Stamperia Serigrafica Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai una stamperia serigrafica con debiti fiscali o cartelle esattoriali e non sai come intervenire?
Il settore della stampa e della serigrafia, duramente colpito dalla concorrenza internazionale e dall’aumento dei costi di produzione, è tra i più esposti a verifiche fiscali, accertamenti IVA e difficoltà di liquidità.
Molte attività si trovano ad affrontare debiti con l’Agenzia delle Entrate, l’INPS o i fornitori, accumulati nel tempo a causa di commesse irregolari, margini ridotti o ritardi nei pagamenti dei clienti.
Con una difesa legale e tributaria mirata, è possibile bloccare le azioni di riscossione, rateizzare i debiti e proteggere i beni aziendali, garantendo la continuità produttiva della tua serigrafia.

Quando una stamperia serigrafica entra in difficoltà fiscale
I casi più comuni che portano a debiti o accertamenti fiscali sono:

  • Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRPEF, IRES o contributi non versati.
  • Accertamenti fiscali per presunti ricavi non dichiarati, costi non deducibili o errori contabili.
  • Pignoramenti o ipoteche su conti correnti, beni o macchinari aziendali.
  • Ritardi nei versamenti di imposte o rate precedentemente concordate.
  • Sanzioni e interessi che aumentano il debito originario in modo sproporzionato.
  • Decadenza da regimi agevolati o crediti d’imposta (es. per l’acquisto di macchinari o digitalizzazione).

Cosa fare se la tua serigrafia ha debiti o è sotto accertamento

  1. Agisci subito: ogni atto fiscale ha scadenze precise (di solito 60 giorni) per essere impugnato o per richiedere una rateizzazione.
  2. Controlla la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti e cartelle contengono vizi di forma, errori di notifica o calcoli errati.
  3. Verifica l’importo effettivo del debito: spesso la cifra include sanzioni e interessi che possono essere ridotti o annullati.
  4. Richiedi una rateizzazione: puoi chiedere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le azioni esecutive.
  5. Valuta la rottamazione o definizione agevolata: consente di pagare solo l’imposta dovuta, cancellando sanzioni e interessi.
  6. Se l’accertamento è infondato, presenta ricorso: con l’assistenza di un avvocato, puoi ottenere la sospensione o l’annullamento dell’atto fiscale.

Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nel settore artigianale e produttivo può analizzare gli atti ricevuti, verificare la regolarità delle notifiche e contestare le pretese dell’Agenzia delle Entrate.
Tra le azioni più efficaci:

  • contestare vizi formali e sostanziali nell’accertamento o nella cartella;
  • richiedere la sospensione immediata delle procedure di riscossione;
  • presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per bloccare pignoramenti e fermi amministrativi;
  • negoziare con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione piani di pagamento sostenibili;
  • predisporre una ricostruzione contabile e finanziaria per dimostrare la reale capacità di pagamento e ottenere la riduzione del debito.

Il ruolo dell’avvocato nella difesa della stamperia serigrafica

  • Analizza la legittimità di accertamenti, cartelle e notifiche.
  • Impugna tempestivamente pignoramenti, ipoteche o fermi amministrativi.
  • Richiede rateizzazioni o transazioni fiscali per gestire il debito in modo sostenibile.
  • Tutela i macchinari, i capannoni e i conti aziendali da azioni esecutive.
  • Difende l’impresa nel contraddittorio con l’Ufficio e nel contenzioso tributario.
  • Coordina la gestione contabile e legale per evitare nuovi debiti futuri.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

  • La sospensione immediata delle azioni di riscossione.
  • L’annullamento totale o parziale dei debiti fiscali illegittimi.
  • La rateizzazione o riduzione delle somme dovute.
  • La protezione dei beni aziendali e personali.
  • Il risanamento della posizione fiscale e la stabilità della tua attività.

⚠️ Attenzione: ignorare accertamenti e cartelle può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti o fermi dei macchinari, compromettendo la produttività della tua stamperia.
Molte situazioni, tuttavia, sono risolvibili, se affrontate in tempo con una difesa legale mirata e un piano di rientro sostenibile.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa delle imprese artigiane e manifatturiere – spiega cosa fare se la tua stamperia serigrafica ha debiti o è sotto accertamento fiscale, come bloccare le azioni di riscossione e quali strategie adottare per ripristinare la solidità economica della tua attività.

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Introduzione

Gestire una stamperia serigrafica in difficoltà finanziaria può essere estremamente complesso. Il settore della stampa e della grafica ha attraversato negli ultimi anni una crisi strutturale, con calo di commesse e riduzione dei margini di profitto per molte aziende artigiane . In questo contesto, non è raro che una tipografia o serigrafia accumuli debiti di varia natura (fiscali, bancari, verso fornitori, contributivi, ecc.) tali da mettere a rischio la continuità aziendale.

Questa guida, aggiornata a settembre 2025, fornisce un quadro completo degli strumenti giuridici e pratici a disposizione di un imprenditore debitore – dal punto di vista del debitore stesso – per gestire e difendersi dai debiti di un’attività di serigrafia. Il taglio è avanzato e basato sulla normativa italiana più aggiornata, pensato per professionisti del diritto ma con un linguaggio chiaro e divulgativo adatto anche a piccoli imprenditori e privati.

Affronteremo innanzitutto le diverse tipologie di debiti che una stamperia può avere e le rispettive conseguenze legali. Esamineremo poi gli obblighi di legge in capo all’imprenditore di monitorare la crisi e le possibili strategie per risanare l’esposizione debitoria, sia tramite accordi stragiudiziali che mediante gli strumenti di composizione negoziata della crisi introdotti di recente. Analizzeremo le procedure concorsuali disponibili (come il concordato preventivo nelle sue varianti, i piani di ristrutturazione e la liquidazione giudiziale) e i mezzi per fermare o limitare le azioni esecutive dei creditori (pignoramenti mobiliari, immobiliari, presso terzi, ecc.), con un focus particolare sulle tutele per i beni strumentali dell’azienda. Dedicheremo attenzione alla responsabilità personale dei soci e degli amministratori di società in crisi, chiarendo quando e in che misura il patrimonio personale può essere aggredito dai creditori sociali.

La guida include inoltre tabelle riepilogative che sintetizzano i punti chiave (ad es. categorie di debiti e soluzioni; confronto tra procedure di crisi; responsabilità nelle varie forme societarie), casi pratici simulati e una sezione finale di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. In fondo, troverete una sezione con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, comprendenti sentenze aggiornate delle Corti italiane e riferimenti a leggi e decreti vigenti.

Importante: ogni situazione di indebitamento ha caratteristiche specifiche. Questa guida fornisce un inquadramento generale avanzato, ma è fondamentale rivolgersi a un professionista qualificato (avvocato, commercialista esperto in crisi d’impresa) per valutare le strategie più adatte al proprio caso concreto, anche al fine di prevenire errori che possano aggravare la posizione debitoria o far incorrere in responsabilità civili o penali.

Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio cosa fare e come difendersi quando una stamperia serigrafica si trova oppressa dai debiti.

Tipologie di debiti di una stamperia e relativi rischi

Una stamperia serigrafica può accumulare debiti di diversa natura. È essenziale distinguere le varie categorie di debito, poiché ognuna è regolata da normative specifiche e comporta conseguenze e rimedi differenti. Di seguito analizziamo le principali tipologie di debiti che tipicamente gravano su un’impresa di serigrafia, evidenziando per ciascuna i rischi in caso di inadempimento e le possibili strategie di gestione o soluzione.

Debiti tributari (verso il Fisco)

I debiti tributari includono imposte dovute all’Erario (come IVA, IRPEF o IRES se la stamperia è una società, IRAP, ecc.) e relative addizionali, nonché eventuali ritenute fiscali non versate (ad esempio ritenute su stipendi dei dipendenti o compensi). In caso di mancato pagamento di tasse e tributi, il Fisco (Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) attiva specifiche procedure di riscossione:

  • Viene notificata una cartella esattoriale (avviso di pagamento) contenente l’importo dovuto più sanzioni e interessi di mora. Se la cartella non viene pagata entro il termine (60 giorni), il debito diventa definitivo ed esecutivo.
  • L’Agente della Riscossione può iscrivere ipoteca su beni immobili del debitore a garanzia del credito fiscale (ad es. ipoteca su un capannone o immobile di proprietà, se il debito supera determinate soglie, solitamente €20.000).
  • Può inoltre disporre il fermo amministrativo dei beni mobili registrati (ad es. automezzi aziendali): si tratta del blocco burocratico che impedisce di utilizzare e vendere il veicolo fino al pagamento del debito.
  • Trascorso il termine di legge senza pagamento, l’Agente può procedere al pignoramento dei beni del debitore senza bisogno di un ulteriore giudizio (la cartella esattoriale è già un titolo esecutivo). Il pignoramento può colpire sia beni mobili (macchinari, attrezzature, merci) sia immobili, sia crediti verso terzi (ad es. somme su conto corrente aziendale o crediti della stamperia verso i clienti).

Occorre sottolineare che il legislatore ha previsto alcune tutele per evitare che la riscossione fiscale paralizzi del tutto l’attività d’impresa. In particolare, grazie al cosiddetto “Decreto del Fare” (D.L. 69/2013) sono stati posti limiti al pignoramento dei beni strumentali essenziali dell’azienda da parte dell’Agente della Riscossione: i macchinari, le attrezzature e in generale i beni indispensabili all’attività possono essere pignorati solo entro 1/5 (un quinto) del loro valore, e solo se non vi sono altri beni aggredibili sufficienti a soddisfare il credito . Inoltre, il primo tentativo di vendita all’asta di tali beni pignorati non può avvenire prima di 300 giorni dal pignoramento, durante i quali l’imprenditore-debitore resta custode e può continuare ad utilizzarli . Questa misura mira a garantire la continuità aziendale nei limiti del possibile, evitando la distruzione immediata dell’impresa a causa dell’esecuzione forzata fiscale .

Per i debiti fiscali, oltre alle procedure esecutive patrimoniali, vi sono anche conseguenze di tipo amministrativo e penale da considerare. Ad esempio, l’omesso versamento di IVA oltre una certa soglia (attualmente €250.000 annui) integra un reato tributario punito dal D.lgs. 74/2000, così come l’omesso versamento di ritenute certificate (oltre €150.000 annui). Anche l’omesso versamento di contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti oltre la soglia di €10.000 annui costituisce reato: per importi superiori a €10.000 è prevista la reclusione fino a 3 anni e una multa, mentre per importi inferiori scatta una sanzione amministrativa pecuniaria . Ciò significa che se la stamperia ha dipendenti e non versa all’Erario le ritenute operate sugli stipendi o i contributi (vedremo meglio nel prossimo paragrafo), il titolare o legale rappresentante rischia anche procedimenti penali.

Come difendersi dai debiti tributari? Gli strumenti a disposizione del debitore fiscale includono:

  • Rateizzazione ordinaria: Prima che il debito diventi troppo grave, è possibile chiedere all’Agenzia delle Entrate o all’Agente della Riscossione un piano di dilazione (solitamente fino a 72 rate mensili, estendibili a 120 in caso di comprovata situazione di difficoltà grave). Il beneficio è la sospensione di azioni esecutive a fronte del pagamento puntuale delle rate.
  • Definizioni agevolate (rottamazione delle cartelle): Il legislatore negli ultimi anni ha introdotto più volte misure straordinarie (ad esempio la rottamazione-quater per i carichi dal 2000-2017 e dal 2018-2022) che consentono di pagare i debiti iscritti a ruolo senza sanzioni e interessi di mora, in un numero definito di rate. Bisogna verificare se al momento è attiva una finestra per queste definizioni (al 2025, nuove “rottamazioni” potrebbero essere previste da norme annuali).
  • Sospensione e contestazione: Se il debito indicato in cartella è contestabile (es. perché già pagato, o perché la cartella non è stata preceduta dalla necessaria comunicazione), il debitore può presentare un’istanza in autotutela o proporre ricorso tributario per far annullare in tutto o in parte la pretesa. Durante un ricorso, si può chiedere la sospensione della riscossione al giudice tributario.
  • Transazione fiscale: Nell’ambito di procedure di regolazione della crisi (concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dei debiti), è possibile proporre all’Erario un accordo (transazione fiscale) che preveda il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari e contributivi . Oggi la legge consente di stralciare parte dei tributi (IVA compresa) nelle procedure concorsuali, purché l’Erario non riceva meno di quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare . Questo offre maggiore flessibilità nel ristrutturare il debito fiscale, specialmente nelle soluzioni negoziali (ad esempio, in un accordo di ristrutturazione l’imprenditore può concordare di pagare solo una percentuale dell’IVA, diversamente da un concordato dove servirebbe il voto dei creditori) . In tali casi serve l’adesione dell’Erario o comunque il raggiungimento di determinate maggioranze di creditori per poter ottenere l’omologazione dell’accordo .
  • Strumenti di allerta e composizione: Come vedremo più avanti, l’accesso a una composizione negoziata della crisi consente di ottenere misure protettive che bloccano temporaneamente anche le azioni di riscossione fiscale. Durante la composizione negoziata, si può cercare un accordo con il Fisco (magari utilizzando una transazione fiscale) sotto la supervisione dell’esperto.

In sintesi, i debiti fiscali vanno gestiti con tempestività. Ignorare cartelle e avvisi può portare rapidamente a pignoramenti e altre misure coercitive. Conviene valutare piani di rientro sostenibili e utilizzare, quando disponibile, la leva delle definizioni agevolate o degli strumenti concorsuali per ridurre l’esposizione tributaria in modo negoziato.

Debiti verso enti previdenziali e contributi del personale

Un’altra categoria critica per molte aziende è quella dei debiti previdenziali, ossia i contributi dovuti agli enti come INPS (previdenza e assistenza per i lavoratori dipendenti e per il titolare se artigiano) e INAIL (premi assicurativi contro gli infortuni sul lavoro). Nella gestione di una stamperia con dipendenti, ogni mese il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi previdenziali: una parte a carico del lavoratore (trattenuta dalla busta paga) e una parte a proprio carico. In situazioni di crisi di liquidità, l’imprenditore può trovarsi costretto a posticipare o saltare questi versamenti, accumulando così un debito verso gli enti previdenziali.

Le conseguenze del mancato pagamento dei contributi includono:

  • Sanzioni civili: l’INPS applica interessi e sanzioni per ritardato od omesso versamento (ai sensi dell’art. 116, co. 8, L. 388/2000, le sanzioni possono arrivare al 60% dell’importo dovuto in caso di evasione contributiva). Tali somme fanno aumentare rapidamente il debito originale.
  • Azioni di recupero coattivo: i crediti contributivi, dopo una fase amministrativa (avvisi di addebito INPS), vengono anch’essi affidati all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) che procede con cartelle esattoriali e misure analoghe a quelle fiscali (ipoteche, fermi, pignoramenti) per recuperare il dovuto. INPS e Agenzia Riscossione godono anche di privilegi sui beni del debitore analoghi a quelli del Fisco.
  • Blocco del DURC: il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) viene negato alle aziende non in regola con i versamenti contributivi. Senza DURC, la stamperia non può ad esempio partecipare ad appalti pubblici o ottenere pagamenti da enti pubblici, e spesso nemmeno lavorare come subfornitore per clienti privati strutturati. Questo può aggravare ulteriormente la crisi di liquidità, creando un circolo vizioso.
  • Responsabilità personali: se la stamperia è gestita in forma societaria, il legale rappresentante che omette sistematicamente i versamenti può essere chiamato a risponderne personalmente in certe condizioni. Ad esempio, sul piano penale, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (la quota trattenuta ai dipendenti) oltre €10.000 annui costituisce reato punito con la reclusione fino a 3 anni . Sul piano civile, esistono norme che possono coinvolgere amministratori e soci qualora, al momento della cessazione dell’attività, rimangano contributi non pagati (si veda ad esempio l’art. 36 DPR 602/1973, che si applica anche ai contributi equiparandoli ai tributi – ne riparleremo nella sezione sulle responsabilità personali).

Difendersi dai debiti contributivi: Le strade per gestire questa tipologia di debiti sono simili a quelle dei debiti tributari:

  • Dilazioni con gli enti: L’INPS consente piani di rateazione del debito contributivo (tipicamente fino a 24 o 36 rate mensili, estensibili in casi particolari). La domanda di dilazione, se accolta, sospende le procedure esecutive e può permettere di ottenere un DURC provvisorio in attesa della regolarizzazione, purché si rispettino le rate.
  • Eventuali condoni/esoneri: Talvolta, in legislazione emergenziale, sono previsti esoneri contributivi parziali o rateizzazioni straordinarie (ad esempio, durante la pandemia COVID sono stati introdotti rinvii e parziali esoneri per alcuni settori). È importante mantenersi informati su eventuali normative speciali.
  • Transazione dei crediti contributivi: Nelle procedure concorsuali e negli accordi di ristrutturazione, i debiti verso INPS e INAIL possono essere trattati alla stregua dei debiti tributari. Il Codice della Crisi (art. 63) consente la falcidia (riduzione) e dilazione anche di questi crediti, purché nel piano attestato o accordo l’ente previdenziale ottenga una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione e che sia attestata la sostenibilità e convenienza della proposta . Ad esempio, è possibile proporre il pagamento parziale dei contributi omessi nell’ambito di un concordato o accordo, con l’adesione dell’INPS (o anche senza, in caso di cram-down se le maggioranze di altri creditori sono raggiunte) .
  • Regolarizzazione prima della cessazione: se l’imprenditore prevede di cessare l’attività, è consigliabile cercare di saldare o quantomeno ridurre il debito contributivo prima della cancellazione della società o chiusura, perché – come vedremo – i soci e liquidatori possono altrimenti essere chiamati a risponderne entro i limiti di quanto ricevuto in sede di liquidazione. Anticipare la vendita di qualche macchinario o la riscossione crediti per pagare INPS può limitare future rivalse personali.
  • Composizione negoziata: anche per i debiti contributivi, l’eventuale nomina di un esperto nella composizione negoziata può favorire un accordo con l’ente (ad esempio, l’esperto potrebbe facilitare l’ottenimento di una dilazione straordinaria evitando l’iscrizione di ipoteche). Durante le trattative protette, l’INPS sarà temporaneamente bloccato dal procedere con nuove azioni esecutive se sono state concesse le misure protettive dal tribunale.

