Accertamento Fiscale A Consulenti SEO: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale come consulente SEO? In questi casi, l’Agenzia delle Entrate presume che parte dei compensi percepiti per consulenze di posizionamento sui motori di ricerca, gestione siti, analisi keyword o strategie digitali non sia stata dichiarata correttamente. I consulenti SEO, come altri freelance del digitale, sono sempre più sotto la lente del Fisco per i compensi provenienti dall’estero, i pagamenti online e l’utilizzo di piattaforme digitali. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e, nei casi più seri, anche contestazioni penali. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben strutturata è possibile dimostrare la regolarità della propria posizione o ridurre sensibilmente le pretese fiscali.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i redditi di un consulente SEO
– Se i compensi dichiarati non coincidono con i contratti stipulati e i report delle attività svolte
– Se vi sono incongruenze tra fatture emesse, ricevute di pagamento e movimenti bancari o PayPal
– Se i pagamenti ricevuti da clienti esteri non sono stati riportati in dichiarazione
– Se i compensi percepiti tramite piattaforme digitali non sono stati documentati fiscalmente
– Se l’Ufficio presume la presenza di prestazioni “in nero” non fatturate né dichiarate

Conseguenze dell’accertamento fiscale
– Recupero a tassazione dei compensi ritenuti non dichiarati
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Possibile riqualificazione dell’attività come imprenditoriale con obblighi IVA e contributivi aggiuntivi
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione

Come difendersi dall’accertamento
– Dimostrare la corrispondenza tra incarichi ricevuti, attività SEO svolte e redditi dichiarati
– Produrre contratti, report SEO, fatture, estratti conto bancari e documentazione digitale
– Contestare ricostruzioni presuntive dei ricavi basate su parametri standardizzati non rappresentativi
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione nell’avviso di accertamento
– Richiedere la riqualificazione delle somme contestate per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i flussi economici, i contratti e i pagamenti oggetto di contestazione
– Verificare la legittimità della contestazione e l’inquadramento fiscale corretto dei redditi
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e giurisprudenza favorevole
– Difendere il consulente SEO davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e professionale da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione di sanzioni e interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della correttezza delle dichiarazioni rese
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: i consulenti SEO, soprattutto quelli che lavorano online con clienti esteri e piattaforme digitali, sono considerati dal Fisco categorie ad alto rischio. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità digitale – spiega come difendersi in caso di accertamento fiscale a carico di consulenti SEO e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

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Introduzione

L’accertamento fiscale è la procedura con cui l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza verificano se il reddito dichiarato dal contribuente corrisponde a quello effettivamente prodotto. In presenza di incongruenze (ad esempio fra tenore di vita e redditi dichiarati, spese non giustificate o ricavi nascosti) l’ufficio procede a rettifiche e recupero delle imposte dovute . Per un consulente SEO – tipicamente un libero professionista con partita IVA – l’accertamento può scattare in diverse forme (accertamento analitico, redditometro, studi di settore/ISA, controlli bancari, ecc. ). Di seguito si illustrano le regole principali di diritto tributario, le contestazioni più frequenti e le strategie difensive (sia stragiudiziali che giudiziarie) da parte del contribuente.

