Azienda Bonifiche Amianto Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai un’azienda di bonifiche amianto con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Il settore delle bonifiche ambientali e del trattamento dell’amianto è tra i più controllati, sia per i profili ambientali e di sicurezza, sia per gli aspetti fiscali e contributivi.
Molte imprese specializzate si trovano oggi in difficoltà a causa di ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione, aumento dei costi operativi e investimenti in tecnologie di sicurezza, con conseguente accumulo di debiti fiscali, cartelle esattoriali o accertamenti legati ai bonus ambientali.
Con una difesa legale e tributaria mirata, è possibile bloccare la riscossione, rateizzare i debiti e tutelare la continuità dell’attività, evitando conseguenze economiche e patrimoniali gravi.

Quando un’azienda di bonifiche amianto rischia per debiti o accertamenti fiscali
I problemi più frequenti si presentano quando:

  • arrivano cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRES, IRAP o contributi non versati;
  • l’Agenzia delle Entrate contesta spese per bonifiche o smaltimento ritenute non documentate o non inerenti;
  • si ricevono accertamenti fiscali o ambientali legati all’utilizzo di crediti d’imposta o agevolazioni ecologiche;
  • vengono pignorati conti correnti o beni aziendali, compromettendo la gestione dei cantieri;
  • si accumulano debiti con fornitori o con enti pubblici, a causa dei lunghi tempi di pagamento;
  • le sanzioni e gli interessi fanno lievitare rapidamente il debito originario.

Cosa fare se la tua azienda di bonifiche ha debiti o è sotto accertamento

  1. Intervieni subito: ogni atto fiscale (cartella, accertamento, intimazione) ha un termine di 60 giorni per essere contestato o rateizzato.
  2. Verifica la regolarità degli atti ricevuti: molti accertamenti contengono errori di notifica o di calcolo, che consentono di ottenerne l’annullamento.
  3. Controlla l’importo effettivo del debito: spesso la cifra richiesta include interessi e sanzioni sproporzionate, che possono essere ridotte.
  4. Richiedi una rateizzazione: è possibile ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le azioni di riscossione.
  5. Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se disponibile, consente di pagare solo le imposte dovute, eliminando sanzioni e interessi.
  6. Impugna gli accertamenti illegittimi: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, puoi bloccare la riscossione e chiedere l’annullamento dell’atto.

Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nel settore ambientale e delle bonifiche può analizzare la situazione e individuare la strategia più efficace per ridurre o annullare le pretese del Fisco.
Le principali azioni di difesa includono:

  • contestare vizi di forma, errori di calcolo o notifiche irregolari;
  • richiedere la sospensione immediata delle azioni di riscossione;
  • impugnare accertamenti su costi ambientali o crediti d’imposta ritenuti illegittimi;
  • negoziare piani di rateizzazione o transazioni fiscali sostenibili;
  • tutelare macchinari, automezzi, immobili e impianti di bonifica da pignoramenti o sequestri;
  • pianificare una ristrutturazione del debito aziendale, per evitare l’insolvenza e mantenere l’operatività.

Il ruolo dell’avvocato nella difesa dell’azienda di bonifiche

  • Analizza la legittimità di accertamenti e cartelle esattoriali.
  • Impugna tempestivamente pignoramenti e ipoteche.
  • Negozia rateizzazioni e accordi fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
  • Difende l’azienda nel contraddittorio con l’Ufficio e nel contenzioso tributario.
  • Protegge impianti, mezzi e beni strumentali da azioni esecutive.
  • Tutela la continuità dei cantieri e la reputazione aziendale.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

  • La sospensione immediata delle azioni di riscossione.
  • L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi.
  • La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute.
  • La protezione del patrimonio aziendale e familiare.
  • La stabilizzazione della posizione fiscale e finanziaria dell’impresa.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti o fermi dei mezzi di cantiere, paralizzando l’attività e mettendo in pericolo i contratti pubblici e privati.
Molte situazioni, tuttavia, sono risolvibili o riducibili, se affrontate con tempestività e con il supporto di un avvocato tributarista esperto in diritto ambientale e fiscale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa fiscale delle imprese ambientali e di bonifica – spiega cosa fare se la tua azienda di bonifiche amianto ha debiti o è sotto accertamento, come bloccare le azioni di riscossione e come ricostruire la stabilità economica e fiscale della tua impresa.

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Introduzione

Le imprese specializzate nelle bonifiche da amianto operano in un settore delicato, sia per gli alti costi operativi sia per i rigorosi obblighi normativi in materia di sicurezza e ambiente. Può accadere che un’azienda di bonifica amianto accumuli debiti significativi – ad esempio verso il Fisco, gli enti previdenziali, le banche, i fornitori o persino legati a obblighi ambientali – mettendo a rischio la sua continuità operativa. In uno scenario di crisi finanziaria di questo tipo, è fondamentale sapere cosa fare e come difendersi, adottando le giuste strategie legali per tutelare l’impresa e i suoi amministratori.

Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – offre un’analisi approfondita degli strumenti giuridici disponibili in Italia per gestire una situazione di sovraindebitamento aziendale, con particolare riguardo alle imprese che operano nelle bonifiche da amianto. Dalla gestione stragiudiziale dei debiti (rinegoziazioni, piani di rientro, rateizzazioni con il Fisco) alle tutele in sede giudiziale (opposizioni a cartelle esattoriali, difese nei contenziosi civili), fino alle procedure concorsuali e di ristrutturazione (come la composizione negoziata, il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani attestati di risanamento). Verranno analizzati anche casi pratici e domande frequenti, adottando un linguaggio tecnico-giuridico ma con taglio divulgativo, utile sia ai professionisti del diritto sia a imprenditori e privati coinvolti. Il punto di vista è quello del debitore: l’obiettivo è illustrare come l’impresa indebitata possa difendersi dalle azioni dei creditori e cercare di risanare la propria situazione, evitando – ove possibile – soluzioni drastiche come il fallimento (oggi liquidazione giudiziale).

Si prenderanno in esame tutte le tipologie di debiti che tipicamente gravano su un’azienda di bonifica amianto (debiti fiscali, contributivi, bancari, verso fornitori, ambientali, ecc.) e come questi vanno gestiti. Saranno inoltre evidenziate le differenze legate alla forma giuridica dell’impresa (ad esempio se l’attività è svolta tramite una S.r.l. rispetto a una ditta individuale o un consorzio) poiché da ciò dipende l’estensione della responsabilità patrimoniale. Infine, la guida include tabelle riepilogative, FAQ (Domande & Risposte) su dubbi comuni e riferimenti a norme e sentenze aggiornate (riportati in nota e raccolti in fondo al testo).

Esempio introduttivo: immaginiamo una S.r.l. specializzata in bonifiche di amianto, che a causa di ritardi nei pagamenti dei clienti e investimenti onerosi, si trova con debiti tributari per IVA e ritenute non versate, contributi previdenziali arretrati verso l’INPS, esposizioni bancarie su affidamenti e mutui, fatture insolute verso i fornitori di attrezzature specialistiche, e magari una sanzione amministrativa per irregolarità nello smaltimento di rifiuti contenenti amianto. I creditori iniziano a farsi avanti: arrivano cartelle esattoriali dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, decreti ingiuntivi dei fornitori, e la banca minaccia di escutere le fideiussioni personali prestate dai soci. In più, il Comune ha emesso un’ordinanza urgente intimando la bonifica di un sito dove l’azienda aveva effettuato lavori, con costi elevati. Di fronte a questa situazione, quali sono le opzioni e le strategie di difesa a disposizione dell’imprenditore? La guida risponderà a questa domanda, esaminando passo passo cosa fare in ciascuna area di criticità e come difendersi legalmente per salvaguardare l’attività e il patrimonio del debitore.

Tipologie di debiti e relativi rischi per l’azienda

Una corretta analisi parte dall’individuare i diversi tipi di debito che un’azienda di bonifiche amianto può aver accumulato. Ciascuna categoria di debito è regolata da normative specifiche e comporta differenti rischi e conseguenze legali. Di seguito esaminiamo le principali tipologie (fiscali, previdenziali, bancari, commerciali, ambientali), evidenziando per ognuna cosa succede in caso di inadempimento e quali strumenti esistono per gestirle o contestarle.

Debiti tributari (Erario)

I debiti fiscali verso l’Erario includono imposte non pagate quali IVA, ritenute operate sui dipendenti e collaboratori (ritenute d’acconto), imposte sui redditi (IRES/IRPEF), IRAP, oltre a eventuali accertamenti dell’Agenzia delle Entrate per anni pregressi. Per un’azienda di bonifica amianto, l’IVA può essere particolarmente rilevante (ad esempio sull’acquisto di materiali e servizi) e le ritenute fiscali vanno versate regolarmente se ci sono dipendenti.

Conseguenze dell’omesso pagamento: l’amministrazione finanziaria attiva un procedimento di riscossione che tipicamente sfocia nell’emissione di una cartella esattoriale (cartella di pagamento) da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. La cartella è un atto esecutivo che intima il pagamento entro 60 giorni, trascorsi i quali – in difetto di pagamento o di accordi – il debito viene iscritto a ruolo e il concessionario può procedere con azioni esecutive (pignoramenti, fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili aziendali o personali se il debitore è una ditta individuale). Inoltre maturano sanzioni amministrative e interessi moratori. Le sanzioni tributarie per omesso versamento possono arrivare al 30% dell’importo non versato, anche se spesso sono oggetto di definizioni agevolate. In casi gravi (es. omesso versamento IVA oltre soglie di legge) possono sorgere profili penali: l’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 punisce il mancato versamento IVA superiore a una certa soglia annua (attualmente €250.000) con sanzioni penali. Analogamente, l’omesso versamento di ritenute certificate sopra €150.000 annui (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) è reato. Questi aspetti penali esulano dalla gestione del debito in sé, ma evidenziano l’urgenza di affrontare i debiti fiscali per evitare ulteriori guai.

Strumenti di difesa e gestione: in fase iniziale (prima che il debito diventi definitivo) l’azienda può valutare di contestare gli accertamenti fiscali se ritenuti errati, presentando ricorso innanzi alla giustizia tributaria entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Una volta emessa la cartella esattoriale, è possibile chiedere una rateizzazione al concessionario: attualmente, l’Agenzia Entrate-Riscossione concede piani ordinari fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a €120.000, e piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) per importi superiori, in presenza di temporanea difficoltà di pagamento. Recenti riforme hanno ampliato queste possibilità: dal 2025 è stata prevista la possibilità di dilazioni eccezionali fino a 144 mesi (12 anni) per debiti fiscali e contributivi all’interno di un piano di composizione della crisi . Inoltre, negli ultimi anni il legislatore ha introdotto varie definizioni agevolate (es. la “rottamazione” delle cartelle) che consentono di estinguere i debiti iscritti a ruolo pagando il solo importo capitale e interessi ridotti, con stralcio di sanzioni e interessi di mora. Ad esempio, la “Rottamazione-quater” (prevista dalla L. 197/2022) ha permesso di definire i carichi fino al 30/6/2022 senza sanzioni né interessi di mora, con pagamento rateale fino al 2027. È importante informarsi se sono vigenti misure simili al momento in cui si affronta la crisi.

Se il debito tributario è troppo elevato per essere pagato integralmente, l’ordinamento prevede strumenti di composizione con il Fisco nell’ambito di procedure di risanamento: la transazione fiscale (disciplinata dall’art. 182-ter Legge Fallimentare e ora dagli artt. 63 e 88 del Codice della Crisi) consente di proporre il pagamento parziale dei debiti tributari in sede di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, ottenendo l’assenso dell’Agenzia delle Entrate. Dal 2021 è anche possibile che tale falcidia sia omologata dal tribunale anche senza il voto favorevole del Fisco (cosiddetto cram down fiscale, introdotto con d.l. 125/2020 conv. L.159/2020): la Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.8504/2021 ha confermato la legittimità dell’omologazione forzata della transazione fiscale, se il trattamento proposto al Fisco è conveniente rispetto alla liquidazione . Inoltre, una novità del terzo correttivo al Codice della Crisi (D.Lgs. 136/2024) è l’introduzione della transazione fiscale anche nella composizione negoziata: dal 28 settembre 2024, un’impresa che accede alla composizione negoziata può concludere un accordo con le Agenzie fiscali per la riduzione e dilazione dei debiti tributari, con l’autorizzazione del tribunale . Ciò colma una lacuna della normativa originaria, offrendo un ulteriore strumento di sollievo sul fronte fiscale anche prima di entrare in una procedura concorsuale formale.

Riepilogo – Debiti tributari: il prospetto seguente riassume i principali elementi da considerare.

Debiti FiscaliRischi se insoluti (post notifica)Strumenti di difesa/gestione
IVA, ritenute, IRES, IRAP– Cartella esattoriale; pignoramenti su conti, beni aziendali<br>– Sanzioni 30% su omessi versamenti; interessi di mora<br>– Possibili ipoteche su immobili, fermi su automezzi<br>– Se > soglie: rischio sanzioni penali (omesso versamento)– Ricorso in Commissione Tributaria contro avvisi (entro 60gg)<br>– Rateizzazione con Agenzia Riscossione (fino 72/120 mesi, estensibile a 144 mesi in piani di crisi )<br>– Definizioni agevolate (rottamazioni) se previste<br>– Transazione fiscale in concordato/accordo (possibile cram-down) <br>– Dal 2024, accordo fiscale anche in composizione negoziata

Debiti previdenziali (INPS, INAIL)

Le aziende con dipendenti devono versare regolarmente contributi previdenziali e premi assicurativi (INPS e INAIL). Nel settore bonifiche amianto, spesso vi sono operai specializzati esposti a rischi, quindi i contributi INPS (pensione, disoccupazione) e i premi INAIL (assicurazione infortuni) sono obbligatori e calcolati sulle retribuzioni. I debiti previdenziali sorgono in caso di omesso o insufficiente versamento di tali somme.

Conseguenze dell’omissione: l’INPS e l’INAIL agiscono tramite avvisi di addebito e ingiunzioni. In particolare, l’INPS notifica un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo per i contributi non pagati, che viene poi affidato all’Agenzia Entrate-Riscossione per la riscossione coattiva (similmente alle cartelle fiscali). Trascorsi i termini, si attivano pignoramenti e misure cautelari analoghe a quelle fiscali. Inoltre, la mancata regolarità contributiva comporta il rilascio di un DURC irregolare (Documento Unico di Regolarità Contributiva): ciò può precludere la partecipazione a gare d’appalto pubbliche e l’ottenimento di incentivi o pagamenti da pubbliche amministrazioni. Per un’azienda di bonifica amianto – che spesso opera tramite appalti pubblici o convenzioni – avere un DURC negativo è estremamente penalizzante, in quanto potrebbe causare la sospensione dei lavori o il mancato pagamento delle fatture da parte del committente pubblico (che è tenuto a verificare la regolarità contributiva dell’appaltatore).

Dal punto di vista sanzionatorio, vi sono sanzioni civili per omesso versamento contributivo (aggiuntive rispetto all’importo dovuto, con tassi di mora anche elevati). In più, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali trattenute ai dipendenti oltre una soglia (attualmente circa €10.000 annui) integra il reato di omesso versamento di contributi (art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983), sanzionato penalmente. Ciò significa che se l’azienda trattiene dalla busta paga del lavoratore la quota di contributi a carico di quest’ultimo ma non la versa all’INPS, l’amministratore rischia una denuncia penale (salvo che sani il versamento entro termini di legge). Anche questo profilo rende prioritario rimediare ai debiti contributivi.

Strumenti di difesa/gestione: è possibile presentare opposizione in sede giudiziaria contro gli avvisi di addebito INPS se si ritiene che il debito non sia dovuto (ad esempio per prescrizione, errore di calcolo, ecc.). La competenza in materia di contributi è del Tribunale in funzione di giudice del lavoro (essendo crediti previdenziali). Tuttavia, le possibilità di contestazione sul merito sono spesso limitate ai casi di errore: più frequentemente il focus è sulla rateizzazione. L’INPS consente piani di rateazione del debito contributivo in via amministrativa: tipicamente fino a 24 rate mensili (2 anni) per importi ordinari, estendibili fino a 36 o 60 rate in casi eccezionali e previo ok del Ministero. Anche l’INAIL e le Casse edili concedono dilazioni sui premi dovuti. Inoltre, nell’ambito delle procedure concorsuali minori (composizione della crisi), è ammessa la transazione contributiva parallela a quella fiscale, per stralciare parte dei contributi dovuti (nei limiti consentiti) previo assenso dell’ente oppure tramite cram-down giudiziale. Le ultime riforme hanno esteso la possibilità di includere i debiti previdenziali nei piani di ristrutturazione con dilazioni straordinarie fino a 12 anni , analogamente a quanto visto per il Fisco.

Un altro aspetto importante è mantenere – ove possibile – un DURC regolare tramite piani di rientro: se l’impresa ha un debito ma ha ottenuto una rateizzazione e sta rispettando i pagamenti, la normativa consente il rilascio di un DURC positivo in presenza di rateizzazione in corso. Pertanto, negoziare subito un piano con INPS/INAIL non solo evita azioni esecutive, ma anche tutela l’operatività dell’azienda (consentendole di partecipare a bandi e incassare pagamenti pubblici, purché rispetti le rate concordate).

In sintesi, i debiti previdenziali vanno affrontati subito tramite richiesta di dilazione o inseriti in un più ampio piano di risanamento. Si ricordi che i dipendenti vantano un privilegio generale sui beni mobili dell’azienda per salari e contributi, quindi in caso di concorsuale saranno creditori privilegiati.

Debiti bancari e finanziari

Molte aziende di bonifica amianto ricorrono a finanziamenti bancari per sostenere gli investimenti iniziali (acquisto di attrezzature, mezzi, dispositivi di protezione) o per anticipare i costi dei lavori (spesso pagati a stato avanzamento). Tra le esposizioni comuni vi sono: mutui per capannoni o macchinari, leasing su mezzi speciali, affidamenti in conto corrente (fidi bancari per liquidità), anticipi fatture (sconto di crediti verso committenti) e finanziamenti agevolati. Inoltre, non di rado i soci dell’azienda forniscono garanzie personali (fideiussioni) a favore delle banche per ottenere credito, specie se l’impresa è di piccole dimensioni.

Conseguenze del default bancario: se l’azienda non riesce a rispettare le rate di mutui o leasing, o va “fuori fido” sul conto corrente, la banca può revocare gli affidamenti e chiedere il rientro immediato di tutte le somme. Questo spesso innesca la “decadenza dal beneficio del termine” su mutui e prestiti: l’intero capitale residuo diventa esigibile in una volta. La banca può quindi avviare un’azione legale (spesso ottenendo un decreto ingiuntivo, essendo il credito fondato su documenti sottoscritti) e successivamente procedere con il pignoramento dei beni dell’azienda. Se erano state concesse garanzie reali, queste verranno escusse: ad esempio, in presenza di ipoteca su un immobile aziendale, si potrà promuovere un’esecuzione immobiliare; con un leasing, la società di leasing riprende possesso del bene e chiede i canoni residui come danno; con un pegno su beni mobili, si procede alla vendita di tali beni. Ancora più critico, se i soci o l’imprenditore hanno firmato fideiussioni, la banca agirà anche sul loro patrimonio personale (conti correnti personali, immobili dei garanti, ecc.), estendendo così la crisi dall’ambito societario a quello familiare.

Sul piano del rating creditizio, il mancato rimborso viene segnalato nelle banche dati (Centrale Rischi Bankitalia per esposizioni rilevanti, CRIF per quelle minori), pregiudicando l’accesso a nuovo credito. Ciò può bloccare l’attività: un’azienda in crisi di liquidità che perde fidi e viene “segnalata a sofferenza” in Centrale Rischi difficilmente troverà altre banche disposte a finanziarla.

Strumenti di difesa/gestione: innanzitutto è fondamentale mantenere un dialogo con le banche prima che la situazione degeneri: in alcuni casi è possibile ottenere una moratoria o rinegoziazione del debito bancario. Ad esempio, durante la pandemia da Covid-19 furono introdotte moratorie straordinarie; al di fuori di quelle, l’ABI ha protocolli per la sospensione delle rate per PMI in difficoltà temporanea. Si può chiedere alla banca di rimodulare il piano di ammortamento (allungando la durata per ridurre la rata) o di consolidare l’esposizione a breve termine in un finanziamento a medio termine. Chiaramente, la banca valuterà il merito creditizio e spesso chiederà garanzie aggiuntive (ad esempio un aumento di capitale dei soci, garanzie pubbliche come il Fondo di Garanzia PMI se attivabile, o ipoteche su beni personali).

Se la banca ha già avviato un’azione legale (es. decreto ingiuntivo), l’azienda può verificare se esistono motivi di opposizione (vizi formali nel contratto, tassi usurari o anatocismo, indebita applicazione di interessi o commissioni non pattuite). Queste contestazioni, se fondate, possono quantomeno guadagnare tempo o portare a una transazione più favorevole. Tuttavia, nella maggior parte dei casi il debito bancario è certo e documentato, dunque l’opposizione è un’opzione solo in presenza di reali anomalie.

Un altro approccio è quello di includere i debiti bancari in un piano di ristrutturazione più ampio: ad esempio, tramite un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.57 CCII o un concordato preventivo, l’imprenditore può proporre alle banche un pagamento parziale o dilazionato. Le banche tipicamente sono creditori privilegiati se vi sono garanzie reali; in un concordato, i crediti garantiti da ipoteca/pegno devono essere pagati almeno in misura pari al valore del bene (salvo diverso accordo). Spesso conviene trattare con la banca fuori dal tribunale, ad esempio attraverso un piano attestato di risanamento (dove magari la banca accetta di non agire esecutivamente e di attendere il piano di rilancio) o tramite la composizione negoziata con l’ausilio di un esperto della crisi, in cui si cerca un accordo standstill.