In definitiva, ignorare i debiti verso INPS/INAIL è molto pericoloso: oltre a incorrere in sanzioni e nell’impossibilità di ottenere il DURC (che preclude lavori futuri), si rischiano denunce penali nel caso delle ritenute dei dipendenti. Conviene quindi attivarsi per regolarizzare o includere questi debiti in un piano di ristrutturazione quanto prima.

Debiti bancari e finanziari

Le imprese di piccole dimensioni come una stamperia serigrafica spesso si finanziano tramite banche o società finanziarie, ad esempio con scoperti di conto corrente (fidi) per anticipare i pagamenti dei fornitori, con mutui per l’acquisto di macchinari, o attraverso leasing (per macchinari da stampa, automezzi, ecc.). Inoltre, possono essere stati emessi prestiti personali o finanziamenti garantiti per sostenere l’attività.

Quando l’azienda entra in crisi, può diventare difficile rispettare le scadenze di questi debiti finanziari. I segnali tipici sono: continuo sconfino dal fido di conto, rate di mutuo pagate in ritardo o saltate, richieste della banca di rientro. Ecco le principali conseguenze del mancato pagamento di questi debiti:

  • Revoca degli affidamenti: la banca può revocare il fido di conto corrente (scoperto di c/c) se la situazione peggiora o se il debitore è classificato come deteriorato. Questo comporta che l’intero importo utilizzato diviene immediatamente esigibile, creando ulteriore tensione di cassa.
  • Segnalazioni in Centrale Rischi: se i crediti verso la stamperia diventano “a sofferenza” o past due (scaduti >90 giorni), la banca li segnala alla Centrale dei Rischi di Banca d’Italia, compromettendo la reputazione creditizia dell’azienda e degli eventuali coobbligati (soci garanti). Ciò rende praticamente impossibile ottenere nuovo credito.
  • Escussione di garanzie: molti debiti bancari sono garantiti da fideiussioni personali dei soci o del titolare, oppure da ipoteche su immobili (es. se il titolare ha dato la casa in garanzia) o da pegno su beni. In caso di inadempimento prolungato, la banca attiverà le garanzie: ad esempio, chiederà ai garanti (soci/familiari) il pagamento dell’intero importo dovuto o inizierà un’esecuzione ipotecaria sull’immobile dato in garanzia.
  • Decadenza dal beneficio del termine: per i mutui o finanziamenti rateali, se si saltano un certo numero di rate (solitamente 2 non consecutive o anche 1 sola se trascorsi più di 6 mesi di ritardo, a seconda delle clausole contrattuali e della normativa trasparenza), la banca può dichiarare il prestito decaduto, richiedendo il pagamento immediato di tutto il capitale residuo. Questo ovviamente aggrava la posizione debitoria.
  • Procedimenti monitori e esecutivi: la banca (o finanziaria) potrà ottenere rapidamente un decreto ingiuntivo per le somme dovute (spesso il contratto di finanziamento stesso è un documento che agevola l’ingiunzione immediata, come una scrittura autenticata), e poi procedere con pignoramenti di beni aziendali o personali (se ha garanzie o se si tratta di ditta individuale). In caso di leasing, la società di leasing può riprendere immediatamente il bene (macchinario, automezzo) in caso di risoluzione del contratto per morosità e richiedere il pagamento delle penali.
  • Interessi moratori elevati: i contratti bancari prevedono tassi di mora in caso di ritardo. Inoltre, per le imprese, il D.Lgs. 231/2002 prevede interessi di mora legali molto alti sulle transazioni commerciali scadute. Quindi il debito aumenta rapidamente.

Come affrontare i debiti bancari? Il rapporto con le banche va gestito con grande attenzione, poiché da un lato queste sono creditori potenti e organizzati, dall’altro possono essere partner nella ristrutturazione se convinte della bontà di un piano di risanamento:

  • Moratorie e rinegoziazioni interne: In primo luogo, è opportuno instaurare un dialogo con la banca prima che la situazione precipiti. Se la crisi è temporanea, si può chiedere una moratoria (sospensione) delle rate per un certo periodo, oppure una rischedulazione del debito (allungamento dei piani di ammortamento per ridurre l’importo delle rate). Talvolta, su pressione anche delle associazioni di categoria, le banche concedono moratorie generalizzate a PMI di settori in crisi.
  • Accordi stragiudiziali: In caso di più banche finanziatrici, si può tentare un accordo di ristrutturazione del debito bancario consensuale. Ad esempio, trasformare gli scoperti di conto in mutui a medio termine, ridurre i tassi, ottenere lo stralcio di parte degli interessi e spese. Spesso le banche preferiscono trovare un accordo piuttosto che escutere garanzie che potrebbero non coprire l’intero credito. Ogni accordo va negoziato caso per caso e possibilmente formalizzato per iscritto, magari con l’assistenza di un esperto negoziatore.
  • Piano attestato di risanamento: Uno strumento efficace in ambito bancario è il piano attestato di risanamento (art. 56 Codice Crisi, già art. 67 L.F.). Si tratta di un piano predisposto dall’imprenditore con l’ausilio dei consulenti, che prevede come superare la crisi (ad esempio tramite rilancio, dismissione di asset non strategici, nuovi soci finanziatori, ecc.) e garantire il rimborso dei debiti. Il piano deve essere asseverato da un esperto indipendente che certifichi la veridicità dei dati e la fattibilità. Se le banche (e altri creditori chiave) aderiscono al piano, si ottiene un duplice beneficio: da un lato si evita di ricorrere a procedure concorsuali (mantenendo la gestione nelle mani dell’imprenditore), dall’altro gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . Attenzione però: il piano attestato non comporta obbligatorietà per i creditori estranei (ciascuno deve aderire volontariamente) e non può imporre tagli unilaterali di debito . Quindi, se una banca non è d’accordo, potrebbe comunque agire per conto suo; e i crediti fiscali, ad esempio, vanno pagati integralmente o tramite le misure ordinarie (rateazioni, rottamazioni) perché il piano attestato in sé non consente di falcidiarli senza consenso . Pertanto, questo strumento funziona bene se si riesce a ottenere l’adesione di tutte le banche principali e degli altri creditori critici.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD): Se il debito bancario è molto elevato e diffuso tra più istituti, un altro percorso è l’accordo di ristrutturazione omologato ai sensi degli artt. 57 ss. Codice della Crisi. Esso richiede di raggiungere un consenso con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali, ma una volta omologato dal tribunale vincola anche i dissenzienti. È un procedimento più strutturato di un piano attestato, che offre maggiore sicurezza di esecuzione. Nel contesto bancario, può includere operazioni come conversione del debito in capitale (se la banca diventa socia) o concessione di nuove garanzie in cambio di stralci parziali. Anche i crediti fiscali e contributivi possono rientrarvi con transazione fiscale come detto. Un vantaggio dell’ARD è la flessibilità: ad esempio, l’imprenditore può proporre di pagare interamente le banche ipotecarie ma solo una percentuale dei debiti chirografari (fornitori, fisco) senza dover rispettare rigorosamente par conditio, se i creditori coinvolti accettano . Inoltre, se il peso delle banche consenzienti è sufficiente a raggiungere il 60% richiesto, l’accordo può essere omologato anche senza l’adesione del Fisco (il tribunale può superare il dissenso erariale, cram-down, a patto che senza il voto del Fisco la maggioranza sarebbe comunque raggiunta) . Questo strumento richiede però un’attestazione di un esperto e vari adempimenti formali, ed è costoso; si utilizza per situazioni più complesse.
  • Procedura di sovraindebitamento o concordato: Se la situazione è compromessa e le banche non collaborano extragiudizialmente, l’imprenditore può valutare l’accesso a una procedura concorsuale vera e propria, come un concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) per imporre un trattamento dei crediti bancari (es. pagarli parzialmente) con l’approvazione della maggioranza dei creditori. Le banche, come creditori privilegiati (se hanno ipoteche) o chirografari, voteranno nel concordato; se la maggioranza approva, anche le banche dissenzienti saranno obbligate all’accordo omologato dal tribunale.
  • Nuova finanza: In alcuni casi, può essere possibile coinvolgere un nuovo investitore o socio finanziatore che apporti capitali freschi con cui pagare in parte i debiti bancari (finanza esterna). Questa è una strada percorribile se la stamperia ha ancora prospettive di mercato: un investitore potrebbe rilevare l’azienda o parte di essa, a condizione che i creditori accettino una riduzione del credito (saldo a stralcio). Queste operazioni spesso si formalizzano all’interno di concordati o accordi di ristrutturazione, dove la finanza esterna gode anche di privilegio nel rimborso futuro.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

Le dilazioni di pagamento concesse dai fornitori (es. fornitori di inchiostri, telai serigrafici, carta, tessuti, ecc.) rappresentano un’altra fonte di indebitamento. In un settore come la serigrafia, è comune acquistare materie prime e pagare a 30, 60 o 90 giorni. Se la crisi di liquidità impedisce di saldare le fatture alla scadenza, i fornitori cominciano a sollecitare i pagamenti e possono perdere la fiducia, riducendo le forniture o richiedendo pagamenti anticipati, il che a sua volta può bloccare la produzione.

I rischi legati ai debiti verso fornitori sono:

  • Interessi di mora commerciali: Il D.Lgs. 231/2002 prevede che, decorso il termine di pagamento in una transazione commerciale, il creditore possa applicare automaticamente interessi moratori ad un tasso maggiorato (tasso BCE + 8 punti percentuali, salvo diverso tasso contrattuale). Questi interessi sono molto alti e fanno lievitare rapidamente il debito verso il fornitore in caso di ritardi.
  • Azioni legali rapide: Un fornitore insoddisfatto può agire legalmente. Spesso la prima mossa è ottenere un decreto ingiuntivo: trattandosi di credito commerciale documentato da fatture e DDT, il fornitore può ricorrere al giudice che, verificata la documentazione, emette in tempi brevi un’ingiunzione di pagamento esecutiva dopo 40 giorni (se non viene opposta dal debitore). Decorso quel termine, il fornitore può notificare un atto di precetto e poi procedere a pignoramento di beni o crediti dell’azienda debitrice. Molte volte i fornitori agiscono con decreti ingiuntivi soprattutto se temono che l’azienda stia per fallire, per precostituirsi un titolo e magari agganciarsi a eventuali procedure concorsuali.
  • Sospensione delle forniture: Sul piano commerciale, il fornitore insoluto potrebbe interrompere le forniture essenziali (ad es. inchiostri o materiali), mettendo in difficoltà operative la stamperia. Ciò può avvenire anche in assenza di azioni legali, come scelta imprenditoriale del fornitore.
  • Penali contrattuali: Se vi sono contratti in corso (es. contratti di appalto di stampe) che prevedono penali per ritardi, l’inadempimento può far maturare ulteriori costi.

Soluzioni per debiti verso fornitori:

  • Negoziazione individuale: Prima che il rapporto si comprometta del tutto, è spesso possibile negoziare con i fornitori dilazioni extra o piani di rientro. Molte piccole imprese, se vedono la buona fede del cliente in crisi, preferiscono accettare pagamenti parziali e scadenzati piuttosto che intraprendere costose azioni legali. Ad esempio, un fornitore potrebbe accettare un pagamento del 50% subito a saldo e stralcio, rinunciando al resto, oppure una rateazione mensile del dovuto, magari ottenendo in cambio un impegno a riprendere i normali acquisti con lui terminata la crisi.
  • Concordato preventivo o concordato minore: Nel caso la situazione di insolvenza sia generalizzata, un concordato può permettere di falcidiare (ridurre) i debiti chirografari, categoria nella quale rientrano i fornitori non garantiti. Ad esempio, con un concordato liquidatorio si può proporre di pagare solo una percentuale (es. 20%) del credito ai fornitori. Se la maggioranza di essi (per valore) vota a favore, tutti – anche i dissenzienti – saranno obbligati a quell’accordo una volta omologato. Questo consente di liberarsi di una parte dei debiti verso fornitori in modo ordinato. Tuttavia, come vedremo, la legge richiede nel concordato liquidatorio un minimo di soddisfazione ai chirografari (20%) , quindi non si può azzerare totalmente il debito verso di loro (a meno di procedure minori di sovraindebitamento).
  • Accordi consortili o di filiera: In certi casi, se la stamperia fa parte di una filiera (es. fornitura di stampe per un grande committente finale), tutti i fornitori coinvolti potrebbero concordare una ristrutturazione comune. Si tratta di soluzioni informali (come “patti di risanamento” settoriali) in cui vari creditori concordano moratorie coordinate per dare respiro al debitore e consentirgli di portare a termine lavori in corso che genereranno cassa.
  • Opposizione ai decreti ingiuntivi: Qualora un fornitore agisca legalmente e il debito sia contestabile (ad esempio per merce difettosa o non conforme, o perché si vantano crediti verso quel fornitore in compensazione), il debitore può proporre opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni dalla notifica, aprendo una causa ordinaria. L’opposizione blocca l’esecutorietà immediata, ma richiede di fornire valide ragioni e prove. Può servire anche a prendere tempo, ma attenzione: se è pretestuosa, si pagheranno ulteriori spese legali e interessi.
  • Consolidamento del debito di fornitori: Un’altra via, se c’è fiducia, è trasformare i debiti commerciali in debito finanziario: ad esempio emettendo cambiali a favore dei fornitori, che formalizzano il debito e ne dilazionano il pagamento su scadenze concordate. Le cambiali magari possono essere garantite da avalli personali. Questo dà al fornitore uno strumento più forte (la cambiale non pagata consente esecuzione immediata), ma concede tempo e formalizza un piano di rientro.

Debiti verso dipendenti e collaboratori

Infine, se la stamperia ha dipendenti o collaboratori continuativi, può incorrere in debiti verso il personale, in particolare:

  • Stipendi non pagati: difficoltà di cassa possono portare a ritardi nel pagamento delle retribuzioni mensili. Il ritardo sistematico nel pagamento degli stipendi costituisce una grave inadempienza contrattuale che potrebbe spingere i dipendenti a rassegnare dimissioni per giusta causa (con diritto alla NASpI) e ad agire legalmente.
  • TFR e competenze di fine rapporto: quando un lavoratore cessa, la ditta deve liquidare il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturato e altre spettanze (ferie non godute, 13esima pro-rata, ecc.). In crisi, queste somme potrebbero non essere disponibili.
  • Rimborsi spese, straordinari, ecc.: voci minori ma che possono anch’esse accumularsi se non pagate.

Le tutele per i lavoratori sono molto forti nell’ordinamento:

  • I dipendenti possono ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per crediti di lavoro (gli importi da busta paga hanno una prova scritta forte, e la legge consente l’esecutorietà provvisoria per crediti di natura alimentare). Ciò significa che nel giro di poche settimane il dipendente può munirsi di titolo esecutivo e pignorare, ad esempio, i conti correnti aziendali.
  • I crediti di lavoro (stipendi ultimi 12 mesi e TFR) godono di privilegio generale mobiliare e, se vi sono immobili, anche di ipoteca giudiziale potenziale; nelle procedure concorsuali, vengono soddisfatti con priorità rispetto ad altri crediti.
  • Esiste un Fondo di Garanzia INPS che interviene a pagare il TFR e ultime 3 mensilità ai dipendenti in caso di insolvenza del datore di lavoro, ma ciò richiede normalmente l’apertura di una procedura concorsuale (fallimento o concordato) o in mancanza, un tentativo di esecuzione individuale infruttuoso.

