Hai un’attività di consulente HSE (Health, Safety & Environment) e stai affrontando debiti fiscali o accertamenti dell’Agenzia delle Entrate?
Il lavoro del consulente in materia di sicurezza e ambiente è spesso caratterizzato da collaborazioni con aziende, cantieri e studi tecnici, con compensi variabili e carichi fiscali elevati.
Molti professionisti del settore HSE si trovano in difficoltà a causa di ritardi nei pagamenti, errori contabili o gestione non ottimale della partita IVA, finendo per accumulare debiti con il Fisco, l’INPS o i fornitori.
Con una difesa legale e fiscale mirata, è possibile bloccare le azioni di riscossione, rateizzare i debiti e contestare accertamenti illegittimi, salvaguardando la propria attività professionale e la reputazione.
Quando un consulente HSE entra in difficoltà fiscale
Le situazioni più comuni che portano a debiti o accertamenti nel settore della consulenza tecnica e della sicurezza sono:
- Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRPEF o contributi INPS non versati;
- Accertamenti fiscali per presunti redditi non dichiarati o costi non riconosciuti;
- Blocco dei conti correnti o pignoramenti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
- Sanzioni e interessi che aumentano rapidamente l’importo del debito;
- Ritardi nei pagamenti dei clienti aziendali o pubblici, che generano squilibri di cassa;
- Errori nella gestione contabile o fiscale della partita IVA o nel passaggio tra regimi (forfettario, ordinario).
Cosa fare se hai debiti o sei sotto accertamento fiscale
- Non sottovalutare gli avvisi del Fisco: ogni atto (cartella o accertamento) deve essere impugnato o rateizzato entro 60 giorni dalla notifica.
- Verifica la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti contengono vizi di notifica, errori di calcolo o motivazioni generiche, che permettono di chiederne l’annullamento.
- Controlla l’effettivo ammontare del debito: spesso le somme richieste includono sanzioni e interessi sproporzionati, che possono essere ridotti.
- Richiedi la rateizzazione: puoi ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le procedure di riscossione.
- Valuta la definizione agevolata: la “rottamazione” delle cartelle consente di pagare solo il capitale dovuto, cancellando sanzioni e interessi.
- Impugna gli accertamenti ingiusti: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, puoi bloccare la riscossione e contestare l’atto.
Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nella difesa dei liberi professionisti e dei consulenti tecnici può analizzare la tua situazione e individuare la strategia più efficace per salvaguardare la tua attività.
Tra le azioni più utili:
- contestare errori di notifica, motivazione o calcolo negli accertamenti e nelle cartelle;
- richiedere la sospensione immediata delle azioni di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche);
- presentare ricorso contro accertamenti IVA o IRPEF fondati su presunzioni non dimostrabili;
- negoziare con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione rateizzazioni o transazioni fiscali sostenibili;
- tutelare strumenti, computer e beni professionali da azioni esecutive;
- predisporre una pianificazione fiscale corretta, per evitare nuovi problemi in futuro.
Il ruolo dell’avvocato nella difesa del consulente HSE
- Analizza la legittimità di accertamenti, cartelle e intimazioni di pagamento;
- Presenta ricorsi e istanze di sospensione per bloccare la riscossione;
- Negozia piani di pagamento agevolati o definizioni rottamate;
- Difende il professionista nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e in giudizio;
- Protegge i beni personali e professionali da pignoramenti o sequestri;
- Tutela la reputazione e la continuità dell’attività di consulenza.
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
- La sospensione immediata delle azioni di riscossione;
- L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi;
- La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute;
- La protezione del patrimonio e degli strumenti professionali;
- Il risanamento fiscale e la stabilità economica della tua attività.
⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti o sequestro dei beni, compromettendo la possibilità di lavorare con aziende e appalti pubblici.
Molte situazioni, però, possono essere risolte o ridotte, se affrontate con tempestività e con il supporto di un avvocato tributarista esperto nella difesa dei consulenti HSE e delle partite IVA.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa fiscale dei professionisti tecnici e della sicurezza – spiega cosa fare se sei un consulente HSE con debiti fiscali o sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ricostruire la stabilità economica della tua attività.
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Introduzione
Il consulente HSE (Health, Safety and Environment) che si trovi in una situazione di sovraindebitamento – con debiti fiscali (IRPEF, IVA, tributi locali), contributivi (INPS, casse professionali), bancari (mutui, prestiti), personali (carte di credito, prestiti al consumo) o verso fornitori – deve innanzitutto comprendere il quadro normativo e gli strumenti a disposizione. Negli ultimi anni la legge italiana ha introdotto meccanismi di composizione della crisi rivolti proprio a soggetti non fallibili (come professionisti e piccoli imprenditori) in difficoltà economica . Ad esempio, la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012, c.d. “salva-suicidi”) è stata coordinata nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e successive riforme, prevedendo procedure per consumatori, professionisti e piccole imprese in crisi . Questo permette al debitore (persona fisica con Partita IVA) di presentare piani di rientro dei debiti sotto la supervisione del tribunale, continuando a gestire l’attività (con una sorta di “fresh start”) invece di affrontare un fallimento vero e proprio.
Di seguito analizzeremo in dettaglio: – Tipologie di debiti e rischi per il professionista,
– Come mantenere l’operatività professionale durante la crisi,
– Strumenti di composizione della crisi (sovraindebitamento): piano del consumatore, accordo di composizione (concordato minore) e liquidazione controllata, con tabelle comparative, requisiti e procedure,
– Domande frequenti e risposte pratiche,
– Simulazioni di casi concreti in Italia.
