Contestazione Per Deduzione Spese Legali Non Inerenti: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per spese legali dedotte e considerate non inerenti? In questi casi, l’Ufficio presume che i costi sostenuti per parcelle di avvocati o consulenti legali non siano collegati all’attività d’impresa o professionale, e quindi non possano essere portati in deduzione dal reddito imponibile. Le conseguenze possono essere pesanti: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con una difesa ben documentata è possibile dimostrare l’inerenza delle spese o ridurre sensibilmente le sanzioni.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta la deduzione delle spese legali
– Se le parcelle degli avvocati si riferiscono a cause personali del titolare e non aziendali
– Se i procedimenti legali non hanno un collegamento diretto con l’attività economica svolta
– Se mancano contratti, incarichi professionali o documentazione a supporto
– Se le spese legali appaiono sproporzionate rispetto ai ricavi dell’impresa
– Se l’Ufficio presume che siano state dedotte spese private sotto forma di costi aziendali

Conseguenze della contestazione
– Indeducibilità totale o parziale delle spese legali contestate
– Recupero a tassazione delle imposte non versate
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle somme accertate
– Interessi di mora sulle somme dovute
– Possibili contestazioni accessorie in caso di dichiarazione infedele

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la stretta connessione tra spese legali e attività d’impresa o professionale
– Produrre incarichi, parcelle, sentenze, atti giudiziari e documentazione bancaria a supporto
– Contestare l’esclusione totale se le spese, anche solo parzialmente, riguardano l’attività
– Evidenziare errori di valutazione, difetti istruttori o vizi di motivazione nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione delle spese legali per ridurne l’impatto fiscale
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione legale e fiscale relativa alle spese contestate
– Verificare la legittimità della contestazione e l’applicazione corretta del principio di inerenza
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e giurisprudenza favorevole
– Difendere l’impresa o il professionista davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio personale e aziendale da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– Il riconoscimento della deducibilità totale o parziale delle spese legali
– La riduzione di sanzioni e interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: le spese legali sono tra i costi più frequentemente contestati dal Fisco, perché spesso viene messa in discussione la loro inerenza all’attività svolta. È fondamentale predisporre una difesa tecnica e documentata per evitare recuperi fiscali sproporzionati.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale – spiega come difendersi in caso di contestazione per deduzione di spese legali considerate non inerenti e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

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Introduzione

Ricevere un avviso di accertamento dal Fisco che contesta la deducibilità di spese legali ritenute “non inerenti” può mettere in allarme imprenditori, professionisti e privati. In tali casi l’Agenzia delle Entrate sostiene che taluni costi legali, pur effettivamente sostenuti e documentati, non abbiano attinenza con l’attività d’impresa o professionale del contribuente, e perciò non possano ridurre il reddito imponibile . In altre parole, viene negata la deducibilità fiscale di quelle spese sull’assunto che riguardino una sfera estranea all’esercizio dell’impresa o dell’attività lavorativa, comportando un recupero a tassazione delle somme in questione. Di fronte a una simile contestazione – che spesso dà luogo a un accertamento con richiesta di maggiori imposte e sanzioni – il contribuente (in veste di “debitore d’imposta”) deve attivarsi tempestivamente per difendere la propria posizione.

Scopo di questa guida è fornire un quadro completo, avanzato e aggiornato al settembre 2025 su come difendersi efficacemente in caso di contestazione della deduzione di spese legali giudicate non inerenti, dal punto di vista del contribuente. Adotteremo un taglio giuridico ma al tempo stesso divulgativo: verranno utilizzati termini tecnici corredati da spiegazioni chiare, così da risultare utile sia per professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia per imprenditori e privati direttamente coinvolti. Troverete inoltre tabelle riepilogative con i punti chiave, una sezione di domande frequenti (FAQ) e persino esempi pratici (incluso un modello orientativo di memoria difensiva), per comprendere in concreto come applicare i principi illustrati. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate saranno elencate in fondo alla guida, per consentire ulteriori approfondimenti.

Inizieremo chiarendo cos’è l’“inerenza” e perché la sua mancanza può portare all’indeducibilità di un costo, quindi passeremo a esaminare le varie tipologie di spese legali e il loro trattamento fiscale in Italia. Successivamente, descriveremo come l’Agenzia delle Entrate effettua le contestazioni in materia, quali sono le conseguenze (anche sanzionatorie) e quali strumenti ha il contribuente per reagire: dalle procedure deflattive in sede amministrativa (come l’accertamento con adesione, il reclamo e la mediazione) fino al ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria (già Commissioni Tributarie) di primo e secondo grado. L’analisi si concentrerà sui casi di contestazione tributaria (fiscale), ma verranno toccati, ove rilevanti, anche profili di altre giurisdizioni (es. deduzione di spese legali in contenziosi civili, penali o amministrativi collegati all’attività d’impresa). Il punto di vista adottato sarà sempre quello del contribuente che subisce la contestazione e deve difendere la legittimità delle proprie scelte fiscali.

Nota bene: la questione delle spese legali inerenti o non inerenti è oggetto di un vivace dibattito e di una continua evoluzione giurisprudenziale. La Corte di Cassazione negli ultimi anni ha più volte precisato i confini del principio di inerenza e la corretta interpretazione della normativa fiscale in materia. Pertanto è fondamentale fare riferimento alle ultime pronunce disponibili (che citeremo puntualmente) e predisporre le proprie difese alla luce degli orientamenti più aggiornati . Allo stesso modo, occorre richiamare le fonti normative primarie – in primis il TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) – e la prassi dell’Amministrazione finanziaria, per comprendere il terreno su cui si giocherà l’eventuale contenzioso. Procediamo dunque con ordine, partendo dal concetto cardine di inerenza dei costi.

Inerenza dei costi: quadro normativo e principi generali

Inerenza è il concetto chiave attorno a cui ruota la contestazione dei costi indeducibili per mancanza di attinenza all’attività d’impresa. In ambito fiscale italiano, per inerenza si intende la correlazione tra un costo sostenuto e l’attività esercitata dall’impresa (o dal professionista) che produce il reddito . In altre parole, una spesa è considerata inerente se è sostenuta nell’esercizio dell’impresa o per i fini della stessa; viceversa, un costo che attiene a una sfera estranea all’attività d’impresa (o professionale) è non inerente e dunque non può essere dedotto dal reddito imponibile .

Il riferimento normativo fondamentale, sebbene implicito, è l’art. 109, comma 5, del TUIR (D.P.R. 917/1986). Tale disposizione stabilisce che “le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito […]” . Questa previsione introduce in sostanza il principio di correlazione tra costi deducibili e produzione del reddito d’impresa . Pur non menzionando espressamente il termine “inerenza”, la norma vincola la deducibilità alla relazione funzionale tra spesa e attività produttiva del reddito.

La giurisprudenza della Cassazione ha elaborato su tale base una definizione di inerenza come criterio qualitativo: ciò che rileva è la natura o pertinenza del costo rispetto all’attività, non la sua quantità o l’utilità economica immediata . In effetti, la Suprema Corte ha più volte affermato che “l’inerenza esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità” . Ciò significa che un costo può essere inerente anche se non produce un vantaggio economico tangibile o immediato per l’impresa – il giudizio sull’inerenza prescinde da considerazioni di congruità o rendimento. Ad esempio, investimenti preparatori o spese sostenute in vista di futuri sviluppi dell’attività possono essere inerenti pur se nell’immediato non generano ricavi, in quanto coerenti con la strategia aziendale di lungo periodo . La Cassazione ha chiarito che non è necessario un nesso di causalità diretto tra un singolo costo e uno specifico ricavo, bensì una coerenza del costo con l’attività d’impresa nel suo complesso, anche in una proiezione potenziale o futura . Sono quindi inerenti anche costi relativi a iniziative che si collocano in una prospettiva programmatica o eventuale dell’attività imprenditoriale, “senza che sia necessario verificarne la correlazione con i ricavi dell’impresa, né valutarne la congruità” .

D’altro canto, se una spesa riguarda ambiti non coerenti o estranei all’oggetto sociale e all’attività tipica dell’impresa, essa non è inerente e non può essere dedotta. L’inerenza funge quindi da spartiacque tra costi deducibili e costi che devono restare a carico del contribuente (perché attinenti a esigenze personali o comunque estranee all’impresa) . Ad esempio, spese sostenute per beni ad uso personale dell’imprenditore o dei soci, prive di connessione con l’attività aziendale, non sono inerenti e vengono recuperate a tassazione in caso di verifica fiscale.

Un profilo cruciale è quello dell’onere della prova dell’inerenza. In base ai principi generali (art. 2697 c.c. in materia civile, applicato anche al contenzioso tributario) e alle regole fiscali sui componenti negativi, spetta al contribuente dimostrare che i costi dedotti possiedono i requisiti di certezza, competenza e inerenza rispetto all’impresa . Ciò implica la necessità di documentare adeguatamente sia l’esistenza del costo (fatture, contratti, pagamenti) sia il suo collegamento con l’attività d’impresa o una sua finalità economica . Di converso, l’Amministrazione finanziaria – qualora ritenga un costo non inerente – ha l’onere quantomeno di indicare le ragioni della ritenuta estraneità all’attività, ma in sede di giudizio sarà il contribuente a dover fornire elementi probatori che riconducano quel costo alla sfera imprenditoriale.

È importante sottolineare che negli ultimi anni la giurisprudenza tributaria ha delimitato con maggior precisione il concetto di inerenza, distinguendolo dal mero profilo dell’economicità o congruità del costo. Non spetta al Fisco sindacare la convenienza economica di una spesa o giudicare l’opportunità delle scelte imprenditoriali, salvo casi estremi: la Corte di Cassazione ha infatti affermato che “non assume rilevanza […] la congruità o l’utilità del costo rispetto ai ricavi, dovendosi dare un giudizio di inerenza di carattere qualitativo e non quantitativo” . Un costo sproporzionato o antieconomico non è di per sé indeducibile: può semmai costituire un indizio che quel costo, per la sua anomalia, in realtà non riguardi l’attività d’impresa (c.d. “elemento sintomatico di una carenza di inerenza”) . In altri termini, l’antieconomicità (ad esempio una spesa elevatissima che supera i benefici attesi) non costituisce autonoma causa di indeducibilità, ma può far sorgere il sospetto che il costo sia estraneo all’impresa o fittizio, legittimando verifiche più approfondite . L’indagine dunque deve sempre concentrarsi sulla natura del costo in relazione all’attività esercitata.

Riassumendo i principi generali:

  • Inerenza = collegamento qualitativo con l’attività: un costo è deducibile se pertinente all’impresa, ossia sostenuto per lo svolgimento, il mantenimento o lo sviluppo dell’attività produttiva di reddito . Non occorre che produca un ricavo immediato, ma deve rientrare nella sfera dell’impresa.
  • Non inerenza = estraneità all’attività: un costo è indeducibile se attiene a finalità personali, familiari o comunque estranee all’impresa . In tali casi si “spezza il nesso” con la gestione aziendale, e la spesa resta a carico del contribuente (non può ridurre il reddito d’impresa imponibile).
  • Nesso anche solo potenziale: è sufficiente un collegamento anche solo potenziale o indiretto con l’attività d’impresa a giustificare l’inerenza . Ad esempio, spese sostenute in funzione di investimenti futuri o per prevenire rischi d’impresa possono essere inerenti, pur in mancanza di un beneficio immediato.
  • Esclusa la valutazione di utilità economica: il Fisco non può negare la deduzione solo perché ritiene che la spesa sia “antieconomica” o non redditizia. L’utilità o congruità sono irrilevanti, salvo che la macroscopica sproporzione del costo indichi che esso riguarda in realtà finalità estranee .
  • Onere della prova: spetta al contribuente provare l’inerenza, cioè fornire documentazione e argomentazioni sul perché quel costo è connesso all’attività. L’Ufficio può limitarsi a contestare l’assenza di legame funzionale con l’impresa; tocca poi al contribuente giustificare e dimostrare il contrario .

Con questa cornice generale in mente, possiamo ora passare ad esaminare le spese legali e come il principio di inerenza si applica a queste particolari voci di costo, distinguendo le varie situazioni tipiche.

Spese legali e inerenza: quali sono deducibili?

Le spese legali sostenute da un’impresa (o da un lavoratore autonomo) possono avere natura molto diversa a seconda del contesto in cui sono generate. Ai fini fiscali, la loro deducibilità dipende – come per qualsiasi altro costo – dal requisito di inerenza rispetto all’attività che produce il reddito. In questa sezione analizziamo le principali tipologie di spese legali e valutiamo, alla luce della normativa e della giurisprudenza, in quali casi esse sono considerate inerenti (quindi deducibili) e in quali casi, invece, rischiano di essere contestate come non inerenti (indeducibili). Anticipiamo sin d’ora che uno dei nodi più delicati riguarda le spese legali sostenute per difendere amministratori o dipendenti in procedimenti penali, le quali – come vedremo – sono state spesso ritenute non deducibili dalle recenti sentenze . Ma procediamo per categoria, includendo esempi pratici.

