Contestazione Per Premi Di Produzione Non Dichiarati: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per premi di produzione non dichiarati? In questi casi, l’Ufficio presume che i bonus o gli incentivi corrisposti ai dipendenti o collaboratori non siano stati correttamente assoggettati a tassazione o che siano stati erogati “in nero”, senza registrazione fiscale e contributiva. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e interessi, e nei casi più seri contestazioni penali per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con una difesa adeguata è possibile ridurre le pretese fiscali o dimostrare la correttezza delle somme corrisposte.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i premi di produzione
– Se i premi erogati non sono stati inseriti nelle buste paga o nei cedolini
– Se le somme non risultano nelle dichiarazioni fiscali dei lavoratori né nei modelli CU
– Se i movimenti bancari evidenziano accrediti non giustificati contabilmente
– Se i premi sono stati corrisposti in contanti senza ricevuta né trattenuta fiscale
– Se l’Ufficio presume che i premi siano stati mascherati come rimborsi spese o indennità

Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione delle somme ritenute non dichiarate
– Obbligo di versamento delle ritenute d’acconto e dei contributi non corrisposti
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Nei casi più gravi, denuncia penale per evasione fiscale e contributiva

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che i premi di produzione sono stati regolarmente dichiarati e tassati
– Produrre buste paga, CU, modelli F24 e altra documentazione contabile e contributiva
– Contestare la qualificazione come premi se si tratta di rimborsi spese o indennità non imponibili
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione nella contestazione
– Richiedere la riqualificazione delle somme contestate per ridurre l’impatto fiscale e sanzionatorio
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i contratti di lavoro, le buste paga e la documentazione fiscale oggetto di contestazione
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione delle norme tributarie e contributive
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e giurisprudenza favorevole
– Difendere l’impresa o il professionista davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– La corretta riqualificazione delle somme erogate ai lavoratori
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: i premi di produzione sono frequentemente oggetto di accertamenti fiscali e contributivi, soprattutto quando erogati fuori busta paga o senza adeguata documentazione. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben strutturata per evitare gravi conseguenze economiche e penali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e del lavoro – spiega come difendersi in caso di contestazione per premi di produzione non dichiarati e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

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Introduzione

Le leggi italiane riconoscono un regime fiscale agevolato (aliquota sostitutiva ridotta) per i premi di produttività – noti anche come premi di risultato – erogati ai dipendenti del settore privato. Tuttavia, i requisiti per usufruire dell’agevolazione sono stringenti (accordi sindacali, obiettivi incrementali, importi entro certi limiti, reddito lavorativo sotto i 80.000 € annui, ecc.). Se tali condizioni non vengono rispettate, l’Agenzia delle Entrate e l’INPS possono riqualificare i bonus come normali redditi da lavoro dipendente, pretendendo il recupero delle imposte e dei contributi ordinari oltre sanzioni e interessi . In altre parole, un premio di produttività non adeguatamente documentato rischia di essere “trasformato” in reddito non dichiarato e il datore di lavoro (o talvolta il dipendente stesso) si trova nella posizione di debitore nei confronti del Fisco e degli enti previdenziali .

Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – illustra dal punto di vista del contribuente (datore di lavoro o lavoratore) il quadro normativo dei premi di produttività, le principali cause di contestazione da parte di Agenzia delle Entrate e INPS, le conseguenze degli accertamenti e i rimedi difensivi disponibili. Verranno forniti esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte frequenti. Verranno citati riferimenti normativi recenti, prassi amministrative e pronunce giudiziarie aggiornate, con un’attenzione particolare alle fonti istituzionali (leggi, circolari, sentenze ufficiali) .

Attenzione: alle parti interessate si raccomanda di valutare il caso concreto con professionisti esperti (avvocati tributaristi o del lavoro, consulenti del lavoro), poiché ogni verifica fiscale o contributiva presenta fattispecie uniche. Tuttavia, conoscere bene le regole generali e le possibili difese consente di affrontare meglio gli atti di accertamento o di contenzioso. Nel testo seguente useremo un linguaggio giuridico – e avanzato – ma mantenuto nella forma divulgativa, per offrire chiarezza ai contribuenti (imprese, lavoratori, liberi professionisti) e agli operatori del diritto. Le fonti normative principali utilizzate sono richiamate nel testo e raccolte nella sezione finale.