Va ricordato che un eventuale fallimento (liquidazione giudiziale) dell’azienda non azzera i debiti bancari garantiti: il curatore cercherà di pagare le banche vendendo i beni ipotecati, e se resta insoluto una parte, la banca rimane creditrice chirografaria (e se c’è un fideiussore, si rifarà su di lui). Pertanto, anche dal punto di vista della banca può esserci convenienza a soluzioni concordate che assicurino un recupero maggiore rispetto alla liquidazione forzosa. Nella pratica, una banca sarà disponibile a negoziare se intravede un piano credibile di risanamento; viceversa, se l’impresa appare decotta, preferirà agire subito per non perdere ulteriormente capienza.

Debiti verso fornitori e altri creditori non privilegiati

I debiti commerciali verso fornitori di beni e servizi sono un’altra categoria frequente. Nel campo delle bonifiche ambientali, i fornitori potrebbero essere: ditte subappaltatrici (per opere edili di ripristino, ad esempio), fornitori di dispositivi di protezione individuale e materiali di consumo (tute, maschere, sacchi per rifiuti speciali), laboratori di analisi (per le analisi dell’aria e dei campioni di materiale), aziende di smaltimento rifiuti (che accettano l’amianto rimosso in discarica), consulenti tecnici e medici del lavoro, etc. Se l’azienda non paga le fatture a queste controparti, rischia sia azioni legali sia il blocco delle forniture, con impatto diretto sulla continuità operativa.

Conseguenze dell’inadempimento verso fornitori: a differenza del Fisco o delle banche, i fornitori non hanno privilegi o titoli esecutivi immediati, ma possono agire tramite il procedimento civile ordinario. Spesso, il fornitore ricorre a un decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c.: presentando le fatture non pagate e i documenti di trasporto/contratti, ottiene dal giudice un’ingiunzione di pagamento esecutiva in 40 giorni. Trascorso tale termine senza opposizione o pagamento, il decreto diventa definitivo e il creditore può notificare un atto di precetto e poi iniziare pignoramenti (ad esempio pignoramento del conto corrente aziendale, dei crediti verso terzi – come i crediti che l’impresa di bonifiche vanta verso i suoi clienti – o di beni mobili e immobili aziendali). Anche qui, se i soci avessero garantito personalmente un contratto (capita ad esempio nelle forniture continuative, dove può essere richiesta una garanzia), il fornitore può escutere direttamente il garante.

Le forniture potrebbero essere sospese: molti contratti prevedono il pagamento a 60-90 giorni, quindi se l’impresa è cronicamente in ritardo, il fornitore può rifiutare ulteriori consegne o prestazioni finché non salda gli arretrati. Ciò può paralizzare i cantieri di bonifica: ad esempio, l’impossibilità di conferire in discarica l’amianto rimosso perché l’azienda di smaltimento ha bloccato i ritiri per insoluto, impedirebbe di proseguire i lavori (la normativa vieta di stoccare amianto rimosso senza smaltirlo prontamente).

Strumenti di difesa/gestione: la parola chiave in questi casi è negoziazione. È spesso nell’interesse reciproco di debitore e fornitore trovare un accordo di rientro, piuttosto che affrontare una causa lunga e magari incassare poco (specie se c’è il rischio di fallimento del debitore). L’azienda può proporre un piano di pagamento dilazionato o un saldo e stralcio (pagamento parziale immediato a stralcio del restante). È buona prassi formalizzare tali accordi transattivi per iscritto, eventualmente prevedendo la rinuncia del fornitore ad azioni legali finché il piano è rispettato.

Se è già stato notificato un decreto ingiuntivo, l’azienda può valutare un’opposizione (entro 40 giorni) per guadagnare tempo o contestare il credito se vi sono contestazioni legittime (vizi nella fornitura, lavori non conformi, ecc.). Tatticamente, a volte si propone al fornitore di trasformare il decreto ingiuntivo in un accordo: ad esempio, il debitore rinuncia all’opposizione e riconosce il debito, e il creditore acconsente a rateizzarlo sospendendo l’esecuzione. Questo può essere formalizzato in sede di procedura di negoziazione assistita o semplicemente con scrittura privata.

Va segnalato che se più fornitori agiscono e ottengono pignoramenti, si può creare una situazione caotica di esecuzioni multiple. In tal caso, la legge consente al debitore di chiedere al giudice l’unificazione delle procedure o di predisporre un piano di distribuzione, ma soprattutto spinge verso l’apertura di una procedura concorsuale unitaria (concordato preventivo o liquidazione giudiziale), per evitare che il primo creditore che pignora prenda tutto a discapito degli altri. Dunque, se i debiti commerciali sono estesi e i fornitori non collaborano, potrebbe essere necessario ricorrere a un concordato per congelare le azioni e trattare collettivamente coi creditori chirografari (i fornitori, in assenza di garanzie, sono considerati creditori chirografari, ovvero senza preferenza rispetto agli altri).

Suggerimento pratico: mantenere la comunicazione aperta con i fornitori essenziali (smaltitori, subappaltatori, ecc.), spiegando la situazione di temporanea difficoltà e magari coinvolgendoli nel piano di risanamento. Può essere utile offrire qualcosa in cambio della pazienza del fornitore: ad esempio, riconoscere un piccolo interesse di mora sui pagamenti tardivi, o impegnarsi a rinnovare i contratti futuri con lui (garantendo lavoro continuo) se supporta l’azienda durante la crisi. Questo approccio collaborativo spesso evita che il fornitore esasperato passi alle vie legali.

Debiti ambientali e sanzioni amministrative

Un profilo peculiare per chi opera nelle bonifiche di amianto è l’eventuale presenza di debiti di natura ambientale. Con questo termine possiamo intendere: – Sanzioni amministrative ambientali, ad esempio multe per violazione delle norme sullo smaltimento dei rifiuti pericolosi, mancata osservanza di prescrizioni autorizzative, o per illeciti minori (come trasporto di amianto senza formulario corretto, ecc.). Queste sanzioni, se non pagate, seguono anch’esse la via della riscossione coattiva con ingiunzioni e cartelle, analogamente ai debiti tributari. – Obblighi di bonifica o ripristino ambientale: più complesso è il caso in cui l’azienda debitrice sia destinataria di un’ordinanza dell’autorità (tipicamente il Sindaco o la Regione) che impone di effettuare interventi di messa in sicurezza o bonifica ambientale. Ciò può accadere se, ad esempio, l’azienda stessa ha un’area o un deposito dove sono presenti materiali in amianto che costituiscono pericolo, e viene ordinato di bonificare a proprie spese. L’ordinanza contingibile e urgente ex art. 50 D.Lgs. 267/2000 (TUEL) è lo strumento con cui un Sindaco può imporre al proprietario di un sito contaminato di eseguire interventi immediati per la tutela della salute pubblica (come la rimozione di coperture in eternit pericolanti). Un’azienda in crisi potrebbe trovarsi materialmente e finanziariamente nell’impossibilità di ottemperare. In caso di inadempienza, l’ente pubblico può intervenire d’ufficio (eseguendo i lavori tramite terzi) e poi iscrivere a ruolo le somme a carico del responsabile come credito verso l’azienda.

Gli obblighi ambientali hanno una natura particolare: non sono semplici debiti contrattuali, ma derivano da norme di ordine pubblico. La legge afferma il principio “chi inquina paga”, e di norma l’obbligo di bonifica grava solidalmente su tutti i responsabili dell’inquinamento e sui proprietari negligenti (artt. 242 e 253 D.Lgs. 152/2006). Nel caso dell’amianto, se l’azienda di bonifiche genera un pericolo ambientale (ad esempio abbandonando rifiuti di amianto in un cantiere), le autorità possono colpire l’azienda e i suoi dirigenti con provvedimenti urgenti e sanzioni, al fine di rimuovere il pericolo.

Conseguenze del mancato adempimento ambientale: se l’impresa non paga la sanzione amministrativa ambientale, come detto, si va in riscossione coattiva (cartella esattoriale) con possibili pignoramenti, analogamente ai debiti tributari. Ma più critica è la posizione dell’azienda che non esegue la bonifica ordinata: in tal caso, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria, possono esservi conseguenze penali (es. art. 452 bis e ter c.p. per inquinamento ambientale nei casi estremi, o contravvenzioni come l’art. 257 D.Lgs. 152/2006 per omessa bonifica), nonché la possibilità per l’ente di rivalersi sui beni dell’azienda per recuperare i costi sostenuti d’ufficio nella bonifica (azione di rivalsa). In procedure concorsuali, questo tema ha generato contenzioso: il curatore fallimentare di un’azienda contaminata è tenuto a farsi carico della bonifica utilizzando le risorse del fallimento? Oppure tali costi rimangono fuori dal concorso?

La giurisprudenza più recente tende ad affermare che il curatore (e quindi l’azienda in procedura) deve ottemperare agli obblighi ambientali urgenti, anche a costo di ridurre la soddisfazione dei creditori. In particolare, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2021 ha stabilito che la curatela fallimentare, avendo la custodia dei beni, non può lasciare abbandonati rifiuti pericolosi e deve attuare le ordinanze di messa in sicurezza, altrimenti i costi ricadrebbero sulla collettività in contrasto col principio “chi inquina paga” . Ciò implica che i costi di bonifica sostenuti in costanza di procedura possono essere considerati crediti prededucibili, ossia spese da soddisfare con priorità sul patrimonio prima dei creditori pregressi . In pratica, se c’è da bonificare un capannone fallimentare dall’amianto per poterlo vendere, la spesa per la bonifica potrebbe dover essere sostenuta dal fallimento stesso come onere a tutela dell’ambiente, venendo prima dei crediti (perfino ipotecari) nella graduatoria di pagamento . Questo tema è complesso e dibattuto, ma per l’imprenditore significa che gli obblighi ambientali non spariscono nemmeno in caso di insolvenza: sono debiti sui generis, spesso ineludibili.

Strumenti di difesa/gestione: le sanzioni ambientali pecuniarie possono essere impugnate dall’azienda dinanzi all’autorità competente indicata nel verbale (talora il Prefetto, talora il Tribunale, a seconda della norma violata) entro 30 o 60 giorni, analogamente alle altre sanzioni amministrative. Se si tratta di un’ordinanza contingibile urgente, si può proporre ricorso al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) entro 60 giorni, chiedendo eventualmente la sospensione dell’efficacia se adempiere immediatamente è impossibile. Tuttavia, ottenere l’annullamento di un’ordinanza ambientale è difficile, perché queste misure sono giustificate da pericoli gravi e attuali; l’azienda ricorrente dovrebbe dimostrare o che non vi è pericolo, o che non è responsabile/coinvolta.

Nel caso l’azienda sia oggettivamente impossibilitata a svolgere la bonifica per mancanza di mezzi (ad esempio perché fallita), in passato alcune pronunce avevano escluso responsabilità della curatela per le bonifiche non effettuate. Ma come visto, l’orientamento attuale impone quantomeno di mettere in sicurezza i siti, pena la responsabilità anche del curatore. Una strategia possibile per l’imprenditore in crisi è quella di segnalare subito alle autorità la propria situazione e cercare soluzioni concertate: ad esempio, chiedere se esistono fondi pubblici o contributi per la bonifica (ci sono stati, a livello regionale e statale, bandi che coprono una parte dei costi di rimozione amianto per incentivare la bonifica – i cosiddetti “bonus amianto”). Anche l’ONA (Osservatorio Nazionale Amianto) ha proposto di usare la leva fiscale per aiutare le imprese impegnate in bonifiche, ad esempio concedendo crediti d’imposta compensativi dei costi di bonifica sostenuti . Queste proposte mirano a evitare che le imprese falliscano a causa degli elevati oneri ambientali, lasciando il territorio contaminato. Ad oggi, però, a parte crediti d’imposta sporadici e incentivi (come il credito del 50% per bonifiche amianto previsto dalla L. 221/2015 per un periodo, o inserito tra gli interventi agevolati in alcuni bonus edilizi), non esiste una normativa organica che esenti o riduca i debiti ambientali per aziende in crisi. Dunque, l’imprenditore deve includere gli obblighi ambientali nel proprio piano di risanamento, contabilizzando i costi ambientali futuri (il Codice della Crisi prevede espressamente che nei piani di concordato siano considerati i costi di tutela ambientale, art. 87 CCII ).

In caso di procedura concorsuale, il Tribunale fallimentare può autorizzare spese prededucibili per la gestione dell’emergenza ambientale. Se i costi sono insostenibili, il curatore potrebbe anche rinunciare all’attivo gravato da inquinamento (strumento della derelictio, ex art. 104-ter LF ora art. 213 CCII), lasciando il bene allo Stato per la bonifica. Ciò però comporta che i creditori ipotecari su quel bene perdono garanzie. Si tratta di decisioni estreme.

Riepilogo – Debiti ambientali: vanno attentamente monitorati. Consiglio: far eseguire periodicamente verifiche ambientali sui propri siti operativi, per evitare di incorrere in sanzioni o ordinanze. In caso di ispezioni ARPA o ASL, collaborare e mostrare un atteggiamento proattivo (ad esempio presentando volontariamente un piano di rimozione di materiali pericolosi ancora prima di un’ordinanza). Se comunque arriva la sanzione o l’obbligo, coinvolgere subito consulenti legali ambientali e valutare l’impatto sul going concern aziendale – potrebbe essere il trigger che rende necessaria la richiesta di una procedura di composizione della crisi.

Altre passività (dipendenti, locazioni, tributari locali)

Oltre alle categorie principali sopra esaminate, un’azienda indebitata può avere ulteriori passività, ad esempio: – Debiti verso dipendenti: stipendi arretrati, TFR non accantonato. Questi debiti sono molto critici sia perché i lavoratori potrebbero interrompere l’attività se non pagati, sia perché godono di privilegio e in caso di fallimento sono pagati con precedenza. Inoltre, se la situazione degenera, esiste il Fondo di garanzia INPS che interviene per TFR e ultime 3 mensilità in caso di insolvenza del datore, ma l’INPS poi si surroga come creditore. Non pagare i dipendenti inoltre mina il capitale umano e può portare a vertenze di lavoro. – Debiti verso enti locali: ad esempio tributi locali (TARI rifiuti, canoni acqua) o sanzioni del Comune. Questi sono normalmente iscritti a ruolo e seguono la riscossione ordinaria. Vanno trattati come gli altri debiti erariali (sono perlopiù chirografari, salvo abbiano privilegi). – Canoni di locazione: se l’azienda opera in un capannone in affitto, il mancato pagamento dei canoni può portare a uno sfratto per morosità. Il locatore potrà anche insinuarsi come creditore privilegiato (vanta privilegio sui beni mobili nell’immobile, per i canoni dell’ultimo biennio). Conviene trovare un accordo anche col locatore, magari ridiscutendo il canone temporaneamente. – Debiti verso assicurazioni (es. polizze RCT professionali, ecc.): il mancato pagamento può far decadere coperture assicurative fondamentali, con rischi esponenziali (immaginare un incidente amianto senza copertura RC perché la polizza è decaduta).

Per brevità, non esamineremo nel dettaglio ogni tipologia, ma è importante che l’imprenditore faccia una mappatura completa di tutti i debiti, classificandoli per importanza e urgenza. Una regola generale in situazione di crisi è: dare priorità ai debiti che possono generare le conseguenze più gravi a breve termine. Ad esempio, pagare (o trattare) prima stipendi, contributi e forniture critiche, cercando di posticipare o dilazionare quelli meno pericolosi.

Forma giuridica dell’impresa e responsabilità per i debiti

Un fattore determinante su “chi paga” i debiti e come ci si difende è la forma giuridica sotto cui opera l’azienda di bonifiche amianto. In Italia, le piccole imprese possono essere esercitate come ditte individuali (impresa individuale), oppure tramite società di persone (S.n.c., S.a.s.) o società di capitali (tipicamente S.r.l. per le PMI, raramente S.p.A. se di maggiori dimensioni). Nel settore delle bonifiche ambientali talvolta esistono anche consorzi o società consortili tra imprese, per gestire commesse complesse. Ciascun modello ha implicazioni diverse sulla responsabilità patrimoniale dei titolari/soci e sull’accesso alle procedure concorsuali.

Vediamo le principali differenze, dal punto di vista del debitore (imprenditore):

Società di capitali (S.r.l., S.p.A.)

La società a responsabilità limitata (S.r.l.) è la forma più comune per costituire un’azienda strutturata di bonifiche. Come dice il nome, è caratterizzata da autonomia patrimoniale perfetta: la società risponde dei propri debiti solo col suo patrimonio, e i soci non sono personalmente responsabili oltre la quota sottoscritta (art. 2462 c.c.). Questo principio tutela il patrimonio personale dell’imprenditore: se la S.r.l. fallisce, i creditori sociali non possono rivalersi direttamente sui beni dei soci (casa, conti correnti personali, ecc.). La Corte di Cassazione ha rimarcato che la responsabilità limitata è un connotato fondamentale della S.r.l., e rimane tale anche se la società ha scopo consortile o mutualistico .

Eccezioni alla limitazione di responsabilità: esistono circostanze in cui i soci o gli amministratori di una S.r.l. possono comunque essere chiamati a rispondere dei debiti sociali:
Fideiussioni personali: se un socio/amministratore ha firmato garanzie personali a favore di un creditore (caso tipico con le banche), quella garanzia è escutibile indipendentemente dal “velo societario”. In pratica, la banca o il fornitore garantito può chiedere direttamente al garante il pagamento (fino all’importo garantito) se la società non paga. Tale obbligazione è volontaria e contrattuale. Molte S.r.l. piccole ottengono fidi bancari solo grazie alla fideiussione dei soci. – Sottocapitalizzazione e abuso della personalità giuridica: in situazioni estreme, se la S.r.l. è stata usata in modo improprio per frodare i creditori, la giurisprudenza può arrivare a disapplicare la personalità giuridica. Ad esempio, se la società è stata costituita con capitale irrisorio e ha accumulato debiti sproporzionati, i creditori potrebbero invocare la teoria della sottocapitalizzazione sostanziale come indice di mala gestio, chiedendo ai soci di rispondere. Questo però è raro e richiede comportamenti gravemente scorretti. In concreto, si verifica più che altro quando c’è confusione di patrimoni tra socio e società (società usata come “schermo” per attività personali) o quando il socio unico ha svuotato la società in pregiudizio dei creditori (in tal caso, i creditori potrebbero agire con azione revocatoria o far valere l’art. 2497 c.c. su direzione unitaria se c’è un gruppo). – Obblighi legali degli amministratori: gli amministratori di S.r.l. hanno doveri precisi (pagare contributi, imposte, tenere contabilità regolare, non aggravare i debiti in crisi). Se violano questi doveri, possono incorrere in responsabilità personali sia verso la società (azione di responsabilità per mala gestio) sia verso i creditori sociali. Ad esempio, l’amministratore che continua ad operare facendo nuovi debiti quando la società è manifestamente insolvente, potrebbe rispondere ex art. 2486 c.c. per aggravamento del dissesto. Oppure, l’amministratore che non versa IVA e contributi può subire sanzioni e, come visto, conseguenze penali personali. In caso di fallimento, il curatore può promuovere azioni di responsabilità contro gli amministratori chiedendo loro il risarcimento ai creditori per gestione negligente o fraudolenta. Inoltre, se l’amministratore commette reati fallimentari (distrazione di beni, false comunicazioni, ecc.), può essere condannato penalmente e i creditori possono costituirsi parte civile. In sintesi, la S.r.l. protegge i soci investitori se si comportano correttamente, ma non protegge affatto chi compie atti illegali o gravemente scorretti: costui ne risponderà in proprio.

  • Cancellazione della società con debiti residui: quando una S.r.l. viene cancellata dal registro delle imprese, essa si estingue. I creditori insoddisfatti potrebbero tentare di escutere i soci, nei limiti di quanto da essi ricevuto in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.). La Cassazione (sent. n. 6070/2013 e succ.) ha chiarito che dopo l’estinzione, i debiti insoddisfatti non si estinguono ma si trasferiscono in capo ai soci (fino a concorrenza delle somme incassate) e, per il resto, agli ex amministratori se vi è colpa di questi nel non aver soddisfatto quei debiti . Quindi, sciogliere una S.r.l. senza aver pagato il Fisco ad esempio, espone i soci a possibili richieste dell’Agenzia Entrate (specie se hanno incassato attivi nella liquidazione). Anche qui non è una responsabilità illimitata, ma c’è.

In generale, comunque, la S.r.l. resta la forma che offre la maggiore protezione del patrimonio personale dei soci. Nelle strategie difensive, ciò significa che se l’azienda è una S.r.l., l’imprenditore può valutare anche soluzioni drastiche come la liquidazione o il fallimento senza andare sul lastrico personalmente (a meno di garanzie date). Viceversa, deve prestare massima attenzione alle garanzie personali: se ha garantito debiti bancari, un piano di risanamento dovrà necessariamente coinvolgere anche la sorte delle fideiussioni (spesso le banche chiedono ai garanti rinunce a eccezioni, etc. in sede di accordo). In fase di composizione negoziata o concordato, il trattamento dei creditori garantiti da fideiussione è peculiare: la liberazione della società dal debito non libera il fideiussore salvo il creditore acconsenta espressamente. Quindi un socio-garante avrà interesse a soddisfare quel creditore nel piano, altrimenti sarà inseguito sul piano personale.