Le soluzioni saranno trattate dal punto di vista del debitore, con approfondimenti giuridici adatti a avvocati, imprenditori e professionisti, usando un linguaggio tecnico ma accessibile. Alla fine sono riportate le fonti normative e giurisprudenziali principali aggiornate al 2025.
Quadro normativo di base
Le procedure di sovraindebitamento in Italia sono regolate dalla L. 3/2012 (articoli 6-18) e dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, artt. 65-284), con numerosi aggiornamenti (c.d. correttivi del 2020-2024). In breve, si tratta di strumenti dedicati a soggetti non fallibili, cioè persone fisiche (consumatori, professionisti), imprese individuali minori, cooperative e altri enti non sottoponibili a fallimento o liquidazione coatta . In particolare: – Consumatori: persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale (ad es. spese personali). Possono avere anche debiti residui da precedente attività cessata, se attualmente vivono solo con redditi personali . – Professionisti con Partita IVA: rientrano tra i non fallibili (purché sotto i limiti di fatturato e debiti di legge) e possono accedere alle stesse procedure, in base alla natura dei debiti . – Piccoli imprenditori (imprese individuali sotto soglia): anch’essi non fallibili se rispettano i tetti di fatturato e attivo previsti dal Codice della crisi (attivo ≤300k€, ricavi ≤200k€, debiti totali ≤500k€ negli ultimi tre esercizi) .
Il pubblico ministero fallimentare, in caso di denuncia o segnalazione, è tenuto a vigilare, ma per i non fallibili il procedimento resta volontario e presuppone l’istanza del debitore o di un creditore . Se il debitore vuole regolare i debiti, deve rivolgersi a un Organismo di Composizione della crisi (OCC) – spesso gestito dalle Camere di commercio – che, con l’ausilio di un gestore della crisi (professionista abilitato), verifica i requisiti e predispone una relazione tecnica. Tale relazione (con i dati patrimoniali e una proposta di piano) sarà poi depositata in Tribunale per l’approvazione.
Come ricordato dalla Corte di Cassazione, il codice della crisi d’impresa «disciplina lo stato di crisi o di insolvenza di qualsiasi debitore, ivi compresi consumatori, professionisti ed imprenditori di ogni dimensione» . Ciò significa che anche un consulente HSE indipendente, pur esercitando un’attività professionale, può accedere a questi istituti se rientra fra i soggetti legittimati . In particolare, se i suoi debiti sono personali (non direttamente legati all’attività), potrà chiedere il piano del consumatore, mentre se ha debiti professionali o aziendali dovrà valutare l’accordo di composizione (concordato minore) o, in casi estremi, la liquidazione controllata del patrimonio.
È importante ribadire che le procedure da sovraindebitamento sono rivolte a debitori “meritevoli”: il giudice valuta che il debito non sia stato contratto con dolo o colpa grave (ad es. spese voluttuarie sapendo di non poter pagare). Nel piano del consumatore od accordo la meritevolezza costituisce un criterio negativo d’esclusione: il piano può essere rifiutato se è stata accertata frode fiscale o occultamento di patrimonio, ma in linea di principio l’ammissione è concepita per aiutare chi non ha agito in malafede grave .
Tipologie di debiti e effetti per il consulente
Un consulente HSE può avere diverse tipologie di debiti:
- Fiscali: IVA, IRPEF, IRES (se impresa), addizionali, IRAP, imposte locali. In caso di mancato versamento arrivano cartelle esattoriali da Agenzia delle Entrate o riscossione, con interessi e sanzioni. Nota: alcune sanzioni tributarie (multe, imposte penali) non sono sanabili dalle procedure di sovraindebitamento .
- Contributivi/previdenziali: contributi INPS (gestione separata o casse private come Cassa Geometri, Inarcassa, Cassa Forense, ecc.), premi INAIL. Se non versati, l’ente previdenziale può emettere cartelle esattoriali, pignoramenti su stipendi o pensioni, limitazione prestazioni future. Anche i debiti previdenziali sono inseriti nel piano di rientro e, come si vedrà, sono privilegiati (vanno pagati prima di molti altri crediti).
- Bancari e finanziari: mutui, prestiti personali, carte di credito, leasing per l’auto/attrezzature. Questi sono di solito debiti «chirografari» (non garantiti), salvo i mutui ipotecari (garantiti da ipoteca su immobili) o leasing (con vincolo sul bene). Nel piano ristrutturazione anche i crediti garantiti possono essere sanati (ad es. chiedendo rate più lunghe o tassi ridotti), ma il creditore ipotecario potrà eventualmente rivalersi sull’immobile.
- Debiti verso fornitori: fatture di consulenze e servizi non pagate (ad es. corsi di formazione, software, collaboratori). Anch’essi debiti chirografari. Se protratti, i fornitori potrebbero agire con decreto ingiuntivo o azione esecutiva.
- Debiti personali/familiari: prestiti contratto per spese di famiglia, debiti al consumo. Se riferibili a scopi non professionali, possono essere ricompresi nel piano del consumatore.
Tutte queste passività, se approvate in un piano o accordo omologato, vengono riorganizzate. In linea generale, quasi tutti i debiti residui vengono «cancellati» (esdebitati) alla conclusione della procedura: l’eventuale parte non pagata dei debiti non privilegiati è abbuonata. L’eccezione riguarda soprattutto le sanzioni tributarie, gli obblighi di mantenimento (es. assegni familiari o alimenti), e i risarcimenti per fatti dolosi o colpa grave . In sostanza, il consulente che completa con successo la procedura otterrà l’annullamento degli altri debiti (banche, fornitori, contributi, ecc.), ripartendo da zero senza macchia pregressa, secondo il principio della “seconda possibilità” (fresh start) .