Come gestire i debiti verso il personale:

  • Trasparenza e negoziazione interna: Nelle piccole realtà, spesso i lavoratori sono pochi e possono comprendere la situazione. È importante comunicare e magari concordare informalmente dei piani di pagamento (es: posticipare il pagamento di qualche mese di stipendio, pagando il corrente e rinviando gli arretrati a quando entra un incasso). Questo ovviamente richiede fiducia e collaborazione, e non esime dal fatto che il lavoratore resta libero di agire. Tuttavia, un ambiente coeso può scongiurare cause immediate.
  • Utilizzo degli ammortizzatori sociali: Se la crisi è congiunturale, l’azienda può ricorrere a strumenti come la Cassa Integrazione Guadagni (ordinaria o straordinaria se spettante) o i contratti di solidarietà, per ridurre temporaneamente il costo del lavoro con il sostegno di contributi pubblici, evitando di accumulare ulteriori debiti di stipendi.
  • Priorità nei piani di ristrutturazione: Nel redigere un piano di risanamento, è opportuno dare priorità al pagamento dei dipendenti. Non solo per motivi etici, ma anche perché la legge lo incoraggia: ad esempio, nei concordati in continuità è richiesto di pagare integralmente i crediti per stipendi anteriori nei termini di legge (almeno quelli degli ultimi 3 mesi di attività precedenti il concordato devono essere pagati, se si vuole la continuazione dell’attività con gli stessi dipendenti). Inoltre, soddisfare i lavoratori evita l’intervento del Fondo di Garanzia e le relative rivalse.
  • Procedure concorsuali: In un concordato preventivo o concordato minore, i lavoratori rientrano tra i creditori privilegiati. Solitamente, i piani prevedono il pagamento integrale dei crediti di lavoro privilegiati (almeno entro il limite del privilegio, che copre circa 12 mesi di retribuzioni e TFR). Il concordato può tuttavia prevedere di pagarli non immediatamente ma in tempistiche differite, purché entro un anno dall’omologazione per i super-privilegiati (o anche più se i lavoratori acconsentono espressamente). Se vi è incapienza patrimoniale anche sul privilegio, i dipendenti possono essere parzialmente insoddisfatti, ma ciò di solito attiva l’intervento del Fondo di Garanzia per la parte di TFR non pagata.
  • Chiusura e accesso al Fondo di Garanzia: Se non vi sono prospettive di salvare l’azienda e i debiti verso i dipendenti sono ingenti, a volte la soluzione migliore è cessare l’attività e avviare una procedura liquidatoria (fallimento o liquidazione controllata). In tal modo, i dipendenti possono accedere rapidamente al Fondo di Garanzia INPS per ricevere TFR e ultime mensilità, e il curatore/liquidatore provvederà a distribuirgli eventuali attivi recuperati con priorità assoluta. Questo è ovviamente l’estrema ratio se non c’è modo di continuare.

Obblighi di legge in caso di crisi e strumenti di allerta precoce

La normativa italiana impone all’imprenditore alcuni obblighi di comportamento nel momento in cui l’azienda inizia a mostrare segnali di crisi. Tali obblighi sono stati rafforzati con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), pienamente operativo dal 15 luglio 2022 e ulteriormente emendato nel 2023-2024 per recepire la direttiva UE 2019/1023.

In particolare, l’art. 2086 c.c. (secondo comma), come modificato dal Codice della Crisi, stabilisce che l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva dello stato di crisi e della perdita di continuità, e di attivarsi senza indugio per adottare e attuare le misure idonee a superare la crisi** . In parole semplici, ciò significa che l’imprenditore deve dotarsi di strumenti (contabilità aggiornata, controllo di gestione, indicatori finanziari) capaci di far emergere i segnali di difficoltà prima che diventino insolvenza conclamata, e deve reagire prontamente con adeguate strategie (es: rinegoziazioni, ricerca di nuovi apporti di capitale, riduzione dei costi, ecc.).

Indicatori di crisi: Il Codice ha introdotto anche il concetto di indicatori della crisi – parametri come indici di bilancio (ad es. rapporto oneri finanziari/ricavi, indice di liquidità, ecc.) o il verificarsi di eventi rilevanti (come ritardi nei pagamenti di debiti fiscali oltre certi importi) – che segnalano l’approssimarsi di uno stato di difficoltà. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ha elaborato degli indici standard, ma in generale ogni impresa dovrebbe monitorare la propria tensione finanziaria. Nel caso di una stamperia serigrafica, alcuni segnali tipici di allarme possono essere: crescente utilizzo dei fidi oltre i limiti, ritardi sistematici nei pagamenti ai fornitori, aumento dei debiti verso il fisco (ad esempio IVA non versata per mancanza di liquidità), calo prolungato del fatturato senza corrispondente calo dei costi fissi, ecc.

Segnalazioni esterne: Oltre all’obbligo interno di attivarsi, il Codice aveva previsto (anche se l’operatività è stata in parte rivista) meccanismi di segnalazione della crisi da parte di creditori pubblici qualificati. Ad esempio, l’Agenzia Entrate, l’INPS e l’Agente della Riscossione devono segnalare all’impresa (e potenzialmente all’Organismo di Composizione della Crisi o all’esperto della composizione negoziata) il superamento di certi importi di debito scaduto (tributi, contributi) come indice di possibile insolvenza, invitando l’organo amministrativo a prendere provvedimenti. Questo per intercettare tempestivamente le crisi ed evitarne l’aggravamento. Se l’organo amministrativo (es. i titolari della stamperia) ignora questi segnali e non assume iniziative, potrebbe poi essergli imputata una responsabilità per aggravamento del dissesto.

Adeguati assetti e responsabilità degli amministratori: In concreto, per un’azienda anche piccola come una stamperia, “assetti adeguati” significa tenere una contabilità regolare, redigere bilanci attendibili, dotarsi di un budget di cassa previsionale per vedere se nei mesi successivi ci saranno carenze, monitorare gli indici di rotazione del magazzino e di incasso dei crediti. Se nonostante queste misure la crisi avanza, l’imprenditore deve “attivarsi senza indugio”. Il mancato rispetto di questi obblighi può esporre gli amministratori (nel caso di società) ad azioni di responsabilità: ad esempio, i creditori sociali potranno agire contro di loro se hanno tardato a chiedere un concordato o la liquidazione aggravando il buco patrimoniale (azione ex art. 2394 c.c.), oppure la procedura fallimentare potrà imputare il danno da “continuazione abusiva dell’attività” dopo il manifestarsi della perdita di capitale o dello stato di insolvenza.

In sintesi, la legge spinge verso un approccio proattivo: non si deve aspettare di essere sommersi dai decreti ingiuntivi per reagire. Se si intravedono difficoltà all’orizzonte, è doveroso per l’imprenditore cercare assistenza (es. da un consulente aziendale o legale specializzato in crisi) e valutare l’utilizzo degli strumenti che ora andremo a descrivere per gestire la crisi prima che sfoci in insolvenza irreversibile.

Strategie extragiudiziali per risanare i debiti

Di fronte a una crisi di debiti, la prima opzione da valutare è spesso quella extragiudiziale, ovvero cercare soluzioni fuori dalle aule di tribunale attraverso accordi volontari con i creditori. Questo approccio presenta vari vantaggi: è riservato (non diviene di dominio pubblico come un fallimento o un concordato, salvaguardando la reputazione), è flessibile (le parti possono trovare soluzioni creative non incasellate in rigidi schemi di legge) ed evita i costi e la complessità delle procedure formali. Tuttavia, ha il limite di richiedere la collaborazione attiva dei creditori – basta uno irriducibile per mandare all’aria l’accordo – e non offre quelle protezioni automatiche (stay delle azioni esecutive) che solo una procedura concorsuale può dare.

Ecco le principali strategie stragiudiziali:

Rinegoziazione individuale dei debiti

Come già accennato per i fornitori e le banche, la via più immediata consiste nel contattare singolarmente ciascun creditore e cercare di rinegoziare le condizioni di pagamento. Questa rinegoziazione può assumere forme diverse:

  • Dilazione semplice: concordare una nuova scadenza o un pagamento rateale del dovuto. Ad esempio, promettere a un fornitore di saldare il 100% del debito ma in 6 rate mensili invece che subito. Questo spesso richiede di riconoscere almeno gli interessi di mora o una parte di essi.
  • Saldo e stralcio: offrire al creditore il pagamento immediato (o a breve termine) di una percentuale del credito (es. 50%) a saldo definitivo, con rinuncia al resto. Questa soluzione può riuscire con creditori che preferiscono incassare meno ma subito, anziché rischiare di più tardi (magari nel timore di un fallimento dove prenderebbero poco).
  • Conversione del debito: in alcuni casi si può proporre di convertire il credito in una diversa forma: ad esempio, un fornitore potrebbe accettare una cambiale per consolidare il debito (impegnando formalmente l’azienda e magari anche un garante per il pagamento alla scadenza futura); oppure una banca potrebbe trasformare gli interessi scaduti in un finanziamento aggiuntivo. Anche la conversione di debiti in partecipazioni societarie è un’opzione (il creditore diventa socio dell’azienda in cambio dell’abbuono del debito), sebbene rara per realtà piccole.
  • Accordi transattivi omnibus: se i creditori sono numerosi ma relativamente piccoli, l’imprenditore può predisporre una sorta di proposta standard (es: pagamento del 40% a tutti entro 6 mesi) e presentarla a tutti, pur negoziando individualmente. Se un numero sufficiente di creditori aderisce volontariamente, di fatto si ottiene un effetto simile a un accordo collettivo ma formalmente resta somma di accordi bilaterali.

È importante, in queste trattative, mantenere la credibilità. Bisogna presentare un piano realistico, magari supportato da qualche documentazione (es: un prospetto di cash flow futuro, ordini in portafoglio che garantiranno incassi, ecc.) per convincere i creditori che conviene anche a loro dare respiro all’azienda invece di aggredirla subito. Può essere utile farsi affiancare da un professionista (avvocato o consulente aziendale) che illustri il piano ai creditori: questo spesso conferisce maggiore serietà alla proposta.

Un rischio degli accordi stragiudiziali, però, è la cosiddetta “free riding”: un creditore può approfittare dell’accordo raggiunto con gli altri e restare fuori per attivare un’azione esecutiva individuale e soddisfarsi prima degli altri. Non essendoci una moratoria legale generale, finché tutti non hanno firmato, permane il pericolo che un singolo creditore “rompa le righe”. Per questo, nelle situazioni multilateralmente complesse, si passa a strumenti più strutturati come quelli di seguito.

Il Piano Attestato di Risanamento

Il piano attestato di risanamento (ex art. 67 L.F., ora art. 56 del Codice della Crisi) è uno strumento extragiudiziale che però la legge riconosce e tutela in modo particolare. Consiste in un piano aziendale elaborato dall’impresa per riequilibrare la propria situazione finanziaria e patrimoniale, sul quale un esperto indipendente (di solito un commercialista o revisore) rilascia un’attestazione formale di veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano. L’obiettivo è duplice: da un lato convincere i creditori della serietà e sostenibilità del risanamento proposto, dall’altro ottenere la protezione giuridica che il legislatore concede a tali piani.

In particolare, gli atti e pagamenti compiuti in esecuzione di un piano attestato non possono essere dichiarati inefficaci (revocati) in caso di successivo fallimento o liquidazione giudiziale dell’impresa . Questo scudo serve a incoraggiare i creditori a collaborare: sanno che i pagamenti ricevuti in base al piano non verranno poi revocati dal curatore. Ad esempio, se un fornitore accetta un pagamento parziale a saldo di 100 su 200 dovuto secondo il piano attestato, e poi l’azienda fallisce, il curatore non potrà chiedere a quel fornitore di restituire i 100 incassati sostenendo che sono un atto preferenziale.

Il piano attestato è totalmente volontario: non prevede né il coinvolgimento del tribunale né il voto dei creditori. Quindi non vincola i dissenzienti. Ciò significa che per funzionare deve basarsi sul consenso effettivo dei principali creditori. Spesso viene utilizzato quando l’impresa ha relativamente pochi creditori di grosso importo e molti piccoli diffusi (per i quali non vale la pena aprire un concordato). I creditori solitamente formalizzano la loro adesione con accordi bilaterali (ad esempio firme su scritture private in cui accettano la dilazione o lo stralcio proposto nel piano).

Un esempio di piano attestato per una stamperia potrebbe essere: prevedere la cessione di un ramo d’azienda non strategico per fare cassa, l’ingresso di un socio finanziatore che apporta liquidità, l’impegno a razionalizzare alcuni costi; con queste risorse, pagare i debiti fiscali e contributivi in 24 mesi tramite rateazione, pagare integralmente i fornitori strategici e offrire un saldo del 50% ai fornitori non strategici. L’attestatore verificherà che i numeri tornino e che con queste misure l’impresa tornerà solvibile. Se tutto torna, il piano è attestato e si passa all’esecuzione.

Limiti del piano attestato: Come già detto, il piano non può imporre tagli ai creditori senza il loro accordo . Dunque, se taluno rifiuta la proposta, resta fuori e potrà agire per conto suo. Inoltre, il piano attestato non sospende di per sé le azioni esecutive: se un creditore non cooperativo avvia un pignoramento, l’azienda deve reagire con gli strumenti tradizionali (opposizioni o cercare di pagare quel creditore). A differenza delle procedure concorsuali, qui non c’è automatic stay. Per questo il piano attestato funziona bene in situazioni “consensuali”, mentre se ci sono creditori aggressivi è rischioso.

In sintesi, il piano attestato è uno strumento snello e riservato, utile a evitare il fallimento tramite un risanamento concordato in modo flessibile. Richiede però equilibrio: serve una crisi reversibile, creditori sufficientemente fiduciosi e un’attestatore capace. Nel dubbio, per crisi più gravi, si preferisce oggi utilizzare la composizione negoziata o l’accordo di ristrutturazione, di cui ora trattiamo.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono previsti dagli artt. 57-64 del Codice della Crisi (riprendendo l’art. 182-bis L.F. e seguenti). Si tratta di accordi formalizzati e omologati dal tribunale, che richiedono l’adesione di una parte significativa dei creditori ma non necessariamente di tutti. Rappresentano una via di mezzo tra il piano attestato (completamente extragiudiziale) e il concordato preventivo (totalmente concorsuale con voto di tutti i creditori).

Caratteristiche salienti di un ADR:

  • Devono aderire creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (percentuale ridotta al 30% per l’“accordo agevolato” se si esclude espressamente la falcidia dei crediti fiscali e dei lavoratori, ma questa è una variante tecnica poco usata). Il 60% è calcolato sul totale passivo.
  • I creditori aderenti stipulano uno o più accordi contrattuali col debitore, in cui accettano modifiche alle loro pretese (dilazioni, stralci, conversioni). Ad esempio, le banche titolari del 70% dei crediti si accordano per prorogare le scadenze e ridurre i tassi, alcuni fornitori accettano un pagamento parziale, etc.
  • Il debitore deposita l’accordo in tribunale insieme a una relazione di un attestatore indipendente che dichiara che l’accordo assicura l’integrale pagamento (entro 120 giorni) dei creditori estranei o comunque che i creditori estranei non sono pregiudicati.
  • Il tribunale, verificati i requisiti, omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes. Ciò significa che anche i creditori non firmatari (dissenzienti o estranei) restano vincolati dalla moratoria dell’accordo se il debitore adempie regolarmente ai termini convenuti con i partecipanti. In pratica, l’ADR congela la posizione anche dei non aderenti, i quali però mantengono il diritto di essere pagati per intero (ma alla scadenza prevista dal piano).
  • Su richiesta del debitore, il tribunale può anche concedere misure protettive (simili a quelle del concordato) già dalla fase delle trattative per l’accordo.

La potenza dell’ADR sta nel fatto che con un 60% di consensi si ottiene un effetto simile a un concordato ma senza passare dal voto di tutti i creditori e con maggiore libertà negoziale. Ad esempio, nel concordato normalmente bisogna rispettare certe regole di parità tra creditori di pari grado, mentre nell’ADR si può concordare col Fisco un trattamento differenziato rispetto ad altri chirografari, se l’Erario accetta .

Va notato che nelle modifiche introdotte dal D.Lgs. 83/2022, è stata rafforzata la possibilità di cram-down sui creditori pubblici: se il Fisco o gli enti previdenziali non aderiscono ma la soglia del 60% è raggiunta senza di loro, il tribunale può omologare l’accordo anche in assenza del loro consenso, rideterminando il debito fiscale secondo i termini proposti (ovviamente a condizione che l’attestatore dichiari che lo Stato riceve almeno quanto otterrebbe in un fallimento) . Questa è una novità importante perché in passato il dissenso del Fisco bloccava molti accordi. Ora, invece, il Fisco può essere “forzato” nel rispetto delle maggioranze (purché senza di esso c’è già il 60% di altri consensi).

In pratica, un ADR ben riuscito permette di evitare il fallimento assicurando comunque il pagamento dei creditori essenziali e diluendo o falcidiando gli altri in modo consensuale. È spesso utilizzato per aziende medio-grandi. Per una piccola impresa artigiana come la nostra stamperia, un ADR potrebbe essere eccessivamente costoso e complesso, a meno che non abbia un pool di banche e creditori rilevanti da mettere d’accordo.

Cenni sugli accordi di sovraindebitamento (per imprese minori)

Parallelamente agli accordi di ristrutturazione “ordinari” appena descritti, esistono procedure analoghe per i debitori non fallibili (consumatori, piccole imprese sotto soglia). Con il nuovo Codice della Crisi, la vecchia legge 3/2012 sul sovraindebitamento è stata integrata e modificata. Per le imprese minori (che non superano i parametri di fallibilità), è previsto l’accordo di composizione della crisi (ora assorbito nella figura del concordato minore, di cui diremo più avanti) e il piano del consumatore (per chi non ha debiti d’impresa). La logica è simile: si cerca l’accordo con i creditori, omologato dal tribunale, con maggioranze richieste un po’ diverse (ad esempio, per il concordato minore oggi è richiesto il voto favorevole del 50% dei crediti chirografari). Approfondiremo oltre quando parleremo delle procedure concorsuali minori.

In definitiva, la strategia extragiudiziale deve sempre essere valutata come primo passo: se c’è spazio per sistemare la situazione senza passare dal tribunale, conviene tentare. Ma bisogna essere realisti: quando l’insolvenza è troppo grave o molti creditori hanno già perso la pazienza, sarà necessario ricorrere agli strumenti concorsuali o semi-concorsuali, dei quali ci occupiamo nelle prossime sezioni.

La Composizione negoziata della crisi d’impresa

Uno degli strumenti più innovativi e importanti introdotti di recente è la Composizione Negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Si tratta di una procedura volontaria e stragiudiziale, introdotta con il D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e ora disciplinata negli artt. 12-25 undecies del Codice della Crisi (a seguito del D.Lgs. 83/2022) . La composizione negoziata (CNC) è operativa dal 15 novembre 2021 e rappresenta un tentativo di anticipare l’emersione della crisi e favorire soluzioni meno invasive e più rapide rispetto alle procedure concorsuali tradizionali .