Ditta individuale e piccole imprese personali

La ditta individuale (impresa individuale) è quando l’imprenditore opera senza schermo societario, con la propria partita IVA personale. Molte microimprese o artigiani iniziano così. Nel campo bonifiche, è raro per via delle complesse certificazioni richieste alle imprese di bonifica amianto (Albo Gestori Ambientali cat.10A/B) che di solito inducono a costituire società; tuttavia potrebbe capitare una ditta individuale specializzata in piccoli interventi locali di bonifica.

Nella ditta individuale non c’è separazione patrimoniale: il titolare risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri dei debiti d’impresa (art. 2740 c.c.). Ciò significa che se l’attività non va bene, i creditori aziendali possono pignorare tranquillamente anche la casa (salvo sia l’unica casa e sussistano i limiti di pignorabilità previsti per il Fisco su prima casa in certi casi) e i risparmi personali dell’imprenditore. L’unico “beneficio” è che non ci sono formalità tra la cassa dell’impresa e il portafoglio del titolare – di fatto sono la stessa entità.

Sul piano delle procedure concorsuali, l’imprenditore individuale commerciale può fallire (ora liquidazione giudiziale) se supera i limiti di legge (attivi oltre €300k, ricavi oltre €200k, debiti oltre €500k, riferiti a parametri del vecchio art. 1 LF; il CCII definisce “imprenditore minore” chi non supera certi indici). Se i parametri non sono superati, egli rientra nel regime di sovraindebitamento (procedure di composizione della crisi per non fallibili). Approfondiremo più avanti, ma anticipiamo che oggi anche l’imprenditore minore può accedere a strumenti come il concordato minore o la liquidazione controllata previsti dal Codice della Crisi.

Difese per l’imprenditore individuale: avendo responsabilità illimitata, l’unico modo di proteggere parte del patrimonio personale è sfruttare le norme sulla impignorabilità di alcuni beni. Ad esempio, la legge italiana prevede che l’Agenzia Entrate-Riscossione non possa pignorare l’unica casa di abitazione del debitore se non di lusso e se vi risiede anagraficamente, salvo ipoteca per debiti sopra €20.000 (D.L. 69/2013). Anche i beni strumentali indispensabili all’attività sono parzialmente protetti in sede esecutiva (il codice di procedura limita il pignoramento degli strumenti di lavoro). Inoltre, sul conto corrente cointestato con il coniuge, il 50% delle giacenze si presume del coniuge non debitore (anche se questi aspetti possono essere controversi).

In caso di crisi conclamata, l’imprenditore individuale spesso ricorre alla liquidazione del patrimonio prevista dalla legge sul sovraindebitamento (oggi liquidazione controllata del debitore, art. 268 CCII), che è simile a un fallimento ma su base volontaria e con la prospettiva finale dell’esdebitazione personale. L’esdebitazione è il beneficio di essere liberato dai debiti residui una volta liquidati tutti i beni disponibili. Questo “fresh start” è qualcosa che solo le persone fisiche possono ottenere (non le società): per un imprenditore individuale onesto ma sfortunato, la legge oggi consente di chiudere la procedura e ripartire senza più debiti, grazie all’esdebitazione di diritto (art. 278 CCII). Dal 2025, come notato, è stata estesa l’esdebitazione immediata anche a chi non ha beni da liquidare, in taluni casi di insolvenza incolpevole .

Dunque, paradossalmente, il titolare di ditta individuale rischia tutto il patrimonio durante la crisi, ma ha poi uno strumento per “salvarsi” personalmente a fine procedura (uscendo pulito dai debiti); il socio di S.r.l., invece, rischia poco patrimonio durante (solo eventuali garanzie) ma la società, una volta liquidata, non ha esdebitazione (restano i debiti insoluti, che però non toccano i soci, salvo eccezioni).

L’imprenditore individuale deve inoltre considerare la famiglia: i creditori suoi sono creditori anche in pratica del nucleo familiare. Prevenire il tracollo significa magari separare in tempo il patrimonio personale da quello d’impresa. Ad esempio, alcuni trasferiscono immobili ai familiari (ma attenzione: queste operazioni se fatte quando i debiti sono già prevedibili possono essere revocate come atti in frode). Oppure si costituisce un fondo patrimoniale per proteggere beni destinati ai bisogni familiari: i creditori aziendali, se i debiti non riguardano tali bisogni, non potrebbero aggredire quei beni. Tuttavia, la giurisprudenza ha spesso considerato i debiti fiscali e professionali comunque attinenti ai bisogni familiari (perché il reddito dell’impresa serve alla famiglia), quindi l’efficacia protettiva del fondo è limitata. In sintesi, l’imprenditore individuale ha poche barriere: la migliore difesa è la prudenza nel contrarre debiti e l’uso di strumenti di allerta precoce per non lasciar lievitare l’esposizione.

Società di persone (S.n.c., S.a.s.)

Le società di persone (società in nome collettivo, società in accomandita semplice) potrebbero essere utilizzate per attività di bonifica se nate da iniziative familiari o di piccoli gruppi. Hanno la caratteristica della responsabilità illimitata e solidale dei soci (per tutti i soci nella S.n.c.; per i soli accomandatari nella S.a.s., mentre gli accomandanti hanno rischio limitato al conferimento ma non possono amministrare).

Ciò significa che, come per la ditta individuale, anche il patrimonio personale dei soci di S.n.c. è aggredibile dai creditori sociali. Anzi, i creditori possono scegliere se attaccare la società o direttamente i soci (beneficio di escussione permettendo, art. 2304 c.c., ma in pratica se la società non paga, i soci rispondono). Non c’è distinzione netta tra debiti sociali e personali.

Sul piano concorsuale, la società di persone è soggetta a fallimento (liquidazione giudiziale) se è un’impresa commerciale sopra soglia. E in caso di fallimento della società, falliscono di diritto anche i soci illimitatamente responsabili (art. 147 L.F., confermato in CCII): vuol dire che il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale sia della società sia dei soci contemporaneamente. I patrimoni sono distinti ma gestiti in parallelo. Questo evidenzia il rischio massimo per i soci: l’insolvenza aziendale li trascina in bancarotta personale. Le procedure di sovraindebitamento non si applicano al socio se la società è fallibile, in quanto egli verrà coinvolto nel fallimento.

Difese particolari: un socio di S.n.c. può cercare di evitare il proprio fallimento solo evitando quello della società – quindi cercando soluzioni come concordati preventivi per la società (che poi vincolano anche i soci se c’è esdebitazione concordataria?). Oppure può recedere dalla società prima che questa fallisca, ma se al momento in cui maturavano i debiti era socio, rimane responsabile lo stesso per quelli pregressi. Dunque c’è poca scappatoia: qui impresa e persona fisica quasi coincidono sul piano dei rischi.

La strategia se si è soci di una S.n.c. indebitata è simile a quella del titolare di ditta individuale, con l’aggravante della solidarietà: ciascun socio può essere chiamato a pagare tutto. I soci però fra di loro hanno regresso in base alle quote, quindi se uno paga più della sua parte può rivalersi sugli altri. Ma ciò è ben magra consolazione se tutti sono insolventi.

Nel predisporre piani di risanamento, bisognerà considerare anche la posizione dei soci. Ad esempio, in un concordato preventivo di una S.n.c., i soci illimitatamente responsabili possono chiedere anch’essi l’esdebitazione di cui alla legge fallimentare (cosa che esisteva per la S.n.c., ora bisognerà vedere alla luce del CCII come si coordina con l’esdebitazione del socio fallito).

In ogni caso, per un creditore avere una S.n.c. debitrice è situazione “forte” perché può colpire i soci; per il debitore-socio è la situazione più fragile. Spesso si consiglia, a chi ha una S.n.c. e inizia ad avere debiti rilevanti, di valutare la trasformazione in S.r.l. (se non vi sono preclusioni): la legge consente la trasformazione da società di persone a capitale, che però non libera i soci dalle obbligazioni pregresse (art. 2500-quinquies c.c.: i soci rimangono illimitatamente responsabili per i debiti anteriori alla trasformazione). Quindi questo serve solo per limitare la responsabilità sui futuri debiti, ma non toglie quelli accumulati. E i creditori anteriori potranno comunque agire contro i soci come se nulla fosse cambiato.

Consorzi e società consortili

Nell’ambito delle bonifiche ambientali, i consorzi possono sorgere per partecipare congiuntamente a bandi o per spartirsi compiti specialistici (es. un consorzio tra imprese edili e imprese di bonifica per un grande progetto di riqualificazione). Il diritto distingue i consorzi con attività esterna (che agiscono verso i terzi) da quelli puri interni. Inoltre, molti consorzi assumono la veste di società consortili (ad esempio, una S.r.l. consortile).

La disciplina base (art. 2615 c.c.) prevede che per le obbligazioni assunte in nome del consorzio risponda solo il fondo consortile, cioè il patrimonio del consorzio, mentre per quelle assunte per conto dei singoli consorziati questi rispondono solidalmente col fondo . Tuttavia, se il consorzio ha forma di società di capitali (es. S.r.l. consortile), prevale la regola tipica della società: quindi autonomia patrimoniale perfetta, nessuna responsabilità dei consorziati per i debiti sociali , salvo il caso in cui il consorzio abbia agito come mandato dei singoli. In altri termini:
– Se abbiamo un consorzio costituito come S.r.l. consortile, i creditori potranno aggredire solo il patrimonio di quella S.r.l. (che è il fondo consortile conferito). I soci consorziati non rispondono personalmente dei debiti del consorzio . Questo è stato ribadito dalla Cassazione (Sez. V, nn. 15863, 16146, 16147 del 2020) citate in una recente sentenza di merito . Dunque, se l’“Azienda Bonifiche Amianto s.r.l.” facesse parte di una S.r.l. consortile con altre imprese, i creditori della consortile non potrebbero chiedere nulla direttamente all’Azienda Bonifiche Amianto s.r.l. (salvo magari far valere responsabilità contrattuali se ha garantito o fatto contratti paralleli). – Se abbiamo un consorzio non dotato di personalità giuridica, allora il consorzio ha un fondo consortile su cui i creditori fanno affidamento; i consorziati, in linea generale, non rispondono oltre quel fondo per i debiti assunti in nome proprio dal consorzio. Però, se il consorzio assume un’obbligazione nell’interesse specifico di un consorziato, quel consorziato ne risponde solidalmente . Ad esempio, un consorzio di imprese edili in cui ciascuna prende lavori in una certa zona: se il consorzio firma un contratto che in realtà beneficia solo l’impresa X, il debito potrà essere chiesto anche all’impresa X. È una responsabilità “per conto”, simile al meccanismo del mandato senza rappresentanza.

In termini pratici per la difesa: se l’azienda è un consorzio o è dentro un consorzio, occorre capire bene la forma e il ruolo. Caso 1: l’azienda è essa stessa un consorzio (es. Consorzio Stabile). Allora, se ha problemi di debiti, vanno considerati anche i consorziati: i consorziati potrebbero dover rispondere di alcuni debiti. Tuttavia, se il consorzio è in forma di S.r.l., come detto, non rispondono. Caso 2: l’azienda individuale/società fa parte di un consorzio che contrae debiti. In linea di massima, i creditori del consorzio punteranno al consorzio (che potrebbe fallire se è impresa commerciale). I consorziati potrebbero essere chiamati solo in via sussidiaria e nei casi visti. In sede di composizione della crisi, se un consorzio va in insolvenza e ha attività esterna, può essere soggetto a liquidazione giudiziale. I consorziati però non “falliscono” per ciò (a meno che abbiano responsabilità illimitata come partner in società consortili di persone).

Un scenario tipico: consorzio per appalto pubblico dichiara fallimento a metà opera. Il committente potrebbe rivalersi sulle singole imprese consorziate per completare l’opera, ma legalmente i creditori (che magari sono i fornitori del consorzio) restano in concorso nel fallimento del consorzio. Potrebbero però sostenere che quell’acquisto era per quell’impresa consorziata e provare ad agire contro di essa.

Dal lato difensivo, un imprenditore consorziato deve monitorare la gestione del consorzio: i rischi occulti sono le fideiussioni spesso date pro-quota dai consorziati per garantire le obbligazioni consortili (es. polizze per anticipi, ecc.). Se il consorzio non riesce a farvi fronte, la stazione appaltante o la banca escuterà le garanzie delle singole imprese.

In conclusione, riassumendo in tabella le forme giuridiche e la responsabilità:

Forma giuridicaResponsabilità per i debitiFallibilità (procedura concorsuale)
Ditta individuale (impresa individuale)Illimitata su tutti i beni personali dell’imprenditore.Sì, se impresa commerciale sopra soglie (altrimenti procedure da sovraindebitamento). Imprenditore e impresa coincidono.
Società in nome collettivo (S.n.c.)Illimitata e solidale su tutti i soci (anche con patrimonio personale). Soci rispondono in solido per i debiti sociali.Sì, fallibile se svolge attività commerciale sopra soglie. Fallimento esteso automaticamente ai soci illimitatamente responsabili.
Società in accomandita semplice (S.a.s.)Illimitata per i soci accomandatari; i soci accomandanti limitati al conferimento (ma non possono amministrare).Sì, come sopra per la parte sociale; i soci accomandatari falliscono con la società. Accomandanti no, salvo abbiano ingerito gestione (perdendo limitazione).
Società a responsabilità limitata (S.r.l.)Limitata al capitale sociale. Soci non rispondono con patrimonio personale, salvo garanzie personali o casi di abuso.<br>Amministratori responsabili con il proprio patrimonio solo per atti illeciti o violazioni di obblighi (responsabilità civilistica o penale).Sì, sempre se insolvente (anche sotto soglie, perché società di capitali fallibile di default). Procedura riguarda solo la società; soci non coinvolti personalmente, a meno di azioni di responsabilità separate.
Società per azioni (S.p.A.)Come S.r.l.: autonomia patrimoniale perfetta.Sì, fallibile; analoghe considerazioni della S.r.l. (di solito dimensioni maggiori).
Consorzio senza personalità giur. (att. esterna)I creditori escutono il fondo consortile. Soci consorziati responsabili solo se debito assunto per conto loro (art. 2615 c.c. comma 2) .Può fallire se svolge attività d’impresa commerciale. Soci non falliscono di per sé (non sono “soci illimitatamente resp.” se non è società).
Consorzio in forma di S.r.l. consortileVale la natura societaria: responsabilità limitata della consortile sul proprio patrimonio; consorziati non responsabili dei debiti sociali (salvo obblighi per conto specifico come da 2615 c.c. comma 2, ma la giurisprudenza tende a escluderlo se c’è forma S.r.l.).Sì, fallibile come ogni S.r.l. commerciale. I consorziati restano estranei (non falliscono né rispondono, salvo eccezioni contrattuali).

(Note: per semplicità non si includono figure come le cooperative consortili, che seguono regole simili alle società di capitali per la responsabilità dei soci.)

Strategie di gestione e difesa prima del contenzioso (fase stragiudiziale)

Una volta individuati i tipi di debito e compresa la propria posizione giuridica, l’impresa deve mettere in atto strategie di gestione della crisi prima che i creditori arrivino alle azioni giudiziarie irreversibili. Questa fase “pre-contenziosa” o stragiudiziale è cruciale: molte crisi possono essere risolte o almeno incanalate positivamente attraverso accordi volontari, evitando il precipitare in tribunale. Vediamo le principali mosse difensive in sede amministrativa e stragiudiziale:

Rinegoziazione e piani di rientro con i creditori privati

La prima mossa, di buon senso, è tentare di rinegoziare i debiti direttamente con i creditori. Ciò vale per banche, fornitori, locatori e qualsiasi creditore disponibile al dialogo. Un’azienda in difficoltà dovrebbe predisporre un piano di rientro globale, ossia un prospetto dei flussi di cassa futuri e di come intende ripagare i vari debiti, magari con l’aiuto di un professionista (commercialista, advisor finanziario). Questo piano poi viene proposto ai creditori chiave.

Linee guida per la rinegoziazione:Prioritizzare i creditori critici: Identificare quali creditori hanno leva maggiore (es. chi può innescare un fallimento, chi è strategico per l’attività). Ad esempio, la banca che vanta un mutuo scaduto potrebbe iscrivere ipoteca giudiziale o far partire istanza di fallimento; va contattata subito. Così come il fornitore unico di materiali, senza il quale i cantieri si fermano. – Essere proattivi e trasparenti: È meglio che il creditore sappia dalla voce dell’imprenditore delle difficoltà, piuttosto che lo scopra perché il pagamento non arriva. Spiegare le ragioni della crisi (es. ritardo incassi da clienti importanti, calo temporaneo di commesse, spese impreviste per manutenzioni, ecc.) può generare comprensione. Presentare dati e soprattutto la strategia di soluzione (es. “ho in corso di chiusura un nuovo contratto che migliorerà il cash flow fra 3 mesi, vi propongo intanto di accettare il 20% ora e il resto a rate nei prossimi 6 mesi”). – Evitare promesse irrealistiche: La perdita di credibilità è letale. Meglio proporre un pagamento inferiore ma fattibile, e poi rispettarlo scrupolosamente, che promettere saldi integrali in tempi improbabili e poi fallire di nuovo. Una volta che un accordo stragiudiziale viene violato, è assai più difficile che il creditore sia disposto a ulteriori proroghe. – Mettere per iscritto gli accordi: Un piano di rientro firmato dalle parti (anche via PEC va bene, purché con riscontro) evita malintesi e soprattutto vale come riconoscimento del debito rateizzato, congelando l’eventuale contenzioso. Spesso l’accordo prevede che, in caso di mancato pagamento di una rata, l’intero debito residuo torni esigibile immediatamente (clausola risolutiva). – Eventuale supporto di un mediatore: Se i rapporti sono tesi, può essere utile utilizzare la mediazione civile (presso organismi di mediazione) o la composizione negoziata assistita (vedi oltre) per facilitare un accordo. In materia societaria, la mediazione non è obbligatoria ma può comunque essere volontariamente intrapresa.

Un esempio di rinegoziazione riuscita in ambito bonifiche potrebbe essere: l’impresa deve €100.000 a un fornitore di smaltimento rifiuti; propone di pagarne €20.000 subito (magari grazie all’incasso di una fattura incamerata) e €80.000 in 10 rate mensili di €8.000 ciascuna, con impegno a riprendere i pagamenti correnti regolari. Il fornitore potrebbe chiedere in cambio una garanzia (ad esempio, cambiali per le rate, o un coobbligo di un socio su di esse), per tutelarsi. Se l’accordo viene raggiunto, il fornitore sospende eventuali azioni legali. L’azienda ottiene tempo prezioso e può continuare a operare.

Naturalmente, non tutti i creditori saranno conciliali. Qualcuno potrebbe rifiutare qualunque dilazione pretendendo tutto e subito. In tal caso, l’impresa dovrà valutare se è possibile reperire risorse (ad esempio attraverso un nuovo finanziamento ponte, o vendendo qualche cespite non indispensabile) per soddisfare quel creditore “duro”, oppure se conviene lasciare che agisca e poi gestire le conseguenze (ad esempio difendersi in giudizio o farlo rientrare in una procedura concorsuale futura).

Rateizzazioni e definizioni agevolate dei debiti fiscali

Sul fronte fiscale e contributivo (Erario, INPS, INAIL), le interlocuzioni seguono canali formalizzati. Come già accennato, si può e si deve chiedere rateizzazione agli enti della riscossione: questo spesso è il modo più rapido per fermare azioni esecutive. Oggi, la domanda di dilazione ad Agenzia Entrate-Riscossione si può fare online per debiti fino a 120 mila euro senza dover documentare la difficoltà (concessa automaticamente fino a 72 rate). Per importi maggiori, serve provare lo stato di difficoltà con certificazioni e bilanci. Una volta ottenuto un piano di rate, decadere da esso (cioè saltare troppe rate) comporta che non sarà facile ottenerne un altro e che ripartiranno le azioni di recupero; quindi va gestito con rigore.

Parallelamente, è utile monitorare se la normativa introduce definizioni agevolate o condoni: negli ultimi anni quasi ogni governo ha emanato misure simili (“rottamazione” cartelle 2016, 2017, 2018, 2023; “saldo e stralcio” 2019 per contribuenti in difficoltà con ISEE basso; stralcio mini cartelle sotto €1000 nel 2023, ecc.). Se la finestra temporale lo consente, aderire a queste definizioni può ridurre sensibilmente il debito fiscale. Ad esempio, un debito di €50.000 di imposte potrebbe scendere a €30.000 eliminando sanzioni e interessi, se rottamato. Inoltre il pagamento può essere dilazionato (ad es. la Rottamazione-quater prevede 18 rate in 5 anni). Bisogna però rispettare scrupolosamente le scadenze delle rate, pena la decadenza dai benefici.

Un altro strumento attivo a partire dal 2023 è la cosiddetta “composizione negoziata con il Fisco” (introdotta nel Codice della Crisi all’art. 23 co.2-bis, come visto sopra). Se l’impresa sceglie la strada della composizione negoziata, può contestualmente trattare con l’Erario per ridurre i propri debiti tributari. Anche l’INPS può essere coinvolta. In pratica, l’imprenditore elabora – con l’ausilio dell’esperto nominato – una proposta di accordo che prevede il pagamento parziale delle imposte e contributi. Questa proposta deve essere accompagnata da un’attestazione di un professionista indipendente sulla sostenibilità della falcidia proposta e su cosa il Fisco otterrebbe altrimenti (si cerca di dimostrare che lo Stato incassa di più accettando l’accordo che facendo fallire l’azienda) . Se l’Agenzia delle Entrate accetta, si deposita l’accordo in Tribunale per l’autorizzazione del giudice. Questo meccanismo, nuovo, evita di dover passare per forza da un concordato preventivo; è più rapido e confidenziale.

