto conto delle sue spese vive, €500 è quanto può permettersi, e che vendendo la sua vecchia auto ne ricaverà altri €5.000 da aggiungere subito ai creditori. Il piano quindi offre circa €35.000 (70%) ai creditori in 5 anni, contro una liquidazione dove – essendo la sua casa prima casa impignorabile – i creditori non otterrebbero nulla oltre forse qualche migliaio di euro pignorandogli il conto. Il tribunale, verificata la meritevolezza (Luigi si è indebitato per aiutare un figlio disoccupato, non per colpa grave), omologa il piano. Luigi segue il piano, paga regolarmente le rate per 5 anni, dopodiché il giudice dichiara l’esdebitazione del residuo €15.000 che Luigi non ha potuto pagare. Luigi non ha più alcuna pretesa in sospeso e può godersi la pensione libera da debiti.

Il piano del consumatore è uno strumento potente, ma per il nostro caso (calzolaio con debiti professionali) spesso non è applicabile direttamente. Se però il calzolaio avesse anche debiti personali significativi, potrebbe valutare di distinguere (ad esempio, chiudere l’attività e affrontare i debiti personali come consumatore). Molto più pertinente al calzolaio in attività è la prossima procedura: il concordato minore.

Concordato minore (ex Accordo di composizione per imprenditori)

Il concordato minore è la procedura disegnata per le aziende e le partite IVA non fallibili . In altre parole, è l’equivalente del concordato preventivo ma per il “piccolo” imprenditore sovraindebitato. Il calzolaio titolare di una ditta individuale artigiana rientra perfettamente in questa categoria.

Caratteristiche principali: In questo caso, a differenza del piano del consumatore, i creditori partecipano attivamente: la proposta di concordato minore viene sottoposta a votazione da parte dei creditori stessi . Il debitore, con l’ausilio dell’OCC, elabora un piano che può prevedere sia misure liquidatorie (vendita di beni, pagamento parziale dei crediti) sia di continuità aziendale (prosecuzione dell’attività, magari ristrutturando i debiti e pagando col ricavato futuro). È consentito infatti il mantenimento in esercizio dell’impresa durante e dopo la procedura, proprio per favorire il risanamento . Questa è un’innovazione rispetto alla vecchia legge 3/2012 dove la continuità era più limitata. Ad esempio, il calzolaio può proporre di continuare la sua attività e pagare i creditori in percentuale con i profitti futuri, senza dover chiudere bottega.

Voto dei creditori: Il concordato minore richiede il voto favorevole di almeno la maggioranza dei crediti (calcolata in valore ≥ 50%) . Se si raggiunge questa maggioranza, il tribunale omologa l’accordo e lo rende vincolante per tutti i creditori, compresi i dissenzienti. Se non si raggiunge la maggioranza, l’accordo non è approvato. Tuttavia, diversamente dai concordati preventivi ordinari, qui non c’è la possibilità di cram-down da parte del tribunale (eccetto forse nel caso di creditori che abbiano irragionevolmente rifiutato e il tribunale ritenga la proposta comunque più vantaggiosa di una liquidazione – ma è un tema dibattuto). Quindi il debitore deve convincere almeno la metà dei crediti. Questo comporta un lavoro di negoziazione preliminare: spesso, prima di depositare la proposta, il debitore sonda i principali creditori per assicurarsi che siano disposti a votare sì. Ad esempio, se il calzolaio deve €100k in totale e €60k (60%) li deve a banca e fisco, dovrà ottenere il loro consenso per arrivare oltre il 50%. Se banca e fisco dicono di no, l’accordo non passerà.

Trattamento dei crediti privilegiati: Anche nel concordato minore vale la regola che i crediti privilegiati (garanzie reali o privilegi legali) non possono essere alterati senza il loro consenso a meno che ricevano comunque la quota che avrebbero dalla liquidazione. Se un creditore privilegiato vota contro e il piano lo pagava meno del 100%, l’omologa potrebbe essere negata perché i suoi diritti di prelazione verrebbero incisi senza soddisfazione adeguata. Dunque, spesso per convincere i creditori privilegiati (es. la banca ipotecaria, l’ADER per IVA e ritenute) occorre prevedere nel piano di pagarli integralmente o comunque in misura pari al ricavato da vendita dei beni su cui hanno privilegio.

Intervento del tribunale: Il ruolo del giudice è di omologare l’accordo se c’è il voto richiesto e se la proposta è conforme alla legge. Anche qui il giudice controllerà la fattibilità e l’assenza di cause ostative (frodi, ecc.), ma non c’è un giudizio di meritevolezza stretto come nel piano del consumatore. La Cassazione però ha affermato che il comportamento pregresso del debitore imprenditore va comunque considerato per valutare l’affidabilità e l’ammissibilità della proposta . Ad esempio, se l’imprenditore ha evaso il fisco dolosamente causando il debito, questo potrebbe riflettersi negativamente sulla fiducia nel piano. Inoltre, per i debiti fiscali nel concordato minore, la legge specifica che il diritto di voto spetta all’ente impositore (Agenzia Entrate per le imposte, INPS per contributi) e non all’agente di riscossione . Quindi, in assemblea dei creditori, è l’Agenzia delle Entrate a votare per i debiti tributari, anche se formalmente il credito è in mano all’ADER. Questa puntualizzazione è stata chiarita da Cass. 30538/2024 , per evitare dubbi di legittimazione.

Effetti e durata: Una volta omologato, il concordato minore vincola tutti i creditori anteriori. Il debitore dovrà eseguire quanto promesso. Durante la pendenza, su richiesta può ottenere misure protettive (simili al concordato preventivo) per bloccare azioni esecutive. La durata dell’esecuzione dipende dal piano: potrebbe essere un evento singolo (es. liquidare un immobile e distribuire il ricavato entro 6 mesi) oppure un piano pluriennale di versamenti. Orientativamente, molti concordati minori in continuità prevedono un orizzonte di 4–5 anni per i pagamenti, allineato alle prassi concorsuali.

Esempio pratico – Concordato minore in continuità: Mario è un calzolaio con debiti totali di €150.000 (€50k banca per mutuo attrezzature con garanzia su macchinari, €30k fisco, €20k INPS, €50k fornitori vari). L’attività genera un piccolo utile annuo di €10.000, ma non abbastanza per pagare tutti. Mario vuole evitare di chiudere perché la bottega ha valore se continua. Propone quindi un concordato minore offrendo: vendita di alcuni macchinari secondari e del furgone, stimando di ricavare €20.000 da distribuire subito; il restante lo pagherà in 5 anni con versamenti di €10.000 annui (frutto dei suoi utili). Prioritariamente pagherà in full la banca sui macchinari (che ha privilegio: €50k), in modo da liberare quella garanzia e perché comunque deve farlo per legge. Il fisco e INPS propone di pagarli al 50% (considerato che sono chirografari per la parte sanzioni e interessi, e magari privilegiati per tributi: supponiamo di offrire integralmente l’IVA di €10k e stralciare sanzioni €5k). I fornitori chirografari riceveranno un dividendo del, poniamo, 30%. Al termine dei 5 anni, Mario avrà pagato €50k banca + €30k (50%) a fisco/INPS + €15k (30%) ai fornitori, utilizzando i €20k iniziali e €50k in 5 anni, totalizzando €70k su €150k (circa 46%). I creditori votano: la banca è favorevole (prende 100%, preferisce continuità che liquidazione disordinata), l’AdE è favorevole (prende 50% subito vs rischio zero), i fornitori in parte favorevoli in parte no, ma mettendoli assieme la maggioranza supera il 50%. Il tribunale omologa. Mario continua l’attività e rispetta il piano. Dopo 5 anni, i debiti residui (€80k non pagati, soprattutto fornitori e sanzioni fisco) sono cancellati. L’attività ha potuto proseguire e Mario ha mantenuto la sua fonte di reddito.

In caso di esito negativo: Se i creditori non approvano il piano o se il tribunale non omologa (perché giudica il piano inammissibile o irrealizzabile), il debitore può trovarsi a dover ripiegare sulla liquidazione controllata. A volte la conversione è automatica: ad esempio se durante l’istruttoria emerge che mancano le condizioni di fattibilità, il tribunale può convertire l’istanza in liquidazione (con il consenso del debitore). Anche il debitore stesso, se capisce che non avrà i voti, può optare direttamente per la liquidazione controllata. Vediamo dunque questa terza procedura.

Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex Liquidazione del patrimonio)

La liquidazione controllata è la procedura concorsuale “liquidativa” destinata ai debitori sovraindebitati non fallibili. È il corrispettivo, per il piccolo debitore, della liquidazione giudiziale (fallimento) per i grandi. Si attiva di solito in due circostanze: volontà del debitore che chiede di liquidare tutto il patrimonio per chiudere la partita con i creditori, oppure conversione obbligata di un piano/accordo fallito o revocato. Anche i creditori, in teoria, potrebbero chiedere al tribunale l’apertura della liquidazione controllata del debitore non fallibile, ma il Codice lo consente solo in casi particolari e con il consenso del debitore (non c’è un’istanza “coattiva” come il fallimento classico).

