Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per movimenti PayPal non dichiarati? In questi casi, l’Ufficio presume che i flussi registrati sulla piattaforma rappresentino redditi imponibili non riportati in dichiarazione. I conti PayPal e simili sono ormai oggetto di controlli fiscali mirati, grazie allo scambio di dati con le autorità fiscali. Le conseguenze possono essere molto pesanti: recupero delle imposte, sanzioni elevate e, nei casi più gravi, contestazioni penali. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben documentata è possibile dimostrare la natura non reddituale delle somme o ridurre sensibilmente le pretese fiscali.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i movimenti PayPal
– Se i versamenti ricevuti non coincidono con i redditi dichiarati
– Se i trasferimenti da clienti non sono stati fatturati né registrati
– Se i flussi superano gli importi comunicati in dichiarazione dei redditi
– Se vi sono accrediti ricorrenti da soggetti italiani o esteri senza giustificazione fiscale
– Se l’Ufficio presume che le somme derivino da attività imprenditoriale o professionale non dichiarata
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione delle somme ritenute redditi non dichiarati
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Possibile riqualificazione dell’attività come imprenditoriale con obbligo di partita IVA
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che i movimenti PayPal hanno natura non reddituale (rimborsi, prestiti, trasferimenti familiari, risparmi)
– Produrre estratti conto PayPal, documentazione bancaria, contratti e scritture private
– Contestare la presunzione che ogni flusso sia reddito imponibile
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o motivazione insufficiente nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione delle somme per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i movimenti PayPal e la documentazione collegata
– Verificare la legittimità della contestazione e il corretto inquadramento fiscale delle somme
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e giurisprudenza favorevole
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e professionale da richieste fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’esclusione dall’imponibile delle somme non qualificabili come reddito
– La riduzione di sanzioni e interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: i movimenti PayPal sono sempre più monitorati dal Fisco e vengono spesso usati come base per accertamenti induttivi. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità digitale – spiega come difendersi in caso di contestazione per movimenti PayPal non dichiarati e quali strategie adottare per tutelare i tuoi interessi.
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Introduzione
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui flussi finanziari online, includendo piattaforme di pagamento elettronico come PayPal . Sempre più contribuenti italiani si vedono recapitare lettere di compliance in cui il Fisco segnala la presenza di movimentazioni su conti PayPal esteri non dichiarati . Pur trattandosi di comunicazioni informali (non veri e propri avvisi di accertamento), queste lettere rappresentano un serio campanello d’allarme: segnalano possibili omissioni nella dichiarazione dei redditi – in particolare l’omessa indicazione di un conto PayPal estero e dei relativi importi – e invitano il contribuente a regolarizzare spontaneamente la propria posizione .
Dal punto di vista del contribuente (debitore) ricevere una simile contestazione solleva molti dubbi e preoccupazioni: Devo davvero dichiarare il mio conto PayPal? Perché viene considerato un conto estero? Rischio sanzioni elevate o addirittura conseguenze penali? Come posso difendermi o giustificare quei movimenti? Il contenuto è rivolto sia a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a privati e imprenditori coinvolti in tali verifiche fiscali. Il linguaggio sarà chiaro ma preciso, arricchito da riferimenti normativi e pronunce giurisprudenziali recenti (2021–2025), oltre a esempi pratici riferiti all’ordinamento italiano. L’obiettivo è mettere il lettore in condizione di comprendere come difendersi efficacemente di fronte a una contestazione relativa a movimenti PayPal non dichiarati, evitando errori e sanzioni indebite.
Cosa troverete in questa guida:
- Le lettere di compliance sui conti PayPal: cosa sono, perché vengono inviate e come funzionano in un’ottica di collaborazione preventiva tra Fisco e contribuente. Spiegheremo perché PayPal, pur non essendo una banca tradizionale, viene equiparato a un conto estero e come l’Amministrazione finanziaria ottiene i relativi dati tramite accordi internazionali (ad es. lo Standard OCSE CRS per lo scambio automatico di informazioni finanziarie) .
- Il quadro normativo sugli obblighi fiscali legati a PayPal: esamineremo gli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW) per le attività finanziarie detenute all’estero – incluso il conto PayPal con sede in Lussemburgo – e gli obblighi di dichiarazione dei redditi percepiti tramite PayPal (ad esempio, proventi da vendite online) . Chiariremo quando un conto PayPal va dichiarato (soglie e condizioni) e quali imposte può comportare (ad esempio l’IVAFE, imposta patrimoniale sui conti esteri).
- Violazioni e sanzioni in caso di omessa dichiarazione di un conto PayPal estero. Vedremo separatamente i due profili: (i) la violazione dell’obbligo di monitoraggio (omessa compilazione del Quadro RW) e (ii) l’eventuale omessa dichiarazione dei redditi collegati a quel conto . Approfondiremo che l’omessa indicazione del conto estero in RW è considerata una violazione sostanziale, punita con sanzioni proporzionali dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato (percentuali raddoppiate dal 6% al 30% se il conto si trova in Paesi non collaborativi) . Illustreremo anche le sanzioni sui redditi esteri non dichiarati, di regola dal 90% al 180% dell’imposta evasa (tali sanzioni sono aumentate di un terzo se i redditi provengono dall’estero, arrivando quindi fino al 240% dell’imposta) . Indicheremo le più recenti sentenze in materia, ad esempio: una pronuncia penale della Corte di Cassazione ha escluso risvolti penali per la sola omissione del Quadro RW ; altre sentenze di legittimità del 2023–2025 hanno chiarito i criteri di calcolo delle sanzioni in caso di omissioni ripetute (principio del cumulo giuridico per più annualità non dichiarate) ; infine esamineremo la presunzione anti-evasione prevista per i paradisi fiscali (art. 12 D.L. 78/2009) e perché non si applica al caso PayPal/Lussemburgo secondo la Cassazione .
- Come reagire a una lettera di compliance: forniremo indicazioni pratiche passo-passo su come comportarsi appena si riceve la comunicazione del Fisco. Dalla verifica iniziale dei dati segnalati (estratti conto PayPal, soglie, eventuali redditi) alla predisposizione di una risposta corretta, fino alla regolarizzazione spontanea tramite dichiarazione integrativa e ravvedimento operoso con sanzioni ridotte . Spiegheremo quando è opportuno aderire all’invito versando il dovuto e quando invece si può contestare la richiesta perché infondata (ad es. se il conto rientrava nelle cause di esonero dall’obbligo dichiarativo).
- Difesa in caso di accertamento formale: se la fase bonaria non si conclude positivamente, l’Agenzia può emettere un vero e proprio avviso di accertamento con relative sanzioni. Analizzeremo le strategie difensive nella fase contenziosa: dal tentativo di definizione tramite accertamento con adesione (negoziando col Fisco un accordo, con riduzione delle sanzioni a 1/3) , fino al ricorso davanti alle nuove Corti di Giustizia Tributaria (già Commissioni Tributarie). Approfondiremo istituti come l’autotutela amministrativa (richiesta di annullamento in via di autotutela in caso di errori evidenti) e la conciliazione giudiziale durante il processo (che può abbattere le sanzioni al 50% in primo grado, 60% in appello) . Evidenzieremo inoltre le possibili argomentazioni difensive da far valere davanti al giudice tributario, suffragandole con riferimenti normativi e pronunce autorevoli: ad esempio dimostrare che il conto era sotto le soglie di esonero e quindi l’obbligo dichiarativo non sussisteva, richiedere l’applicazione del cumulo giuridico anziché sommare le sanzioni di più anni, oppure invocare l’incertezza normativa (specie per annualità passate in cui il trattamento fiscale di PayPal non era chiaro, cfr. Cass. 32255/2018) per ottenere l’annullamento o la riduzione della sanzione .
- Tabelle riepilogative e schemi: proporremo riassunti visivi dei punti chiave, ad esempio:
- le soglie e condizioni che fanno scattare l’obbligo di dichiarare un conto estero (con le peculiarità di PayPal e l’applicazione dell’IVAFE);
- le diverse tipologie di sanzioni amministrative applicabili (omessa dichiarazione RW, omessa dichiarazione di redditi, omesso versamento IVAFE) con le relative percentuali, ed eventuali riduzioni in caso di ravvedimento operoso o definizione agevolata;
- le differenze procedurali e gli effetti tra una regolarizzazione spontanea, un accordo in adesione e un ricorso in tribunale .
- Simulazioni pratiche ispirate a casi reali (tutti in ambito italiano) per illustrare possibili scenari e le relative soluzioni . Ad esempio:
- Un conto PayPal di modesta entità sotto soglia, per il quale il contribuente era formalmente esonerato dal monitoraggio RW, ma viene comunque segnalato: vedremo come una corretta risposta (allegando prove) può chiudere il caso senza sanzioni.
- Un conto PayPal cospicuo ma alimentato da fondi già tassati (es. risparmi o stipendi netti trasferiti su PayPal): analizzeremo quali sanzioni patrimoniali possono applicarsi solo per l’omesso monitoraggio RW (senza redditi evasi) e come evitare accuse infondate di evasione fiscale.
- Un conto PayPal utilizzato per vendite online non dichiarate al Fisco: calcoleremo la “stangata” fiscale in caso di accertamento, confrontandola col costo nettamente inferiore di un ravvedimento immediato, ed evidenziando i rischi anche penali nelle situazioni di evasione rilevante.
- Un conto PayPal intestato a terzi (ad es. a un familiare residente all’estero, ma di fatto utilizzato dal contribuente italiano): vedremo come il Fisco può comunque pretenderne la dichiarazione da parte dell’utilizzatore effettivo e come difendersi, dimostrando la reale titolarità delle somme.
- Domande e risposte (FAQ): affronteremo le principali preoccupazioni di chi riceve queste comunicazioni, ad esempio: “Entro quando devo rispondere alla lettera?”, “Cosa rischio se la ignoro?”, “Se sul conto c’erano pochi soldi devo comunque dichiararlo?”, “Il conto PayPal va sempre inserito nel quadro RW?”, “Posso incorrere in un reato penale in questa situazione?”, ecc. Forniremo risposte motivate a ciascun quesito, con riferimenti alle norme di legge e ai documenti ufficiali (circolari, risoluzioni, FAQ dell’Agenzia delle Entrate) che aiutano a chiarire questi dubbi .
Alla fine della guida troverete un elenco delle fonti normative e giurisprudenziali citate, in modo da consentire ulteriori approfondimenti e la verifica puntuale dei riferimenti. La materia è complessa, ma conoscere a fondo i propri diritti e doveri è il primo passo per difendersi in modo efficace. Procediamo quindi con ordine.
Cosa sono le lettere di compliance e perché riguardano i conti PayPal esteri
Le lettere di compliance fiscale sono comunicazioni informali con cui l’Agenzia delle Entrate segnala al contribuente un’anomalia riscontrata nelle sue dichiarazioni, prima di emettere un avviso di accertamento vero e proprio . In pratica, il Fisco avvisa che dai dati in suo possesso risultano possibili omissioni o errori – nel nostro caso, la presenza di un conto PayPal all’estero non dichiarato – e invita il contribuente a verificare la situazione e a correggerla spontaneamente, se necessario . L’ottica di queste comunicazioni è quella della “compliance cooperativa”: offrire al cittadino la possibilità di rimediare in autonomia, con sanzioni ridotte, evitando un futuro contenzioso . Non siamo dunque di fronte a un atto impositivo immediato: la lettera di compliance non comporta sanzioni automatiche né richiede un pagamento immediato, né fissa termini perentori di risposta (non è un accertamento formale né un ricorso) . Tuttavia, ignorare l’avvertimento è rischioso. Se il contribuente resta inerte, l’Ufficio potrà successivamente procedere con un accertamento vero e proprio, questa volta sì con sanzioni piene e con termini perentori per pagare o impugnare . È quindi altamente consigliabile reagire tempestivamente: esaminare i dati segnalati, verificare se l’omissione contestata sussiste davvero e, in caso affermativo, regolarizzare la posizione con ravvedimento operoso prima che la situazione degeneri. Se invece si ritiene che la lettera sia infondata (ad esempio perché il conto rientrava nelle cause di esonero o non è in realtà riconducibile al contribuente), è opportuno comunicare all’Agenzia le proprie controdeduzioni, fornendo i documenti che provino la realtà dei fatti .