Profilo fiscale del consulente SEO

  • Regime fiscale (IRPEF e IVA): Il consulente SEO, se svolge attività in proprio, concorre a tassazione come persona fisica (IRPEF). Può operare in regime ordinario (calcolo del reddito con ricavi meno costi deducibili) oppure aderire al regime forfettario (flat tax). In regime forfettario (soglia ricavi fino a €85.000 nel 2023, come stabilito dalla manovra 2020) il reddito è determinato applicando un coefficiente di redditività ai ricavi e non si versa IVA sulle fatture . In regime ordinario, il consulente applica invece il 22% di IVA nelle fatture (a meno che non operi B2B con reverse charge) ed è tenuto alla contabilità analitica (semplice o ordinaria).
  • Contributi previdenziali: Chi non ha cassa professionale specifica (come succede a molti professionisti digitali) versa i contributi alla Gestione Separata INPS (circa 25% del reddito) oppure ad altra forma previdenziale. Tali contributi obbligatori sono deducibili dal reddito imponibile IRPEF . Nel regime ordinario è obbligatoria la tenuta dei registri (anche in forma semplificata se i ricavi sono contenuti), mentre nel forfettario gli adempimenti contabili sono ridotti (non si applicano ritenute, non si detrae l’IVA, ma va presentata comunque la dichiarazione annuale) .
  • Tributi applicabili: Al reddito netto si applicano l’IRPEF e le relative addizionali regionali e comunali. In genere il consulente SEO non è soggetto a IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) se opera senza una “organizzazione autonoma” (nessun dipendente fisso né struttura propria) . Per quanto riguarda l’IVA, in regime ordinario la prestazione di servizi di consulenza è normalmente imponibile al 22%, salvo eventuali regimi speciali o applicazione del regime OSS/UE per prestazioni a clienti esteri. Il consulente deve osservare gli obblighi di fatturazione elettronica e registrazione delle operazioni.
  • Altri adempimenti: Anche i consulenti SEO possono essere tenuti all’iscrizione all’INPS Gestione Separata o altra cassa professionale. Gli adempimenti fiscali (dichiarazioni, versamenti, dichiarazione IVA, ecc.) sono strettamente legati al regime scelto. Il corretto possesso e conservazione dei documenti fiscali (fatture attive e passive, pagamenti bancari, estratti conto, contratti) è fondamentale per poter dimostrare la legittimità delle operazioni in caso di accertamento fiscale.

Strumenti di accertamento e contestazioni comuni

Tipologie di accertamento

Il fisco dispone di diversi strumenti di controllo per verificare l’attività di un professionista:

  • Accertamento analitico (art. 39 DPR 600/1973): è la verifica documentale a posteriori dei redditi dichiarati. L’ufficio esamina fatture emesse e ricevute, libri e registri contabili. Eventuali irregolarità (fatture non emesse o non registrate, costi non giustificati, discrepanze contabili) possono portare a rettifiche. Ad esempio, se mancano fatture o risultano operazioni inesistenti, l’ufficio può disconoscere i costi o imputare ricavi aggiuntivi .
  • Accertamento sintetico (art. 38 DPR 600/1973, “redditometro”): ricostruisce il reddito complessivo in base a presunzioni su spese e consumi (viaggi, autoveicoli, investimenti, consumi energetici, ecc.). Se il reddito accertato supera di oltre il 20% quello dichiarato e supera la soglia di circa €70.000 (dieci volte l’assegno sociale annuo, secondo la riforma 2024) scatta automaticamente la rettifica . In pratica, l’ufficio confronta il valore convenzionale degli elementi di costo (basato su spese medie) con quanto dichiarato: forti discordanze attivano l’accertamento. Anche nel regime forfettario questo strumento può essere applicato: la Cassazione ha confermato che anche per i forfettari valgono le presunzioni redditometriche (per esempio, versamenti bancari per cassa vengono considerati ricavi, prelievi come redditi in nero), benché l’ufficio debba tener conto dei costi medi della categoria . L’accertamento sintetico, quando eseguito su periodi successivi al 2009, prevede obbligatoriamente un contraddittorio preventivo (vedi oltre).
  • Indicatori di Affidabilità (ISA) – ex studi di settore: dal 2019 gli ISA (codici statistici di settore) valutano la congruità dei ricavi del consulente rispetto a parametri di settore. Ad esempio, i consulenti tecnici rientrano in specifiche categorie con spese medie standard. Se i dati forniti dal consulente si discostano fortemente da tali valori medi, l’Amministrazione può avviare un accertamento induttivo. In pratica, un “basso indice di affidabilità” giustifica l’apertura di verifica , anche se l’ISA stesso non determina imposte ma ha effetto meramente informativo.
  • Controlli bancari e finanziari (art. 32, 41 DPR 600/1973): l’ufficio (e la GdF) può acquisire i dati sui conti correnti del contribuente. Tutti i versamenti o prelievi sul conto di un professionista sono presunti ricavi o spese. In assenza di documentazione giustificativa, l’Agenzia può determinare presuntivamente il reddito in base ai movimenti rilevati . Questo strumento (“presunzione bancaria”) è molto incisivo: il consulente SEO deve quindi tenere traccia puntuale di ogni transazione finanziaria legata all’attività .
  • Altri controlli automatizzati: l’Agenzia utilizza incroci tra banche dati (per esempio, dati 730, spese con carte di credito, mercato immobiliare, fisco-inps) per segnalare anomalie di natura economica. Ad esempio, un rilevante incremento patrimoniale senza copertura dichiarata può attivare controlli mirati.

