Accertamento Fiscale Per Coefficiente Di Redditività Contestato: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale basato su un coefficiente di redditività presunto o contestato?
L’Agenzia delle Entrate utilizza i coefficienti di redditività per stimare il reddito imponibile di imprese, professionisti e autonomi in assenza di prove contabili complete o quando rileva incongruenze tra ricavi e spese.
Tuttavia, questi valori sono presunzioni statistiche, non certezze: se applicati in modo arbitrario o non coerente con l’attività svolta, possono portare a accertamenti ingiusti o eccessivi. Con una difesa adeguata e ben documentata, è possibile contestare il coefficiente applicato e ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa fiscale.


Cos’è il coefficiente di redditività e quando viene utilizzato
Il coefficiente di redditività è una percentuale media di profitto che l’Agenzia delle Entrate applica per stimare il reddito in base ai ricavi dichiarati o presunti.
Viene utilizzato in particolare:
– negli accertamenti analitico-induttivi (art. 39, D.P.R. 600/1973), quando la contabilità presenta irregolarità;
– negli accertamenti con studi di settore, ISA o parametri;
– in caso di omessa dichiarazione o gravi incongruenze tra redditi e spese;
– per professionisti o imprese minori privi di scritture contabili affidabili.

Il problema nasce quando l’Ufficio applica coefficiente medio di categoria senza considerare la realtà economica specifica del contribuente.


Quando il coefficiente di redditività può essere contestato
– Se è stato applicato un coefficiente errato o riferito a un codice ATECO diverso
– Se l’Ufficio non ha tenuto conto di fattori correttivi (zona geografica, stagionalità, andamento del mercato)
– Se la contabilità è regolare e attendibile, ma è stata comunque disconosciuta
– Se il coefficiente è stato calcolato su ricavi presunti e non su dati reali
– Se l’accertamento è privo di motivazione o non spiega perché è stato scelto quel valore di redditività
– Se l’Agenzia non ha instaurato un contraddittorio preventivo con il contribuente


Come difendersi da un accertamento basato sul coefficiente di redditività
– Dimostrare, con documentazione contabile e bancaria, i ricavi e i costi effettivi dell’attività
– Presentare dati di settore, bilanci e studi di mercato che giustificano margini inferiori rispetto a quelli presunti
– Contestare la mancanza di motivazione o di contraddittorio nell’avviso di accertamento
– Evidenziare circostanze specifiche (crisi di settore, riduzione clienti, eventi straordinari, pandemia, ecc.)
– Produrre relazioni tecniche o perizie economiche che dimostrino la corretta redditività
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, chiedendo anche la sospensione della riscossione


Il ruolo dell’avvocato nella difesa contro l’accertamento
– Analizzare la legittimità del metodo induttivo o del coefficiente utilizzato
– Verificare la presenza di prove concrete a sostegno dell’accertamento
– Contestare la violazione del contraddittorio e della motivazione dell’atto
– Redigere un ricorso basato su dati contabili, giurisprudenza e prassi amministrativa
– Assistere il contribuente nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate
– Tutelare il patrimonio e la reputazione fiscale da presunzioni e ricostruzioni arbitrarie


Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione significativa del reddito accertato e delle imposte richieste
– La cancellazione o riduzione delle sanzioni e degli interessi
– Il riconoscimento della correttezza della contabilità e dei dati dichiarati
– La piena tutela della tua attività professionale o imprenditoriale


⚠️ Attenzione: gli accertamenti basati su coefficienti di redditività standardizzati spesso non riflettono la realtà economica di ogni singolo contribuente.
Molti atti dell’Agenzia delle Entrate si fondano su presunzioni generiche o calcoli medi di categoria, facilmente contestabili se si dimostra la specificità dell’attività.
Agire subito, con una difesa tecnica e personalizzata, è fondamentale per evitare imposte e sanzioni ingiuste.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale – spiega come difendersi da un accertamento basato su coefficienti di redditività contestati, quali errori commette più spesso l’Agenzia e come ottenere la riduzione o l’annullamento della pretesa fiscale.

👉 Hai ricevuto un accertamento fondato su coefficienti di redditività presunti?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo il tuo caso, confronteremo i dati applicati e costruiremo la strategia difensiva più efficace per proteggere la tua attività e i tuoi redditi.

Introduzione

Il regime forfettario italiano prevede che il reddito imponibile del contribuente venga determinato forfetariamente applicando ai ricavi/perfitti un coefficiente di redditività fissato per legge . Tale coefficiente, variabile dal 40% all’86% a seconda del settore di attività (es. 78% per attività professionali, 67% per “altre attività” come artigiani e commercianti, 40% per il commercio al dettaglio, 86% per costruzioni edili, ecc.) , rappresenta il margine di reddito presunto fissato nel tempo e consente di semplificare il calcolo fiscale. Nel contrasto di questi coefficienti da parte dell’Agenzia delle Entrate ha origine un accertamento fiscale «per coefficiente di redditività contestato». In pratica, l’ufficio ritiene che il codice ATECO (e quindi il coefficiente) dichiarato dal contribuente non corrisponda all’attività effettivamente svolta, e procede a ricalcolare il reddito imponibile secondo criteri ordinari o parametrici.

In questa guida – aggiornata a settembre 2025 – esamineremo tutte le implicazioni di un simile accertamento: il quadro normativo di riferimento, i poteri dell’Amministrazione e i diritti del contribuente, le strategie difensive concrete, nonché esempi numerici e tabelle riassuntive. Particolare attenzione è riservata alle categorie di contribuenti più coinvolte (professionisti, commercianti, artigiani, agenti di commercio, ecc.) e alle più recenti pronunce giurisprudenziali. Dove rilevante, saranno richiamati anche gli strumenti parametrici di accertamento analoghi (studi di settore o indici sintetici di affidabilità – ISA) e i loro effetti, pur essendo i forfettari esonerati da tali presidi .