Come funziona: Il debitore presenta istanza al tribunale di apertura della liquidazione controllata, allegando l’elenco di tutti i suoi beni, crediti, debiti e un rendiconto della sua situazione economica. Se il tribunale accerta che sussistono lo stato di sovraindebitamento e le condizioni (documentazione regolare, ecc.), dichiara aperta la liquidazione . Viene nominato un liquidatore giudiziale (figura analoga al curatore fallimentare, spesso un professionista iscritto all’albo dei gestori da crisi). Da quel momento, tutti i beni del debitore (ad eccezione di quelli impignorabili per legge, ad es. i beni di stretta necessità ex art. 514 c.p.c.) entrano nella massa attiva da liquidare. Il debitore è spossessato dei beni (non ne ha più disponibilità) ma, a differenza del fallimento, può continuare a svolgere attività lavorativa e a mantenere per sé le risorse necessarie per vivere. Ad esempio, se ha uno stipendio, il liquidatore gli lascerà la parte impignorabile e tratterrà solo la parte pignorabile (di solito 1/5) per destinarla ai creditori. Se il debitore è un imprenditore e l’impresa è ancora attiva, nella liquidazione controllata non vige il divieto assoluto di continuare: il liquidatore può valutare di proseguire provvisoriamente l’esercizio dell’impresa se utile per la migliore liquidazione (ad esempio per vendere l’azienda come complesso funzionante), ma di norma l’attività viene cessata salvo autorizzazioni specifiche.

Effetti per i creditori: Con l’apertura della liquidazione controllata, scattano gli effetti di una procedura concorsuale: i creditori non possono più iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (c’è il divieto di azioni esecutive analogo all’automatic stay del fallimento). I creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo entro i termini stabiliti dall’ordinanza di apertura. Il liquidatore redige lo stato passivo (l’elenco dei crediti ammessi, con eventuali privilegi) e su approvazione del giudice li considera per i riparti. I beni vengono venduti secondo modalità stabilite (aste, trattative private autorizzate). Il ricavato, detratte le spese di procedura, viene distribuito ai creditori secondo l’ordine dei privilegi (prima i creditori con garanzie reali sui beni, poi i privilegiati generali, ecc., infine i chirografari se avanza qualcosa).

Durata: Dipende dalla complessità del patrimonio. Può durare pochi mesi se ci sono pochi beni facilmente vendibili, oppure diversi anni se bisogna liquidare immobili, lotti, o gestire contenziosi. In media, per patrimoni modesti, potrebbe concludersi in 1-2 anni. Una volta liquidato tutto e fatti i riparti, il tribunale su istanza del debitore o d’ufficio dichiara chiusa la liquidazione.

Esdebitazione finale: Il grande vantaggio per il debitore è che, conclusa la liquidazione controllata, egli può chiedere di essere liberato dai debiti residui non soddisfatti. L’esdebitazione post-liquidazione è concessa dal tribunale con decreto, purché il debitore abbia collaborato lealmente e non ci siano ragioni ostative (condotte frodatorie, ecc.). Di norma, se il debitore ha agito in buona fede, anche se i creditori hanno recuperato solo una minima parte (o nulla) dei loro crediti, il debitore viene esdebitato e quei debiti restanti si estinguono . Ci sono eccezioni importanti: taluni debiti non sono comunque cancellati dall’esdebitazione. La legge (art. 282 CCII, simile al vecchio art. 142 L.F.) esclude dall’esdebitazione obblighi di mantenimento (es. assegni familiari), debiti per risarcimenti da fatti illeciti extracontrattuali (es. danni da responsabilità civile per un torto), e le sanzioni penali o amministrative di carattere pecuniario . Anche i debiti fiscali derivanti da condotte fraudolente (dichiarazioni false, frodi fiscali) sono esclusi dal beneficio . Significa che, ad esempio, se il calzolaio aveva una multa stradale o una sanzione fiscale per frode, quella parte di debito rimane a suo carico anche dopo l’esdebitazione (dovrà comunque pagarla, e i creditori potranno riprendere a pretenderla). Fortunatamente, queste categorie di debiti sono limitate; la maggior parte dei debiti ordinari (banche, fornitori, fisco per imposte dichiarate, contributi, ecc.) rientrano nell’esdebitazione. Dunque il debitore esdebitato esce “pulito” da quasi tutti i debiti pregressi. L’esdebitazione post-liquidazione è un beneficio che la legge concede a chi ha messo tutto il proprio patrimonio a disposizione dei creditori, anche se il ricavato è stato insufficiente . È un concetto di “umanità” del diritto fallimentare moderno: dopo la liquidazione, il debitore meritevole ha diritto di ricostruirsi una vita senza essere perseguitato a vita dai creditori per debiti incolmabili.

Il caso del calzolaio in liquidazione controllata: Immaginiamo che il calzolaio, travolto dai debiti, non riesca a fare un concordato minore perché i creditori non si fidano. Decide allora di aprire lui stesso la liquidazione controllata. Elenca i beni: un piccolo appartamento di proprietà (non prima casa perché magari risiede altrove in affitto), un’auto, i macchinari e le scorte. Il tribunale apre la procedura nominando un liquidatore. Le esecuzioni avviate (un pignoramento dei fornitori sull’auto, ad esempio) si fermano e confluiscono nella liquidazione. Il liquidatore vende l’appartamento, l’auto e le scorte, ricavando – poniamo – €80.000. Dopo spese, distribuisce ai creditori: soddisfa integralmente l’ipoteca della banca (€50k) e il residuo €30k lo ripartisce pro quota tra fisco, fornitori, etc. I crediti totali erano €150.000, quindi molti rimangono insoddisfatti. Il calzolaio ha però collaborato e consegnato tutto il possibile. Il tribunale, chiusa la liquidazione, concede l’esdebitazione: i debiti rimasti (ad esempio €20k con fornitori, €10k di interessi col fisco, etc.) sono cancellati . Se invece avesse nascosto un bene durante la procedura e si fosse scoperto, gli sarebbe negata l’esdebitazione (oltre a possibili incriminazioni). Con l’esdebitazione ottenuta, il calzolaio potrà ripartire da zero, magari aprire una nuova attività o trovare lavoro, senza il fardello dei vecchi debiti.

Nota: Nella liquidazione controllata possono esistere casi particolari, come ad esempio se durante la procedura un creditore ipotecario (banca) con privilegio fondiario volesse comunque procedere autonomamente alla vendita del bene ipotecato. Nelle procedure concorsuali ordinarie, il credito fondiario (mutuo fondiario) consente alla banca di espropriare l’immobile anche durante il fallimento, con una procedura separata, poi rendicontando al concorso (art. 41 TUB). C’era incertezza se ciò valesse anche nelle procedure di sovraindebitamento. La Cassazione di recente (sent. 22914/2024) ha stabilito che anche nella liquidazione del sovraindebitato il creditore fondiario può proseguire l’esecuzione individuale sul bene ipotecato nonostante l’apertura della procedura . Questo significa che, se il calzolaio ha un mutuo fondiario su un immobile, la banca potrebbe comunque portare avanti la sua asta, salvo poi coordinarsi con il liquidatore sul riparto. È un tecnicismo avanzato, ma indica come alcune prerogative dei creditori forti rimangono anche qui. In pratica comunque, nella maggior parte dei casi, il liquidatore stesso concorda con la banca la vendita dell’immobile nell’ambito della procedura per massimizzare il valore, evitando doppie aste.

Esdebitazione del debitore incapiente (c.d. “esdebitazione senza utilità”)

Questa è una novità di grande rilievo introdotta dall’entrata in vigore del Codice della crisi (art. 283 CCII). In passato, la logica era: per ottenere l’esdebitazione, il debitore doveva quantomeno aver messo a disposizione qualcosa (o aver subito la liquidazione del suo patrimonio). Chi non aveva beni né redditi con cui pagare almeno parzialmente i creditori rimaneva in balìa dei debiti vita natural durante. Dal 2022 invece esiste la possibilità, una tantum, di cancellare i debiti anche per chi sia totalmente incapiente, cioè non possieda nulla da liquidare. È un istituto pensato per i casi socialmente drammatici (da qui il nome originario “procedura di esdebitazione a zero”, popolarmente “saldo e stralcio a zero”): persone che non hanno beni né reddito, spesso vittime di situazioni sfortunate, che altrimenti resterebbero indebitate a vita senza alcuna via d’uscita.

Requisiti principali: Possono accedere le persone fisiche sovraindebitate che non siano in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in prospettiva futura . Significa che non hanno patrimonio liquidabile e le loro condizioni economiche non consentono di prevedere pagamenti significativi. Devono però essere meritevoli in senso stretto: la legge richiede che il sovraindebitamento non sia dovuto a dolo o colpa grave o frode (criterio analogo a prima) e che non abbiano già usufruito in passato di altra esdebitazione (questo è concesso una volta sola). Inoltre, non devono avere atti in frode o aver goduto di vantaggi indebiti nei 5 anni precedenti. In pratica, è per il debitore “pulito” ma poverissimo.

Procedura: Il debitore presenta ricorso in tribunale chiedendo l’esdebitazione da incapiente. È comunque coinvolto un OCC/gestore nella raccolta delle informazioni. Il tribunale convoca i creditori che possono eventualmente opporsi (possono contestare la veridicità dell’incapienza o la meritevolezza). Se i requisiti sono soddisfatti, il giudice emette un decreto di accoglimento: cancella tutti i debiti del soggetto, senza corrispettivo per i creditori . Questo provvedimento restituisce al debitore una vita libera dai debiti. È una sorta di “grazia” civile. Attenzione però: nei 4 anni successivi, il debitore beneficiato ha degli obblighi stringenti: se per caso entra in possesso di utilità rilevanti (ad esempio, riceve un’eredità, vince alla lotteria, ottiene un reddito insperato) deve comunicarlo e se quelle utilità avrebbero consentito di pagare almeno il 10% dei vecchi debiti, allora scatta l’obbligo di pagare quella somma ai creditori (fino a massimo il valore dei debiti originari) . In altre parole, l’esdebitazione è concessa sub condicione: se la situazione economica del debitore risorge miracolosamente entro 4 anni, i creditori hanno diritto a un “dividendo” tardivo pari ad almeno il 10% dell’originario (se la fortuna del debitore lo permette) . A vigilare su questo c’è l’OCC che il debitore deve aggiornare annualmente sulla sua condizione economica per quei 4 anni . Passati i 4 anni, ogni eventuale nuova ricchezza rimane al debitore senza obblighi (la legge ha voluto un bilanciamento: da un lato dà una seconda chance, dall’altro evita che furbetti approfittino per poi arricchirsi subito dopo).