Contestazioni tipiche

Nelle verifiche rivolte a consulenti SEO si riscontrano spesso le seguenti contestazioni:

  • Operazioni inesistenti: fatture emesse dal consulente per operazioni mai effettuate (o ricevute) per dedurre costi o intestare ricavi. Ad es., un commercialista dell’assistenza tributaria ha evidenziato casi di professionisti che contabilizzano spese in realtà inesistenti, ipotizzando una frode fiscale. La giurisprudenza penale è molto severa: la Cassazione ha stabilito che il professionista che sapeva di usare fatture false risponde penalmente di reato tributario . Anche chi pur non verificando la veridicità delle fatture assume il rischio della frode. Dal punto di vista fiscale l’ufficio in genere annulla quei costi, contesta un’ulteriore imposta (ad es. IVA non versata) e può applicare sanzioni fino al 100-200% delle imposte evase.
  • Occultamento di ricavi: mancata fatturazione o annotazione di compensi effettivamente percepiti. Ad esempio, ricevute “in nero” dai clienti o bonifici non contabilizzati. Se l’Amministrazione ne ha evidenze (ad es. incroci bancari o segnalazioni), ricostruisce i ricavi occultati e applica le relative imposte. Anche qui scattano sanzioni per omissione o dichiarazione infedele.
  • Sovra-dimensionamento dei costi: deduzione di costi personali come se aziendali, oppure costo di consulenze fittizie da società “amiche”. Il consulente SEO deve essere in grado di documentare la natura professionale di ogni spesa (es. parcelle, abbonamenti a strumenti di marketing, corsi di aggiornamento). Spese generiche (viaggi privati, cene familiari, affitti di abitazione personale) non sono deducibili e vengono ricalcolate come reddito.
  • False fatture da fornitori esteri: in alcuni casi l’ufficio contesta servizi fatturati da aziende straniere (pensando a costi fittizi). Se il consulente utilizza fornitori esteri (anche B2B extra-UE), deve conservare contratti di consulenza, eventuali lettere d’incarico in inglese, prova del pagamento, ecc., per giustificare l’operazione. In mancanza di prove, tali costi possono essere disconosciuti come “operazioni inesistenti”.
  • Residenza o domicilio fittizio: se il consulente SEO dichiara di essere residente all’estero o in una regione a fiscalità ridotta, l’Agenzia può verificare la correttezza della situazione. Dal 2024 il Testo Unico delle Imposte (TUIR, art.2) definisce che è residente in Italia chi trascorre >183 giorni/anno in Italia o ha qui il “centro dei suoi interessi familiari” . Dichiarare fittiziamente una residenza estera (es. in Svizzera o Malta) pur vivendo e lavorando in Italia può portare alla perdita dei benefici di fiscalità estera e all’applicazione delle tasse italiane su tutti i redditi. In caso di contestazione di residenza fittizia, il contribuente deve fornire prove concrete (bollette, anagrafe consolare, dichiarazioni di altri Paesi) della sua presenza principale all’estero .
  • Esterovestizione societaria: se un professionista svolge l’attività attraverso una società fittiziamente “estera”, l’Agenzia può riqualificarla come azienda italiana e recuperare le imposte. Questo è più comune per società di capitali ma, concettualmente, un libero professionista potrebbe subire verifiche analoghe se gestisce l’attività da Malta o Romania solo sulla carta. La giurisprudenza tributaria e penale affronta questi casi severamente quando emerge una mera “dislocazione” per risparmio fiscale illegittimo.
  • Omessa iscrizione INPS/irregolarità previdenziali: la Guardia di Finanza può contestare contributi previdenziali non versati in caso di lavoro svolto “in nero” (collaborazione irregolare). La violazione degli obblighi contributivi può comportare sanzioni e la segnalazione agli enti previdenziali.