1. Regime forfettario e coefficienti di redditività

Il regime forfettario – introdotto dall’art. 1, commi 54-89 della L. 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di Stabilità 2015) – è riservato a persone fisiche esercenti impresa, arte o professione che rispettino determinati requisiti quantitativi (limiti di ricavi/compensi, possesso di “cause ostative” assenti, ecc.). Per i contribuenti in tale regime, il reddito imponibile si calcola forfetariamente: non è necessario dettagliare tutte le spese sostenute, ma si applica ai ricavi un coefficiente prefissato. In concreto, il reddito imponibile IRPEF (e Irap, per i soggetti in via di principio soggetti) si ottiene moltiplicando l’ammontare dei ricavi/compensi percepiti per il coefficiente di redditività previsto dal codice ATECO dell’attività (secondo le tabelle ministeriali) . L’imposta sostitutiva (senza IRPEF progressiva, scaglioni, addizionali regionali/comunali né IRAP) si applica al risultato con aliquota del 15% (5% per i primi 5 anni, se ricorrono condizioni) . Inoltre, il regime forfettario dà esenzione IVA (il contribuente non applica l’IVA sulle fatture) e non prevede tenuta di scritture contabili complesse.

Tabella 1Coefficiente di redditività nel regime forfettario (Allegato 4 alla L.190/2014, art.1 comma 64) :

Attività (Codici ATECO 2007)Coefficiente di redditività (%)Limite ricavi/compensi (€/anno)
Industrie alimentari, bevande (10-11)40%35.000
Commercio all’ingrosso e dettaglio (45, 46.2–46.9, 47.1–47.7, 47.9)40%40.000
Commercio ambulante generi alimentari (47.81)40%30.000
Commercio ambulante altri generi (47.82, 47.89)54%20.000
Costruzioni, attività immobiliari (41-42-43, 68)86%15.000
Intermediari del commercio (46.1)62%15.000
Servizi di alloggio e ristorazione (55-56)40%40.000
Professioni, servizi finanziari/assicurativi, istruzione, sanità (65-75, 85-87, 01-03, 58-64, 69-74, 85-87)78%15.000
Altre attività economiche (artigiani, commercianti al dettaglio, ecc.) (codici diversi da sopra)67%20.000

(Fonte: Allegato 4, art.1, L.190/2014)

Questa tabella illustra i coefficienti applicabili: ad esempio, un avvocato (codice ATECO 69.10) o un informatico (62.01) rientrano nella voce “Attività professionali…”, coefficiente 78%, mentre un piccolo negozio di abbigliamento (codice ATECO 47.71) rientra nelle “altre attività economiche” (67%). Un ristorante (55.10) utilizza il coefficiente 40%, un’impresa edile (42.22) l’86% e così via. Si noti che l’ammontare dei ricavi annui (soglia di accesso/permanenza) è anch’esso specificato (ad es. 85.000 € da inizio 2023 per il requisito generale, con uscita immediata superando 100.000 € in corso d’anno) .

Il regime forfettario, proprio perché forfettario, non richiede la determinazione analitica di costi e ricavi: le spese effettive non vanno documentate ai fini del reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Ne consegue che il coefficiente di redditività è invulnerabile dall’ottica di chi è in regolare applicazione del regime: il contribuente “accetta” che ad esempio, se applica 78% su 30.000 €, il reddito dichiarato sarà 23.400 € e non potrà dedurre altri costi oltre quelli figurativi già considerati.

Tuttavia, proprio per questa stessa meccanica, l’Agenzia delle Entrate, al fine di verificare il corretto inquadramento del contribuente, può contestare la classificazione e/o l’applicazione del coefficiente. In altre parole, l’ufficio può sostenere che il contribuente appartiene a un diverso codice ATECO (es. “in realtà svolge un’altra attività” a vista o tramite elementi esterni) oppure che ha violato qualche requisito del regime (ricavi oltre soglia o altro). In tali casi si giunge a un accertamento da regime forfettario in cui si ritenuta inapplicabile il coefficiente dichiarato, rideterminando il reddito con regole ordinarie o parametriche alternative.

1.1 Quando il forfettario è esonerato da studi/ISA

Un importante punto di contestazione e difesa riguarda il fatto che i contribuenti in regime forfettario non sono assoggettati agli studi di settore né agli ISA . Ciò significa che l’ufficio non può imputare un reddito minimo di settore stabilito da questi parametri automatici: non esistono vincoli di congruità parametrici. Formalmente, lo Statuto del Contribuente (art. 9 co.3-bis L. 212/2000) e le disposizioni attuative hanno esonerato i forfettari dall’applicazione degli strumenti parametrici (studio di settore o ISA). Di conseguenza, non può darsi che l’Agenzia ricostruisca il reddito del forfettario usando quegli indici. Tale evenienza semplifica la difesa: l’avviso di accertamento non potrà mai menzionare “esito dello studio di settore” per un forfettario. In pratica, le contestazioni si concentreranno sulle cause ostative o sul superamento delle soglie (e, di conseguenza, la perdita del regime) o su riscontri di ricavi non dichiarati riscontrati per altre vie (conto corrente, presunzioni, lussi anomali, ecc.).

Al contrario, un contribuente che non è in forfettario (ad esempio è in regime semplificato ordinario) può subire accertamenti basati sugli studi/ISA: in tali casi, se il reddito dichiarato risulta anormalmente basso rispetto ai parametri, il Fisco potrà procedere a un accertamento analitico-induttivo supplementare per adeguare il reddito a standard minimi (anche se i forfettari non sono toccati da questa fattispecie). In sintesi, per il contribuente forfettario il problema non è lo “studio di settore” ma piuttosto l’eventuale ricalcolo analitico in caso di decadenza dal regime.

2. Cause di accertamento e poteri dell’Amministrazione

Un avviso di accertamento che contesti il regime forfettario per coefficiente di redditività può derivare da varie fattispecie fattuali. Nella prassi tributaria si riscontrano in particolare due macrocasi:

  • Contestazione dei requisiti del regime (accertamento sullo stato di fatto): l’ufficio sostiene che il contribuente non poteva applicare il regime forfettario in primo luogo. Ciò può avvenire per: (i) superamento di uno dei limiti di ricavi/compensi previsti (ad es. oltre 85.000 € nel periodo precedente, o 100.000 € nell’anno in corso); (ii) mancato rispetto di altri requisiti soggettivi (ad es. aver esercitato un’attività precedente incompatibile, come indicato dall’art.1 co.54-89 L.190/2014); (iii) presenza di cause ostative specifiche (ad es. essere socio occulto di una società di cui si detengono i ricavi). In tali casi l’atto di accertamento decade il regime: si disconosce l’applicazione del forfettario e si ridetermina il reddito secondo le regole ordinarie (imponibile = ricavi – costi), imponendo IRPEF/IRAP progressive e IVA, ove dovuta . Per esempio, se l’accertamento rileva che un contribuente forfettario è in realtà socio occulto di una società (caso possibile per agenti di commercio, ecc.), l’Ufficio calcolerà il suo reddito come impresa analitica, ricalcolando i costi conosciuti o ricostruendo il reddito al netto di un coefficiente congruo .
  • Accertamento per omessa/infedele dichiarazione (accertamento induttivo): se il contribuente non ha presentato la dichiarazione dei redditi per gli anni di attività o ha nascosto ricavi (anche nel regime agevolato, è pur sempre possibile “nascondere” fatture), l’Agenzia può procedere con un accertamento induttivo puro ex art.39, comma 2, DPR 600/1973. In pratica si assume che i ricavi effettivi siano maggiori o che i prelevamenti bancari non giustificati siano reddito occulto. In questo caso l’atto contesterà una evasione d’imposta, stimando i ricavi sulla base di dati “indiziari” (movimenti bancari, volumi di affari di terzi, presunzioni del reddito medio di settore) e non sui coefficienti predefiniti . Peraltro, se emergono spese di lusso o beni acquistati con introiti apparentemente bassi, l’Ufficio potrebbe evocare l’accertamento sintetico (redditometro ex art.38 DPR 600/73) anche nei forfettari: va però ricordato che il redditometro calcola il reddito complessivo delle persone fisiche al netto dell’imposta sostitutiva già versata, e punta a verificare il tenore di vita.

Nei casi sopra descritti il contribuente riceve prima il processo verbale di constatazione (PVC) al termine di una verifica fiscale, quindi un eventuale invito al contraddittorio, e infine l’avviso di accertamento. Secondo la disciplina vigente, ogni contribuente ha il diritto di esporre le proprie ragioni prima dell’atto definitivo. Per l’IVA ed altre imposte armonizzate il contraddittorio preventivo è generalmente obbligatorio (art. 12, co.7, L. 212/2000 come modificato dalla riforma recente), mentre per l’IRPEF tale invito non era sempre formale, ma in prassi l’Agenzia convoca spesso il contribuente a un incontro per chiarimenti (anche su sollecitazione dell’art. 12 Statuto) . In questa fase il contribuente può presentare memorie difensive e documenti a sostegno della propria posizione. Solo trascorsi 60 giorni dal contraddittorio – oppure direttamente, in caso di mancato invito – viene emanato l’avviso di accertamento, che diviene atto esecutivo (il Fisco può subito iscrivere a ruolo un terzo delle somme accertate, a titolo di acconto) .

2.1 Diritti del contribuente e onere della prova

Nel procedimento accertativo il contribuente gode di garanzie procedurali forti: oltre alla possibilità del contraddittorio, ha diritto ad osservazioni e accertamento istruttorio. Dal 2023 l’art.12 dello Statuto del Contribuente (L.212/2000) è stato aggiornato per prevedere il contraddittorio come regola generale in sede amministrativa . Dunque, anche nel contesto forfettario l’Ufficio non può ignorare le ragioni del contribuente prima di emettere l’atto.

Sul piano sostanziale, il principio costituzionale di capacità contributiva (art.53 Cost.) impone che il reddito tassato corrisponda alla reale capacità di produrre reddito. Pertanto, anche quando si ricostruisca il reddito basandosi su presunzioni (p.es. movimenti bancari ex art.32 DPR 600/73), occorre dare rilievo ai costi inerenti. La giurisprudenza di legittimità è chiara: il contribuente può sempre opporsi alle presunzioni di maggior reddito proponendo elementi idonei a dimostrare l’esistenza di costi deducibili .

  • Oneri probatori: in un accertamento analitico-induttivo, l’ufficio deve indicare le incongruenze (ad es. prelievi non giustificati) che motivano l’accertamento. Da quel momento l’onere sposta sul contribuente, che deve provare il contrario o quantomeno fornire elementi per ridurre la pretesa. La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che, nell’ambito di accertamenti basati su presunzioni, il contribuente può sempre opporre la «prova presuntiva contraria» . Ciò significa che, se il Fisco presume ricavi non dichiarati (p.es. da prelievi bancari o ricarichi anomali), il contribuente ha diritto di far valere, tramite documenti o anche indizi logici, l’incidenza percentuale dei costi di produzione sostenuti. In pratica, non si può tassare l’intero ammontare di un presunto ricavo senza dedurre alcun costo.

Per esempio, la Cass. 18231/2023 ha censurato il meccanismo della doppia presunzione (pretendere ricavi e trascurare i costi) , ribadendo che un contribuente può eccepire un coefficiente forfettario di costi sui ricavi occultati. Analogamente, l’ordinanza Cass. n.12988/2025 – alla luce anche dell’intervento della Corte Costituzionale n.10/2023 – stabilisce che anche negli accertamenti analitico-induttivi basati su indagini bancarie l’Agenzia deve riconoscere una percentuale forfettaria di costi sui maggiori ricavi accertati . In breve: il contribuente può proporre una stima dei costi medi del settore (ad es. «in questo settore di solito il margine lordo netto è del 30%» e dedurre il restante 70% come costo) e il giudice tributario dovrà valutarla .

  • Presunzioni legali: ricordiamo inoltre la presunzione di legge di cui all’art.32, comma 1, n.2, DPR 600/73: i prelevamenti bancari non giustificati costituiscono ricavi a tutti gli effetti (uso comune per ricostruire redditi d’impresa elusivi). La Corte Costituzionale n.10/2023 ha dichiarato costituzionalmente legittima questa presunzione, imponendo però un’interpretazione che rispetti il principio di capacità contributiva . In pratica, con Cass. 12988/2025 si è chiarito che anche dopo aver assunto i prelievi come ricavi occulti, occorre comunque dedurre i costi correlati, allo scopo di non tassare il contribuente sul reddito lordo.

In sintesi, il contribuente deve provare l’esistenza dei costi correlati ai ricavi contestati, ma non solo con documentazione puntuale: può utilizzare ogni elemento (fatture, scritture, dati di settore, persino indicazioni contrarie di stampo forfettario) per far capire quale percentuale dei ricavi rappresenti reddito effettivo. Le recenti pronunce garantiscono che non si possa più procedere con un approccio “tutto o niente” (tassare tutti i ricavi occultati come se fossero utili netti) .

3. Strategie difensive

Per affrontare efficacemente un accertamento contestato per coefficiente di redditività, il contribuente dovrebbe adottare una strategia articolata, comprendente sia comportamenti immediati che argomenti giuridici, come indicato di seguito.