Spese legali per cause civili e commerciali (contratti, crediti, risarcimenti)

Le spese legali affrontate da un’impresa in sede civile o commerciale – ad esempio per controversie contrattuali con clienti o fornitori, azioni di recupero crediti, cause di risarcimento danni attive o passive, procedure arbitrali commerciali, ecc. – sono in linea di massima inerenti all’attività d’impresa. Questo perché tali controversie originano tipicamente da rapporti giuridici connessi alla gestione dell’azienda: si pensi a un’azione legale per ottenere il pagamento di fatture insolute da parte di un cliente, o alla difesa in giudizio da una richiesta di risarcimento danni per un prodotto difettoso. In entrambi gli esempi, l’onere legale è strettamente funzionale alla tutela di un interesse economico dell’impresa (il credito vantato, il patrimonio aziendale minacciato da una pretesa risarcitoria). Pertanto, i relativi costi di avvocato, consulenze tecniche di parte, spese processuali, ecc. sono normalmente deducibili dal reddito d’impresa in quanto inerenti: rappresentano costi sostenuti nell’ambito e per lo scopo dell’attività imprenditoriale (difendere o far valere diritti patrimoniali dell’azienda).

In genere, l’Agenzia delle Entrate non contesta l’inerenza di questo genere di spese legali, a condizione che siano adeguatamente documentate e riferite a controversie effettivamente legate all’oggetto sociale o all’attività svolta. È buona prassi, comunque, conservare sempre la documentazione che illustri la natura della causa legale (atti giudiziari, corrispondenza con il legale, ecc.), così da poter dimostrare – in caso di verifica – che la lite riguardava un affare dell’impresa. Ad esempio, se la società Alfa S.p.A. sostiene spese per citare in giudizio un fornitore che ha consegnato merce non conforme, quelle spese sono inerenti (attengono al rapporto commerciale) e deducibili; qualora in sede di controllo venisse sollevata obiezione, l’azienda potrà facilmente evidenziare che la causa aveva ad oggetto il contratto d’appalto stipulato per la propria attività, quindi nulla di personale o estraneo.

Eccezione (eventuale): l’unico scenario in cui il Fisco potrebbe mettere in dubbio tali costi è se emergesse che in realtà la controversia non aveva attinenza con gli interessi aziendali. Ciò potrebbe accadere, ad esempio, se un’impresa pagasse le spese legali di una lite tra terzi, o di un socio a titolo personale, spacciandole per costi aziendali. In tal caso vi sarebbe difetto di inerenza. Ma quando invece la lite coinvolge direttamente l’azienda o nasce da contratti stipulati dall’azienda, l’inerenza è palese. La Cassazione, in varie pronunce, ha ribadito che appartiene alla sfera dell’impresa tutto ciò che viene affrontato per utilità – anche solo potenziale – dell’impresa stessa . Una causa civile per tutelare un diritto contrattuale rientra in questa sfera di operazioni ordinarie dell’impresa. Dunque, spese legali su cause civili attinenti all’attività: deducibili in quanto inerenti (nessuna indeducibilità salvo abusi specifici).

Esempio pratico: Beta S.r.l. sostiene €10.000 di spese legali nel 2024 per citare in giudizio un cliente moroso e un fornitore inadempiente. In sede di bilancio e dichiarazione dei redditi 2024 deduce integralmente tali costi. Nel 2026, l’Agenzia delle Entrate avvia un controllo e chiede chiarimenti su quella voce di spesa. Beta S.r.l. esibisce le fatture dell’avvocato e copia degli atti di causa, mostrando che le liti riguardavano il mancato pagamento di forniture e la richiesta di danni per merce difettosa. Esito: l’Ufficio riconosce la piena inerenza delle spese legali (spese sostenute per salvaguardare ricavi aziendali e risarcire un danno subito dall’azienda), nessuna ripresa a tassazione.

Spese legali in controversie di lavoro (dipendenti, INAIL, INPS)

Anche le spese legali sostenute per controversie di lavoro tendono a essere considerate inerenti all’attività d’impresa o di lavoro autonomo. Rientrano in questo gruppo le spese per cause di lavoro promosse da (o contro) dipendenti o collaboratori, per vertenze sindacali, per ricorsi contro verbali ispettivi di INPS/INAIL o altri enti previdenziali, e simili. La gestione del personale e il rispetto delle normative sul lavoro sono parte integrante dell’attività di un’impresa; di conseguenza, i costi legali connessi a tali aspetti sono di norma deducibili.

Ad esempio, se un’azienda viene citata in giudizio da un ex-dipendente per un licenziamento ritenuto illegittimo, le spese sostenute per la difesa in tribunale del lavoro sono inerenti: l’impresa sta agendo nell’ambito dei rapporti di lavoro che essa intrattiene come parte della propria attività. Analogamente, se un professionista (es. uno studio medico) sostiene spese legali per contestare una sanzione dell’INAIL relativa ad presunte irregolarità contributive di un assistente, tali costi hanno chiara attinenza con la sua attività professionale.

Le contestazioni sull’inerenza, anche qui, sarebbero ipotizzabili solo in casi anomali – ad esempio, qualora le spese in realtà riguardassero un rapporto estraneo all’impresa. Ma in genere le liti di lavoro coinvolgono il datore di lavoro in quanto tale, quindi fanno parte della sfera imprenditoriale. Dunque, spese legali per cause di lavoro: inerenti e deducibili.

Un punto da tenere presente è che non rileva l’esito della controversia: anche se l’azienda dovesse perdere la causa di lavoro (pagando magari un risarcimento al dipendente), le spese legali sostenute per difendersi rimangono inerenti, essendo state affrontate per gestire un rischio legato all’organizzazione del lavoro nell’impresa. L’aver perso la causa significa semmai che probabilmente il costo del risarcimento non era evitabile, ma ciò non trasforma le spese legali in spese personali: restano costi d’impresa a tutti gli effetti. (Il risarcimento o le somme corrisposte al dipendente potranno anch’esse essere deducibili in quanto oneri derivanti dal rapporto di lavoro, ma questo esula dal tema spese legali strettamente intese).

Nota: Se la spesa legale riguarda la difesa in un procedimento penale per violazioni di norme sulla sicurezza sul lavoro attribuite al datore di lavoro o ai vertici aziendali, si rientra più propriamente nella categoria delle difese penali (vedi sezione dedicata). Diverso è invece il caso di sanzioni amministrative in materia di lavoro (es. sanzioni civili per contributi omessi): i costi per impugnarle rientrano in controversie di lavoro/amministrative e sono anch’essi usualmente inerenti, ma la sanzione in sé (se confermata) non è deducibile come costo, in quanto frutto di un illecito amministrativo (si vedano più avanti i cenni sulle sanzioni e la “rottura” del nesso di inerenza dovuta all’illecito) .

Spese legali per contenzioso tributario (difesa in accertamenti fiscali)

Un capitolo molto rilevante per chi fa impresa è quello delle spese legali sostenute per difendersi in procedimenti tributari, ossia in occasione di avvisi di accertamento, cartelle di pagamento o altre azioni del Fisco contro il contribuente. Rientrano qui le parcelle di avvocati tributaristi o commercialisti per assistenza in verifiche fiscali, redazione di ricorsi tributari, rappresentanza in Commissione Tributaria (oggi: Corte di Giustizia Tributaria), ecc.

Queste spese si possono considerare inerenti all’attività d’impresa? La risposta è generalmente . Difendersi da una pretesa fiscale implica tutelare il patrimonio aziendale (o il reddito prodotto) da imposte indebite o contestazioni che potrebbero gravare sull’impresa. È dunque un’attività strumentale al fine ultimo dell’impresa di conservare le proprie risorse finanziarie e rispettare correttamente (ma non oltre il dovuto) gli obblighi fiscali. La Cassazione stessa, in più occasioni, ha riconosciuto la natura inerente di costi sostenuti per resistere a pretese tributarie – si pensi che, in generale, il principio di inerenza è legato alla produzione del reddito imponibile; difendersi in un contenzioso fiscale riguarda il quantum di reddito da tassare, quindi attiene ancora al ciclo di impresa, non a vicende personali.

In pratica, se un’azienda subisce un accertamento per presunte irregolarità fiscali e affida a un professionista l’incarico di presentare istanza di accertamento con adesione o ricorso in Commissione Tributaria, la parcella di tale professionista è un costo collegato all’attività d’impresa (anche perché l’accertamento verte su componenti reddituali dell’impresa stessa). Difficilmente l’Agenzia delle Entrate contesterà come “non inerenti” spese del genere, anche perché equivarrebbe a dire che difendersi dal Fisco è un fatto estraneo all’attività – il che non è sostenibile, trattandosi di oneri necessari per la gestione fiscale dell’impresa.

Un esempio chiarisce: Gamma S.p.A. nel 2023 riceve un avviso di accertamento che rettifica il suo reddito imponibile. La società paga €15.000 a un avvocato per impugnare l’atto in giudizio. Nel bilancio 2023 deduce il costo legale. In un futuro controllo, l’Ufficio potrebbe contestare la fondatezza del ricorso magari, ma non l’inerenza del costo del legale stesso: quella è la spesa che Gamma ha sostenuto nel suo interesse imprenditoriale di ottenere un’annullamento/riduzione dell’imposta richiesta. Pertanto, la spesa è inerente.

Anche per i professionisti (lavoratori autonomi), le spese per contenzioso tributario relative alla propria attività (ad esempio il compenso a un tributarista per difendersi su un avviso IRPEF) sono da considerarsi inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo. Va ricordato che, per i redditi di lavoro autonomo, non esiste una norma analoga all’art. 109 co. 5 TUIR, ma vige il principio (art. 54 TUIR) che “sono deducibili le spese necessarie per l’esercizio dell’arte o professione”; la Cassazione ha interpretato ciò nel senso di applicare un criterio di correlazione analogo a quello dell’inerenza d’impresa . E difendersi dal Fisco su questioni inerenti la propria attività professionale può ben rientrare tra i costi necessari.

In sintesi: le spese legali per impugnare accertamenti e provvedimenti fiscali sono considerate inerenti e deducibili, in quanto funzionali alla gestione economica dell’impresa (protezione delle risorse finanziarie dall’erosione fiscale indebita). Naturalmente, se il contenzioso riguarda fatti personali del contribuente e non l’attività (es. un accertamento su redditi diversi non collegati all’impresa), allora i relativi costi sarebbero inerenti a quella sfera personale, non all’azienda. Ma finché la materia del contendere è fiscale/tributaria sull’impresa, i costi sono dell’impresa.

Osservazione pratica: talora l’Agenzia può contestare singole voci di spesa legale nel contenzioso fiscale ritenendo che non fossero dovute o fossero eccessive (ad esempio, se un’azienda deduce tra le spese legali anche l’eventuale sanzione pagata per tardiva impugnazione, o altri oneri non tecnicamente legali). Bisogna distinguere: le sanzioni tributarie non sono deducibili per legge e per giurisprudenza costante, perché considerate punitive e “extra-imprenditoriali” ; ma il compenso al difensore che ha seguito la pratica è un costo del tutto lecito e inerente. Pertanto, attenzione a non confondere i due elementi: le sanzioni (multe, ammende) non si deducono, mentre le spese di difesa contro di esse sì (a meno che – come vedremo – si tratti di difesa penale per fatti estranei). Questa distinzione emerge chiaramente anche nelle motivazioni della Cassazione sulle sanzioni antitrust e altre penalità: “l’illecito commesso spezza in ogni caso il nesso di inerenza […] la spesa (sanzione) non nasce nell’impresa, ma in un fatto antigiuridico, estraneo alla sfera aziendale” . Ma, di nuovo, il costo del legale che tenta di contestare quell’addebito è gestionale.

Spese legali per sanzioni amministrative o procedimenti amministrativi

Un’impresa può incorrere in procedimenti amministrativi sanzionatori (non penali) condotti da varie autorità: si pensi a sanzioni Antitrust, multe per violazioni amministrative (es. urbanistiche, ambientali), sanzioni dell’ASL o di autorità di vigilanza, contravvenzioni stradali per veicoli aziendali, ecc. In tali casi, spesso l’azienda sceglie di affidarsi a legali per preparare memorie difensive in sede amministrativa o per impugnare le sanzioni davanti al giudice competente (p.es. ricorsi al Giudice di Pace per multe stradali, ricorsi al TAR per sanzioni amministrative gravi, ecc.).

Il regime fiscale di queste spese legali “amministrative” presenta alcune analogie con i contenziosi tributari: la spesa per difendersi è in principio inerente se l’oggetto del procedimento è collegato all’attività d’impresa. Ad esempio, se un agente di commercio prende multe stradali mentre viaggia per lavoro, e l’azienda paga un avvocato per contestarle in giudizio, tale costo può considerarsi inerente all’attività (è connesso all’uso di un bene aziendale – l’auto – per scopi di impresa). Naturalmente la multa in sé non sarà deducibile, in quanto sanzione per un illecito (come già accennato, l’ordinamento esclude di far gravare sulla fiscalità generale le sanzioni per comportamenti illeciti) . Ma il costo del legale che tenta il ricorso può essere dedotto, essendo un tentativo di ridurre un esborso a carico dell’impresa.