Strategie difensive stragiudiziali

Quando si riceve un avviso di accertamento (o un invito a contraddittorio), è fondamentale reagire prontamente e con la documentazione adeguata. Le principali azioni extragiudiziali includono:

  • Contraddittorio endoprocedimentale: per legge (art.6-bis Statuto del contribuente, DLgs. 219/2023) tutti gli atti di accertamento impugnabili devono essere preceduti da un contraddittorio preventivo informato . Ciò significa che, prima di emettere l’atto definitivo, l’ufficio deve invitare il contribuente a presentare osservazioni e documenti. Il consulente SEO, assistito da commercialista o avvocato, può così fornire chiarimenti, giustificativi di spesa e memorie difensive. Ad esempio, se l’ufficio ipotizza spese inesistenti, il contribuente può mostrare fatture, bonifici e contratti giustificativi. Tuttavia, la Cassazione SS.UU. ha precisato che l’eventuale mancato contraddittorio non invalida automaticamente l’atto: l’invalidità sussiste solo se il contribuente dimostra concretezza delle informazioni che avrebbe fornito e che queste avrebbero potuto modificare l’esito del procedimento . In pratica, il contribuente deve specificare quali fatti nuovi avrebbe evidenziato e che impatto questi avrebbero avuto, senza argomenti meramente speciosi .

Tuttavia, a partire dal 2024 il contraddittorio è diventato la regola generale: il DLgs. 219/2023, art.6-bis, stabilisce infatti che “tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi alla giurisdizione tributaria sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo” . Sono previste eccezioni (attività automatizzate o di pronta liquidazione) individuate dal DM 24/4/2024. Pertanto, è oggi obbligatorio che l’Agenzia inviti il consulente SEO al contraddittorio prima di emettere l’avviso definitivo (ad es. nei casi di redditometro, controlli contabili, verifiche bancarie).

  • Istanza di autotutela (revisione dell’atto): il contribuente può chiedere all’Agenzia di riesaminare l’atto notificato. La legge (art.2 DPR 602/1973 e art.7 dello Statuto del contribuente ) prevede la possibilità di un ricorso in autotutela, cioè una richiesta motivata di annullamento o modifica dell’atto per vizi di legittimità o errori materiali. Ad esempio, se l’avviso contiene un calcolo palesemente errato o considera un documento già riconosciuto, si può chiedere l’annullamento d’ufficio. Non c’è un termine per legge, ma in pratica è consigliabile presentare l’istanza subito (tipicamente entro 60 giorni dalla notifica) . L’Agenzia può accogliere in tutto o in parte la richiesta, annullando o riducendo gli importi contestati. Se l’istanza viene respinta o non ricevuta risposta, si può poi impugnare normalmente l’atto in sede contenziosa. L’autotutela è particolarmente efficace per correggere errori materiali (errori di calcolo, duplicazioni, ecc.) senza incorrere in sanzioni aggiuntive.
  • Accertamento con adesione: lo strumento deflativo per eccellenza. Il contribuente può proporre all’Agenzia una conciliazione sull’avviso ricevuto, riconoscendo le imposte dovute (o parte di esse) in cambio di sanzioni significativamente ridotte. L’adesione segue il procedimento di cui all’art.5 D.Lgs. 218/1997: dopo aver ricevuto l’atto o l’invito, il consulente SEO (tramite un professionista) può entro 30 giorni (termine ordinario) farne richiesta, indicando le basi di calcolo alternative . Se l’ufficio accetta la proposta, si sottoscrive un accordo formale e si paga quanto dovuto (di norma le imposte + 1/3 delle sanzioni ). Questo strumento assicura la chiusura definitiva del contenzioso (non è più possibile impugnare), ma evita un lungo giudizio. È spesso consigliabile quando le contestazioni hanno fondamento, perché permette di contenere tempi e costi (ad esempio: riduzione della sanzione da 120% a circa 40%) .
  • Definizione agevolata (condono fiscale): talvolta sono previste misure legislative straordinarie. Ad esempio, i commi 20-25 della Legge di conversione del DL n.4/2023 hanno introdotto la definizione agevolata per atti 2019-2021, con pagamenti in misura fissa del 5% della controversia. Tali strumenti possono consentire di estinguere alcuni avvisi pagando molto poco rispetto alla pretesa originaria.
  • Patti di collaborazione: la Legge 27/2012 permette a professionisti e imprenditori di sottoscrivere prima dell’atto un accordo con l’Agenzia (piano collaborativo) per correggere volontariamente errori e definire l’eventuale sanzione. È simile all’adesione ma anteriore al giudizio. Non viene usato di frequente per i professionisti digitali, ma rimane un’opzione.
  • Ravvedimento operoso: se si scoprono errori non troppo gravi prima di una verifica, è possibile sanare autonomamente con il ravvedimento operoso (art.13 DPR 602/1973). Ad esempio, entro 90 giorni dalla scadenza si può versare imposte e interessi con sanzioni ridotte (errori formali) o fino a 4-5 anni con sanzioni ridotte rispetto al pieno (anche 0,2% per omissione lieve entro 15 giorni, etc.). Questo evita contenzioso, ma presuppone ammettere l’errore.