Provvedimenti esecutivi e pignoramenti
Durante la crisi il professionista deve fronteggiare possibili azioni esecutive (pignoramenti di stipendio/conti, iscrizione ipoteche, sequestri conservativi). In fase di presentazione della domanda al Tribunale (tramite l’OCC) si può ottenere misure protettive temporanee. In particolare, il giudice può disporre la sospensione delle azioni esecutive e cautelari sui beni del debitore in attesa di omologazione . Ad esempio, se è in corso un pignoramento sulla casa o sul conto corrente, il debitore può chiedere lo stop del pignoramento durante il procedimento di omologa . Questa “protezione” iniziale, che può durare 90 giorni (prorogabili), evita che i creditori singoli vanifichino la soluzione concordata .
Dall’apertura formale di una procedura (piano, accordo o liquidazione) i creditori non possono più avviare o continuare pignoramenti sui beni inclusi nel piano stesso: il codice richiede infatti che non si inizino o proseguano esecuzioni individuali a carico del patrimonio del debitore dalla data di avvio della procedura . Ciò tutela l’attività del professionista, che nel frattempo può continuare a operare e a percepire redditi, senza che i suoi beni vengano svaligiati dai pignoramenti. Va però precisato che, a seguito dell’omologazione, i creditori possono subire i pagamenti concordati oppure, se il piano non prevede la copertura totale, possono agire sui beni assegnati dal piano per la quota concordata. In ogni caso, dopo l’omologazione il debitore è tenuto solo ai pagamenti stabiliti nel piano e non più agli altri debiti, che vengono considerati estinti .
Diritti del debitore e obblighi verso gli enti
Il consulente deve continuare ad adempiere agli obblighi di legge anche durante la procedura: ad esempio, deve presentare regolarmente dichiarazioni dei redditi e contributi in scadenza. Tuttavia, grazie al piano può chiedere una rateizzazione strutturata dei debiti fiscali e previdenziali, con la fine dei pignoramenti mentre si è in procedura. Inoltre, è possibile concordare con l’INPS delle dilazioni al di fuori del piano stesso (es. rateizzazioni ordinarie) fintanto che la procedura è pendente. In particolare, per i contributi esistono spesso forme agevolate per professionisti in crisi (ad es. sospensioni o minori versamenti in casi di grave difficoltà). In alcuni casi, l’ente previdenziale (INPS, casse private) può anche accordare uno stralcio o sgravio ridotto a patto che vi sia un piano complessivo di rientro.
Dal punto di vista fiscale, il consulente può utilizzare gli istituti ordinari di definizione agevolata (ad es. rottamazione o saldo e stralcio delle cartelle) prima o durante la procedura di sovraindebitamento per abbattere ulteriormente il carico. Se vi sono accertamenti non ancora rateizzati, è consigliabile richiedere immediatamente una rateizzazione (anche di 120 mesi) o aderire a eventuali sanatorie (cd. “pace fiscale”) laddove ammissibili. Importante: debiti tributari (come le sanzioni) non vengono rimessi dall’esdebitazione, quindi il consulente dovrà saldarli secondo gli accordi (anche con plan di pagamento dedicati).
Domanda frequente: “Se ignoro un avviso di accertamento o una cartella esattoriale, cosa rischio?” Risposta: Ignorare i debiti non elimina la pretesa dei creditori: anzi, le sanzioni e gli interessi continuano a maturare. L’avviso diventa irrevocabile e l’Agenzia delle Entrate può emettere ingiunzioni fiscali, pignoramenti di conti correnti o ipoteche su immobili . Conviene piuttosto verificare (con un esperto fiscale) la correttezza degli importi, contestare eventuali vizi formali o chiedere subito dilazioni con l’Agenzia delle Entrate e con l’INPS. Se i debiti sono ingenti, la via maestra è avviare una procedura di composizione del debito, piuttosto che attendere l’aggressione coatto. In ogni caso, fino a quando la procedura non è aperta, il debitore resta libero di negoziare uscite (piano di rientro convenzionato) o di richiedere rimborsi e rateizzazioni agli enti creditori.
Conservare l’attività professionale
Un punto cruciale è comprendere come mantenere l’operatività della propria attività durante le trattative di rientro. Fortunatamente, a differenza del fallimento, le procedure da sovraindebitamento non prevedono lo spossessamento totale del debitore. Nel piano del consumatore (e analogamente in un accordo di composizione), «non c’è un trasferimento generale dei beni ad un curatore: il debitore mantiene l’amministrazione del suo patrimonio» . Questo significa che il consulente continua a usare i suoi beni (auto, attrezzature, eventuali uffici) e a incassare fatture e compensi, impegnandosi semplicemente a destinare una parte del proprio reddito (futuro) per pagare i creditori secondo il piano concordato . In pratica, «il debitore conserva la disponibilità dei suoi beni … e la sua attività reddituale prosegue normalmente» . Ad esempio, se il piano prevede che il debitore destini ogni mese una quota fissa del proprio reddito professionale al rimborso, può continuare a emettere parcelle e lavorare come prima; il gestore della crisi vigilerà semplicemente sul rispetto dei pagamenti concordati.