Va evidenziato che certi tributi non sono falcidiabili nemmeno in queste procedure, oppure lo sono con limiti: il caso tipico è l’IVA. Essendo considerata risorsa UE, storicamente non si poteva ridurre l’IVA nei concordati, ma solo dilazionarla. Una sentenza della Corte Costituzionale nel 2019 (n.245/2019) e della Corte di Giustizia UE nel 2016 hanno aperto alla possibilità di stralciare l’IVA se si dimostra che in caso di fallimento il fisco prenderebbe comunque meno . Il nuovo art.23 co.2-bis CCII formalmente esclude dall’accordo in composizione negoziata i tributi “risorse UE” ma c’è dibattito se ciò includa davvero l’IVA; le Commissioni parlamentari nell’agosto 2024 hanno suggerito al Governo di chiarire che anche l’IVA possa rientrare con specifiche cautele . Insomma, è un tema tecnico: per il debitore la sostanza è che alcune parti del debito fiscale potrebbero dover essere comunque pagate per intero (IVA, ritenute non versate) mentre su altre (sanzioni, interessi, magari imposte dirette) si può ottenere uno sconto significativo.

In ogni caso, prima di arrivare a misure concorsuali, la rateizzazione semplice è la via maestra: mantiene l’azienda “in bonis” rispetto al Fisco e soprattutto consente di ottenere/riottenere il DURC regolare (poiché anche l’INPS rilascerà il DURC se tutti i suoi crediti sono rateizzati e in regola con i pagamenti). Un DURC in regola consente di continuare a lavorare su cantieri pubblici e a fatturare. Senza, l’azienda è di fatto tagliata fuori dal mercato pubblico e rischia la rescissione dei contratti in essere.

Gestione dei debiti previdenziali e tutela del DURC

Già accennato ma da ribadire: il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) è spesso l’ago della bilancia. Un’azienda di bonifica amianto che perde il DURC (perché non paga INPS/INAIL/Cassa edile) può vedersi sospendere i pagamenti nei lavori pubblici e precludere la partecipazione a nuovi bandi. Pertanto, una difesa strategica è attivarsi immediatamente con gli enti previdenziali per mettere in regola la posizione.

I passi includono: – Richiesta di dilazione ad INPS e Cassa Edile: l’INPS può concedere dilazioni ordinariamente fino a 24 mesi (estendibili su richiesta motivata). Spesso per importi piccoli e situazioni temporanee, l’INPS a livello locale è collaborativo. La domanda va presentata prima che vi sia una certificazione di irregolarità. Se la dilazione viene accordata e si paga la prima rata, per legge il DURC torna positivo. – Verifica della contribuzione contestata: a volte i durc negativi dipendono da importi modesti o da questioni formali (differenze, conguagli non registrati). Risolvere quelle pendenze può essere veloce. Conviene dialogare con i funzionari degli enti. – Uso di crediti in compensazione: se l’azienda vanta crediti verso la PA certificati, esiste la possibilità di compensarli con debiti fiscali/previdenziali iscritti a ruolo, ottenendo il DURC (art. 28-quater D.L. 50/2017). Ad esempio, se il Comune deve ancora pagare €50k di SAL e l’azienda ha €50k di cartelle INPS, si può chiedere di compensare e avere subito DURC pulito. – Se necessario, ridurre personale o costi per non accumulare nuovo debito: purtroppo in crisi severe può essere necessario ridurre l’organico, mettere in cassa integrazione (nel 2025 c’è ancora la CIGS per crisi aziendale come strumento, richiedibile con un piano) o dismettere rami d’attività per contenere i costi correnti, inclusi stipendi e contributi, e non far crescere ulteriormente il debito contributivo.

Prevenire azioni legali: accordi transattivi e moratorie

Prevenire è meglio che curare: prima che un creditore faccia causa o notifica un decreto ingiuntivo, c’è una finestra temporale per negoziare e trovare soluzioni transattive. Alcune idee: – Transazione a saldo e stralcio: offrire al creditore una percentuale immediata (finanziata magari vendendo un cespite non essenziale o con l’ingresso di un socio finanziatore) in cambio della rinuncia al resto del credito. Questa mossa è più efficace con creditori chirografari che temono di non vedere nulla se la situazione precipita. Ad esempio, dire al fornitore: “ti do 30 subito di 100 dovuto, e chiudiamo la partita”. Molti creditori, specialmente se percepiscono il rischio default, preferiscono “un uovo oggi”. Attenzione però: ciò potrebbe in astratto essere contestato come atto in frode agli altri creditori se poi l’azienda fallisce (pagamento preferenziale a un chirografo); tuttavia, se fatto nell’ambito di un piano di risanamento e per la continuità, può avere giustificazione. – Moratoria collettiva informale: se l’azienda ha molte banche finanziatrici, si può provare a ottenere un accordo di moratoria collettivo, magari sotto l’egida di un organismo come l’ABI. In Italia esiste(va) il protocollo ABI-PMI per sospendere per 12 mesi le quote capitale dei mutui in caso di crisi temporanee. Anche Consorzi fidi regionali aiutano a mediare. Una moratoria blocca momentaneamente i pagamenti senza considerarla default. – Accordo con i principali creditori sull’ordine dei pagamenti: ad esempio, convincere alcuni fornitori a essere pagati dopo altri che intanto forniscono materiale per completare un lavoro. È una sorta di “patto di standstill”: Tizio e Caio creditori accettano di aspettare 6 mesi, mentre l’azienda finisce un cantiere, incassa e intanto paga Sempronio che fornisce i materiali per finirlo. A fine cantiere, con l’incasso, l’azienda salda Tizio e Caio (magari con un piccolo interesse extra). Questo richiede fiducia e magari un terzo garante (anche un escrow account in cui confluisce l’incasso). – Clausole contrattuali flessibili: se ci sono contratti di fornitura continuativa o locazioni, si possono rinegoziare le clausole: ad esempio, chiedere uno sconto temporaneo sul canone di affitto del capannone per 12 mesi, in cambio di allungare la durata del contratto di 2 anni (il locatore rinuncia a qualcosa ora ma ha più certezza di tenere l’inquilino a lungo).

Tutto questo ha l’obiettivo di guadagnare tempo e mantenere l’operatività, perché se l’azienda riesce a superare la fase di crisi acuta (magari grazie a nuove commesse o a una ricapitalizzazione dei soci), poi potrà recuperare. Il tempo è essenziale, ma va usato bene: non in modo dilatorio e basta (quello peggiora solo la posizione se uno procrastina senza un piano), bensì implementando manovre di rilancio dell’attività o reperimento finanza.

Monitoraggio dell’esposizione debitoria e segnali di allerta

Un altro aspetto di “difesa” è interno: l’imprenditore deve dotarsi di strumenti di controllo di gestione e allerta precoce della crisi. Il Codice della Crisi d’Impresa (CCII) ha introdotto l’obbligo per tutte le imprese (anche S.r.l. piccole) di dotarsi di assetti adeguati a rilevare tempestivamente la crisi (art. 3 CCII). Ciò significa tenere una contabilità accurata, fare previsioni di tesoreria, monitorare alcuni indici di allerta (ad esempio: patrimonio netto negativo o in forte calo, indice di liquidità sotto la soglia, ritardi nei pagamenti significativi di debiti fiscali/contributivi oltre certi importi, etc.). Se questi indicatori evidenziano tensione, l’organo amministrativo è tenuto ad attivarsi immediatamente per prendere misure.

Perché parliamo di questo in “fase stragiudiziale”? Perché riconoscere i sintomi permette di evitare il precipitare giudiziale. Ad esempio, il CCII prevede che se l’imprenditore non reagisce e i debiti fiscali o contributivi superano certe soglie (es. 30 mila euro di IVA scaduta da oltre 90 giorni, o debiti INPS > 6 mesi di contributi), gli enti glieli segnalano e possono attivare la Camera di Commercio (procedura d’allerta). Dal 2023/2024 queste misure di allerta pubblica sono state in parte modificate, ma il concetto è: non aspettare le segnalazioni, sii tu imprenditore il primo a capire di essere in crisi e a rivolgerti agli strumenti giusti (come la composizione negoziata).

Quindi, predisponi un budget di cassa a 6-12 mesi: se vedi che a marzo mancheranno 50 mila euro per pagare IVA e stipendi, agisci già a gennaio per trovare quella somma o ridurre i costi. Non aspettare che arrivi la cartella dell’IVA a luglio per poi scoprire che non puoi pagarla.

Inoltre, fai inventario dei tuoi beni alienabili/non strategici: a volte vendere un vecchio macchinario o un automezzo non strettamente necessario, o dismettere una partecipazione secondaria, può portare liquidità per tamponare debiti urgenti. Questo in fase stragiudiziale si può fare liberamente; mentre una volta in procedura, ogni vendita è soggetta a regole e spesso a prezzi d’asta più bassi.

In sintesi, la difesa nella fase amministrativa significa muoversi su due fronti: verso l’esterno (negoziando con creditori per evitare che attacchino) e verso l’interno (ottimizzando la gestione e avviando per tempo eventuali procedure di composizione della crisi prima che i creditori agiscano disordinatamente).

Difesa in fase giudiziale ed esecutiva

Se la gestione stragiudiziale non è bastata o è partita tardi, l’imprenditore può trovarsi presto coinvolto in azioni giudiziali promosse dai creditori: cause civili, decreti ingiuntivi, pignoramenti, ricorsi per fallimento, ecc. Inoltre, può dover attivare lui stesso contenziosi (es. ricorsi tributari) per opporsi a pretese ritenute indebite. In questa sezione esaminiamo come difendersi nelle varie fasi giudiziali, sempre dal punto di vista del debitore, cioè quali sono gli strumenti processuali e sostanziali per tutelare l’azienda o almeno guadagnare tempo utile a risolvere la crisi.

Contenzioso tributario e opposizione alle cartelle esattoriali

Quando si riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate (per maggiori imposte, sanzioni) o un avviso di addebito INPS, è possibile presentare ricorso rispettivamente alla giustizia tributaria (ora denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria Provinciale) o al Tribunale in funzione di giudice del lavoro (per contributi). I termini sono stringenti: 60 giorni per i ricorsi tributari dalla notifica dell’atto. Se l’importo è elevato, conviene anche chiedere la sospensione dell’atto impugnato, che la Commissione può concedere se c’è pericolo di grave danno e fumus boni iuris (ragioni fondate). La sospensione evita che l’ente inizi la riscossione durante il processo.

Nel caso delle cartelle esattoriali, se l’azienda ritiene che una cartella sia illegittima (ad es. perché il tributo sottostante è stato pagato, o l’atto presupposto non è stato notificato regolarmente), può fare opposizione. A seconda del tipo di debito, la legge distingue: per cartelle su sanzioni del Codice della Strada o altre sanzioni amministrative, l’opposizione va dal Giudice di Pace (entro 30 gg); per cartelle su tributi, tipicamente si propone ricorso tributario (entro 60gg) facendo valere vizi propri della cartella (es. notifica nulla, difetto di motivazione su interessi) o vizi degli atti a monte (anche oltre il termine se la notifica originaria manca). Un’altra via è la procedura di “autotutela” presso l’ente creditore o l’ADER: presentare un’istanza motivata di annullamento/sgravio se la cartella contiene errori evidenti. Non sospende i termini, ma a volte l’ADER sospende l’esecuzione in attesa di riscontro dall’ente.

Se la cartella non viene opposta e diventa definitiva, la difesa trasla alla fase esecutiva: quando arriva un atto di pignoramento da parte di Agenzia Entrate-Riscossione, l’azienda può proporre opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) se contesta il diritto di procedere, o opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) se contesta irregolarità formali dell’atto (entro 20 gg dalla notifica). Ad esempio, se viene pignorato un macchinario necessario all’attività, si può eccepire l’impignorabilità ex art. 515 c.p.c. in sede di opposizione agli atti, ottenendo la liberazione del bene. Oppure opporsi per prescrizione sopravvenuta del debito (spesso i ruoli Inps si prescrivono in 5 anni se non rinnovati). Queste opposizioni sospendono raramente l’esecuzione salvo provvedimento ad hoc del giudice, quindi di solito servono a guadagnare tempo e magari indurre un accordo.

Una difesa utile per proteggere liquidità aziendale è la conversione del pignoramento: se Equitalia pignora un conto, l’azienda può chiedere al giudice di sostituire al pignoramento una somma pari al dovuto (magari versata da terzi o con mutuo). Questo estingue il pignoramento e libera il conto; l’azienda poi paga a rate quella somma al soggetto che l’ha anticipata (ad esempio un consorzio fidi). È un meccanismo di emergenza per non bloccare il conto – però servono fondi sostitutivi.

Da notare: se l’azienda ha ricorso pendente su un tributo, l’ADER non può iniziare esecuzione finché non c’è decisione di primo grado, a condizione che l’azienda abbia pagato un terzo delle imposte in contestazione. Oppure se ha ottenuto la sospensiva, l’ADER deve attendere. Quindi a volte conviene pagare il minimo (un terzo) per congelare il recupero coattivo, se si confida di vincere il ricorso.

Opposizione a sanzioni e atti amministrativi (ambientali, ecc.)

Per le sanzioni amministrative diverse da quelle tributarie (es. multe ambientali, sanzioni ASL, violazioni amministrative di ogni genere), il decreto legislativo 150/2011 prevede che l’opposizione si faccia al Giudice di Pace o al Tribunale a seconda dei casi, entro 30 giorni (o 60 se ricorso in via gerarchica). Nel nostro contesto, ad esempio, una sanzione di €5.000 della ASL per violazione delle norme di sicurezza amianto (art. 257 Dlgs 81/08) è un illecito amministrativo: l’azienda può pagarla ridotta entro 60gg (circa €1.667 se ammesso il pagamento ridotto del 1/3) oppure proporre opposizione in Tribunale (trattandosi di importo > €5k va in Tribunale civile). Se c’è un fondamento per contestare (es. verbale viziato, errori di persona, ecc.), l’opposizione sospende la riscossione se il giudice concede la sospensiva.

Per le ordinanze contingibili urgenti e in generale gli atti amministrativi come diffide, provvedimenti di enti pubblici, la tutela passa dal giudice amministrativo (TAR). Esempio: ordinanza sindacale che impone bonifica entro 30 giorni. L’azienda può chiedere al TAR l’annullamento sostenendo, ad esempio, che non è la reale responsabile dell’inquinamento, o che i termini sono irragionevoli. Se il TAR concede sospensiva, l’ordinanza resta congelata fino alla sentenza. Ma i TAR tendono a confermare le ordinanze ambientali salvo macroscopici errori.

C’è però uno scenario: se un’azienda è già fallita, il curatore spesso impugna al TAR le ordinanze sindacali dirette a lui, sostenendo che i costi di bonifica non possono essere imposti alla procedura. Alcuni TAR in passato gli davano ragione in parte, ma l’Adunanza Plenaria CdS 2021 ha rovesciato la cosa pro-ambiente. Quindi oggi i curatori preferiscono semmai gestire diversamente (come visto, a volte rinunciando ai beni inquinati).

L’opposizione giurisdizionale agli atti amministrativi serve a prendere tempo e forse ridurre l’importo. Ad esempio, opposizione a un’ordinanza-ingiunzione prefettizia per sanzioni può portare a una riduzione della multa dal giudice. Vale la pena se si hanno motivi concreti; altrimenti può solo aggiungere spese legali.

Cause civili da fornitori e banche: decreti ingiuntivi e pignoramenti

Sul fronte dei creditori contrattuali (fornitori, banche, locatori), la tipica via giudiziale rapida è il decreto ingiuntivo. Abbiamo già detto di come prevenire arrivando a transare prima. Ma se arriva l’ingiunzione, l’azienda ha 40 giorni per fare opposizione (termine che può essere abbreviato a 10 giorni in casi di provvisoria esecutorietà concessa ex art. 642 c.p.c.).

Opporsi a un decreto ingiuntivo avvia un ordinario giudizio di cognizione. Bisogna indicare nella citazione in opposizione i motivi di contestazione del credito. Anche se non ce ne fossero di sostanziali, a volte l’opposizione può far guadagnare qualche mese prima della probabile condanna (specie se il tribunale non concede l’esecuzione provvisoria del decreto, o se il creditore non ha chiesto immediata esecutività per pericolo grave). Tuttavia, fare opposizioni pretestuose espone poi a pagare più spese legali e interessi. È una tattica estrema e sconsigliabile a meno che non vi sia un serio vizi contestabile. Esempi di motivi validi: merce contestata perché difettosa; importo non corretto; prescrizione del credito (fatture molto vecchie); incompetenza territoriale del giudice che ha emesso il decreto (utile in qualche caso per farlo cadere se fuori foro contrattuale).

Se l’ingiunzione è provvisoriamente esecutiva (lo è de iure per cambiali, assegni, certificati di firma del credito, etc.), il creditore può iniziare subito il pignoramento anche in pendenza dell’opposizione. L’azienda opposta può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione esecuzione per gravi motivi (art. 624 c.p.c.), ma serve davvero far vedere che pagherà o che il credito è dubbio. Altrimenti il pignoramento va avanti.

Quando i beni aziendali vengono pignorati, come difendersi? – Pignoramento mobiliare in sede azienda: l’ufficiale giudiziario può recarsi in sede e pignorare attrezzature, pc, mobili. L’azienda può cercare di convertire il pignoramento (come detto per Equitalia, depositando una somma sostitutiva) se trova i fondi. Oppure in extremis può affermare che quei beni sono in leasing (e quindi non suoi) o venduti a terzi (se veramente ceduti prima). O far valere l’impignorabilità di beni di lavoro indispensabili (art. 515. Se l’azienda è piccolo imprenditore questa norma tutela in parte, ma se è società no; però c’è giurisprudenza analogica). In difetto, i beni verranno stimati e venduti. Una via di uscita può essere che prima dell’asta l’azienda paghi il creditore, il quale rinuncia e libera i beni. – Pignoramento del conto corrente: un bel guaio perché blocca i soldi. Qui conviene contattare la banca e vedere se è possibile sbloccare almeno la parte non pignorata (es. stipendî accreditati nel conto, non pignorabili per 1/2). O, come detto, procedere con un accordo col creditore per sbloccare il conto dietro pagamento parziale. Le opposizioni ai pignoramenti su conto raramente hanno successo (a meno che il pignoramento contenga vizi formali). – Pignoramento presso terzi (crediti): ad esempio, il creditore blocca i pagamenti dovuti all’azienda dai suoi clienti (pignoramento crediti verso terzi). I clienti allora non pagheranno l’azienda ma dovrebbero depositare le somme in tribunale. Per l’azienda è catastrofico perché interrompe la sua catena di incassi. In tal caso, è prioritario informare i clienti-terzi pignorati che si sta cercando un accordo e di non versare subito (possono attendere l’udienza ex art. 543 c.p.c.). Se l’azienda paga il creditore prima di quell’udienza, l’atto può essere revocato e i clienti potranno pagare regolarmente l’azienda. Quindi è una corsa contro il tempo per trovare fondi o accordo prima che i crediti vengano distratti.

Nel corso di un’opposizione a decreto ingiuntivo (che dura di solito almeno 6-12 mesi in primo grado), c’è spazio per trattare e transare: spesso infatti quelle cause si estinguono per transazione. Quindi l’atto di opposizione può essere visto come uno strumento negoziale: “ti ho fatto causa, ora però sediamoci a un tavolo con i legali e troviamo un accordo”. Molti creditori sono aperti a chiudere con un pagamento parziale pur di non attendere anni un’esecuzione incerta.

Strumenti di tutela nel processo esecutivo (opposizioni, conversione del pignoramento)

Abbiamo già toccato alcune opposizioni possibili. Riassumiamole per chiarezza: – Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): contesta il diritto del creditore di procedere, ad esempio perché il debito è già estinto o non esigibile. Può farsi prima che inizi il pignoramento (inibitoria) o dopo la notifica del pignoramento (in tal caso va depositata prima della conclusione della procedura esecutiva). Esempio: Tizio ottiene decreto ingiuntivo per 100, l’azienda paga 100 ma Tizio pignora lo stesso; l’azienda farà opposizione all’esecuzione per intervenuto pagamento. O ancora: pignoramento basato su mutuo dove la banca ha applicato tassi usurari → si può eccepire nullità parziale e quindi importo inferiore. – Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): contesta vizi formali degli atti esecutivi, va proposta entro 20 giorni dall’atto. Utile se l’atto non rispetta norme (es. il precetto non indica compiutamente titolo e causale; il pignoramento mobiliare è stato fatto in violazione di domicilio; il pignoramento immobiliare non è stato notificato anche al debitore; etc.). Spesso ha effetti dilatori: il giudice può sospendere la procedura se ravvisa fumus di nullità. – Istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): come spiegato, il debitore chiede di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro pari a debito + spese + 1/5 (cauzione). Versata la cauzione, le vendite si sospendono. Poi paga a rate trimestrali entro max 18 mesi la somma residua. Se rispetta, i beni tornano liberi. Se no, la procedura riprende come prima. È come una rateizzazione giudiziale del debito con salvaguardia dei beni, molto utile in alcuni casi. Ovviamente presuppone di avere accesso a liquidità per pagare la cauzione iniziale (che è il 20% in più del dovuto stimato). – Sospensione o estinzione della procedura per cause particolari: ad esempio, se il bene pignorato è oggetto di una transazione, il creditore procedente rinuncia agli atti e la procedura viene dichiarata estinta (art. 629 c.p.c.). Oppure, se c’è un concordato preventivo ammesso dal tribunale, i singoli pignoramenti rimangono sospesi ex lege (automatic stay). – Intervento di terzi nell’esecuzione: menzione per completezza: se un bene pignorato appartiene a un terzo e non al debitore (es. un macchinario era in leasing, quindi della società di leasing, o un immobile intestato al socio persona fisica erroneamente pignorato per debito sociale), il terzo può fare opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) per liberare il suo bene.