Discorso simile per sanzioni amministrative in materia ambientale o di sicurezza: se l’impresa viene multata per un illecito amministrativo commesso nell’esercizio dell’attività, la spesa legale per difendersi è inerente all’attività (si cerca di evitare un costo all’azienda). Tuttavia, occorre fare i conti con il severo orientamento della Cassazione: la Corte ha più volte affermato che le sanzioni (amministrative o penali) in sé “sono prive di nesso funzionale con l’attività imprenditoriale, avendo finalità afflittiva; originano da un atto antigiuridico che si pone al di là della sfera aziendale, spezzando il nesso di inerenza” . Tale principio, in origine riferito alle sanzioni come costi, potrebbe riflettersi anche sulla valutazione delle spese difensive relative. Se, ad esempio, l’azienda paga un avvocato per difendersi da una sanzione antitrust: l’illecito contestato (violazione della concorrenza) viene considerato estraneo all’attività lecita d’impresa, quindi la sanzione non inerente; la spesa legale potrebbe comunque essere vista come uno sforzo per mantenere l’utilità d’impresa (evitare una sanzione) e quindi inerente. Non risultano, però, pronunce che neghino in modo esplicito la deducibilità delle spese di difesa in procedimenti amministrativi; la logica suggerisce di trattarle come inerenti (a differenza delle penalità stesse).

In mancanza di indicazioni contrarie, possiamo concludere che: le spese legali per impugnare sanzioni o atti amministrativi verso l’impresa sono in linea di massima deducibili (inerenti all’attività), purché il fatto all’origine del procedimento riguardi la sfera aziendale. Se invece un amministratore commette un’infrazione amministrativa totalmente scollegata dall’attività (es. viene multato personalmente per un fatto extra-lavorativo e l’azienda gli paga comunque l’avvocato), chiaramente la spesa non è inerente all’impresa.

Attenzione: in certi casi le aziende preferiscono non dedurre neppure le spese legali relative a sanzioni, per un principio di prudenza, temendo contestazioni. Tuttavia, la legge non preclude la deduzione delle spese di difesa (diversamente da alcuni “costi da reato” di cui diremo a breve), quindi è un’opportunità fiscale lecita. È sempre bene documentare la connessione con l’attività: ad esempio, in un ricorso contro sanzione ambientale, evidenziare che la vicenda riguarda un impianto produttivo dell’azienda, etc.

Spese legali per la difesa penale di amministratori e dipendenti

Arriviamo al nodo più critico: le spese legali sostenute dall’impresa per difendere in sede penale i propri amministratori, dirigenti o dipendenti imputati di reati. Si pensi a un caso purtroppo non raro: il legale rappresentante di una società è coinvolto in un procedimento penale (ad esempio per un reato fiscale, o per un infortunio sul lavoro occorso in azienda, o altro reato connesso all’attività); la società decide di farsi carico delle spese di difesa legale dell’amministratore, pagando l’avvocato penalista che lo assiste. Oppure un dipendente viene indagato per un reato commesso durante l’attività lavorativa (es. violazione normativa ambientale) e l’azienda copre i costi legali.

La questione è se tali costi possano considerarsi inerenti all’attività d’impresa (e quindi deducibili) oppure no. Su questo tema la posizione attuale della Corte di Cassazione è piuttosto rigorosa: la Suprema Corte esclude la deducibilità di queste spese, ritenendo che manca l’inerenza all’impresa. In particolare, con una serie di pronunce recenti è stato affermato il principio che le spese legali sostenute per la difesa penale di esponenti aziendali non sono inerenti all’attività d’impresa in senso fiscale, poiché non è sufficiente che il costo sia una conseguenza generica dell’esercizio dell’impresa: occorre che sia correlato a un’attività potenzialmente idonea a produrre utili . La difesa penale di un individuo, pur se amministratore, non si colloca – secondo la Corte – in una linea di produzione del reddito, bensì origina da un fatto (l’illecito penale contestato) che è estraneo e anzi contrario alla normale attività di impresa .

In altre parole, la giurisprudenza ritiene che l’illecito penale “spezza” il nesso di inerenza: dal momento che l’esercizio dell’impresa non contempla (né potrebbe contemplare legittimamente) la commissione di reati, tutto ciò che scaturisce da un reato esula dall’attività ordinaria. La spesa per difendersi nel processo penale viene vista come conseguenza di un’azione di terzi (l’azione penale dello Stato) e non come un atto funzionale a produrre reddito . In più, la Cassazione sottolinea che anche se l’azienda potrebbe trarre un vantaggio indiretto dall’assoluzione del proprio amministratore (evitare un danno di immagine, o la perdita di un dirigente), questo è un collegamento troppo generico per considerare imprenditoriale la spesa . Ai fini fiscali, serve un legame “immediato e diretto” tra costo e attività produttiva: legame che qui manca, perché la difesa penale riguarda la posizione personale dell’imputato di fronte alla giustizia penale .

Vediamo più da vicino alcune sentenze chiave su questo punto:

  • Cass. civ., Sez. V, 6 agosto 2019, n. 20945: ha ritenuto indeducibili le spese legali sostenute da una società per la difesa penale dei propri amministratori, negando anche la detraibilità della relativa IVA . È una delle prime pronunce recenti che ha chiarito la non inerenza di tali costi.
  • Cass. civ., Sez. V, 11 aprile 2024, n. 9910: ha ribadito che in tema d’imposte sui redditi, le spese legali sostenute dalla società per la difesa di propri amministratori in un procedimento penale non sono deducibili, poiché ai fini dell’inerenza ex art. 109 TUIR “non è sufficiente che il costo sia conseguente in senso generico all’esercizio dell’impresa, ma è necessaria la sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili” . Questa ordinanza del 2024 è particolarmente autorevole perché chiarisce in modo netto il fondamento dell’esclusione: la difesa penale di un amministratore, ancorché collegata alla sfera aziendale (magari il reato è stato commesso nell’esercizio delle funzioni di amministratore), non si collega a un’attività generatrice di ricavi, trattandosi di una vicenda patologica.
  • Cass. civ., Sez. V, 25 giugno 2025, nn. 17111, 17112, 17113: una serie di sentenze “gemelle” depositate lo stesso giorno, sempre in materia di IVA su spese legali per difesa penale di amministratori/dipendenti . La Corte ha negato il diritto alla detrazione dell’IVA su tali costi, in quanto non inerenti all’attività d’impresa ai fini IVA. Sebbene queste riguardino l’IVA, la motivazione enfatizza ancora di più il concetto di inerenza: per l’IVA si richiede un nesso diretto, immediato tra spesa e operazioni dell’impresa; i giudici hanno spiegato che “le spese per la difesa penale dei dipendenti, anche se connesse al rapporto di lavoro, non soddisfano questo requisito, non essendo un costo diretto dell’attività aziendale ma derivando dall’azione di un terzo (l’autorità giudiziaria)” . Viene anche osservato che la successiva assoluzione dei dipendenti non muta la natura del costo né crea inerenza diretta . Questa affermazione è importante: significa che anche se l’esito penale è favorevole (assoluzione), per il Fisco la spesa legale resta non inerente, perché quello che conta è la natura del costo (difesa in un processo penale, evento estraneo alla gestione imprenditoriale ordinaria) e non l’utilità ex post che l’assoluzione può portare all’azienda.
  • Cass. civ., Sez. V, 29 maggio 2019, n. 14340 (per citare un orientamento similare antecedente): affermò in sostanza che i costi di difesa legale di esponenti aziendali in procedimenti penali per reati inerenti alla gestione non sono deducibili, poiché l’attività criminosa è di natura personale e non può rientrare tra i fattori produttivi.

Insomma, la linea giurisprudenziale prevalente oggi è che l’impresa non può dedurre i costi di difesa penale dei propri organi/personale, perché quei costi non appartengono alla sfera dell’esercizio dell’impresa in senso stretto . Sono piuttosto oneri che attengono alla sfera personale dell’amministratore/dipendente (il quale deve rispondere di un reato). Ne consegue che, in caso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate contesterà come indeducibili tali spese, recuperando a tassazione l’importo dedotto indebitamente.

È utile notare che in passato c’è stato dibattito: talora dottrina e giurisprudenza di merito avevano ipotizzato che, qualora il reato contestato all’amministratore fosse strettamente connesso all’attività (es. reato ambientale per non aver osservato norme nella produzione), le spese di difesa potessero avere una giustificazione nell’interesse dell’impresa (evitare condanne che danneggerebbero l’operatività aziendale). Alcune commissioni tributarie avevano in passato dato ragione ai contribuenti su questo, o almeno sfumato il principio. Tuttavia, la Cassazione più recente appare granitica nell’escludere la deducibilità. Anche argomenti di equità o di capacità contributiva – tipo: “la società, se non può dedurre queste spese, finisce per essere tassata su un reddito che in realtà non ha, dovendo sopportare un costo reale” – non hanno sinora scalfito l’orientamento, perché la contro-argomentazione è che quel costo non appartiene alla sfera dell’impresa lecitamente intesa (anzi deriva da un fatto illecito che per definizione l’ordinamento non vuole incentivare) .

Conclusione pratica su questo punto: le spese legali per difendere amministratori/dipendenti in procedimenti penali NON sono considerate inerenti e pertanto, a meno di un futuro ripensamento, non dovrebbero essere dedotte dall’impresa. Se un’azienda le deduce e viene controllata, è altamente probabile una contestazione dell’Ufficio e, in caso di contenzioso, attualmente le chance di vittoria del contribuente sono scarse, vista la giurisprudenza di legittimità. Più avanti nella sezione difensiva vedremo comunque come impostare una difesa nel (difficile) caso in cui ci si voglia opporre a tale contestazione.

Esempio pratico: Delta S.r.l. nel 2022 ha pagato €50.000 a uno studio legale per assistere due propri dirigenti indagati in un procedimento penale relativo a reati fiscali (dichiarazione fraudolenta) asseritamente commessi nell’interesse o a vantaggio della società. Ritenendo che il procedimento fosse legato alle operazioni societarie, Delta ha dedotto la spesa legale nel bilancio 2022. Nel 2024 arriva un avviso di accertamento in cui l’Agenzia recupera a tassazione i €50.000, sostenendo che “trattasi di costi non inerenti ai sensi dell’art. 109 TUIR, essendo relativi alla difesa personale di soggetti indagati in sede penale”. Delta S.r.l. valuta se fare ricorso, magari argomentando che i dirigenti agivano per l’azienda e che l’assoluzione (supponiamo siano stati assolti) ha giovato all’azienda stessa. Tuttavia, alla luce dei precedenti (Cass. 2019, 2024, 2025), la società comprende che le probabilità di spuntarla sono molto basse: i giudici quasi sicuramente confermerebbero la non inerenza, data la natura penalistica del caso. Esito probabile: la società dovrà rinunciare alla deduzione, pagando le maggiori imposte e le sanzioni (ridotte se si chiude in adesione).

Caso particolare – reati colposi nell’interesse dell’azienda: alcune discussioni hanno riguardato ipotesi come gli infortuni sul lavoro o i reati ambientali colposi, in cui l’azienda di fatto trae (illecitamente) un vantaggio risparmiando su costi di sicurezza o prevenzione. C’è chi ha sostenuto che in questi casi la spesa legale di difesa serva a tutelare l’azienda da conseguenze economiche (sospensioni, sanzioni 231/2001, etc.), quindi abbia un’utilità. Ma finora la Cassazione non ha fatto eccezioni: anche in tali scenari, prevale l’idea che l’illecito (colposo o doloso) esca dall’alveo della fisiologica attività di impresa. Dunque la linea resta la stessa: niente deduzione.

E se la società è imputata essa stessa? – Un ulteriore scenario: con il D.lgs. 231/2001, anche le società possono essere giudicate colpevoli in sede penale-amministrativa per reati commessi nel loro interesse da esponenti (responsabilità amministrativa degli enti). In procedimenti ex D.lgs. 231, la società è formalmente imputata e deve difendersi tramite un legale. In tal caso, paradossalmente, la spesa legale è per difendere direttamente l’ente da una sanzione pecuniaria. Non risultano pronunce specifiche sulla deducibilità di spese legali per difendersi in un processo 231/2001. Ma applicando i principi generali: il fatto originario è sempre un reato (commesso dai suoi agenti) – quindi illecito – che “spezza” la liceità dell’attività; tuttavia qui l’ente è parte processuale diretta. Verosimilmente, l’Agenzia delle Entrate potrebbe considerare non inerenti neanche queste spese (coerentemente con la logica punitiva). Fino a nuove indicazioni, conviene essere cauti anche su questo fronte.