  • Verifica delle contestazioni: innanzitutto va studiato con attenzione il contenuto dell’avviso di accertamento. Ad esempio, se l’atto segnala l’applicazione di un coefficiente diverso, conviene controllare il codice ATECO attribuito: è quello dichiarato o l’ufficio lo ha modificato? Se l’ufficio indica una causa ostativa al regime (ad es. socio occulto, superamento soglie, lavoro in subordine non evidenziato, ecc.), occorre valutare se esistano errori materiali o fraintendimenti da segnalare (p.e. “non sono socio di nessuna società” o “i ricavi da lavoro dipendente nel 2022 erano inferiori ai 30.000 €”). Se si contesta la perdita del regime, occorre verificare se effettivamente nel periodo in esame si sia superato un limite oggettivo o soggettivo, oppure se l’attività sia continuativa e autonoma. Tutti gli elementi a favore vanno raccolti: comunicazioni IVA, fatture, certificazioni pensionistiche o reddituali, ecc. Ad esempio, in caso di mancata dichiarazione di ulteriori ricavi, se il contribuente può dimostrare che quelle somme erano già dichiarate (p.e. come lavoro dipendente o altro), conviene evidenziarlo.
  • Documentazione probatoria: se l’accertamento è basato su presunzioni (conti correnti, spese, contratti di terzi), il contribuente deve produrre i documenti che ha a disposizione. Anche se nel regime forfettario non era obbligatorio tenere contabilità analitica, è comunque possibile esibire fatture passive, estratti conto, o anche contabilità semplificata tenuta in proprio, per dimostrare le spese sostenute. In alternativa, si può costruire una difesa indiziaria: ad esempio, per un artigiano che si vendeva i mobili da solo, anche senza fattura di acquisto può allegare speculazioni sul costo medio delle materie prime o estratti di listini, al fine di giustificare l’oneroso costo di produzione. L’esempio tipico è l’agente di commercio: essendo per definizione spesso a percentuale, i giudici (e il contribuente) applicano un coefficiente forfettario di spese (dal 70% all’80% del fatturato) . In sede difensiva, l’agente può quindi domandare di applicare quel coefficiente: per esempio, se il PVC contestasse 30.000 € di ricavi occultati, l’agente chiederà di dedurre il 70% come costi, assoggettando a tassazione solo i restanti 9.000 €. In generale, il contribuente dovrebbe quantificare in via prudenziale i propri oneri di impresa e farli valere anche tramite percentuali di costo di settore, a meno di casi particolari di costi pari a zero (ipotesi inverosimile in presenza di attività reale).
  • Questioni procedurali: occorre verificare la corretta sequenza formale dell’accertamento. Ad esempio, se l’atto è emesso per IRPEF+IVA, l’ufficio doveva invitare al contraddittorio preventivo . Se questo non è avvenuto, può sollevarsi una violazione procedurale (anche se in alcuni casi particolari l’omesso contraddittorio non inficia di per sé l’accertamento). Verificare inoltre che il PVC sia stato firmato e sottoscritto correttamente e che eventuali verbali non riportino vizi formali. Ogni anomalia procedurale (errata notifica, termini superati, delega carente nel firmatario, omessa indicazione di motivazione di accertamento, ecc.) può portare all’annullamento parziale o totale dell’atto .
  • Ricorso e autotutela: va deciso tempestivamente come reagire. Se ci sono ragioni valide per contestare l’avviso, si può presentare entro 60 giorni dalla notifica un ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP). In alcuni casi, può essere utile prima un’istanza di autotutela all’Agenzia stessa per chiedere la rimozione di vizi evidenti o la riduzione dell’importo (ad es. se l’errore è di carattere materiale). Tuttavia, l’istanza serve quando le contestazioni sono manifestamente infondate o disguidi formali: se invece la questione è complessa (es. prove di costi dubbi), probabilmente si opterà per il ricorso giudiziale. Nel ricorso va spiegato punto per punto il perché delle ragioni del contribuente (ad es. perché il coefficiente contestato non è applicabile).
  • Invocazione di previsioni agevolative: va valutato se, oltre alla contestazione del coefficiente, l’accertamento contenga altre voci (sanzioni, interessi). Per le sanzioni ad es. la L. 190/2014 ha introdotto una maggiorazione del 10% sulla sanzione minima per le dichiarazioni infedeli dei forfettari . È importante verificare se questa maggiorazione è stata correttamente applicata (la tabella dell’avviso di accertamento elenca tipicamente, oltre all’IRPEF sostitutiva, anche le voci “infedele dichiarazione” e addizionale del 10%). Si possono discutere anche le sanzioni se si può dimostrare buona fede (circostanze attenuanti), ricorrere alla definizione agevolata (ad es. definizione straordinaria 2023, se applicabile) o alla pratica della dilazione del pagamento.
  • Prescrizione: infine, occorre controllare i termini di decadenza dell’atto. In linea generale, l’avviso di accertamento può essere notificato entro 4 anni dalla fine del periodo d’imposta se presentata dichiarazione (5 anni se omessa). Per i forfettari valgono le stesse regole ordinarie. Occorre però fare attenzione a possibili decorrenze diverse in caso di accertamento automatizzato (art.41-bis DPR 600/73) o induttivo puro (art.39). Se l’avviso viene emesso oltre tali termini, può essere impugnato per illegittimità (termine decennale è previsto solo in presenza di frode fiscale grave).

4. Focus su categorie particolari

Alcune categorie di contribuenti sono frequentemente coinvolte in accertamenti di questo tipo, a causa delle loro caratteristiche economiche e contabili:

  • Professionisti (liberi professionisti, consulenti, medici, avvocati, ingegneri, ecc.): il loro coefficiente di redditività è generalmente il 78% (v. tabella). In pratica si assume che il 22% dei ricavi sia investito in costi professionali (materiali di consumo, software, viaggi, collaborazioni). Se il Fisco contesta il codice ATECO assegnato (ad esempio, pensa che l’attività svolta non sia configurabile come “libero professionista” ma, ipotizziamo, come “altro” codice con coefficiente 67%), il contribuente deve dimostrare le caratteristiche professionali della propria prestazione (abilitazioni, iscrizioni ordini, natura delle parcelle, contratti con committenti). Ad esempio, se un professionista è stato riparametrato come “agente di commercio” (codice 46.x con coeff. 62%), egli dovrà allegare contratti di mandato, elenchi di clienti, attrezzature impiegate, per accertare che non corrisponde alla fattispecie dell’agente. Inoltre, poiché per il contribuente varrà la regola generale dell’accertamento analitico (non essendoci contabilità di per sé), potrà sempre far valere percentuali forfettarie di costi pari a quelle medie del suo settore (spesso intorno al 20-25%). In altri termini, un professionista può opporre che almeno il 20%-30% dei suoi ricavi siano effettivamente spese deducibili (es. parcelle di collaboratori, assistenti, spese di studio) e andranno sottratte dal presunto reddito «forfettario» contestato.
  • Commercianti al dettaglio: chi gestisce un negozio, supermercato o simili (codici 47.x diversi da quelli di ambulante) rientra nelle “altre attività” con coefficiente 67%. Qui il ragionamento è opposto: il coefficiente forfetizza un alto margine del 67%, assumendo costi reali per il 33%. Se il contribuente ha anche costi di gestione significativi (personale dipendente, affitto, ecc.), può chiedere il riconoscimento di tali oneri. Ad esempio, un negoziante che sostiene l’affitto del locale e stipendi, può portare in memoria le relative fatture/inventari per dimostrare che effettivamente il margine utile è inferiore al 67%. In sede di contenzioso, i giudici potranno accogliere la richiesta di abbattimento del reddito sulla base di dati reali (es. contabilità semplificata tenuta, fatture d’acquisto rilevanti, o semplicemente calcoli indicativi come in commentato).
  • Artigiani e piccola impresa (produzione, riparazione, lavori manuali): anch’essi rientrano generalmente nel coefficiente 67% (“altre attività”). Tuttavia in settori specifici (es. edilizia, trasporti, manifatturiero leggero) i costi concreti possono essere molto elevati (materiali, attrezzature, veicoli). La strategia difensiva prevede di documentare la forte incidenza dei costi: ad esempio, fornire preventivi, listini dei fornitori, liste di materiali acquistati nel periodo. Poiché nel regime forfettario non vi sono scritture obbligatorie, si può ricorrere ad elementi indiretti: valori catastali dei beni strumentali posseduti, polizze assicurative (che spesso coprono solo l’utile presunto), addirittura testimonianze di clienti o fornitori registrati presso terzi (salvo i limiti delle presunzioni semplici). Se in fase di verifica si riscontrano addebiti bancari significativi, questi possono essere attribuiti a costi: su di essi, come su ogni altro movimento, vale il principio di “tassazione del profitto netto” (e quindi deducibilità dei costi correlati) . In pratica, si può agire come nell’esempio generale: indicare un coefficiente forfettario di costo (es. «nel suo settore gli artigiani spendono almeno il 50% del fatturato per materiali»), basandosi su statistiche di settore o database di costi, e chiedere di applicarlo anche nell’induttivo.
  • Agenti e rappresentanti di commercio: pur se qualificati come professionisti, questi soggetti presentano spese spiccatamente legate a viaggi, pernottamenti, commissioni, ecc. Tradizionalmente, nella prassi difensiva e giurisprudenziale si ritiene ragionevole dedurre il 70%-80% del fatturato come costi (vedi ). Pertanto, in un accertamento induttivo che emerge da un controllo bancario su di loro, ci si aspetta che il giudice riconosca una deduzione di tale entità, come confermano i recenti orientamenti della Cassazione . Anche qui, il contribuente potrà presentare contratti di agenzia e documenti vari per confermare lo status professionale e la proporzione costi/ricavi tipica del settore.
  • Altre categorie (es. lavoratori agricoli in forfettario, attività turistiche, ecc.): vanno considerati analogamente in base al coefficiente di appartenenza e alla configurazione del business. Ad esempio, una guida turistica in reg. forfettario (codice 79.90, coeff. 67%) con forti spese di trasferta potrà far valere tali spese in contraddittorio; un docente che è stato parametrato come “settore con coefficiente inferiore” dovrà dimostrare le spese reali di formazione, trasporti, ecc.

Per tutte queste categorie rimane fermo il punto: da un lato il coefficiente di redditività è un dato di legge inviolabile (non si può applicare un coefficiente a piacere diverso da quelli stabiliti); dall’altro, l’applicazione di quel coefficiente va giustificata dalla reale natura dell’attività. Se l’atto di accertamento attribuisce per errori un codice sbagliato, il contribuente deve dimostrare che il codice corretto è un altro; se l’atto afferma che i ricavi sono più alti, il contribuente deve dimostrare i costi (anche forfettari) che impediscono la tassazione integrale di quei ricavi. In ogni caso, la difesa del contribuente punterà a far valere elementi concreti di contabilità, tenore di vita, contratti e spese effettive, mirando a tassare il reddito netto e non il lordo. Le pronunce citate hanno ormai portato a un equilibrio di diritto in cui non è più ammesso un trattamento “tutto ricavo” senza deduzione di costi .

5. Simulazioni pratiche di calcolo

Di seguito alcuni esempi numerici che illustrano come cambia il reddito tassabile e l’imposta nel caso di accertamento basato su coefficienti contestati o su ricostruzioni analitiche.