Creditori esclusi e altre note: Anche qui valgono esclusioni simili all’esdebitazione normale: debiti alimentari, da illecito, sanzioni, etc., restano fuori (non vengono perdonati) . Inoltre, se il debitore ha un patrimonio anche minimo, non potrà accedere a questa procedura ma dovrà piuttosto fare la liquidazione controllata standard: l’esdebitazione incapiente è veramente per chi non ha nulla da dare. Se ha qualcosa, deve darlo (magari con un concordato dove offre il poco che ha, oppure liquidazione). In pratica è pensata per soggetti come: disoccupato senza beni, piccolo ex imprenditore che ha già perso tutto, ecc. Ad esempio, un calzolaio che abbia chiuso l’attività, venduto i macchinari per sopravvivere e si trovi con zero proprietà e zero reddito oltre a un modesto stipendio da dipendente, potrebbe chiedere questo beneficio.

Valore sociale: L’introduzione di questa misura recepisce anche una direttiva UE del 2019 che raccomandava di dare ai debitori onesti una “fresh start” entro 3 anni. L’Italia è andata oltre, prevedendo l’immediata esdebitazione per chi non può pagare nulla. È una norma di civiltà che evita la cosiddetta “schiavitù del debito” a vita per i casi disperati .

Esempio pratico – Esdebitazione incapiente: Carlo, ex calzolaio, ha chiuso l’attività schiacciato dai debiti. Non ha casa di proprietà (vive in affitto), nessun bene registrato, è disoccupato e vive di piccoli lavori saltuari. Ha debiti per €80.000 con banche e fisco. Carlo può rivolgersi a un OCC e presentare ricorso per esdebitazione da incapiente, dichiarando di non poter offrire nulla ai creditori. Il tribunale verifica che Carlo non ha nascosto beni (esamina il suo storico, eventuali visure catastali, eventuali movimenti sospetti) e accerta che i debiti non derivano da frodi ma da sfortune (ad esempio aveva investito in un macchinario che poi è andato distrutto e non aveva assicurazione). A questo punto, se nessun creditore prova il contrario, viene emesso decreto di esdebitazione totale: i €80.000 sono cancellati immediatamente . Carlo dovrà per 4 anni comunicare annualmente se la sua situazione migliora. Dopo due anni, Carlo riesce a trovare un buon impiego e vince anche un contenzioso, ottenendo €15.000. Questa somma costituisce un’”utilità rilevante” e superiore al 10% dei debiti originari (€8.000). Pertanto Carlo è tenuto a versare ai creditori fino al 10% (cioè €8.000) di quanto condonato . Il tribunale, su segnalazione OCC, potrebbe imporre tale versamento pro-quota ai creditori chiudendo la parentesi. Se invece Carlo rimane nullatenente per 4 anni, finito tale periodo è definitivamente libero senza dover nulla a nessuno.

Questa procedura, benché umanitaria, è concepita come eccezionale: non deve diventare una scorciatoia per chi vorrebbe furbescamente liberarsi dei debiti senza sacrifici. E infatti è ammessa una sola volta. Ma costituisce un’importante rete di salvataggio per chi, come estremo rimedio, non ha altro.

Procedura scelta e considerazioni pratiche

Abbiamo delineato i 4 percorsi. Quale conviene scegliere? Dipende dalla situazione del calzolaio:

  • Se ha un’attività ancora valida e una parte di creditori collaborativi, il concordato minore in continuità può salvarla e nel contempo ridurre i debiti. Adatto quando c’è margine per pagare qualcosa e si vuole evitare di liquidare tutto immediatamente.
  • Se invece il calzolaio vuole chiudere la bottega e magari cambiare mestiere, e possiede beni liquidabili (es. un immobile, attrezzature), la liquidazione controllata è uno strumento per fare piazza pulita vendendo i beni e ottenendo comunque la libertà dai debiti residui.
  • Il piano del consumatore sarebbe ipotesi se gran parte dei debiti non sono legati all’attività, il che però è raro per un artigiano la cui crisi di solito coinvolge fisco, fornitori, ecc. Comunque, se applicabile, ha il pregio di non dover passare per il voto creditori e quindi può imporre stralci anche senza il loro consenso, purché il giudice sia d’accordo.
  • L’esdebitazione incapiente è l’ultima spiaggia: se il calzolaio è veramente senza nulla e magari già chiuso, può valere la pena tentarla per uscire dal tunnel.

Procedibilità unica: Importante notare che non si possono attivare contemporaneamente più procedure – il debitore deve sceglierne una e per debiti riferibili allo stesso nucleo di obbligazioni. Non può, ad esempio, fare un concordato minore per i debiti aziendali e un piano consumatore separato per quelli personali, se i creditori sono in comune. Tuttavia, potrebbe accadere che presenti un concordato minore e, se non va a buon fine, chieda la conversione in liquidazione o anche in esdebitazione incapiente se nel frattempo ha perso tutto.

Ruolo dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi): È un attore fondamentale. Si tratta di un organismo (spesso istituito presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio) composto da professionisti esperti in crisi. Il debitore deve rivolgersi a un OCC territorialmente competente. Gli verrà assegnato un gestore della crisi, che aiuterà a predisporre la proposta, verifica le informazioni e soprattutto redige una relazione da presentare al giudice. Nella relazione l’OCC certifica la veridicità dei dati e valuta la fattibilità del piano e la meritevolezza del debitore. Ad esempio, nel piano del consumatore la relazione OCC è determinante: attesta l’assenza di colpa grave (o la presenza) e fornisce al giudice gli elementi per decidere . Nel concordato minore il gestore convoca i creditori per il voto. Nella liquidazione controllata, il ruolo dell’OCC è minore perché subentra poi il liquidatore nominato. Per l’esdebitazione incapiente, l’OCC verifica la sussistenza delle condizioni. L’OCC quindi è il “regista” tecnico, e di solito va retribuito: il costo dell’OCC rientra tra le spese di procedura (c’è un tariffario ministeriale). Se il debitore è nullatenente, a volte questi costi vengono ridotti o diluiti (ad esempio, il Codice prevede che nell’esdebitazione incapiente il compenso OCC sia contenuto e possa essere eventualmente a carico dell’erario in caso di esito positivo meritevole, data la finalità sociale).

Vantaggi per il debitore sovraindebitato: Riassumendo i vantaggi delle procedure di sovraindebitamento per un calzolaio debitore: – Sospensione delle azioni esecutive: dall’ammissione (o anche dalla presentazione se chieste misure protettive) i pignoramenti in corso vengono sospesi e i creditori devono fermarsi, ottenendo così respiro . – Blocco degli interessi: con l’apertura della procedura, in genere cessano di maturare interessi sui debiti chirografari (salvo quelli con garanzie reali nei limiti di capienza). – Trattamento uniforme: si affrontano tutti i debiti in un’unica sede, evitando preferenze indebite di alcuni creditori su altri. – Stralcio dei debiti insostenibili: è possibile proporre pagamenti parziali e far cancellare la parte eccedente alle possibilità. Lo Stato concede questo “sconto” legale proprio per dare soluzione a situazioni altrimenti senza via d’uscita . – Protezione di beni essenziali: attraverso un piano si possono anche salvaguardare beni importanti (ad es. l’abitazione, se il piano prevede di pagare il creditore ipotecario regolarmente, la casa non viene toccata; oppure gli strumenti di lavoro si possono mantenere se funzionali alla continuità). – Cancellazione finale dei debiti (esdebitazione): al termine della procedura, come più volte sottolineato, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui non soddisfatti . Questo consente di ripartire senza avere per sempre quelle somme a ruolo.

Svantaggi e impegni: naturalmente ci sono anche aspetti onerosi: – Bisogna dichiarare e “mettere a nudo” tutta la propria situazione patrimoniale, non è ammesso alcun sotterfugio. C’è un sacrificio serio: ad esempio in un piano, pur non liquidando tutto, il debitore deve comunque destinare tutto il suo futile ai creditori (non si può tenere lusso o eccessi). – Le procedure non sono gratuite: ci sono costi di giustizia (contributo unificato se dovuto), compensi per OCC, eventuali professionisti che assistono. Però sono costi ben spesi se confrontati all’ammontare di debito condonato a fine procedura. – L’iter richiede tempo e disciplina: preparare la documentazione, partecipare alle udienze, seguire il piano per anni. Se si fallisce nell’esecuzione, si rischia la revoca e allora i creditori tornano all’attacco (in certi casi con aggiunta di spese). – Accesso limitato nel tempo: Dopo aver beneficiato di una procedura, non è che si possa farne un’altra l’anno successivo. La legge prevede che tra una esdebitazione e l’altra debbano passare molti anni o che addirittura sia unica (per l’incapiente è unica, per l’esdebitazione post-liquidazione devono passare almeno 4 anni se non erro in caso di nuova istanza, e comunque la reiterazione non è vista di buon occhio).