Quadro normativo sui premi di produttività

La disciplina dei premi di produttività è essenzialmente contenuta nella Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016, artt. 1 commi 182-189) e successivi aggiornamenti (Leggi di bilancio successive, fino alla L. 207/2024). Il regime prevede che i lavoratori dipendenti del settore privato possano ricevere un’imposta sostitutiva molto agevolata (5% dal 2023) sui premi collegati a incrementi misurabili di produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione . In sintesi, i requisiti fondamentali sono i seguenti:

  • Tipologia di beneficiari: solo lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi i pubblici dipendenti) che nell’anno precedente abbiano avuto un reddito da lavoro dipendente lordo ≤ 80.000 € . In passato il limite era di 50.000 € (fino al 2016) e poi innalzato a 80.000 € . L’obiettivo è concentrare il beneficio sui livelli medio-bassi del personale.
  • Limite degli importi agevolabili: si applica l’imposta sostitutiva solo fino a 3.000 € lordi annui di premio per ciascun lavoratore . Questo tetto sale a 4.000 € lordi annui (sempre per lavoratore) se l’impresa coinvolge pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro (strumento di partecipazione) . Eventuali eccedenze rispetto a tali soglie sono soggette a tassazione IRPEF ordinaria (progressiva).
  • Aliquota agevolata: l’aliquota originaria era del 10%, ma la Finanziaria 2023 (L. 197/2022) l’ha ridotta al 5% dal 2023 . Tale aliquota ultra-agevolata è stata recentemente confermata dalla Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024) fino al 2027 . In pratica, entro il plafond sopra indicato i premi vengono assoggettati al 5% (in luogo dell’IRPEF che poteva arrivare anche oltre il 30-40% complessivo), garantendo un netto maggiore in busta paga al dipendente a parità di costo per il datore di lavoro .
  • Contrattazione collettiva di secondo livello obbligatoria: il premio potrà essere erogato con imposizione agevolata solo se previsto da un accordo sindacale paritetico aziendale o territoriale . In altre parole, è indispensabile un vero accordo collettivo aziendale o territoriale stipulato con le rappresentanze sindacali comparativamente più rappresentative (o RSA/RSU aziendali) . Non può godere dell’agevolazione alcun premio deciso unilateralmente dal datore di lavoro o concordato solo a livello individuale: serve un accordo collettivo formale che stabilisca i criteri di misurazione degli incrementi di produttività.
  • Accordo e deposito: l’accordo sindacale deve essere stabilito preventivamente rispetto al periodo di maturazione del premio e regolarmente depositato presso la Direzione Territoriale del Lavoro (art. 5 del Decreto Interministeriale 25/3/2016) . La norma vieta espressamente di “retrodatare” l’accordo; vale il principio per cui l’accordo deve precedere l’erogazione dei bonus. Se l’accordo è firmato ex post o non depositato, il regime agevolato non si applica.
  • Obiettivi incrementali: l’accordo deve individuare indicatori quantitativi incrementali (es.: incremento di fatturato, utile lordo, unità prodotte, efficienza oraria, ecc.) da confrontare con un periodo precedente omogeneo . In pratica, occorre definire un benchmark (annuale tipicamente) e misurarne l’incremento raggiunto. La Cassazione e l’Agenzia Entrate richiamano l’esigenza che l’incremento debba essere effettivamente conseguito successivamente alla firma del contratto: il raggiungimento deve avvenire “a consuntivo” sulla base di indicatori fissati ex ante . Anche in caso di premio legato alla riduzione delle assenze (incentivo alla presenza), la Cassazione ha riconosciuto che si tratta di un incremento di produttività valido ai fini dell’agevolazione . In sintesi, serve un premio variabile ancorato a incrementi non già avvenuti ma da realizzare, misurati in un arco temporale congruo (di solito l’anno) definito nell’accordo .
  • Altre condizioni: va rispettato il limite di reddito del lavoratore (≤80.000 € lordo anno) . Inoltre, l’impresa deve depositare l’accordo sindacale secondo le modalità del DM 25/3/2016. Per i premi convertiti in welfare (buoni, servizi, voucher) valgono norme parallele di esclusione d’imposta. Il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, deve quindi verificare che ogni condizione sia soddisfatta prima di applicare l’aliquota agevolata e trattenere il 5% in busta paga; in caso di dubbio può legittimamente applicare la tassazione ordinaria.