Perché il Fisco si interessa ai conti PayPal? PayPal (Europe) S.à r.l. et Cie, S.C.A. opera come istituto finanziario con sede in Lussemburgo, ed è autorizzato come banca dalle autorità di vigilanza lussemburghesi . Ciò significa che i conti PayPal intestati a residenti fiscali italiani rientrano tra le attività finanziarie detenute all’estero soggette all’obbligo di monitoraggio fiscale italiano . Negli ultimi anni, l’Amministrazione finanziaria ha ottenuto accesso a questi dati grazie agli accordi internazionali di scambio automatico di informazioni. In particolare, tramite lo standard OCSE CRS (Common Reporting Standard) – recepito nell’UE con la Direttiva 2014/107/UE (DAC2) – banche e intermediari esteri comunicano annualmente alle autorità fiscali dei Paesi di residenza i saldi e i movimenti dei conti intestati a soggetti non residenti . Di conseguenza, il Lussemburgo trasmette all’Italia i dati dei conti PayPal intestati a soggetti fiscalmente residenti in Italia . Un conto PayPal di un contribuente italiano, specialmente se presenta saldi significativi, non è affatto invisibile al Fisco. Anche importi relativamente modesti (sotto 15.000 €) possono emergere dai flussi CRS se segnalati dagli intermediari . In pratica, l’Agenzia delle Entrate tende a concentrare i controlli sui casi con anomalie rilevanti; ciò non toglie che anche la somma di più conti piccoli o movimenti considerati sospetti possa far scattare un alert .
Un aspetto importante da chiarire è che non esiste un obbligo generalizzato di dichiarare tutti i conti correnti di cui si è titolari. Ad esempio, i conti aperti presso banche italiane non vanno indicati in dichiarazione, perché il Fisco ha già pieno accesso a quei dati tramite l’archivio dei rapporti finanziari (l’Anagrafe dei Conti Correnti) alimentato dagli stessi istituti di credito nazionali . Al contrario, però, i conti correnti esteri vanno dichiarati in Italia quando superano determinate soglie, come vedremo in dettaglio tra poco . Nel caso specifico di PayPal ci si è a lungo chiesti se vada trattato come un conto estero (da menzionare nel Quadro RW) oppure no, data la sua natura atipica. In passato alcuni osservavano che PayPal non è un conto corrente ordinario, ma più che altro uno strumento di pagamento collegato a conti o carte già esistenti, senza un vero trasferimento di fondi all’estero (il conto PayPal standard infatti non ha IBAN proprio e non viene conteggiato nemmeno nell’ISEE) . Secondo questa tesi, il conto PayPal non andrebbe dichiarato in RW perché non qualificabile come conto estero vero e proprio . Tuttavia, questa posizione risulta superata dall’evoluzione normativa e dalla prassi odierna. La stessa PayPal dichiara sul proprio sito di essere un istituto di credito autorizzato in Lussemburgo , e dunque la maggioranza degli esperti ritiene che il saldo PayPal vada considerato al pari di un deposito estero a tutti gli effetti. Di fatto, come confermano le recenti campagne di compliance, l’Agenzia delle Entrate tratta PayPal come un rapporto finanziario estero soggetto a monitoraggio RW, richiedendone la dichiarazione quando ne ricorrano i presupposti . Quindi, al di là dei dibattiti dottrinali, è prudente adeguarsi all’orientamento del Fisco per evitare contestazioni.
Va ribadito che la lettera di compliance in sé non impone alcuna sanzione immediata né un obbligo di risposta entro una scadenza perentoria . Non siamo ancora in fase contenziosa: il contribuente ha spazio di manovra per spiegare, regolarizzare o contestare l’anomalia segnalata. Spesso nella comunicazione stessa l’Agenzia indica le modalità di risposta: ad esempio, la lettera può arrivare via PEC o raccomandata e contenere un fac-simile di risposta oppure un indirizzo email/PEC o un servizio telematico (come il canale CIVIS o la propria area riservata online) a cui inviare chiarimenti . Il contribuente può quindi scegliere se:
- Rispondere per iscritto spiegando perché ritiene di essere in regola, fornendo magari informazioni integrative (es. dichiarando che il conto era sotto la soglia di monitoraggio e allegando gli estratti PayPal che lo provano) ;
- Correggere la dichiarazione presentando una dichiarazione integrativa e pagando il dovuto (opzione consigliabile se effettivamente c’è stata un’omissione) ;
- Chiedere un contraddittorio informale, ad esempio un appuntamento o un contatto telefonico con l’ufficio, per ottenere chiarimenti (non è obbligatorio, ma può essere utile se si preferisce un dialogo diretto) .
In ogni caso, non è necessario recarsi di persona allo sportello: tutta la procedura può svolgersi da remoto, via PEC, email o telefono . Le lettere stesse di solito precisano che “qualora i dati in nostro possesso non fossero corretti o il conto rientrasse in cause di esonero, si prega di fornire idonei elementi di riscontro”: segno che l’Agenzia è disponibile a ricevere spiegazioni e documentazione. Questa fase bonaria rappresenta dunque un’opportunità da sfruttare: presentare subito le proprie argomentazioni o regolarizzare spontaneamente può evitare l’avvio di un procedimento ben più gravoso successivamente .
Dal punto di vista pratico, le lettere di compliance relative a conti esteri sono divenute molto frequenti. Basti pensare che, secondo la Convenzione MEF–Agenzia Entrate 2024–2026, nel solo 2025 l’Agenzia prevede di inviare milioni di comunicazioni di questo tipo ai contribuenti italiani (non tutte su conti esteri, ma una parte rilevante sì) . Tra queste, molte riguarderanno proprio conti correnti esteri o “digital wallet” non dichiarati. PayPal rientra in specifiche campagne di controllo sui nuovi strumenti fintech: così come sono monitorati i conti bancari tradizionali in paesi come Svizzera o San Marino, oggi l’occhio del Fisco si estende anche ai portafogli online e alle piattaforme di pagamento e di commercio elettronico . Non è escluso che in futuro arrivino lettere analoghe per account su altri servizi come Amazon Payments, Stripe, Revolut, nonché per conti trading o wallet di criptovalute – come del resto annunciato da varie circolari riferite ai controlli su exchange di criptovalute (Binance, Coinbase, ecc.) . In sintesi, il monitoraggio fiscale è sempre più capillare, abbracciando anche le moderne forme digitali di gestione del denaro.
Un caso tipico che può portare a una contestazione: il signor Tizio, residente in Italia, possiede un conto PayPal collegato alla sua attività online (ad esempio vendite di oggetti artigianali tramite e-commerce). Non avendo chiaro il trattamento fiscale, Tizio non ha indicato il conto PayPal nel Quadro RW e non ha dichiarato i relativi incassi come redditi nell’ultimo anno. Tramite lo scambio di informazioni internazionali, l’Agenzia viene a conoscenza dell’esistenza di questo conto estero e rileva movimenti in entrata. Invita quindi Tizio, con lettera di compliance, a spiegare e regolarizzare. Tizio, preoccupato, si chiede cosa fare: se ignorare la lettera o rispondere, se effettivamente avrebbe dovuto dichiarare il conto, e quali rischi corre ora. Nel prosieguo della guida vedremo passo dopo passo come andrebbe gestita una situazione del genere dal punto di vista del contribuente.
Obblighi fiscali per i conti PayPal detenuti all’estero (Quadro RW e redditi)
Prima di esaminare come difendersi, è fondamentale capire quali obblighi fiscali si applicano ai conti PayPal detenuti all’estero. In Italia vige una normativa di monitoraggio fiscale delle attività estere (introdotta originariamente col D.L. 167/1990, cosiddetto decreto monitoraggio), che impone a taluni soggetti residenti di dichiarare ogni anno le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero. Il perno di tale obbligo è il Quadro RW della dichiarazione dei redditi, dove vanno riportati gli investimenti, i conti e le altre attività estere possedute nel corso dell’anno.
Monitoraggio nel Quadro RW: soggetti obbligati e attività da dichiarare
Sono tenuti al monitoraggio fiscale tutti i soggetti fiscalmente residenti in Italia – persone fisiche, enti non commerciali e società semplici – che detengono attività estere di natura finanziaria o patrimoniale, potenzialmente idonee a produrre redditi imponibili in Italia. La condizione chiave è la residenza fiscale: un cittadino iscritto all’AIRE (o comunque non residente in Italia) non deve dichiarare i propri beni esteri al fisco italiano (salvo che sia contitolare con soggetti residenti), mentre un residente deve monitorare anche attività che magari nell’anno non hanno prodotto redditi effettivi, se per loro natura potrebbero produrli . I conti correnti e i depositi bancari esteri rientrano esplicitamente tra le attività finanziarie da indicare in RW . In particolare, le istruzioni ufficiali (Circolare AdE n. 38/E del 2013) chiariscono che conti correnti e libretti esteri vanno dichiarati indicando il valore di saldo (valore nominale) .
Il conto PayPal estero è assimilabile a un conto corrente estero ai fini del monitoraggio: come già detto, PayPal Europe ha sede in Lussemburgo, quindi il suo saldo costituisce un’attività estera di natura finanziaria. Va però sottolineato che non tutte le situazioni richiedono la dichiarazione: la normativa sul monitoraggio fiscale prevede alcune soglie di esenzione e condizioni specifiche per i depositi e conti correnti esteri . In generale, un contribuente residente deve indicare in RW i conti esteri a lui intestati, salvo che rientrino in particolari cause di esonero. Le principali cause di esonero per conti correnti esteri sono legate all’ammontare dei valori detenuti:
- Se il valore massimo raggiunto dal conto nell’anno (saldo “di picco”) non supera 15.000 €, il conto non va dichiarato . Questa soglia si riferisce al massimo saldo giornaliero nel corso dell’anno, indipendentemente dal saldo finale al 31/12 .
- In parallelo, c’è un’altra soglia: se la giacenza media annua sul conto non supera 5.000 €, allora non si applica l’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie estere) e il conto può essere considerato ai soli fini di monitoraggio. In pratica, per importi esigui, può esserci esonero almeno parziale. Approfondiamo questo aspetto a parte.
Le due soglie operano in combinazione. Riassumendo:
- Un conto corrente estero (incluso PayPal) va dichiarato nel Quadro RW se anche solo in un giorno dell’anno il saldo ha raggiunto o superato 15.000 € oppure se la giacenza media annuale (cioè la media dei saldi giornalieri) ha superato 5.000 € .
- Se entrambi questi valori restano al di sotto delle soglie (saldo massimo ≤ 15.000 € e giacenza media ≤ 5.000 €), scatta l’esonero dall’obbligo di monitoraggio per quel conto .
La logica è che piccole consistenze di denaro all’estero non interessano il fisco ai fini del monitoraggio (anche se, come visto, possono comunque emergere dai flussi informativi internazionali). Attenzione: queste soglie di esenzione riguardano specificamente i depositi di denaro (conti correnti, depositi bancari). Se il conto all’estero detiene altri tipi di attività (ad esempio investimenti, titoli, criptovalute, ecc.), possono valere regole diverse o soglie diverse. Nel caso di PayPal, nella stragrande maggioranza dei casi il saldo è semplicemente denaro liquido; PayPal non offre normalmente servizi di investimento sofisticati ai privati, quindi si rientra nello schema dei depositi di denaro e si applicano le soglie suddette. In sintesi, molti contribuenti che usano PayPal in modo sporadico e mantengono saldi esigui potranno rientrare nelle soglie di esonero (saldo generalmente sotto 15.000 € e giacenza media sotto 5.000 €) , il che significa nessun obbligo di dichiarazione RW per quei periodi.