Strategie difensive in sede giudiziale

Se gli strumenti stragiudiziali non bastano, il contribuente deve ricorrere in Commissione Tributaria. È essenziale agire nei termini e sollevare tutte le eccezioni possibili:

  • Impugnazione davanti alla CTP: l’atto di accertamento o rettifica fiscale si contesta con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale competente entro 60 giorni dalla notifica . Il ricorso deve esporre motivi di fatto e di diritto, allegando una copia dell’atto o documenti rilevanti (nella maggior parte dei casi l’atto è già noto all’autorità da notificare, ma i documenti nuovi devono essere allegati). Nel ricorso si devono indicare i vizi di forma (decorrenza decadenza, notifica, motivazione insufficiente), eventuali errori di calcolo, nonché far presente la prova contraria (es. fatture, estratti conto) che scagiona il contribuente. L’onere della prova della presunta capacità contributiva resta in capo al fisco: spetta all’Agenzia dimostrare le spese o i beni con cui ha ricostruito il reddito . In particolare, la Corte di Cassazione richiede che l’ufficio espliciti chiaramente le presunzioni adottate: se queste appaiono vaghe o basate solo su dati formali, possono essere contestate. L’assenza di contabilità valida autorizza comunque l’ufficio a ricostruire il reddito, ma il contribuente può opporsi chiedendo una motivazione puntuale (corte, vedi Cass. 31031/2024).
  • Impugnazione davanti alla CTR: se non soddisfatti dal giudizio di primo grado, le parti possono appellare la sentenza alla Commissione Tributaria Regionale entro 30 giorni dalla notifica della decisione di primo grado . Anche qui l’appello deve essere motivato nei termini di legge, contestando gli aspetti di diritto o di fatto ritenuti errati. Sono valutate nuovamente motivazione, prova e diritto applicato. In entrambi i gradi di giudizio, il principio di non contestazione (o “dedotta e non dedotta”) tutela il contribuente: l’amministrazione non può introdurre in giudizio elementi che non siano già espressamente indicati nell’atto impugnato . Ad esempio, se l’avviso contesta la non esistenza di una fattura, l’ufficio non potrà aggiungere in sede di CT argomenti nuovi (come omessa dichiarazione di un certo ricavo) non menzionati nell’atto. L’inosservanza di tale principio può comportare l’annullamento dell’atto per carenza di motivazione (Cass. 29968/2019 ).
  • Cassazione tributaria: è la Suprema Corte (Sezioni Tributarie) che giudica in via straordinaria questioni di diritto (non nuovi fatti) dopo l’iter in CTR. Ad esempio, questioni interpretative di norme fiscali o vizi di motivazione possono essere portati alla Cassazione entro 60 giorni dalla sentenza di secondo grado. Questa fase è molto tecnica e riguarda solo i casi in cui vi è contrasto giurisprudenziale o chiara violazione di legge nell’atto.
  • Tempi e termini: è cruciale rispettare i termini di legge. L’avviso di accertamento deve essere notificato entro il termine di decadenza (5 anni dal termine di presentazione della dichiarazione, o 7 anni se la dichiarazione è omessa ). Ad esempio, per una dichiarazione IRPEF 2020 regolarmente presentata, il termine ordinario di decadenza scade il 31/12/2025 . Superato quel termine senza notifica, l’atto non può più essere emesso (il contribuente può eccepire decadenza in giudizio). Lo stesso quinquennio vale per IVA e IRAP . I ricorsi in CTP vanno presentati entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, mentre l’opposizione alla cartella di pagamento (dopo l’iscrizione a ruolo) deve essere fatta entro 40 giorni .