Una tabella riepilogativa dei principali requisiti è la seguente:

RequisitoDescrizioneNorma di riferimento
BeneficiariLavoratori dipendenti privati con reddito annuo 2024 ≤ €80.000 lordi .L. 208/2015, c.182 (aggiornata)
Importo agevolabilePremi di risultato fino a €3.000 lordi/anno per lavoratore (€4.000 se coinvolgimento paritetico) .L. 208/2015, c.182
Aliquota agevolata5% (sostitutiva IRPEF e addizionali) per anni 2023-2027 .L. 207/2024, c.385 (L. Bilancio 2025)
Tipo di accordoAccordo sindacale aziendale o territoriale con sindacati più rappresentativi o RSA/RSU .L. 208/2015, c.183
Criteri di misuraObiettivi incrementali di produttività, redditività, qualità, ecc., definiti ex ante .DM 25/3/2016, art. 2 e Circ. 28/E/2016
Periodo di misuraGeneralmente un anno solare o altro periodo congruo stabilito in accordo.DM 25/3/2016, art. 2
Deposito accordoDeposito in DTL con autocertificazione prima dell’erogazione dei premi .DM 25/3/2016, art. 5
Limite redditualeReddito 2023 (anno precedente erogazione) ≤ €80.000 lordi.L. 208/2015, c.185

Il rispetto di tutti questi requisiti è fondamentale per evitare che un audit fiscale o contributivo porti all’invalidazione dell’agevolazione.

Cause di contestazione

Quando l’Agenzia delle Entrate o l’INPS avviano un controllo sui premi di produttività, cercano innanzitutto le irregolarità rispetto ai requisiti sopra elencati. In pratica, possono eccepire che:

  • Assenza di accordo sindacale depositato: il premio è stato erogato senza che esista un regolare contratto aziendale o territoriale depositato .
  • Mancanza di incrementi verificabili: l’azienda non ha fissato indicatori incrementali o non ha dimostrato che essi sono stati effettivamente raggiunti. Ad esempio l’accordo si limita a riconoscere il premio con criteri vaghi o già conseguiti .
  • Premi ricorrenti o fissi: il bonus risulta erogato in modo costante e automatico, come fosse parte integrante della retribuzione ordinaria, anziché legato a un incremento aziendale straordinario .
  • Documentazione insufficiente: mancano verbali, piani di monitoraggio, reportistica interna che dimostrino gli obiettivi di produttività raggiunti. In mancanza di prove concrete, l’Agenzia dubita che il premio sia meritevole di agevolazione .
  • Incongruenze nei conteggi: l’importo del premio dichiarato agli enti non corrisponde a quanto effettivamente versato, o i valori aziendali utilizzati (indici di fatturato, produttività, ecc.) non sono coerenti con le scritture contabili dell’impresa .
  • Ripartizione errata: ad esempio il premio è stato erogato anche a categorie non contemplate (dirigenti, impiegati pubblici, ecc.) oppure in anni diversi da quelli coperti dall’accordo.
  • Mancato rispetto delle scadenze: l’accordo è stato depositato in ritardo, oppure l’opzione di conversione in welfare non segue le regole di legge.

In sintesi, le contestazioni verte sono sempre sulle violazioni formali o sostanziali della legge che regola i premi di risultato. Come riassume un recente vademecum professionale, l’Agenzia contesta i bonus se «non sono stati erogati in conformità a contratti collettivi/aziendali depositati», se «mancano i requisiti di legge per l’agevolazione», se «i bonus sono ricorrenti e assimilabili a retribuzione ordinaria», se «la documentazione giustificativa è incompleta», o se «emergono incongruenze tra quanto dichiarato e le somme effettivamente erogate» .

Il datore di lavoro e/o il dipendente devono quindi tenere pronti i contratti aziendali firmati, le registrazioni degli indicatori (consuntivi e preventivi), le delibere aziendali o circolari interne, i verbali di commissione interna, ecc. per difendere la legittimità del premio erogato. In assenza di tali prove, il contribuente rischia un rilievo negativo.

Conseguenze della contestazione

Se l’atto di accertamento fiscale o il verbale di contestazione previdenziale riconosce le irregolarità, le conseguenze per il contribuente sono gravi:

  • Riqualificazione come reddito ordinario: l’Agenzia delle Entrate riqualifica i premi come normali retribuzioni da lavoro dipendente, imponendo sull’intero ammontare l’IRPEF ordinaria (con aliquote fino anche al 40% o più, addizionali incluse) . Ciò significa recuperare l’imposta risparmiata con il 5%. Se il premio era già stato tassato con l’aliquota agevolata, il contribuente deve versare la differenza tra l’IRPEF ordinaria e l’imposta sostitutiva applicata.
  • Recupero contributi previdenziali: analogamente, il datore di lavoro (o il dipendente, in astratto) è tenuto a versare i contributi pensionistici ordinari su quei premi, sommati a eventuali contributi non versati in passato. Dal 2008 in poi non esiste più un vero sgravio contributivo, perciò in pratica tutti i premi dovrebbero concorrere alla base imponibile INPS. Se prima (2001-2007) vigeva una «decontribuzione» parziale al 3% fino a certi limiti, dopo tale termine ogni bonus è stato assoggettato a contributi normali . In pratica, il datore paga contributi integrali al tasso corrente (normalmente ~ 33% sul lordo dipendente). Eventuali quote non versate e trattenute indebitamente (tassazione agevolata senza requisiti) sono chieste dal fisco.
  • Sanzioni e interessi: l’azienda rischia sanzioni pecuniarie molto rilevanti. In ambito fiscale possono scattare sanzioni per dichiarazione infedele o omessa agevolazione, che oscillano dal 90% al 180% dell’imposta dovuta (ovvero tra il 9% e il 18% del premio lordo) . Per le imposte sostitutive 5%, di norma la sanzione minima è il 100% delle imposte non versate. Allo stesso tempo maturano gli interessi legali sul maggior tributo da versare. In ambito contributivo, la violazione dell’art. 2 del D.L. 25/97 (invalidità della decontribuzione) può comportare la sanzione civile contributiva prevista dall’art. 11 L. 542/1992 (che attualmente può raggiungere il 40% della quota contributiva dovuta) .
  • Sospensione dei benefici: se è attivo un piano di rateizzazione o compensazione con il fisco, l’accertamento rischia di revocarlo. Inoltre, il credito d’imposta o le detrazioni collegati al premio diventano inapplicabili.
  • Effetti domino sul contratto di lavoro: spesso un accertamento su un periodo può estendersi agli anni successivi, spingendo i controllori a esaminare altre voci retributive o altri bonus aziendali. Per di più, un mancato accoglimento dell’agevolazione rischia di far considerare il premio come parte fissa della retribuzione, con possibili contenziosi (ad es. rivendicazione di maturazione di TFR, ferie, TFR, ecc.).
  • Ulteriori controlli: una contestazione fiscale peggiora la reputazione fiscale dell’azienda, aumentando il rischio di controlli su altri aspetti (IVA, deduzioni, crediti d’imposta) da parte dell’Amministrazione finanziaria.

In definitiva, in caso di esito sfavorevole, il contribuente è obbligato a pagare quanto non versato (imposte e contributi), più una ingente penalità e gli interessi. Per il lavoratore, una riqualificazione può tradursi in un debito IRPEF personale se l’azienda non ha versato le ritenute; tuttavia, l’onere fiscale finale grava in ogni caso sul datore quale sostituto d’imposta (se non c’è stata trattenuta, l’Agenzia può rivalersi su di lui).

Le conseguenze possono poi estendersi anche sul piano disciplinare o penale, nei casi più gravi. Se l’omissione del premio agevolato nasconde condotte fraudolente, potrebbero configurarsi reati tributari (ad esempio false dichiarazioni fiscali). Analogamente, in caso di società, la mancata contabilizzazione di tali redditi potrebbe ipotizzare false comunicazioni sociali . In ogni caso, per sollevare profili penali serve accertare dolo e significatività del debito.

Strumenti di difesa

Il contribuente (azienda o lavoratore) che riceve un atto di contestazione (accertamento dell’Agenzia delle Entrate o avviso di addebito contributivo INPS) deve agire con prontezza e strategia. Ecco alcuni passi e ragionamenti generali da seguire:

  • Ricostruzione documentale: innanzitutto, recuperare tutta la documentazione contrattuale e aziendale relativa ai premi contestati: contratti collettivi, verbali di contrattazione, deliberazioni del c.d.l., report degli indicatori, buste paga, versamenti effettuati, ecc. Più prove concrete si producono sulla struttura dell’accordo e sul raggiungimento degli obiettivi, più fondata sarà la difesa. Spesso una contestazione è basata su presupposti procedurali (es. mancato deposito) o di fatto (es. presunta mancata crescita): bisogna allora dimostrare il contrario.
  • Verifica dei requisiti: analizzare il contenuto dell’atto di accertamento alla ricerca di vizi o errori. Ad esempio, se l’Agenzia asserisce che «mancano obiettivi incrementali definiti», si dovrà puntare l’attenzione sul contratto aziendale e dimostrare che gli obiettivi erano sì concordati, spiegando perché essi rispettavano la norma (es. indicare misurazioni e periodi). Se il rilievo riguarda la mancanza di deposito dell’accordo, si può verificare se effettivamente la copia era stata inviata (magari per via telematica) e può essere regolarizzata prima possibile.
  • Contestazione puntuale: nelle memorie difensive o nel ricorso in Commissione tributaria (o in sede di contenzioso con l’INPS), è cruciale contestare puntualmente i rilievi. Ad esempio, se l’Agenzia ha riqualificato il premio sostenendo che «il dato economico aziendale preso come base era già raggiunto prima dell’accordo», bisogna argomentare (magari anche con testimonianze o calcoli aziendali) come e quando l’incremento è maturato realmente e perché il controllo non ha valutato correttamente la fase di attuazione. Se si contesta l’assimilazione del premio alla retribuzione fissa, si mostrerà la periodicità e l’eccezionalità del bonus (ad es. evidenziando che negli anni precedenti non era erogato o era fisso di ammontare diverso).
  • Supporto professionale: è altamente consigliabile farsi assistere da un avvocato tributarista o da un consulente del lavoro esperto nel settore. Questi professionisti possono analizzare l’atto, raccogliere prove e redigere il ricorso (o l’opposizione contributiva) con motivazioni di diritto e prova. Il loro intervento può anche individuare vizi formali dell’accertamento (mancanza di motivazione, errato inquadramento normativo, calcoli sbagliati) .
  • Azione nei termini previsti: dopo la notifica di un accertamento tributario, il contribuente ha 60 giorni di tempo per impugnare l’atto davanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente . È un termine perentorio: se scade senza ricorso, l’accertamento diventa definitivo e non si può più contestare. Allo stesso modo, se si riceve un verbale INPS di addebito, si dispone generalmente di 30 giorni per presentare un’istanza di autotutela o un ricorso al Giudice del Lavoro (a seconda del tipo di atto) . Questi termini vanno sempre rispettati.
  • Richiesta di sospensione: la materia tributaria ha introdotto dal 2022 un meccanismo di riscossione rateale automatica: dopo la notifica dell’atto di accertamento, l’Agenzia può riscuotere parte del debito prima della sentenza definitiva (1/3 alla notifica, un altro 1/3 dopo il giudizio di primo grado se sfavorevole al contribuente) . Per questo può convenire chiedere al Giudice Tributario la sospensione cautelare dell’esecutività dell’atto al fine di evitare esborsi immediati eccessivi. Se l’accertamento è già divenuto esecutivo, si può valutare la rateazione straordinaria del debito, oppure (in fase di contenzioso) procedere con conciliazione extragiudiziale a certe condizioni, pur pagando un onere ridotto.
  • Ricorso in Commissione Tributaria o Giudice del Lavoro: in caso di mancato accordo, il successivo passo è impugnare formalmente l’atto. In ambito fiscale l’autorità competente è la Commissione Tributaria Provinciale (segue appello in Commissione Regionale). Nel ricorso vanno sintetizzate le argomentazioni, richieste le prove documentali e giustificato il calcolo degli importi. In ambito contributivo, se l’atto viene emesso dall’INPS come ingiunzione o avviso di addebito, si può proporre opposizione al Giudice del Lavoro (Tribunale ordinario – Sezione Lavoro) o, in alcuni casi, procedere al recupero tramite Commissione Tributaria (es. conguagli INPS derivanti da ammortizzatori). La regola generale: opporsi subito nei termini per far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale.
  • Conciliazione e ravvedimento: talvolta, se la contestazione riguarda un aspetto tecnico (es. un dubbio di interpretazione), può essere presa in considerazione la definizione agevolata o la conciliazione con Agenzia/INPS. Ad esempio, il D.Lgs. 124/2019 consente in alcuni casi di chiudere il contenzioso pagando il solo importo dovuto senza sanzioni. Analogamente, il lavoratore può tentare una transazione con il Fisco, calcolando (per prudenza) le somme che effettivamente corrispondevano e motivando le ragioni dell’errore. Se tuttavia l’accertamento è fondato (es. premio non protetto da accordo), conviene puntare su strumenti processuali.

In sintesi, una difesa efficace può portare a risultati come l’annullamento totale o parziale dell’accertamento, la rimozione delle sanzioni e degli interessi, il riconoscimento della correttezza dell’agevolazione applicata (e dunque la certezza di pagare solo quanto dovuto dalla legge) . Nel frattempo, è sempre consigliabile garantire la conservazione di tutta la documentazione aziendale inerente: contratti, comunicazioni interne, bilanci, report produttivi, paghe e contributi, ecc., in modo da poter dimostrare in giudizio il rispetto dei requisiti di legge . L’avvocato tributarista o giuslavorista può infine valutare l’opportunità di coinvolgere il Giudice del Lavoro per analizzare eventuali riflessi sul rapporto contrattuale, in particolar modo se il contenzioso fiscale potrebbe intersecarsi con vertenze retributive (ad es. quando il dipendente ha già conseguito il premio e ora si contende il rilievo fiscale).