  • Esempio 1: Contestazione del regime e passaggio al calcolo ordinario.
    Scenario: Mario, commerciante artigiano, era in regime forfettario nel 2024. Ha dichiarato ricavi di €100.000 (superando la soglia di €85.000, ma non quella di €100.000, pertanto l’uscita dal regime forfettario sarebbe avvenuta l’anno successivo). Tuttavia, l’Agenzia sostiene che Mario avrebbe commesso errori gravi (es. era socio di una SRL, causa di esclusione dal regime) e gli contesta il diritto all’agevolazione per il 2024. Dunque per il 2024 l’atto applica il regime ordinario.
    Calcolo forfettario iniziale: come artigiano (altre attività, coeff. 67%) il reddito forfettario sarebbe €100.000 × 67% = €67.000 di imponibile (su cui si calcolerebbe l’imposta sostitutiva).
    Accertamento ordinario (con riconoscimento costi effettivi): in alternativa, Mario può documentare di aver sostenuto ad esempio €40.000 di costi (materie prime, affitti, dipendenti). Il suo reddito di impresa ordinario netto sarebbe €100.000 – €40.000 = €60.000. Si applicherebbe IRPEF progressiva (aliquote scaglioni) su €60.000 anziché €67.000, e inoltre verrebbero considerate anche le addizionali e l’IVA su alcune operazioni (se spettante). Nel complesso, l’imposta dovuta cambierebbe in modo significativo.
    Differenza: anche se in questo esempio l’IRPEF progressiva può risultare leggermente superiore (a causa di aliquote marginali tipiche intorno al 28-43% per €60k), si deve notare che Mario nel computo IRPEF potrà dedurre concretamente le spese reali di €40.000, quindi, in linea di principio, non paga imposte sui ricavi contestati come puro profitto. Invece nel reddito forfettario originale aveva “ingresso” €67.000 come base, senza poter dedurre niente. Pur se l’aliquota effettiva IRPEF risulta maggiore (ad es. 30% invece di 15%), il reddito su cui si paga si riduce (da 67.000 a 60.000), il che può essere vantaggioso in sede contenzioso (in quanto non si tassa il guadagno lordo).
  • Esempio 2: Accertamento induttivo e applicazione di un coefficiente di costo.
    Scenario: Lucia è agente di commercio, regime forfettario, dichiarava ricavi €50.000 con coeff. 78% (reddito forfettario €39.000). L’Agenzia la contesta per €20.000 di compensi aggiuntivi ritenuti non dichiarati (ad es. dai movimenti bancari). L’atto tende a tassare quei €20.000 integralmente come reddito. Lucia vuole difendersi applicando un coefficiente del 70% ai €20.000 contestati, trattandoli come costi riconosciuti.
    Calcolo contestato senza deduzione costi: reddito aggiuntivo imposto = €20.000 (quindi imponibile tot. €59.000). Imposta sostitutiva su €59.000 = 15% di €59.000 = €8.850.
    Con coefficiente di costi: se Lucia dimostra (o chiede) che almeno il 70% di quei €20.000 corrisponde a costi (15.000 €), allora il reddito aggiuntivo effettivo è €6.000. In tal caso l’imposta sostitutiva sarebbe 15% di €6.000 = €900. Quindi, anziché dover versare €8.850, Lucia potrebbe pagare solo €900 sull’importo contestato, grazie al riconoscimento di €14.100 di costi. Questo calcolo segue esattamente l’orientamento giurisprudenziale che valorizza i coefficienti di costo nella ricostruzione presuntiva .
  • Esempio 3: Mutamento di codice ATECO e coefficiente.
    Scenario: Paolo svolge attività di progettazione edile (ingegnere libero professionista, codice professionale 71.12) con coefficiente 78%. In dichiarazione 2024 ha versato €80.000, imponibile €62.400 (78%). L’Agenzia sostiene però che la sua attività è inquadrabile come “imprenditore edile” (ex artigiano edile, codice 42.22) con coefficiente 86%. Contesta così che si debba applicare il coefficiente 86%.
    Calcolo iniziale (Paolo): €80.000 × 78% = €62.400 imponibile; imposta sostitutiva (15%) pari a €9.360.
    Calcolo secondo l’Agenzia: €80.000 × 86% = €68.800 imponibile; imposta sostitutiva pari a €10.320.
    Difesa: Paolo dovrà provare di essere effettivamente un professionista (mostrando laurea, iscrizione albo, parcelle intestate a titolo professionale, assenza di opera manuale). Se riesce, il coefficiente resta il 78%. In alternativa, se la contestazione regge, si dovrà affrontare il regime ordinario come nell’esempio 1. Nel caso ipotizzato, la differenza di imposta col forfettario è di soli €960, ma con l’ordinario (dedotte eventuali spese reali) potrebbe essere anche inferiore. Comunque, è evidente che la sostanziale variante è nella tipologia di attività, non tanto in un puro calcolo: Paolo punta a dimostrare che il lavoro è concettualmente professionale, non artigianale.

Questi esempi illustrano che in un accertamento per coefficiente contestato il contribuente guadagna sostanzialmente due possibilità: (1) impugnare l’accertamento mantenendo il coefficiente applicato nella dichiarazione, oppure (2) forzare il calcolo ordinario utilizzando le prove di spesa. Entrambe le strade portano a risultati in termini pratici simili (pagare l’imposta sul reddito netto anziché lordo). I numeri evidenziano come la deduzione anche forfetaria dei costi sia cruciale per evitare un “reddito fantasma”.