Altri casi particolari di spese legali e relativa inerenza

Oltre alle categorie principali sopra esaminate, esistono situazioni particolari dove può sorgere il dubbio sull’inerenza delle spese legali. Elenchiamo le più comuni, con l’indicazione di massima sul trattamento fiscale:

  • Spese legali per operazioni straordinarie o consulenze societarie: ad esempio costi legali per fusioni, acquisizioni, cessioni di quote, stesura di patti parasociali, ecc. Queste spese sono tipicamente inerenti, poiché riguardano la struttura dell’impresa o la sua organizzazione societaria. La deducibilità può essere immediata o tramite ammortamento a seconda della natura (spese di consulenza vs costi pluriennali), ma l’inerenza qualitativa non è in dubbio: servono all’attività aziendale (anzi, a modificarla o ampliarla). Deducibilità ammessa (nei limiti delle regole di competenza temporale).
  • Spese legali per atti notarili e contrattuali: onorari notarili per costituzione di società, aumenti di capitale, acquisto di immobili aziendali, stipula di finanziamenti, ecc., includendo la parcella del legale che segue l’operazione. Sono costi inerenti all’attività, in quanto correlati a investimenti o atti gestionali dell’impresa. Deducibili (talora capitalizzati se relativi a beni).
  • Spese legali per pareri, consulenze non seguite da contenzioso: spesso le imprese chiedono pareri pro veritate o consulenze legali preventive (es. su compliance, contrattualistica, fiscalità internazionale). Questi costi di consulenza legale, se afferenti all’attività, sono inerenti (servono a meglio condurre l’impresa, evitare rischi, ecc.). Deduzione ammessa. Unica accortezza: se il parere richiesto concerne interessi extra-imprenditoriali (es. il socio chiede un parere su questioni personali pagato dalla società), allora emergerebbe un problema di inerenza.
  • Spese legali personali impropriamente addebitate all’azienda: caso esemplare: l’imprenditore individuale o il socio di maggioranza di una società utilizza i fondi aziendali per pagare un avvocato che lo assiste in una vicenda del tutto personale (divorzio, controversie ereditarie, cause penali personali non legate all’azienda). Se queste spese finiscono tra i costi dell’impresa, sono chiaramente non inerenti. In caso di controllo, l’Ufficio le escluderà dalla deduzione, riqualificandole magari come utilizzo di risorse aziendali per scopi personali (con possibili implicazioni di distribuzione utili ai soci, se in società di capitali). Non deducibili.
  • Spese legali per controversie tra soci o tra soci e società: ad esempio, spese per cause di impugnazione di delibere assembleari, azioni di responsabilità contro amministratori promosse dai soci, liti tra soci su clausole statutarie. Se la società paga questi costi, occorre cautela: non sempre sono inerenti all’attività d’impresa in sé; spesso riguardano conflitti nella governance o nella proprietà. La deducibilità dipende: se la società sostiene spese per difendersi in una causa promossa da soci (es. impugnazione bilancio), può dedurle in quanto sta tutelando la propria posizione giuridica come entità (quindi inerente alla sua esistenza). Ma se la società si fa carico di spese legali di soci in contese tra loro (cosa che non dovrebbe accadere secondo corretta gestione), quelle sarebbero non inerenti. Bisogna valutare caso per caso. In linea di principio: costi legali legati alla struttura societaria (difesa dell’ente) = inerenti; costi legati a interessi dei soci personali = non inerenti.
  • Spese di giustizia e spese risarcitorie legali: se l’azienda viene condannata a pagare le spese legali della controparte (es. rifondere le spese di lite all’avversario vincitore) o a pagare un risarcimento derivante da causa civile, queste uscite sono deducibili? Sì, generalmente sì, perché sono una conseguenza dell’attività giuridica d’impresa: un debito che l’impresa deve pagare in virtù di una sentenza. La Cassazione ha ammesso deduzioni per transazioni commerciali e risarcimenti connessi all’attività ordinaria . Naturalmente non devono essere correlati a reati (altrimenti rientrerebbero nei costi da illecito). Quindi se Alfa S.p.A. perde una causa commerciale e paga 5.000 € di spese legali al vincitore, quell’importo è un costo dell’esercizio inerente alla vicenda commerciale: deducibile (la controparte è come un fornitore di servizi legali “imposto” dal giudice, per paradosso).
  • Casi di “costi da reato” (art. 14, c.4-bis L. 537/93): qui entriamo in un campo specifico. La legge vieta espressamente la deduzione di costi e spese “direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come reato”. Per fortuna, le spese legali non rientrano tipicamente in questo divieto, perché pagare un avvocato non è “utilizzare un bene per commettere un reato”, bensì semmai per difendersi dopo. I costi da reato indeducibili sarebbero ad esempio: l’acquisto di sostanze proibite per compiere un illecito, il pagamento di tangenti (la Cassazione già da tempo nega deducibilità delle tangenti in quanto non inerenti e illecite) . In passato qualcuno si chiedeva: e se il reato contestato è un’evasione fiscale, il pagamento del tributarista che ha aiutato a evadere sarebbe un costo da reato? In linea teorica sì, ma sarebbero situazioni limite (e comunque quell’attività del tributarista sarebbe essa stessa illecita, dunque non fatturata regolarmente, difficile da trovare in contabilità se c’è dolo). Questo per dire che il regime dei costi da reato (L. 537/93) di solito non si applica alle spese legali di difesa – le quali vengono semmai valutate sul piano dell’inerenza, come abbiamo trattato.

Abbiamo dunque un panorama di massima su quando le spese legali sono inerenti/deducibili e quando no. La tabella seguente riepiloga i principali casi:

Tabella – Inerenza delle spese legali per tipologia di controversia:

Tipologia di spesa legaleEsempi praticiInerenza e deducibilitàNote
Cause civili/commerciali (contratti, crediti, risarcimenti)Azione vs cliente moroso; difesa in causa per danniInerenti e deducibiliLegate a rapporti d’affari dell’impresa
Controversie di lavoro (dipendenti, enti previdenziali)Causa di licenziamento; ricorso avverso sanzioni INPSInerenti e deducibiliRiguardano la gestione del personale
Contenziosi tributari (accertamenti, cartelle)Ricorso contro avviso di accertamento IRPEF/IRESInerenti e deducibiliDifesa del reddito aziendale dalle imposte
Sanzioni amministrative (multe, antitrust, ecc.) – difesaRicorso multa stradale automezzo aziendale; ricorso TAR sanzione AutoritàInerenti e deducibili (spese difensive)La sanzione in sé resta indeducibile
Procedimenti penali – difesa di esponenti aziendaliDifesa penalista per amministratore imputato reatoNon inerenti → indeducibiliCassazione contraria alla deducibilità
Consulenze legali generali (pareri, contrattualistica)Parere legale su nuova normativa; stesura contratti tipoInerenti e deducibili (se attinenti all’attività)Costi di supporto gestionale
Cause tra soci / societarie interneImpugnazione bilancio da soci; Azione responsabilità vs amministratoreDipende: se difesa della società = inerente; se spese di soci = non inerenteValutare caso per caso, rischio contestazioni
Spese personali erroneamente a carico impresaDivorzio del titolare pagato da aziendaNon inerenti → indeducibiliOneri estranei, possibile riqualificazione

(Legenda: deducibili = normalmente ammessi in deduzione; indeducibili = costi recuperati a tassazione se dedotti.)

Come si vede, l’unica categoria chiaramente indeducibile emersa in base agli orientamenti recenti è quella delle spese di difesa penale di soggetti aziendali. Per tutte le altre, la deducibilità è in linea di principio concessa, salvo abusi o circostanze peculiari. Ciò non toglie che l’Agenzia delle Entrate, in sede di verifica, possa talvolta contestare anche spese legali che noi riteniamo inerenti, magari per difetto di documentazione o perché insospettita da importi elevati: è quindi fondamentale sapere come affrontare una contestazione del genere e quali argomentazioni utilizzare per difendere la deduzione operata.

Nel prossimo capitolo vedremo proprio come l’Agenzia formula le contestazioni in materia di costi non inerenti (incluse le spese legali) e qual è la procedura che si innesca, così da poter poi esaminare le possibili strategie difensive nelle varie fasi.

La contestazione dell’Agenzia delle Entrate: motivazioni e procedura

Abbiamo delineato cosa distingue una spesa legale inerente da una non inerente. Ma come si concretizza, nella pratica, la contestazione del Fisco? In questa sezione descriviamo il modus operandi tipico dell’Amministrazione finanziaria quando ritiene di trovarsi di fronte a costi indeducibili per carenza di inerenza, e quali atti e tempistiche entrano in gioco. Comprendere il procedimento è essenziale per attivarsi correttamente e nei tempi giusti con le proprie difese.

Accertamento fiscale per costi non inerenti

La contestazione di spese non inerenti di solito emerge nel corso di un accertamento fiscale sul periodo d’imposta in cui tali spese sono state dedotte. Può trattarsi di:

  • una verifica fiscale generale (es. una verifica della Guardia di Finanza o dell’Agenzia in azienda su più annualità),
  • un controllo mirato (es. controllo formale o documentale su alcune voci di spesa dichiarate),
  • oppure nell’ambito di un accertamento su altre questioni, l’Ufficio potrebbe aggiungere rilievi sull’inerenza di certi costi.

Il punto di partenza è il seguente: il dichiarativo dell’impresa/professionista mostra una certa voce di costo per spese legali (in contabilità generalmente classificate tra i costi per servizi). L’Ufficio, esaminando la documentazione, identifica alcune fatture di avvocati o studi legali e ne chiede il dettaglio, ovvero vuole capire a cosa si riferivano. Se dalla natura del servizio legale reso o da altre informazioni l’ufficiale accertatore ritiene che quel servizio non abbia attinenza con l’attività, formulerà un rilievo.

Ad esempio, immaginiamo che Tizio, titolare di una ditta individuale, abbia portato tra i costi 2023 una fattura di €5.000 di un avvocato per “assistenza legale”. L’Agenzia verifica e scopre che in realtà riguardava la difesa di Tizio in un processo penale per guida in stato di ebbrezza (fatto personale, non collegato alla ditta). È lampante che non c’entra con l’attività: ecco un tipico caso di contestazione di non inerenza.

Forma della contestazione: inizialmente il contribuente può vedersi recapitare un “Processo Verbale di Constatazione (PVC)” se c’è stata una verifica o ispezione, in cui tra i vari rilievi uno riguarderà i “costi non inerenti” con l’elenco delle spese contestate. In alternativa, l’Agenzia potrebbe notificare direttamente un “Avviso di accertamento” (specie se il controllo è in sede centrale e non esterna) contenente la ripresa a tassazione. Nell’avviso, tipicamente, la motivazione sul punto suonerà così: «È stata riscontrata la deduzione di spese legali per euro X, relative a [descrizione sintetica, es. “difesa procedimento penale n… / spese legali personali del socio / etc.”], le quali risultano prive del requisito dell’inerenza all’attività d’impresa ai sensi dell’art. 109 comma 5 del TUIR. Pertanto tali costi sono indeducibili e vengono recuperati a tassazione.».

Spesso l’Agenzia cita anche la giurisprudenza pertinente, se disponibile, per dare forza al rilievo. Ad esempio, negli ultimi anni non è raro leggere negli avvisi riferimenti a Cassazione 9910/2024 o 20945/2019 quando contestano spese di difesa penale di amministratori, quasi a mettere le mani avanti rispetto a eventuali ricorsi. In altri casi il richiamo è più generico (“non inerenti ex art. 109 TUIR”).

Insieme alla maggiore imposta dovuta per il maggior reddito accertato (ricordiamo infatti che se un costo è indeducibile, vuol dire che il reddito imponibile dichiarato era troppo basso; l’accertamento lo rettifica al rialzo), verranno applicate anche delle sanzioni per dichiarazione infedele. Dedurre un costo non spettante configura, dal punto di vista amministrativo, un’omissione che comporta un’imposta inferiore al dovuto: ciò integra la violazione di dichiarazione infedele, punita con una sanzione che va dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta (art. 1, comma 2 D.Lgs. 471/1997). Ad esempio, se a causa dei €50.000 di costi indeducibili il reddito imponibile accertato aumenta di €50.000 e ciò comporta €13.500 di IRES in più, la sanzione base sarà il 90% di 13.500, quindi €12.150 (salvo eventuali riduzioni per adesione, ecc.). Nell’avviso, quindi, si leggerà l’importo del recupero di imposta e l’importo della sanzione.

(Va notato che se i costi indeducibili superano una certa entità, potrebbe configurarsi nei casi estremi anche il reato di dichiarazione infedele ex D.Lgs. 74/2000, ma occorre un’evasione di imposta > €100.000 e costi fittizi > 10% dell’imponibile. Nel caso di costi non inerenti, di solito non si considera “fittizio” (inesistente) il costo – se realmente pagato – quindi difficilmente si arriva al penale per questa via, a meno che non sia proprio un costo simulato. Pertanto, nella stragrande maggioranza, la questione resta sul piano amministrativo tributario.)