In pratica, l’azienda debitore userà soprattutto 615 e 617 c.p.c. per far valere ragioni su importi o su vizi. Anche se non portano all’annullamento totale del debito, possono ridurre l’importo o costringere il creditore a rifare l’atto, guadagnando tempo.

Tuttavia, bisogna stare attenti a non abusare del processo con tattiche dilatorie infondate: se il giudice percepisce malafede, può condannare a danni processuali ex art. 96 c.p.c. o sanzioni pecuniarie. Quindi ogni azione in giudizio va valutata con l’avvocato, soppesando costi e benefici.

Evitare la dichiarazione di fallimento: opposizione all’istanza di liquidazione giudiziale

Il pericolo maggiore, per un imprenditore indebitato, è che un creditore (in genere uno grosso o l’ufficio fiscale) presenti un’istanza di fallimento (oggi si chiama istanza di apertura della liquidazione giudiziale). Se l’azienda è un soggetto fallibile (società o ditta sopra soglie), l’istanza viene depositata in Tribunale e notificata. A quel punto, come difendersi?

Ci sono varie strade: – Contestare i presupposti formali: Il fallimento (liquidazione giudiziale) richiede per legge uno stato di insolvenza attuale e non transitorio. Se l’azienda può provare di essere invece in temporanea illiquidità ma non insolvente (es. ha patrimonio attivo sufficiente benché non liquido, oppure ha ripreso pagamenti regolari), può opporsi sostenendo che non c’è insolvenza. Ad esempio citando pagamenti eseguiti dopo l’istanza, accordi raggiunti, ecc. Anche eventuali vizi dell’istanza (credito del ricorrente contestato, importo sotto la soglia minima di €30.000 prevista dal CCII per poter fallire, ecc.) possono essere sollevati. – Richiedere soluzioni alternative: Il debitore, anche all’udienza prefallimentare, può presentare istanza di concordato preventivo (“concordato in bianco” cioè con riserva, art. 44 CCII) o l’accesso alla composizione negoziata, per ottenere lo stop della procedura di fallimento. Secondo il nuovo CCII, se pende un’istanza di liquidazione giudiziale e l’imprenditore deposita una domanda di concordato semplificato per la liquidazione (previsto in certi casi), il tribunale può posticipare la decisione fallimentare e valutare il concordato. Insomma, offrire ai creditori un concordato preventivo è un classico modo di bloccare sul nascere la dichiarazione di fallimento. – Dimostrare di non essere soggetto fallibile: per le ditte individuali o società di persone, provare di rientrare nelle esenzioni dell’art. 1 L.F. (ancora valide sino al 2022, ora incorporate nel concetto di “imprenditore minore” nel CCII). Se i bilanci e documenti dimostrano che nei tre esercizi precedenti la società è sotto i parametri (attivo sotto €300k, ricavi sotto €200k, debiti sotto €500k), il tribunale deve dichiarare inammissibile l’istanza perché non fallibile. Questo è un tema da sollevare subito, con prove. – Pagare il creditore istante: se possibile, saldare o far ritirare l’istanza. Spesso se il creditore è ad esempio l’Agenzia Entrate-Riscossione, accettano di ritirare se il debito viene integralmente versato o se c’è un provvedimento di ammissione a concordato. Attenzione però: se vi sono più istanze o più creditori, soddisfarne uno potrebbe non bastare se ce ne sono altri. – Chiedere rinvio per trattativa/composizione negoziata: talvolta i giudici concedono breve rinvio se l’imprenditore documenta di aver attivato la composizione negoziata con un esperto nominato e di essere in trattativa con creditori. Il CCII prevede misure premiali per chi attiva in tempo la composizione negoziata: ad esempio, se il debitore dimostra di aver presentato l’istanza di nomina dell’esperto prima del ricorso di fallimento, il tribunale può sospendere la decisione per permettere il negoziato (il DL 118/2021 prevedeva qualcosa di simile, ora art. 23 CCII). Anche il pagamento parziale dei debiti tributari prima del fallimento può essere valutato come segno di non insolvenza.

Se nonostante la difesa il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale, all’imprenditore resta la possibilità di proporre reclamo alla Corte d’Appello entro 30 giorni (art. 51 CCII). In appello può far valere eventuali errori del tribunale o fatti nuovi (ad esempio, credito istante non dovuto o pagato prima ma non considerato). Il reclamo però non sospende gli effetti se non viene chiesta e ottenuta sospensiva, dunque il curatore intanto assume i poteri.

Va detto che i tribunali, specie con il CCII, spingono per soluzioni alternative: il fallimento è visto come ultima ratio. Se vedono un’imprenditore collaborativo, che ha presentato un piano o sta negoziando, spesso cercano di evitarlo (magari con un concordato “imposto” in extremis o con nomina di un esperto per un accordo).

Il debitore deve tuttavia essere tempestivo: presentarsi all’udienza dicendo “sto cercando soldi, datemi tempo” di solito non basta; bisogna presentare qualcosa di concreto (una domanda di concordato con riserva, o un contratto preliminare di cessione di azienda in corso che soddisferà i creditori, ecc.).

Riassumendo: opporsi al fallimento è possibile ma richiede basi solide – se l’azienda è realmente insolvente e nessuna soluzione è in corso, difficilmente si eviterà. A volte, l’opposizione serve solo a ritardare qualche mese l’inevitabile. Quel tempo andrebbe sfruttato per migliorare la posizione dei creditori (ad esempio completando lavori così che in fallimento restino meno opere incompiute, o incassando crediti che il curatore userà per pagare il ceto creditorio).

In definitiva, la fase giudiziale è un terreno scivoloso per il debitore, e ribadisce l’importanza di muoversi prima. Ciononostante, come visto, esistono diversi “freni” e rimedi processuali che un buon legale potrà attivare per evitare gli esiti più dannosi o almeno posticiparli in attesa di una soluzione di risanamento.

Procedure concorsuali e strumenti di risanamento

Quando i debiti superano la capacità dell’azienda di pagarli regolarmente, e le misure stragiudiziali non bastano, si entra nel campo delle procedure concorsuali o degli strumenti formali di regolazione della crisi. In Italia, il vecchio termine “fallimento” è stato sostituito da liquidazione giudiziale, inserito in un contesto più ampio di procedure nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) . Per un’azienda di bonifica amianto indebitata, è fondamentale conoscere le opzioni disponibili per gestire la crisi in modo ordinato, cercando se possibile di risanare e rilanciare l’attività oppure, se ciò non è fattibile, di liquidare in modo controllato limitando i danni (ad esempio accedendo all’esdebitazione e chiudendo definitivamente i conti col passato).

Analizziamo i principali strumenti di soluzione della crisi previsti dalla normativa italiana attuale (aggiornata al 2025), con particolare riguardo alle novità introdotte di recente e all’utilizzo che ne può fare un’impresa del settore bonifiche:

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata è uno strumento introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021, poi confluito nel CCII art. 12 e seguenti) con l’intento di aiutare l’imprenditore in difficoltà a trovare soluzioni prima dell’insolvenza conclamata, in modo volontario e confidenziale. Non è una procedura concorsuale giudiziaria, bensì un percorso assistito: l’impresa, tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio, chiede la nomina di un esperto indipendente (spesso un commercialista o avvocato con esperienza in ristrutturazioni) . L’esperto studia la situazione aziendale e facilita le trattative con i creditori per raggiungere un accordo di risanamento.

Caratteristiche principali:Accesso: qualsiasi impresa commerciale o agricola, di qualunque dimensione (anche sottosoglia di fallibilità) può accedere se si trova in condizioni di squilibrio economico-finanziario che rendono probabile la crisi o insolvenza, ma c’è una ragionevole prospettiva di risanamento . In pratica, è a disposizione anche delle PMI. L’istanza si presenta con un piano base e dati aziendali caricati sulla piattaforma. – Esperto nominato: un commissione nomina l’esperto che seguirà il caso. L’esperto convoca l’imprenditore e ascolta le parti. Non ha poteri autoritativi, ma può formulare proposte, mediare e alla fine redige valutazioni sul piano proposto. – Durata: inizialmente 3 mesi, prorogabile di altri 3 (totale 6). Può finire prima se si raggiunge l’accordo o se l’esperto valuta che non ci sono prospettive concrete (in tal caso chiude la procedura). – Effetti: la composizione negoziata di per sé non apre il concorso: l’imprenditore resta in possesso dell’azienda (debtor in possession), l’esperto non amministra ma solo affianca. Non c’è pubblicità tranne quella eventuale delle misure protettive richieste al tribunale. Infatti, l’impresa può chiedere al Tribunale misure cautelari come la moratoria delle azioni esecutive dei creditori (massimo per 4 mesi prorogabili di 4, con eventuale rinnovo in caso di accordo in vista) . Se concesse, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti durante il negoziato. Inoltre, dalla pubblicazione dell’istanza di composizione nel Registro Imprese derivano alcune protezioni: i crediti dei fornitori durante la composizione negoziata hanno privilegio generale in caso di fallimento successivo (per incentivarli a continuare a lavorare con l’impresa). – Esito: vari possibili. Se si trova un accordo con i creditori, questo può assumere diverse forme: un contratto di ristrutturazione (puramente privatistico) con alcuni creditori, oppure un vero e proprio accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII da far omologare in tribunale (se si vuole maggior efficacia erga omnes), oppure un piano attestato di risanamento (accordi bilaterali con attestazione di un esperto indipendente), oppure ancora un concordato preventivo semplificato se le trattative falliscono ma c’è un’offerta ai creditori da formalizzare (introdotto nel 2022). In alternativa, la composizione può concludersi con la constatazione che non c’è soluzione: a quel punto l’imprenditore può optare per liquidazione (anche semplificata se certi requisiti) o sarà soggetto a eventuale fallimento richiesto dai creditori.

Vantaggi per il debitore: è una procedura riservata (il mercato non viene informato a meno di richiesta di misure protettive) e volontaria. Permette all’imprenditore di tentare un salvataggio senza subito stigma o perdita del controllo. Prevede misure premiali fiscali se attivata tempestivamente: come visto, l’art. 25-bis CCII concede benefici (riduzione interessi al tasso legale durante la trattativa, riduzione a 1/2 di sanzioni e interessi se si chiude con accordo, ecc.) . Inoltre, il D.Lgs. 83/2022 (secondo correttivo CCII) ha specificato che anche le imprese sotto soglia possono usarla e godere di premialità .

Limiti: la composizione negoziata non impone nulla ai creditori. Se non c’è accordo volontario, l’esperto non può obbligare i dissenzienti. Non c’è un voto a maggioranza come nel concordato; è tutto basato sul consenso. Questo significa che funziona bene quando si hanno pochi creditori cruciali disposti a trattare. Se ci sono centinaia di piccoli creditori disorganizzati, è più difficile. Inoltre, senza misure protettive i creditori più aggressivi potrebbero non aspettare – però come detto le misure protettive possono essere attivate per congelare le azioni e anche i contratti essenziali (il tribunale può vietare ai fornitori essenziali di interrompere le forniture durante il negoziato).

Nel contesto della nostra azienda di bonifiche amianto: la composizione negoziata potrebbe essere utile se, ad esempio, i debiti maggiori sono verso banca e fisco. Si nominerebbe l’esperto, e si cercherebbe con la banca un allungamento del debito, con il Fisco una transazione fiscale (ora consentita come detto dalla norma del 2024 ). Ottenute queste, magari convincere i fornitori a uno stralcio parziale. Tutto ciò senza aprire un procedimento giudiziario pubblico. Se funziona, l’accordo viene formalizzato (potrebbe essere un accordo ex art. 23 co.1 lett.a CCII, cioè un semplice contratto con effetti protettivi, da pubblicare ma non omologare).

Se invece durante le trattative ci si accorge che serve coinvolgere tutti i creditori e obbligarli a un piano, si può convertire la composizione negoziata in un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione in tribunale (l’esperto stesso può suggerirlo). C’è fluidità: il CCII è pensato per passare eventualmente dal negoziato alla procedura giudiziale in modo graduale.

Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)

Il concordato preventivo è la classica procedura concorsuale di risanamento prevista dall’ordinamento fallimentare, ora disciplinata dagli artt. 84 e seguenti CCII. Si tratta di una procedura giudiziale vera e propria, in cui l’imprenditore propone un piano ai creditori, sotto controllo del tribunale, e se la maggioranza dei creditori (per classi e per teste o valore) approva, il piano viene omologato e diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti).

Due tipi fondamentali: – Concordato in continuità aziendale: il piano prevede la prosecuzione dell’attività, totale o parziale. L’obiettivo è risanare e proseguire l’impresa (es. ristrutturazione del debito e rilancio). In questo tipo è permesso soddisfare i creditori anche col ricavato della continuità, e la legge è più flessibile nel trattamento (ad esempio, non c’è soglia minima di pagamento per i chirografari, purché il piano non sia liquidatorio puro). – Concordato liquidatorio: il piano prevede la cessazione attività e la liquidazione dei beni per pagare i creditori in una certa misura. Per evitare che sia un fallimento mascherato, la legge richiede un apporto esterno (fresh money) almeno del 10% o comunque che ai chirografari vada almeno il 20% (CCII art. 84). Cioè non puoi fare concordato liquidatorio se intendi dare ai creditori meno del 20% di quanto dovuto, salvo tu metta cash fresco per migliorare l’offerta di almeno il 10%.

Procedura in sintesi: il debitore deposita un ricorso di concordato con un piano dettagliato e una proposta (quanto e come intende pagare ciascuna classe di creditori). Deposita anche una relazione di un professionista attestatore indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Il tribunale verifica i requisiti, ammette il concordato e nomina un commissario giudiziale. Da quel momento i creditori sono bloccati (moratoria legale) e l’azienda, sotto la vigilanza del commissario, continua l’attività secondo le modalità del piano (o se liquidatoria prepara la vendita cespiti). Si forma lo stato passivo dei crediti e poi si convocano i creditori a votare. Se le maggioranze di legge (maggioranza del totale crediti ammessi e, se classi, di tante classi) approvano, il tribunale omologa, salvo opposizioni. Con l’omologa, il piano diventa obbligatorio e i creditori vengono soddisfatti come da piano, perdendo la parte eccedente (lo stralcio concordatario li libera). Se la maggioranza non approva, si apre il fallimento di regola.

Uso pratico per il risanamento: il concordato è uno strumento potente perché consente anche di ristrutturare i debiti senza l’accordo unanime: basta il consenso delle maggioranze richieste e anche chi dissente viene cramdownato. Per esempio, se l’azienda propone di pagare 40% ai chirografari in 5 anni e la maggioranza vota sì, i pochi contrari saranno comunque vincolati e dovranno accontentarsi del 40%. Questo vantaggio rispetto alla composizione negoziata (che richiede accordo con ciascuno) è pagato però col fatto di essere un processo pubblico, con costi più alti, tempi più lunghi e la gestione sotto la lente del tribunale.

Nel nostro contesto, un concordato in continuità potrebbe essere adatto se l’azienda bonifiche ha un business ancora valido, commesse in corso, ma ha bisogno di tagliare debito pregresso e ristrutturare. Ad esempio, propone: i creditori chirografari (fornitori, ecc.) prendono il 30% in 4 anni; i privilegiati (banche con ipoteca, Fisco per IVA ecc.) prendono il 100% ma dilazionato in 6 anni per la parte privilegiata e una percentuale minore per l’eventuale parte chirografaria; i dipendenti 100% dei loro crediti come per legge; l’attività continua con l’imprenditore attuale che immette magari nuovi fondi (aumento di capitale, cessione di quote a investitore). Oppure un concordato misto, dove si vendono alcuni asset non strategici per generare cassa mentre si prosegue col core business.

Un concordato liquidatorio, invece, ha senso se non c’è prospettiva di salvare l’azienda come tale, ma si vuole evitare il fallimento classico ad esempio per gestire meglio la vendita degli immobili o macchinari (magari già individuando un acquirente) e offrire un piccolo stralcio ai creditori meglio di quanto otterrebbero in fallimento. Ad esempio, l’azienda dice: “vendo i due capannoni e il parco mezzi, con ciò ricavo X, che darà il 25% a tutti voi chirografari; la mia famiglia mette un contributo per arrivare a 25%. In cambio, niente cause e niente revocatorie lunghe, chiudiamo in 1 anno la procedura”.

Aspetti peculiari: Nel concordato i debiti verso Erario ed enti previdenziali possono essere falcidiati solo tramite transazione fiscale inserita nel piano (a pena di inammissibilità se non li paghi almeno in parte). Oggi con il cram-down fiscale, il giudice può omologare anche senza il voto favorevole dell’ente , ma deve assicurare che prendano almeno quanto in liquidazione forzata. Spesso l’Erario chiede almeno il pagamento integrale dell’IVA e ritenute a meno di pronunce contrarie.

Il concordato offre anche la possibilità di atti di gestione straordinaria con autorizzazione del tribunale (es. vendere un ramo d’azienda prima dell’omologa per generare cassa, come concordato con assuntore). Permette inoltre di sciogliersi o sospendere contratti in corso se utile al piano (es. rescindere contratti di leasing onerosi).

Svantaggi: è una procedura complessa, necessita di professionisti competenti (costi di attestatore, legali, eventuali advisor industriali). E soprattutto, se poi il concordato non viene eseguito (l’azienda non rispetta i pagamenti concordati), si finisce in liquidazione giudiziale post-concordato, e con meno asset (perché magari durante il concordato se ne sono usati per pagare percentuali). Quindi va intrapreso solo con ragionevole certezza di poterlo portare a termine.

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono uno strumento a metà strada tra il concordato e la mera negoziazione privata. Previsti dall’art. 57 CCII (già art. 182-bis L.F.), consistono in un accordo che il debitore raggiunge con una parte significativa dei creditori (almeno il 60% dei crediti totali in quello ordinario) e che viene omologato dal tribunale, estendendo alcuni effetti anche ai non aderenti.

Caratteristiche: – Il debitore può scegliere con quali creditori accordarsi e con quali no (pagandoli integralmente). Per l’omologa serve, ad es., che banche e fornitori rappresentanti il 60% dei crediti abbiano firmato l’accordo che prevede magari stralci o dilazioni . I creditori non firmatari vengono pagati per intero fuori accordo (o comunque il piano deve prevedere che non restino pregiudicati). – Una volta depositato l’accordo con il consenso del 60% crediti, il tribunale convoca un’udienza e, verificato che l’accordo garantisce regolarità e pagamento integrale dei non aderenti, lo omologa. Da quel momento, l’accordo è vincolante solo per i firmatari; i non firmatari restano estranei ma poiché li hai previsto pagati integrali, di fatto non hanno da agire (anzi, se necessario il tribunale può sospendere eventuali azioni dei non aderenti fino all’omologa). – Varietà: esistono anche accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60 CCII) dove la soglia è ridotta al 30% se i non aderenti vengono comunque pagati integralmente entro 120 giorni da scadenza originaria . Oppure accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII) in cui se aderisce il 75% di una certa categoria di creditori finanziari, l’accordo viene esteso anche ai finanziatori dissenzienti di quella categoria . Questo per superare l’ostacolo di poche banche contrarie quando la maggior parte è d’accordo. – C’è anche la figura degli accordi su tributi e contributi (transazione fiscale e previdenziale) che può essere inserita nell’accordo di ristrutturazione. Con le ultime norme, se l’ente pubblico rifiuta la proposta ma i creditori privati l’approvano, si può chiedere al tribunale di omologare lo stesso (sul modello del cram-down concordatario). La Corte d’Appello di Bari nel 2024 ha affermato che in tali accordi la P.A. non subisce lesione se comunque le offrono il massimo possibile .

Quando usarli: l’ARD è utile se l’impresa ha pochi creditori rilevanti e frammentazione del resto. Tipico caso: 4 banche che insieme sono il 70% del debito totale e un centinaio di fornitori piccoli 30%. Ci si accorda con le 4 banche (magari scambio debito-equity, o allungamento, o stralcio parziale) raggiungendo oltre 60%. Si paga i piccoli fornitori normalmente (o li si fa aderire volontariamente se vogliono). L’accordo viene omologato e vincola le banche firmatarie – i fornitori manco se ne accorgono perché sono soddisfatti a parte. Il vantaggio è la riservatezza e semplicità rispetto al concordato: non c’è voto, non c’è commissario, i creditori li scegli tu. Il costo reputazionale è minore e l’impresa mantiene migliori rapporti con chi ha pagato integralmente.

In ambito bonifiche: se l’azienda ha per esempio 3 grandi debiti (Fisco, una banca, un fornitore di smaltimento) e molti debiti minori verso professionisti, magari conviene fare un ARD con i 3 grandi (che fanno 65% del totale) e garantire i piccoli. L’omologa quell’accordo e l’azienda esce dalla crisi senza aver dovuto trascinare tutti i piccoli in tribunale.

Attenzione: i creditori estranei vanno comunque pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa o dalla scadenza (se non scaduti) , se no non c’è omologazione. Quindi l’azienda deve avere risorse per soddisfare i non aderenti normalmente.