Chi può accedere e quando: Possono attivare la composizione negoziata tutte le imprese, sia societarie che individuali, di qualsiasi dimensione e settore (commercio, artigianato, agricoltura). Non vi sono requisiti dimensionali minimi; anzi, la norma è pensata anche per le PMI “sotto soglia” che non avrebbero accesso al fallimento . L’unica condizione è che l’impresa si trovi in una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale da far prevedere la crisi o l’insolvenza, ma non sia già insolvente in modo irreversibile. In altre parole, deve esserci ancora una prospettiva di risanamento, sebbene la situazione sia seria. È lo strumento adatto quando la stamperia si accorge di non riuscire più a far fronte regolarmente ai debiti, ma vuole giocarsi un’ultima carta per evitare il tracollo e mantenere la continuità aziendale.

Come si avvia: La procedura si avvia su istanza dell’imprenditore tramite una piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio. Si caricano una serie di informazioni economiche, patrimoniali e finanziarie e una proposta di piano di risanamento (anche preliminare) . Viene nominato da una commissione esterna un esperto indipendente (di regola un professionista iscritto in apposito elenco) che avrà il compito di facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori.

Ruolo dell’esperto e svolgimento: L’esperto, una volta accettato l’incarico, convoca l’imprenditore in crisi per valutare la situazione e predispone un primo “test pratico” per verificare se esistono concrete possibilità di risanamento . Se le prospettive sono ragionevoli, l’esperto guiderà l’impresa nella predisposizione di un piano più definito e, soprattutto, nell’avvio delle trattative con i creditori. L’esperto è una figura super partes: ascolta le ragioni dell’imprenditore, analizza i dati, e poi approccia i creditori chiave per cercare un accordo. Può organizzare incontri con tutti o singoli creditori, proporre soluzioni, mediare sulle divergenze. Tuttavia, non ha poteri sostitutivi: non può imporre ai creditori di aderire, il suo compito è di persuasione e di sorveglianza della correttezza delle trattative .

Durata: La composizione negoziata ha una durata iniziale di 3 mesi, prorogabile su istanza motivata fino a un massimo di 6 mesi (oltre è possibile solo in casi eccezionali). Questo termine contenuto serve a evitare che la procedura si trascini inutilmente: o si trova un accordo entro pochi mesi, o si dovrà prendere atto del fallimento delle trattative.

Misure protettive e cautelari: Uno dei grandi vantaggi della CNC è che l’imprenditore può richiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio, a partire dal giorno di pubblicazione dell’istanza di composizione. Tali misure, se concesse, consistono principalmente nel divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio dell’imprenditore durante le trattative . In pratica, è una sorta di automatic stay: i procedimenti esecutivi in corso vengono sospesi e non se ne possono avviare di nuovi per il periodo autorizzato (generalmente 120 giorni rinnovabili). Ciò dà un po’ di respiro all’impresa e consente di negoziare senza l’acqua alla gola dei pignoramenti imminenti. Per ottenere queste misure protettive l’imprenditore, sentito l’esperto, deve però fornire al tribunale elementi che attestino che la prosecuzione dell’attività non reca danno ai creditori e che c’è una concreta possibilità di risanamento.

Oltre alle misure protettive, il tribunale può anche concedere alcune misure cautelari se necessarie, ad esempio provvedimenti per mantenere in funzione beni essenziali (si pensi a un’utenza fondamentale che il fornitore vuole interrompere per morosità).

Durante la composizione negoziata, l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda (non c’è spossessamento), ma è tenuto ad agire in buona fede e correttezza, consultandosi con l’esperto prima di compiere atti di particolare rilevanza. Può compiere atti di ordinaria amministrazione liberamente; per quelli straordinari (come vendere un bene), se le misure protettive sono attive, occorre il nulla osta del tribunale se rischiano di pregiudicare i creditori.

Esiti possibili: La composizione negoziata può concludersi in vari modi:

  1. Accordo stragiudiziale: Se le trattative vanno a buon fine, si può giungere a un accordo con tutti o parte dei creditori. Può essere un accordo contrattuale plurilaterale “privato”. Ad esempio, l’imprenditore potrebbe ottenere che tutti i principali creditori sottoscrivano un accordo di risanamento in cui si impegnano a ridurre i crediti del 30% e a dilazionare il resto in 5 anni, con l’apporto di nuova finanza da un investitore. Questo accordo di per sé non richiede omologazione giudiziale. L’esperto redige una relazione finale positiva, attestando che l’accordo raggiunto è idoneo a assicurare la continuità aziendale e il riequilibrio, e la procedura si chiude. Se l’accordo coinvolge la totalità (o la quasi totalità) dei creditori, esso risolve la crisi evitando il fallimento. Tuttavia, resta un accordo volontario: se qualche creditore ne è rimasto fuori, potrà comunque agire per conto suo, ma spesso l’accordo prevede la risoluzione contestuale dei debiti residui (es. mediante stralcio integrale o pagamento integrale di chi non aderisce, usando la nuova finanza).
  2. Accordo nella forma di uno strumento concorsuale: In molti casi, l’esito è formalizzare quanto concordato in uno degli strumenti previsti dalla legge, come un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o un concordato preventivo. Ciò avviene specialmente se non tutti i creditori aderiscono spontaneamente: si sfrutta allora l’ADR o il concordato per estendere gli effetti ai dissenzienti. La composizione negoziata in pratica fa da “incubatore” del piano, che poi viene trasposto in sede giudiziale per l’omologazione. Un caso particolare molto utile è la transazione fiscale in composizione negoziata: la legge consente, se durante la CNC l’Agenzia Entrate e l’INPS accettano una proposta di trattamento dei loro crediti (stralcio/dilazione), di formalizzare tale accordo e chiederne l’omologa al tribunale senza dover fare un concordato o ADR completo. In sostanza, si ottiene un accordo parziale con il solo Fisco/enti omologato, mentre per gli altri creditori si resta su base privata.
  3. Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: Se le trattative falliscono, ma l’impresa è insolvente, l’imprenditore può – entro 60 giorni dalla chiusura delle trattative con esito negativo – presentare una proposta di concordato semplificato al tribunale . Questo strumento, previsto dall’art. 25-sexies CCII, consente di chiedere l’omologazione di un concordato liquidatorio senza il voto dei creditori . In pratica, se la composizione negoziata non è riuscita a salvare l’azienda ma ha permesso di individuare una soluzione liquidatoria (es: cessione dell’intera azienda a un terzo che paga un certo prezzo da ripartire tra i creditori), il debitore può chiedere al tribunale di approvare questa soluzione e nominare un liquidatore che attui il piano, anche senza l’assenso dei creditori. È una via d’uscita “semplificata” e residuale: va usata solo se non c’è alcuna prospettiva di risanamento e non si può aspettare i tempi di un concordato preventivo ordinario. Approfondiremo meglio questo concordato semplificato più avanti. Qui basti dire che è un’opzione che evita il fallimento e si basa sul lavoro svolto nella CNC.
  4. Insolvenza e fallimento: Se la composizione negoziata fallisce e l’imprenditore non utilizza il concordato semplificato o altre procedure, è probabile che i creditori chiederanno il fallimento (ora liquidazione giudiziale). Anche l’esperto può segnalare al tribunale situazioni di irregolarità o di insolvenza emerse durante le trattative. In tal caso, si passa alla liquidazione giudiziale classica. La CNC dunque non garantisce di per sé di evitare la fine dell’impresa: tutto dipende dai risultati concreti.

Vantaggi della composizione negoziata: Consente di mantenere riservatezza (l’accesso è pubblicato solo sul registro imprese se si chiedono misure protettive, altrimenti può restare confidenziale), evita stigmatizzazione e mantiene l’iniziativa in mano all’imprenditore. Inoltre, permette di accedere a misure di sostegno: ad esempio, sono previste esenzioni da responsabilità per finanziamenti effettuati durante la CNC (i cosiddetti fresh money dati durante le trattative hanno trattamento di prededuzione se poi c’è un fallimento), e l’imprenditore può chiedere al tribunale di sospendere o sciogliersi da contratti onerosi (come locazioni, forniture) con autorizzazione, per alleggerire i costi durante le trattative.

In conclusione, la composizione negoziata è oggi lo strumento di elezione per tentare di salvare imprese in difficoltà senza passare subito per il tribunale. Per la nostra stamperia con debiti, se la situazione non è già compromessa irrimediabilmente, vale sicuramente la pena valutare l’accesso alla CNC con l’ausilio di un professionista, perché potrebbe offrire l’ultima chance di risanamento concordato prima di soluzioni più drastiche.

Le procedure concorsuali: concordati e liquidazioni

Quando le strategie extragiudiziali o la composizione negoziata non bastano, oppure quando la situazione di insolvenza è conclamata, si deve fare ricorso alle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare (oggi Codice della Crisi). Queste procedure coinvolgono il tribunale e comportano regole ben definite per la gestione collettiva dell’insolvenza. Analizzeremo le principali, in particolare focalizzandoci su quelle più rilevanti per una realtà come la stamperia serigrafica: concordato preventivo (nelle sue forme) e liquidazione giudiziale (il “fallimento”), senza dimenticare le procedure “minori” per i debitori non fallibili.

Concordato Preventivo

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale mediante la quale l’imprenditore insolvente (o in stato di crisi) cerca di evitare la liquidazione fallimentare, proponendo ai creditori un piano per soddisfarli, in tutto o in parte, secondo determinate modalità, sotto il controllo e con l’approvazione del tribunale. In sostanza, è un accordo collettivo formalizzato: a differenza degli accordi di ristrutturazione che vincolano solo i consenzienti, il concordato – se approvato dalle maggioranze di legge ed omologato – vincola tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti.

Possiamo distinguere due macro-tipologie di concordato preventivo, come anche il nuovo Codice della Crisi fa:

  • Concordato in continuità aziendale: quando prevede che l’azienda prosegua l’attività, sia pure eventualmente con ristrutturazioni (ad esempio cessione di rami d’azienda, intervento di nuovi soci, ecc.). La continuità può essere diretta (il debitore continua a gestire l’impresa durante e dopo il concordato) oppure indiretta (ad esempio, si affitta o si vende l’azienda a un soggetto terzo che la prosegue, garantendo però occupazione e valorizzazione del patrimonio).
  • Concordato liquidatorio: quando invece l’obiettivo è solo liquidare il patrimonio dell’impresa e distribuire il ricavato ai creditori, cessando l’attività. È simile a un fallimento, ma volontario e concordato appunto.

Il Codice della Crisi ha imposto alcune condizioni più stringenti per il concordato liquidatorio al fine di privilegiare la continuità. In particolare, l’art. 84 CCII stabilisce che un concordato preventivo liquidatorio è ammissibile solo se: 1) assicurà il pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari ; 2) offre un apporto di risorse esterne (nuova finanza o terzi) che aumenti di almeno il 10% l’attivo da liquidare . Questi paletti servono a rendere il concordato liquidatorio meno “comodo” rispetto al fallimento, garantendo un beneficio minimo ai creditori.

Nel concordato in continuità, invece, non c’è una percentuale minima fissa da soddisfare per i chirografari, ma deve risultare che la continuità offre ai creditori una soddisfazione migliore rispetto alla liquidazione alternativa . Questo viene valutato con il cosiddetto test di convenienza.

Procedura in breve:

  • Il debitore presenta un ricorso al tribunale con la proposta, il piano e tutti i documenti (bilanci, elenco creditori, inventario, attestazione di un professionista sulla fattibilità del piano). È possibile anche presentare una domanda di concordato cosiddetta “in bianco” o con riserva, annunciando l’intenzione e depositando il piano completo entro termini fissati dal giudice.
  • Il tribunale, verificati i requisiti di legge (ad esempio, appunto, che nel liquidatorio ci sia almeno il 20% per i chirografari e un piano fattibile ), ammette l’azienda al concordato e nomina un Commissario Giudiziale, che vigila sull’impresa durante la procedura.
  • Dalla data di ammissione, i creditori anteriori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive o cautelari (c’è uno stay simile a quello visto per la composizione negoziata, ma più ampio). I contratti continuano ma il debitore per atti straordinari ha bisogno di autorizzazione.
  • Si forma l’adunanza dei creditori: i creditori vengono informati del contenuto della proposta e hanno la possibilità di votare (oggi spesso il voto avviene in forma scritta o telematica, senza una vera riunione fisica).
  • Approvazione: Il concordato è approvato se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se ci sono classi di creditori, occorre anche la maggioranza delle classi (salvo cram-down del giudice su classi dissenzienti minoritarie). I crediti privilegiati normalmente non votano se sono pagati integralmente, altrimenti votano per la parte degradante.
  • Omologazione: se i creditori approvano, il tribunale fissa udienza e, sentite eventuali opposizioni di creditori dissenzienti o del P.M., emette decreto di omologa (o sentenza se rigetta). Con l’omologazione, il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori.
  • Esecuzione: si passa poi all’esecuzione del piano sotto il controllo del commissario (che diventa liquidatore se è liquidatorio, o supervisore se in continuità). A completamento, il debitore viene liberato dai debiti secondo quanto previsto (se ha pagato il 30% concordato, il resto 70% è definitivamente stralciato, ad esempio).

Applicabilità al nostro caso: Una stamperia serigrafica potrebbe ricorrere al concordato soprattutto in due situazioni: (a) se c’è un piano di rilancio credibile (nuovi investimenti, nuovi contratti) ma serve tagliare una parte dei debiti pregressi e magari cedere qualche cespite: in tal caso si proporrà un concordato in continuità; (b) se non c’è modo di proseguire l’attività profittevolmente, allora un concordato liquidatorio per vendere macchinari, incassare crediti e distribuire ai creditori più di quanto prendrebbero in un fallimento (ad esempio grazie a un apporto esterno dei soci o terzi per raggiungere il 20% minimo ai chirografari).

Vantaggi del concordato: il debitore resta in controllo (non viene estromesso come nel fallimento, almeno fino all’omologa), può cristallizzare la posizione debitoria (blocco interessi sui chirografari, sospensione azioni esecutive), ed è lui a formulare la proposta scegliendo cosa sacrificare e cosa salvare. Svantaggi: è complesso, costoso (si pagano spese di procedura, compenso del commissario, ecc.), e se non ben congegnato i creditori potrebbero bocciarlo, con perdita di tempo e aggravamento del dissesto.

Una menzione particolare merita il Concordato Semplificato per la liquidazione introdotto nel 2021, già anticipato: non c’è voto dei creditori , viene dopo la CNC fallita, e il tribunale omologa se ritiene che quella liquidazione proposta sia equa per i creditori (che possono al più fare opposizione). È uno strumento nuovo, ad oggi non frequentissimo, ma pensato per quelle situazioni dove la CNC ha individuato ad esempio un acquirente dell’azienda e l’unica strada è evitare il fallimento nominando direttamente un liquidatore per distribuire il prezzo ai creditori senza ulteriori indugi. Il Decreto Correttivo Ter del 2024 ha introdotto miglioramenti a questo istituto , ad esempio prevedendo la nomina di un ausiliario (esperto) da parte del tribunale per valutare la proposta prima di omologarla . Il concordato semplificato è comunque riservato ai casi post-CNC ed esclusivamente liquidatorio (non consente continuazione dell’attività oltre il necessario per la vendita) .

Procedure di sovraindebitamento: concordato minore

Per completezza, è opportuno descrivere le procedure concorsuali disponibili se la nostra stamperia fosse un’impresa minore non fallibile (ad esempio, una ditta individuale artigiana molto piccola che non supera i parametri dimensionali). In tal caso, infatti, l’impresa non potrebbe essere ammessa al concordato preventivo ordinario né subire fallimento, ma rientrerebbe nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. Con il Codice della Crisi, queste procedure sono state riordinate principalmente in tre forme:

  • Concordato minore: è l’equivalente per i piccoli imprenditori dell’accordo di ristrutturazione o concordato. Il debitore propone ai creditori un piano di ristrutturazione con eventualmente stralcio dei debiti, e tale piano viene omologato dal tribunale se approvato dalla maggioranza dei crediti chirografari (almeno il 50% secondo le modifiche introdotte nel 2022-2023) . Nel concordato minore non c’è una percentuale minima di legge da garantire ai chirografari (a differenza del 20% del concordato ordinario) , ma ovviamente deve offrire ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile altrimenti. Anche qui si può distinguere un concordato minore in continuità o liquidatorio. È destinato a piccole imprese, start-up, ecc., e segue regole semplificate (ad esempio, il Commissario è l’Organismo di Composizione della Crisi nominato).
  • Piano di ristrutturazione del consumatore: se il titolare dell’azienda è un consumatore (debiti personali non legati all’attività) può accedere a una procedura specifica riservata alle persone fisiche non imprenditori, che omettiamo qui perché non attinente all’azienda in sé.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: è la procedura liquidatoria (ex “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012) per i soggetti che non possono fallire. Può essere richiesta dallo stesso debitore (o talvolta dai creditori o dal P.M. in alcuni casi) per liquidare tutti i beni sotto il controllo di un liquidatore nominato dal giudice. Alla fine della liquidazione controllata, la persona fisica debitrice ottiene l’esdebitazione di tutti i debiti residui non soddisfatti, salvo eccezioni (debiti alimentari, debiti da dolo, ecc.). Per l’esdebitazione non serve neppure aver pagato una quota minima ai chirografari (contrariamente alla vecchia esdebitazione fallimentare che richiedeva il pagamento almeno del 10% ai chirografari, ora abolita).