Tabelle riepilogative

StrumentoTipoTermineEffetto principale
Contraddittorio preventivoPrecontenziosoprima dell’atto definitivoPermette al contribuente di fornire documenti e osservazioni prima che l’atto venga emesso . Principio generale dal 2024: è obbligatorio per tutti gli atti impugnabili (salvo espressa esclusione) .
Istanza di autotutelaPrecontenziososubito (consigliato <60 gg dall’atto)Richiesta di riesame dell’avviso da parte dell’Agenzia (art.2 DPR 602/1973). Può portare all’annullamento o alla riduzione dell’atto per errori evidenti . Nessun termine fisso di legge, ma si agisce tempestivamente.
Accertamento con adesionePrecontenziosoentro 30 gg dalla notificaDefinizione agevolata della controversia pagando le imposte dovute (sanzioni ridotte, solitamente a 1/3) . Chiude il contenzioso, accordo obbligatorio.
Ricorso in CTPContenzioso60 gg dalla notificaImpugnazione giurisdizionale dell’avviso di accertamento . Può comportare annullamento o riduzione dell’atto.
Ricorso in CTRContenzioso30 gg dalla sentenza CTPAppello della decisione di primo grado. Rivisita la legittimità della pretesa fiscale.
Opposizione a cartellaContenzioso40 gg dalla notificaRicorso al giudice tributario contro la cartella di pagamento. Se accolta, annulla la cartella e blocca la riscossione . Consente di impugnare vizi dell’atto (es. decadenza) e sospendere l’azione esecutiva.
Sospensione cautelareContenzioso (urgenza)subito in ricorsoRichiesta al giudice di sospensione dell’esecuzione forzata (ad es. pignoramento o fermi amministrativi) durante il giudizio (art.47 DLgs.546/92) . Blocca temporaneamente le azioni esecutive.