Durante le trattative per l’ARD, il debitore può chiedere al tribunale delle misure protettive analoghe al concordato (sospensione azioni esecutive per max 4 mesi). Una volta omologato, l’accordo consente di ottenere finanziamenti prededucibili (i nuovi finanziatori stanno tranquilli). Se poi l’azienda non rispetta l’accordo, i creditori tornano liberi di agire e si potrebbe finire in fallimento, ma i pagamenti e atti eseguiti in adempimento dell’accordo restano “protetti” dalle revocatorie (come i piani attestati).

Piani attestati di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è lo strumento più “snello” e totalmente privatistico previsto per il risanamento. Introdotto già dal 2005 (art. 67 L.F. lett. d) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII , consiste in un piano redatto dall’imprenditore per riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa, che ottiene il visto di un professionista indipendente attestatore circa la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Il piano può prevedere accordi con taluni creditori (ad esempio banche) ma non è soggetto ad omologazione giudiziale né coinvolge obbligatoriamente tutti i creditori.

Il principale beneficio del piano attestato è che gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di tale piano non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare qualora l’impresa in futuro fallisse . In altre parole, è pensato per dare tranquillità ai terzi che aderiscono al piano: sanno che, se anche il debitore poi fallisce, quel pagamento o garanzia ricevuta non verrà attaccata dal curatore, a patto che fosse conforme a un piano idoneo e attestato.

Quando utilizzarlo: il piano attestato è l’ideale quando: – C’è necessità di un intervento di risanamento circoscritto e si vuole evitare pubblicità. Ad esempio, rinegoziare il debito con le banche e ottenere nuova finanza. Le banche per concederla vogliono un piano serio e un’attestazione che l’impresa può risanarsi. – Non serve coinvolgere tutti i creditori né imporre stralci a dissenzienti. Ad esempio, l’azienda è in grado di pagare i fornitori minori regolarmente, ma ha bisogno che la banca allunghi i mutui e dia liquidità aggiuntiva: si fa un piano attestato in cui la banca accetta di spostare scadenze e dare nuovo fido, e l’attestatore conferma che il piano è fattibile e risana. Così la banca esegue, sapendo che se fra tre anni malauguratamente l’azienda fallisse, quel nuovo mutuo e le garanzie prese non saranno revocati come preferenziali, perché rientrano nell’esenzione del piano attestato.

Contenuto del piano: la legge (art. 56 CCII) ora richiede alcuni contenuti minimi: identificare i creditori estranei (quelli non coinvolti nell’accordo) e come verranno soddisfatti integralmente, descrivere le strategie di risanamento, gli apporti di risorse, etc., il tutto con data certa anteriore all’eventuale apertura concorso . Quindi, se ci sono creditori non allineati nel piano, bisogna comunque pagarli regolarmente (a pena di inefficacia dell’esenzione).

L’attestatore deve essere un professionista indipendente (no conflitti, non revisore della società) e compie diligenti verifiche sui dati e le ipotesi di piano . La sua attestazione non è omologata dal tribunale, ma se poi c’è un fallimento, verrà vagliata: se era fatta in dolo o colpa grave, lui può risponderne.

Esempio pratico: l’Azienda Bonifiche Amianto S.r.l. ha una crisi di liquidità perché ha comprato macchinari costosi; prevede però commesse future redditizie. Fa un piano a 5 anni dove i soci apportano €100k freschi, la banca proroga di 2 anni i mutui e concede €50k di nuovo fido, alcuni fornitori maggiori accettano di essere pagati a 120 giorni anziché 60 per un anno. L’attestatore verifica che con queste misure l’azienda potrà tornare solvibile e non accumulare più perdite, e firma l’attestazione. Il piano viene formalizzato con data certa e scambiato con i creditori coinvolti. Non c’è necessità di informare né coinvolgere i piccoli creditori, che continueranno ad essere pagati regolarmente (magari con i soldi dei soci apportati). Questo è un tipico piano attestato di risanamento.

Limiti: non offre protezione diretta dalle azioni dei creditori mentre lo elabori – se un creditore non coinvolto vuole comunque fare causa, può. Non c’è moratoria legale. Quindi bisogna un po’ “tenere a bada” i creditori fuori piano con accordi temporanei. Inoltre, se la crisi è troppo grave e diffusa (tanti creditori che vorrebbero stralci), il piano attestato non basta perché non li vincola affatto. In tal caso serve un concordato o accordo omologato.

In caso di successivo fallimento, il piano attestato può proteggere da revocatorie i pagamenti fatti (es. la banca incassa tot in esecuzione del piano – il curatore non glieli chiederà indietro). Tuttavia, se il piano era manifestamente irrealistico, l’attestatore e gli amministratori potrebbero subire accuse di bancarotta per aver aggravato il dissesto con un piano fittizio. Perciò va usato in buona fede e con ragionevoli possibilità di successo.

Liquidazione giudiziale (Fallimento): effetti e conseguenze per l’imprenditore

Se nessuna delle soluzioni di risanamento riesce o è praticabile, si arriva alla liquidazione giudiziale, ovvero la vecchia procedura di fallimento. In questo caso, l’obiettivo non è più salvare l’impresa ma liquidare il patrimonio in modo ordinato e distribuire il ricavato ai creditori secondo le priorità di legge.

Effetti principali della liquidazione giudiziale: – L’imprenditore (o gli amministratori) perdono la gestione: subentra un curatore nominato dal tribunale, che amministra l’azienda e il patrimonio fallimentare. – L’impresa può cessare immediatamente l’attività, salvo il curatore ritenga utile esercitarla per un periodo (es. completare lavorazioni in corso per vendere meglio i beni, previa autorizzazione del giudice delegato). – I creditori non possono più agire individualmente: devono presentare domanda di insinuazione al passivo. Si forma lo stato passivo con crediti e relativi privilegi. – Si aprono possibili azioni di revocatoria fallimentare: il curatore può chiedere la restituzione di pagamenti o atti anomali fatti in prossimità del fallimento (es. pagamenti a creditori nell’ultimo periodo se preferenziali, atti di disposizione a titolo gratuito negli ultimi 2 anni, garanzie concesse per debiti preesistenti nell’ultimo anno, ecc.). Questo per reintegrare l’attivo a beneficio della par condicio. – Il curatore può anche esercitare azioni di responsabilità contro gli amministratori, sindaci, ecc. per fatti dannosi alla società, e può segnalare eventuali reati di bancarotta al PM. – L’imprenditore fallito persona fisica subisce alcune limitazioni (non può avere cariche societarie, etc. durante la procedura) e viene spossessato dei suoi beni personali non impignorabili. Per le società, la società fallita prosegue come soggetto giuridico fino alla chiusura. – I contratti pendenti al momento della dichiarazione (appalti, affitti, leasing) possono essere sciolti o proseguiti dal curatore secondo convenienza per la massa. – Si procede poi alla vendita degli attivi: beni mobili con aste telematiche, immobili con procedure competitive, eventuale cessione in blocco dell’azienda se c’è un acquirente (che potrebbe rilevarla e far proseguire l’attività senza debiti pregressi, vedi affitto d’azienda durante il fallimento come preludio a vendita). – Distribuzione: una volta monetizzato tutto, il curatore fa un piano di riparto: prima paga le spese prededucibili (compensi curatore, spese procedura, crediti sorti per continuazione azienda, costi ambientali se prededucibili, ecc.), poi i creditori privilegiati (in ordine di privilegio: dipendenti, Erario, banche ipotecarie, ecc.), e se avanza qualcosa i chirografari pro quota. Spesso i chirografari prendono poco o nulla, a seconda dell’attivo residuo.

Per l’imprenditore in proprio, la fine del fallimento (liquidazione giudiziale) comporta come già detto la possibilità di chiedere l’esdebitazione dei debiti residui non soddisfatti, così da tornare libero da obblighi (fresh start). Ciò è concesso se il fallito ha cooperato lealmente e non ci sono stati atti in frode gravi.

Per una società, la chiusura della liquidazione giudiziale porta alla sua estinzione. I soci di S.r.l. non rispondono oltre. I soci di società di persone se falliti insieme alla società otterranno anche loro l’esdebitazione (ora quasi automatica, ex art. 278 CCII, tranne che per debiti verso Erario derivanti da reati? ma in generale è ampia).

Difendersi nel fallimento: quando la liquidazione è aperta, l’accento si sposta dalla difesa dell’azienda (che ormai è persa) alla difesa della persona dell’imprenditore e dei suoi interessi residui: – Collaborare col curatore per chiudere presto la procedura, fornendo documenti, informazioni (evita anche guai penali per bancarotta semplice). – Se si ritiene la dichiarazione di fallimento ingiusta, come detto proporre reclamo in appello. O se emergono fatti nuovi in ritardo, perfino chiedere la revoca del fallimento ex art. 63 CCII (ad esempio: il debito per cui si era falliti viene annullato in giudizio con sentenza passata in giudicato). – Opporsi alle istanze di revocatoria del curatore se si ritiene che certi pagamenti non fossero revocabili, presentando prove (es. pagamenti effettuati nell’ambito di un piano attestato valido, quindi esenti; oppure atti a titolo oneroso con controprestazione equa e quindi non revocabili se non conoscendo insolvenza). – Negoziare con il curatore per riacquistare alcuni beni personali eventualmente confluiti (talora il curatore può vendere a parenti del fallito, con autorizzazione, se conviene alla massa). – Se l’imprenditore soggetto a possibili sanzioni penali, predisporre la difesa in quei procedimenti con avvocati penalisti, magari sfruttando l’esito positivo di comportamenti post-fallimento (ad esempio, il pagamento integrale dei creditori post-fallimento può evitare la punibilità per bancarotta semplice in alcune circostanze, o attenuanti). – Richiedere l’esdebitazione nei termini di legge (entro 1 anno dalla chiusura).

In conclusione, la liquidazione giudiziale è ciò che si voleva evitare con tutte le difese precedenti. Se ci si arriva, vuol dire che non c’era altra soluzione o che si è agito troppo tardi. A quel punto, “difendersi” significa soprattutto salvare il salvabile sul piano personale e collaborare perché la procedura non si protragga troppo (un fallimento lungo può durare anni e crea maggiori disagi, come cause pendenti, indagini, ecc.).

Procedure minori per imprese sotto-soglia (concordato minore, liquidazione controllata)

Per completezza, va menzionato che il CCII ha integrato anche le procedure da sovraindebitamento (L.3/2012) in un alveo unitario. Dunque, se l’azienda di bonifiche fosse non fallibile (es. ditta individuale artigiana sotto limiti, o una start-up innovativa se fosse esente, etc.), avrebbe a disposizione: – Il concordato minore (art. 74 CCII): è l’equivalente del concordato preventivo ma pensato per debitori minori e persone fisiche, con procedure semplificate e percentuali ridotte. Anche qui serve il voto dei creditori. – La ristrutturazione dei debiti del consumatore (non attinente alle imprese, riguarda soggetti non fallibili e non imprenditori per debiti personali). – La liquidazione controllata (art. 268 CCII) che sostituisce il “fallimento” dei non fallibili: è simile al fallimento ma avviata su richiesta del debitore stesso o di un creditore, e nominando un liquidatore (spesso un OCC). Permette di chiudere con esdebitazione. – L’esdebitazione del sovraindebitato incapiente (art. 283 CCII): uno strumento speciale introdotto nel 2021 che consente a chi proprio non ha nulla da liquidare di ottenere la cancellazione dei debiti una tantum, salvo alcuni esclusi, per dare sollievo ai cosiddetti “insolventi civili disperati”. Dal 2025 è stata ampliata come visto .

Nel contesto di un’impresa commerciale come la bonifica amianto, è raro non essere fallibile per dimensioni, ma potrebbe capitare (es. un piccolo artigiano). In tal caso, la difesa consisterebbe nel seguire questi percorsi alternativi, che spesso sono gestiti dagli OCC (Organismi di Composizione della Crisi) e in modo meno giudiziale (il giudice omologa ma su proposta dell’OCC). Ad esempio, un artigiano bonificatore potrebbe proporre un concordato minore offrendo ai creditori il 10% in 4 anni grazie all’aiuto di parenti, e se il 50% in valore dei crediti accetta, si omologa. Oppure, se è rovinato, opta per la liquidazione controllata dove cede i suoi mezzi e il furgone e poi ottiene l’esdebitazione.

Per le società minori, non c’è concordato minore (vale concordato preventivo normale) ma se non superano soglie di attivo e debiti, possono comunque essere dichiarate in liquidazione controllata (simile a fallimento). La distinzione pratico-giuridica è sottile e in evoluzione, ma l’importante è: nessuno rimane privo di un percorso legale per sistemare la crisi, anche il più piccolo.

Transazione fiscale e contributiva

Abbiamo già toccato la transazione fiscale (debiti tributari) e contributiva (INPS/INAIL) come strumenti interni alle procedure di concordato e accordi. Qui la evidenziamo separatamente perché è spesso centrale nelle crisi dove il Fisco è un creditore rilevante (come può essere se ci sono grossi debiti IVA o ritenute nel nostro caso).

Cos’è: è la proposta che il debitore fa all’ente pubblico di pagare solo in parte i tributi o contributi dovuti, o di dilazionarli oltre le norme ordinarie, nell’ambito di un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione. Fino al 2020 l’accettazione dell’ente era vincolante (se diceva no, niente stralcio, dovevi pagare integralmente tributi e contributi privilegiati). Con L.159/2020 e Cass. SSUU 8504/2021, invece, se la proposta è conveniente e il Fisco rifiuta irragionevolmente, il tribunale può ugualmente omologare (cram down) .

Nel 2023-2024, la transazione fiscale è entrata anche nella composizione negoziata (D.Lgs. 136/2024) . Inoltre, il Legislatore ha reso più appetibile per il Fisco accettare, elevando i limiti legali: per esempio, ora un concordato può falcidiare IVA (che era un tabù) se c’è almeno la prova che in liquidazione ci sarebbe zero.

Procedura pratica: l’azienda predispone un piano con una percentuale per i crediti tributari, allega l’attestazione di un professionista che dice “il Fisco prendendo il 30% qui, ottiene più del 10% che avrebbe in fallimento ad esempio”. Invia la proposta all’Agenzia Entrate. Questa la valuta (spesso tramite apposite commissioni) e risponde. Se accetta, bene. Se rifiuta, l’azienda può comunque chiedere al giudice di omologare lo stesso, provando la convenienza. Ad esempio, c’è stato il caso risolto dalle SSUU 8504/21 proprio di un concordato con transazione fiscale dove l’Erario aveva detto no ma la proposta era migliorativa rispetto al fallimento, e la Cassazione ha detto: il giudice poteva omologare comunque .

Per i contributi INPS, regole simili. C’è da dire che per tributi non derogabili come l’IVA resta un po’ di incertezza giuridica, ma la tendenza è permettere il taglio anche lì se motivato .

Importante per l’imprenditore: se vuole tenere in vita l’azienda e regolarizzarla, la transazione fiscale è spesso essenziale: senza ridurre carichi fiscali e contributivi, potrebbe essere impossibile risanare. Ad esempio, l’azienda ha €300k di debito Equitalia: con sanzioni e interessi, pagare tutto sarebbe impossibile; con la transazione, paga magari €150k in 5 anni e riparte pulita. Inoltre, con l’omologa del concordato o accordo contenente transazione, la regolarità fiscale e contributiva è sancita e si può riottenere il DURC. Ci sono però soglie di fattibilità politica: il Fisco difficilmente accetta meno del 20-30% salvo casi disperati, e vuole spesso che i debiti IVA siano almeno in parte coperti.

Esdebitazione dell’imprenditore sovraindebitato (fresh start post-procedura)

In chiusura di panoramica, va ribadito il concetto di esdebitazione: la liberazione dai debiti residui non soddisfatti. Questa è prevista: – per il fallito persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) all’esito del fallimento/liquidazione giudiziale (art. 278 CCII) salvo comportamenti disonesti. Ora è quasi automatica (il giudice la concede se non ci sono opposizioni per frodi). – per il debitore non fallibile (sovraindebitato) – persona fisica o ex imprenditore – può essere immediata (art. 283-bis introdotto nel 2025) , oppure dopo la liquidazione controllata (art. 282). – anche per i soci di S.r.l. che abbiano prestato garanzie? Quelli no, se hanno pagato devono rifarsi su società (o se la società estinta non paga, rimangono beffati; su questo non c’è esdebitazione per il garante).

Perché parlarne in ottica “cosa fare e come difendersi”? Perché l’imprenditore spesso teme il fallimento come una condanna perpetua a debiti impagabili. L’esdebitazione offre un orizzonte temporale: dopo tot anni, tornerò libero dai debiti residui. Ad esempio, un piccolo imprenditore fallito che abbia pure debiti personali di varia natura, con l’esdebitazione potrà ripartire da zero, magari cambiando lavoro, senza la zavorra dei vecchi creditori.

Dunque, se proprio si deve capitolare, è bene farsi trovare pronti a chiedere l’esdebitazione. Cosa significa? Durante la procedura concorsuale: – Comportarsi correttamente (niente atti in frode ulteriori, collaborare col curatore, consegnare documenti, segnalare eventuali errori nei crediti). – Non subire condanne per bancarotta fraudolenta (se c’è questo, di solito l’esdebitazione è esclusa per indegnità). – Se possibile cercare di svolgere attività lavorativa così da mostrare di aver fatto il possibile (non è strettamente necessario ma può aiutare sul piano morale). – Alla fine, depositare l’istanza di esdebitazione nei termini.

Va notato che l’esdebitazione non copre debiti per obblighi di mantenimento, alimenti, risarcimento danni da illecito extracontrattuale e sanzioni penali/amministrative pecuniarie non accessorie . Quindi, se l’imprenditore è stato multato per reati ambientali o ha una sanzione amministrativa propria, quella forse resta. Anche l’IVA evasa qualificata penalmente come reato forse potrebbe restare un debito verso Erario non esdebitabile (c’è discussione se i debiti da reato si esdebitino o no; la norma esclude quelli per multa/ammenda e obbligazioni da reato doloso risarcitorie).

In ogni caso, liberarsi dai debiti commerciali e bancari e fiscali “normali” è già un’enorme seconda chance.

Abbiamo visto un arsenale di strumenti, ordinandoli dal meno invasivo (composizione negoziata, accordi stragiudiziali) al più invasivo (liquidazione giudiziale). Nel prossimo capitolo metteremo a confronto in tabella le principali soluzioni, per aiutare a scegliere quella adatta, poi considereremo un caso pratico per applicare quanto detto.

Tabella comparativa – Strumenti di regolazione della crisi:

StrumentoSedeIniziativa e controlloEffetti sui creditoriUtilizzo tipico
Composizione negoziataStragiudiziale (con ausilio esperto nominato)Volontaria dell’imprenditore. L’esperto affianca, ma gestione resta al debitore (salvo misure protettive autorizzate dal giudice).Nessuna imposizione: accordi volontari. Possibile sospensione temporanea delle azioni esecutive se autorizzata (fino 4+4 mesi). Nessuna votazione.Crisi iniziale o reversibile. Pochi creditori essenziali da mettere d’accordo. Si vuole evitare pubblicità di una procedura.
Accordo di ristrutturazione (art.57 CCII)Ibrido: accordo privato + omologa tribunaleVolontaria del debitore, accordo con >=60% creditori (in valore). Gestione di solito rimane al debitore.Vincola solo i creditori aderenti (non aderenti vanno pagati integralmente). Omologa del tribunale assicura esenzione revocatoria e sospende azioni in corso. Varianti: “agevolato” (>=30%) e “esteso” (75% cred. finanziari).Risanamento con pochi creditori rilevanti (es. banche) disposti all’accordo. Si evita coinvolgere/pagare integralmente piccoli creditori. Meno costoso di concordato.
Piano attestato (art.56 CCII)Totalmente privato (atto di piano con data certa)Deciso dall’imprenditore. Prevede ristrutturazione unilaterale o accordi contrattuali individuali. Richiede attestazione professionista.Nessun effetto vincolante su creditori (tutti volontari). Però i pagamenti/garanzie dati secondo il piano sono esenti da revocatoria . Nessuna sospensione azioni di legge (tutto su base accordi).Crisi affrontabile tramite accordi informali e nuova finanza. Utile per rassicurare banche/nuovi investitori che il piano è serio e protetto da revocatoria.
Concordato preventivoGiudiziale (Tribunale)Volontaria del debitore (domanda di concordato). Gestione: in continuità l’imprenditore resta in carica ma sotto vigilanza del Commissario; in liquidatorio può esserci cessione beni e azienda ferma.Tutti i creditori anteriori sono vincolati dall’esito. Si dividono in classi omogenee. Con voto a maggioranza e omologa, anche i dissenzienti subiscono le riduzioni e dilazioni proposte. Protetto da apertura (blocco azioni esecutive).Crisi grave con molti creditori. Necessario imporre stralci/rateazioni anche a contrari. Si punta a salvare azienda (concordato in continuità) o a liquidare ordinatamente con un dividendo (concordato liquidatorio).
Liquidazione giudiziale (Fallimento)Giudiziale (Tribunale)Può essere volontaria (autofallimento) ma di solito su istanza creditori o procura. Gestione affidata al Curatore; imprenditore spossessato.Creditori soggetti alla par condicio: non possono agire individualmente, vengono soddisfatti secondo prelazioni su attivo liquidato. I debiti insoddisfatti restano, salvo esdebitazione persona fisica.Insolvenza conclamata e irreversibile. Si liquida l’azienda per cessazione attività. Strumento di chiusura quando risanamento impossibile. Permette esdebitazione finale al debitore onesto.
Liquidazione controllata (ex sovraindebitamento)Giudiziale (ma presso Tribunale con ausilio OCC)Volontaria o su ricorso di creditori per soggetti non fallibili. Liquidatore nominato (che spesso è l’OCC).Simile al fallimento: creditori in par condicio, si liquidano i beni. Debiti residui cancellati con esdebitazione.Piccole imprese sotto soglia o persone fisiche non fallibili che vogliono liberarsi dei debiti liquidando tutto il possibile.
Concordato minore (ex sovraind.)Giudiziale (Tribunale, su proposta debitore non fallibile, con OCC)Volontaria del debitore minore. Gestione rimane al debitore, OCC sorveglia.Struttura simile al concordato: proposta ai creditori con pagamento anche parziale, votazione (maggioranza semplice). Omologa vincolante per tutti.Piccolo imprenditore o consumatore con troppi debiti ma con capacità di pagare una parte. Procedura semplificata rispetto a concordato ordinario.