An ulteriore vantaggio del piano è la flessibilità: il consulente può proporre soluzioni personalizzate senza aprire subito il patrimonio a liquidazione. La legge consente piani anche con pagamenti parziali del capitale, dilazioni pluriennali, riduzioni o esenzioni da interessi, tanto che i creditori privilegiati (come fisco e INPS) devono ottenere almeno quanto avrebbero in liquidazione . Ad esempio, è ammesso «proporre di pagare solo una parte dei debiti chirografari e chiedere lo stralcio del restante» se il piano è sostenibile . Importante poi è sapere che redditi futuri come stipendio, pensione o affitti possono essere utilizzati nel piano: come spiega Unioncamere, dopo l’omologazione «il pagamento dei debiti potrà avvenire attraverso qualsiasi forma, anche mediante la cessione di crediti futuri» come salario o pensione (esempio tipico è la “cessione del quinto” del titolo).
Nel caso dell’accordo di composizione (il cosiddetto “concordato minore”), anche qui è ammessa la continuità dell’impresa/professione . La norma consente che il professionista continui a esercitare e generare reddito durante l’esecuzione del piano approvato dai creditori. Ciò significa che non è richiesto di chiudere lo studio o sospendere l’attività: al contrario, spesso la riuscita dell’accordo dipende proprio dal fatto che il debitore riesca a ricavare reddito sufficiente per adempiere al piano. In sintesi, tutte le procedure di sovraindebitamento sono studiate per non bloccare l’attività del debitore (salvo la liquidazione controllata, di cui si dirà). Questo riduce l’impatto negativo sul professionista, evitando lo stigma di una procedura concorsuale forzata e consentendo di lavorare finché si rispettano gli impegni verso i creditori .
Domanda frequente: “Devo sospendere lo studio oppure posso continuare a lavorare durante il piano?” Risposta: In un piano del consumatore o in un accordo di composizione omologati non è previsto alcuno spossessamento del debitore . Anzi, l’ordinamento prevede espressamente che il debitore mantenga la disponibilità dei beni e continui la propria attività durante l’esecuzione del piano . Di conseguenza, il consulente può continuare ad emettere fatture e svolgere consulenze, destinando solo parte del proprio reddito futuro alle rate concordate. L’Organismo di composizione e il Tribunale vigileranno sul corretto svolgimento del piano, ma non hanno l’obiettivo di chiudere l’attività: tutt’altro, l’individuazione di soluzioni di rientro tiene conto proprio della capacità reddituale del professionista.
Principali strumenti di composizione della crisi
Le procedure di sovraindebitamento utili al consulente HSE si dividono in tre categorie principali: 1) Piano del consumatore, 2) Accordo di composizione della crisi (concordato minore) e 3) Liquidazione controllata del patrimonio. Ciascuno ha presupposti, modalità e conseguenze diverse. Le tabelle seguenti riassumono i punti chiave comparativamente.
Procedura | Destinatari | Accordo preventivo | Azioni esecutive sospese | Effetto esdebitazione | Continuità attività |
---|---|---|---|---|---|
Piano del consumatore | Debitori persone fisiche con debiti personali (estranei all’attività)** . Ad es. consulente senza debiti gestionali. | Non serve il voto dei creditori (omologa esclusivamente giudice) . | Sì: il tribunale può sospendere pignoramenti (art. 150 CCII richiamato) . | Sì: quasi tutti i debiti residui cancellati (“fresh start”) . | Sì, il debitore continua a gestire il proprio patrimonio e reddito . |
Accordo di composizione | Professionisti/imprese non fallibili con debiti di impresa o professionali . | Sì: serve l’approvazione dei creditori (almeno 50% dei crediti finanziari ). | Sì, effetto protettivo generale (si possono chiedere misure protettive fino a 90 gg) . | No (il piano prevede una percentuale di pagamento, poi si continua a pagare secondo accordi). | Sì, la continuità dell’impresa/professione è espressamente ammessa . |
Liquidazione controllata | Debitori non fallibili (consumatori, professionisti, PMI) in stato di sovraindebitamento grave . | N/A (apertura con sentenza su ricorso) . | Sì: una volta aperta, non si possono iniziare o proseguire esecuzioni sui beni inclusi . | Sì, dopo la vendita dei beni il debitore può chiedere esdebitazione (fresh start) al termine dei lavori di liquidazione . | No: il patrimonio viene liquidato; l’attività solitamente cessa o si riduce drasticamente. |
Note alla tabella: Il piano del consumatore è stato introdotto per chi non ha debiti professionali (consumatore tout court). L’accordo di composizione (o “concordato minore”) è pensato per professionisti/imprese che superano i requisiti di consumatore ma rimangono “sotto soglia” fallibilità . La liquidazione controllata, invece, è uno strumento residuale di carattere liquidatorio, simile alla vecchia «liquidazione del patrimonio» della L.3/2012 . La tabella evidenzia come i piani giudiziali consentano di mantenere l’attività, mentre la liquidazione comporta la vendita degli asset.
Piano del consumatore
Il piano del consumatore è la procedura più semplice per chi ha debiti personali. Possono accedervi tutti i debitori persone fisiche sovraindebitati che hanno contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività professionale o imprenditoriale . Rientrano tipicamente: lavoratori dipendenti, pensionati, disoccupati, autonomi e professionisti con debiti personali, fideiussori privati, ecc. In pratica, è ammesso se il consulente ha debiti di famiglia (casa, mutuo personale, prestiti al consumo) ma non debiti collegati direttamente al lavoro (per quelli serve l’accordo di composizione).
La peculiarità del piano del consumatore è che non serve il voto dei creditori: il debitore presenta direttamente al tribunale una proposta di ristrutturazione dei debiti, senza passare da assemblee. Il Tribunale valuta la fattibilità del piano (anche in contraddittorio con i creditori) e decide se omologarlo . In sintesi: l’iniziativa è individuale, ma il giudice deve verificare che il piano garantisca ai creditori un soddisfacimento almeno equivalente all’alternativa liquidatoria (principio del “best interest of creditors” analogo a quello fallimentare).