Q&A (Domande e risposte)

D: Chi può beneficiare della tassazione agevolata sui premi di produttività?
R: Possono beneficiarne solo i lavoratori dipendenti del settore privato, non gli statali. Inoltre il reddito da lavoro del dipendente nell’anno precedente deve essere ≤ €80.000 lordi . Il premio deve essere riconosciuto in base a un contratto di secondo livello (aziendale o territoriale) depositato . I premi superiori a 3.000 € (4.000 € con coinvolgimento paritetico) su quei lavoratori saranno tassati con aliquota ordinaria. Non hanno diritto all’agevolazione: i dirigenti con redditi sopra 80k, i lavoratori pubblici e i titolari di contratti individuali non previsti da accordo sindacale.

D: Cosa succede se l’accordo sindacale è scaduto ma l’azienda continua a pagare il premio?
R: In base a una recente sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro (29/04/2025), se l’accordo collettivo che regola il premio viene meno alla scadenza, l’impresa non è tenuta a proseguire automaticamente l’erogazione del premio . Il diritto al premio dipende infatti dai termini temporali pattuiti in contratto. In altri termini, non può parlarsi di un obbligo “a tempo indeterminato”: le parti possono liberamente rinegoziare o sospendere il premio al termine dell’accordo senza che si acceda automaticamente al diritto acquisito . Dal punto di vista del contribuente/datore di lavoro, questo significa che non c’è un’obbligazione perpetua a pagare il bonus oltre il termine concordato.

D: Quali sanzioni si applicano a un mancato versamento delle imposte sul premio agevolato?
R: Se l’Agenzia dimostra che il premio non doveva beneficiare della tassazione al 5%, scatta l’obbligo di versare le imposte IRPEF ordinarie sull’intera somma. A queste si sommano le sanzioni per omessa o infedele dichiarazione: generalmente la percentuale minima è il 100% di imposta dovuta (a volte il 90% nei casi di ravvedimento), che equivale al 9-10% del premio lordo . Gli interessi legali si calcolano dal giorno successivo alla scadenza originaria di versamento. In ambito contributivo, si applica la sanzione civile prevista dall’art.11 L. 542/1992 sul contributo datoriale non versato (che può arrivare fino al 40%) . Nel complesso, le sanzioni rendono molto gravoso l’esito negativo di un contenzioso.

D: Cosa fare se l’Agenzia delle Entrate invia un accertamento per un premio non dichiarato?
R: Il primo passo è presentare entro 60 giorni dalla notifica un ricorso in Commissione Tributaria Provinciale (o eventualmente provvedere a regolarizzare il carico fiscale se si riconosce l’errato). Nel ricorso si argomenta che il premio era legittimamente agevolato (o si contesta la quantificazione dell’accertamento) . È consigliato nel frattempo chiedere la sospensione dell’atto in sede tributaria, al fine di bloccare l’esecutività e la riscossione immediata, o valutare un ravvedimento operoso parziale (ad es. versamento del 5% e degli interessi, chiedendo di rateizzare o ridurre le sanzioni). Tuttavia, un ravvedimento totale non sempre è possibile (se l’atto è già definitivo). E’ quindi fondamentale redigere memorie difensive solide, presentare documenti comprovanti l’esistenza dell’accordo e il raggiungimento degli obiettivi, e avvalersi delle circolari e interpelli dell’Agenzia (ad esempio la Circolare 28/E/2016 e le Risoluzioni 36/E/2020, 78/E/2018) che definiscono i criteri di misurazione .

D: Cosa rischia l’azienda se l’INPS contesta la decontribuzione sui premi?
R: Dal 2008 il meccanismo agevolativo dei premi di produttività (decontribuzione al 3%) è decaduto, ma può ancora esserci un controllo sui contributi pregressi. Se l’INPS contesta premi versati in periodi in cui esisteva lo sgravio, chiederà il pagamento di contributi arretrati e sanzioni. La Corte di Cassazione ha chiarito che un premio di risultato collegato alla riduzione delle assenze rientra comunque nella nozione di premio aziendale produttivo e può godere dell’esclusione contributiva originaria . Tuttavia, se l’INPS ritiene che manchi il requisito normativo (ad es. premio “di presenza” non anch’esso legato alla produttività), potrebbe pretendere i contributi non versati. In ogni caso, la difesa sarà simile: dimostrare che il premio è stato erogato secondo contratto (con indicatori idonei) ed era lecito godere dello sgravio contributivo. Se l’atto è impugnabile, l’impresa può fare opposizione innanzi al Tribunale del Lavoro (o commissione tributaria se trattasi di conguaglio). I termini e le modalità di opposizione sono analoghi al contenzioso fiscale (generalmente 30 giorni dall’avviso INPS per ricorso amministrativo o delibera di conciliazione).