Di fatto, se per la maggior parte dell’anno il conto ha avuto cifre modeste (es. qualche migliaio di euro) e non ha mai superato i 15.000 € nemmeno temporaneamente, il contribuente è esonerato dal monitoraggio fiscale per quel conto . Purtroppo, nella pratica, molti non conoscono o non applicano correttamente queste soglie; capita così che alcuni dichiarino i conti esteri anche quando potevano non farlo, mentre altri – all’opposto – ignorano le soglie e non dichiarano affatto conti esteri che invece avrebbero dovuto dichiarare. Ecco perché si ricevono lettere di compliance anche per importi relativamente ridotti: in verità sotto certe soglie l’obbligo non c’è, e in tali casi ci si può difendere efficacemente dimostrando di rientrare nei limiti di esonero .
Per chi è in regola con le soglie, la strategia giusta è farlo presente subito: se siete convinti che in quell’anno il vostro conto PayPal non superava i limiti (né come saldo max né come media), nella risposta al Fisco converrà specificare i calcoli e allegare gli estratti conto a supporto, citando magari le norme pertinenti (es. art. 4 D.L. 167/90 e modifiche L. 186/2014, che fissano tali soglie) . Come vedremo nei casi pratici, una risposta di questo tipo in genere porta all’archiviazione della contestazione senza sanzioni, perché l’Ufficio prende atto che in quell’anno non vi era obbligo dichiarativo.
Oltre alle soglie quantitative, esistono poi alcune cause di esonero soggettive o legate alla natura dell’investimento. Ad esempio, sono esonerati dal monitoraggio i contribuenti frontalieri per i conti esteri nel Paese di confine in cui lavorano, oppure i conti esteri cointestati a più persone se uno di essi li ha già indicati per intero, ecc. (sono casistiche particolari chiarite dalla Circolare AdE 38/E/2013). Tuttavia, per non complicare eccessivamente l’analisi, rimaniamo sul caso tipico: un residente italiano titolare di un conto PayPal estero. In assenza di cause speciali di esonero, valgono essenzialmente le regole sopra esposte.
IVAFE: l’imposta sui conti esteri (e come si applica a PayPal)
Accennavamo all’IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero). Si tratta, in sostanza, dell’equivalente dell’imposta di bollo che paghiamo sui conti correnti italiani, applicata però ai conti esteri. Per i depositi e conti correnti esteri di persone fisiche, l’IVAFE è dovuta in misura fissa pari a 34,20 € annui (lo stesso importo della “marca da bollo” sui conti bancari italiani) se la giacenza media annua supera la soglia di 5.000 €. Se la giacenza media è pari o inferiore a 5.000 €, l’IVAFE non è dovuta (come non è dovuta l’imposta di bollo sui conti italiani al di sotto di quella soglia). In pratica:
- Giacenza media annua ≤ 5.000 €: il conto è esente da IVAFE.
- Giacenza media annua > 5.000 €: si applica l’IVAFE di 34,20 € per quell’anno, proporzionata ai giorni di detenzione (ad es. se il conto è stato aperto solo per 6 mesi, si pagherà metà importo).
Si noti che la soglia IVAFE di 5.000 € è leggermente diversa come logica dalla soglia di monitoraggio: quest’ultima (15.000 €) riguarda il picco di saldo e determina se c’è obbligo di dichiarazione RW; la soglia dei 5.000 € serve invece a stabilire se va versata l’imposta patrimoniale sul conto estero. Può quindi capitare un caso particolare: un soggetto il cui conto estero non supera mai 15.000 € (dunque formalmente esonerato dal monitoraggio RW), ma che ha una giacenza media leggermente sopra i 5.000 €: in teoria sarebbe esonerato dalla dichiarazione ai fini monitoraggi, ma avrebbe l’obbligo di pagare l’IVAFE su quel conto. Dato che per versare l’IVAFE comunque occorre compilare il Quadro RW (riga dedicata al calcolo dell’imposta), l’Agenzia in pratica richiede di dichiarare il conto per liquidare l’imposta dovuta, anche se il monitoraggio in sé non sarebbe obbligatorio . È una situazione limite, ma significa che un contribuente potrebbe essere esonerato dal monitoraggio ma tenuto comunque a dichiarare il conto per pagare l’IVAFE . Per evitare confusione, molti professionisti consigliano di dichiarare comunque il conto in RW in tali casi, compilando l’apposito campo “solo monitoraggio” o indicando zero come valore per segnalare che lo si dichiara solo ai fini IVAFE. In sintesi, però, per la maggior parte delle persone la regola pratica è: se il conto non supera le soglie, niente RW e niente IVAFE; se supera le soglie, va dichiarato e potrebbe esserci imposta da pagare.
Nel caso di PayPal, è importante ricordare che il saldo di fine anno spesso è basso (molti utenti trasferiscono periodicamente i fondi sul proprio conto bancario). Tuttavia ciò che conta per la legge è anche il saldo massimo avuto durante l’anno. Ad esempio, se in un certo giorno avete ricevuto un pagamento elevato su PayPal (es. 20.000 €) anche se poi li avete subito girati al conto corrente, quel picco >15.000 € fa scattare l’obbligo di dichiarare il conto per quell’anno. Di contro, se il saldo non ha mai toccato 15.000 € e mediamente è rimasto sotto 5.000 €, siete formalmente esonerati sia da RW che da IVAFE. Sarà comunque prudente conservare gli estratti conto PayPal di quell’anno per poterlo dimostrare in caso di richieste.
Redditi percepiti tramite PayPal: quando dichiararli e come
Oltre all’aspetto “patrimoniale” (il semplice possesso del conto estero), esiste un secondo profilo fiscale da considerare: i redditi eventualmente transitati tramite PayPal. PayPal infatti è usato non solo come deposito ma anche come mezzo di pagamento per incassare somme: vendite, prestazioni di servizi, donazioni, rimborsi, trasferimenti personali, ecc. Il Fisco, quando analizza un conto PayPal, è interessato a capire se le entrate su quel conto costituivano redditi imponibili che avrebbero dovuto essere dichiarati. Pertanto, oltre alla violazione del monitoraggio RW, l’Agenzia potrebbe contestare la omessa dichiarazione di redditi (o una dichiarazione infedele) qualora su PayPal siano transitati importi riconducibili ad attività economiche non dichiarate.
Vediamo le situazioni tipiche:
- Vendite di beni online: se una persona fisica vende oggetti su eBay, Subito.it o altre piattaforme e incassa i pagamenti su PayPal, quei proventi possono costituire reddito imponibile. La natura del reddito dipende dalla frequenza e dall’organizzazione: vendite occasionali di oggetti usati propri possono non configurare reddito tassabile (o al più, in casi limite, “redditi diversi”), mentre un’attività continuativa di vendita di beni nuovi configura un’impresa commerciale (con necessità di partita IVA, dichiarazione come reddito d’impresa, ecc.). Il Fisco, vedendo entrate consistenti e ricorrenti su PayPal da acquirenti diversi, potrebbe presumere che si tratti di ricavi di vendita non dichiarati. Se l’attività era abituale e organizzata, l’omissione è grave (redditi d’impresa sottratti a tassazione); se era meramente occasionale, potrebbe essere sanzionata comunque ma con effetti meno pesanti (es. redditi diversi non dichiarati).
- Prestazioni di servizi o lavoro freelance: analogamente, se un professionista o lavoratore autonomo riceve pagamenti su PayPal per prestazioni (es. consulenze online, creazione di siti web, lezioni private, ecc.) senza fatturarli né dichiararli, quelle somme sono redditi da lavoro autonomo o impresa non dichiarati. Anche prestazioni occasionali pagate su PayPal dovrebbero in teoria essere dichiarate (come “redditi diversi” se non si supera una certa soglia di professionalità).
- Transazioni tra privati e causali non reddituali: molte movimentazioni PayPal possono però non avere natura reddituale: ad esempio, rimborso di soldi anticipati, regalo di un familiare, restituzione di un prestito tra amici, divisione di spese comuni, donazioni occasionali. In questi casi, fiscalmente non si tratta di redditi (non c’è una controprestazione produttiva di reddito). Tuttavia, se non adeguatamente giustificate, anche queste operazioni possono inizialmente sembrare “sospette” agli occhi del Fisco. Spesso infatti l’Agenzia parte da una presunzione: se vede accrediti sul conto di un contribuente non supportati da voci dichiarate, presume che siano redditi imponibili non dichiarati, salvo prova contraria. È un’applicazione estensiva dell’art. 32 del DPR 600/1973, che consente all’Amministrazione di utilizzare i dati dei conti correnti come indizi: tutti i movimenti finanziari sconosciuti sono considerati componenti di reddito, a meno che il contribuente dimostri diversamente.
In sintesi, chi riceve accrediti su PayPal deve valutare se tali somme andavano dichiarate come redditi. Alcune linee guida pratiche:
- Vendite di beni propri usati: se vendete oggetti personali usati (es. vecchio smartphone, mobili usati) incassando via PayPal, in genere non c’è reddito imponibile, poiché si tratta di mera realizzo di patrimonio personale (spesso in perdita rispetto al prezzo d’acquisto). Queste somme non vanno dichiarate. Attenzione però a non “esagerare”: se l’attività di vendita di beni usati diventa sistematica e con acquisti di beni apposta per rivenderli, il Fisco potrebbe contestare un’attività d’impresa occulta.
- E-commerce come privato: se vendete oggetti nuovi o acquistati per rivenderli, anche tramite marketplace, l’intento di lucro abituale può far scattare la qualifica di attività commerciale non dichiarata. In tal caso, i ricavi andavano dichiarati e tassati (oltre a richiedere partita IVA, ecc.). Lo stesso per chi produce artigianalmente oggetti e li vende regolarmente online: fiscalmente è un’attività d’impresa o di lavoro autonomo.
- Prestazioni occasionali: se fornite un servizio in modo saltuario (es. aiutate qualcuno a tradurre un testo e quello vi invia 200 € su PayPal come ringraziamento), potrebbe configurarsi un reddito occasionale. I redditi da lavoro autonomo occasionale sotto 5.000 € annui non scontano contributi, ma sono comunque redditi imponibili (come “redditi diversi”) da dichiarare in dichiarazione dei redditi. Sopra certi limiti e frequenza, invece, si entra nell’ambito del lavoro autonomo abituale (con obbligo di partita IVA).
- Donazioni e aiuti familiari: somme ricevute a titolo di regalo o sostegno da familiari/amici non costituiscono reddito tassabile (le donazioni non sono reddito per chi le riceve). Tuttavia, è bene poterle documentare (una scrittura privata di donazione per importi rilevanti, o quantomeno conservare evidenza della provenienza). Inoltre, donazioni sopra certe soglie possono scontare l’imposta sulle donazioni, ma questo è un altro tema e riguarda in genere importi molto elevati e rapporti non in linea retta.
- Rimborsi spese: se ricevete su PayPal rimborsi di spese anticipate per conto di qualcuno (es. avete comprato un regalo di gruppo e gli altri vi ridanno la loro quota), non sono redditi. Idem per la restituzione di un prestito che avevate fatto.
Il punto cruciale è che, in caso di controllo, l’onere di dimostrare la natura non reddituale di quegli accrediti spetta al contribuente. Il Fisco, vedendo X euro sul vostro PayPal, tenderà inizialmente a considerarli redditi non dichiarati se non c’è traccia in dichiarazione. Starà a voi provare, con documenti e spiegazioni, che invece erano ad esempio soldi trasferiti dal vostro stesso conto bancario (già tassati) o un regalo di vostra zia o i proventi dalla vendita del vostro divano usato, ecc.