Focus: Nel contesto attuale (post-riforma 2022 del processo tributario), gli avvisi di accertamento in materia di imposte dirette devono essere adeguatamente motivati e, se emessi a seguito di PVC, devono tener conto delle controdeduzioni del contribuente. È importante sapere che prima dell’avviso definitivo, se è stato notificato un PVC, il contribuente ha diritto di presentare entro 60 giorni delle osservazioni e richieste (Statuto del Contribuente, art. 12 c.7, ora abrogato ma sostanzialmente ancora applicato). In tali osservazioni può già difendersi, ad esempio spiegando perché quelle spese legali contestate sono invece inerenti. L’Ufficio è tenuto a valutare queste memorie prima di emettere l’atto impositivo. Quindi, tempestività: appena ricevuto un PVC con rilievo di inerenza, conviene predisporre le proprie controdeduzioni scritte, supportate da documenti e giurisprudenza.

Se l’accertamento viene emesso, il contribuente ha generalmente 60 giorni dalla notifica per decidere come procedere: può pagare (in tutto o in parte), oppure avviare strumenti deflattivi (es. accertamento con adesione) o proporre ricorso. Nella sezione successiva vedremo in dettaglio queste opzioni. Intanto, chiariamo che sul piano procedimentale:

  • Atto tipico: Avviso di accertamento motivato con indicazione dei costi indeducibili.
  • Effetto sull’imposta: aumento del reddito imponibile → ricalcolo imposta (IRES/IRPEF e relative addizionali, più IRAP se il caso, benché l’IRAP tecnicamente non abbia inerenza come criterio identico ma di fatto sì).
  • Sanzione amministrativa: di regola 90% imposta evasa (riducibile se definizione agevolata).
  • Interessi moratori: applicati sulle maggiori imposte dalla data originaria di scadenza.
  • Eventuale cumulo con IVA: se la spesa legale contestata era originariamente con IVA detratta e la contestazione è sulla natura stessa dell’operazione (es. prestazione non inerente → non detraibile IVA), allora l’accertamento potrà riguardare anche l’IVA detratta indebitamente. Per esempio, nel caso di difesa penale amministratori: l’Ufficio potrebbe contestare sia l’indeducibilità in IRES, sia l’indetraibilità della relativa IVA (come accaduto nel caso deciso da Cass. 2025 n.17113) . Ciò comporta anche sanzioni IVA (il 90% dell’IVA non dovuta). Insomma, doppio fronte possibile.

In molti casi, specie quando l’importo contestato non è enorme, l’Agenzia potrebbe proporre la via dell’accertamento con adesione: un procedimento di “conciliazione” ante ricorso in cui si cerca un accordo sul dovuto (con riduzione di sanzioni). Lo vedremo a breve come opzione difensiva.

Riassumendo, dal momento in cui il Fisco individua costi che ritiene non inerenti, il percorso standard è:

  1. Verifica e rilievo: individuazione in fase istruttoria, inserimento nel PVC o comunque formulazione del rilievo.
  2. Eventuali osservazioni del contribuente: possibili controdeduzioni pre-avviso (non sempre c’è tempo/luogo, ma il contribuente dovrebbe cogliere l’occasione se data).
  3. Emissione Avviso di Accertamento: atto formale che notifica il maggior reddito per costi indeducibili.
  4. Pagamenti e/o impugnazioni: da qui il contribuente può:
  5. pagare (magari avvalendosi del ravvedimento operoso se prima dell’atto, o definizione agevolata se concessa, ecc.),
  6. oppure attivare strumenti di difesa amministrativi (adesione, reclamo/mediazione) o giudiziari (ricorso).

Nell’avviso, l’Agenzia inquadra giuridicamente la questione citando l’art. 109 TUIR e magari qualche sentenza. Ad esempio, in una bozza di motivazione di un caso reale (deduzione spese legali difesa amministratore): “Considerato che la spesa di € XX relativa a parcella Avv. Rossi per difesa in procedimento penale n… a carico dell’amministratore non presenta il requisito dell’inerenza, come richiesto dall’art. 109, co.5, TUIR, atteso che trattasi di costo afferente vicende personali estranee all’attività d’impresa (cfr. Cass. n. 20945/2019), si procede al recupero a tassazione della suddetta quota di costo, con conseguente incremento del reddito imponibile ai fini IRES e IRAP”. Questo esempio mostra che l’Ufficio recepisce l’indirizzo della Cassazione e lo applica.

Come reagire subito: adesione, mediazione o ricorso?

Una volta notificato l’accertamento per costi non inerenti, il contribuente deve pianificare la propria difesa. Approfondiremo nei prossimi capitoli le strategie difensive nel merito, ma anticipiamo qui gli strumenti procedurali immediatamente disponibili:

  • Accertamento con adesione: il contribuente può presentare istanza di adesione entro 60 giorni dall’avviso (prima della scadenza del termine per ricorrere). Questo sospende i termini per ricorrere e apre un dialogo con l’Ufficio. Si discute la questione e si può trovare un accordo. Per i costi non inerenti, l’Ufficio tende ad avere una posizione rigida se è una materia di principio (es. difesa penale), però talvolta può concedere uno sconto sulle sanzioni o rivedere parzialmente gli importi. Se si raggiunge un accordo, si paga il dovuto con sanzioni ridotte di 1/3 e si chiude la faccenda (rinunciando al contenzioso). L’adesione è utile se il contribuente riconosce in parte la contestazione e vuole limitare i danni.
  • Reclamo e mediazione tributaria: se il valore della controversia (imposta+penale) non supera €50.000 (limite attuale), il contribuente deve presentare un reclamo prima di fare ricorso. In pratica, il ricorso introduttivo viene depositato come reclamo presso l’Ufficio locale, il quale ha 90 giorni per esaminarlo e può accogliere o formulare proposta di mediazione (riduzione sanzioni al 35%). Nel caso di contestazioni su inerenza, l’esito del reclamo dipende dalla flessibilità dell’Agenzia: su costi penalistici probabilmente nulla da fare; su altri costi borderline a volte gli uffici accolgono parzialmente (per evitare causa su piccole somme). Se la mediazione fallisce, il reclamo diventa ricorso e la causa prosegue.
  • Ricorso diretto alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di primo grado: trascorsi i 60 giorni (o 90 se adesione) senza soluzione, occorre depositare ricorso in Commissione (ora CGT). Nel ricorso si articolano i motivi di impugnazione, sia formali sia sostanziali, contro l’accertamento. Per presentare ricorso bisogna aver pagato il contributo unificato (variabile col valore) e – dal 2023 – non è più obbligatorio pagare un terzo provvisoriamente come in passato (c’era una regola per cui se ricorrevi, dovevi comunque versare 1/3 delle imposte, ma è stata eliminata nel 2022 per allinearsi al processo civile). Tuttavia, l’avviso di accertamento è esecutivo decorso il termine per impugnare: ciò significa che, anche se fate ricorso, l’Agenzia potrebbe iscrivere a ruolo 1/3 delle imposte accertate e avviare la riscossione coattiva di quella parte, a meno che non chiediate e otteniate una sospensione dal giudice tributario. Nel caso di contestazioni di importo elevato, conviene chiedere subito al giudice la sospensione dell’esecuzione dell’atto, dimostrando il pericolo di dover pagare prima della decisione.

In sintesi, appena arriva l’atto:

  • Valutare la fondatezza della contestazione: ad esempio, se effettivamente si erano dedotte spese personali, può convenire riconoscere l’errore e chiudere (magari in adesione con sanzioni ridotte).
  • Se invece si è convinti della propria ragione (o quantomeno si vuole tentare la difesa per principio o per importi ingenti), occorre prepararsi al contenzioso: raccogliere prove, individuare precedenti favorevoli (anche di merito, se la Cassazione è contraria, a volte ci sono CTR con visione diversa, da citare), e predisporre una linea difensiva solida.
  • Tempistiche: 60 giorni standard dall’atto per ricorrere; adesione sospende per ulteriori 90; reclamo idem 90; processo di primo grado ~1-2 anni per la sentenza; poi appello e magari Cassazione altri anni. Durante questo tempo, se non ottenuta sospensione, si potrebbero subire iscrizioni a ruolo (1/3 dopo primo grado se perso, etc.).

Avendo ora inquadrato come il Fisco contesta i costi non inerenti e quali sono le opzioni del contribuente subito dopo, passiamo alle strategie difensive di merito. Cioè: come difendersi nel merito della contestazione delle spese legali non inerenti, sia in sede amministrativa (adesione, reclamo) sia in giudizio (ricorso), quali argomentazioni utilizzare, come provare l’inerenza, ecc.

Difendersi in sede amministrativa: adesione, autotutela e strumenti deflattivi

La prima linea di difesa si può attuare prima di arrivare davanti al giudice, sfruttando gli strumenti che consentono di evitare o limitare il contenzioso. Il vantaggio di risolvere la questione in sede amministrativa (ossia direttamente con l’Agenzia) è duplice: evitare tempi e costi del processo, e usufruire di riduzioni di sanzioni significative. Vediamo come muoversi.

Controdeduzioni al PVC e istanza di autotutela

Se la contestazione delle spese legali non inerenti emerge già in fase di PVC (Processo Verbale di Constatazione) o comunque prima dell’atto finale, è importante reagire subito con delle controdeduzioni scritte. In queste memorie, da inviare all’Ufficio che redigerà l’accertamento, bisogna:

  • Ricostruire i fatti: spiegare esattamente la natura delle spese contestate (es: “trattasi di parcella dell’Avv. X per causa civile Y, relativa a…”, oppure se è penalista: “parcella per assistenza legale in procedimento penale Z, ma per fatti accaduti nell’esercizio dell’attività di impresa…”).
  • Argomentare l’inerenza: illustrare perché, a vostro avviso, quelle spese sono inerenti all’attività. Ad esempio, se l’Ufficio ritiene non inerente una spesa penale, potreste tentare di sostenere che il fatto penalmente contestato era strettamente connesso a un’operazione aziendale (es. violazione ambientale durante la produzione di beni, quindi la difesa mirava a consentire all’azienda di proseguire l’attività senza sanzioni interdittive) – anche se sappiamo che la Cassazione su ciò è sfavorevole, vale la pena segnalarlo.
  • Citare eventuali precedenti o norme a favore: se esistono, ad esempio qualche sentenza di Commissione Tributaria che in un caso simile ha riconosciuto la deducibilità, oppure aspetti normativi (lo Statuto Contribuente, principi di capacità contributiva).
  • Chiedere l’archiviazione o revisione del rilievo: concludere chiedendo che, in autotutela, l’Ufficio non proceda a emettere accertamento su quel punto o lo emetta parzialmente.

Queste controdeduzioni spesso non convincono l’Ufficio a lasciar perdere (specie se hanno già un orientamento dall’alto), ma possono indurre a mitigare: ad esempio, se avete portato elementi forti, magari l’importo contestato viene ridotto, o la motivazione dell’atto sarà più accurata (il che vi aiuta poi in ricorso, paradossalmente, perché avete già messo sul tavolo i vostri argomenti).

In parallelo o in alternativa, dopo la notifica dell’avviso di accertamento, esiste sempre l’autotutela: è il potere/dovere dell’Amministrazione di correggere o annullare i propri atti se riconosce un errore. Un contribuente può presentare un’istanza di autotutela all’ufficio chiedendo l’annullamento (totale o parziale) dell’accertamento, esponendo le ragioni. In casi come l’inerenza, dove non c’è un errore evidente ma una valutazione, l’autotutela raramente viene accolta (l’Ufficio tende a dire: deciderà il giudice se ho ragione io o tu). Tuttavia, in situazioni borderline, può valere il tentativo, specie se nel frattempo esce una nuova sentenza favorevole al contribuente: ad esempio, ipotizziamo che nel 2026 la Corte Costituzionale dica qualcosa sulle sanzioni o su queste spese, uno potrebbe allegare ciò in autotutela chiedendo la revisione.

In sintesi, prima di arrivare al contenzioso vero e proprio, comunicate sempre con l’Ufficio: controdeduzioni al PVC e/o istanza di riesame possono talvolta risolvere (poche volte, ad onor del vero), o comunque preparano il terreno.

Accertamento con adesione: negoziare col Fisco

Lo strumento principe per evitare la lite è l’Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). Dopo la notifica dell’avviso, avete 60 giorni: presentando un’istanza di adesione, bloccate i termini per altri 90 giorni circa e chiedete all’Ufficio un incontro per discutere l’accertamento.

Nel contesto di costi non inerenti, l’adesione può portare a:

  • Riduzione delle sanzioni: per legge, se si chiude l’adesione con accordo, le sanzioni si riducono a 1/3 di quelle minime. Ad esempio la sanzione del 90% diventa 30%. Questo è un grosso incentivo.
  • Eventuale riduzione dell’imponibile: l’Ufficio potrebbe, ad esempio, accettare di limare qualcosa. Immaginate di avere più voci contestate: magari ne discutete e l’Ufficio potrebbe riconoscerne una come inerente (se fornite prove convincenti) e insistere sulle altre. Oppure, sul quantum, se le spese erano parzialmente inerenti (perché per es. un avvocato ha fatto più cose, alcune inerenti altre no), si può trattare un importo forfettario.
  • Rateazione: l’adesione consente anche di ottenere una rateazione (fino a 8 rate trimestrali, o 16 se importo > 50k) per pagare il dovuto.