Domande e risposte frequenti

  • Cosa fare se ricevo un avviso di accertamento?
    Innanzitutto verificare la regolarità formale (termine di notifica rispetto alla decadenza, presenza dei dati identificativi, motivazione e allegati). È opportuno rivolgersi subito a un consulente tributario (commercialista/avvocato) e preparare la documentazione di supporto (fatture, contratti, movimenti bancari). Si può quindi sfruttare il contraddittorio preventivo, presentando memorie difensive entro i termini indicati dall’ufficio. Valutare se presentare contestualmente un’istanza di autotutela (per rettificare evidenti errori) o se essere pronti al contenzioso. In generale, è cruciale non ignorare l’avviso: i termini per impugnare scadono (CTP entro 60 giorni, CTR 30 giorni) .
  • Quando è obbligatorio il contraddittorio preventivo?
    La normativa più recente (art.6‑bis dello Statuto del contribuente introdotto dal DLgs. 219/2023) stabilisce che tutti gli atti impugnabili devono essere preceduti da un contraddittorio preventivo, pena la nullità dell’atto . Dal 2024, quindi, l’obbligo è la regola generale. Tuttavia, per tributi non armonizzati (IRPEF, IRAP) la Cassazione ha chiarito che prima del 2024 il contraddittorio era necessario solo in certi casi (accertamento sintetico post-2010, ISA/studi, misure antielusive) . Ad oggi, sono invece elencati dal DM del 24 aprile 2024 i casi esenti da contraddittorio (atti “automated” o di pronta liquidazione). Se l’ufficio non rispetta l’obbligo, l’atto è annullabile solo se si dimostra che l’udienza preventiva avrebbe concretamente potuto influire sull’esito .
  • Se sono in regime forfettario, può comunque essere applicato il redditometro?
    Sì. La Corte di Cassazione ha ribadito che anche i contribuenti in regime semplificato o forfettario non sono immuni dall’accertamento sintetico: valgono le presunzioni di capacità contributiva (per esempio, versamenti e prelievi bancari) . In pratica, se un consulente forfettario spende o versa fondi (anche dalla base imponibile ridotta per il coefficiente), l’ufficio può presumerli come ricavi non dichiarati se superano le soglie previste. Naturalmente, in fase di contenzioso il contribuente può controbattere indicando redditi esenti (risparmi, prestiti, donazioni ricevute, ecc.) o considerando i limiti del proprio coefficiente. Va comunque tenuto presente che dal 2024 le soglie di scatto del redditometro sono più alte (20% + €70.000) , il che tutela i redditi medio‑bassi.
  • Quali sanzioni si applicano alle fatture inesistenti?
    L’emissione (o l’utilizzo) di fatture per operazioni inesistenti integra il reato di dichiarazione fraudolenta (art.2 D.Lgs.74/2000). Sul piano fiscale, se si dimostra dolo (coscienza e volontà) si applica la pena accessoria (art.12-bis D.Lgs.74/2000) e sanzioni amministrative fino al 200% dell’imposta evasa. Anche in assenza di dolo, l’Agenzia disconosce il costo o l’IVA fittizia e applica sanzioni da min. 100% a max 200% dell’imposta contestata, oltre agli interessi. In pratica, per un consulente SEO questi errori possono comportare un salasso: imposte aggiuntive per i ricavi non dichiarati (o per l’IVA non versata) più sanzioni e interessi. Peraltro il rischio di controlli penali è concreto: la Cassazione ha confermato la responsabilità penale del professionista che ha consapevolmente utilizzato fatture false .
  • Entro quando va impugnato un avviso o una cartella?
    L’avviso di accertamento si impugna presso la Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni dalla notifica . L’opposizione alla cartella di pagamento va fatta entro 40 giorni dalla notifica della cartella . Se si riceve una cartella esattoriale (dopo ruolo), si può presentare opposizione diretta su quei vizi che erano già dedotti con l’accertamento (per esempio decadenza, motivazione carente). In ogni caso, in contenzioso è possibile chiedere la sospensione cautelare dell’esecuzione (ad es. fermi amministrativi o pignoramenti) subito al giudice tributario (art.47 DLgs.546/92) .
  • Quali sono i termini di decadenza degli atti impositivi?
    I termini ordinari di decadenza sono di 5 anni per IRPEF, IRES e IRAP (dichiarazione presentata) e di 5 anni anche per IVA (DPR 633/1972, art.57) . Se la dichiarazione è omessa, i termini diventano 7 anni . Ad esempio, per la dichiarazione IRPEF 2020 regolarmente presentata l’atto deve essere notificato entro il 31/12/2025 . Questi termini sono “soglia di legittimità”: trascorsi, l’atto emesso è nullo per decadenza (il contribuente può eccepirlo in giudizio). (In caso di inerzia decennale invece si verifica la prescrizione dell’intero diritto di credito tributario ai sensi dell’art.2946 c.c. – ma ciò riguarda la riscossione, non l’emissione dell’atto ).
  • Differenza tra motivazione “per relationem” ed “espressa” dell’atto?
    Un atto impositivo deve contenere la motivazione (art.7 L.212/2000). La Cassazione ha ammesso che la motivazione possa essere “per relationem” se i documenti richiamati sono agevolmente conoscibili dal destinatario . In pratica, l’Ufficio non è tenuto ad allegare testi di legge o documenti di facile reperimento (ad es. atti pubblici o norme già note), purché indichi chiaramente quale norma ha applicato e su quali fatti si fonda l’accertamento . Se invece manca una motivazione chiara dei rilievi, l’atto può essere annullato per carenza formale.