Violazioni e sanzioni: cosa si rischia per l’omessa dichiarazione di PayPal
Chiariti gli obblighi, vediamo ora le conseguenze in caso di omissione. Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i movimenti PayPal non dichiarati, possono delinearsi due categorie di violazioni:
- Violazione del monitoraggio fiscale (quadro RW): ovvero non aver dichiarato il conto PayPal estero nel quadro RW, pur essendovi tenuti.
- Violazione dichiarativa sui redditi: ovvero non aver dichiarato (o aver sotto-dichiarato) i redditi derivanti dagli accrediti su PayPal.
Queste due infrazioni spesso si presentano insieme, ma tecnicamente sono distinte e comportano sanzioni differenti. Inoltre, nei casi più gravi, l’omissione può assumere rilievo penale (reato tributario). Analizziamo ciascun aspetto.
Omessa compilazione del quadro RW (monitoraggio): sanzioni
L’omessa dichiarazione di un’attività estera nel quadro RW è, secondo la normativa italiana, una violazione di natura sostanziale (non meramente formale). Ciò significa che il legislatore la considera un’infrazione importante, perché potenzialmente funzionale a occultare ricchezze all’estero. Le sanzioni sono quindi piuttosto elevate e di tipo proporzionale: la legge (D.Lgs. 471/1997, art. 5 co.2) prevede una multa dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati (nel caso di conti, tipicamente il saldo o valore di picco) . Se il conto o l’investimento si trova in un paese considerato non collaborativo (c.d. black list), le sanzioni sono raddoppiate, cioè vanno dal 6% al 30% . Questo perché i paesi non collaborativi (paradisi fiscali) rendono più difficoltosi i controlli, quindi la legge inasprisce la punizione per chi vi detiene capitali nascosti.
Nel caso di PayPal in Lussemburgo, non parliamo di paese black list. Il Lussemburgo è uno Stato UE collaborativo (white list). Dunque le eventuali sanzioni base sarebbero nella forbice 3%-15%, non raddoppiate. Va detto che in pratica l’Agenzia applica quasi sempre la sanzione minima edittale in sede di contestazione iniziale, quindi tipicamente il 3% dell’importo non monitorato (poi possono aggiungersi aumenti in caso di pluriennalità, recidiva, ecc., di cui diremo). Ad esempio, se un contribuente non ha dichiarato un conto PayPal con saldo di 10.000 €, la sanzione base calcolata sarà 300 € (3%). Se il saldo era 100.000 €, base 3.000 €, e così via.
Cumulo giuridico per violazioni ripetute: spesso chi omette di dichiarare un conto estero lo fa per più anni di fila. Se un contribuente ha tenuto nascosto un conto per, poniamo, 2018, 2019 e 2020, il Fisco potrebbe contestare tre violazioni RW, una per anno. In passato gli uffici talvolta sommavano le sanzioni anno per anno (es: 3%+3%+3% = 9% totale). In realtà, la normativa sanzionatoria (D.Lgs. 472/1997, art. 12 comma 5) prevede il cosiddetto cumulo giuridico in caso di continuazione: se le violazioni sono della stessa indole e commesse in esecuzione di un medesimo disegno, si applica un’unica sanzione (quella più grave) aumentata da 1/2 fino al triplo. La Cassazione ha chiarito di recente che l’omessa compilazione di più quadri RW in anni diversi beneficia di tale istituto: si considera come fosse un’unica lunga violazione continuata . Ad esempio, se tizio ha omesso un conto con 100.000 € per tre anni, la sanzione non è 3% * 3 (anni) = 9% di 100.000, ma si prende la sanzione di un anno (3% di 100.000 = 3.000 €) e la si aumenta di un importo variabile, comunque entro il triplo (quindi potrebbe diventare ad es. 6.000 € totali invece di 9.000 €). Importante: la Cassazione (ord. n. 11849/2023) ha anche specificato che non si cumula l’aumento per recidiva previsto dal comma 1 dell’art. 12, ma solo quello del comma 5 . Ciò è a tutela del contribuente, per evitare duplicazioni punitive. In pratica, se vi contestano omissioni RW pluriennali, controllate che applichino il cumulo giuridico: oggi la giurisprudenza lo riconosce espressamente .
Nessuna “soglia di tolleranza” quantitativa: diversamente da alcune violazioni formali, per l’omesso monitoraggio non esiste soglia di non punibilità (oltre alle soglie di esonero legale già discusse). Anche l’errore per pochi euro sopra soglia è teoricamente sanzionabile. In compenso, l’omissione RW è ritenuta di natura sostanziale ma non ha riflessi penali di per sé. Non è un reato omettere il quadro RW (salvo che ciò si accompagni ad evasione d’imposta rilevante). La Corte di Cassazione penale ha ribadito che la violazione degli obblighi di monitoraggio, isolatamente considerata, non integra reati come il riciclaggio o l’autoriciclaggio . In assenza di evasione fiscale accertata su quei fondi, l’illecito resta amministrativo. La Cassazione Penale, sent. n. 19849/2021 ha chiarito proprio che l’omessa presentazione del quadro RW non costituisce di per sé reato di riciclaggio/autoriciclaggio; occorre che vi sia un reato fiscale a monte provato (es. redditi evasi e poi occultati su conti esteri) perché si possa parlare di riciclaggio di proventi illeciti . Questa è un’informazione rassicurante: chi ha dimenticato il quadro RW ma non ha evaso imposte non rischia sanzioni penali, solo amministrative.
Sanzioni ridotte con ravvedimento: ricordiamo che se il contribuente si attiva autonomamente prima di ricevere formale accertamento, può correggere l’omissione con il ravvedimento operoso beneficiando di sanzioni ridotte. Ad esempio, se ravvede l’omesso RW entro un anno dall’omissione, paga 1/10 della sanzione minima (quindi circa 0,3% dell’importo non dichiarato); entro due anni 1/9, oltre due anni 1/8, ecc. (D.Lgs. 472/97 art. 13). Anche in sede di adesione o conciliazione dopo un eventuale accertamento, vi sono riduzioni (ne parleremo più avanti).
Omessa dichiarazione di redditi collegati a PayPal: sanzioni
Se dall’analisi dei movimenti PayPal emergono redditi non dichiarati (vendite, compensi, ecc.), il Fisco contesterà, oltre all’omesso RW, anche la violazione dichiarativa sui redditi. Qui le norme applicabili sono quelle generali sulle imposte evase:
- Se il contribuente non ha dichiarato affatto quei redditi (ad es. non ha proprio indicato nulla in dichiarazione, oppure non ha presentato la dichiarazione per quell’anno) e ciò ha portato a evadere un’imposta (IRPEF, addizionali, IVA se dovuta) – siamo in presenza di dichiarazione omessa o dichiarazione infedele a seconda dei casi. Le sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. 471/1997 sono molto alte: tipicamente dal 120% al 240% dell’imposta evasa per omessa dichiarazione, o dal 90% al 180% per infedele dichiarazione . Nel caso specifico di redditi esteri non dichiarati, la legge prevede un aumento di 1/3 su tali sanzioni (arrivando appunto fino a 240%) . Nota: se il reddito estero era già soggetto a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o imposta sostitutiva in Italia, la sanzione per omessa indicazione potrebbe essere più bassa (dal 30% al 60% dell’imposta dovuta, per omessa dichiarazione di redditi già tassati).
- Se il contribuente ha presentato la dichiarazione ma ha sotto-dichiarato i redditi (dichiarazione infedele), si applicano le sanzioni del 90-180% dell’imposta dovuta in più.
Anche queste sanzioni possono beneficiare di riduzioni con ravvedimento (ad es. ravvedendosi spontaneamente si paga una frazione di esse). In sede di accertamento con adesione, si possono ridurre a 1/3.
Sanzioni penali (reati tributari): oltre alle sanzioni amministrative, per omesse/infedeli dichiarazioni sopra certe soglie scattano i reati previsti dal D.Lgs. 74/2000. Le soglie penali attualmente vigenti sono: – Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): scatta il reato se l’imposta evasa supera € 50.000. È punito con reclusione da 2 a 5 anni. – Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): scatta se l’imposta evasa supera € 100.000 e l’ammontare degli elementi attivi sottratti a imposizione supera il 10% del reddito dichiarato (oppure supera € 2 milioni). Pena da 2 a 4.5 anni.
Quindi, nel contesto PayPal: se i redditi non dichiarati generano un’evasione d’imposta sopra tali soglie, il contribuente rischia anche sul piano penale. Ad esempio, se Tizio ha evaso € 60.000 di IRPEF nascondendo incassi su PayPal, commette reato di omessa dichiarazione; se Caio ha dichiarato qualcosa ma ha nascosto più di 100k di imposte via PayPal, può configurarsi l’infedele dichiarazione (specie se quei 100k superano il 10% del dichiarato). Casi così gravi sono però rari nell’ambito PayPal, a meno di attività commerciali in grande stile. Spesso si tratta di decine di migliaia di euro non dichiarati, che non raggiungono soglie penalmente rilevanti.
Importante: se il contribuente collabora spontaneamente sanando la propria posizione prima degli accertamenti (ad esempio presentando un’integrativa e pagando il dovuto col ravvedimento), il profilo penale viene meno. Il D.Lgs. 74/2000 prevede cause di non punibilità se il contribuente, prima di essere formalmente contestato, corregge e paga tutto (c.d. “causa di non punibilità per adempimento del pagamento del debito tributario”, applicabile ad alcuni reati). Ciò significa che ravvedersi prima che parta un’attività di verifica o accertamento può evitare del tutto il procedimento penale, anche se le soglie erano superate. Invece, attendere di essere scoperti e poi finire in giudizio rende più complicato questo beneficio.
Riassumendo le conseguenze principali di una contestazione fiscale legata a PayPal:
- Recupero a tassazione dei redditi non dichiarati: l’Agenzia notificherà un accertamento per le maggiori imposte IRPEF, addizionali (ed eventualmente IVA se era dovuta) sugli importi considerati reddito imponibile, più interessi.
- Sanzioni amministrative per omessa/infedele dichiarazione sui redditi (in genere 90%–180% dell’imposta evasa) e sanzioni per omessa dichiarazione RW (3%–15% del valore non dichiarato in RW). Le sanzioni sui redditi si sommano a quelle RW – sono violazioni diverse . Non esiste un “favor rei” per cui pagando le imposte si evitano le sanzioni: le sanzioni sono aggiuntive (salvo riduzioni per adesione o ravvedimento).
- Interessi di mora: sulle somme dovute (imposte non versate) maturano interessi dal momento in cui avrebbero dovuto essere pagate (di solito dal termine di versamento del saldo per quell’anno).
- Possibile estensione dei controlli: se emerge evasione, l’Agenzia potrebbe allargare le verifiche ad altre annualità, ad altri conti bancari o strumenti finanziari intestati al contribuente, ecc., per verificare se il comportamento evasivo è diffuso.
- Rischio di contestazioni penali: nei casi gravi (evasione sopra soglie) può partire anche una denuncia penale per reato tributario.
- Iscrizione a ruolo e riscossione: se dopo l’accertamento il contribuente non paga quanto dovuto (o non fa ricorso), si formerà un debito iscritto a ruolo, con emissione di cartella esattoriale da parte dell’Agente della Riscossione (ex-Equitalia). Il contribuente diventa debitore verso l’erario di quelle somme, con possibili azioni esecutive (fermi, ipoteche, pignoramenti) se non paga.