D: Come si calcola l’imposta sui premi agevolati e cosa succede se il lavoratore non paga (o non ha pagato) le tasse sul premio?
R: In sede di applicazione agevolata, è il datore di lavoro a trattenere in busta paga il 5% del premio lordo come imposta sostitutiva. Se è emerso che il premio non era agevolabile, l’Agenzia può recuperare le imposte non versate. Teoricamente, la legge considera il datore come sostituto d’imposta, per cui se questo non ha trattenuto o versato il dovuto, il dipendente (debitore verso l’erario) potrebbe essere chiamato a liquidare l’imposta IRPEF in sede di accertamento personale (essendo il premio reddito di lavoro dipendente). In pratica, di solito viene chiesto all’azienda di integrare quanto non versato, ma è possibile che l’ufficio fissi anche termini al lavoratore per pagare le imposte dovute sui redditi non dichiarati . Detto ciò, spesso il controllo fiscale parte proprio dall’azienda (sostituto) piuttosto che dal dipendente, a meno che non emerga un’omessa dichiarazione nel modello 730 o Unico del dipendente.

Simulazioni pratiche

Caso 1 – Piccola azienda manifatturiera (PMI): Società Alfa Srl (15 dipendenti, fatturato €2M) stipula un contratto aziendale per premi di produttività legati a un aumento dell’utile netto del 10% su base annua. Nel 2024 eroga ai dipendenti €3.000 lordi ciascuno, applicando il 5% in busta paga. Qualche mese dopo, l’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento: contesta che i dipendenti hanno reddito >80k e che il contratto è stato depositato con ritardo. Azioni di difesa: Alfa verifica i redditi e dimostra che nessun dipendente supera gli 80k (il fatturato-limitato lo conferma). Mostra la ricevuta di deposito all’ASL del contratto (errore di data sul sistema era dell’Ufficio). Presenta prove del calcolo degli obiettivi e contesta la presunta inapplicabilità, fornendo pareri di consulenti. Se i rilievi sono infondati, la CTP annulla l’accertamento. In caso contrario, Alfa potrà optare per il ravvedimento (pagamento integrale tasse + interessi, chiedendo l’eliminazione del 50% sanzioni come previsto dall’Art. 13 del DLgs 472/97).

Caso 2 – Medio gruppo con bonus irregolari: Industrie Beta S.p.A. (100 dip., vari stabilimenti) ha versato per anni un premio fisso di €4.000 ai dipendenti, applicando il 5% agevolato in busta, senza mai formalizzare un piano incrementale. L’azienda, senza alcun accordo, considerava comunque i fondi destinati a “miglioramenti produttivi”. L’Agenzia avvia verifica e contesta tutto: tutti i premi sono da riqualificare come norma retribuzione, recuperando IRPEF al 23-35%, più sanzioni al 180%. Azioni di difesa: In questo caso, Beta è in grande difficoltà, poiché manca del tutto la contrattazione di secondo livello. Se non esistono atti formali che giustifichino il premio, la contestazione appare fondata. Beta potrà comunque verificare se almeno parte dei premi possa essere considerata legittima (ad es. se nel 2019 ha stilato retroattivamente un accordo, si vedrà se è opponibile). In assenza di valide difese, l’impresa dovrebbe valutare un accordo transattivo con l’Agenzia (pagamento di imposte + parte delle sanzioni) oppure pagare e poi recuperare eventualmente qualcosa in giudizio sul piano del diritto del lavoro, mostrando l’uso ordinario nella busta paga (per rivalersi sui lavoratori con trattenute future).

Caso 3 – Lavoratore dipendente pubblico e premio “mancato”: Mario, dipendente di un ente regionale (settore pubblico), percepisce in busta paga un “premio di produttività” di €2.500 nel 2024. Il ragioniere dell’ente considerava erroneamente tale premio esente o agevolato. Successivamente, Mario riceve un avviso dell’Agenzia delle Entrate per versare l’IRPEF su tale premio (ritenuto retribuzione ordinaria), e l’ente regionale non ha versato i contributi sul netto erogato. Azioni di difesa: In primo luogo, Mario verifica che i pubblici dipendenti non rientrano tra i beneficiari della detassazione dei premi di produttività (l’esclusione è esplicita). In effetti, ogni premio erogato a pubblico dipendente è sempre fiscalmente ordinario. Se esiste solo l’avviso al dipendente, Mario deve versare l’IRPEF dovuta (non potendo rivalersi sul datore di lavoro pubblico). L’ente regionale dovrà sanare la posizione contributiva: i contributi vanno calcolati sull’intero importo lordo (€2.500) e versati normalmente, con eventuali sanzioni per il ritardo. Se Mario e l’ente ritenessero errato l’avviso (ad es. perché Mario pensava fosse un “bonus di risultato” valido), potrebbero comunque opporsi alle rivendicazioni dell’Agenzia fornendo l’atto di concessione, ma difficilmente si otterrà una rateizzazione più favorevole. In sostanza, qui manca proprio il presupposto legislativo per l’agevolazione (premi pubblici), per cui si dovrà applicare la norma comune: versare tasse e contributi sull’importo. Dal punto di vista del dipendente, è un puro adempimento fiscale; dal punto di vista dell’amministrazione pubblica, rischia di dover rispondere in sede contabile (Corte dei Conti) per le trattenute/contributi non versati.