Il contenuto del piano è estremamente flessibile: il debitore propone un nuovo piano di pagamenti ragionevole rispetto al proprio reddito. Può prevedere pagamenti rateali diluiti su più anni, riduzioni parziali del capitale e degli interessi, anche differenti tra creditori privilegiati (studi di settore) e chirografari . L’importante è rispettare un criterio: gli enti previdenziali e fiscali (creditori privilegiati) devono ottenere almeno quanto avrebbero ottenuto nella liquidazione dei beni.
Omologazione e effetto protettivo. Se il giudice omologa il piano, diventa obbligatorio per tutti i creditori (anche quelli dissenzienti) e vincola il debitore a corrispondere solo quanto stabilito . Al momento del deposito della proposta in Tribunale, il debitore può chiedere specifiche misure cautelari, come la sospensione cautelativa dei pignoramenti sui beni esistenti; se il piano viene omologato, si avrà effetto protettivo di norma per tutto il suo svolgimento . In pratica, dopo l’omologa il debitore paga secondo il nuovo programma, e i creditori non possono più agire per il residuo non pagato.
Esdebitazione finale. L’obiettivo finale del piano è ottenere l’esdebitazione: al completamento di tutti i pagamenti concordati (anche parziali), il giudice dichiara l’estinzione legale dei debiti residui non coperti . Ciò significa che una volta eseguito il piano (il “tempo di grazia” può durare diversi anni), il professionista esce dalla procedura e viene liberato da ogni ulteriore pretesa su quei debiti residui. Pertanto, se esegue le obbligazioni del piano e non ha agito in frode, «ottenuto il soddisfacimento del piano, i creditori non potranno più chiedergli nulla» .
Accordo di composizione (concordato minore)
Quando i debiti del professionista sono legati all’attività (partite IVA, IVA non versata, debiti verso fornitori commerciali, contributi professionali, mutui contratti per l’azienda, ecc.), il piano del consumatore non è ammesso. In tal caso lo strumento è l’accordo di composizione della crisi (oggi spesso indicato come concordato preventivo minore). Si tratta di una procedura anche questa extragiudiziale (tramite OCC e giudice) ma in cui è necessaria la approvazione dei creditori: il piano proposto deve essere votato favorevolmente da almeno il 50% dei creditori (convenzionalmente calcolati per classi di privilegio) . (Nella L.3/2012 il quorum era 60%, ma il Codice della crisi ha ridotto il requisito a 50% su tutti i crediti) .
Destinatari: L’accordo è riservato a tutti i soggetti non fallibili che hanno debiti professionali o d’impresa, compresi piccoli imprenditori individuali, artigiani e professionisti iscritti alle casse previdenziali . L’impresa (o professionista) deve risultare insolvente o in stato di crisi, ma con un progetto di rientro sostenibile. Si verifica sempre il cosiddetto “criterio del merito creditizio”: il professionista deve dimostrare di avere prospettive di ripresa o continuità in modo da onorare il piano.
Procedura: Il debitore, tramite un OCC, prepara un piano di ristrutturazione da sottoporre ai creditori. In sede di omologa (o omologazione assistita) il piano è sottoposto al voto dei creditori convenuti: se si raggiunge la maggioranza qualificata (50% del passivo), il Tribunale omologa l’accordo . La legge attuale consente anche l’uso di forme concorsuali semplificate (concordato c.d. “semplificato”) per chi non supera certe soglie di debito, ma a tutti gli effetti l’iter è simile a quello descritto.
Effetti e continuità: Anche nell’accordo di composizione il debitore conserva i suoi beni e l’amministrazione del patrimonio, continuando l’attività . La legge prevede espressamente che nell’accordo possono esserci clausole sulla continuità aziendale e sulla salvaguardia di licenze o asset strategici . Inoltre, durante la procedura le azioni esecutive individuali sulle disponibilità del debitore sono sospese (cfr. art. 270 CCII, rinvio implicito dell’art. 150 CCII) . Ciò garantisce un periodo di respiro ulteriore.
Al contrario del piano del consumatore, nel concordato minore non scatta subito l’esdebitazione: il debitore rimane tenuto a pagare la percentuale concordata dei debiti. Tuttavia, di solito l’accordo prevede per i creditori anche un piano di pagamento (dilazione, ristrutturazione degli interessi, ecc.). In pratica, si riducono e si diluiscono gli importi; al termine si estingue l’accordo, ma non avviene una vera cancellazione automatica dei debiti residui (i creditori sono soddisfatti nella misura pattuita). Se l’accordo fallisce o è revocato, il debitore resta obbligato a eventuali eccedenze, sebbene in certi casi possa ammettersi ugualmente il beneficiario dell’esdebitazione, come vedremo.
Domanda frequente: “Cosa succede se un creditore non accetta l’accordo di composizione?” Risposta: Se il piano ottiene i voti richiesti, è vincolante anche per i creditori dissentienti o assenti. Un creditore dissenziente può solo opporsi all’omologa (in genere con motivi di diritto, ad es. convenienza del piano), ma non può bloccare l’iter se la percentuale prevista è stata raggiunta. In ogni caso, fino all’omologazione il debitore può negoziare con ogni creditore (es. concordato bonario), ma una volta iniziata la procedura unica con il Tribunale, vale l’esito collettivo.
Liquidazione controllata del patrimonio
La liquidazione controllata è un istituto residuale e liquidatorio: equivale alla vecchia “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012 ed è riservato ai debitori in stato di sovraindebitamento che non rientrano negli altri strumenti regolatori . Ciò include consumatori, professionisti, micro-imprese e altri debitori non soggetti a fallimento, che si trovino in una situazione in cui i piani precedenti non siano percorribili. In pratica, è una procedura liquidatoria giudiziale attenuata: il debitore (o un creditore) chiede al Tribunale di far vendere in modo controllato tutti i beni del debitore per distribuire il ricavato ai creditori.