Nella pratica, come impostare la difesa in adesione? Bisogna andare all’incontro (o più incontri) con:

  • Documenti alla mano per provare la vostra versione (contratti, delibere aziendali che spiegano perché la spesa fu assunta, ecc.).
  • Un atteggiamento collaborativo ma fermo sui punti di forza.
  • Conoscenza delle contro-deduzioni giurisprudenziali: se esistono CTR che hanno dato ragione su casi analoghi, portate copia.
  • Disponibilità, se necessario, a transare, ossia: se capite che l’Ufficio proprio non ne vuole sapere di accogliere in toto, potete proporre un compromesso – ad esempio, riconoscere il 50% delle spese contestate come deducibili e il restante 50% no (ciò talvolta avviene in adesione, specialmente su questioni di antieconomicità, ma su inerenza potrebbe essere più raro). Un compromesso può basarsi su elementi oggettivi, es: “Ok, l’avvocato difendeva anche l’amministratore personalmente (non inerente) ma difendeva anche l’azienda come responsabile civile – voi riconoscetemi metà costo come inerente e metà no”.

Se si trova un accordo, viene redatto un atto di adesione con il nuovo conteggio (magari l’imponibile ridotto, sanzione ridotta a 1/3 automaticamente). Firmando, il contribuente rinuncia al ricorso e si impegna a pagare. L’atto ha efficacia di accertamento definitivo.

Se non ci si accorda (o se l’ufficio non vi convoca affatto entro 90 gg), l’adesione fallisce e tornano a correre i termini per il ricorso (che è stato sospeso durante la trattativa).

Quando conviene aderire? Dipende molto dalla sostenibilità del rilievo e dall’atteggiamento dell’Agenzia. Nel caso specifico di spese legali “non inerenti”, se parliamo di difesa penale amministratori, l’Agenzia si sente forte di Cassazione a favore, quindi difficilmente concederà lo “zero”. Potrebbe però concedere la riduzione sanzioni (che già c’è ex lege) e forse, come detto, qualche aggiustamento minore. Se la cifra è alta, anche solo il taglio delle sanzioni al 30% può essere conveniente per il contribuente se sa di avere basse chance in giudizio. Se invece il contribuente vuole principiamente far valere ragioni contrarie (magari sperando in un futuro revirement giurisprudenziale), allora l’adesione non farà per lui, perché comporta chiudere la questione senza possibilità di appello.

A volte si può usare l’adesione come strumento informativo: anche se non si vuole chiudere, fare istanza di adesione permette di capire meglio la posizione dell’Ufficio, vedere se sono flessibili o meno, e guadagnare tempo per preparare il ricorso. Durante il periodo di adesione, infatti, potete mettere a punto le difese con più calma.

Reclamo e mediazione: tentare un accordo “light”

Se l’importo in gioco non supera 50.000 euro (calcolati come somma di imposte e sanzioni contestate), la legge (D.Lgs. 546/92 art. 17-bis) prevede che il ricorso tributario sia anticipato da una fase di reclamo-mediazione. In pratica, dovrete presentare comunque un ricorso, ma lo indirizzerete all’Ufficio come reclamo; un funzionario diverso da quello che ha emesso l’atto valuterà se accogliere del tutto, o proporre un accordo di mediazione.

La mediazione è simile all’adesione nei contenuti (si può rideterminare l’imponibile e/o le sanzioni), ma in caso di accordo qui le sanzioni sono ridotte al 35% del minimo (leggermente di più rispetto all’adesione, che è 33%, ma siamo lì). Se il mediatore dell’Ufficio intuisce che avete ragioni valide o comunque che sarebbe dispendioso fare causa per una somma modesta, potrebbe formulare una proposta. Ad esempio: sconto del 50% sulle sanzioni, oppure annullamento di uno dei rilievi minori. Voi potete a vostra volta inserire nel reclamo una proposta di mediazione: es. pagare l’imposta ma sanzione ridotta al minimo (1/3 o 1/4).

Nelle controversie sotto i 5.000 euro spesso gli uffici mediano per prassi. Sulle questioni di principio invece (come quelle di inerenza penalisti) la vedono come questione di bandiera e sono meno propensi. Ma mai dire mai: se portate argomentazioni solide, potreste convincerli che magari in giudizio avreste qualche carta, e quindi preferiscono evitare il rischio.

Se la mediazione fallisce, semplicemente dopo 90 giorni il reclamo si intende respinto e il ricorso prosegue in Commissione. A quel punto le sanzioni, se poi vincete anche parzialmente, possono essere ridotte dal giudice fino al minimo (il giudice le può modulare). E in caso di soccombenza poi in appello c’è un’ulteriore riduzione possibile se fate acquiescenza parziale, etc.

In conclusione di questa parte, sede amministrativa = opportunità di ridurre il danno. Il contribuente deve valutare pragmaticamente: ho chance realistiche di vincere in tribunale su questa materia? Se no, conviene spuntare il miglior accordo ora. Se sì, o se la posta economica è molto alta (tale da giustificare anni di causa), allora prepararsi al contenzioso è l’opzione.

Nel prossimo capitolo passiamo proprio alla difesa in sede giudiziale, ovvero come impostare il ricorso in Commissione Tributaria per contestare l’accertamento sulle spese legali non inerenti, con i relativi strumenti processuali e argomentativi.

Difendersi in sede giudiziale: il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria

Se la fase amministrativa non ha risolto la controversia (o se il contribuente ha deciso di bypassarla), l’unica via per far valere le proprie ragioni resta il ricorso al giudice tributario. In questa sezione esaminiamo come predisporre una solida difesa in giudizio su una contestazione di spese legali indeducibili per difetto di inerenza. Verranno affrontati:

  • I motivi di ricorso più efficaci da far valere.
  • L’importanza di allegare prove documentali.
  • Come sfruttare eventuali precedenti giurisprudenziali favorevoli o mettere in discussione quelli a sfavore.
  • La gestione del contenzioso nei vari gradi (primo grado, appello, Cassazione).
  • Un esempio di schema di memoria difensiva in un caso di spese legali contestate.

Motivi di ricorso: vizi formali e vizi di merito

Nel redigere il ricorso (atto introduttivo al giudizio tributario) occorre individuare i motivi di impugnazione, cioè le ragioni giuridiche per cui si chiede l’annullamento (totale o parziale) dell’accertamento. Tali motivi possono riguardare:

  • Vizi formali/procedurali dell’accertamento.
  • Vizi di merito (errata applicazione della norma, erronea valutazione dei fatti, ecc.).

Nel caso di contestazione di costi non inerenti, i vizi formali da ricercare potrebbero essere: ad esempio, motivazione insufficiente dell’avviso su quel punto. Se l’atto si limita a dire “spese non inerenti” senza spiegare perché, si può eccepire violazione dell’obbligo di motivazione (Legge 212/2000, art.7). Oppure, se l’avviso è stato emesso prima dei 60 giorni dal PVC senza urgenza, violazione dello Statuto del contribuente. O se l’ufficio non ha valutato le vostre memorie, violazione dell’obbligo di esame. Questi motivi formali da soli raramente portano all’annullamento (spesso i giudici li sanano con la motivazione per relationem, ecc.), ma vanno inseriti se realmente sussistono, per giocare ogni carta.

Il cuore starà però nei motivi di merito:

  • Errata interpretazione dell’art. 109 TUIR (principio di inerenza): il contribuente potrà sostenere che l’ufficio ha applicato un concetto di inerenza troppo restrittivo. Ad esempio: “L’Ufficio ha ritenuto non inerenti tout court le spese di difesa penale dell’amministratore, mentre ad avviso della ricorrente ciò confligge con un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 109, co.5, TUIR e con la nozione di inerenza come correlazione anche potenziale al reddito . Nel caso di specie, il costo mirava a evitare un pregiudizio economico all’impresa (perdita dell’apporto gestionale dell’amministratore, danni reputazionali e sanzioni pecuniarie per l’ente ai sensi del D.lgs.231/01), dunque era funzionale all’attività.” Questo è un tipico argomento “di merito sostanziale”.
  • Travisamento dei fatti: contestare la ricostruzione fattuale dell’ufficio. Ad esempio, l’ufficio ha qualificato la spesa come “difesa personale dell’amministratore per reato X”, ma magari voi potete dimostrare che la società era coimputata come responsabile civile, per cui la difesa riguardava anche lei. Oppure, se dicono “spesa estranea all’oggetto sociale”, voi mostrate che l’oggetto sociale prevedeva quell’attività. Insomma, far emergere eventuali errori fattuali nella contestazione.
  • Violazione del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.): è un argomento di civiltà giuridica: tassare un reddito al lordo di costi effettivamente sostenuti per l’attività significherebbe tassare una “ricchezza” inesistente, quindi violare il principio che si tassa in base alla effettiva capacità contributiva. Lo si può invocare specialmente se la spesa in questione era rilevante e magari correlata a ricavi dell’impresa (anche se indirettamente). Ad esempio, alcune difese hanno sostenuto che negare la deducibilità delle sanzioni o di spese ad esse relative porta a tassare utili fittizi, in contrasto con art. 53 Cost. . I giudici spesso non accolgono l’eccezione, ma citarla serve a far emergere un possibile dubbio di legittimità costituzionale.
  • Disparità di trattamento / incoerenza col sistema: ad esempio, perché mai un avvocato può dedurre le spese se viene citato per responsabilità professionale (cosa ammessa) mentre una società non può dedurre spese legali se un suo dirigente è accusato per fatti di lavoro? Si può evidenziare una certa disparità. O citare che i proventi illeciti sono tassati (vero: se un’impresa commette illeciti e ne trae profitto, quel provento è reddito tassabile), e allora perché i costi relativi dovrebbero invece non contare? Questo argomento è stato usato in dottrina per criticare l’indeducibilità assoluta delle sanzioni e affini .
  • Precedenti di merito favorevoli: se esistono sentenze di Commissioni Tributaria Regionali o Provinciali, o anche di Cassazione passate che davano ragione su casi simili (ce ne furono di datate, e.g. una Cass. del 1984 o CTR isolate), citarle. Anche se la Cassazione recente dice il contrario, un giudice di primo grado potrebbe convincersi. Ad esempio, se trovate una CTR che disse “le spese per difesa penale sono inerenti se il fatto è nell’interesse sociale”, portatela. Non è vincolante ma ha potere persuasivo.

Un esempio di struttura del ricorso potrebbe essere:

  • Fatti: descrivere la vicenda (deduzione effettuata, verifica, avviso, cosa viene contestato: specificare quali fatture di spese legali, per quali cause).
  • Violazioni di legge:
  • Violazione art. 7 L.212/2000 (motivazione) – se applicabile.
  • Violazione art. 109 TUIR e falsa applicazione del concetto di inerenza – qui il core argument.
  • Violazione artt. 3 e 53 Cost. – a supporto (disparità e capacità contributiva).
  • Erronea qualificazione dei fatti – se adatto.
  • Erronea applicazione sanzioni – magari chiedere almeno l’esclusione della sanzione per obiettiva incertezza normativa (argomento: fino a ordinanze 2019-2024 la questione era controversa, quindi il contribuente poteva essere in buona fede).

Nota: l’obiettiva incertezza sulla norma può essere una via per farsi annullare o ridurre la sanzione anche se su imposta avete torto. Nel 2015-2018, ad esempio, la questione inerenza difesa penale era dibattuta, quindi per quegli anni uno potrebbe dire “c’era incertezza, niente sanzioni”.

Il ricorso va ovviamente notificato all’ente impositore e depositato in Segreteria nei termini, con firma di un difensore abilitato (Dottore Comm o Avvocato) se il valore supera 3.000 €.

Prove e documentazione a supporto

In Commissione tributaria non c’è una vera istruttoria d’ufficio robusta come in altri processi: gran parte delle prove deve portarle il contribuente (soprattutto su fatti positivi come la sussistenza dell’inerenza). Quindi, si raccomanda di allegare al ricorso o successivamente (entro i termini pre-dibattimento):

  • Fatture e parcelle integrali dei legali, per dimostrare l’importo e la descrizione della prestazione.
  • Contratti di conferimento incarico o lettere di incarico, se esistenti, per far vedere l’oggetto preciso dell’attività legale.
  • Atti giudiziari salienti: ad esempio, se era una causa civile, copia della citazione o sentenza; se un penale, copia del capo di imputazione e, se favorevole, dell’esito (assoluzione) per dire “vedete, era infondato l’addebito, l’azienda ha fatto bene a difendersi”.
  • Delibere del CdA o dell’Assemblea: se la società formalmente deliberò di assumersi quelle spese legali nell’interesse aziendale, esibire quella delibera può far capire che non era un capriccio ma una scelta aziendale (anche se non basta a renderla inerente, è un elemento).
  • Visura camerale, statuto: per mostrare l’oggetto sociale e vedere se la questione poteva rientrare in esso.
  • Eventuali polizze assicurative: a volte i manager hanno polizze D&O che coprono spese legali; se l’assicurazione ha rimborsato la società, allora in realtà la spesa non doveva neanche essere dedotta. Ma se non c’è, almeno menzionare che l’azienda si è fatta carico in mancanza di coperture (per ragioni di responsabilità sociale verso i propri dirigenti).
  • Dottrina o circolari: se esistono circolari dell’Agenzia che toccano l’argomento (rarissime sul caso specifico, ma ad es. la Circ. 42/2005 citava inerenza qualitativa), portarle per evidenziare eventuali aperture.
  • Sentenze tributarie: allegare copie integrali delle sentenze invocate (specie se di merito) aiuta il giudice a leggerle senza doversi cercare il testo.