(La tabella sopra riassume le differenze salienti: la scelta dipende dalla dimensione dell’impresa, dalla frammentazione del debito e dalla praticabilità di soluzioni concordate rispetto alla necessità di un intervento giudiziale impositivo.)

Profili particolari: il debito ambientale nelle procedure concorsuali

Vale la pena soffermarsi ancora brevemente su come le procedure concorsuali trattano gli obblighi ambientali, data la specificità del caso “bonifiche amianto”. Abbiamo visto che: – Nel concordato preventivo, l’art. 87 CCII impone che il piano concordatario tenga conto dei costi di bonifica ambientale, se ce ne sono, al fine di non trascurare la tutela dell’ambiente . Ciò significa che se l’azienda ha siti da bonificare o rifiuti pericolosi da gestire, deve prevedere le spese relative nel piano, altrimenti il tribunale potrebbe non omologare reputando il piano inadeguato (specie alla luce del nuovo valore costituzionale dell’ambiente). – Se l’azienda in concordato continua l’attività, dovrà continuare a rispettare le normative ambientali. Un eventuale inadempimento potrebbe portare a revoca del concordato se compromette il piano (es. sanzioni non pagate). – Nel fallimento (liquidazione giudiziale), come evidenziato, c’è il dilemma: i costi di bonifica sono debiti di massa prededucibili o restano a carico dello Stato? La giurisprudenza recente tende a qualificarli come debiti prededucibili funzionali alla procedura, specie se è il curatore stesso a dover eseguire un’ordinanza per poter poi alienare i beni. Ad esempio, il Tribunale di Venezia 2020 (cfr. in dottrina) ha ammesso che il costo di smaltimento di rifiuti giacenti in un immobile fallimentare fosse considerato spesa della procedura, riducendo l’importo distribuibile ai creditori ipotecari che su quell’immobile vantavano garanzia . – In altri termini, l’interesse pubblico ambientale tende a entrare nella procedura concorsuale come creditore privilegiato invisibile: l’Ad. Plen. Consiglio di Stato ha detto chiaramente che la bonifica non può essere elusa per massimizzare il soddisfacimento dei creditori . Quindi, ad esempio, se la massa attiva è €1 milione, di cui €200k servono per mettere in sicurezza un capannone con amianto prima di venderlo, allora quei €200k saranno spesi e solo €800k andranno ai creditori, anche se magari una banca ipotecaria avrebbe preferito prendere l’immobile nello stato inquinato e rivalersi. – Di converso, se i beni sono talmente inquinati e la massa non ha fondi, il curatore può valutare la rinuncia all’attivo ex art. 213 CCII (già art. 104-ter LF) – lascia il bene al proprietario (ossia al fallito) o allo Stato. Così facendo, il costo di bonifica ricadrà sull’ente pubblico in ultima istanza, ma anche l’immobile rimane invenduto e i creditori ipotecari perdono quel valore. È uno scenario estremo che a volte viene adottato: “meglio abbandonare un sito inquinato piuttosto che sperperare quel poco che abbiamo in bonifiche, tanto i creditori non ci guadagnerebbero comunque”. Tuttavia, deve valutarsi caso per caso e con autorizzazione del Comitato dei creditori e giudice. – Se l’azienda aveva polizze fideiussorie ambientali (spesso richieste per discariche o bonifiche), il curatore potrebbe escuterle per finanziare la bonifica. Questo è un dettaglio: nel settore rifiuti, molte autorizzazioni richiedono garanzie per coprire costi di ripristino in caso di abbandono.

Per l’imprenditore bonificatore, la conclusione è: le questioni ambientali vanno affrontate, non possono essere scaricate sui creditori o ignorate. Anzi, in certe circostanze i debiti ambientali avranno priorità assoluta. Dunque, se l’azienda ha un deposito di eternit da smaltire e va in crisi, conviene cercare accordo con le autorità per farlo smaltire subito attingendo magari a fondi pubblici o al Fondo nazionale amianto se esiste per emergenze, prima che degeneri in un ordine giudiziario sotto fallimento.

Simulazione pratica: come affrontare la crisi di una società di bonifiche amianto

Per concretizzare tutti questi concetti, proponiamo una simulazione pratica di gestione della crisi di un’azienda di bonifica amianto indebitata. Immaginiamo il caso di EcoAmianto S.r.l., azienda (fittizia) in Toscana attiva da 10 anni nel settore bonifiche di amianto e siti contaminati. Negli ultimi tempi EcoAmianto ha accumulato debiti significativi per una serie di ragioni: il superbonus edilizio che includeva incentivi per la rimozione amianto è terminato, riducendo i nuovi lavori; un grosso cliente pubblico è in ritardo di un anno nei pagamenti; l’azienda ha investito in macchinari costosi con leasing e mutui, basandosi su previsioni di fatturato poi disattese dalla crisi pandemica ed energetica; inoltre, una contestazione con ARPAT ha portato a una sanzione e all’obbligo di smaltire urgentemente un quantitativo di rifiuti pericolosi che giaceva nel magazzino, a spese dell’azienda.

Al 31/12, EcoAmianto S.r.l. presenta questa situazione semplificata: – Debiti verso banche: €300.000 (mutuo ipotecario su capannone residuo €180k; scoperto conto €50k; leasing mezzi €70k). – Debiti tributari: €120.000 (IVA non versata ultimo anno €50k; ritenute dipendenti €20k; IRAP €10k; restante sanzioni e interessi arretrati). – Debiti previdenziali: €30.000 (INPS per ratei non versati e sanzioni). – Debiti verso fornitori: €200.000 (di cui €80k a ditta smaltimento rifiuti; €50k a noleggiatore ponteggi; resto vari fornitori DPI, consulenti, ecc.). – Debiti verso dipendenti: €50.000 (tredicesime e un paio di stipendi arretrati a 10 operai). – Altri debiti: €20.000 sanzione amministrativa ambientale da ASL e Comune in solido, per violazioni deposito rifiuti (non pagata). – Attivo: un capannone (valore di mercato €250k, ipotecato per mutuo); attrezzature e mezzi valore stimato €100k (leasing in corso su alcuni); crediti verso clienti €150k (ma €100k di questi sono verso enti pubblici con pagamenti bloccati per mancanza DURC); cassa bancaria attuale quasi zero.

La società ha 3 soci (familiari) che però non hanno grandi risorse personali liquide; l’amministratore è uno dei soci. I soci hanno prestato fideiussioni personali per l’affidamento in conto corrente (€50k) e per il leasing (€70k).

La situazione di EcoAmianto S.r.l. è critica: insolvenza di fatto (non paga regolarmente dipendenti e fornitori da 3 mesi, e non può pagare IVA); rischio di interventi esterni (Equitalia sta per iscrivere ipoteca per IVA non pagata, i dipendenti minacciano cause, la banca ha inviato lettera di revoca fido).

Fase 1: analisi e azioni immediate.
L’amministratore convoca un consulente legale e uno finanziario a inizio anno per analizzare la crisi. Per prima cosa, decidono alcune mosse urgenti: – Pagare almeno una mensilità ai dipendenti (trovando i fondi con pagamenti di alcuni piccoli clienti incassati) per placare gli animi e evitare dimissioni/vertente: spesa €20k. Contestualmente, attivare cassa integrazione ordinaria per calo di lavoro per 8 settimane in modo da ridurre il costo del personale temporaneamente e ottenere il pagamento INPS di parte degli stipendi. – Richiedere subito all’INPS un piano di rateazione per i €30k contributi: ottengono un piano in 18 rate da €1.700/mese, ottenendo così un DURC provvisorio regolare (appena versata la prima rata). – Con DURC regolare, sbloccano un pagamento importante: un Comune dove avevano completato una bonifica paga €50k arretrati non appena ricevuto il DURC. Questa liquidità viene in gran parte destinata ai dipendenti (come detto) e ai fornitori essenziali (danno €10k alla ditta smaltimento rifiuti per riprendere i conferimenti, e €5k al noleggiatore ponteggi). – Avviare colloqui con la banca: la lettera di revoca del fido verrebbe operativa tra 60 giorni. Chiedono alla banca una moratoria temporanea sugli addebiti e prospettano la possibilità di includere il debito in un piano di ristrutturazione. La banca si mostra cautamente disponibile a congelare la revoca se l’azienda intraprende un percorso formale (ad es. composizione negoziata) e se i soci apportano qualcosa. – Contestualmente, l’azienda presenta istanza alla Camera di Commercio per attivare la Composizione Negoziata. La situazione infatti appare recuperabile se si ristrutturano i debiti bancari e fiscali e si dilazionano i fornitori: ha ancora mercato (ordini potenziali ci sono, ma servono finanziamenti per eseguirli). – Il tribunale (su richiesta via CCIAA) concede subito misure protettive provvisorie: sospende per 2 mesi i termini di scadenza delle azioni esecutive: Equitalia sospende l’avvio di pignoramenti, i dipendenti non possono far sequestrare i conti. Ciò crea una tregua per lavorare al risanamento.

Fase 2: Composizione negoziata con esperto.
Viene nominato l’esperto, il Dott. Rossi. Dopo analisi, Dott. Rossi vede che la causa principale è la stretta finanziaria dovuta a investimenti e crediti incagliati, ma il lavoro non manca per il futuro (ci sono preventivi in attesa di conferma per €400k di lavori). Quindi suggerisce di puntare su un risanamento in continuità. Vengono convocate le parti principali: la banca, la ditta di smaltimento, e l’Agenzia Entrate (per debiti fiscali).

Dopo trattative, si arriva a uno schema di accordo: – I soci si impegnano a reperire €100.000 nuovi (attraverso un mutuo ipotecario seconda ipoteca su un immobile di famiglia + €20k da parenti). Questi fondi freschi servono a dare un contentino ai chirografari e a pagare parzialmente il Fisco. – La banca accetta di non revocare il fido e anzi di rinnovarlo per 12 mesi, e di congelare il pagamento del mutuo per 6 mesi (permettere respiro). In cambio, i soci firmano un’alluvionale (ulteriore ipoteca di 2° grado su capannone per il fido) e l’azienda si impegna a destinare incassi futuri prioritariamente a rientrare lentamente dallo scoperto. – La banca leasing accetta di rimodulare i canoni spalmando 2 anni in più (riducendo la rata da €3k a €2k mensile). – L’Agenzia delle Entrate: tramite il canale della composizione negoziata, grazie al D.Lgs. 136/2024, è possibile stipulare un accordo transattivo fiscale . L’azienda propone di pagare solo il 50% del totale tributi (€60k su €120k) di cui interamente l’IVA e ritenute (circa €70k) e nulla di sanzioni/interessi. In pratica pagherebbe €60k invece di €120k. Lo farebbe in 5 anni a rate semestrali da €6k. L’AE inizialmente è restia perché l’IVA qui verrebbe falcidiata del 50%. L’esperto evidenzia che, nel caso di fallimento, stima recupero per AE intorno al 20%. Porta anche un parere legale citando la Corte Cost. 245/2019 e la sentenza Corte Giustizia 2016 per convincerli che si può includere l’IVA senza problemi di disparità. L’Agenzia, considerata anche la perizia dell’esperto che attesta la convenienza, dà parere favorevole condizionato all’autorizzazione del tribunale. – L’esperto redige la sua relazione finale in cui dice che, con questi accordi, l’azienda risanerebbe: avrà uno sgravio fiscale di €60k, nuova finanza €100k dai soci, minori esborsi immediati grazie a banca e leasing che dilazionano. Il rapporto Patrimonio netto tornerebbe positivo di €50k entro un anno (attualmente è negativo). – I fornitori: la ditta smaltimento (credito €80k) e altri fornitori rilevanti (€50k) partecipano a un tavolo. L’azienda propone loro un saldo e stralcio 60%: cioè pagherà il 60% del dovuto in 24 mesi, a rate trimestrali, rinunciando al 40%. Propone anche di sottoscrivere cambiali per dare formalità (ma ciò non avverrà se si finalizza diversamente). Grazie alla mediazione, i fornitori (che temono di perdere tutto se l’azienda fallisce, vista la concorrenza di banche e Fisco) accettano la proposta al 60%. Diventeranno parti di un accordo omologato di ristrutturazione (si opta per questa via, come vedremo). – I dipendenti: oramai sono stati saldati di quasi tutto (grazie ai nuovi incassi e CIG). Resta il TFR maturato (€30k) che l’azienda si impegna a versare su un fondo appena migliora cassa. I dipendenti sono tenuti fuori dagli accordi essendo privilegiati e da pagare integralmente comunque. Viene però data loro garanzia che, se l’accordo va in porto, non perderanno il posto e riceveranno regolarmente i futuri stipendi.

Dopo circa 3 mesi di lavoro, c’è un accordo quadro con tutti i maggiori creditori. Ora, per dargli efficacia legale e ristrutturare ufficialmente, si hanno due opzioni: – Formalizzare il tutto come un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi art. 57 CCII, da sottoporre a omologazione. Abbiamo: banca, fornitori principali e AE come parti aderenti. Questi crediti rappresentano circa il 70% del totale debiti (i chirografari aderenti + la banca con ipoteca + AE). I creditori estranei (qualche piccolo fornitore non coinvolto e i dipendenti) verranno pagati integralmente fuori accordo. Quindi il requisito del 60% è soddisfatto e i non aderenti sono tutelati. – In alternativa, proporre un concordato preventivo in continuità sulla base di questi accordi. Ma in concordato ci sarebbe l’incognita del voto di eventuali piccoli creditori che, non essendo integralmente soddisfatti (i fornitori prendono 60%), dovrebbero votare. Tuttavia qui quasi tutti i fornitori rilevanti hanno già accettato 60%, quindi presumibilmente voterebbero sì. Resta l’AE che in concordato avrebbe diritto di veto su IVA a meno di cram-down. Sarebbe fattibile ma più lungo.

EcoAmianto opta per la soluzione accordo di ristrutturazione, in virtù della semplicità e del fatto che oramai ha l’adesione scritta di abbastanza creditori. L’esperto chiude formalmente la composizione negoziata dichiarando raggiunto un accordo.

Fase 3: Omologazione in tribunale dell’accordo e esecuzione.
Si deposita al Tribunale l’accordo di ristrutturazione con tutta la documentazione: piano dettagliato, accordi firmati dalle banche/fornitori/AE, attestazione di un professionista (lo stesso esperto o altro) che conferma che i creditori estranei saranno pagati integralmente e che l’accordo è sostenibile. Si chiede anche l’omologazione con transazione fiscale (ex art. 63 CCII) visto che include l’Agenzia Entrate.

Il tribunale fissa udienza, verifiche: i creditori estranei (un paio di piccoli fornitori per €10k totali e qualche consulente) vengono informati. Poiché questi saranno pagati al 100% entro 120 giorni come da piano, non fanno opposizione. L’INPS è estranea perché l’azienda ha già rateizzato fuori, quindi non c’è transazione contributiva vera e propria (ma se servisse, la includerebbe).

Nessun creditore si oppone; il tribunale omologa l’accordo ritenendo rispettati i requisiti (60% adesioni, convenienza per Erario attestata, ecc.). Nell’omologa viene anche autorizzato l’accordo transattivo fiscale, riducendo i debiti tributari come concordato .

Da questo momento: – La società riprende normale operatività senza spada di Damocle di azioni esecutive. Viene meno lo “stigma” della crisi perché non c’è stata declaratoria di insolvenza pubblica né lista falliti. – Nel Registro Imprese viene annotato l’accordo omologato (pubblicità legale, ma è comunque un segnale positivo: accordo di ristrutturazione concluso con successo). – L’azienda deve eseguire fedelmente l’accordo: ogni semestre paga i creditori aderenti secondo il piano. Paga puntualmente le rate fiscali al 30 giugno e 31 dicembre di ogni anno (con soldi dei nuovi lavori e un po’ il tesoretto soci). – L’Agenzia Entrate-Riscossione sospende e poi annulla le cartelle oggetto di transazione man mano che riceve i pagamenti concordati. – I fornitori che hanno accettato lo stralcio consegnano quietanza liberatoria dopo aver incassato l’ultima rata del loro 60%. – La banca a fine accordo (dopo 1 anno) vede i soci rispettare l’impegno di ridurre lo scoperto da 50 a 30k, quindi rinnova il fido convertendolo in finanziamento a medio termine. – Il mutuo ipotecario viene ripreso a pagare regolarmente dopo 6 mesi di sospensione. – L’INPS continua a incassare le sue rate del piano di dilazione, che l’azienda ora riesce a pagare dato il miglior equilibrio.

Esito: EcoAmianto S.r.l. dopo 2 anni risulta ancora attiva, con bilanci in ordine, un carico debiti dimezzato e sostenibile, i rapporti con fornitori normalizzati. I soci hanno perso qualcosa (hanno messo €100k di loro e hanno dovuto forse vendere un terreno di famiglia per ottenerli), ma hanno salvato l’azienda e le proprie garanzie non sono state escusse (nessun socio è fallito o ha dovuto pagare la banca, perché l’accordo li ha protetti indirettamente). I dipendenti hanno mantenuto il lavoro. I creditori hanno preso una percentuale soddisfacente rispetto al rischio fallimento (ad esempio i fornitori 60% anziché un ipotetico 20 in fallimento; la banca niente perdita su ipoteca e un rientro parziale su fido; il Fisco il 50 invece di 20). L’ambiente è salvo perché la sanzione ambientale è stata pagata e i rifiuti smaltiti (grazie ai €10k anticipati e al ripristino del servizio smaltimento).

Questa simulazione mostra come, coordinando gli strumenti legali (dalla negoziazione alla transazione fiscale all’accordo omologato), un’azienda di bonifiche con debiti può risanarsi. Naturalmente, non sempre è possibile salvare tutto: se, ad esempio, le commesse fossero sparite e il mercato crollato, forse sarebbe stato necessario optare per un concordato liquidatorio o liquidazione giudiziale, vendere i beni e chiudere. Ma anche in quel caso, i soci avrebbero potuto ottenere l’esdebitazione.

La lezione è che agire presto, con buon supporto professionale, coinvolgendo attivamente i creditori in soluzioni realistiche è la chiave per difendersi efficacemente da una crisi d’impresa.

Domande frequenti (FAQ)

Infine, raccogliamo alcune domande comuni che imprenditori, soci o anche creditori potrebbero porsi in relazione a una società di bonifiche amianto indebitata, fornendo risposte concise:

D: Se la mia S.r.l. fallisce, i debiti della società ricadranno su di me personalmente (come amministratore o socio)?
R: In generale no, i soci di S.r.l. non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali (principio della responsabilità limitata) . Gli amministratori neppure, salvo abbiano commesso irregolarità gravi o garantito personalmente obbligazioni. Tuttavia, ci sono eccezioni: ad esempio, i soci che hanno ricevuto somme nella liquidazione della società potrebbero doverle restituire ai creditori fino a concorrenza dei debiti non pagati (art. 2495 c.c.) . Oppure, se il socio o amministratore ha firmato una fideiussione a garanzia di un debito (es. mutuo bancario), quella garanzia resta valida e il creditore potrà escuterla contro il garante. Inoltre, l’amministratore potrebbe essere chiamato a rispondere con un’azione di responsabilità se ha aggravato il dissesto (ma in tal caso il risarcimento andrà alla massa fallimentare, non direttamente ai singoli creditori). In sintesi: la semplice insolvenza della S.r.l. non implica che i creditori possano toccare i beni personali dei soci/amministratori, a meno che non vi siano garanzie personali o comportamenti illeciti.

D: Ho debiti fiscali molto alti (IVA e ritenute). È vero che non si possono scontare e dovrò pagarli per forza integralmente?
R: Un tempo era quasi vero: l’IVA e le ritenute non versate erano considerate intoccabili, da pagare integralmente in ogni procedura (concordato) e non sgravabili nemmeno in transazione fiscale, perché legate a normative UE. Ma da alcuni anni la situazione è cambiata. Oggi è possibile proporre una transazione fiscale che riduca anche IVA e ritenute, a patto di rispettare certi criteri di convenienza . La Corte Costituzionale ha affermato che trattare diversamente l’IVA rispetto agli altri tributi può essere irragionevole se in concreto il Fisco non sarebbe pregiudicato (prenderebbe in concordato quanto o più che in fallimento) . Il nuovo Codice della Crisi consente di includere tutte le imposte nell’accordo transattivo, escludendo solo quelle costituenti risorse proprie UE (ma sulla definizione di queste risorse c’è dibattito, e sembra che l’IVA non rientri tra le risorse proprie dirette UE) . Quindi, se la tua azienda è in crisi, puoi tentare di stralciare una parte dell’IVA e delle sanzioni, mostrando al giudice che il Fisco ottiene comunque il massimo possibile. Naturalmente, l’ente dovrà essere d’accordo o potrà essere forzato dal tribunale solo in ambito di procedura concorsuale (concordato preventivo, ad esempio). Fuori da procedure, l’IVA va pagata integralmente salvo condoni normativi (es. “saldo e stralcio” per contribuenti in difficoltà, se previsti). Quindi in definitiva: no, non è vero che “non si può mai scontare” – in un piano di risanamento concordatario oggi si può prevedere il pagamento parziale dell’IVA con l’ok del tribunale . Resta vero però che il Fisco vorrà vedere soddisfatti almeno in parte quei crediti, difficilmente li azzererà.