Presupposti e apertura: Può essere richiesta dal debitore o anche da un creditore (se però i debiti scaduti superano 50.000€ o l’OCC attesta che è possibile un attivo da distribuire) . Il tribunale valuta lo stato di crisi e, se sussistono i presupposti degli artt. 268-269 CCII, con sentenza dichiara l’apertura della procedura . A quel punto, scatta il blocco delle esecuzioni individuali: art. 150 CCII vieta che si avvii o prosegua qualsiasi azione esecutiva individuale sui beni del debitore compresi nella procedura . Il tribunale nomina un giudice delegato e un liquidatore (di solito il gestore della crisi dell’OCC) e ordina la consegna dei beni e la presentazione delle scritture. Fissa poi un termine (massimo 90 giorni) entro cui i creditori devono insinuarsi allo stato passivo .
Inventario e vendita: Il liquidatore redige un inventario dei beni del debitore (con esclusione solo di quelli impignorabili secondo art. 545 c.p.c.: es. indennità assicurative di danno da infortunio, alcuni oggetti di uso personale) . Sono inoltre salvi stipendi, pensioni e alimenti nei limiti indispensabili per il nucleo familiare . Tutto il resto (fondi, attrezzature, immobili, crediti del debitore) viene destinato alla liquidazione. Il liquidatore prepara un programma di vendita degli asset, coordinandosi con il giudice delegato, cercando di massimizzare il ricavato e garantire la pronta conclusione della procedura . La procedura dovrebbe svolgersi di norma entro 3 anni dall’apertura: al termine, se tutti i creditori ammessi sono stati pagati nella misura possibile, il debitore può chiedere l’esdebitazione definitiva .
Adempimenti del debitore: Finché dura la liquidazione, il debitore resta formalmente titolare del patrimonio, ma non può disporne liberamente: il giudice gli può imporre di consegnare subito beni e scritture contabili al liquidatore . Tuttavia, in pratica il liquidatore deciderà se sia conveniente mettere il debitore nella condizione di vendere velocemente (ad esempio, considerando sconti per vendite anticipate). Il debitore deve anche collaborare nel fornire documentazione e l’elenco aggiornato dei creditori. Per altri aspetti la procedura segue in tutto e per tutto le regole del fallimento (previe opportune specificazioni).
Terminazione ed esdebitazione: Una volta liquidati i beni, il ricavato viene distribuito secondo l’ordine legale (ipoteche, privilegi, crediti chirografari residui) . Se residua un’esposizione non coperta, l’ordinamento prevede che il debitore possa ottenere l’esdebitazione entro tre anni dall’apertura , ottenendo così la cancellazione dei debiti non soddisfatti. In altri termini, la liquidazione controllata permette una misura di pagamento immediata ai creditori (anche se spesso modesta) e poi la remissione degli eventuali debiti residui, sempreché il debitore non abbia agito in malafede.
Effetti chiave: Durante la liquidazione controllata tutti i beni del debitore, eccezion fatta per quelli inderogabilmente impignorabili, possono essere venduti. Il debito viene soddisfatto per la parte possibile, evitando però che il debitore perda tutto (c’è uno scopo equitativo). Dopo l’apertura, per dettato dell’art. 270 CCII, si applicano in via analogica molte norme del fallimento (ad es. il divieto di esecuzioni individuali e la restituzione del fondo al liquidatore). L’innovazione rispetto alla vecchia L.3/2012 è che ora anche i creditori (non solo il debitore) possono chiedere l’apertura, e l’intero patrimonio è assunto come massa unica da liquidare . Come ammonisce la Cassazione, in questa fase i termini per partecipare allo stato passivo sono considerati perentori: cioè chi non deposita la domanda nel termine fissato dal liquidatore perde il diritto, a meno di provare un valido motivo per il ritardo .
Domanda frequente: “Quali sono i limiti e i rischi della liquidazione controllata?” Risposta: La liquidazione controllata è il rimedio estremo se le altre procedure falliscono o sono inattuabili. Essa comporta la vendita di gran parte del patrimonio, per cui il consulente rischia di dover chiudere lo studio o vendere beni strumentali. Tuttavia, conserva alcuni beni essenziali (stipendio/pensione per vivere, strumenti impignorabili). La procedura interrompe le esecuzioni e, se il debitore ha proceduto onestamente, gli consente comunque di ottenere l’esdebitazione. I rischi principali sono legati a possibili contestazioni: il debitore deve fornire inventario completo e rispondere al giudice; se omette beni o commette frodi, il piano può essere revocato e l’esdebitazione negata. In ogni caso, finché la liquidazione è in corso, il debitore non può promettere alcun pagamento volontario ai creditori (delega tutto al liquidatore) e deve collaborare attivamente.
Differenze principali in sintesi
- Procedure regolatorie (piano consumatore, accordo): orientate a salvaguardare l’attività. Prevedono il mantenimento dei beni del debitore e la prosecuzione dell’attività sotto la propria gestione. Il debitore si impegna a pagare con i flussi futuri, eventualmente destinando beni specifici come garanzia. All’esito positivo, si ottiene l’esdebitazione residua (nel caso consumatori) o il rimborso concordato (nel caso professionisti).
- Liquidazione controllata: orientata alla vendita dei beni. Il debitore cede il controllo patrimoniale al liquidatore, ma ottiene comunque protezione giuridica (sospensione esecuzioni) e la possibilità finale di esdebitarsi. È la via più drastica, utile quando non esiste un piano condiviso con i creditori.