Riepilogo sanzioni amministrative (tabella)
Di seguito, uno schema riassuntivo delle principali sanzioni amministrative applicabili in materia di omessa dichiarazione di conti/redditi su PayPal, con indicazione delle riduzioni in caso di definizione agevolata:
Violazione | Sanzione ordinaria | Riduzioni possibili |
---|---|---|
Omessa indicazione conto estero (RW) | 3% – 15% dell’importo non dichiarato (saldo o valore massimo) . <br>(6% – 30% se in Paese non collaborativo) . | – Ravvedimento operoso: sanzione ridotta (es. 0,3% se entro 1 anno).<br>- Accertamento con adesione: sanzione ridotta a 1/3 (es. 1% minimo).<br>- Conciliazione giudiziale: riduzione 50% (primo grado) o 60% (appello) delle sanzioni irrogate. |
Omessa dichiarazione di redditi (es. mancata presentazione dichiarazione con redditi PayPal) | 120% – 240% dell’imposta evasa (aumentata di 1/3 se redditi esteri) .<br>Minimo €250. | – Ravvedimento operoso: sanzione ridotta (1/10 del minimo entro 90gg, 1/8 oltre 2 anni, ecc.).<br>- Adesione: 1/3 della sanzione minima.<br>- Conciliazione: 50%/60% sanzione. |
Dichiarazione infedele (es. redditi PayPal dichiarati in parte) | 90% – 180% dell’imposta evasa (aumentata di 1/3 se redditi esteri).<br>Minimo €250. | – Ravvedimento operoso: riduzione a 1/8–1/6 del minimo (a seconda del momento).<br>- Adesione: 1/3 della sanzione.<br>- Conciliazione: 50%/60%. |
Omesso versamento IVAFE (imposta patrimoniale) | 30% dell’importo non versato (come omesso versamento imposta) – di solito 30% di €34,20 = €10,26 per anno (più interessi). | – Ravvedimento: riduzione sanzione (ad es. 1/10 del 30% se entro 30gg dal termine, ecc.).<br>- Adesione: 1/3 della sanzione. |
Nota: Le riduzioni indicate sono quelle previste dalla normativa vigente per il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) e per la definizione in adesione o conciliazione (D.Lgs. 218/97 e D.Lgs. 546/92). In caso di cumulo giuridico per violazioni pluriennali RW, si applica una sanzione unica (entro il triplo del minimo) , quindi le percentuali effettive possono risultare inferiori rispetto alla sommatoria anno per anno.
Presunzioni fiscali sui fondi esteri e caso PayPal/Lussemburgo
Un breve cenno merita la speciale presunzione prevista dall’art. 12 del D.L. 78/2009: tale norma (tuttora in vigore) stabilisce che gli investimenti e attività finanziarie detenuti in Paesi black list si presumono costituiti con redditi sottratti a tassazione in Italia, salvo prova contraria. Inoltre, per quei casi, raddoppiano i termini di accertamento. Questa presunzione anti-evasione, di carattere molto severo, si applica però solo ai patrimoni nascosti in Stati o territori a fiscalità privilegiata non collaborativi. Non è il caso del Lussemburgo, che è un paese collaborativo white list. Dunque i conti PayPal in Lussemburgo non sono soggetti a questa presunzione legale assoluta. La Cassazione (ord. n. 6409/2025) ha avuto modo di chiarire che l’art. 12 citato non ha efficacia retroattiva e comunque si applica solo ai Paesi black list, confermando che su Lussemburgo non vige la presunzione legale di evasione . Questo significa che l’Agenzia, se contesta un conto PayPal estero non dichiarato, non può limitarsi a presumere automaticamente che quei fondi fossero frutto di evasione (come farebbe per un conto, ad esempio, a Panama); dovrà piuttosto valutare caso per caso e semmai fornire altri elementi di prova dell’eventuale evasione. In pratica, per i conti PayPal scoperti via CRS, si procede con l’iter ordinario: lettera di compliance, richiesta di chiarimenti e documenti, e solo in difetto di spiegazioni convincenti si passa all’accertamento delle imposte evase.
Come reagire alla lettera di compliance: guida pratica passo-passo
Supponiamo di aver ricevuto dall’Agenzia delle Entrate una comunicazione che segnala un conto PayPal non dichiarato e invita a regolarizzare. Cosa fare esattamente? Ecco una guida pratica in più passi, dal primo controllo fino alla sistemazione della posizione fiscale.
1. Leggere attentamente la lettera e identificare gli anni e gli importi segnalati. La lettera di norma indica per quale anno (o anni) d’imposta è stata riscontrata l’anomalia, il paese estero (Lussemburgo) e talvolta i valori (es. saldo al 31/12/20XX = €…, saldo massimo annuo = €…). Annotate questi dati perché sono il punto di partenza.
2. Recuperare la documentazione del conto PayPal per gli anni indicati. È fondamentale scaricare gli estratti conto PayPal o gli storici delle transazioni per i periodi contestati. PayPal consente di estrarre lo storico di tutti i movimenti (entrate e uscite) e i saldi per data. In particolare, occorre poter determinare: – Il saldo al 31 dicembre di ciascun anno. – Il saldo massimo raggiunto in ciascun anno. – La giacenza media annua (che si calcola facendo la somma di tutti i saldi giornalieri dell’anno divisa per 365). PayPal potrebbe non fornire direttamente la giacenza media, ma potete calcolarla esportando le transazioni e ricostruendo i saldi giorno per giorno, oppure stimarla. – L’elenco delle transazioni in accredito (entrate) per capire la natura di ciascun incasso.
Questi documenti vi serviranno sia per valutare la vostra posizione, sia eventualmente da mostrare al Fisco come prova.
3. Verificare le soglie RW e l’IVAFE. Una volta in possesso dei dati: – Confrontate saldo massimo e giacenza media con le soglie di €15.000 e €5.000. Se per l’anno in questione entrambi i valori erano sotto soglia, c’era esonero dall’obbligo RW. In tal caso, la contestazione dell’Agenzia potrebbe essere infondata. Esempio: saldo max €10.000 e giacenza media €4.000, quindi entro i limiti di esonero ex lege . Dovrete evidenziarlo nella risposta, allegando gli estratti conto che lo dimostrano. – Calcolate l’eventuale IVAFE dovuta. Se la giacenza media supera 5.000 €, quantificate l’imposta patrimoniale di quell’anno (di solito €34,20). Se non era stata versata, andrà messa in conto nel regolarizzare.
Se dai calcoli risulta che per qualche anno il conto era sotto soglia e quindi esonerato, questo diventa un argomento di difesa chiave. Significa che per quell’anno la lettera di compliance è impropria. È bene segnalarlo subito nella risposta, allegando gli estratti come prova. Spesso, quando il contribuente dimostra di essere sotto i limiti, l’ufficio prende atto e archivia la segnalazione .
4. Analizzare i movimenti in accredito (eventuali redditi). Guardate ora la lista delle entrate sul conto PayPal per gli anni interessati. Per ciascun flusso chiedetevi: “Di cosa si tratta? Era un reddito imponibile?”. Classificate, ad esempio: – X € da Tizio il 10/03: vendita online di oggetto usato (non tassabile). – Y € da azienda Alpha il 15/04: pagamento per consulenza (reddito di lavoro autonomo, imponibile). – Z € trasferiti dal mio conto corrente personale: trasferimento di fondi propri (non reddito). – W € da Caio il 20/06: regalo di compleanno (non tassabile).
Questo lavoro di ricostruzione è cruciale. Se trovate redditi non dichiarati, dovrete quantificarli. Se trovate solo movimentazioni non reddituali, dovrete preparare le prove relative (e.g. copie di ricevute di vendita beni usati, dichiarazioni di donazione, evidenze di prelievo dal vostro conto italiano che combaciano con accrediti su PayPal, ecc.).
5. Decidere la strategia: regolarizzare o contestare? A questo punto, in base ai dati: – Se effettivamente avete omesso qualcosa (il conto era da dichiarare, o c’erano redditi non dichiarati) conviene optare per la regolarizzazione spontanea tramite ravvedimento. Questo comporta: presentare una dichiarazione integrativa per gli anni interessati, indicando il conto in RW e i redditi non dichiarati, e pagare le relative imposte con sanzioni ridotte. Il tutto prima che arrivi un accertamento formale. – Se invece ritenete che la lettera sia infondata (conto sotto soglia, somme non imponibili, ecc.), potete predisporre una risposta difensiva all’Agenzia, senza pagare nulla (oltre all’IVAFE eventualmente). Nella risposta scriverete che, ad esempio, “il conto PayPal n. XXXX in Lussemburgo presentava nel 2021 un saldo massimo di €10.000 e giacenza media di €4.000, dunque rientrava nelle soglie di esonero ex art. 4 D.L. 167/90, come da documentazione allegata. Pertanto la mancata indicazione nel quadro RW non configura violazione”. Oppure: “Gli accrediti segnalati sul conto sono costituiti da trasferimenti dal mio conto bancario italiano già tassati, nonché da rimborsi di spese e donazioni familiari, come risulta dai documenti allegati. Nessun reddito imponibile è stato occultato”. Insomma, fornirete le vostre spiegazioni, supportate da evidenze.
In quest’ultimo caso, è una buona idea citare riferimenti (norme o prassi) a sostegno, se disponibili: ad esempio menzionare la soglia dei 15.000 € e 5.000 € come previste dal decreto 167/90 e L. 186/2014, o la Cassazione 19849/2021 per escludere la rilevanza penale, ecc. , ma senza appesantire troppo la lettera. L’importante è fornire evidenza fattuale e una spiegazione chiara. Concludete chiedendo esplicitamente che l’ufficio archivi la segnalazione se ritengono soddisfacenti le vostre argomentazioni, o comunque di essere informati su eventuali ulteriori necessità.
6. Predisporre la dichiarazione integrativa (se dovuta). Se optate per il ravvedimento, dovrete: – Compilare un modello “Redditi PF” integrativo per ciascun anno, inserendo il quadro RW corretto (con i dati del conto) e/o rettificando i quadri reddituali (ad es. aggiungendo un rigo in Redditi Diversi per i proventi occasionali non dichiarati, o rifacendo il quadro d’impresa). – Calcolare le maggiori imposte dovute su quei redditi e le sanzioni ridotte. Per il quadro RW, la sanzione ridotta può essere davvero bassa (lo 0,1% per anno per omesso RW se sono passati più di 2 anni, ad esempio). Per i redditi, se integrate a distanza di anni, la sanzione per infedele dichiarazione ridotta a 1/8 del minimo è comunque attorno all’11,25% dell’imposta evasa per ciascun anno. – Versare con modello F24 le imposte dovute, gli interessi e le sanzioni ridotte. Si useranno codici tributo specifici (ad esempio per sanzione RW c’è un codice dedicato). – Inviare la dichiarazione integrativa tramite i canali telematici dell’Agenzia (Entratel/Fisconline).
È consigliabile farsi assistere da un commercialista in questa fase, per evitare errori nei calcoli.
7. Inviare la risposta all’Agenzia. Che abbiate pagato o no, è bene rispondere alla lettera comunicando all’ufficio le azioni intraprese: – Se vi siete ravveduti, inviate copia delle dichiarazioni integrative e delle ricevute F24 di pagamento, spiegando che avete provveduto a regolarizzare integralmente la posizione. – Se ritenete di non dover nulla, inviate una lettera (PEC o raccomandata, o tramite CIVIS) in cui spiegate le ragioni e allegate i documenti di supporto. Siate cortesi e collaborativi nel tono, ringraziando per la segnalazione e dicendovi disponibili a ulteriori chiarimenti se necessari. – In entrambi i casi, conservate copia di tutto (sia mai servisse in futuro in giudizio).
8. Attendere l’esito o eventuali repliche. Spesso, se la risposta è convincente, non riceverete ulteriore comunicazione: silenzio assenso e pratica archiviata. In altri casi, l’ufficio potrebbe rispondere chiedendo integrazioni, oppure inviando direttamente (a distanza di mesi) un esito formale: o l’archiviazione, oppure – se non soddisfatti – un avviso di accertamento. In genere, se ci si ravvede pagando tutto, la questione finisce lì (possono mandare una lettera di presa d’atto). Se invece si contesta l’addebito, l’ufficio valuterà. Se la vostra difesa era ben fondata, spesso lasciano cadere. Se invece ritengono che doveste dichiarare/pagare, potrebbero proseguire con l’accertamento. Avete comunque guadagnato punti mostrando cooperazione.