6. Domande e risposte frequenti

  1. Cos’è esattamente un “accertamento per coefficiente di redditività contestato”?
    È un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate in cui si contesta l’applicazione del coefficiente di redditività forfettario da parte del contribuente. Di fatto, l’atto sostiene che il contribuente non aveva titolo a utilizzare quel coefficiente (o che ha subito rideterminazioni in base a elementi esterni) e procede a calcolare il reddito con regole ordinarie o parametriche diverse. In pratica, il regime forfettario decade o viene scorporato e il reddito viene ricalcolato come se fosse analitico (IRPEF ordinaria + IVA). Questa situazione può sorgere, ad esempio, se si ritiene superata la soglia di reddito, se emergono ricavi non dichiarati o se è inesatto il codice ATECO indicato.
  2. Quando l’Agenzia può contestare il coefficiente di redditività?
    L’Agenzia può farlo solo se ravvisa che i requisiti per il regime non sussistevano o non sono più sussistenti. Ad esempio: se il contribuente avrebbe dovuto uscire dal regime (p.es. ha fatturato troppo o ha cause ostative), oppure se nel corso di un controllo si scopre che la vera attività corrisponde a un’altra categoria ATECO con diverso coefficiente. In questi casi si aprono le “cause ostative” alla continuità del regime forfettario. Altro esempio: un controllo bancario scopre maggiori introiti non dichiarati; il Fisco potrebbe dedurre che il coefficiente scelto è “errato” perché il reale reddito supera quello dichiarato. Tuttavia, in ogni caso il contribuente ha il diritto di giustificare la sua posizione: non basta affermare che il coefficiente era sbagliato, l’onere spetta al Fisco dimostrare l’errore di fatto o diritto.
  3. Posso oppormi all’avviso di accertamento?
    Sì, anzi è fondamentale farlo entro 60 giorni. Nel ricorso bisogna spiegare dettagliatamente perché l’accertamento è errato: ad es. perché il codice ATECO è corretto, perché i fatti (superamento limiti, ecc.) sono contestabili, o perché i ricavi contestati non sono tali. Si possono inoltre evidenziare vizi procedurali. In parallelio, conviene preparare una memoria difensiva o un’istanza in autotutela all’Agenzia, soprattutto se ci sono errori formali o dati manifestamente sbagliati. In ogni caso, non bisogna ignorare la contestazione: senza ricorrere, l’accertamento diventa definitivo.
  4. Quale onere di prova ha il contribuente?
    Dopo che l’Agenzia ha posto le presunzioni sui ricavi, l’onere di provare il contrario ricade sul contribuente. Ciò significa che, se ad esempio si presume che un prelievo bancario sia ricavo, il contribuente deve provare che quel prelievo era in realtà destinato a costi di produzione. Non serve provare ogni singolo scontrino, ma va fornito un parametro complessivo che dimostri la plausibilità di un abbattimento. La Cassazione ha ribadito che anche una prova indiziaria è ammessa: il contribuente può opporre calcoli ragionevoli o statistiche di settore . Ad esempio, può indicare che mediamente nel suo settore i costi assorbono il 70% del fatturato, presentando contratti tipo o bilanci di confronto. Non è sufficiente limitarsi a dire “ho speso molto”: bisogna tradurre questa affermazione in un’incidenza % sui ricavi, con dati (anche indiretti) a supporto.
  5. Se mi contestano il coefficiente, come calcolo l’imposta?
    Se la contestazione fa decadere il forfettario, si dovrà ricostruire il reddito come in un regime ordinario: si portano in deduzione i costi effettivamente sostenuti (o almeno stimate), e si applica l’IRPEF progressiva sugli scaglioni (più le addizionali) sul reddito netto risultante. In pratica, il contribuente dovrà presentare una dichiarazione “analitica” con ricavi totali e costi specifici, oppure accettare (nel ricorso) di dichiarare quegli stessi ricavi in più imponendo solo i costi stabili. Quindi la base imponibile si abbassa rispetto alla semplice applicazione del coefficiente forfettario sui ricavi contestati. Nell’esempio precedente, un contribuente che aveva 30.000€ di presunti ricavi in nero in realtà andrebbe tassato solo sul suo margine reale (es. 30%), non su 100% del valore.
  6. Cosa succede alle sanzioni?
    Se si perde il regime, l’accertamento può contestare anche la dichiarazione infedele (art. 1 D.Lgs. 471/1997) e l’omesso versamento IVA relativo, applicando la sanzione minima (90% della maggiore imposta) aumentata del 10% (per il forfettario) . In difesa si potrà argomentare la buona fede (se possibile) o la mancanza di danno patrimoniale (se dovuto). Inoltre, con la definizione agevolata si è potuto spesso ridurre l’importo complessivo delle sanzioni (es. “tregua fiscale” 2023, rateizzazioni, ravvedimenti operosi).
  7. Quando scatta la decadenza dal regime forfettario?
    Formalmente, se superi 100.000€ di ricavi/compensi in corso d’anno, uscirai subito dal forfettario (diventerà applicabile dal mese successivo) . Se superi 85.000€ ma stai sotto 100.000€, esci dal primo giorno dell’anno successivo. In un accertamento, però, si può contestare anche la decadenza ex post: ad es. se un contribuente ha superato la soglia e l’ha omesso in dichiarazione, l’ufficio potrà recuperare tutto come se fosse stato ordinario quell’anno . In ogni caso, gli effetti pratici sono che i ricavi vengono tutti ricalcolati secondo i criteri ordinari e il Fisco chiede imposte e IVA non pagate. Questa decadenza significa di fatto l’applicazione del coefficiente 0% del forfettario: si perde l’agevolazione, e si devono considerare costi e ricavi realmente sostenuti.
  8. Quali documenti è utile conservare?
    Anche se il forfettario non impone contabilità, è prudente conservare fatture d’acquisto, registri semplificati o anche solo estratti conto completi e ricevute significative. Questi documenti diventeranno fondamentali in sede di contraddittorio: ad esempio, estratti conto bancari che evidenzino pagamenti a fornitori possono essere utilizzati come prova indiretta di costo. Liste di parcelle emesse o contratti con clienti non forfettrari possono giustificare una parte di reddito. Anche i contratti di locazione di immobili o di lavoro assumono rilievo: se un agente di commercio può dimostrare di aver ricevuto l’apporto da un contratto di mandato attivo (ritratti in traccia bancarie), potrà dimostrare il suo status professionale. Più strumenti di prova si presentano, più alta la probabilità di ridurre l’accertamento.

7. Tabelle riepilogative

  • Tabella 2 – Riassunto delle differenze tra metodi di accertamento
    Questa tabella confronta in sintesi le modalità di determinazione del reddito secondo i principali metodi di accertamento: analitico-contabile, analitico-induttivo, induttivo puro, e forfettario.
MetodoCondizioniBase datiPresunzioni utilizzateNorma di riferimentoTrattamento dei costi
Analitico-contabileContabilità formalmente regolare e attendibileScritture contabili (bilancio, registri)Nessuna presunzione: si rettificano analiticamente elementi certiArt.39, c.1, lett.a–c, DPR600/73Si deducono i costi effettivi registrati (o dimostrati)
Analitico-induttivoContabilità parzialmente irregolare (errori, incongruenze)Scritture + elementi esterni (dati terzi, indagini bancarie, parametri di settore)Presunzioni semplici (indizi gravi, precisi, concordanti) per i dati mancantiArt.39, c.1, lett.d, DPR600/73Costi reali deducibili se provati; ora Cass suggerisce contributo forfettario di costi proporzionale sui ricavi induttivi
Induttivo puroContabilità inattendibile o assente (omessa dichiarazione, scritture distrutte, irregolarità gravi e sistematiche)Dati esterni (movimenti bancari, tenore di vita, indicatori)Presunzioni “supersemplici” (anche senza requisiti di gravità)Art.39, c.2, DPR600/73Applicazione di coefficiente forfettario di costi (di norma riconosciuto dall’amministrazione nel ricalcolo)
ForfettarioRequisiti di reddito e soggettività rispettatiRicavi/compensi dichiaratiCoefficiente di redditività prestabilito per categoriaArt.1, c.54-89, L.190/2014 (e s.m.)I costi sono implicitamente compresi nel coefficiente di redditività; non sono deducibili ulteriori costi
  • Tabella 3 – Coefficienti e soglie di alcuni settori rilevanti
Categoria di attivitàCodice ATECO (2007)Coeff. redditività (%)Limite ricavi (€/anno)Osservazioni
Professionisti e studi tecnici69.10, 69.20, 71.11, 71.12, 72.x, 74.x, 85.x78%15.000Commercialisti, avvocati, ingegneri, medici, consulenti ecc.
Commercio al dettaglio e ambulante47.11-47.79, 47.81-47.8940%-54% (vedi Tab.1)20.000–40.000Vari coefficienti: 40% per alimentari, 54% per altri beni ambulanti ecc.
Artigiani edili, meccanici, altro41-43, 25-28, 95.11-95.2286%-67%15.000–20.000Costruzioni 86% (limite 15k), altri artigiani rientrano in “altre attività” 67%.
Ristorazione e alberghi55.10-55.20, 56.x40%40.000Anche per bar, hotel, ristoranti, catering.
Intermediari di commercio46.162%15.000Agenti di commercio e procacciatori.
Attività varie (altre)altri codici economici67%20.000Include molte attività miste, commercio generico, artigiani non specifici.