Domanda: “Un calzolaio può essere costretto a fallire anche se è piccolo? Cosa succede ai suoi debiti se chiude la partita IVA?” – Risposta: se è sotto soglia di fallibilità, non può essere dichiarato fallito (liquidazione giudiziale) dai creditori . Tuttavia, i debiti non spariscono affatto con la chiusura della partita IVA: rimangono a suo carico personale. I creditori potranno continuare a perseguirlo sui beni personali (casa, conto, stipendio futuro). Chiudere l’attività può ridurre le spese future ma non cancella il pregresso. Anzi, a volte è meglio tenere aperta l’attività per utilizzare i guadagni nella trattativa o nel piano, piuttosto che chiudere e rimanere senza reddito con debiti. Per liberarsi legalmente dei debiti occorre proprio utilizzare le procedure di sovraindebitamento descritte sopra, oppure pagare/accordarsi coi creditori (non è sufficiente cessare l’attività, perché la responsabilità per i debiti di un imprenditore individuale è illimitata e prosegue dopo la chiusura).

Nel prossimo paragrafo sposteremo l’attenzione sulle strategie per evitare il fallimento o la liquidazione giudiziale (nel caso di imprenditori più grandi o società) e sulle ulteriori tutele del patrimonio personale che un calzolaio/debitore può adottare per salvaguardare i beni essenziali. Sarà una sezione trasversale che completa il quadro dalla prospettiva del debitore.

Evitare il fallimento o la liquidazione giudiziale: strategie e strumenti

Come accennato, il calzolaio artigiano medio rientra nel novero degli imprenditori “non fallibili”, dunque formalmente al riparo da una procedura di fallimento/liquidazione giudiziale. Tuttavia, non sono rari i casi in cui piccole imprese superano le soglie di fallibilità o operano sotto forma di società di persone o capitali e possono quindi incorrere in procedimenti concorsuali maggiori se insolventi. Inoltre, lo spettro del fallimento evoca in ogni imprenditore (piccolo o grande) preoccupazioni per la perdita del controllo aziendale, il blocco delle attività e le conseguenze economico/reputazionali. È quindi opportuno fornire indicazioni su come prevenire e, se possibile, evitare di arrivare al fallimento vero e proprio o alla liquidazione coatta.

1. Monitorare i segnali di crisi e attivarsi precocemente: La miglior difesa contro il fallimento è non arrivare all’insolvenza irreversibile. Sembra banale, ma molte aziende collassano perché ignorano i segnali di difficoltà finché è troppo tardi. Un calzolaio deve prestare attenzione a indicatori come: calo costante di fatturato, margini in riduzione, ritardi nei pagamenti ai fornitori o tasse, tensioni di cassa. La normativa recente (Codice crisi) enfatizza l’obbligo di rilevare tempestivamente la crisi anche tramite appositi indicatori. Sebbene per le micro imprese questo sia meno formalizzato, il principio vale: se ci si accorge che i debiti stanno crescendo e non si riescono a pagare regolarmente, bisogna agire subito, ad esempio rinegoziando costi, cercando nuovi apporti di capitale (soci, familiari), o riducendo l’attività per limitare le perdite. Più si aspetta, più i debiti aumentano per interessi e spese, restringendo i margini di manovra.

2. Composizione negoziata e piani di risanamento extragiudiziali: Per le imprese (anche piccole) in difficoltà ma ancora vitali, la legge prevede strumenti per evitare la liquidazione giudiziale tramite accordi di ristrutturazione prima dell’insolvenza conclamata. Abbiamo citato la composizione negoziata della crisi: qui l’imprenditore, anche minore, può volontariamente attivare un tavolo di negoziazione con un esperto indipendente nominato dalla CCIAA, il quale aiuta a trovare accordi con i creditori (ad esempio rimodulare debiti, trovare un investitore). Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere misure protettive (simili all’art. 44 CCII) dal tribunale per evitare azioni esecutive mentre tratta . Se le trattative riescono, si può formalizzare un accordo di ristrutturazione del debito sottoscritto dai creditori principali (almeno il 60% dei crediti ex art. 57 CCII) e farlo omologare al tribunale (rendendolo vincolante anche per i minori dissenzienti). Un accordo di ristrutturazione omologato è un modo elegante di evitare il fallimento: l’impresa continua, i debiti vengono regolati secondo i patti. Questi accordi sono più utilizzati per aziende più grandi, ma non esclusi per piccole se ci sono pochi creditori chiave (es. banca e fisco) disposti a trattare. Per micro realtà spesso il concordato minore – già visto – è l’alternativa concorsuale semplificata. Un altro strumento è il piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII (già art. 67 L.F.): l’imprenditore elabora un piano di risanamento economico-finanziario asseverato da un professionista indipendente, e su quella base può ottenere nuove finanze o dilazioni; se il piano funziona, l’impresa si risana senza entrare in procedure concorsuali. Il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti né dà protezione dalle esecuzioni, è più un ombrello legale per operazioni di ristrutturazione volontarie (ad es. banca che rifinanzia a condizione di un piano convincente, con tutela che i pagamenti eseguiti in attuazione del piano non potranno essere revocati come pagamenti preferenziali in caso di successivo fallimento).

In sintesi, anticipare la crisi e utilizzare gli strumenti di allerta e risanamento può evitare di arrivare allo stadio irreversibile. Il nostro calzolaio, se ad esempio vede che non riesce a pagare più fornitori e affitto, potrebbe prima ridurre costi (licenziare apprendista se necessario, vendere macchinari inutili), poi contattare un consulente per predisporre un mini piano industriale: se appare che con un taglio debiti del 30% e un piccolo finanziamento potrebbe salvarsi, può recarsi in Camera di Commercio e attivare la composizione negoziata sperando di convincere fornitori e banca a stralciare un 30% e proseguire con lui. Se ci riesce, non serve fallimento né concordato, ha risolto con un accordo stragiudiziale protetto.

3. Ricorso al concordato preventivo (per aziende fallibili): Qualora l’impresa sia di dimensione fallibile (ad esempio un calzolaio che abbia costituito una S.r.l. e abbia superato le soglie, o un S.a.s. con debiti rilevanti), e la crisi sia avanzata ma l’imprenditore voglia evitare l’istanza di fallimento dei creditori, può egli stesso presentare un ricorso di concordato preventivo (nelle forme ordinarie del CCII). Il concordato preventivo è un procedimento concorsuale volontario dove l’imprenditore in stato di crisi propone ai creditori un piano, simile al concordato minore ma per imprese grandi. Presentando domanda di concordato, si ottiene il blocco delle azioni esecutive e soprattutto si impedisce ai creditori di chiedere il fallimento durante la pendenza del concordato. Ciò “mette in sicurezza” l’azienda e dà tempo per trovare soluzioni. Il concordato preventivo può essere in continuità o liquidatorio, a seconda se l’azienda prosegue o viene chiusa, ma ai creditori chirografari va garantito almeno il 20% in caso liquidatorio (soglia CCII). Per il nostro contesto, basti sapere che se il calzolaio avesse costituito ad esempio una Srl “Calzoleria ABC Srl” e vedesse l’insolvenza, presentare un concordato preventivo eviterebbe la liquidazione giudiziale coatta e gli permetterebbe di gestire la crisi sotto controllo ma in modo propositivo.

4. Le soglie di non fallibilità come protezione: Come già detto, le micro imprese sotto soglia non possono essere portate in liquidazione giudiziale dai creditori . Questo è di per sé uno scudo: per quanto la situazione del calzolaio individuale degeneri, nessun creditore potrà chiederne il fallimento se egli riesce a dimostrare di essere sotto i limiti dimensionali. Tuttavia, attenzione: essere “non fallibile” non significa che i creditori non possano comunque portare via tutto tramite esecuzioni. Semplicemente non ci sarà un curatore a gestire il tutto, ma i creditori più aggressivi (es. il primo che pignora) potrebbero saturare le risorse. Paradossalmente, il fallimento/concorsuale a volte tutela meglio il debitore (perché ripartisce tra tutti i creditori e dà esdebitazione) rispetto a un feroce assalto di pochi creditori in via individuale. Quindi non abusare della non fallibilità: meglio cercare di risolvere i debiti con accordi o sovraindebitamento piuttosto che dire “tanto non possono fallirmi” e poi subire magari 10 pignoramenti in serie. La soglia è una difesa giuridica ma non economica.

5. Protezione del patrimonio personale: Un altro modo di evitare conseguenze disastrose è prevenire il rischio che i debiti professionali intacchino i beni personali. In questo senso, operare con una società di capitali (Srl) anziché come ditta individuale avrebbe limitato la responsabilità ai beni sociali. Molti piccoli imprenditori non lo fanno per costi e burocrazia, ma va detto: se il calzolaio fosse una Srl e fallisse, i suoi beni personali (casa, conto privato) sarebbero di regola salvi dai creditori sociali, salvo garanzie personali date (fideiussioni bancarie, tipiche). Certo, perderebbe l’investimento nel capitale sociale, ma non rischierebbe la casa. Se invece è ditta individuale o società di persone (Snc, Sas accomandatario) risponde con tutto il patrimonio. Dunque, una strategia di risk management è separare il patrimonio dell’impresa da quello familiare: costituire società di capitali, o se già tardivo, almeno evitare di mischiare conti correnti personali e aziendali (per ridurre confusione e il rischio di azioni esecutive sul conto personale). Un’altra forma di protezione è il fondo patrimoniale per i beni familiari: l’art. 170 c.c. impedisce l’esecuzione sui beni conferiti in fondo patrimoniale per debiti che il debitore ha contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Dunque, se il calzolaio anni prima avesse costituito un fondo patrimoniale su casa e magari altri beni per la famiglia, i creditori professionali (fornitori, banca per prestito d’azienda) non potrebbero pignorare la casa se dimostra che quei debiti erano per l’attività aziendale e non per necessità familiari. Tuttavia, i limiti pratici sono molti: spesso le banche fanno firmare che il prestito è anche per bisogni familiari, o comunque contestano che l’attività alimenta la famiglia quindi è collegata. Inoltre, se il fondo è costituito in prossimità della crisi, potrebbe essere revocato come atto in frode ai creditori. Quindi il fondo patrimoniale funziona solo se creato in tempi non sospetti e per proteggere la casa da eventuali rischi d’impresa, ma non è una panacea. Simile discorso per trust o vincoli di destinazione: si possono segregare beni in trust a favore dei figli, ecc., ma se è fatto poco prima del default, i creditori potranno agire con azione revocatoria (entro 5 anni per atti a titolo gratuito, o anche di più se c’è dolosa preordinazione) . Pertanto, occorre muoversi con anticipo e legalità: magari al momento di avviare l’attività, l’imprenditore potrebbe intestare la casa al coniuge o fare un fondo per i figli, così se l’azienda va male dopo 10 anni, quei beni sono al riparo (salvo però i debiti fiscali, perché con l’Agenzia Entrate Riscossione le protezioni non tengono sempre, l’ipoteca su casa in fondo patrimoniale a volte la iscrivono e bisogna fare causa…).