Tutta questa documentazione va elencata e numerata. Meglio eccedere in prudenza inserendo più prove del necessario che trovarsi sguarniti.

Il giudizio di primo grado e oltre

In primo grado, una volta depositato il ricorso (o esperito reclamo-mediazione), l’Ufficio si costituirà con controdeduzioni. Nelle controdeduzioni, presumibilmente, ribadirà la non inerenza citando la Cassazione a suo favore . Potrebbe allegare a sua volta sentenze (spesso lo fanno).

Il dibattimento in Commissione: le parti raramente parlano, spesso è tutto scritto. Ma nel caso di questioni delicate, è opportuno chiedere pubblica udienza e insistere su qualche punto. Se la Cassazione vi è sfavorevole, l’obiettivo in primo grado è convincere i giudici a distinguere il caso di specie da quelli generali. Ad esempio: “Sì, la Cassazione dice in generale no, ma qui questi specifici costi avevano uno stretto collegamento funzionale con… e poi il nostro amministratore è stato prosciolto perché il fatto non sussiste, segno che l’azione penale era un evento avverso per l’azienda, non per coprire un reato effettivo”.

I giudici di merito non sono vincolati dalla Cassazione (lo saranno solo se il caso arriva in Cassazione e viene rinviato indietro). Quindi, una CTR “coraggiosa” potrebbe darvi ragione argomentando diversamente. Ce ne sono state nel passato su inerenza (specie prima del 2018, alcune CTR erano a favore dei contribuenti su temi come sanzioni o spese anomale).

Se vincete in primo grado, l’Ufficio quasi certamente appellerà se si tratta di fissare un principio (difesa penale). Se invece perdete, valuterete l’appello (Corte Giustizia Tributaria di 2° grado, ex CTR).

In appello si può apportare nuova documentazione solo se indispensabile o non disponibile prima. Quindi conviene aver già prodotto tutto all’inizio.

La Corte di Cassazione poi è accessibile per motivi di diritto (violazioni di legge o vizi motivazione ultra-gravi). Una questione come l’inerenza è prevalentemente di fatto, ma se la CTR sbaglia l’applicazione del principio giuridico, Cassazione interviene. Ad esempio, Cass. 2024 n.9910 è intervenuta perché la CTR aveva sbagliato criterio (aveva guardato solo il contratto di comodato e non l’utilità economica futura nel caso delle macchine caffè) .

Nel nostro contesto, se in appello la CTR vi desse ragione sostenendo un principio opposto alla Cassazione, l’Agenzia farebbe ricorso per Cassazione lamentando violazione dell’art. 109 TUIR secondo la lettura consolidata. E onestamente, con l’orientamento attuale, in Cassazione il contribuente avrebbe altissima probabilità di soccombere. Quindi, per portarla fino in Cassazione, bisogna auspicare: – o un mutamento di orientamento (che a volte avviene se, poniamo, cambiano i tempi: ad oggi sembra di no, ma chissà in futuro), – o un intervento della Consulta (magari su deducibilità sanzioni, che riflessamente potrebbe influire su spese correlate), – o una norma di legge nuova.

Al 2025, niente di ciò si è verificato. Quindi la difesa giudiziale deve essere consapevole che, se si va fino in fondo su un caso “difesa penale admin”, è più una battaglia di principio o per prendere tempo sperando in sanatorie.

Esempio di stralcio di memoria difensiva

Di seguito, a scopo illustrativo, presentiamo un possibile estratto di una memoria difensiva (ad esempio una memoria conclusionale in primo grado) riguardante una contestazione di spese legali per difesa penale di un amministratore.

Esempio (stralcio di memoria):
“[…] III. Sul merito: insussistenza del presupposto di non inerenza delle spese legali contestate. – La somma di € 30.000 oggetto di ripresa a tassazione corrisponde alle spese legali sostenute da Alfa S.p.A. per assicurare la difesa tecnica del proprio amministratore unico in un procedimento penale per lesioni colpose occorse a un dipendente nell’ambito dell’attività d’impresa. Tale onere, lungi dall’esser estraneo alla sfera aziendale, è scaturito da un fatto (l’infortunio sul lavoro del 12/5/2021) avvenuto in azienda e strettamente connesso all’esercizio dell’impresa. Alfa S.p.A., in virtù di delibera consiliare del 10/6/2021, si è fatta carico delle spese di difesa del proprio legale rappresentante ritenendo – ed a ragione – che un esito negativo di quel procedimento avrebbe potuto pregiudicare gravemente l’attività sociale (si prospettava, in caso di condanna, l’interdizione temporanea dalle attività ai sensi del D.Lgs. 231/2001, essendo la società indagata anch’essa per responsabilità amministrativa). Dunque, la scelta di sostenere tali spese era motivata da un preciso interesse imprenditoriale: garantire la continuità operativa e proteggere il patrimonio e la reputazione aziendale.
In punto di diritto, l’Ufficio oppone che la difesa penale di un amministratore sarebbe comunque atto estraneo all’attività d’impresa, richiamando orientamenti della Suprema Corte che così qualificano in genere tali spese. Tuttavia, si osserva che tale impostazione, se applicata meccanicamente, condurrebbe a esiti distorsivi in casi – come quello in esame – in cui la vicenda penale trae origine da condotte poste in essere nell’esercizio dell’attività di impresa. La difesa dell’amministratore in questo scenario si salda con la difesa della stessa impresa da conseguenze economiche e sanzionatorie. Ne è riprova il fatto che Alfa S.p.A. era stata chiamata a rispondere in sede penale quale responsabile civile e ai sensi del D.Lgs. 231/01: la spesa legale ha dunque riguardato contestualmente la tutela dell’ente.
Si richiama, ad avvalorare la tesi di parte ricorrente, la nozione di inerenza delineata dalla Corte Costituzionale (sent. n. 262/2020) e dalla Cassazione più recente: l’inerenza va intesa come nesso qualitativo, anche solo potenziale, tra costo e impresa, senza necessità di un immediato riscontro utilitaristico. Nel caso di specie, il costo per onorari legali presenta un chiaro nesso qualitativo con l’impresa, in quanto sostenuto nell’interesse e per la salvaguardia della stessa. La condotta omissiva contestata (carenza nella formazione sicurezza) – ancorché qualificata come illecito – era inserita nel contesto dell’attività produttiva; le relative conseguenze (processo e rischio sanzioni) ricadono sull’impresa; la spesa di difesa mira a contenere tali conseguenze.
Pertanto, punire fiscalmente la società negandole il diritto alla deduzione equivarrebbe a tassare un reddito che essa non ha realmente conseguito, dovendo anzi far fronte a un esborso necessario a tutela della propria fonte di reddito. Una simile tassazione “al lordo” appare contrastare con l’art. 53 Cost., in quanto impone un tributo su una capacità contributiva inesistente o fittizia. Non solo: determinerebbe una disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi in cui costi correlati ad eventi dannosi occorsi nell’impresa sono deducibili (es. risarcimenti a terzi per responsabilità civile).
Alla luce di tutto quanto sopra, si insiste perché codesta On.le Corte voglia riconoscere, in via incidentale, l’illegittimità della pretesa fiscale riferita al rilievo in oggetto. In subordine, laddove si ritenesse di aderire all’orientamento restrittivo citato dall’Ufficio, si chiede quantomeno disporsi l’esclusione delle sanzioni amministrative applicate, ricorrendo l’ipotesi dell’errore scusabile o obiettiva incertezza normativa, atteso che la definizione dei contorni del principio di inerenza in simili frangenti è stata oggetto di oscillazioni giurisprudenziali fino a tempi recentissimi.”

(Fine estratto)

Nella memoria di esempio, come si nota, si cerca di enfatizzare gli aspetti specifici del caso che potrebbero convincere i giudici a discostarsi dalla linea rigida (responsabilità 231, interesse aziendale tangibile ecc.), e si fa leva su principi costituzionali. Si conclude anche chiedendo almeno la clemenza sulle sanzioni (cosa importante: anche se perdete sul merito, potete farvi togliere la sanzione magari, se provate che c’era incertezza oggettiva – e fino al 2019/2020 sui costi da reato c’era discussione, dunque non è peregrino).

Ogni difesa naturalmente va personalizzata sul caso concreto. Se ad esempio la vostra spesa legale era per difendervi in un contenzioso civile, la difesa sarà più semplice (direte: è un normale costo di gestione controversie). Se era per difendere un socio in una causa sua, lì invece ammetterete forse l’errore puntando su ridurre sanzioni.

Con ciò abbiamo coperto la fase giudiziale. Proseguendo, sposteremo l’attenzione su alcuni consigli pratici e strategie preventive per gestire al meglio la deduzione delle spese legali e prevenire contestazioni, prima di chiudere con una sezione di domande e risposte frequenti che riassume in forma breve i principali dubbi sul tema.

Strategie difensive e consigli pratici

Al di là delle procedure formali, è utile delineare alcune strategie generali e consigli pratici per affrontare (o prevenire) contestazioni sulle spese legali non inerenti. Questa sezione fornisce linee guida sia per chi è già sotto accertamento, sia per chi vuole evitare problemi in futuro.

1. Documentare sempre lo scopo della spesa legale

Uno dei motivi per cui un costo può apparire “sospetto” al Fisco è la mancanza di chiarezza sul perché è stato sostenuto. È fondamentale che ogni fattura di spese legali rechi una descrizione dettagliata della prestazione (es: “Assistenza legale nella causa Alfa S.p.A. vs Beta S.r.l. – Tribunale di…, RG n…”, oppure “Difesa di Tizio amministratore di Alfa S.p.A. in procedimento penale n… per infortunio sul lavoro”). In questo modo, sin dall’inizio si ha un elemento che colloca la spesa in un contesto preciso. Inoltre, internamente, l’azienda dovrebbe conservare tutti gli atti collegati (incarichi scritti, verbali di Consiglio in cui si approva l’azione legale o la presa in carico delle spese, relazioni del legale sull’esito, ecc.). Più si è in grado di “raccontare la storia” della spesa, maggiori chance ci sono di convincere che era giustificata per l’impresa. Viceversa, fatture generiche (“consulenza legale”) e mancata documentazione alimentano il sospetto di costi personali mascherati.

2. Valutare ex ante l’inerenza: chiedere un interpello in caso di dubbio

Se un’impresa sa di stare per affrontare una spesa legale significativa e teme che la deducibilità possa essere controversa, può considerare di utilizzare lo strumento dell’interpello all’Agenzia delle Entrate (interpello ordinario, art. 11 L.212/2000). Per esempio, un consiglio: prima di dedurre nella dichiarazione una parcella di 100k per la difesa penale dell’amministratore, la società avrebbe potuto presentare un interpello prospettando la situazione e chiedendo se la deduzione fosse ammessa. Certo, l’Agenzia con ogni probabilità avrebbe risposto negativamente (visti gli orientamenti), ma almeno il contribuente avrebbe avuto certezza e avrebbe potuto decidere con cognizione (e magari evitare sanzioni perché l’interpello respinto ma adempiuto dà copertura su sanzioni se uno comunque segue la risposta). In altri casi meno netti, l’interpello può dare risultati utili: ad esempio chiedere se è deducibile una spesa legale pluriennale imputata in un unico esercizio. L’Agenzia spesso risponde richiamando la Cassazione: ad esempio, su spese legali ripartite su più anni la prassi e la Cass. dicono che vanno allocate per competenza . Un interpello vi avrebbe messo in guardia.

Ovviamente non si può interpellare per ogni fattura, ma per situazioni macro e potenzialmente litigious conviene. L’interpello ha il vantaggio di evitare poi il contenzioso: se la risposta è favorevole, siete a posto; se è sfavorevole, almeno sapete come comportarvi (dedurre o meno) e in caso scegliate di sfidare la risposta, siete consapevoli dei rischi.

3. Distinguere le spese personali e aziendali: best practice

Potrebbe sembrare ovvio, ma molte contestazioni nascono perché in contabilità aziendale finiscono costi di natura personale. Disciplina interna ferrea: se l’amministratore ha un problema personale, non deve far pagare l’azienda, a meno che ci sia un chiaro accordo contrattuale che lo qualifichi come fringe benefit (ma anche in quel caso poi andrebbe tassato in capo a lui come compenso in natura!). Un’azienda ben gestita segrega le spese: i conti aziendali pagano solo ciò che attiene all’impresa. Questo previene anche il rischio di contestazioni di illecito amministrativo di distrazione di utili o profili penali (es. indebita appropriazione). Inoltre, se in sede di verifica si dimostra che l’azienda ha questa prassi virtuosa, l’ufficio sarà meno portato a supporre che spese dubbie siano personali.