D: Sto valutando la composizione negoziata. Ma non rischio di perdere tempo e soldi se poi i creditori non vogliono accordarsi?
R: La composizione negoziata è volontaria e richiede collaborazione dei creditori: non c’è garanzia di successo. Tuttavia, i vantaggi superano i rischi nella maggior parte dei casi in cui l’alternativa sarebbe il default incontrollato. Con la composizione negoziata puoi ottenere una sospensione delle azioni esecutive autorizzata dal giudice , e hai l’assistenza di un esperto che aiuta a trovare soluzioni equilibrate. Se nessun accordo è possibile, l’esperto chiuderà la procedura. Avrai sostenuto i costi dell’esperto (in genere contenuti, spesso calmierati dalla CCIAA) e di eventuali consulenti, ma nel frattempo avrai forse guadagnato qualche mese di respiro. In più, se la composizione fallisce, potrai passare subito a un concordato preventivo semplificato per liquidazione (procedura introdotta proprio per i casi in cui la negoziazione fallisce ma c’è un’offerta di acquisto di asset) oppure a un concordato ordinario, beneficiando del lavoro già svolto. Inoltre, la legge prevede misure premiali: se accedi tempestivamente, hai riduzioni di sanzioni e interessi fiscali e non scattano eventuali sanzioni per tardiva emersione della crisi. In sostanza, anche se non porti a un accordo firmato, la composizione negoziata può chiarire la tua situazione e predisporti per la fase successiva (concordato o liquidazione), avendo compreso le posizioni dei creditori. Quindi, il rischio di “tempo perso” c’è se la situazione era irreparabile sin dall’inizio (ma allora era doveroso provare?), il rischio di “soldi persi” è modesto rispetto ai debiti (meglio pagare qualche migliaio di euro un esperto che soccombere in cause dispendiose con ogni creditore).

D: In caso di fallimento, i crediti dei miei clienti verso di me (es. un committente pubblico che mi deve pagare una bonifica già fatta) li incassa il curatore? O posso usarli io per pagare dei debiti prima?
R: Una volta aperta la liquidazione giudiziale, tutti i crediti dell’azienda fallita diventano di competenza del curatore, che li riscuoterà e metterà a disposizione della massa creditori. Tu (imprenditore) perdi il potere di incassare e disporre di quei crediti. Pertanto, se hai fatture emesse verso clienti, sarà il curatore a notificarli che devono pagare al fallimento. Se incassassero su un tuo conto ancora attivo e tu li usassi per pagare qualche creditore in particolare, quell’atto potrebbe essere inefficace (pagamento eseguito dopo l’apertura fallimento) e il curatore potrebbe revocarlo per riprendersi la somma. Dunque, prima del fallimento, se vedi che la cosa è inevitabile, non è lecito preferire alcuni creditori pagando con gli ultimi incassi a scapito di altri (sarebbe pagamento preferenziale, potenzialmente revocabile entro 6 mesi dal fallimento se il creditore sapeva lo stato di insolvenza). L’unica eccezione: puoi utilizzare incassi prima del fallimento per pagare spese correnti necessarie alla conservazione del patrimonio o debiti che, se non pagati, aggraverebbero la situazione (es. mettere in sicurezza un impianto per evitare una sanzione ambientale imminente, pagando una ditta specializzata: quel pagamento potrebbe non essere revocato perché fatto nell’esercizio ordinario e nell’interesse della massa). Ma sono valutazioni delicate. La regola generale è: dalla dichiarazione di fallimento in poi, lasciar fare al curatore. Se vuoi pagare alcuni debiti strategici prima di un fallimento, meglio farlo nel contesto di un piano concordato (es. piano attestato o accordo) per essere esente da revocatoria, altrimenti rischi contestazioni se poi fallisci entro 6 mesi/un anno dal pagamento.

D: L’azienda è in crisi e rischia insolvenza. Come amministratore, qual è la mia responsabilità? Devo attivarmi o posso aspettare che i creditori agiscano?
R: Come amministratore hai il dovere legale di attivarti tempestivamente in presenza di segnali di crisi (art. 2086 c.c. e art. 3 CCII). Non puoi restare inerte aspettando i creditori: rischieresti l’azione di responsabilità per aver aggravato il dissesto. In particolare, se le perdite superano 1/3 del capitale e questo scende sotto il minimo legale, devi convocare subito l’assemblea per ricapitalizzare o trasformare la società (art. 2482-bis c.c.) . Se la società diventa insolvente, devi (o i sindaci devono) presentare ricorso per la procedura concorsuale appropriata (concordato o liquidazione) invece di lasciare che i creditori la chiedano. L’inattività configura mala gestio. Inoltre, il nuovo Codice della Crisi prevede strumenti di allerta (sebbene l’entrata in vigore di alcune parti sia stata modulata): gli organi di controllo e i creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS) possono segnalare la crisi se tu amministratore non agisci. Perciò, la difesa migliore per te stesso è essere proattivo: predisporre un piano, rivolgersi all’OCC o alla composizione negoziata, informare il CDA/soci della situazione, documentare di aver tentato di salvare l’azienda o quanto meno di non aver leso la par condicio. Se invece aspetti colpevolmente finché i debiti lievitano e i creditori fanno fallire la società, potresti rispondere dei danni (differenza tra il patrimonio al momento in cui dovevi attivarti e quello al fallimento). Senza contare possibili profili penali (la omessa dichiarazione di fallimento non è reato, ma la bancarotta semplice sì se hai aggravato il dissesto per negligenza). Quindi la risposta è: devi attivarti subito, cercando soluzioni di risanamento o avviando volontariamente una procedura concorsuale se necessario. È tuo obbligo fiduciario verso società e creditori.

D: Ho prestato fideiussione personale per i debiti bancari della società. Cosa posso fare per proteggermi se l’azienda non riesce a pagarli?
R: La fideiussione purtroppo ti vincola solidalmente: se la società non paga, la banca può chiedere a te l’intero importo garantito. Per proteggerti ci sono poche mosse:
1. Negoziare con la banca una liberazione o riduzione della garanzia nell’ambito di un piano di ristrutturazione. Ad esempio, se la banca accetta un concordato o accordo, puoi chiedere che in cambio del pagamento concordatario la tua fideiussione sia liberata (esplicitandolo nell’accordo omologato). Spesso le banche mantengono comunque la garanzia per la parte non pagata: se concordato paga 70%, potrebbero riservarsi di escutere il garante per il restante 30% a meno che il giudice non li vincoli diversamente. È un punto da trattare chiaramente durante la composizione negoziata: proporre anche la liberazione del garante come parte dell’offerta. 2. Se la società entra in concordato preventivo, la legge prevede la sospensione delle azioni verso i coobbligati o fideiussori solo nel concordato con continuità (art. 94 CCII), a discrezione del tribunale. Potresti richiederla: il tribunale può vietare alla banca di escutere te durante la procedura concordataria (per non turbare la continuità aziendale). Ma se il concordato va male, la banca poi si rifarà su di te. 3. In caso di fallimento della società, la banca ti potrà escutere interamente a prescindere dall’insinuazione al passivo. Tu avrai però diritto di insinuarti a tua volta nel fallimento come creditore di regresso (per quanto pagato). Ma recupererai spesso poco, e solo dopo che la banca è stata soddisfatta pro quota nel fallimento. 4. Puoi valutare un’assicurazione sulla vita o strumenti di tutela personale (non per evitare pagamento, che è dovuto, ma per creare un salvagente: ad es. se possiedi beni, vaglia un fondo patrimoniale, anche se come detto i debiti d’impresa possono essere ritenuti di necessità familiare e quindi attaccabili).

In sintesi, la strada migliore è integrarti nelle trattative di ristrutturazione aziendale: fai valere il tuo ruolo di garante al tavolo, spingendo per una soluzione che copra la maggior parte del debito bancario, così che la banca non abbia interesse o titolo per aggredirti. Ad esempio, se l’azienda va in concordato e paga l’80% alla banca, la banca magari rinuncia a chiederti il 20% residuo (a volte lo formalizzano). Assicurati di includere clausole di liberazione del fideiussore negli accordi transattivi con i creditori garantiti.

D: È vero che i crediti per danni ambientali o multe non vengono cancellati nemmeno dal fallimento o dall’esdebitazione?
R: Dipende. I crediti da sanzioni amministrative (come multe ambientali) in genere non sono esclusi dall’esdebitazione civile: quella esclude le sanzioni penali e amministrative pecuniarie per condotte rilevanti penalmente . Una multa ambientale ex art. 257 Dlgs 152/06 (omessa bonifica) potrebbe essere considerata sanzione amministrativa derivante da reato (in realtà quell’articolo è penale se ricordo, ma poniamo una dell’ASL per violazione sicurezza: è amm.va). Se è puramente amministrativa, rientra nei debiti concorsuali e dopo il fallimento, con l’esdebitazione, dovrebbe essere cancellata (non è un credito personale di mantenimento né un risarcimento da illecito civile doloso). Invece, le obbligazioni risarcitorie da reato (es: il Ministero dell’Ambiente ti fa causa civile per danno ambientale doloso, milioni di euro) restano fuori dall’esdebitazione se il reato è doloso. Anche le ammende e multe penali non si cancellano: ma quelle sono del tutto personali (il fallimento non incide). Quindi: una sanzione amministrativa ambientale, se è concorsuale, sarà trattata come credito chirografario. Se non viene soddisfatta integralmente, in fallimento il residuo… in teoria con l’esdebitazione del fallito persona fisica verrebbe cancellato, perché la legge non la esclude esplicitamente. Attenzione però: a volte le norme speciali prevedono che certe obbligazioni ambientali rimangano a carico. Ad esempio, l’obbligo di bonifica di un sito è propter rem (legato al bene): se il bene resta tuo dopo la procedura, l’obbligo di bonifica rimane, non è “debito” in senso stretto ma obbligo di fare. E se non lo fai, ti rifanno un’ordinanza anche post-fallimento. Quindi l’esdebitazione non è una panacea per gli obblighi ambientali futuri. Però per i debiti pecuniari passati derivanti da multe, tendenzialmente sì, potrai liberartene con l’esdebitazione, salvo appunto eccezioni relative a reati dolosi. In ogni caso, è consigliabile chiarire questi aspetti nel decreto di esdebitazione del giudice (il giudice potrebbe escludere alcune poste; l’avvocato del debitore può chiedere di includerle).

D: L’azienda ha un consorzio con altre imprese. Se l’azienda fallisce, il consorzio viene coinvolto? O viceversa, se fallisce il consorzio, che succede alle imprese consorziate?
R: Se il consorzio è un soggetto giuridico distinto (es. un consorzio con attività esterna, con fondo consortile), esso può essere dichiarato insolvente separatamente. Il fallimento del consorzio non comporta il fallimento automatico delle consorziate, perché queste non sono soci illimitatamente responsabili (a meno che il consorzio non fosse in forma di società di persone con consorziati illimitatamente responsabili). I consorziati potrebbero però subire richieste di adempimento per obbligazioni che il consorzio aveva assunto per conto loro . Ma in generale, il fallimento del consorzio lascia indenni i membri salvo il patrimonio conferito (perdono magari eventuali crediti verso il consorzio). Viceversa, se una consorziata fallisce, bisogna vedere il regolamento consortile: di solito c’è clausola di scioglimento del rapporto per quell’impresa. Il consorzio prosegue con gli altri. I creditori del consorziato fallito non possono far nulla sui beni del consorzio, se non eventualmente escutere il consorzio per crediti che il consorzio aveva verso la consorziata (non comune). In poche parole, c’è autonomia patrimoniale. Caso particolare: se il consorzio è organizzato come S.r.l. consortile (società consortile), è come una normale S.r.l.: il fallimento della consorziata (che è socia) non incide direttamente sulla S.r.l. consortile, al più le quote di quella socia verranno liquidate dal curatore. E il fallimento della S.r.l. consortile non coinvolge i soci consorziati oltre la perdita delle loro quote, in base al principio dell’autonomia perfetta . Quindi, l’effetto domino consorzio-consorziate in termini giuridici puri non c’è (a differenza delle società di persone dove soci e società falliscono insieme). Tuttavia, in termini di attività: se la tua azienda fallisce ed era parte di un consorzio che eseguiva lavori, questo può disturbare il consorzio e i suoi committenti, che magari rescindono contratti, ecc. Ma legalmente i patrimoni restano separati.

D: Meglio un piano attestato (accordi privati) o un concordato preventivo?
R: Dipende dalla gravità e composizione del debito. Un piano attestato conviene se: hai fiducia di coinvolgere bilateralmente i pochi creditori chiave, vuoi evitare pubblicità e costi di tribunale, e se puoi comunque pagare gli altri normalmente. È rapido e flessibile, ma non blocca i dissenzienti. Un concordato preventivo serve se: hai troppi creditori per accordarti uno a uno, devi imporre sacrifici anche a chi non acconsentirebbe, e hai bisogno della protezione del tribunale (moratoria e stop a esecuzioni). Il rovescio della medaglia è che il concordato è pubblico, costoso (devi pagare commissari, spese), e più rigido (richiede maggioranze e omologa, mesi di procedura). In genere, se la situazione è recuperabile fuori dalle aule, il piano attestato o accordo omologato (ex 57 CCII) è preferibile. Se invece la situazione è complessa o vi sono molti creditori eterogenei, il concordato è l’unico che può dare un taglio netto ai debiti con un voto a maggioranza. Spesso le aziende provano prima la via stragiudiziale (piano attestato) e passano al concordato solo se quella fallisce. Nel nostro contesto: se ad esempio hai 100 fornitori da stralciare e non puoi pagarne alcuni integralmente, il concordato è inevitabile per vincolare tutti. Se hai 3 banche e 5 fornitori e li persuadi in privato, vai di piano attestato. Quindi la regola è: preferisci gli strumenti meno invasivi finché fattibili, ma non esitare a passare a concordato se servono poteri coercitivi della procedura. A volte i creditori stessi ti spingono: se minacciano azioni, il concordato li ferma e li costringe a trattare dentro quella sede.

Conclusione: gestire una crisi d’impresa nel settore delle bonifiche da amianto richiede un’attenta combinazione di azioni difensive (verso creditori, enti e potenziali procedimenti) e proattive (ristrutturazione interna, piani di risanamento). Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere i propri diritti e obblighi e sfruttare gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per ridurre il debito, dilazionarlo e proteggere il patrimonio essenziale. Ogni situazione è unica: vanno valutati importi, tipi di creditori e cause della crisi. Questa guida ha fornito un quadro avanzato degli strumenti giuridici in vigore al 2025 e delle strategie pratiche per difendersi dai debiti e cercare, se possibile, di rilanciare l’attività o quantomeno chiuderla in modo ordinato e dignitoso.

In particolare, per un’azienda di bonifiche amianto indebitata, sarà cruciale: – mantenere la conformità legale e ambientale durante la crisi (pena sanzioni e rischi penali), – coinvolgere professionisti esperti (legali, economici) sin dalle prime avvisaglie, – non nascondere la testa sotto la sabbia (il tempo aggrava i debiti per interessi e azioni giudiziarie), – comunicare con trasparenza ai creditori la volontà di trovare soluzioni (spesso è apprezzato e genera aperture, anziché costringerli a fare causa), – tenere sempre presente la tutela della continuità aziendale come valore, ma senza ostinazione: se l’impresa non è più salvabile, meglio optare per una liquidazione pilotata che trascinare tutti nel baratro.

Con le informazioni dettagliate fornite e gli esempi concreti, chiunque – imprenditore, professionista o creditore – potrà orientarsi meglio in questo complesso campo del diritto della crisi d’impresa, applicato a un settore non facile come quello ambientale. La normativa italiana offre oggi più vie di uscita rispetto al passato, e l’aggiornamento costante (anche grazie agli interventi del 2024-2025) denota una volontà di rendere le procedure di insolvenza più efficaci e meno punitive, a beneficio sia del debitore meritevole sia dei creditori nel loro insieme. Sapere cosa fare e come difendersi è il primo passo per trasformare una situazione di sovraindebitamento da fine certa a possibile nuovo inizio.

Hai un’azienda specializzata in bonifiche ambientali o nella rimozione dell’amianto che sta affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai un’azienda specializzata in bonifiche ambientali o nella rimozione dell’amianto che sta affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento o rischi pignoramenti e blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione o dei fornitori?

👉 Prima regola: agisci subito, non aspettare che la situazione peggiori.
Le aziende che operano nel settore delle bonifiche ambientali e nella rimozione dell’amianto sono soggette a costi operativi altissimi, obblighi normativi severi e ritardi nei pagamenti dei committenti pubblici e privati.
Con una strategia legale e contabile mirata, puoi bloccare le azioni esecutive, ridurre il carico debitorio e tutelare la continuità della tua impresa.


⚖️ Le cause più comuni di indebitamento nel settore bonifiche

  • Aumenti dei costi di smaltimento, trasporto e sicurezza sul lavoro.
  • Ritardi nei pagamenti dei clienti pubblici e privati.
  • Pesante pressione fiscale e contributiva.
  • Costi elevati di assicurazioni e certificazioni ambientali.
  • Errori nella gestione dei crediti d’imposta o delle agevolazioni ecologiche.
  • Sanzioni ambientali o fiscali non gestite tempestivamente.
  • Eccessivo ricorso a finanziamenti bancari per investimenti in macchinari.

📌 I rischi per un’azienda di bonifiche indebitata

  • Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti e beni aziendali.
  • Fermi amministrativi su mezzi e attrezzature operative.
  • Iscrizioni ipotecarie su capannoni, depositi o impianti.
  • Revoca di linee di credito bancarie o blocco di affidamenti.
  • Sospensione dei rimborsi fiscali o dei crediti ambientali.
  • Rischio di liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza prolungata.

🔍 Cosa fare subito

  1. Analizza la posizione debitoria: individua i debiti fiscali, contributivi e commerciali.
  2. Verifica la legittimità delle cartelle o delle intimazioni ricevute: molte contengono vizi o errori di notifica.
  3. Blocca eventuali azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, fermi) tramite ricorso o sospensione.
  4. Richiedi una rateizzazione sostenibile o valuta la definizione agevolata (“rottamazione”) se disponibile.
  5. Affidati a un avvocato tributarista esperto in gestione della crisi d’impresa, per pianificare la difesa e la ristrutturazione del debito.

🧾 Strumenti per difendersi e risanare i debiti

💠 Rateizzazione dei debiti fiscali

Puoi ottenere fino a 120 rate mensili per le cartelle esattoriali, sospendendo pignoramenti e azioni di riscossione.

💠 Definizione agevolata o “rottamazione”

Quando prevista dalla normativa, consente di pagare solo l’imposta dovuta, eliminando sanzioni e interessi.

💠 Istanza di autotutela o ricorso tributario

Permette di contestare debiti prescritti o errati e di bloccare la riscossione illegittima.

💠 Composizione negoziata della crisi

Strumento innovativo che consente di negoziare con Fisco, banche e fornitori, bloccando le azioni esecutive e preservando la continuità aziendale.

💠 Piano di risanamento aziendale

Consente di ristrutturare i debiti, ridurre i costi fissi e riprendere l’attività in equilibrio economico.


🛠️ Strategie di difesa per un’azienda di bonifiche indebitata

  • Esaminare tutti gli atti fiscali e bancari per individuare vizi e prescrizioni.
  • Contestare pignoramenti, ipoteche o fermi amministrativi illegittimi.
  • Dimostrare la temporanea crisi di liquidità dovuta ai ritardi nei pagamenti pubblici.
  • Attivare piani di rateizzazione e composizione negoziata per evitare la paralisi operativa.
  • Proteggere mezzi, macchinari e beni aziendali da azioni esecutive.
  • Riorganizzare la gestione fiscale e finanziaria per prevenire nuovi debiti.

⚖️ Perché agire subito è fondamentale

Nel settore delle bonifiche ambientali, un blocco dei mezzi o delle commesse può interrompere l’attività e causare la perdita delle certificazioni e delle autorizzazioni operative.
Intervenire tempestivamente ti permette di:

  • Evitare la sospensione dei lavori e la perdita dei clienti;
  • Mantenere attive le certificazioni ambientali;
  • Difendere la reputazione dell’impresa;
  • Rinegoziare i debiti e preservare i posti di lavoro.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la posizione debitoria e gli atti di riscossione ricevuti.
  • 📌 Verifica vizi, prescrizioni o errori di calcolo nei debiti fiscali.
  • ✍️ Predispone ricorsi, istanze di autotutela e piani di ristrutturazione aziendale.
  • ⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e alla Corte di Giustizia Tributaria.
  • 🔁 Offre consulenza completa su fiscalità ambientale, crediti d’imposta e gestione della crisi aziendale.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
  • ✔️ Specializzato nella difesa di aziende di bonifica, imprese ambientali e società ecologiche con debiti fiscali e bancari.
  • ✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Un’azienda di bonifiche amianto con debiti può ristrutturarsi e ripartire, ma solo agendo subito con competenza e metodo.
Con una difesa fiscale e legale mirata, puoi bloccare pignoramenti e cartelle, ridurre l’esposizione debitoria e salvare la continuità operativa della tua impresa, tutelando al contempo l’ambiente e i lavoratori.


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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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