6. Assicurazioni e riserve: Prevenire la crisi significa anche assicurarsi contro eventi catastrofali: es. polizza per incendio o furto in negozio (che se succede, almeno rimborsa e non manda in rovina), oppure se si è un one-man business, una polizza infortuni/malattia per garantire un’entrata se il titolare si ferma (così non accumula debiti in quel periodo). Avere anche una riserva di emergenza (un piccolo fondo personale per le emergenze) è utile: molti piccoli imprenditori reinvestono tutto in azienda e non hanno risparmi liquidi; quando arriva un contraccolpo non hanno cuscinetto e ricorrono al debito, entrando nel circolo vizioso. Dedicare una parte degli utili degli anni buoni a riserva liquida o investimenti sicuri può salvare nelle crisi temporanee.

7. Comportamento corretto: Ultimo ma cruciale: mantenere un comportamento onesto e documentato. Un imprenditore che tiene contabilità in ordine, non occulta ricavi, non sottrae beni ai creditori, sarà molto più avvantaggiato nel negoziare ed evitare il fallimento. Se invece emette assegni scoperti, fa sparire merci dal magazzino o vende “in nero” per crearsi un tesoretto fuori, probabilmente i creditori (o un eventuale curatore) lo scopriranno e allora scatteranno conseguenze anche penali (bancarotta fraudolenta, ad esempio, se fosse fallimento). Ciò peggiora la posizione e rende impossibile molte soluzioni negoziali (chi si fida a fare un accordo con chi è in malafede?). Dunque la difesa migliore è la trasparenza: se si è in crisi, meglio parlar chiaro con il Fisco o la banca e mostrare i libri contabili puliti – magari si ottiene più facilmente una dilazione o rinuncia a interessi.

In conclusione, evitare la liquidazione giudiziale si può con l’anticipo, la negoziazione, l’utilizzo oculato degli strumenti concorsuali minori e la protezione preventiva dei beni personali. Se poi, malgrado tutto, la liquidazione giudiziale dovesse arrivare (perché ad esempio la società del calzolaio è fallita per iniziativa di un grosso creditore), rimane comunque l’àncora dell’esdebitazione post-fallimentare: oggi anche il fallito (persona fisica) può, chiusa la procedura, essere esdebitato dai debiti non soddisfatti, esattamente come nel sovraindebitamento . I requisiti sono simili: cooperazione, assenza di frodi, ecc. Quindi in ogni caso l’ordinamento tende a non lasciare nessuno schiavo dei debiti oltre una certa misura, a patto che abbia agito con correttezza e abbia subito la perdita del patrimonio disponibile.

Protezione dei beni essenziali del debitore e altre tutele

Dal punto di vista del debitore, difendersi dai debiti non significa solo ridurre o cancellare gli importi dovuti, ma anche salvaguardare i beni più importanti da eventuali aggressioni dei creditori. Vediamo quali sono le principali tutele e limiti di pignorabilità previsti dalla legge, oltre a strategie lecite per proteggere il patrimonio minimo vitale.

1. Beni impignorabili (assolutamente e relativamente): Il codice di procedura civile all’art. 514 elenca i beni mobili impignorabili in modo assoluto, tra cui: l’abbigliamento, i letti, gli utensili di casa e cucina necessari al debitore e alla famiglia, i viveri e combustibili per un mese, gli oggetti sacri per il culto, le decorazioni al valore, gli animali da affezione o da compagnia (in numero limitato) e i loro accessori, ecc. Questi beni non possono mai essere pignorati da alcun creditore, in quanto considerati indispensabili per la vita quotidiana e la dignità della persona . Inoltre, l’art. 515 c.p.c. prevede l’impignorabilità (salvo eccezioni) degli strumenti di lavoro necessari al debitore per svolgere la sua professione, a meno che il pignoramento sia effettuato per il credito del loro venditore o finanziatore (cioè se il debito è proprio il mancato pagamento di quei beni). Nel caso del calzolaio, ad esempio, gli attrezzi come martelli, forme, forbici specializzate, macchina da cucire per pellami, etc., in teoria rientrerebbero tra i beni strumentali necessari alla sua attività. Quindi un ufficiale giudiziario non potrebbe pignorarli, a meno che il creditore procedente sia proprio colui che glieli ha venduti a credito (es. se non ha pagato la ditta fornitrice della macchina da cucire, quella ditta potrebbe pignorare anche la macchina stessa). Tuttavia, come visto, per i creditori esattoriali esiste una norma specifica (Decreto Fare 2013) che ha quantificato il limite: gli strumenti di lavoro diventano pignorabili solo nella misura del 20% (1/5) , e solo se gli altri beni non bastano . Ciò rafforza la tutela già esistente nel c.p.c. In pratica, per un creditore privato l’art. 515 c.p.c. offre già protezione sugli attrezzi; per l’Agente Riscossione, c’è il limite di 1/5 (che di fatto è coerente con 515 c.p.c. ma esplicitato). Queste norme assicurano che il calzolaio non venga privato dei mezzi per lavorare e quindi per guadagnare (se gli portassero via tutti gli strumenti, non potrebbe più esercitare e neanche pagare debiti residui).

2. Limiti alla pignorabilità di stipendi e pensioni: Di questo abbiamo già trattato ma riepiloghiamo: un eventuale stipendio del calzolaio (se ad esempio dopo aver chiuso la sua attività fosse diventato dipendente presso un calzaturificio) può essere pignorato entro il massimo di 1/5 per ogni procedura (e complessivamente non oltre metà se ci sono più pignoramenti). Per pensioni, c’è la franchigia di impignorabilità pari a circa €753 (1,5 assegni sociali) e poi 1/5 sul resto. Questi limiti sono inderogabili per legge e valgono per tutti i creditori. Inoltre, nel caso di pignoramento presso terzi di conto corrente contenente stipendio/pensione, vige la regola speciale: se il pignoramento è antecedente all’accredito, il creditore può prendere secondo i limiti (se il conto conteneva l’ultimo stipendio, deve lasciare il minimo vitale); se il pignoramento è successivo all’accredito, per i creditori privati l’intera giacenza è pignorabile (salvo poi far valere il minimo vitale in sede di distribuzione, ma c’è incertezza applicativa), mentre per i crediti esattoriali il DL 2013 ha chiarito che l’ultima mensilità sul conto non si tocca . In pratica, i creditori possono pignorare stipendi/pensioni solo alla fonte (presso datore/INPS) con i limiti, oppure sul conto ma con analoghi riguardi per l’ultima mensilità (nel dubbio, un debitore accorto evita di far accumulare più di uno stipendio sul conto per non rischiare pignoramenti oltre il dovuto).

3. Prima casa e immobili abitativi: Abbiamo già spiegato la tutela fondamentale: il fisco non può pignorare la prima casa abitazione principale unica del debitore . Ci sono però delle precisazioni: questa impignorabilità non si applica se l’immobile ha destinazione di lusso (categorie A/8, A/9) oppure se il debitore ha più immobili (in tal caso il fisco può scegliere di pignorare anche quello dove risiede, previo rispetto delle soglie) . Anche se la prima casa non è pignorabile, il Fisco può comunque mettere ipoteca su di essa per debiti sopra €20.000 , il che vincola il bene e rende difficile venderlo. Verso creditori privati, come detto, non esiste un analogo divieto: la prima casa è pignorabile. Quindi un fornitore, una banca (non mutuante) o altro creditore chirografario può iscrivere ipoteca giudiziale e avviare esecuzione sulla casa dove il calzolaio vive. C’è però una tutela indiretta: se la casa è cointestata col coniuge (comunione dei beni, o comproprietà), il creditore può pignorare solo la quota del debitore (di solito il 50%). Questo complica un po’ la vendita, perché il tribunale mette all’asta una quota indivisa e spesso va deserta finché non si chiede lo scioglimento della comunione; è un iter meno immediato. Inoltre, in sede esecutiva immobiliare, il giudice ha facoltà di concedere al debitore esecutato un termine di grazia se si tratta di abitazione, per trovare i soldi e pagare prima di mandare all’asta (questo tipicamente nei mutui fondiari, art. 41 TUB, c’è la sospensione di 6 mesi al primo inadempimento; anche il codice crisi prevedeva meccanismi di allerta per salvare immobili). Purtroppo, oltre questo, la legge non prevede altre immunità per la casa nei confronti di creditori ordinari. Alcune proposte di legge vorrebbero estendere il divieto di pignoramento prima casa anche ai privati, ma finora non è realtà (c’è solo una protezione per i fondi patrimoniali come detto, se i debiti erano estranei ai bisogni familiari).