Se la nostra stamperia fosse ad esempio una ditta individuale artigiana molto piccola, con debiti totali inferiori a €300.000, potremmo ipotizzare di usare un concordato minore per offrire ai creditori, ad esempio, il pagamento del 30% dei loro crediti in 4 anni grazie alla prosecuzione dell’attività e ai nuovi contratti acquisiti. Se i creditori approvano al 50% e il giudice omologa, si evita il fallimento (che comunque non sarebbe applicabile per legge) e si risolve il sovraindebitamento. Se invece non c’è via d’uscita, quella ditta individuale potrebbe ricorrere alla liquidazione controllata: il tribunale nomina un liquidatore che vende i macchinari e le scorte, incassa i crediti attivi della ditta, paga quello che riesce ai creditori e poi il titolare persona fisica viene liberato dai debiti rimanenti (fresh start).

Liquidazione Giudiziale (Fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale che prende il posto del vecchio “fallimento”. È la soluzione finale e più drastica, cui si ricorre quando l’insolvenza è conclamata e non vi sono possibilità concrete di risanamento. Può essere richiesta da uno o più creditori, dallo stesso debitore (in autocritica) o dal Pubblico Ministero in alcuni casi, e viene aperta con sentenza del tribunale.

Effetti principali della liquidazione giudiziale:

  • L’imprenditore perde la disponibilità dei beni aziendali e di quelli personali coinvolti: subentra un Curatore nominato dal tribunale, che ha il compito di gestire e liquidare l’intero patrimonio dell’impresa (e dell’imprenditore, se si tratta di ditta individuale).
  • I creditori non possono più agire individualmente (divieto di azioni esecutive individuali) e devono far valere le proprie pretese insinuandosi al passivo della procedura. Il tribunale stabilisce un termine per presentare le domande di insinuazione.
  • Il curatore stende l’inventario, verifica i crediti, predispone un programma di liquidazione (ad es. vendita in lotto dell’azienda, oppure vendite dei singoli beni all’asta).
  • Si procede poi alla vendita dei beni: macchinari, attrezzature, eventuali immobili, ecc., e al recupero crediti verso clienti, con il ricavato depositato nelle casse della procedura.
  • Periodicamente o al termine, il curatore distribuisce le somme raccolte tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima i creditori prededucibili (spese di procedura, crediti post-sentenza per continuazione di esercizio provvisorio), poi i privilegiati (tra cui lavoratori, Fisco per iva ritenute e contributi nei limiti dei privilegi), poi i chirografari e eventuali subordinati. Di solito i chirografari ricevono solo una percentuale modesta o nulla.
  • Al termine della liquidazione, l’impresa (se societaria) viene cancellata dal registro imprese e cessa di esistere; se il debitore era un imprenditore persona fisica, rimane comunque l’obbligo per i debiti insoddisfatti, a meno che non intervenga l’esdebitazione.

Esdebitazione: Il Codice della Crisi prevede che il debitore persona fisica meritevole possa ottenere l’esdebitazione di diritto al termine della liquidazione giudiziale, liberandosi dai debiti residui non pagati. Anche i soci illimitatamente responsabili di società fallite possono chiedere l’esdebitazione personale. Ciò incoraggia il ricorso ordinato alla procedura, offrendo un “fresh start” all’imprenditore onesto ma sfortunato.

Nella liquidazione giudiziale, la priorità è tutelare l’interesse dei creditori in modo paritario (principio della par condicio): non si cerca di salvare l’impresa, a meno che non convenga per massimizzare il valore (il tribunale può autorizzare l’esercizio provvisorio dell’azienda se la vendita come funzionante renderebbe di più). Ma generalmente, per una piccola stamperia, si procede speditamente alla chiusura e vendita.

Conseguenze per gli amministratori e soci: L’apertura della liquidazione giudiziale comporta per gli amministratori la possibilità di azioni di responsabilità (il curatore li può citare se con atti di mala gestio hanno causato danni ai creditori) e, se emergono illeciti, la segnalazione per i reati fallimentari (bancarotta fraudolenta, preferenziale, documentale, ecc.). I soci di società di persone diventano anch’essi falliti in estensione e rispondono illimitatamente.

La liquidazione giudiziale, dunque, segna la fine della corsa per l’azienda debitrice: l’attività cessa (salvo eccezioni temporanee di esercizio provvisorio), i beni sono alienati, i dipendenti licenziati (ma possono accedere a fondo di garanzia e NASpI), e la società poi muore.

Per l’imprenditore stamperia, il fallimento va evitato se vi è margine, perché comporta di norma una soddisfazione minima dei creditori unita alla perdita dell’attività e possibili strascichi legali. Le vie descritte prima (accordi, piani, concordati) servono proprio ad evitare questo scenario, garantendo magari ai creditori una soddisfazione migliore e conservando i valori aziendali. Tuttavia, se la situazione è compromessa e nessun accordo è stato possibile, allora la liquidazione giudiziale è l’esito obbligato, che – pur doloroso – ha il merito di chiudere la vicenda, distribuendo quel poco che c’è in modo ordinato e permettendo all’imprenditore (se persona fisica) di ripartire poi senza il peso dei debiti grazie all’esdebitazione.

Azioni esecutive dei creditori e difese del debitore

Torniamo ora ad esaminare più da vicino cosa accade quando i creditori, non soddisfatti, intraprendono azioni esecutive individuali contro la stamperia, e quali strumenti ha il debitore per difendersi e tutelare i propri beni in quella sede. Questo aspetto è cruciale soprattutto prima dell’eventuale avvio di una procedura concorsuale o in assenza di essa.

Le principali forme di esecuzione forzata che possono colpire un’azienda debitrice sono:

  • Pignoramento mobiliare diretto presso la sede dell’azienda: un ufficiale giudiziario si reca in stamperia e vincola i beni mobili (macchinari, computer, arredi, merci) per poi venderli all’asta.
  • Pignoramento immobiliare: se l’azienda possiede immobili (es. un capannone di proprietà) o se il titolare ha immobili intestati (in caso di ditta individuale), il creditore può iscrivere pignoramento sull’immobile e chiederne la vendita giudiziaria.
  • Pignoramento presso terzi: il creditore può colpire crediti che il debitore vanta verso soggetti terzi. I casi tipici: conto corrente bancario (si notificano atti alla banca e all’azienda, bloccando le somme sul conto fino a concorrenza del dovuto), crediti verso clienti (si ingiunge a un cliente di non pagare più la stamperia ma di versare le somme al creditore procedente fino a soddisfazione del debito), oppure affitti attivi (se la stamperia affitta un immobile a qualcuno, si pignora il canone).
  • Pignoramento di automezzi: formalmente rientra tra mobili registrati; il creditore può ottenere dal PRA il fermo/pignoramento del veicolo e poi farlo vendere.

Vediamo come il debitore può reagire o quali limiti incontra il creditore:

Limiti legali all’esecuzione: Abbiamo già visto il particolare limite sul pignoramento dei beni strumentali introdotto dall’art. 515 c.p.c. modificato . Questo limite si applica non solo al Fisco ma in generale alle esecuzioni mobiliari presso l’azienda: l’ufficiale giudiziario può pignorare macchinari e attrezzature solo entro 1/5 del loro valore totale, e solo se non trova altri beni non strumentali sufficienti . Ad esempio, se la stamperia ha 5 plotter di stampa digitale di pari valore, solo 1 potrà essere pignorato inizialmente; se ha 100 telai serigrafici, se ne potranno pignorare al massimo 20. Questo per evitare di azzerare l’attività: i restanti 4/5 dei beni essenziali restano al debitore per continuare l’impresa (almeno temporaneamente). Inoltre, come detto, la vendita sarà differita di 300 giorni, forse dando tempo al debitore di trovare soluzioni .

Vi sono anche beni assolutamente impignorabili (art. 514 c.p.c.), come oggetti sacri, animali da affezione, etc., ma questi raramente rilevano per un’azienda. Per un imprenditore individuale, ad esempio, è impignorabile la sua prima casa da parte del Fisco se non di lusso e se vi risiede (salvo ipoteca e pignoramento ammesso sopra certi importi, regola introdotta nel 2013), mentre i creditori privati possono invece ipotecare e pignorare la casa del debitore (non vige per loro il divieto “prima casa” previsto per Equitalia).

Opposizioni alle esecuzioni: Il debitore che subisce un atto esecutivo può presentare due tipi di opposizione in tribunale:

  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): per contestare il diritto del creditore a procedere. Ad esempio, sostenendo che il debito non è dovuto (perché già pagato, o perché manca un titolo esecutivo valido, o perché c’è stata prescrizione). Va proposta tempestivamente, spesso prima che la vendita abbia luogo, e può portare alla sospensione dell’esecuzione se il giudice rileva fumus boni iuris. Questa opposizione si traduce in un giudizio ordinario parallelo in cui il debitore diventa attore che nega il diritto del creditore.
  • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): per denunciare vizi formali o procedurali dell’esecuzione. Ad esempio, un difetto nella notifica del precetto, o l’inosservanza delle forme nel pignoramento. Deve essere proposta entro 20 giorni dall’atto viziato. Serve a far annullare quell’atto ma di solito il creditore può ripeterlo correggendo l’errore.

Queste opposizioni sono strumenti tecnici che l’avvocato del debitore valuta caso per caso. Spesso servono a guadagnare tempo o a spingere il creditore a negoziare (soprattutto se il titolo non è blindato, come un decreto ingiuntivo non opposto, in quel caso c’è poco da fare sul merito).

Conversione del pignoramento: Il debitore esecutato ha una facoltà molto importante: può chiedere la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.). Ciò significa sostituire ai beni pignorati una somma di denaro pari al credito, interessi e spese. In pratica, “riscatta” i propri beni pignorati pagando quanto dovuto. Siccome spesso il debitore in crisi non ha la somma intera subito, la legge consente, su istanza motivata, di ottenere dal giudice di esecuzione la rateizzazione di questa somma fino a 18 mesi . Tipicamente, il debitore deve versare subito una cauzione del 20% del dovuto (un quinto) , e il resto in rate mensili fino a 18. Se paga tutte le rate, il pignoramento viene estinto e i beni liberati; se salta le rate, l’esecuzione riprende da capo. La conversione è ammessa una sola volta e dev’essere chiesta prima che inizi la vendita. Per la nostra stamperia, ad esempio, se un macchinario cruciale viene pignorato per un debito di €50.000, l’imprenditore potrebbe attivarsi per trovare subito €10.000 (magari chiedendo aiuto ai familiari) e chiedere di convertire il pignoramento versando questi €10.000 e pagando poi €40.000 in 18 mesi (circa €2.222 al mese più interessi legali). È un buon strumento per salvare beni fondamentali, purché il debitore riesca a reperire almeno la cauzione e abbia flussi per sostenere le rate.

Assegnazione del bene strumentale al creditore: In alcuni casi, se il bene pignorato è facilmente assegnabile (es. denaro sul conto, o crediti verso clienti), il giudice può direttamente assegnarlo al creditore a soddisfazione del debito, chiudendo la vicenda. Se però riguarda macchinari, di solito si procede a vendita all’asta (il creditore potrebbe eventualmente proporsi di prenderlo in conto prezzo, ma è raro se non per beni di scarso interesse sul mercato).

Strategie difensive: Oltre alle opposizioni legali, c’è la strategia “a monte” di prevenire l’esecuzione: se si sa che un creditore sta per ottenere un titolo esecutivo, cercare un accordo prima che parta il pignoramento può evitare il peso di spese aggiuntive e la perdita di controllo sui beni. Ad esempio, vendere volontariamente un macchinario per pagare il creditore è meglio che farlo vendere all’asta (dove realizza molto meno). Tuttavia, attenzione: vendere beni quando c’è già un credito scaduto importante potrebbe esporsi ad azione revocatoria fallimentare se poi c’è fallimento entro 2 anni, o azione revocatoria ordinaria da parte del creditore se la vendita è fatta per sottrarre il bene alle sue pretese. Bisogna operare sempre in modo trasparente e preferibilmente usare quelle vendite per pagare i creditori stessi, non per portare via il ricavato.

Misure protettive concorsuali: Se si apre una procedura di concordato o di composizione negoziata con misure protettive, come detto, tutte le esecuzioni in corso vengono sospese. Dunque, la scelta di avviare una procedura concorsuale spesso è motivata anche dalla necessità di bloccare i pignoramenti ed evitare la disgregazione disordinata del patrimonio. Ad esempio, depositare una domanda di concordato “in bianco” genera il divieto per i creditori di iniziare o proseguire esecuzioni (dopo la pubblicazione del ricorso). Questo può letteralmente salvare l’impresa dal venir smembrata.

Casi pratici di pignoramenti nella stamperia:

  • Esempio 1: Un fornitore pignora 5 computer e stampanti dell’ufficio per un credito di €5.000. L’ufficiale li pignora ma, essendo beni strumentali, ne trattiene solo 1 su 5 (limite del quinto). Quindi l’attività d’ufficio può continuare con gli altri 4. Il debitore può decidere di pagare quel fornitore a rate con conversione per liberare anche l’ultimo computer, oppure lasciarlo andare all’asta (rischiando però di perdere dati o doverlo ricomprare).
  • Esempio 2: Una banca con mutuo ipotecario impaga avvia pignoramento dell’immobile laboratorio della stamperia. Qui non c’è limite del quinto (vale solo per mobili). Il debitore può solo cercare di vendere privatamente l’immobile prima dell’asta (concordando magari con la banca un prezzo) oppure proporre un concordato per cedere l’immobile ai creditori in soddisfazione. L’asta potrebbe svendere l’immobile a valore inferiore al mercato.
  • Esempio 3: Equitalia (Agenzia Entrate Riscossione) blocca via posta il furgone aziendale (fermo amministrativo) per €10.000 di cartelle. Il furgone è essenziale per consegne. Il debitore può chiedere una rateazione della cartella: ottenuta la prima rate, il fermo viene sospeso, così può continuare ad usare il mezzo. Oppure, se in CNC, può chiedere al giudice la sospensione del fermo come misura cautelare.

In conclusione, la miglior difesa contro i pignoramenti è la prevenzione e la tempestività: affrontare il problema del debito prima che il creditore si muova, oppure usare gli strumenti legali (dilazioni, concordati, conversioni) per mitigare gli effetti di un’esecuzione. Anche durante l’esecuzione, il debitore non è del tutto impotente: può reagire con le opposizioni se vi sono irregolarità o contestazioni fondate, e soprattutto può proporre una conversione con rate, che spesso è accolta favorevolmente dal giudice se il debitore mostra serietà (perché evita la lunga procedura di asta e soddisfa più rapidamente il creditore).

Responsabilità personali di soci e amministratori

Uno degli aspetti più delicati quando un’azienda si indebita e rischia l’insolvenza riguarda le possibili ricadute sul patrimonio personale dei soggetti coinvolti nell’attività, in particolare i soci (o titolare nel caso di impresa individuale) e gli amministratori o gestori. In linea generale, in diritto commerciale vige il principio della separazione patrimoniale per le società di capitali: la società ha personalità giuridica e risponde delle obbligazioni sociali solo con il suo patrimonio; i soci di S.r.l. o S.p.A. hanno responsabilità limitata e non rispondono dei debiti sociali con i loro beni personali . Tuttavia, vi sono importanti eccezioni e casi particolari in cui i creditori dell’azienda possono cercare soddisfazione anche presso soci o amministratori. Vediamoli distintamente.

Forme giuridiche e responsabilità dei soci

Ditta individuale: Se la stamperia è esercitata in forma individuale (impresa artigiana individuale), non c’è distinzione tra patrimonio dell’impresa e quello personale dell’imprenditore. Egli risponde illimitatamente con tutti i suoi beni presenti e futuri dei debiti contratti nell’attività. Pertanto, un creditore può indifferentemente pignorare i conti personali o i beni personali del titolare così come quelli “aziendali”. L’unica protezione in questo caso è eventualmente costituire un fondo patrimoniale (per debiti estranei all’attività familiare) o altri strumenti, ma sostanzialmente il rischio di impresa grava interamente sull’imprenditore.

Società di persone (S.n.c., S.a.s.): Nelle società di persone vige la responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali (art. 2267 c.c. per le s.n.c.), salvo che per i soci accomandanti nelle S.a.s. (che hanno responsabilità limitata alla quota conferita, purché non abbiano ingerito nella gestione). Dunque, in una S.n.c. di due soci stampatori, se la società non paga un fornitore, questi può escutere il patrimonio sociale e, qualora risultasse insufficiente, può aggredire il patrimonio personale di entrambi i soci, per l’intero debito (poi i soci tra loro regoleranno i rapporti interni in base alle quote). Vi è tecnicamente il beneficium excussionis (il creditore deve prima tentare sulla società), ma in pratica se la società è in crisi i soci finiscono per pagare. Inoltre, nella S.n.c. i soci rispondono anche per i debiti fiscali e contributivi senza particolari formalità (l’iscrizione a ruolo può avvenire direttamente a nome loro una volta che la società non paga).