Conclusioni

Il nodo cruciale nella gestione dei premi di produttività è l’osservanza puntuale delle regole: accordi sindacali conformi, depositi formalmente corretti, obiettivi incrementali ben definiti e tracciabilità della prova. Chi si vede recapitare un accertamento sui premi non agevolati deve agire tempestivamente, ricostruendo l’iter dell’operazione e preparando un solido fascicolo difensivo. Un legale esperto in diritto tributario/lavorativo valuterà se è possibile contestare l’atto, mettere in luce vizi formali o sostanziali dell’accertamento, e impugnare l’atto nei termini stabiliti .

Ricordiamo che le normative in materia di premi di produttività sono in continuo aggiornamento: tra gli interventi più recenti, la Legge di Bilancio 2023 e 2024 ha riconfermato l’aliquota ridotta al 5% fino al 2027 , mentre l’Agenzia delle Entrate ha emanato chiarimenti (Risoluzioni e Interpelli) su modalità di misurazione e deposito. È buona prassi controllare sempre le ultime circolari e risposte dell’Amministrazione finanziaria, e anche l’evoluzione giurisprudenziale (Cassazione, tribunali del lavoro) per orientare la strategia difensiva. Infine, poiché la questione incrocia fisco, previdenza e diritto del lavoro, possono rendersi utili consulenze integrate (commercialista, consulente del lavoro, avvocato tributarista) per chiudere in modo efficace ogni vertenza.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati premi di produzione non dichiarati ai fini fiscali? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati premi di produzione non dichiarati ai fini fiscali?
Vuoi sapere cosa rischi e come predisporre una difesa efficace?

👉 Prima regola: dimostra la corretta natura dei premi erogati, la loro tracciabilità e la conformità delle modalità di corresponsione agli obblighi fiscali e contributivi.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Premi di risultato corrisposti senza essere inseriti nelle certificazioni fiscali (CU);
  • Premi aziendali pagati come rimborsi o indennità per ridurre l’imponibile;
  • Premi corrisposti in contanti non registrati in busta paga;
  • Incentivi riconosciuti ai dipendenti ma non contabilizzati;
  • Premi riqualificati come redditi da lavoro dipendente anziché come agevolati.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sui premi ritenuti non dichiarati;
  • Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele o omessa ritenuta;
  • Interessi di mora sulle somme accertate;
  • Contestazioni contributive INPS sui premi non dichiarati;
  • Rischio di contestazioni penali in caso di importi rilevanti o uso di buste paga fittizie.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • I premi erano regolarmente deliberati e contrattualizzati?
  • Sono stati inclusi nelle certificazioni uniche e nelle dichiarazioni fiscali?
  • I pagamenti risultano tracciabili (bonifici, buste paga, quietanze)?
  • È stata applicata correttamente l’imposta sostitutiva prevista per i premi di risultato?
  • L’accertamento si fonda su prove concrete o solo su presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti collettivi o aziendali che prevedono i premi;
  • Buste paga e CU dei dipendenti;
  • Estratti conto bancari e prove dei pagamenti;
  • Verbali di assemblea o delibere aziendali;
  • Dichiarazioni fiscali e registrazioni contabili.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la regolarità fiscale e contributiva dei premi di produzione;
  • Contestare la riqualificazione automatica di indennità e rimborsi come premi;
  • Evidenziare la corretta applicazione delle aliquote agevolate se previste;
  • Eccepire vizi di motivazione o errori nei calcoli dell’accertamento;
  • Richiedere annullamento in autotutela in caso di errori documentali;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini previsti.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la documentazione sui premi di produzione erogati;
📌 Verifica la fondatezza delle contestazioni e i margini difensivi;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e nei giudizi contributivi;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione regolare dei premi aziendali.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e del lavoro;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni fiscali su premi e retribuzioni;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni per premi di produzione non dichiarati non sempre sono fondate: spesso derivano da errori di contabilizzazione, da interpretazioni restrittive o da mancanza di documentazione completa.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità dei premi erogati, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare contestazioni contributive e penali.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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