4. Autovetture e beni strumentali in parte già toccati: Le autovetture, essendo mobili registrati, sono facilmente individuabili e soggette sia a fermo amministrativo (il fisco per crediti ≥ €1.000 mette fermo, impedendo la circolazione) sia a pignoramento mobiliare. Non c’è un’esenzione per l’auto, anche se necessaria per lavoro, a meno che rientri negli strumenti indispensabili (es. un rappresentante di commercio potrebbe sostenere che l’auto è essenziale e chiedere al giudice di applicare analogia tutela, ma non c’è norma chiara). Per mitigare: se l’auto è indispensabile al lavoro (metti che il calzolaio fa consegne a domicilio), un accordo con il creditore o un ricorso in sede esecutiva può a volte evitarne la vendita per pochi spiccioli. Altra strategia è usare leasing o intestazione a terzi per i veicoli: se il bene non è di proprietà del debitore, i creditori non possono aggredirlo (fermo restando che non deve essere una simulazione in frode). Ad esempio, alcuni artigiani preferiscono tenere l’auto intestata alla moglie o in leasing proprio per non farla rientrare nel patrimonio aggredibile (ma attenzione, se è leasing pagato con soldi dell’azienda poi il curatore può indagare sui beneficiari effettivi).

5. Conti correnti cointestati: Spesso i coniugi hanno il conto comune. Se uno solo è debitore, il creditore può pignorare il conto, ma la giurisprudenza prevalente dice che solo metà del saldo si presume del debitore e quindi solo quella metà può essere assegnata . Il restante è dell’altro coniuge e va liberato (a meno che il creditore provi che le somme sono interamente del debitore). Dunque, la cointestazione offre una parziale protezione (50%), anche se congelamento avviene sull’intero importo fino a ordinanza del giudice che libera la quota dell’innocente. È un aspetto da ricordare: se il calzolaio ha paura di pignoramento conto, avere il conto con la moglie riduce il rischio al 50% dell’esposizione.

6. Assegni di mantenimento, pensioni sociali, sussidi: Tali entrate sono generalmente impignorabili. Ad esempio, gli assegni familiari, le pensioni di invalidità civile, il reddito di cittadinanza (nel 2025 sostituito da altri sussidi come l’assegno di inclusione), non sono pignorabili perché considerati mezzi di sostentamento essenziali e vincolati a scopi specifici. Quindi, se il calzolaio percepisce, poniamo, un assegno sociale o un contributo pubblico per la bottega storica, tali somme non dovrebbero essere aggredibili dai creditori.

7. Opposizioni alle esecuzioni: Il debitore ha sempre la facoltà di contestare formalmente un pignoramento o un atto esecutivo se ritiene vi siano irregolarità. Esempi: il pignoramento è stato notificato senza rispettare le forme, oppure il creditore procedente non aveva un titolo valido, oppure l’importo preteso è errato (magari non aggiornato con pagamenti fatti). In tal caso può fare opposizione all’esecuzione (se contesta il diritto di procedere, ex art. 615 c.p.c.) o opposizione agli atti esecutivi (se contesta vizi formali degli atti, art. 617 c.p.c.). Spesso i debitori, tramite avvocato, verificano se la notifica della cartella esattoriale fu regolare: se non lo fu, il pignoramento seguente potrebbe essere nullo. Oppure contestano la legittimità di un precetto (es. vizi nel titolo). Queste opposizioni, se hanno fondamento, possono ritardare o bloccare le esecuzioni, dando spazio nel frattempo a trovare soluzioni. Non vanno usate pretestuosamente (si rischia di pagare spese inutili), ma sono un’arma difensiva se il creditore ha commesso errori.

8. Conversione del pignoramento: Prevista dall’art. 495 c.p.c., consente al debitore esecutato di evitare la vendita del bene pignorato depositando una somma pari al credito, interessi e spese (in pratica pagando il dovuto) oppure, con l’ultima riforma, anche depositando una somma ridotta e chiedendo rateazione del resto (è stata introdotta la possibilità per i debitori di evitare l’asta pagando dilazionato, ma con garanzie). Questo ovviamente presuppone che il debitore reperisca i fondi: se il calzolaio trova un parente disposto a prestargli i soldi per saldare il creditore procedente, può convertire il pignoramento (il bene gli viene liberato) e poi restituirà il prestito eventualmente su comodi termini tra di loro. È più un istituto tecnico, ma rientra nelle difese: meglio un debito verso un parente (senza ipoteca magari) che il bene venduto all’asta.

9. Sovraindebitamento e beni impignorabili: Le procedure concorsuali stesse tengono conto di questi limiti. Ad esempio, se il calzolaio fa un piano del consumatore, potrà non includere i beni impignorabili (nessuno gli chiederà di vendere i vestiti o il letto). Se però, ad esempio, possiede la prima casa unica non pignorabile dal fisco, potrebbe essere venduta comunque in un concordato o liquidazione su richiesta del debitore stesso se ciò giova ai creditori – cioè la legge impedisce al fisco di pignorarla, ma il debitore può volontariamente usarla per pagare i debiti. Quindi la impignorabilità non significa che resta sempre salva: se il debitore sceglie la via concorsuale, può decidere di sacrificare anche quella per risolvere il sovraindebitamento. È una scelta dolorosa ma a volte razionale (vendo la casa per pagare i debiti, così evito pignoramenti su stipendio per 20 anni). La legge glielo consente e i creditori ne sarebbero contenti. Quindi, protezione legale vuol dire che il creditore singolo non può togliertela, ma tu debitore potresti comunque doverla mettere in gioco in una procedura generale, se vuoi massimizzare l’efficacia del piano.

10. Responsabilità personali in società: Una breve nota: se il calzolaio opera in società di persone (Snc o S.a.s. come accomandatario), i creditori della società possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, anche se la società non è fallita (nelle S.a.s. l’accomandante no, è limitato). Però, se viene dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale) della società, falliscono per estensione anche i soci illimitatamente responsabili (art. 256 CCII). Quindi, altra ragione per un socio di Snc di evitare il fallimento sociale: perché trascinerebbe anche se stesso. Fortunatamente, se è Snc sotto soglia, non fallisce né la società né i soci. Ma qualora fallisse, i soci saranno coinvolti e i loro beni personali entrano nella massa fallimentare. Dunque, per proteggere i propri beni, in certi casi i soci preferiscono sciogliere la società per tempo e trasformarla in ditte individuali per sfruttare la non fallibilità (operazione che dev’essere fatta prima che i problemi emergano troppo, altrimenti potrebbe essere vista come fraudolenta). Questo è un discorso molto tecnico, comunque centrato sull’idea: evitare che i debiti aziendali divorino il patrimonio personale passa anche dalla scelta della forma giuridica adatta e dall’adozione di misure prudenti quando le cose vanno bene, non solo quando vanno male.

Ricapitolando le principali tutele sui beni (tabella riassuntiva):

Bene/EntrataTutela previstaRiferimenti normativi
Abbigliamento, mobili essenziali, utensili casaImpignorabili assolutamenteArt. 514 c.p.c.
Strumenti di lavoro (macchinari, attrezzi)Impignorabili salvo debito per il loro acquisto; limite 1/5 con FiscoArt. 515 c.p.c.; Art. 76 DPR 602 (mod.)
Stipendio presso datorePignorabile max 1/5 (1/10 o 1/7 se esattoriale sotto soglie)Art. 545 c.p.c.; DL 69/2013
PensioneImpignorabile fino a €753 ca.; oltre, pignorabile 1/5Art. 545 c.p.c. (ultimi commi)
Conto corrente con stipendioUltimo stipendio non toccato da pignoramento esattoriale ; in pignoramento ordinario, in pratica lascia minima parte (discrezionale)Art. 545 c.p.c. (per pensioni accreditate) e giurisprudenza
Prima casa (unica, residenza) – FiscoImpignorabile (no espropriazione) ; ipotecabile sopra €20kArt. 76 DPR 602/1973 (Decr. Fare)
Prima casa – creditori privatiPignorabile (nessun divieto specifico)– (tutela solo se fondo patrimoniale per debiti estranei)
Fondi patrimoniali/trustNon aggredibili per debiti estranei ai bisogni familiari; revocabili se in frodeArt. 170 c.c.; Azione revocatoria
Beni di minore comune a coniugePignorabili per la quota del debitore (in genere 50%)Art. 599 c.p.c. (esecuzione su beni indivisi)
Sussidi, assegni familiariImpignorabili (per legge o per natura)Leggi speciali (es. art. 545 c.3 c.p.c. per alimenti)

Il calzolaio debitore, armato di questa conoscenza, potrà quindi: – Impedire pignoramenti illegittimi segnalando all’ufficiale giudiziario l’impignorabilità di certi beni (ad esempio, se tenta di prendere gli strumenti di mestiere, opporsi seduta stante mostrando la norma). – Far valere i limiti in sede di assegnazione (es. se in un pignoramento stipendio cercassero oltre 1/5, fare opposizione). – Organizzare la sua situazione in modo da “mettere al riparo” il necessario: ad esempio, se teme il fermo auto e l’auto gli serve, potrebbe valutare di intestarla a un familiare non debitore (purché fatto in tempi non sospetti e non per frodare). – Se ha tempo prima della crisi, istituire un fondo patrimoniale sulla casa di famiglia (ricordando però che i debiti poi contratti per l’attività potrebbero essere considerati estranei o no ai bisogni famigliari a seconda dei casi e quindi la protezione non è garantita al 100% in giudizio). – Mantenere separate le finanze personali (ad esempio, non accumulare grandi liquidità sul proprio conto se prevedibile un’azione dei creditori: meglio usare eventuali risparmi per pagare direttamente qualche debito oppure farli custodire a un coniuge in un conto non intestato al debitore – ma attenzione, questo sfiora l’illecito se è fatto con intento di sottrarre ai creditori quando il debito è già scaduto: potrebbero agire con revocatoria sostenendo che è simulazione di separazione di beni; occorre sempre navigare tra il lecito e l’illecito con cautela, meglio consigliarsi con un legale).