In caso di esito positivo (archiviazione), bene così. In caso invece arrivi un avviso di accertamento nonostante la risposta, si passa alla fase successiva, quella contenziosa, che affrontiamo nel capitolo seguente.
Ricapitolando i consigli chiave nella fase di compliance:
- Non ignorare la lettera: reagisci entro qualche settimana al massimo (non c’è scadenza perentoria, ma meglio non aspettare troppo).
- Raccogli i dati e documenti: conoscere esattamente la tua situazione è il primo passo per decidere cosa fare.
- Sii onesto con te stesso: se hai effettivamente omesso redditi o conti, ammettilo e ravvediti. Cercare di negare l’evidenza peggiora solo le cose.
- Cogli l’occasione del ravvedimento: con la compliance, l’Agenzia ti sta dando la chance di pagare sanzioni minime. Se aspetti l’accertamento, pagherai molto di più e con meno sconti.
- Prepara una risposta chiara e completa: se credi di essere nel giusto, spiega bene perché, allega prove e cita le norme essenziali che ti danno ragione.
- Mantieni un tono collaborativo: anche se contesti, fallo in modo professionale e rispettoso. Inutile attaccare l’Agenzia; meglio convincerla con i fatti.
- Chiedi aiuto se serve: se non te la senti di gestire da solo, rivolgiti a un tributarista. Il costo sarà probabilmente inferiore alle sanzioni che rischieresti.
Difendersi in caso di avviso di accertamento (fase contenziosa)
Se la fase bonaria di compliance non ha risolto la questione – ad esempio perché il contribuente non ha risposto, oppure l’Agenzia ha ritenuto non sufficiente la risposta – l’Ufficio può procedere emettendo un avviso di accertamento formale. Si tratta di un atto impositivo a tutti gli effetti, con cui vengono contestate le violazioni riscontrate, quantificate le maggiori imposte dovute e irrogate le sanzioni. Un accertamento tipico in materia di conti esteri non dichiarati conterrà: la ricostruzione dei fatti (conto PayPal estero non dichiarato per anno X, accrediti totali Y € non giustificati), la qualifica di tali somme come redditi non dichiarati, il calcolo delle imposte evase su quei redditi, e l’applicazione delle relative sanzioni (RW + infedele/omessa dichiarazione).
Ricevuto l’avviso (notificato via PEC o posta raccomandata AR), il contribuente ha due strade: pagare (in tutto o in parte) oppure impugnare l’atto davanti al giudice tributario. Prima di decidere, esistono però strumenti deflativi che vale la pena considerare.
Accertamento con adesione: negoziare col Fisco per ridurre sanzioni
L’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) è un procedimento che permette al contribuente di “trattare” con l’ufficio una definizione dell’accertamento, ottenendo benefici sulle sanzioni. Entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, il contribuente può presentare istanza di adesione all’ufficio accertatore. Questo sospende i termini per ricorrere e apre un dialogo. In pratica si discute con i funzionari la pretesa: il contribuente può portare argomenti, magari ottenere uno sgravio parziale (non è garantito, ma a volte l’ufficio per chiudere prima concede qualcosa sul quantum). Al termine, se si trova un accordo, si firma un atto di adesione in cui il contribuente accetta un certo importo di imposte e sanzioni. Vantaggi: – Le sanzioni amministrative vengono automaticamente ridotte a 1/3 di quelle inizialmente contestate . – Non si pagano le spese di un eventuale processo. – Si può rateizzare quanto dovuto (fino a 8 rate trimestrali, o 16 se importo alto).
Nel nostro caso, supponiamo abbiano accertato €10.000 di imposte evase e applicato 120% di sanzione (€12.000) sui redditi + 3% (€300) per RW. Totale sanzioni €12.300. In adesione pagheremmo 1/3 = €4.100 di sanzioni, oltre alle imposte e interessi. Se invece col ravvedimento avremmo pagato molto meno (es. 1/8 del minimo: circa 11% di €10.000 = €1.100). Ecco perché conviene agire prima. L’adesione è un rimedio per limitare i danni se ormai l’accertamento è partito.
Va detto che l’adesione richiede “contrattazione”: se pensate di avere ottime ragioni per contestare, potreste non voler aderire. Ma se siete in torto marcio, aderire conviene quasi sempre (risparmi 2/3 delle sanzioni subito, e chiudi la vicenda).
E se il contribuente non ha risposto affatto alla compliance e vuole guadagnare tempo? Alcuni pensano strategicamente di non ravvedersi subito, aspettare l’accertamento e poi chiudere in adesione (così “spostano in avanti” il pagamento). È una tattica rischiosa: vero, l’adesione dà lo sconto a 1/3 sulle sanzioni edittali, ma il ravvedimento spesso dà sconti ben maggiori (anche 1/10 o 1/8). Ad esempio, come osservava un esperto, aspettare l’atto significa pagare il 1% per anno (1/3 di 3%) invece che lo 0,5% col ravvedimento . Inoltre con l’adesione dovrete comunque pagare 1/3 delle imposte entro 20 giorni dalla firma, e il resto a rate. Col ravvedimento potevate pagare subito o a rate autopianificate prima dell’accertamento. Quindi a meno di situazioni particolari, meglio ravvedersi che fare “i furbi” aspettando l’accertamento.
Il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie)
Se non si raggiunge un accordo in adesione (o se non la si attiva proprio), l’unico modo per evitare di pagare quanto richiesto è presentare ricorso alla nuova Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento. Nel ricorso si contestano i motivi dell’atto, chiedendone l’annullamento totale o parziale.
Procedura aggiornata 2023: la riforma della giustizia tributaria (D.Lgs. 119/2022) ha eliminato il precedente istituto del reclamo-mediazione obbligatorio per le liti sotto €50.000 (art. 17-bis D.Lgs. 546/92, ora abrogato) . Quindi oggi si può ricorrere direttamente, senza passare da mediazione. Tuttavia, nulla vieta all’Agenzia e al contribuente di trovare un accordo in corso di causa, tramite la conciliazione giudiziale.
Pagamento in pendenza di ricorso: presentare ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Per evitare di dover pagare subito (di solito, entro 60 giorni dall’accertamento vanno pagate le somme se non si fa nulla), il contribuente può: – Pagare intanto 1/3 delle imposte accertate con le sanzioni ridotte a 1/3 (importo dovuto per legge in caso di impugnazione), e attendere l’esito del ricorso per il resto. – Oppure chiedere sospensione dell’esecuzione al giudice tributario, se vi è pericolo di grave danno dal pagamento immediato e se il ricorso appare fondato (sospensione cautelare).
In ogni caso, una volta depositato il ricorso, si apre la fase contenziosa.
Strategie difensive nel merito: i possibili argomenti da far valere davanti al giudice tributario includono: – Il conto era sotto soglia, quindi nessun obbligo RW né violazione. Se l’ufficio ha sanzionato un omesso RW ma in realtà il saldo/giacenza erano sotto i limiti legali, si chiederà l’annullamento di quella sanzione producendo i calcoli. Esempi di precedenti: una sentenza CTR Lombardia 2018 ha annullato sanzione RW perché il contribuente era sotto €15k quell’anno . – Cumulo giuridico sulle sanzioni RW multiple: se l’Agenzia avesse irrogato (erroneamente) sanzioni piene per ogni anno, va chiesto al giudice di applicare il cumulo giuridico ex art. 12 D.Lgs. 472/97, riducendo la somma (oggi la Cassazione vi dà pieno supporto su questo) . – Errata qualificazione di reddito: si può contestare che certe somme non fossero redditi imponibili. Ad esempio, provare che quegli accrediti erano risparmi personali trasferiti, o donazioni. Se si riesce a convincere il giudice, le imposte evase (e relative sanzioni) vanno eliminate o ridotte. – Errori di calcolo o duplicazioni: spesso negli accertamenti complessi qualche errore capita. Verificare che l’Agenzia non abbia conteggiato due volte la stessa somma, o che non abbia incluso importi già tassati ecc. Questi errori possono portare ad annullamento parziale. – Incertezza normativa oggettiva: un tema interessante è invocare l’incertezza normativa come causa di non punibilità (art. 6 co. 2 D.Lgs. 472/97) . Si sostiene, in sostanza, che il contribuente non ha colpa perché la norma era poco chiara. Nel caso PayPal, specie per anni passati (prima che fosse chiaro il dovere di dichiararlo), si potrebbe argomentare che vi fosse incertezza: alcuni consideravano PayPal non dichiarabile, mancando chiarimenti ufficiali. La Cassazione ha talvolta riconosciuto l’incertezza normativa come esimente da sanzioni, ad esempio in un caso del 2018 sulle sanzioni RW e penali insieme . Non è garantito che il giudice accetti questa difesa, ma si può provare, soprattutto per ridurre le sanzioni. – Proporzionalità delle sanzioni: in ambito comunitario e costituzionale, si può sempre invocare il principio di proporzionalità della sanzione. Se, ad esempio, viene applicato il 15% su un grosso importo per RW e quell’importo era già tassato, la sanzione può apparire eccessiva. La Cassazione italiana (sent. n. 11292/2019) ha ritenuto legittima la sanzione minima 3% come proporzionata alle finalità anti-evasione , ma in casi concreti qualche giudice di merito potrebbe ridurre ulteriormente sanzioni giudicandole sproporzionate. Si può sollevare il punto, anche se non è una linea vincente di per sé. – Vizi formali dell’accertamento: controllare la motivazione dell’atto. Se fosse carente (es. non spiega le ragioni, non indica i criteri di calcolo, ecc.), o se vi sono vizi procedurali (notifica invalida, mancato contraddittorio se era previsto, ecc.), sono argomenti procedurali per invalidare l’atto.
Ovviamente, impostare un ricorso efficace non è semplice: conviene affidarsi a un avvocato tributarista esperto, che conosca le pronunce di legittimità e come presentare le prove. Nel processo tributario, il contribuente può depositare documenti a sostegno (ad es. estratti conto, ricevute, ecc.) anche in corso di giudizio, purché entro 20 giorni prima dell’udienza. Il giudice valuterà se l’accertamento va confermato, annullato o ridotto.
Conciliazione giudiziale: una volta in causa, esiste comunque la possibilità di conciliare con l’Agenzia, con l’assistenza del giudice. Si può proporre una conciliazione in udienza: tipicamente l’Agenzia, se concorda, riduce le sanzioni al 50% (in primo grado) o al 60% (in appello) come incentivo alla chiusura . Ad esempio, se in causa la pretesa è €10.000 imposte + €10.000 sanzioni, conciliare in primo grado riduce le sanzioni a €5.000. È un compromesso: il contribuente rinuncia a portare avanti la lite e l’Agenzia cede su metà sanzioni. Dopo la riforma, la conciliazione è sempre possibile fino a sentenza passata in giudicato.
Esito del giudizio: se il contribuente vince, l’atto viene annullato (in toto o in parte) e non deve pagare quanto non confermato. Se perde, dovrà pagare (magari con ulteriore aggravio di spese). C’è poi l’appello in secondo grado (Corte Giustizia Tributaria regionale) e, eventualmente, il ricorso per Cassazione (solo su questioni di diritto, più complesso). Statisticamente, molte controversie su omesse dichiarazioni di attività estere vedono i giudici applicare la legge in modo abbastanza rigoroso, ma come detto correggendo gli eccessi (riconoscendo il cumulo, riconoscendo esoneri se c’erano, ecc.) . Se il contribuente non ha davvero evaso redditi, spesso ottiene almeno la riduzione al minimo delle sanzioni RW con motivazioni tipo “violazione formale”.