Le seguenti tabelle riepilogano i punti chiave:
Tabella 1: Strumenti di composizione della crisi e loro caratteristiche
Procedura | Soggetti ammessi | Accordo creditori | Effetti sul patrimonio | Obiettivo principale |
---|---|---|---|---|
Piano del consumatore | Persone fisiche (privati o autonomi) con debiti personali | No (omologa giudice) | Nessun spossessamento; debiti pagati con redditi futuri | Cancellazione debiti residui (esdebitazione) |
Accordo di composizione | Professionisti/imprese non fallibili con debiti d’impresa | Sì, approvazione >50% | Continuità dell’attività; creditori soddisfatti nella misura concordata | Ristrutturazione debiti (pagamenti ridotti o dilazionati) |
Liquidazione controllata | Debitori non fallibili in crisi grave | N/A (giudice sentenzia l’apertura) | Vendita dei beni (salvo quelli impignorabili) ; stop esecuzioni | Recupero attivo da asset (poi esdebitazione residua) |
Tabella 2: Debiti esclusi dall’esdebitazione finale
Debito/obbligo | Esclusione dall’esdebitazione | Fondamento normativo |
---|---|---|
Sanzioni pecuniarie e tributarie | Sì (non possono essere rimossi) | L. 3/2012, art. 15 e CCII c.d. “fresh start” |
Obblighi di mantenimento (alimenti) | Sì (deve sempre corrispondere) | art. 15 L.3/2012 |
Risarcimenti per dolo o colpa grave | Sì (no remissione) | L. 3/2012, art.15 |
Altri crediti (bancari, previdenziali, ecc.) | No (entrano nel piano, poi esdebitati) | Possono essere cancellati all’esdebitazione |
Domande frequenti e risposte
- Quali debiti posso inserire nelle procedure? Tutti i debiti privati e professionali, tranne quelli espressamente esclusi (multe penali, alimenti, risarcimenti per reati) . In un piano del consumatore si inseriscono tipicamente debiti di famiglia, prestiti personali, cessione quinto, piccole rate, contributi previdenziali e fiscali accumulati. In un accordo di composizione si includono i debiti d’impresa/professionali (IVA, contributi INPS, fatture di fornitori, mutui aziendali). Nella liquidazione controllata si mette tutto il patrimonio del debitore (salvo beni impignorabili) e si estinguono i creditori in ordine di privilegio .
- Devo chiudere la partita IVA o sospendere l’attività? No. In nessuna di queste procedure è previsto il dovere di cessare l’attività. Al contrario, il piano e l’accordo consentono di continuare a lavorare . Puoi rimanere titolare di Partita IVA e continuare a emettere fatture; sarai semplicemente obbligato a destinare parte del reddito al pagamento del piano. L’OCC e il tribunale controlleranno i pagamenti, ma l’obiettivo è salvare il tuo lavoro, non distruggerlo.
- Cosa succede all’abitazione ipotecata o ai beni strumentali? Se sono ipotecati, vengono trattati come crediti privilegiati: nel piano o accordo devi garantire almeno quanto otterrebbe l’ipotecario dalla vendita forzata. Puoi concordare dilazioni o anche cedere altri beni in luogo dell’immobile. Durante l’attesa dell’omologa non si può pignorare la casa (misure protettive) . In liquidazione controllata, l’immobile viene venduto come gli altri beni, salvo prova che è impignorabile o appositamente escluso.
- Posso rateizzare con l’INPS e fisco senza OCC? In via ordinaria sì: puoi chiedere all’INPS una rateazione straordinaria (fino a 120 mesi) e all’Agenzia delle Entrate una dilazione (in molti casi 120 mesi) o una definizione agevolata (rottamazioni) anche indipendentemente dal piano. Ma queste soluzioni estemporanee non bloccano le esecuzioni: rimane utile avviare la procedura di sovraindebitamento per ottenere una protezione coordinata di tutti i debiti.
- Quanto costa e quanto dura? Ogni procedura comporta costi legali (avvocato) e del gestore della crisi (OCC). Il decreto omnibus CCII ha fissato onorari calmierati e forfettari: tipicamente si assiste a qualche migliaio di euro complessivi, ripagati alla fine dai creditori come spese di procedura. Le tempistiche variano: il piano del consumatore può durare da 1 a 5 anni; l’accordo di composizione è spesso concluso in pochi anni; la liquidazione controllata si estende fino a 3 anni, dopodiché si può richiedere l’esdebitazione . È consigliabile agire il prima possibile, prima che intervenga il fallimento (non applicabile qui) o l’espropriazione dei creditori; gli istituti prevedono che si possa ricorrere in ogni fase della crisi del debito, anche a pignoramenti in corso .
Simulazioni pratiche
- Caso A – Debiti personali, piano del consumatore. Mario Rossi è consulente HSE, 45 anni, con Partita IVA. Ha accumulato debiti personali non legati all’attività: mutuo casa (residenza) €100.000, finanziamento auto €10.000, rate carta di credito €5.000, contributi INPS arretrati €12.000, IVA da versare di €8.000. Il reddito mensile è di €1.500 (stipendio pregresso). Poiché i debiti sono a fini di sostentamento famigliare e non “imprenditoriali”, Mario può accedere al piano del consumatore . Assieme al suo avvocato redige una proposta di piano: es. pagare €200/mese per 5 anni (poco più del quinto di stipendio) a scalare, chiedendo la cancellazione del resto. Il tribunale verifica che i pagamenti offerti siano almeno pari a quelli che i creditori avrebbero ottenuto liquidando modestamente i suoi beni (vale a dire, poco; in sostanza i creditori privilegiano il piano). Se il piano è omologato, Mario continuerà a lavorare e a dedicare €200/mese ai creditori; al termine, i debiti residui (quasi tutti) saranno annullati .