Società di capitali (S.r.l., S.p.A.): Qui in teoria i soci non rispondono personalmente dei debiti sociali. Il loro rischio è limitato al capitale sottoscritto e versato. Dunque, i creditori della società possono rifarsi solo sul patrimonio della società stessa . Questa regola vale però salvo eccezioni specifiche. Le eccezioni principali sono:

  • Fideiussioni e garanzie personali: Molto spesso, i soci (specie se anche amministratori) di piccole S.r.l. firmano garanzie personali a favore di banche o fornitori strategici. In tal caso, la responsabilità limitata è aggirata contrattualmente: se la società non paga quel debito, il socio garante ne risponde con tutti i suoi beni, in base al contratto di fideiussione. Lo stesso vale se il socio ha prestato garanzie reali (es. ipoteca su casa propria a garanzia di un mutuo sociale): il bene personale può essere escusso.
  • Debiti erariali in caso di scioglimento della società: L’art. 36 del DPR 602/1973 prevede che, in via eccezionale al principio della separazione patrimoniale, per i debiti tributari di società di capitali rispondono personalmente: (a) i liquidatori, se durante la liquidazione hanno pagato altri creditori di ordine inferiore rispetto all’Erario o distribuito attivo ai soci prima di aver pagato le imposte dovute; (b) gli amministratori, se, a fronte di una causa di scioglimento, non hanno provveduto a mettere la società in liquidazione tempestivamente oppure, nei due anni precedenti la liquidazione, hanno compiuto operazioni di liquidazione di fatto o occultamento di attivo; (c) i soci, limitatamente a quanto ricevuto nei due anni precedenti la messa in liquidazione (distribuzioni di utili o riserve) e a quanto ricevuto durante la liquidazione stessa dal liquidatore . Questa norma significa, ad esempio, che se la S.r.l. viene chiusa con debiti fiscali non pagati, l’Agenzia Entrate può chiedere ai soci di restituire eventuali somme ritirate dalla società negli ultimi 2 anni pre-liquidazione, e può agire contro amministratori/liquidatore per comportamento negligente. La Cassazione nel 2023-2025 ha chiarito che per escutere i soci la Finanza deve comunque notificare loro un avviso di accertamento autonomo post estinzione società, provando che hanno ricevuto beni in liquidazione (non basta trascinare i soci nel processo originario della società). In sostanza: i soci di S.r.l. non diventano automaticamente debitori per i debiti sociali a fine vita, ma lo diventano nei limiti di quanto incassato dalla società se questa si scioglie insolvente, e solo a seguito di un procedimento ad hoc . Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2025 hanno stabilito chiaramente questo principio a tutela sia del Fisco sia dei soci: prima si accerta il debito della società con eventuale sentenza, poi per riscossione occorre un nuovo atto verso i soci dimostrando l’attivo incassato da loro .
  • Soci illimitatamente responsabili occulti: se una società di capitali è usata per schermare in realtà una organizzazione personale, si potrebbe configurare un caso di abuso di personalità giuridica o di socio occulto che risponde illimitatamente. In Italia la giurisprudenza è restìa a “penetrare il velo societario” (piercing the corporate veil) se non in casi di frode conclamata. Un caso tipico è la società sottocapitalizzata strumentalmente per frodare i creditori: i creditori possono tentare un’azione dicendo che la società era mera fictio e che in realtà il socio operava come ditta individuale (non facile da far valere). Più comune è la responsabilità del socio unico di S.r.l. per i debiti sociali se non ha versato i conferimenti o se ha deciso volontariamente atti pregiudizievoli: ma è responsabilità verso la società, non verso i creditori diretti (i creditori farebbero agire il curatore poi contro il socio).
  • Casi di estensione del fallimento: sotto la vecchia legge, il fallimento di una S.r.l. poteva essere esteso ai soci di fatto o ai soci occulti illimitatamente responsabili. Con il Codice della Crisi, questo tema resta per le società irregolari o di fatto (art. 256 co. 4 CCII prevede che la liquidazione giudiziale dell’imprenditore occulto possa aprirsi anche successivamente). Quindi se una persona fisica utilizzava la società come schermo ma agiva per conto proprio, rischia di vedersi dichiarare anch’essa insolvente.

Riassumendo: per le società di capitali, di regola i creditori non possono toccare i soci . Fanno eccezione principalmente i creditori erariali, come visto, e i casi in cui il socio abbia garantito personalmente. I soci di società di persone, invece, sono intrinsecamente co-obbligati: loro rischiano sempre in proprio.

Responsabilità degli amministratori e degli organi sociali

Gli amministratori di società (o il titolare stesso, se impresa individuale) hanno una serie di doveri di gestione diligente. Se la società accumula debiti e finisce insolvente, ci si chiede spesso: l’amministratore può essere chiamato a pagare quei debiti? La risposta diretta è che l’amministratore non è personalmente obbligato verso i creditori sociali per i debiti contratti in nome della società, a meno che abbia prestato garanzie personali. Tuttavia, può sorgere una responsabilità indiretta: l’amministratore può dover risarcire i danni causati alla società o ai creditori dal suo cattivo management.

Vi sono due tipi principali di azioni di responsabilità:

  • Azione sociale (art. 2393 c.c. per S.p.A., art. 2476 c.c. per S.r.l.): è esercitata dalla società (o dal curatore fallimentare in caso di fallimento) contro gli amministratori per atti che hanno danneggiato il patrimonio sociale. In caso di insolvenza, l’azione è spesso promossa dal curatore nell’interesse di tutti i creditori, e il risarcimento va alla massa. Ad esempio, un amministratore che ha distratto fondi sociali per fini personali o che ha compiuto operazioni imprudenti aggravando il dissesto può essere condannato a risarcire la società di tali perdite. Nel 2025, la Cassazione (ord. n. 23963/2025) ha ribadito che l’amministratore deve agire con la diligenza professionale e senza conflitti d’interesse, e che commette atto illecito se persegue interessi extra-sociali in conflitto con quelli della società, arrecando pregiudizio alla medesima . In quel caso specifico, un fallimento aveva citato l’ex amministratore per avere effettuato pagamenti preferenziali a società estere a lui riconducibili, sviando risorse . La Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso dell’amministratore, confermando la condanna: quindi quell’amministratore dovrà risarcire il danno cagionato alla società (che indirettamente giova ai creditori) . In sintesi: se l’amministratore viola i doveri (diligenza, fedeltà, evitare conflitti) e ciò peggiora la situazione debitoria, potrà essere chiamato a ristorare il patrimonio sociale.
  • Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.): è una particolare azione che spetta ai creditori (o, in caso di fallimento, al curatore ex art. 2394-bis c.c.) quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfarli a causa di inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio da parte degli amministratori. È una forma di responsabilità verso i creditori per aver eroso il patrimonio di garanzia. Tipico esempio: gli amministratori, pur in presenza di gravi perdite che azzerano il capitale, continuano l’attività accumulando ulteriori debiti e diminuendo le chance creditorie – violando l’obbligo di preservare l’integrità del patrimonio sociale. Questa azione mira ad ottenere dagli amministratori il risarcimento del deficit aggiuntivo creato dalla loro inerzia o imperizia.

Al di là di queste azioni civili, l’amministratore può incorrere in sanzioni e obblighi specifici per alcune categorie di debiti:

  • Debiti tributari e contributivi: come già detto, se l’amministratore non adempie all’obbligo di versare IVA o ritenute ed eccede le soglie penali, è lui personalmente a commettere reato e ne risponde penalmente (con possibili riflessi patrimoniali se condannato a risarcimenti o confische). Inoltre, la norma tributaria (art. 36 DPR 602/73) lo rende responsabile in situazioni di mancata messa in liquidazione o occultamento di beni . Una Cassazione tributaria del 2023 (ord. 35497/2023) ha annullato una cartella a carico di un ex amministratore/socio perché l’Erario non aveva notificato un previo atto di accertamento specifico a lui, come richiesto dal comma 5 dell’art. 36 . Il principio è che la responsabilità ex lege dell’amministratore per debiti fiscali della società è eccezionale e va gestita con garanzie: serve un atto formale e la prova delle condizioni (ad es. che non mise in liquidazione la società pur dovendo) .
  • Debiti verso terzi per atti illeciti: se l’amministratore commette atti illeciti durante la gestione che causano danni a terzi, ne risponde personalmente (e anche la società in solido). Esempio: utilizzo di macchinari non a norma causando infortuni – può esservi responsabilità penale e civile personale.

Responsabilità dei liquidatori: Anche i liquidatori sociali hanno obblighi stringenti. Il liquidatore che all’atto di scioglimento di una società distribuisce ai soci beni residuati senza pagare i creditori sociali, ne risponde verso questi ultimi nei limiti di quanto indebitamente distribuito (art. 2495 c.c.). Ciò integra il concetto: i liquidatori devono usare l’attivo per pagare i debiti, prima di dare alcunché ai soci; se non lo fanno, i creditori possono rivalersi sul liquidatore. Nel caso dei debiti fiscali, come visto, l’art. 36 DPR 602 specifica analiticamente questa responsabilità dei liquidatori per aver pagato debiti di rango inferiore o soci prima delle imposte . Quindi un liquidatore di S.r.l. stamperia che chiude l’attività e ripartisce ai soci cassa o beni, lasciando cartelle esattoriali impagate, si vedrà arrivare richieste dell’Erario e avrà scarsa difesa (se non l’eccepire, come da Cassazione SU 2025, che il Fisco non ha provato l’avvenuta distribuzione ai soci in giudizio, ma se c’è prova ne risponde).

Sanzioni penali concorsuali: se la società della stamperia viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), gli amministratori rischiano procedimenti penali per bancarotta. Ad esempio, se prima del fallimento hanno distratto beni della società (bancarotta fraudolenta patrimoniale), o tenuto contabilità irregolare ostacolando la ricostruzione del patrimonio (bancarotta documentale). Anche il semplice aver pagato taluni creditori a discapito di altri a insolvenza già conclamata configura bancarotta preferenziale. Queste responsabilità penali sono personali e possono portare a pene detentive e interdizioni.

Soci amministratori di fatto: a volte i soci (specie di S.r.l. uninominale) coincidono con l’amministratore, o dirigono di fatto la società pur non avendo cariche formali. In tali casi, essi assumono le stesse responsabilità dell’amministratore (un amministratore di fatto risponde come un amministratore di diritto sia civilmente che penalmente).

In sintesi, mentre i soci non gestori di una S.r.l. senza garanzie personali di norma rischiano solo il capitale investito (salvo il caso di distribuzioni indebite di attivo prima di pagare il Fisco, per cui comunque rispondono solo nei limiti di quanto ricevuto ), gli amministratori e liquidatori rischiano molto di più: possono essere chiamati a risarcire per mala gestio e addirittura incorrere in sanzioni penali. È quindi fondamentale, per chi amministra una società in crisi, agire con la massima trasparenza e correttezza: non favorire indebitamente alcuni creditori su altri in estremis, non aggravare l’esposizione oltre ogni speranza (ad esempio continuando ad accumulare debiti fiscali sapendo di essere insolventi), non sottrarre o occultare risorse. Spesso, l’attivazione tempestiva di un concordato o di una composizione negoziata tutela anche gli amministratori, perché mostra che hanno tentato di gestire la crisi in modo istituzionale anziché proseguire in modo scriteriato.

Domande frequenti (FAQ)

D: Qual è la differenza tra uno stato di crisi e uno stato di insolvenza?
R: La crisi d’impresa è una situazione di difficoltà economico-finanziaria che, se non affrontata, può condurre all’insolvenza. Si manifesta con squilibri nei flussi di cassa, ritardi nei pagamenti, ecc., ma l’azienda può ancora avere margini di recupero. L’insolvenza, invece, è lo stato più grave in cui l’impresa non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (ad es. non riesce più a pagare stipendi, fornitori, rate, in modo generalizzato). Giuridicamente, l’insolvenza è presupposto per l’apertura di procedure concorsuali come il fallimento o il concordato; la crisi, invece, attiva strumenti di allerta e composizione assistita per evitare di arrivare all’insolvenza conclamata.

D: Una piccola stamperia artigiana può essere dichiarata fallita?
R: Dipende dalle dimensioni. In base alla normativa pre-2022, le imprese “sotto soglia” (fatturato inferiore a ~€200.000, attivo < ~€300.000 e debiti < ~€500.000) non erano assoggettabili a fallimento. Con il Codice della Crisi, la distinzione è ora tra imprenditori collettivi o commerciali (fallibili) e debitori minori (sovraindebitati). Se la sua stamperia è svolta in forma di S.r.l. o impresa commerciale e ha superato in passato certe soglie dimensionali, potrà subire la liquidazione giudiziale (nuovo fallimento). Se invece è un’impresa molto piccola (es. ditta individuale con pochi addetti) che rientra tra i debitori non fallibili, in caso di insolvenza potrà accedere alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata) ma un creditore non potrebbe chiederne il fallimento . In pratica, le piccolissime imprese artigiane sono tutelate dal fallimento e hanno procedure ad hoc più semplificate.

D: Cosa rischio se non verso l’IVA o le ritenute fiscali dei dipendenti?
R: Il mancato versamento di IVA e ritenute può comportare sanzioni gravissime. Dal punto di vista amministrativo, l’Agenzia Entrate ti addebiterà l’imposta dovuta più interessi e sanzioni (che possono arrivare al 30% o più dell’importo). Dal punto di vista penale, esistono reati specifici: l’omesso versamento IVA oltre €250.000 annui è reato (punito con reclusione fino a 6 anni), l’omesso versamento di ritenute certificate oltre €150.000 è anch’esso reato (fino a 3 anni). Anche l’omesso versamento dei contributi INPS trattenuti ai dipendenti oltre €10.000 annui è attualmente reato, punito con la reclusione fino a 3 anni . Quindi, rischi personalmente un procedimento penale, con tutte le conseguenze. Inoltre, sul piano civilistico, l’Agenzia Entrate-Riscossione potrà procedere a fermo di beni, pignoramenti ecc. La cosa migliore, se ti trovi nell’impossibilità di versare IVA o ritenute, è cercare immediatamente una rateizzazione col Fisco o valutare un percorso concorsuale: ignorare il problema aggrava solo la posizione (non c’è automatica esdebitazione per questi debiti, e le soglie penali sono piuttosto basse).

D: I macchinari della mia stamperia possono essere pignorati dai creditori? Posso evitarlo in qualche modo?
R: Sì, i macchinari e le attrezzature possono essere pignorati, ma con alcuni limiti. La legge prevede che i beni strumentali indispensabili per l’attività d’impresa siano pignorabili solo entro il limite di 1/5 del loro valore e solo se non ci sono altri beni aggredibili . Quindi, nel peggiore dei casi, ti potrebbero sottrarre una parte delle attrezzature (ad esempio, uno su cinque macchinari uguali). Inoltre, l’asta dei beni strumentali pignorati non può avvenire prima di 300 giorni , dandoti un certo margine temporale. Per evitare il pignoramento, la via migliore è attivarsi prima: negoziare col creditore, proporre un piano di rientro o un pagamento parziale. Se il pignoramento è già partito, hai la possibilità di chiedere al giudice la conversione del pignoramento offrendo una somma a garanzia (di solito il 20% del debito) e dilazionando il resto fino a 18 mesi . Così riottieni i macchinari pagando il debito a rate. Infine, se accedi a una composizione negoziata o presenti un concordato con misure protettive, ottieni un blocco legale dei pignoramenti in corso. In sintesi: sì, i macchinari sono a rischio, ma esistono tutele e strumenti per limitarne la perdita e, se possibile, recuperarli pagando gradualmente.

D: Un creditore ha ottenuto un decreto ingiuntivo contro la mia azienda. Cosa succede ora e come posso reagire?
R: Un decreto ingiuntivo è un ordine del giudice di pagare una certa somma. Se ti è stato notificato, hai generalmente 40 giorni di tempo per presentare opposizione (contestando il credito, se hai motivi validi). Se non fai opposizione entro 40 giorni, il decreto diventa definitivo ed esecutivo, il che significa che il creditore potrà procedere con esecuzioni forzate (pignoramenti) senza ulteriori avvisi. Se presenti opposizione, si apre un normale giudizio civile per accertare il credito: nel frattempo il giudice può concedere o meno la provvisoria esecutorietà del decreto. Se hai contestazioni fondate (ad es. la merce consegnata era difettosa, o il conteggio è errato), è importante proporre opposizione e presentare le tue prove; altrimenti, opporsi solo per prendere tempo potrebbe farti caricare di spese legali ulteriori. Una volta esecutivo il decreto, il creditore ti notificherà un atto di precetto (ti intima di pagare entro 10 giorni) e poi potrà procedere col pignoramento dei beni aziendali o dei conti. In pratica: se ricevi un decreto ingiuntivo, valuta immediatamente con un legale se ci sono basi per un’opposizione. In ogni caso, può essere opportuno contattare il creditore anche in questa fase per tentare un accordo di pagamento ed evitare l’esecuzione. Tieni presente che dopo l’ingiunzione il creditore è in posizione di forza (ha già un titolo); ciò non toglie che potrebbe accettare, ad esempio, un pagamento parziale immediato per non aspettare l’esito dell’esecuzione.

D: Cos’è il DURC e perché il mio DURC irregolare mi blocca l’attività?
R: Il DURC è il Documento Unico di Regolarità Contributiva. Attesta che sei in regola con i versamenti previdenziali e assicurativi (INPS, INAIL, Cassa Edile se applicabile). Un DURC irregolare significa che hai debiti contributivi non sanati. Il DURC è richiesto per poter partecipare ad appalti pubblici, ottenere pagamenti da Pubbliche Amministrazioni, e in molti settori anche per lavori privati (edilizia, forniture continuative, ecc.). Se la tua stamperia lavora per enti pubblici o aziende strutturate, un DURC irregolare comporta che possono sospendere i pagamenti a tuo favore e segnalare l’irregolarità. Inoltre, non potrai accedere a certi benefici (es. sgravi contributivi). Quindi “ti blocca” perché in assenza di DURC molti contratti vengono preclusi. Per ottenere di nuovo un DURC regolare devi saldare o almeno dilazionare i debiti con INPS e INAIL. Ad esempio, se attivi una rateizzazione per i contributi arretrati e paghi le prime rate, l’INPS ti rilascia un DURC regolare in corso di validità (a condizione che tu rispetti poi tutte le rate). Finché rimani inadempiente senza piano, il DURC resterà negativo. Dunque, se il DURC è critico per il tuo business, devi assolutamente prevedere nel piano di ristrutturazione il ripianamento di quei contributi (o il loro trattamento in concordato), altrimenti resti tagliato fuori da commesse importanti.