Le soglie di ricavi indicate si riferiscono all’anno precedente (permanenza) o all’anno in corso (uscita immediata) come specificato dalla legge . Queste tabelle aiutano a identificare rapidamente il coefficiente di redditività applicabile alla propria attività e i limiti soglia rilevanti.

8. Conclusioni

L’accertamento fiscale basato su coefficiente di redditività contestato è una fattispecie complessa che richiede una preparazione difensiva accurata. Il contribuente deve agire tempestivamente, impugnando l’atto notificato e presentando tutte le proprie ragioni, sotto forma di atti motivati e documentazione. I recenti orientamenti di Cassazione favoriscono il contribuente nel riconoscimento dei costi anche in sede induttiva : in nessun caso si può accettare di tassare ricavi occultati come se fossero utili senza considerare spese necessarie. Sfruttare i propri diritti difensivi – contraddittorio, onere della prova, utilizzo dei coefficienti di costo – è essenziale.

In un accertamento di questo tipo, l’esperto fiscale (avvocato o commercialista) dovrà innanzitutto analizzare la normativa applicabile (riportata di seguito), poi predisporre il ricorso o l’istanza difensiva con riferimento a quella normativa e alle sentenze più aggiornate (anche di Cassazione) per sostenere le proprie argomentazioni. Forniremo di seguito tutte le principali fonti normative e giurisprudenziali consultate, che consentono di verificare la validità delle tesi difensive.

Hai ricevuto un avviso di accertamento basato su un coefficiente di redditività presunto che l’Agenzia delle Entrate ritiene incoerente con i redditi dichiarati? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento basato su un coefficiente di redditività presunto che l’Agenzia delle Entrate ritiene incoerente con i redditi dichiarati?
Ti contestano ricavi o utili superiori rispetto a quelli realmente conseguiti?

👉 Prima regola: un accertamento fondato solo su coefficienti standardizzati o presunzioni statistiche non è automaticamente valido.
Il contribuente può contestare i parametri applicati, dimostrare la reale situazione economica e ottenere l’annullamento o la riduzione dell’accertamento.


⚖️ Quando scatta l’accertamento per coefficienti di redditività

  • L’Agenzia delle Entrate rileva scostamenti significativi tra i redditi dichiarati e quelli stimati dai coefficienti di settore (ISA o studi di settore).
  • Il contribuente viene ritenuto non coerente o non congruo rispetto agli indici di redditività medi.
  • I ricavi dichiarati risultano inferiori ai parametri di riferimento per attività, zona o dimensione aziendale.
  • In caso di lavoratori autonomi o professionisti, l’Ufficio presume ricavi più alti rispetto a quanto dichiarato, anche in assenza di prove dirette.
  • L’accertamento si basa su dati statistici o indagini campionarie e non su verifiche contabili concrete.

📌 Le conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte (IRPEF, IRES, IVA, IRAP) sui ricavi presunti.
  • Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta accertata.
  • Interessi di mora sulle somme dovute.
  • Possibili controlli a cascata su contabilità, costi e fornitori.
  • Rischio di procedimenti penali tributari se gli importi superano le soglie di rilevanza penale.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Il coefficiente di redditività applicato corrisponde effettivamente al tuo settore di attività?
  • Sono stati considerati fattori particolari (crisi di mercato, malattia, inattività, lavori straordinari)?
  • L’Agenzia ha rispettato il contraddittorio preventivo, obbligatorio prima dell’emissione dell’accertamento?
  • I dati utilizzati derivano da dichiarazioni errate o incomplete di anni precedenti?
  • L’Ufficio ha ignorato elementi di contabilità reale (fatture, spese, costi di gestione)?
  • Il modello ISA o lo studio di settore utilizzato è stato aggiornato o appartiene ad annualità obsolete?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Avviso di accertamento e allegati tecnici (modelli ISA, studi di settore, parametri).
  • Dichiarazioni dei redditi e bilanci degli anni interessati.
  • Registri contabili, fatture, costi documentati e giustificativi economici.
  • Corrispondenza con l’Agenzia delle Entrate durante la fase di contraddittorio.
  • Prove di eventi straordinari che hanno inciso sulla redditività (chiusura attività, malattie, calo commesse).
  • Relazioni tecniche o perizie economico-contabili di supporto.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare, con dati oggettivi, che il reddito reale è inferiore a quello presunto.
  • Contestare l’uso di parametri medi o coefficienti generici non rappresentativi del caso concreto.
  • Eccepire la mancanza del contraddittorio obbligatorio (violazione art. 12, comma 7, Statuto del Contribuente).
  • Far valere spese straordinarie, insolvenze o situazioni di crisi ignorate dall’Ufficio.
  • Richiedere l’annullamento in autotutela o proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.
  • In alternativa, negoziare una definizione agevolata o accertamento con adesione per ridurre sanzioni e interessi.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’avviso di accertamento e i coefficienti applicati dall’Agenzia.
  • 📌 Verifica la correttezza dei parametri ISA o degli studi di settore utilizzati.
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari basati su dati contabili e giuridici solidi.
  • ⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento o la revisione dell’accertamento.
  • 🔁 Assiste nella fase di contraddittorio con l’Ufficio e nella definizione bonaria del contenzioso.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale.
  • ✔️ Specializzato nella difesa contro accertamenti basati su coefficienti di redditività, ISA e studi di settore.
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Gli accertamenti fiscali basati sui coefficienti di redditività si fondano spesso su presunzioni astratte che non riflettono la realtà economica del contribuente.
Con una difesa tecnica, documentata e tempestiva, puoi dimostrare l’infondatezza dei parametri applicati, ridurre o annullare le imposte richieste e tutelare la tua attività da ricostruzioni fiscali arbitrarie.


📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la tua difesa contro gli accertamenti fiscali basati su coefficienti di redditività presunti inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!