- Caso B – Debiti professionali, accordo di composizione. Laura Bianchi è ingegnere HSE, partita IVA, ha fatturato €120.000/anno ma negli ultimi anni ha avuto spese impreviste. Ha debiti verso fornitori e banche per €80.000 e contributi Cassa Inarcassa non versati per €20.000, più €10.000 di IVA. Essendo debiti legati all’attività e avendo fatturato oltre €100k/anno (quindi non “consumatore”), rientra nell’accordo di composizione . Tramite un OCC, Laura presenta un piano di rientro ai suoi creditori: per esempio paga €1.000 al mese per 7 anni, equivalenti a circa il 30% dei debiti complessivi (privilegiati inclusi). Convince oltre il 50% dei creditori (che preferiscono prendere subito quel 30% piuttosto che rischiare di ottenere meno in liquidazione). Il tribunale omologa l’accordo: da quel momento i creditori avranno diritto solo ai €1.000 mensili; Laura potrà continuare a svolgere incarichi, pagare le rate e continuare la professione . Al termine dell’accordo, avrà estinto la percentuale dovuta. Contrariamente al piano consumatore, qui non vi è una “cancellazione” automatica del residuo, ma i creditori vengono risarciti in misura minore e considerano chiuso il debito.
- Caso C – Crisi grave, liquidazione controllata. Marco Verdi è consulente HSE con partita IVA, ma le commesse aziendali si sono azzerate e i debiti sono schizzati oltre €150.000 (mutuo ufficio, leasing auto, bollette). Ha venduto parte degli asset (computer, attrezzature), ma ha ancora pochi beni da offrire. Né un piano né un accordo sarebbero sostenibili. Decide dunque, con l’aiuto di un avvocato, di chiedere al Tribunale l’apertura della liquidazione controllata del suo patrimonio . Il tribunale nomina il liquidatore e ordina il blocco di ogni pignoramento . I pochi beni rimasti (un’autovettura, un fondo cassa) vengono liquidati dal professionista e dal liquidatore sotto controllo, e il ricavato viene distribuito ai creditori. Al termine (entro 3 anni), Marco potrà chiedere al giudice di ottenere l’esdebitazione del restante debito residuo, essendo stato soddisfatto il possibile . Nel frattempo, Marco ha cessato l’attività, ma non ha pagato tutto il dovuto. Tuttavia ottiene una “liberazione finale” dalle vecchie pendenze senza dover subire altre espropriazioni dei pochi beni personali rimasti.
Questi esempi mostrano come si debbano valutare insieme la natura dei debiti e le risorse attuali: il consulente HSE sceglie la via (piano, accordo o liquidazione) che meglio concilia la possibilità di continuare a lavorare con l’onere di pagare i creditori nelle sue reali possibilità.
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Con una difesa legale e fiscale mirata, puoi bloccare le azioni esecutive, ridurre i debiti e proteggere la tua attività professionale e la tua reputazione.
⚖️ Le cause più comuni di indebitamento nei consulenti HSE
- Ritardi nei pagamenti da parte di aziende e pubbliche amministrazioni.
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📌 I rischi per un consulente indebitato
- Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti o compensi professionali.
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🔍 Cosa fare subito
- Analizza la tua posizione debitoria, distinguendo tra debiti fiscali, contributivi e bancari.
- Verifica la legittimità delle cartelle e degli atti ricevuti: molti contengono vizi o debiti prescritti.
- Blocca le azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, fermi) tramite istanze di sospensione o ricorsi tempestivi.
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🧾 Strumenti per difendersi e risanare i debiti
💠 Rateizzazione delle cartelle
Puoi ottenere una rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo pignoramenti e azioni di riscossione.
💠 Definizione agevolata o “rottamazione”
Se prevista, consente di pagare solo l’imposta dovuta, cancellando sanzioni e interessi.
💠 Istanza di autotutela o ricorso tributario
Permette di contestare cartelle prescritte o irregolari, bloccando la riscossione.
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Con una consulenza legale mirata puoi ristrutturare i debiti, negoziare con il Fisco e mantenere la tua attività HSE attiva.
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🛠️ Strategie di difesa per un consulente HSE indebitato
- Esaminare tutti gli atti fiscali per individuare vizi di notifica o prescrizioni.
- Contestare pignoramenti e ipoteche non legittimi.
- Dimostrare la crisi temporanea di liquidità per accedere a piani di rateizzazione.
- Attivare accordi di rientro e definizioni agevolate.
- Proteggere beni personali e strumenti di lavoro da azioni esecutive.
- Riorganizzare la contabilità per prevenire nuovi debiti in futuro.
⚖️ Perché agire subito è fondamentale
Nel lavoro di consulente HSE, la credibilità e la continuità professionale sono essenziali.
Un blocco dei conti o un pignoramento può interrompere i contratti con le aziende clienti e compromettere la tua reputazione.
Agire tempestivamente ti consente di:
- Evitare l’interruzione dell’attività professionale.
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- ⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e alla Corte di Giustizia Tributaria.
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🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa e dei professionisti.
- ✔️ Specializzato nella difesa di consulenti HSE, tecnici e professionisti della sicurezza contro debiti fiscali e contributivi.
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Un consulente HSE con debiti può uscire dalla crisi e tutelare la propria attività, ma deve agire subito con competenza e metodo.
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