Domanda: “La banca può prendersi i soldi dal conto per ripianare un fido scoperto senza preavviso?” – Sì e no. Se il calzolaio ha un conto corrente con fido e il fido viene revocato per insolvenza, la banca può compensare le somme presenti su quel conto stesso (compensazione tra credito e debito) – di fatto si “autopaga” usando il saldo attivo a copertura del passivo. Questo non è un pignoramento ma un atto lecito di autotutela (se contrattualmente previsto). Se invece il calzolaio ha due conti, uno personale e uno aziendale, e un debito sul conto aziendale, la banca non può spostare i soldi dall’uno all’altro arbitrariamente: dovrebbe prima ottenere un titolo e fare pignoramento come qualsiasi creditore. Quindi, per protezione, è opportuno tenere i rapporti separati e magari in banche diverse (così la banca del mutuo non ha mano diretta sul conto dove arriva lo stipendio del coniuge, ecc.).

Domanda: “Se vendo la casa per pagare i debiti, i creditori possono lamentarsi se li pago parzialmente?” – Se il ricavato basta a soddisfarli interamente, ottimo. Se non basta e decidi di fare un accordo stragiudiziale dando a tutti una percentuale, conviene farlo formalizzare (accordo transattivo firmato da tutti) per evitare che qualcuno, preso il parziale, poi pretenda ancora il resto. Se invece vendi la casa e ne paghi alcuni ma non altri, i non pagati potrebbero impugnare la vendita se fu a un prezzo troppo basso o se pensano fosse simulata (ma se vendi a valore di mercato e i soldi li usi, non c’è frode). Comunque, la priorità dovrebbe essere data ai creditori con ipoteca o pignoramenti in corso su quella casa (per evitare rogne, di solito serve il loro consenso alla cancellazione ipoteca). Insomma, la vendita volontaria di un immobile può evitare un’asta, ma bisogna gestire bene la distribuzione del ricavato. Meglio farlo nell’alveo di una procedura o accordo, ma se informale assicurarsi che i creditori firmino quietanze a saldo e stralcio.

Chiudiamo la guida con una sezione di domande e risposte rapide che ricapitolano i dubbi più frequenti, e con le fonti normative e giurisprudenziali utilizzate per chi volesse approfondire ulteriormente.

Domande frequenti (FAQ)

D: Un calzolaio sommerso dai debiti rischia di finire in galera?
R: No, in Italia non esiste la prigione per debiti civili. Il mancato pagamento di fornitori, banche, tasse di per sé non comporta pene detentive. Si può subire pignoramenti, ma non la perdita della libertà personale. Fanno eccezione solo casi particolari: il mancato versamento di assegno di mantenimento ai figli/coniuge (che può integrare reato), o reati fiscali (dichiarazione fraudolenta, occultamento scritture) se il debitore ha commesso evasioni oltre soglie penali. Ma non si viene arrestati perché non si riesce a pagare un mutuo o le tasse: ciò che si attiva sono le procedure di recupero forzato del denaro, non sanzioni penali. La Costituzione vieta espressamente la detenzione per insolvenza civile. Quindi il calzolaio indebitato deve preoccuparsi dei beni, non della propria libertà fisica.

D: Ho ricevuto una cartella esattoriale enorme, posso fare ricorso o devo pagare e basta?
R: Puoi impugnare la cartella se ritieni che il debito sottostante sia errato o prescritto. La cartella è un atto esecutivo: va contestata entro 60 giorni (per imposte) davanti alle commissioni tributarie o al giudice competente (per INPS entro 40 giorni al tribunale lavoro). Se la cartella è fondata (il debito c’è ed è dovuto) ma non riesci a pagare, allora non ha senso ricorrere nel merito, ma puoi chiedere la rateizzazione all’ADER oppure aderire se c’è una rottamazione. Se sono scaduti i termini di impugnazione, verifica con un legale se ci sono vizi di notifica (a volte le cartelle non notificate regolarmente sono nulle – ma va fatta opposizione al primo atto utile, tipo all’intimazione). In sintesi: ricorso se c’è un errore/illegittimità; altrimenti rateizzazione o procedure sovraindebitamento per gestire l’importo.

D: Ho debiti con il fisco e con fornitori. Posso includerli tutti in un’unica procedura di sovraindebitamento?
R: Sì, le procedure (piano, concordato minore, liquidazione) coprono tutti i debiti del sovraindebitato sorti prima. Quindi nella proposta devi elencare sia i debiti fiscali che quelli commerciali, bancari ecc. e proporre come saranno trattati. L’accordo varrà per tutti. Non è possibile “selezionare” quali debiti inserire: la crisi va risolta in modo unitario. L’unica distinzione è sul tipo di procedura: se sei un consumatore puro puoi fare il piano per i debiti personali; se sei imprenditore (anche piccolo) devi fare concordato minore o liquidazione per tutti i debiti, compresi eventualmente quelli personali. (Nel codice c’è comunque flessibilità: un imprenditore minore può presentare un piano da consumatore per i debiti estranei all’attività e un concordato minore per quelli dell’attività, ma questo richiede che le masse siano nettamente separabili. In genere si fa un unico concordato minore per tutto).

D: La legge sul sovraindebitamento funziona davvero? Ho sentito che pochi ne hanno usufruito.
R: In passato la legge 3/2012 è stata poco utilizzata nei primi anni per scarsa conoscenza e per alcuni requisiti (meritevolezza) molto stretti . Dal 2015 in poi c’è stata una crescita e con le riforme del 2020-2022 le condizioni sono migliorate (meritevolezza meno rigida, procedure familiari, esdebitazione incapiente). Ormai migliaia di persone hanno ottenuto piani omologati o esdebitazione. Certamente richiede impegno e tempi (qualche mese per l’omologa, qualche anno per esecuzione del piano), ma funziona: casi di completa cancellazione dei debiti dopo adempimento del piano o chiusura liquidazione sono documentati. Va però preparata bene con l’aiuto di esperti (OCC, avvocati). Oggi (2025) c’è anche più informazione: gli OCC sono diffusi in tutta Italia e forniscono assistenza. Dunque è una via assolutamente percorribile per chi è soffocato dai debiti. Le statistiche mostrano un aumento esponenziale di richieste dopo il 2020. Quindi sì, funziona se usata correttamente e se il giudice ritiene la proposta coerente.

D: Dopo l’esdebitazione, il mio nome viene ripulito anche dalle banche dati creditizie?
R: L’esdebitazione cancella le obbligazioni legali, ma il “track record” creditizio può restare macchiato per un po’. Ad esempio, la Centrale Rischi Bankitalia o CRIF potrebbero aver segnalato a sofferenza quei debiti. In teoria, se il debito è legalmente annullato, potresti chiedere l’aggiornamento delle segnalazioni. Nei fatti, spesso rimane indicazione che c’è stato un default poi chiuso. Di norma, le segnalazioni negative in CRIF restano 36 mesi dal loro aggiornamento finale (se un debito viene chiuso stralciato, segnalano “importo rinunciato” o simili). Con l’esdebitazione, potresti trasmettere il decreto a CRIF per far risultare “chiuso per esdebitazione”. Il punteggio di affidabilità però non tornerà alto immediatamente: bisogna ricostruirlo nel tempo. Comunque, dal punto di vista legale, nessuno potrà più esigere quei crediti. Resta l’aspetto reputazionale: futuri finanziatori sapranno che sei passato da insolvenza. Ma col tempo e con nuove esperienze positive (pagamenti regolari di bollette, affitti, etc.) la fiducia può essere recuperata.

D: Se ottengo un saldo e stralcio da una banca, devo pagare tasse su quello che non pago?
R: Dipende. Per le imprese esiste la tassazione delle sopravvenienze attive: se un debito viene cancellato per transazione, l’importo stralciato sarebbe un provento tassabile (salvo procedure concorsuali esenti). Nel caso di persona fisica non imprenditore, in passato l’Agenzia delle Entrate aveva considerato non tassabile lo stralcio ottenuto in una legge 3/2012 in quanto equiparabile a esdebitazione concorsuale. Se il calzolaio è ditta individuale, teoricamente la quota di debito rimessa dal creditore potrebbe essere reddito imponibile. Tuttavia, nelle procedure concorsuali (concordato, sovraindebitamento omologato) la legge esenta da tassazione le sopravvenienze da remissione di debiti (art. 88 TUIR). In un accordo stragiudiziale extra-procedura invece potrebbe essere considerata tassabile se sei soggetto IRPEF con contabilità. In pratica, per un artigiano in regime semplificato, è un tema complesso: ma di solito, se si chiude l’attività contestualmente, quell’aspetto sfuma. È opportuno chiedere al commercialista caso per caso. Per un privato consumatore, niente tasse sullo “sconto”. Per un imprenditore, le norme di favore delle procedure conviene sfruttarle per evitare imposizioni.

D: Durante una procedura di sovraindebitamento, possono revocarmi l’auto o altri beni che ho venduto prima?
R: Sì, c’è il rischio di azioni revocatorie o di rilievo di atti in frode. Se ad esempio, l’anno prima della procedura hai venduto un macchinario a tuo cugino a metà del suo valore di mercato, il liquidatore (o i creditori) potrebbero chiederne la revoca perché atto a titolo oneroso a prezzo non congruo fatto nei 2 anni anteriori all’istanza, con pregiudizio ai creditori. Nel sovraindebitamento le norme sulle revocatorie fallimentari non si applicano automaticamente, ma il giudice può non ammettere se vede atti del genere (o può subordinare l’omologa alla riacquisizione del bene). Inoltre, i creditori esterni non possono fare revocatoria dopo l’omologa (perché la procedura li vincola), ma se conoscono atti precedenti sospetti e la procedura non li considera, potrebbero opporsi all’omologa per frode. In liquidazione controllata, il liquidatore può esercitare l’azione revocatoria ordinaria (entro 5 anni per atti gratuiti, 1 anno per atti a titolo oneroso con determinate condizioni) . Quindi, conviene non aver compiuto atti di spoliazione prima della procedura. Se li hai compiuti ingenuamente (es. donato un bene ai figli per matrimonio), segnalalo con trasparenza all’OCC: se era atto genuino potrebbe non inficiare la meritevolezza, ma magari faranno riprendere quel bene nella massa. La regola d’oro: non cercare di fare il furbo svuotando il patrimonio prima di chiedere aiuto al tribunale – di solito viene scoperto e fa perdere i benefici.