D: La composizione negoziata mi protegge davvero dai creditori mentre tratto?
R: Sì, a condizione di richiedere e ottenere le misure protettive dal tribunale. Quando presenti l’istanza di composizione negoziata, puoi chiedere che vengano sospese le azioni esecutive e cautelari dei creditori (e anche che non possano acquisire titoli di prelazione come ipoteche giudiziali) durante il periodo delle trattative . Il tribunale concede queste misure se valuta che l’impresa le merita (non deve essere già irreversibilmente insolvente e la domanda non deve essere palesemente dilatoria). Se concesse, vengono pubblicate nel registro delle imprese e tutti i creditori ne sono informati: da quel momento, e per la durata fissata (in genere 4 mesi rinnovabili fino a 12 max), nessuno può iniziare pignoramenti o altri atti esecutivi, quelli pendenti restano congelati, e anche i termini di prescrizione sono sospesi. Attenzione: le misure protettive non impediscono ai creditori di presentare istanza di fallimento, ma il tribunale può sospendere anche quella su istanza motivata. Inoltre, i creditori possono chiedere la revoca delle misure se emergono abusi da parte tua. In pratica però, con le misure protettive hai un ombrello temporaneo per negoziare con più serenità. Se non chiedi le misure protettive, la composizione negoziata resta “riservata” ma i creditori possono comunque agire: starà a te convincerli di non farlo perché stai negoziando. Dunque, nella maggior parte dei casi, conviene richiedere la protezione giudiziale per avere un blocco effettivo delle azioni dei creditori durante la CNC.

D: Posso salvare l’azienda senza chiudere, anche se ho molti debiti?
R: Sì, è possibile attraverso un percorso di ristrutturazione in continuità. Strumenti come il concordato in continuità aziendale o un accordo di ristrutturazione ben congegnato servono proprio a questo: l’azienda continua a operare, magari con un piano di rilancio, e i debiti vengono ristrutturati (parte dilazionati, parte stralciati) con l’accordo dei creditori . La legge oggi favorisce molto la continuità, perché preservare l’attività crea più valore (mantieni clienti, avviamento, posti di lavoro) rispetto alla liquidazione pura . Chiaramente, per salvare l’azienda serve avere un piano credibile: ad esempio, taglio dei costi inutili, concentrazione sul prodotto più redditizio, nuovi soci o finanziatori, ecc., in modo da generare nel futuro ricavi e utili sufficienti almeno a sostenere l’impresa ridotta dai debiti. Se il piano è realistico, i creditori spesso preferiscono accettare una continuità (perché magari ricevono il 40-50% in 5 anni anziché il 10% subito in caso di fallimento). Puoi anche prevedere la vendita dell’azienda a un concorrente o investitore che ne prosegua l’attività: in tal caso parliamo di continuità indiretta, ma comunque l’azienda “vive” sotto altra guida. Quindi sì, con strumenti adeguati (CNC, concordato) e con l’appoggio di professionisti, hai buone chance di evitare di chiudere e invece risanare. I debiti residui che non riuscirai a pagare verranno stralciati all’esito del concordato omologato, permettendoti di ripartire più leggero.

D: Cosa succede ai miei beni personali se la società fallisce?
R: Se parliamo di una S.r.l. o S.p.A., il fallimento (liquidazione giudiziale) riguarda solo la società, non i soci personalmente. I tuoi beni personali, in linea di principio, sono al sicuro dai creditori sociali . Ci sono però eccezioni: se avevi fatto da fideiussore per debiti della società, il creditore (es. banca) potrebbe escutere te come garante, indipendentemente dal fallimento. Inoltre, in caso di società cancellata con debiti tributari, l’Erario potrebbe cercare di colpire i soci entro i limiti delle somme ricevute in liquidazione , ma solo dopo un apposito accertamento. Altro caso: se la tua società è una società di persone, allora anche tu come socio sei dichiarato fallito in estensione e i tuoi beni entrano nella procedura (illimitatamente). Ma restando al caso S.r.l., il tuo patrimonio personale non viene coinvolto di per sé. Una volta chiusa la procedura, se la società non paga tutti i debiti, quei creditori insoddisfatti non possono pretendere il resto da te, rimarranno con un credito inesigibile perché la società sarà estinta. Tieni comunque presente che, se sei anche amministratore, potresti subire azioni di responsabilità separate (il curatore potrebbe citarti per mala gestione). E se hai commesso irregolarità, potresti avere conseguenze penali (bancarotta). Ma queste sono responsabilità per risarcimento o pena, non che i creditori possono attaccare direttamente casa tua per i debiti sociali ordinari. Quindi, come socio di S.r.l. puro, la regola della responsabilità limitata ti protegge .

D: I soci di una S.r.l. devono pagare i debiti della società se questa fallisce o chiude?
R: Normalmente no, i soci di una S.r.l. non sono tenuti a pagare i debiti sociali (ciascun creditore non può chiederlo a loro). Faranno eccezione casi particolari: ad esempio, se la S.r.l. viene cancellata dal Registro Imprese con debiti fiscali pendenti, l’Agenzia Entrate potrebbe tentare di rivalersi sui soci, ma solo fino a concorrenza di quanto i soci hanno incassato in sede di liquidazione . La Cassazione a Sezioni Unite nel 2025 ha stabilito che in tal caso il Fisco deve anche notificare ai soci un nuovo avviso di accertamento per accertare quella responsabilità e provare che hanno ricevuto utili o beni . Se i soci non hanno ricevuto nulla, non rispondono dei debiti . Per gli altri creditori privati, in assenza di garanzie personali, i soci non pagano nulla: il creditore che rimane insoddisfatto non può legalmente passare a chiedere il dovuto ai soci. Quindi il patrimonio personale dei soci rimane separato. Diverso è se parliamo di soci di S.n.c. o accomandatari di S.a.s.: quelli sì, sono obbligati solidalmente e, se la società non paga o fallisce, i creditori potranno agire contro di loro (e tipicamente vengono dichiarati falliti anche i soci). Ma in una S.r.l. tipica, i soci non devono saldare i debiti sociali. Bisogna però guardare caso per caso: se un socio ha firmato una fideiussione, quella è una promessa di pagamento personale e il creditore potrà escuterla a prescindere dal fallimento. In sintesi, per una S.r.l. i soci non pagano i debiti, tranne nei limiti di distribuzioni ricevute prima della chiusura (sul fronte fiscale) o per impegni di garanzia assunti personalmente.

Tabelle riepilogative

Di seguito presentiamo alcune tabelle che riassumono i punti chiave trattati, per una consultazione rapida.

Tabella 1 – Tipologie di debiti aziendali e possibili soluzioni

Categoria di debitoEsempi e caratteristicheConseguenze se inadempimentoStrumenti di difesa/soluzione
Debiti tributari (Erario)IVA, imposte dirette (IRES/IRPEF), IRAP, ritenute fiscali.<br>Ente creditore: Agenzia Entrate / Riscossione (cartelle).– Sanzioni e interessi elevati.<br>- Cartelle esattoriali, fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili.<br>- Pignoramenti mobiliari e presso terzi senza bisogno di giudice.<br>- Rischio reati tributari (omessi versamenti sopra soglie).– Rateizzazione fino a 72-120 rate presso Agenzia Riscossione.<br>- Definizioni agevolate (rottamazione cartelle) se disponibili.<br>- Transazione fiscale in concordato/accordo (possibile stralcio) .<br>- Composizione negoziata con misure protettive (stop azioni) e accordi ad hoc.
Debiti verso INPS/INAIL (previdenziali)Contributi dipendenti e autonomi, premi infortuni.<br>Enti: INPS, INAIL (ruoli a Riscossione).– Sanzioni civili (interessi e more fino al 60%).<br>- Blocco DURC (niente appalti/commesse pubbliche).<br>- Cartelle esattoriali, fermi, ipoteche, pignoramenti (come debiti fiscali).<br>- Reato se omesso versamento ritenute > €10.000/anno .– Dilazione contributiva con INPS (fino a 24-36 mesi, prorogabile).<br>- Eventuali esoneri o moratorie normative (es. in crisi di settore).<br>- Transazione contributiva in concordato/accordo (stralcio/dilazione contributi) .<br>- Pagamento prioritario in concordato (privilegio per di evitare contestazioni).
Debiti bancari/finanziariMutui, leasing, scoperti conto, finanziamenti vari.<br>Creditori: banche, factor, società leasing.– Revoca fidi e crediti immediatamente esigibili.<br>- Segnalazione a Centrale Rischi (difficoltà ottenere altro credito).<br>- Escussione garanzie personali (fideiussioni dei soci) o reali (ipoteche su beni personali o aziendali).<br>- Decreti ingiuntivi veloci e pignoramenti (anche su conti correnti aziendali).– Moratorie bancarie (es. accordi ABI per PMI) o negoziazioni private di allungamento piani di rientro.<br>- Piano attestato di risanamento con adesione banche (evita revocatorie) .<br>- Accordo di ristrutturazione con banche (60% consensi vincola tutte, possibili stralci interessi) .<br>- Concordato preventivo (riduzione del debito chirografo, rispetto privilegi ipotecari con possibili dilazioni).
Debiti verso fornitori (commerciali)Fatture per materie prime, forniture varie non pagate.<br>Creditori: fornitori, subfornitori, artigiani terzisti.– Interessi moratori (D.Lgs 231/2002) molto alti oltre il termine di pagamento.<br>- Fornitura sospesa (blocco materiali) con impatto su produzione.<br>- Azioni legali: decreti ingiuntivi, pignoramenti mobiliari o su crediti (es. presso clienti dell’azienda).– Accordi di dilazione o saldo a stralcio individuali (promessa di pagare percentuale subito).<br>- Emissione di cambiali o effetti per consolidare il debito e dilazionarlo (formalizza impegno).<br>- Concordato preventivo o concordato minore: falcidia dei debiti chirografari (fornitori concorrono come chirografari, spesso ricevono una percentuale).<br>- Composizione negoziata: coinvolgimento fornitore in trattativa assistita dall’esperto (magari fornitori strategici accettano attesa in vista di continuità rapporti).
Debiti verso dipendentiStipendi non pagati, TFR maturato, ferie non godute, ecc.<br>Creditori: lavoratori dell’azienda.– Azioni immediate al giudice lavoro (ingiunzioni con clausola provvisoria esecutorietà).<br>- Dimissioni per giusta causa dei dipendenti (perdita forza lavoro qualificata).<br>- Privilegio sui beni mobili e immobili: in fallimento vengono pagati prima di altri crediti (entro certi limiti).<br>- Intervento del Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità (in caso di insolvenza conclamata).– Negoziazione interna: concordare con i dipendenti una tempistica di pagamento arretrati (se c’è fiducia reciproca).<br>- Utilizzo ammortizzatori sociali (CIG) per evitare accumulo di nuovi debiti retributivi.<br>- Concordato preventivo: pagamento integrale dei crediti lavoro privilegiati (di solito sì, salvo eccedenze oltre massimali di privilegio) e continuità aziendale con mantenimento posti di lavoro.<br>- Liquidazione fallimentare: lavoratori soddisfatti tramite privilegio e Fondo di Garanzia (ultima spiaggia, non esattamente “difesa” ma tutela dei lavoratori).

Tabella 2 – Confronto sintetico tra strumenti di gestione della crisi d’impresa

StrumentoNaturaChi può accedereCome funzionaVincoli e maggioranzeVantaggiNorme di riferimento
Composizione Negoziata (CNC)Stragiudiziale assistita (volontaria).Ogni imprenditore commerciale o agricolo in squilibrio (anche sotto-soglia).Nomina di esperto indipendente che facilita trattative con creditori. Possibili misure protettive (stay). Durata 3-6 mesi. Esito: accordo stragiudiziale o accesso a procedure.Nessun voto formale dei creditori (accordi volontari). Esperto vigila su correttezza. Misure protettive concesse da tribunale su richiesta.Riservatezza iniziale; blocco azioni esecutive su concessione; grande flessibilità nelle soluzioni (accordi ad hoc). Può prevenire il fallimento e portare a concordato semplificato se fallisce .D.L. 118/2021 conv. L.147/2021; artt. 12-25 CCII .
Piano Attestato di RisanamentoStragiudiziale puro.Imprese di qualsiasi dimensione in crisi reversibile.Piano industriale-finanziario di risanamento asseverato da esperto indipendente. Accordi privatistici con creditori strategici.Nessuna omologazione; serve consenso individuale dei creditori coinvolti. Non vincola dissenzienti.Atti esecutivi del piano non revocabili in fallimento ; nessuna pubblicità o intervento del tribunale; rapidità.Art. 56 CCII (già art. 67 LF).
Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ARD)Contratto omologato (concorsuale negoziato).Imprese (anche insolventi) con creditori disposti a negoziare (tipicamente medio-grandi).Accordo con creditori >= 60% debiti su modalità pagamento (stralci/dilazioni). Attestazione esperto su fattibilità e miglior soddisfazione rispetto a fallimento. Omologa dal tribunale, con estensione effetti ai non aderenti.Consenso di almeno 60% crediti totali (50% in alcuni casi agevolati). Possibile cram-down su Fisco/INPS se maggioranza raggiunta senza di loro . Creditori estranei vanno pagati per intero entro 120 gg (o 180 se privilegiati).Procedura più snella del concordato (niente voto di tutti i creditori, solo adesione qualificata). Maggiore libertà nel trattamento differenziato dei creditori consenzienti . Vincola anche dissenzienti minoritari dopo omologa.Artt. 57-64 CCII (ex art. 182-bis LF).
Concordato Preventivo in ContinuitàProcedura concorsuale giudiziale.Imprese insolventi o in crisi irreversibile ma con possibilità di rilancio (diretto o tramite terzi).Debitore propone un piano per proseguire attività (direttamente o vendendo/affittando azienda) e pagare creditori col ricavato dell’attività futura. Commissario giudiziale nominato. Creditori votano. Se approvato da maggioranza e omologato, piano vincolante.Nessuna percentuale minima ai chirografari per legge, ma devono ricevere almeno quanto avrebbero in liquidazione (test convenienza) e piano deve essere fattibile. Serve >50% crediti voto favorevole (per classi maggioranza classi).Consente di salvare l’azienda e mantenere i rapporti commerciali e i posti di lavoro . Debiti ristrutturati e stralciati con il consenso dei creditori. Protetto da azioni esecutive durante procedura.Artt. 84-94 CCII (continuità).
Concordato Preventivo LiquidatorioProcedura concorsuale giudiziale.Imprese insolventi senza possibilità di continuità (si punta a liquidare beni).Debitore propone di cedere o liquidare tutto il patrimonio e distribuire il ricavato ai creditori. Possibile apporto di terzi per migliorare soddisfazione. Creditori votano; se maggioranza e omologa, si esegue liquidazione sotto controllo del liquidatore nominato.Dev’essere garantito almeno il 20% ai creditori chirografari , e un apporto esterno >=10% dell’attivo liquidabile (per evitare concordati “piatti” come fallimenti). Voto: >50% crediti ammessi.Più ordinato e rapido di un fallimento, con minori costi. Creditori hanno voce in capitolo (voto) e in genere recuperano qualcosina in più (grazie ad apporto terzi). Debitore evita le interdizioni personali tipiche del fallimento.Artt. 84-94 CCII (liquidatorio).
Concordato Semplificato (post-CNC)Procedura concorsuale giudiziale speciale (liquidatoria).Imprese che hanno tentato composizione negoziata senza successo, e sono insolventi.Entro 60 gg dalla relazione finale negativa dell’esperto CNC, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’omologazione di un concordato liquidatorio senza voto dei creditori. Il tribunale nomina un ausiliario e valuta il piano; se equo e conveniente per i creditori, omologa nonostante l’eventuale opposizione dei creditori. Un liquidatore giudiziale realizza il piano (vendita beni, pagamento creditori secondo piano).Riservato a chi ha svolto correttamente la CNC (condizione di accesso). Nessun voto dei creditori: possono solo fare opposizione all’omologa. Tribunale valuta che il piano non li pregiudichi oltremodo rispetto al fallimento.Rapidissimo: evita tutta la fase di voto e convocazioni. Permette di sfruttare accordi o offerte raccolte durante la CNC (es. un acquirente per l’azienda) senza bisogno del consenso formale dei creditori . Debitore esce in tempi brevi e generalmente evita il fallimento classico.Art. 25-sexies CCII (introdotto da DL 118/2021). Vigente con modifiche dal 2022/2024.
Concordato Minore (sovraindebitamento)Procedura concorsuale giudiziale semplificata.Debitori non fallibili (piccole imprese sotto soglia, professionisti, enti non commerciali), in stato di insolvenza o sovraindebitamento. Non accessibile ai consumatori (che hanno il “piano del consumatore”).Simile al concordato preventivo: debitore propone un piano (in continuità o liquidatorio) per soddisfare i creditori, anche in parte, con eventuali stralci. Viene nominato un OCC (Organismo di Composizione Crisi) che aiuta e funge da commissario. I creditori votano (solo chirografari e privilegiati degradati). Se maggioranza (oltre 50% crediti chirografari) approva, e il tribunale omologa verificati i requisiti, il piano vincola tutti.Non è previsto dalla legge un minimo di pagamento ai chirografari (diversamente dal concordato maggiore col 20%) , ma il piano deve assicurare che i creditori ottengano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione controllata. Maggioranza richiesta: 50% dei crediti chirografari votanti (salvo differenti classi).Offre una via d’uscita ordinata per piccole imprese altrimenti non fallibili: si possono stralciare debiti senza dover avere il 20%. Procedura meno costosa e più snella. Consente esdebitazione finale una volta eseguito.Artt. 74-83 CCII (concordato minore). Sostituisce accordo composizione L.3/2012.
Liquidazione Giudiziale (Fallimento)Procedura concorsuale liquidatoria giudiziale.Imprenditori commerciali insolventi (non soggetti esonerati). Non si applica a imprenditori minori sotto soglia (per loro c’è liquidazione controllata).Su istanza di creditore/debitore/PM, tribunale dichiara aperta la liquidazione (sentenza). Nomina un Curatore che prende in mano l’azienda, ne cessa o continua provvisoriamente l’attività, liquida tutti i beni (vendite all’asta, realizzo crediti). I creditori presentano domanda di insinuazione e vengono soddisfatti secondo prelazioni con il ricavato. La società poi viene cancellata.Nessun consenso del debitore; procedura d’ufficio. Creditori non votano su nulla (solo fanno osservazioni sul programma di liquidazione). Tempi medi 5-7 anni per chiudere.Garantisce parità trattamento creditori (salvo privilegi). Libera l’imprenditore onesto dai debiti residui tramite esdebitazione a fine procedura. Per i creditori, il vantaggio è che un curatore professionale massimizza l’attivo e controlla eventuali azioni di responsabilità vs amministratori o revocatorie per recuperare beni indebitamente alienati prima.Artt. 121-270 CCII (era RD 267/42).
Liquidazione Controllata (sovraindebitamento)Procedura concorsuale liquidatoria giudiziale semplificata.Debitori non fallibili insolventi (es. piccolo imprenditore artigiano, consumatore, start-up innovativa non fallibile, ecc.). Avviabile su istanza del debitore (o di creditori/P.M. in taluni casi eccezionali).Tribunale nomina un Liquidatore (di regola l’OCC) che raccoglie e vende i beni del debitore. I creditori vengono informati e possono insediarsi nel passivo. Realizzato l’attivo, il Liquidatore ripartisce secondo legge (privilegi, ecc.). Procedura semplificata e più agile del fallimento (meno formalità).Non richiede consensi particolari. Il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti restanti a fine procedura, anche se non ha pagato nulla ai chirografari (previa verifica della meritevolezza).Semplice, poco onerosa, consente di chiudere le posizioni debitorie di piccoli imprenditori dando loro un fresh start. Durante la liquidazione controllata valgono le stesse protezioni del fallimento (sospensione azioni, stop interessi chirografari, ecc.).Artt. 268-277 CCII (ex L.3/2012 liquidazione del patrimonio).