Costi della causa: ricordate che fare causa ha costi (contributo unificato, parcella del difensore). Se le somme in ballo non sono alte, a volte può convenire comunque un accordo col fisco piuttosto che anni di liti. Ad esempio, per €2.000 di sanzioni forse meglio accettare la conciliazione a €1.000 che andare in appello e Cassazione. Viceversa, se la pretesa è enorme e ritenete di avere solide ragioni, battersi è doveroso.
Simulazioni pratiche (casi reali semplificati)
Presentiamo ora alcune simulazioni pratiche ispirate a casi reali, per capire come le regole illustrate si applicano in situazioni concrete. Tutti gli esempi riguardano contribuenti in Italia con conti PayPal esteri.
Caso 1: Conto PayPal sotto soglia segnalato per errore
Scenario: Maria, una graphic designer, ha un conto PayPal in Lussemburgo collegato ai suoi acquisti online. Nel 2022 il saldo massimo sul conto è stato 8.000 € e la giacenza media 3.000 €. Non ha mai usato PayPal per ricevere pagamenti di lavoro, solo trasferimenti dal suo conto italiano e qualche regalo di familiari. Non sapendo di PayPal, Maria non l’ha indicato nel quadro RW 2022. Nel 2024 riceve una lettera di compliance che segnala “conto PayPal non dichiarato nel 2022 con saldo €8.000”.
Analisi: In base alle regole, Maria era esonerata dall’obbligo RW, poiché 8.000 € < 15.000 € e media 3.000 € < 5.000 €. Dunque la lettera è infondata. Maria raccoglie gli estratti PayPal 2022 da cui risultano quei saldi. Prepara una PEC all’Agenzia spiegando che il conto rientrava nelle soglie di esonero previste dall’art. 4 D.L. 167/90 e circostanze collegate, allegando estratto conto e calcolo giacenza. Invia il tutto e non effettua ravvedimento perché convinta di essere nel giusto.
Esito: Dopo qualche mese, l’Agenzia invia una comunicazione di archiviazione: prende atto che il conto era di modesto importo e quindi non sanziona nulla. Maria non subisce sanzioni né deve pagare alcunché.
Commento: Questo caso illustra l’importanza di conoscere le soglie: Maria ha potuto difendersi agevolmente dimostrando che l’obbligo dichiarativo non sussisteva . Va detto che, se anche l’Agenzia fosse stata ostinata e avesse emesso accertamento, quasi certamente in giudizio Maria avrebbe vinto facendo valere l’esonero (come da precedenti di merito ). Fortunatamente, la fase bonaria ha risolto tutto.
Caso 2: Conto PayPal con fondi già tassati (solo violazione RW)
Scenario: Luigi, residente in Italia, lavora come dipendente. Nel 2019, per comodità, ha trasferito 50.000 € dei suoi risparmi dal conto italiano al suo conto PayPal (ottenuto vendendo la sua auto e altri beni). Ha poi tenuto quei soldi su PayPal per un paio d’anni, usandoli per acquisti vari. Al 31/12/2019 il saldo PayPal era 45.000 €, al 31/12/2020 era 10.000 €. Luigi non ha dichiarato il conto in RW per il 2019 e 2020, ignorandone l’obbligo. Riceve nel 2023 una lettera di compliance per il conto non dichiarato in quegli anni.
Analisi: Qui le soglie sono superate (saldo max 50k > 15k, media ~? comunque sicuramente >5k), quindi Luigi doveva dichiarare il conto e pagare l’IVAFE. Tuttavia, non ci sono redditi evasi: i 50k erano redditi netti già tassati (stipendi, vendita auto che non genera plusvalore tassabile). Quindi la violazione è solo il monitoraggio. Luigi decide di ravvedersi: presenta integrative RW per 2019 e 2020, dichiara i saldi dei due anni, calcola l’IVAFE (34,20 € per ciascun anno) e versa la sanzione RW ridotta. Essendo passati più di 2 anni, paga 1/8 del minimo 3%: ossia circa 0,375% di 50.000 = €187,50 per 2019, e 0,375% di 10.000 = €37,50 per il 2020. Più una decina di euro di interessi. Totale ravvedimento: circa €300. Invia all’Agenzia copia di tutto via PEC.
Esito: L’Agenzia accetta la regolarizzazione: Luigi riceve una risposta che conferma che la sua posizione è stata aggiornata. Nessun ulteriore atto.
Commento: Luigi ha dovuto pagare una sanzione patrimoniale per il monitoraggio omesso, ma nessuna imposta sui redditi (poiché non c’erano redditi) e nessuna sanzione per infedele dichiarazione. Se non si fosse ravveduto, avrebbe rischiato una sanzione RW del 3% per ogni anno pieno (circa €1.500 per 2019 e €300 per 2020 = €1.800) probabilmente ridotta a cumulo giuridico ~€1.500 in accertamento, oltre a interessi e magari un contenzioso. Con il ravvedimento se l’è cavata con molto meno e subito. Inoltre, non ravvedendosi avrebbe potuto subire (a torto) anche accuse di evasione fino a prova contraria. In tribunale avrebbe comunque dovuto giustificare la provenienza dei fondi. Meglio evitare: sistemare prima ha chiarito che non c’erano redditi nascosti, chiudendo ogni discussione.
Caso 3: Conto PayPal per vendite online non dichiarate (evasione significativa)
Scenario: Marco gestisce informalmente un negozietto online di elettronica usata su eBay. Non ha partita IVA. Nel 2020–2021 incassa circa 80.000 € sul suo PayPal vendendo telefoni e computer. Non dichiara nulla al Fisco. Nel 2022 l’Agenzia lo contatta (compliance) segnalando conti esteri non dichiarati 2020-21 con movimenti importanti. Marco ignora la lettera. Nel 2023 arrivano avvisi di accertamento per 2020 e 2021: l’Agenzia qualifica l’attività come impresa commerciale occulta, recharacterizza i 80.000 € come ricavi non dichiarati. Chiede circa 20.000 € di IRPEF + addizionali + IVA per ciascun anno (ipotizziamo), più sanzioni 120% (omessa dichiarazione) = 24.000 € per anno, più sanzione RW 3% su saldi (diciamo 3% di 40k = 1.200 € anno). Totale pretesa su due anni: imposte ~40.000 €, sanzioni ~50.000 €, interessi. Scatta anche denuncia per omessa dichiarazione (imposta evasa ~€40k per anno, sopra soglia 50k? dipende, se IRPEF evasa era 20k/anno, su singolo anno non supera 50k, quindi penale forse evitato per un soffio; se fosse considerato un unico disegno su due anni, potrebbe complicarsi, ma probabilmente no reato in questo scenario).
Analisi: Marco è in grave difficoltà. Ha chiaramente evaso delle imposte, e su importi rilevanti. Se avesse reagito prima con ravvedimento, avrebbe potuto sanare pagando il dovuto con sanzioni ridotte e niente penale. Ormai gli accertamenti sono emessi. Marco decide di ricorrere perché ritiene eccessiva la ricostruzione dell’Agenzia (alcune somme su PayPal erano suoi fondi personali, non tutte vendite, sostiene lui). Presenta ricorso e intanto cerca un accordo. In udienza, tramite il suo avvocato, propone una conciliazione: accetta di pagare tutte le imposte dovute (non c’è scampo su quelle), ma chiede sanzioni ridotte al minimo. Si concilia: il fisco riduce le sanzioni del 50%. Marco finisce per pagare circa 40k imposte + 25k sanzioni, rateizzati.
Esito: Il caso si conclude con un esborso notevole per Marco, che oltretutto vede azzerato il suo guadagno di 80k (tra tasse e multe ha pagato simile cifra). Non ha ulteriori guai penali (perché alla fine l’imposta evasa annua era sotto soglia penale).
Commento: Questo scenario mostra come l’evasione tramite PayPal possa facilmente trasformarsi in un salatissimo conto da pagare in ritardo. Se Marco avesse deciso di “mettersi in regola” spontaneamente non appena ha capito di aver sbagliato (magari dopo la lettera di compliance), avrebbe potuto fare le dichiarazioni tardive, aprire la partita IVA e pagare i 40k di imposte con sanzioni forse ridotte ad un decimo (4k). Invece ignorando ha attirato l’azione repressiva e sanzioni piene. Il messaggio: il ravvedimento costa molto meno dell’accertamento. Inoltre, se i volumi di affari fossero stati ancora maggiori (e imposte evase >50k), Marco rischiava seriamente un procedimento penale.
Caso 4: Conto PayPal intestato a terzi ma usato dal contribuente
Scenario: Stefania, italiana, fa l’influencer e riceve compensi da sponsor esteri. Per evitare tasse in Italia, fa transitare i pagamenti sul PayPal del cugino residente all’estero (Germania). Formalmente quindi Stefania non ha conti esteri a lei intestati, e non dichiara nulla. Nel 2025 però l’Agenzia scopre (tramite controlli incrociati e segnalazioni) che quel conto tedesco è alimentato da attività di Stefania. Le invia un accertamento contestandole di essere la titolare effettiva di un conto estero non dichiarato e di aver evaso redditi. Stefania protesta: “Non è nemmeno a me intestato il conto, non dovevo dichiararlo”.
Analisi: La norma sul monitoraggio (art. 4 D.L. 167/90) obbliga a dichiarare le attività estere di cui si ha disponibilità o disponibilità indiretta, anche se intestate a terzi, se il contribuente ne è il beneficiario effettivo (concetto mutuato da antiriciclaggio) . Dunque l’Agenzia ha base legale per dire che Stefania avrebbe dovuto indicare quel conto “occulto” intestato al cugino. In giudizio Stefania ben difficilmente potrà vincere su questo, specie se ci sono prove (movimenti che tornano, ecc.). Potrà però cercare di dimostrare quali somme erano effettivamente sue e quali no, per limitare le imposte accertate solo alla parte di reddito di sua spettanza.
Esito possibile: Il giudice conferma che Stefania era obbligata a monitorare il conto (perché ne aveva la disponibilità di fatto) e conferma le imposte evase sui compensi non dichiarati. Le sanzioni RW e reddituali vengono applicate. Stefania patteggia in conciliazione per chiudere la causa con sanzioni ridotte al 50%.
Commento: Usare conti intestati a terzi per cercare di sfuggire al Fisco è una pratica rischiosa e spesso inutile. Le amministrazioni hanno strumenti per individuare il titolare effettivo delle disponibilità (specie se tra familiari). Quando viene smascherato, oltre alle sanzioni ci possono essere anche accuse più gravi (dall’interposizione fittizia fino al money laundering se il contesto è di occultamento di reati). Meglio non percorrere queste strade.
Domande frequenti (FAQ)
D: Entro quando devo rispondere alla lettera di compliance che ho ricevuto?
R: La lettera di compliance non fissa un termine perentorio di risposta (non è un atto “impugnabile” con scadenza) . Tuttavia è fortemente consigliato rispondere tempestivamente, idealmente entro 30 giorni o al massimo 60 giorni dal ricevimento. Questo per dimostrare collaborazione e per cercare di chiudere la questione prima che l’ufficio si attivi con un accertamento vero e proprio. Se lasciate passare troppo tempo senza far nulla, aumentate la probabilità che arrivi un avviso formale. In sintesi: non c’è una scadenza legale, ma per vostra convenienza muovetevi subito (nell’ordine di qualche settimana).
D: Cosa succede se ignoro la lettera e non rispondo affatto?
R: Se ignorate la lettera, l’Agenzia presumibilmente procederà con ulteriori controlli. In molti casi, dopo qualche mese (a volte anche un anno o più) dalla lettera segue un avviso di accertamento formale se il contribuente non ha regolarizzato . In pratica, il silenzio viene interpretato come mancanza di collaborazione, e l’ufficio passa alla fase successiva applicando sanzioni piene. Non rispondere non ferma il processo, anzi rischia di farvi trovare poi un accertamento con importi ben maggiori da pagare. Ci sono stati casi in cui il contribuente non ha reagito e sperava forse che la cosa cadesse nel vuoto: la conseguenza è stata un accertamento d’ufficio con pretese fiscali molto più gravose, contro cui poi l’unica difesa era il ricorso in commissione. Vale la pena ricordare che la compliance è un invito bonario: se non lo cogliete, il Fisco non archivia certo per gentile concessione, al contrario, si fa più aggressivo.