D: Quanto tempo ci vuole per chiudere una procedura di sovraindebitamento?
R: Dipende dal tipo: un piano del consumatore o concordato minore ha una fase iniziale di preparazione (qualche settimana per raccogliere documenti, stendere la proposta), poi deposito in tribunale. L’omologazione potrebbe arrivare in 3-6 mesi a seconda dei tribunali (devono nominare giudice, udienza, eventualmente raccogliere voto creditori per concordato). Dopo l’omologa, c’è la fase esecutiva: un piano può durare fino a 5-6 anni tipicamente (può essere meno se vendi subito un immobile, o più se prevede pagamenti diluiti eccezionalmente). La liquidazione controllata: se non ci sono beni, può chiudersi in pochi mesi (magari giusto il tempo di fare l’udienza dei creditori e poi emettere esdebitazione incapiente). Se ci sono immobili da vendere, la liquidazione potrebbe durare 1-2 anni o più. L’esdebitazione del debitore incapiente in sé è piuttosto rapida: il tribunale valuta e se tutto ok emette il decreto di esdebitazione magari entro 6-12 mesi dalla domanda . Poi però c’è quel periodo di 4 anni di condizionale in cui devi comunicare eventuali miglioramenti. Dunque, realisticamente, per uscire completamente dai debiti e trascorso ogni obbligo, ci vogliono alcuni anni. È comunque finito: molto meglio che restare inseguiti dai debiti potenzialmente per decenni. Quindi è un “percorso di pazienza” ma con luce garantita alla fine.

D: Quali debiti restano anche dopo la procedura?
R: Restano esclusi per legge i debiti alimentari (mantenimento a coniuge/figli), le sanzioni penali o amministrative (multe stradali, ammende, ecc.), e i debiti derivanti da danni extracontrattuali causati da fatti illeciti (es. risarcimento per lesioni personali causate dal debitore in un’aggressione) . Inoltre, i debiti fiscali per cui il debitore ha commesso reati tributari (dichiarazioni fraudolente, etc.) rimangono esclusi . Tutto il resto è dentro: quindi mutui, prestiti, fornitori, bollette, leasing, carte, contributi, tasse ordinarie, ecc. vanno via. Perciò il calzolaio dopo esdebitazione dovrà comunque continuare a pagare, ad esempio, l’assegno di mantenimento ai figli o la multa comunale se era una sanzione per abuso edilizio (non condonata). Ma queste cose di solito non sono la fetta grossa dei debiti. Faccio notare: se c’è un fideiussore o coobbligato, la sua obbligazione invece resta. L’esdebitazione libera solo il debitore principale, ma un eventuale garante (es. la moglie che aveva firmato fideiussione in banca) può essere chiamato a pagare il residuo. I creditori però non possono più rifarsi sul debitore esdebitato.

D: Dopo il sovraindebitamento, posso aprire una nuova attività o chiedere un mutuo?
R: Legalmente sì, non c’è interdizione (a differenza del fallito che aveva alcune limitazioni durante la procedura, qui nulla di ciò). Psicologicamente e finanziariamente dipende: se ti sei liberato dai debiti ma non hai capitale, sarà dura ripartire subito. Ma nulla vieta di costituire una nuova società o nuova ditta. Anzi, l’esdebitato deve darsi da fare per non ricadere in debiti. Le banche saranno prudenti a darti credito per un po’, ma magari con uno storico nuovo e garanzie potrai ottenere fiducia col tempo. Se hai beni che erano ipotecati e sono stati venduti, potresti un domani comprarne altri – esdebitazione non comporta preclusioni patrimoniali future. In sintesi, l’obiettivo del legislatore è proprio reinserirti nell’economia attiva. Diverso per chi ha subìto condanne penali fallimentari (tipo bancarotta): in quel caso ci sono interdizioni. Ma se hai fatto tutto regolarmente e ottenuto esdebitazione, sei pulito agli occhi della legge.

Hai una bottega di calzolaio o un laboratorio artigianale di riparazione scarpe e pelletteria e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai una bottega di calzolaio o un laboratorio artigianale di riparazione scarpe e pelletteria e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, solleciti di pagamento, o temi pignoramenti, fermi amministrativi o blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione o dei creditori?

👉 Prima regola: non rimandare.
Molti artigiani del settore calzaturiero finiscono in difficoltà per calo della clientela, tassazione elevata, ritardi nei pagamenti e errori di gestione contabile.
Con una difesa legale e fiscale ben organizzata, puoi bloccare le azioni esecutive, ridurre i debiti e proteggere la tua attività e la tua bottega artigianale.


⚖️ Le cause più comuni di indebitamento nei calzolai

  • Diminuzione della clientela e aumento dei costi di gestione.
  • Affitti onerosi e costi elevati per materiali e forniture.
  • Mancato versamento di IVA, IRPEF o contributi INPS artigiani.
  • Errori nella contabilità o nella dichiarazione dei redditi.
  • Cartelle esattoriali e interessi di mora accumulati nel tempo.
  • Mutui o finanziamenti per attrezzature e arredi del laboratorio.
  • Crisi di liquidità legata alla stagionalità del lavoro.

📌 I rischi per un calzolaio indebitato

  • Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti e incassi.
  • Fermi amministrativi su veicoli o mezzi di lavoro.
  • Iscrizioni ipotecarie su botteghe o immobili.
  • Blocco dei rimborsi fiscali o dei crediti IVA.
  • Revoca di affidamenti bancari o linee di credito.
  • Rischio di chiusura o liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza.

🔍 Cosa fare subito

  1. Analizza la tua posizione debitoria, distinguendo tra debiti fiscali, contributivi e bancari.
  2. Verifica la legittimità delle cartelle e degli atti notificati, poiché molte contengono vizi o debiti prescritti.
  3. Blocca le azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, fermi) con ricorsi o istanze di sospensione.
  4. Richiedi una rateizzazione o valuta una definizione agevolata (“rottamazione”), se disponibile.
  5. Affidati a un avvocato tributarista esperto, per elaborare una strategia di difesa e risanamento sostenibile.

🧾 Strumenti per difendersi e risolvere i debiti

💠 Rateizzazione delle cartelle

È possibile ottenere una rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo pignoramenti e riscossione.

💠 Definizione agevolata o “rottamazione”

Quando prevista, consente di pagare solo il capitale dovuto, eliminando sanzioni e interessi di mora.

💠 Istanza di autotutela o ricorso tributario

Permette di impugnare cartelle o intimazioni irregolari, evitando pagamenti indebiti.

💠 Composizione negoziata della crisi

Uno strumento moderno che consente di negoziare con Fisco, banche e fornitori, mantenendo la continuità dell’attività artigianale.

💠 Piano di risanamento aziendale o personale

Con l’assistenza legale e contabile, puoi ristrutturare i debiti, ridurre i costi fissi e salvaguardare la tua bottega e il tuo mestiere.


🛠️ Strategie di difesa per un calzolaio indebitato

  • Analizzare ogni atto e cartella per individuare vizi o prescrizioni.
  • Contestare pignoramenti, ipoteche o fermi amministrativi non legittimi.
  • Dimostrare la crisi temporanea di liquidità per ottenere sospensioni o rateizzazioni agevolate.
  • Attivare accordi di rientro con Fisco, banche e fornitori.
  • Proteggere macchinari, arredi e strumenti di lavoro da azioni esecutive.
  • Migliorare la gestione fiscale e amministrativa per evitare nuovi debiti futuri.

⚖️ Perché agire subito è fondamentale

Nel lavoro del calzolaio, la bottega e gli strumenti artigianali sono il cuore dell’attività.
Un pignoramento o un blocco dei conti può fermare il lavoro e far perdere clientela e fornitori.
Agire tempestivamente consente di:

  • Bloccare cartelle e azioni esecutive.
  • Difendere la tua attività e il tuo patrimonio personale.
  • Rinegoziare i debiti e ottenere condizioni sostenibili.
  • Recuperare equilibrio economico e serenità lavorativa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la tua posizione debitoria e la documentazione ricevuta.
  • 📌 Verifica la legittimità delle cartelle e la possibilità di sospensione o rateizzazione.
  • ✍️ Predispone piani di risanamento, istanze di autotutela e ricorsi tributari personalizzati.
  • ⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e alla Corte di Giustizia Tributaria.
  • 🔁 Offre consulenza continuativa su fiscalità artigianale, tutela del patrimonio e gestione della crisi.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
  • ✔️ Specializzato nella difesa di calzolai, artigiani e piccoli imprenditori contro debiti fiscali e bancari.
  • ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Un calzolaio con debiti può rimettersi in piedi e salvare la propria bottega, ma deve agire con tempestività e metodo.
Con una difesa legale e fiscale ben strutturata, puoi bloccare cartelle e pignoramenti, ridurre l’esposizione debitoria e tutelare la tua attività e la tua reputazione artigiana.
Agire oggi significa proteggere il tuo lavoro, i tuoi clienti e il futuro della tua impresa artigianale.


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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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