Conclusioni

Difendersi da un accertamento fiscale richiede rapidità e precisione. Il consulente SEO deve innanzitutto raccogliere tutta la documentazione che provi la regolarità del proprio operato (contratti, fatture, pagamenti, estratti conto, dichiarazioni dei redditi, ecc.) prima di affrontare il contraddittorio o il contenzioso. In fase amministrativa è bene sfruttare l’autotutela e le definizioni stragiudiziali (adesione, ravvedimento) per ridurre immediatamente le pretese o correggere gli errori, contenendo costi e sanzioni. In fase giudiziale, ogni vizio formale (decadenza, notifica, motivazione carente) e meramente sostanziale va analizzato a fondo: in particolare l’onere di prova sta sul fisco per giustificare l’accertamento sintetico o induttivo. Conoscere i termini processuali (60 gg CTP, 30 gg CTR, 40 gg cartella) e i principi di diritto (es. contraddittorio, dedotta non contestata) è essenziale per un ricorso efficace.

Un approccio proattivo e collaborativo – avvalendosi di un professionista tributario – è la strategia migliore per trasformare un potenziale “incubo fiscale” in una controversia gestibile. Con una difesa documentata e puntuale è spesso possibile ottenere l’annullamento totale o parziale dell’accertamento, la riduzione delle sanzioni e il riconoscimento della correttezza dei redditi dichiarati. In ogni caso, è fondamentale prepararsi con anticipo: tenere una contabilità scrupolosa, rispettare le leggi tributarie, e agire senza indugio al primo segnale di controllo.

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👉 Prima regola: dimostra la trasparenza dei compensi derivanti da consulenze e servizi digitali, la regolare emissione delle fatture e la tracciabilità dei pagamenti ricevuti dai clienti.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Compensi per attività SEO non fatturati o registrati;
  • Pagamenti ricevuti tramite PayPal, Stripe o bonifici non dichiarati;
  • Contratti di collaborazione con agenzie o clienti esteri privi di documentazione fiscale;
  • Deduzione di costi ritenuti personali (software, corsi, pubblicità online) senza prove di inerenza;
  • Scostamenti dai parametri ISA o dai redditi medi della categoria.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sui compensi ritenuti non dichiarati;
  • Indeducibilità delle spese considerate non pertinenti;
  • Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele o omessa fatturazione;
  • Interessi di mora sulle somme accertate;
  • Contestazioni contributive INPS per attività continuativa.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Tutti i compensi da clienti e agenzie sono stati fatturati e registrati?
  • I movimenti PayPal o su altri sistemi digitali includono solo ricavi o anche rimborsi?
  • Le spese per strumenti SEO e pubblicità sono documentate e giustificate?
  • Le differenze derivano da lavori non pagati, annullati o prestazioni gratuite?
  • L’accertamento si fonda su prove documentali o su semplici presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti e lettere d’incarico con clienti e agenzie;
  • Fatture elettroniche emesse e ricevute;
  • Estratti conto bancari e movimenti PayPal/Stripe;
  • Documentazione delle spese (SEO tool, hosting, corsi di formazione, advertising);
  • Dichiarazioni fiscali e registri IVA.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la regolarità contabile e la tracciabilità dei compensi;
  • Contestare ricostruzioni induttive basate su presunzioni di mercato;
  • Evidenziare l’inerenza delle spese indispensabili all’attività SEO;
  • Eccepire errori di calcolo o motivazioni carenti nell’accertamento;
  • Richiedere l’annullamento in autotutela se la documentazione era già presente;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini previsti.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i compensi percepiti e le spese contestate;
📌 Valuta la fondatezza delle contestazioni e individua i margini difensivi;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, anche in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione fiscale sicura e trasparente delle attività SEO.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e fiscalità digitale;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni fiscali a consulenti SEO e professionisti del web;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Gli accertamenti fiscali ai consulenti SEO non sempre sono fondati: spesso derivano da presunzioni legate ai movimenti digitali o da interpretazioni restrittive delle spese professionali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la regolarità della tua attività, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare conseguenze penali.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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