D: Se sul conto c’erano pochi soldi (poco sotto le soglie) devo comunque dichiararlo?
R: Se effettivamente sia il picco sia la giacenza media erano sotto le soglie (15k e 5k), no, non dovevi dichiararlo. Come spiegato, la legge esonera in quel caso . Tuttavia attenzione: “pochi soldi” è vago; serve rientrare formalmente nei limiti. Ad esempio, saldo massimo €14.500 e media €4.800 -> esonero. Saldo max €14.500 e media €5.500 -> l’esonero per monitoraggio c’è (perché max <15k) ma l’IVAFE sarebbe dovuta perché media >5k, quindi di fatto avresti dovuto compilare RW per pagare l’imposta. Insomma, va valutato con precisione. Se sei sotto soglia in buona fede e ti contestano lo stesso, come visto puoi difenderti fornendo i dati. Invece, se sei sopra soglia anche di poco, legalmente l’obbligo c’era (non c’è una tolleranza del tipo “vabbè era quasi 15k” – 15k è il taglio netto). Quindi in quel caso la sanzione può essere legittima, anche se magari il Fisco potrebbe mostrarsi clemente riducendola al minimo.
D: Il conto PayPal va sempre inserito nel quadro RW?
R: No, solo se ne ricorrono i presupposti (sede estera e superamento soglie, oppure altri obblighi). Riassumendo: – Se sei residente in Italia e hai un conto PayPal all’estero (Lussemburgo) che ha superato almeno in un giorno 15.000 € di saldo, devi indicarlo in RW. – Se il conto ha giacenza media oltre 5.000 €, devi calcolare/versare l’IVAFE (dichiarandolo). – Se nessuna delle due condizioni si verifica, non devi dichiararlo (sei esonerato) . – Se sei non residente in Italia, non devi dichiarare nulla (non sei soggetto al monitoraggio, salvo contitolarità con residenti). – Fai attenzione: come detto prima, la definizione di “conto PayPal” per il Fisco è equiparata a un rapporto estero. Non importa che non abbia IBAN o che sia “solo un wallet”: di fatto viene considerato un’attività finanziaria estera. Quindi se rientra nei parametri, va dichiarato.
D: Posso andare incontro a un reato penale per questo?
R: Dipende dall’entità dell’evasione. Il solo omesso monitoraggio RW non è reato (lo ha confermato Cass. 19849/2021) . Puoi avere sanzioni amministrative salate, ma non ti portano in tribunale penale solo perché non hai dichiarato il conto. Il penale scatta se c’è evasione d’imposta sopra soglie: come detto, più di 50.000 € di imposta evasa = reato omessa dichiarazione; più di 100.000 € = reato infedele (con ulteriori condizioni) . Per fare un esempio: se hai incassato 300.000 € di ricavi su PayPal in nero, su cui avresti dovuto pagare chessò 120.000 € di IRPEF, sei ben sopra le soglie -> qui ci sarebbe probabilmente un procedimento penale oltre all’accertamento fiscale. Se invece la tua imposta evasa è modesta (qualche migliaio di euro) niente penale, solo sanzioni amministrative. Importante: se fai ravvedimento operoso e paghi tutto prima che la violazione venga scoperta, il D.Lgs. 74/2000 prevede che non sei punibile penalmente, anche se le soglie fossero superate (è una causa di non punibilità per pagamento del dovuto). Quindi ravvedersi in tempo è anche uno scudo penale.
D: Ho chiuso il conto PayPal prima che lo scoprissero: devo dichiararlo comunque?
R: La chiusura del conto non cancella gli obblighi passati. Devi dichiarare in RW il possesso del conto per gli anni in cui lo hai detenuto, anche se al 31/12 di quell’anno il conto era già chiuso. Se ad esempio hai avuto un conto estero per alcuni mesi del 2022 e l’hai chiuso a ottobre 2022, nella dichiarazione dei redditi 2023 (anno d’imposta 2022) devi comunque indicarlo (il valore al 31/12 sarà zero, ma va indicato il massimo valore avutosi durante l’anno). Molti pensano erroneamente che chiudendo prima di fine anno non vi sia obbligo, ma non è così : l’obbligo scatta se nel corso dell’anno c’è stato il possesso sopra soglia, indipendentemente dal fatto che a fine anno il conto esista ancora o no. Quindi, se non hai dichiarato un conto già chiuso, potresti ricevere comunque la compliance (anzi, succede spesso: il CRS segnala l’ultimo anno di vita del conto, con saldo finale 0 ma saldo massimo tot nell’anno) . Dovrai sanare per quegli anni passati. La chiusura del conto serve solo a non aver obblighi futuri, ma non copre l’omissione pregressa . Se invece il conto era intestato a terzi e tu lo usavi, chiuderlo non cambia la sostanza: se l’Agenzia scopre che lo utilizzavi, potresti essere chiamato a risponderne per il passato .
D: In caso di dubbi, posso chiedere aiuto all’Agenzia stessa per ravvedermi correttamente?
R: Sì, in parte. Nella lettera spesso forniscono contatti (email, telefono) per chiarimenti. Puoi telefonare al funzionario o scrivere all’ufficio per chiedere come fare tecnicamente. Gli operatori possono spiegarti in generale i passi (quale modello presentare, dove trovare le istruzioni) . Tuttavia, ricorda che l’Agenzia non fa da consulente personalizzato: il loro obiettivo è farti pagare il dovuto, non necessariamente dirti tutte le possibili vie difensive a tuo vantaggio . Ad esempio, difficilmente ti suggeriranno “guardi che se era sotto soglia non deve niente” – questo devi saperlo tu o farti consigliare da un professionista . Quindi, per sicurezza, se non sei ferrato in materia ti conviene investire in una consulenza da un commercialista o avvocato tributarista di fiducia. Molti studi offrono assistenza mirata per queste situazioni con costi contenuti rispetto alle cifre in gioco . Un consulente curerà i tuoi interessi al 100%, magari scoprendo che davvero non devi pagare nulla e difendendoti in tal senso, cosa che l’Agenzia difficilmente farà per te. In sintesi: usa pure la cortesia dell’ufficio per chiarimenti di base, ma per le strategie affidati a un esperto dalla tua parte .
D: Ci sono state sentenze su casi simili? Posso sperare nell’annullamento?
R: Sì, esistono diverse pronunce sia di merito che di legittimità. Ne citiamo alcune: – La Cassazione civile, sez. Trib., n. 11849/2023 ha stabilito che per omessa compilazione del quadro RW su più anni si applica il cumulo giuridico (una sola sanzione aumentata fino al triplo) e non si sommano le sanzioni anno per anno . Questo tutela il contribuente contro sanzioni plurime eccessive. – La Cassazione penale, sez. VI, n. 19849/2021 ha affermato che l’omessa presentazione del quadro RW, di per sé, non costituisce reato di riciclaggio o autoriciclaggio . Serve un reato fiscale presupposto provato; altrimenti la sola violazione amministrativa non basta a configurare reato. – La Cassazione sez. V, n. 20030/2022 ha confermato che le sanzioni RW sono sostanziali (quindi legittimamente anche retroattive nel limite previsto) ma ha richiamato il principio di proporzionalità, giudicando comunque legittimo il 3% minimo applicato . In sostanza ha detto che il 3% non è esorbitante rispetto allo scopo anti-evasione. – La Cassazione sez. VI-5, ord. n. 28077/2024 ha ribadito il concetto di continuazione nelle violazioni RW, in linea con la n. 11849/2023 (quindi favorevole al cumulo giuridico) . – La Cassazione sez. V, ord. n. 6409/2025 (caso conti in Svizzera 2008) ha delimitato l’applicazione della presunzione di evasione di cui all’art. 12 D.L. 78/09, evidenziando che non si applica retroattivamente e comunque vale solo per paesi black list . Tradotto per il nostro contesto: oggi su Lussemburgo (white list) l’ufficio non può presumere nulla in automatico, deve provare caso per caso l’evasione . – Sentenze di merito: ad es. CTR Lombardia n. 140/2018 annullò una sanzione RW perché il contribuente era sotto la soglia €15k quell’anno, quindi l’obbligo non sussisteva . Una CTP Milano 2020 (sentenza non pubblicata, citata in dottrina) in un caso PayPal ha addirittura azzerato le sanzioni per un contribuente che si era ravveduto tardivamente ma prima dell’atto, ritenendo la collaborazione piena come causa di esonero (un caso isolato e fortunato) .
Ogni caso fa storia a sé, ma c’è una tendenza: i giudici applicano la legge in modo rigoroso sui principi (se dovevi dichiarare e non l’hai fatto, la violazione c’è), però stanno attenti a non far pagare oltre il dovuto, correggono errori dell’Agenzia, applicano benefici come cumulo, soglie, minimi edittali . Inoltre, mostrano comprensione per chi non ha effettivamente evaso redditi: spesso nelle sentenze si legge che l’omessa RW è stata considerata un’infrazione più “formale”, e magari hanno scelto la sanzione minima proprio perché non c’era occultamento di imponibile . Quindi, c’è spazio per difendersi, soprattutto se la vostra è un’ingenuità e non un’evasione intenzionale.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati movimenti PayPal non dichiarati, ritenuti ricavi o compensi occultati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati movimenti PayPal non dichiarati, ritenuti ricavi o compensi occultati?
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👉 Prima regola: dimostra la natura reale delle transazioni PayPal, distinguendo tra ricavi imponibili e trasferimenti patrimoniali, rimborsi o somme non soggette a tassazione.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Accrediti da vendite online non dichiarati come redditi;
- Pagamenti ricevuti da clienti senza emissione di fattura;
- Movimenti tra conti personali e PayPal ritenuti incassi professionali;
- Donazioni, crowdfunding o regali interpretati come redditi imponibili;
- Incongruenze tra i flussi PayPal e quanto dichiarato in contabilità.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero delle imposte sui movimenti riqualificati come redditi;
- Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele o omessa fatturazione;
- Interessi di mora sulle somme accertate;
- Possibili verifiche estese ad altri conti digitali o bancari;
- Rischio di contestazioni penali in caso di importi rilevanti.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- I movimenti PayPal derivano da vendite o da trasferimenti privati?
- Esistono prove di donazioni, regali o rimborsi spese non imponibili?
- Tutti i ricavi professionali sono stati regolarmente fatturati e dichiarati?
- I flussi PayPal coincidono con le registrazioni contabili e fiscali?
- L’accertamento si fonda su prove concrete o su presunzioni generiche?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Estratti conto PayPal con causali dettagliate;
- Fatture elettroniche e ricevute fiscali emesse;
- Estratti conto bancari collegati a PayPal;
- Prove di rimborsi, trasferimenti familiari o crowdfunding non imponibili;
- Dichiarazioni fiscali e registri IVA.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la non imponibilità di parte dei movimenti (donazioni, rimborsi, trasferimenti privati);
- Contestare la presunzione che ogni accredito equivalga a un ricavo occulto;
- Evidenziare la tracciabilità dei flussi e la regolare fatturazione dei redditi imponibili;
- Eccepire errori di calcolo o carenze di motivazione nell’accertamento;
- Richiedere annullamento in autotutela se la documentazione era già depositata;
- Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini di legge.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i movimenti PayPal contestati e la documentazione collegata;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione e individua i margini difensivi;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, anche in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione fiscale sicura e trasparente dei pagamenti digitali.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e accertamenti bancari;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni fiscali su movimenti PayPal e conti digitali;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni per movimenti PayPal non dichiarati non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni che non distinguono tra ricavi imponibili e trasferimenti privati.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale natura delle transazioni, evitare recuperi indebiti e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.