Tabella 3 – Responsabilità patrimoniale di soci, imprenditori e amministratori

Soggetto / forma giuridicaResponsabilità verso i debiti d’impresaNote normative e casi particolari
Imprenditore individualeIllimitata: risponde con tutti i suoi beni personali presenti e futuri dei debiti dell’azienda.Non c’è distinzione tra patrimonio personale e d’impresa. Può fallire personalmente se insolvente. Eventuali beni destinati a uso familiare possono essere parzialmente tutelati (es. fondo patrimoniale, ma solo per debiti non connessi all’attività).
Società in nome collettivo (S.n.c.)Illimitata e solidale per tutti i soci (anche dopo lo scioglimento). Il creditore può chiedere l’intero importo a uno qualsiasi dei soci.I soci possono beneficiare del beneficio di escussione: il creditore deve escutere prima la società e poi i soci, ma se il patrimonio sociale è insufficiente, i soci rispondono col proprio. I soci di S.n.c. falliscono in estensione insieme alla società.
Società in accomandita (S.a.s.)Accomandatari: illimitatamente e solidalmente responsabili (come soci di S.n.c.).<br>- Accomandanti: responsabili solo fino al capitale conferito (limitata), purché non abbiano ingerito nella gestione (se lo fanno perdono la limitazione).Soci accomandatari falliscono con la società; accomandanti no (tranne che per debiti verso terzi se hanno agito da amministratori di fatto). Se un accomandante partecipa a gestione, assume responsabilità da accomandatario.
Società a responsabilità limitata (S.r.l.) / S.p.A.In generale limitata al patrimonio sociale: i soci non rispondono con i propri beni dei debiti della società . Perdono al massimo il capitale investito (quote/azioni).Eccezioni:<ul><li>Garanzie personali: se il socio ha firmato fideiussioni o avalli per debiti sociali, ne risponde contrattualmente senza limitazione (es: socio garante di un mutuo sociale).</li><li>Distribuzione di attivo post scioglimento: i soci possono essere tenuti a restituire quanto ricevuto in liquidazione se necessario a pagare creditori rimasti insoddisfatti (fino concorrenza di quanto ricevuto). Azionabile ex art. 2495 c.c. per crediti civili e art. 36 DPR 602/73 per debiti fiscali . La Cassazione (SS.UU. 2025) ha chiarito che serve avviso di accertamento a soci e prova di somme percepite .</li><li>Soci unici o di fatto: in caso di abuso della forma societaria o confusione patrimoni, il socio potrebbe essere considerato responsabile (teoria “schermo societario” – applicata raramente e in casi di frode). </li></ul>
Amministratore di S.r.l./S.p.A.Non è obbligato in via principale a pagare i debiti sociali. Tuttavia, può essere tenuto a risarcire danni al patrimonio sociale o ai creditori causati da mala gestione.<ul><li>Azione di responsabilità sociale (art. 2476 c.c. Srl, 2393 c.c. Spa): l’amministratore risponde verso la società per violazione dei doveri (diligenza, fedeltà). In insolvenza, il curatore agisce per il danno arrecato (es: distrazioni, operazioni in conflitto di interessi) .</li><li>Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.): se per inadempimento degli obblighi di conservazione del patrimonio l’attivo risulta insufficiente a pagare i creditori, l’amministratore deve risarcire il deficit causato. Tipico per ritardata richiesta di fallimento o gestione imprudente che aggrava debiti.</li><li>Responsabilità tributaria: ex art. 36 DPR 602/73, amministratori rispondono personalmente dei debiti tributari societari se, in presenza di causa di scioglimento, non hanno attivato la liquidazione o hanno occultato attività nei 2 anni precedenti . (Riconosciuta natura eccezionale e subordinata a specifiche condizioni e procedura .)</li><li>Sanzioni penali: amministratori possono incorrere in reati fallimentari (bancarotta) se compiono atti distrattivi o preferenziali; o reati tributari per omessi versamenti oltre soglia e frodi; o reati societari (es. false comunicazioni sociali). Tali responsabilità penali sono personali e possono comportare obbligo di risarcimento e sanzioni accessorie.</li><li>Patrimonio personale aggredibile?: solo attraverso le azioni legali sopra (o se l’amministratore ha garantito personalmente un debito). I creditori non possono bypassare la società e chiedere direttamente a lui il pagamento del debito sociale, salvo abbiano titolo (es. una sentenza di risarcimento danni contro di lui).</li></ul>
Liquidatore di societàDeve pagare i debiti sociali con l’attivo prima di distribuire ai soci. Se viola tale obbligo, risponde verso i creditori insoddisfatti nei limiti di quanto indebitamente distribuito ai soci.Art. 2495 c.c.: creditori sociali insoddisfatti possono agire contro il liquidatore se ha ripartito beni ai soci senza soddisfarli. Inoltre, per il Fisco: liquidatore risponde di imposte non pagate se ha preferito altri creditori di ordine inferiore o soci (art. 36 DPR 602/73) . Anche qui, per esigere dai soci e liquidatore l’Agenzia deve provare l’assegnazione ai soci e il pagamento di creditori postergati .
Socio dopo la chiusura della società (estinta)Non più responsabile dei nuovi debiti (la società estinta cessa). Ma per i debiti pregressi non soddisfatti, i creditori possono agire entro limiti sul patrimonio dei soci.Soci di società estinta rispondono solo pro quota di quanto riscosso in liquidazione (art. 2495 c.c.). In campo fiscale, le SS.UU. 2025 han chiarito che prima va accertato il debito societario in giudizio verso i soci, poi serve nuovo atto verso soci provando le somme ricevute . Se il socio non ha ricevuto nulla, non paga nulla .

Conclusioni

Abbiamo percorso l’intero ventaglio di strumenti e tutele a disposizione di una stamperia serigrafica alle prese con debiti pesanti. Da un lato, vi sono mezzi negoziali e stragiudiziali che, se attivati per tempo, possono evitare il tracollo: la rinegoziazione con i creditori, il piano di risanamento attestato, e soprattutto la composizione negoziata introdotta di recente, che consente di congelare le azioni esecutive e cercare un accordo assistito. Dall’altro lato, quando la situazione è compromessa, il ricorso a procedure concorsuali (concordati, accordi omologati, liquidazioni giudiziali) permette di gestire la crisi in maniera ordinata e secondo legge, con possibili sacrifici imposti anche ai creditori ma sotto controllo giudiziario.

Un concetto chiave emerso è la tempestività: il debitore che si attiva prontamente – ancor prima che l’insolvenza diventi conclamata – ha molte più opzioni e probabilità di salvare l’attività (o quantomeno limitare i danni) rispetto a chi subisce passivamente l’aggressione dei creditori. Gli amministratori, in particolare, hanno il dovere legale di fiutare la crisi e reagire, pena responsabilità anche personali.

Dal punto di vista pratico, una stamperia in difficoltà dovrebbe:

  • Mappare i debiti per tipo, entità e scadenze, individuando i creditori strategici (es. la banca principale, il fornitore essenziale, il Fisco) e valutare con chi è prioritario trattare.
  • Stilare un piano di risanamento credibile, anche semplificato, per capire se la crisi è superabile (magari ridimensionando l’attività, cercando nuovi soci finanziatori o vendendo beni non indispensabili).
  • Coinvolgere professionisti esperti in crisi d’impresa: un dottore commercialista per i numeri e un avvocato per la parte legale. Questo team potrà consigliare se restare su un piano stragiudiziale (es. piano attestato) o passare a composizione negoziata/concordato.
  • Comunicare con trasparenza ai creditori chiave, mostrando la volontà di trovare soluzioni. Spesso la fiducia e la credibilità (supportata magari da un attestatore indipendente) fanno la differenza nel convincere i creditori ad aderire a un accordo invece di procedere individualmente.
  • Proteggere il patrimonio aziendale essenziale: ad esempio, evitando di esporre a rischi i macchinari fondamentali – se c’è pericolo di pignoramento, muoversi per tempo con conversioni o misure protettive da concordato. Allo stesso tempo, evitare di compiere atti di distrazione o pagamenti preferenziali “disperati” che poi potrebbero ritorcersi contro come revocatori o responsabilità personali.
  • Valutare l’impatto personale: se la società è di persone o hai dato garanzie personali, pianificare la difesa del patrimonio personale diventa parte integrante della strategia (magari prevedendo accordi transattivi che liberino le fideiussioni, o in casi estremi considerando procedure di sovraindebitamento personali).

In conclusione, “cosa fare e come difendersi” quando una stamperia serigrafica è indebitata dipende dallo stadio e dalla gravità della crisi. Ma il filo conduttore è uno: non rimanere inerti. Il quadro normativo italiano, aggiornato al 2025, offre molti strumenti, più flessibili e moderni che in passato, per gestire la crisi da protagonisti anziché subirla. Certo, nessuno strumento è bacchetta magica: richiedono preparazione, consulenza professionale, e spesso implicano dei sacrifici (rinunce, cessioni, dilazioni). Tuttavia, con un uso sapiente di questi meccanismi – e imparando dagli orientamenti della giurisprudenza più recente sulle responsabilità – è possibile nella maggior parte dei casi o salvare l’impresa (se c’è un core business sano) oppure, se ciò non è fattibile, chiudere in modo ordinato limitando i danni e garantendosi un nuovo inizio libero dai debiti residui.

Nota finale: Questa guida ha adottato un linguaggio volutamente accessibile pur trattando argomenti complessi e “da addetti ai lavori”. Si raccomanda di approfondire con le fonti normative e giurisprudenziali citate (riportate qui di seguito) e, soprattutto, di farsi assistere da professionisti qualificati prima di intraprendere qualunque azione. Ogni situazione presenta sfumature particolari e i rischi legali connessi a una crisi d’impresa sono elevati: muoversi con prudenza e cognizione di causa è di per sé la miglior difesa.

Hai una stamperia serigrafica o un laboratorio di stampa su tessuti o materiali che sta affrontando debiti fiscali, bancari o contributivi? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai una stamperia serigrafica o un laboratorio di stampa su tessuti o materiali che sta affrontando debiti fiscali, bancari o contributivi?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento, o temi pignoramenti e blocchi dei conti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione?

👉 Prima regola: non aspettare.
Nel settore serigrafico, dove i margini sono ridotti e la concorrenza è alta, un debito non gestito può rapidamente portare a crisi di liquidità o addirittura alla chiusura dell’attività.
Con una strategia legale e finanziaria mirata, puoi bloccare le azioni esecutive, ridurre l’esposizione debitoria e salvare la tua impresa.


⚖️ Le cause più comuni di indebitamento nelle stamperie serigrafiche

  • Calo delle commesse e riduzione dei margini per la concorrenza online.
  • Aumento dei costi di energia, inchiostri e materiali di stampa.
  • Ritardi nei pagamenti dei clienti o nei flussi di incasso.
  • Gestione fiscale non aggiornata o acconti non versati.
  • Eccessivo ricorso al credito o leasing per macchinari e attrezzature.
  • Accumulo di cartelle esattoriali per IVA, IRPEF o contributi non pagati.

📌 I rischi per una stamperia con debiti

  • Cartelle esattoriali e intimazioni di pagamento;
  • Pignoramenti su conti correnti o beni aziendali;
  • Fermi amministrativi sui mezzi e sulle attrezzature;
  • Iscrizione di ipoteche sull’immobile o sul laboratorio;
  • Perdita di affidabilità bancaria e creditizia;
  • Rischio di liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza prolungata.

🔍 Cosa fare subito

  1. Analizza la situazione debitoria: distingui i debiti fiscali, contributivi e bancari.
  2. Verifica la validità delle cartelle o delle intimazioni: molti atti contengono errori o vizi di notifica.
  3. Blocca le azioni esecutive presentando istanze di sospensione o ricorsi tributari.
  4. Richiedi una rateizzazione sostenibile con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
  5. Consulta un avvocato tributarista esperto in crisi d’impresa, per valutare le opzioni legali e di ristrutturazione.

🧾 Strumenti utili per difendersi e ripartire

💠 Rateizzazione dei debiti fiscali

Puoi ottenere una rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo pignoramenti e blocchi.

💠 Definizione agevolata (“rottamazione”)

Se prevista dalla legge, consente di estinguere i debiti senza sanzioni e interessi, pagando solo il capitale dovuto.

💠 Istanza di autotutela o ricorso tributario

Permette di annullare cartelle prescritte o viziate, o contestare somme non dovute.

💠 Composizione negoziata della crisi

Ti consente di negoziare con Fisco e creditori un piano di ristrutturazione e salvare l’impresa, bloccando le azioni esecutive.

💠 Piano di risanamento aziendale

Con l’assistenza legale puoi ristrutturare i debiti, ottenere sospensioni e riduzioni, e mantenere l’attività operativa.


🛠️ Strategie di difesa per una stamperia indebitata

  • Analizzare ogni atto fiscale o bancario per verificare prescrizioni o vizi.
  • Contestare pignoramenti, ipoteche o fermi non legittimi.
  • Dimostrare la temporanea crisi di liquidità per accedere a piani di rateizzazione.
  • Negoziare accordi di rientro sostenibili con il Fisco e i fornitori.
  • Proteggere i beni aziendali e personali da aggressioni dei creditori.
  • Attivare un piano di ristrutturazione aziendale per tornare operativi.

⚖️ Perché agire subito è essenziale

Nel settore della stampa serigrafica, un pignoramento di macchinari o conti può fermare la produzione in un giorno.
Agire subito consente di:

  • Bloccare azioni esecutive e salvare la produzione;
  • Evitare interessi e sanzioni crescenti;
  • Rinegoziare le posizioni debitorie con Fisco e banche;
  • Difendere la reputazione e la clientela;
  • Tutelare la continuità aziendale e i posti di lavoro.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la situazione debitoria e la documentazione ricevuta.
  • 📌 Valuta la legittimità delle cartelle e delle azioni esecutive.
  • ✍️ Predispone piani di rateizzazione, ricorsi e strategie di risanamento aziendale.
  • ⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e alla Corte di Giustizia Tributaria.
  • 🔁 Offre consulenza completa su gestione fiscale, contabile e tutela patrimoniale per prevenire nuovi debiti.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
  • ✔️ Specializzato nella difesa di stamperie, serigrafie e imprese artigiane con debiti fiscali o bancari.
  • ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Una stamperia serigrafica con debiti può risollevarsi, ma è essenziale agire in tempo.
Con una difesa legale e fiscale mirata, puoi bloccare pignoramenti e cartelle, ristrutturare i debiti e tutelare la continuità produttiva della tua azienda.
Agire subito significa difendere il tuo lavoro, i tuoi dipendenti e la tua reputazione professionale.


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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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