Quindi, se vi sono delle spese legali che la proprietà vuole pagare per questioni personali, meglio farle uscire come utili distribuiti e poi pagare personalmente gli avvocati, anziché farle transitare come costi deducibili dell’impresa. Il carico fiscale complessivo potrebbe essere simile (anziché risparmio d’imposta, c’è tassazione del dividendo, ma almeno chiudete la via a sanzioni e contenziosi).

4. Polizze assicurative per tutela legale o D&O

Una strategia di mitigazione del rischio: molte aziende sottoscrivono polizze di tutela legale o polizze D&O (Directors & Officers) che coprono spese di difesa di amministratori/dirigenti per atti commessi in seno alle loro funzioni. Queste polizze, se attivate, fanno sì che sia l’assicurazione a pagare i legali. In tal caso l’azienda non deduce nulla perché non sostiene il costo (o sostiene solo il premio assicurativo, che è deducibile come costo di gestione ordinaria, senza problemi di inerenza specifica). È un modo per trasferire il rischio economico. In più, se anche l’azienda anticipa il pagamento e poi l’assicurazione rimborsa, l’azienda avrà un ricavo pari al costo, e l’effetto a bilancio si annulla (non c’è vantaggio fiscale, ma neanche svantaggio, e l’Agenzia non avrebbe nulla da contestare in termini di imponibile perché il costo sarebbe compensato dal rimborso). Quindi dotarsi di tali polizze non solo protegge il management, ma indirettamente evita di doversi porre il problema fiscale della deducibilità della difesa penale.

5. In caso di contestazione in corso: focus sugli elementi emotivi e di equità

Quando ormai la contestazione c’è ed è su un terreno sfavorevole (es. spese penalista), spesso fare leva su aspetti di equità può influenzare positivamente il giudicante. Ad esempio, sottolineare se l’imputato è stato assolto con formula piena – ciò può creare empatia: “l’azienda ha pagato la difesa di un innocente che è stato ingiustamente trascinato in un processo; ora oltre il danno la beffa, il Fisco le nega pure il costo”. Oppure far presente che, senza quella difesa, l’azienda avrebbe potuto subire un tracollo (quindi era quasi vitale). Questi argomenti non sono giuridici stretti, ma nei giudizi tributari talvolta l’equità viene considerata. Non a caso, la Cassazione stessa, pur negando la deducibilità, ha a volte riconosciuto la logica equitativa dietro i tentativi di dedurre (per esempio c’è un passaggio della Cass. 2018 n.18904 che definisce “non necessario verificare utilità… anche indiretta” però implicitamente ammette che un’utilità indiretta era cercata). Far risaltare la buona fede e la ragionevolezza del comportamento del contribuente può quantomeno portare a un annullamento delle sanzioni se non altro.

6. Richiedere la disapplicazione delle sanzioni per incertezza normativa

Collegato al punto precedente: c’è un istituto spesso trascurato, ovvero la non punibilità per obiettiva incertezza sulla portata della norma tributaria (art. 6, c.2 D.Lgs. 472/1997). Se riuscite a convincere che sulla deducibilità di quella spesa c’erano dubbi oggettivi (ad esempio nessuna norma lo vietava espressamente e giurisprudenza oscillante), potete ottenere dal giudice l’annullamento della sanzione anche se conferma il maggior imponibile. Nel nostro caso, argomenti possibili: – Fino al 2019 non c’era una presa di posizione chiarissima su difesa penale (nel 2019 Cass. 20945 e altre hanno iniziato a consolidare; prima c’erano meno casi). – L’art. 109 TUIR non menziona affatto questa fattispecie, è interpretativa. – Non esistono circolari AdE sul punto (l’Agenzia non aveva mai chiarito via prassi, se non con interpretazioni generali su inerenza). Insomma, un contribuente nel 2018 poteva non sapere con certezza che quelle spese non erano deducibili. Questa incertezza può essere portata come esimente. A volte i giudici sono sensibili a questo e tolgono le sanzioni riconoscendo che la materia era di difficile interpretazione.

7. Adeguarsi ai nuovi orientamenti per il futuro

Infine, un consiglio pragmatico: ora che la Cassazione ha parlato chiaro su certi temi (es. spese difesa penale), conviene adeguare le proprie condotte future. Ciò significa che, se fino a ieri una società deduceva certe spese dubitando ma sperando, da domani forse è più saggio non dedurle affatto (le si può comunque registrare a bilancio come costi non deducibili). Oppure, se proprio si vuole dedurle, avere la consapevolezza di mettere da parte le imposte relative perché è probabile doverle poi pagare con sanzioni. Ad esempio, un’azienda che nel 2025 sta pagando un avvocato per difendere un dirigente in un processo penale dovrebbe seriamente pensare a non dedurre quel costo nella dichiarazione dei redditi, stante l’orientamento attuale (salvo che voglia fare da “apripista” per una battaglia giudiziaria futura magari con nuovi argomenti).

Inoltre, se escono nuove norme o pronunce, aggiornarsi e correggere il tiro. Questa guida è aggiornata al settembre 2025: il diritto tributario evolve, dunque tra qualche anno potrebbe esserci un differente scenario (per esempio, c’è chi propone di normare meglio il principio di inerenza per legge).

Passiamo ora alla sezione successiva, in cui risponderemo in forma sintetica ad alcune domande frequenti sul tema della deduzione delle spese legali e relative contestazioni, così da fissare i concetti chiave esposti sinora e chiarire eventuali dubbi specifici.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa significa in concreto “spesa non inerente”?
R: Significa che, secondo il Fisco, quella spesa non ha un nesso funzionale con l’attività tramite cui produci reddito. In altre parole, riguarda qualcosa di estraneo alla tua impresa/professione. Se un costo è non inerente, non può essere dedotto dal reddito imponibile , quindi in caso lo avessi dedotto, l’Agenzia lo “toglie” dai costi e ci paghi le tasse sopra.

D: Su che base l’Agenzia delle Entrate può dire che una spesa non è inerente?
R: Si basa sull’art. 109 comma 5 del TUIR, che richiede che i costi si riferiscano ad attività da cui provengono ricavi tassati . Inoltre, c’è un’elaborazione giurisprudenziale: la Cassazione dice che l’inerenza è un concetto qualitativo, per cui va visto se la natura della spesa rientra nell’attività d’impresa . Se l’Ufficio ritiene di no (esempio: vede una parcella legale per faccende personali del titolare), allora contesta l’inerenza. Spesso la base sono documenti raccolti (fatture, contratti) o verifiche incrociate.

D: Quali spese legali posso dedurre senza problemi?
R: Tutte quelle chiaramente collegate alla gestione dell’attività. Ad esempio: – Spese per avvocati in cause civili/commerciali relative a contratti aziendali, crediti, forniture, ecc. – deducibili (inerenti). – Spese per cause di lavoro (contro o da dipendenti, INPS, ecc.) – deducibili. – Spese per contenziosi tributari che riguardano l’azienda – deducibili. – Spese per consulenze legali su questioni contrattuali, societarie, di compliance aziendale – deducibili (fanno parte dei costi di gestione). In generale, se la causa o la consulenza riguarda affari dell’impresa, la spesa è inerente.

D: Quali spese legali rischiano di essere contestate come non inerenti?
R: Principalmente: – Spese legali personali pagate dall’azienda (es. difesa penale o civile di soci/amministratori per fatti personali, parcelle per cause del tutto estranee all’attività). Queste sono tipicamente contestate e considerate non inerenti . – Spese legali per difesa penale di amministratori/dipendenti anche per fatti connessi all’attività – la Cassazione le considera non inerenti , quindi l’Agenzia le contesta. – Spese collegate a sanzioni per illeciti (es. parcella per ricorso contro una multa per violazione di legge): c’è il dubbio inerenza perché l’illecito è considerato fuori dall’attività lecita . L’ufficio potrebbe contestarle, anche se in alcuni casi il ricorso contro sanzione viene visto come inerente (ci sono posizioni diverse). – Spese sostenute dall’azienda ma a beneficio di terzi estranei (paghi avvocato per qualcuno che non c’entra con l’impresa): non inerenti per definizione.

D: L’amministratore ha avuto un processo penale per fatti aziendali e l’azienda ha pagato l’avvocato: è deducibile?
R: No, allo stato attuale la Cassazione dice di no: quelle spese non sono deducibili ai fini del reddito d’impresa . L’Agenzia quindi le contesterà quasi certamente come costo indeducibile, perché considera il processo penale (anche se per fatti dell’azienda) un fatto personale del manager e un evento anomalo rispetto all’attività. Neanche il fatto che l’amministratore sia stato poi assolto cambia la valutazione fiscale .

D: E se quell’amministratore era essenziale per l’azienda e l’azienda aveva interesse a difenderlo?
R: Dal punto di vista aziendale capiamo il tuo punto: difendere il proprio dirigente poteva essere fondamentale. Però, fiscalmente, questo “interesse indiretto” dell’azienda non viene riconosciuto sufficiente . Ai fini della deducibilità serve un collegamento diretto con la produzione di reddito. La Cassazione argomenta che un processo penale è causato dall’intervento dell’Autorità giudiziaria, non è un costo che l’azienda sostiene per produrre ricavi . Quindi purtroppo, anche se l’azienda ne traeva beneficio (evitando magari misure negative), il Fisco non lo considera un costo di business ma un onere extra.

D: La mia azienda ha pagato un avvocato per il mio divorzio (sono socio/amministratore). Posso dedurre la spesa?
R: Assolutamente no. Quella è una spesa totalmente personale. Se l’hai messa tra i costi aziendali, è molto probabile che in caso di controllo te la tolgano come non inerente, e potrebbero anche riqualificarla come utili anticipati a te o compenso extra. Ti conviene escluderla dai costi deducibili (se l’hai già dedotta, valuterai un ravvedimento magari). Il fisco su questo è inflessibile.

D: Ho sostenuto spese legali per un processo civile dove la controparte era estranea all’attività dell’impresa (es: una lite personale del socio ma formalmente la società era parte). Rischio contestazioni?
R: Sì, rischi. Se la lite in realtà era su questioni personali (anche se magari hanno coinvolto la società in giudizio), l’Ufficio potrebbe guardare alla sostanza e dire che il costo non era correlato a una vera esigenza d’impresa. Dovresti essere pronto a dimostrare eventualmente che c’era un nesso con l’attività. Ma se ad esempio era una disputa tra soci per questioni di famiglia, e la società ha pagato avvocati, quell’inerenza è difficile da sostenere. Preparati che possano disconoscerlo.

D: Le spese per una causa che ho perso (ho dovuto pagare anche le spese legali alla controparte) sono deducibili?
R: Sì, se la causa originava da rapporti inerenti all’attività. Il fatto di aver perso non cambia che la controversia era aziendale. Quindi: – La tua parcella al tuo avvocato – deducibile (inerente). – Le spese legali liquidate al vincitore che paghi – anche quelle diventano un costo per la tua impresa, legato a quella vicenda, quindi deducibile. C’è giurisprudenza che conferma la deducibilità di somme pagate in esecuzione di sentenze se attinenti a fatti di gestione . L’importante è che la controversia fosse attinente all’impresa. Se lo era, anche le conseguenze economiche (pur sfavorevoli) lo sono.

D: Ho ripartito una grossa parcella legale su più anni (per competenza), ma il Fisco me l’ha contestato lo stesso, come mai?
R: Potrebbe essere successo questo: se l’avvocato ha fatturato tutto in un anno, tu in contabilità hai deciso di spalmarlo su più esercizi passati (magari imputandone una parte a lavori in corso). L’Agenzia delle Entrate di solito vuole che il costo stia nell’anno in cui la prestazione è terminata. Secondo la Cassazione, “il momento rilevante per la deducibilità è quello in cui la prestazione è ultimata”, non quello della fattura o pagamento . Quindi, se non hai prove di quando le varie fasi furono ultimate, l’Ufficio potrebbe aver disconosciuto la quota eccedente. In pratica avrà detto: dovevi dedurne 1/6 all’anno dal 2001 al 2006, tu hai dedotto tutto nel 2006, quindi 5/6 indeducibili per competenza. È un tema di competenza temporale, non di inerenza. Per evitarlo in futuro, se una causa dura anni, fatti fare fatture periodiche o almeno fatti specificare dal legale le attività per periodo , così puoi provare come imputare il costo.

D: In caso di contestazione, chi deve provare l’inerenza o la non inerenza?
R: Formalmente, nel processo tributario il contribuente deve provare il diritto alla deduzione (quindi l’inerenza), perché dedurre è un beneficio che chiedi tu . L’Ufficio però deve almeno indicare perché secondo lui manca (non può dire “a caso” che non è inerente, deve motivare). In giudizio tu dovrai portare elementi che dimostrino il collegamento col reddito. Ad esempio, per un contenzioso civile: porti contratto, atto di causa, per far vedere che era affare d’impresa. Se riesci a farlo, hai assolto l’onere probatorio. Se non ci sono prove chiare, il giudice tende a dar ragione al Fisco. Quindi il burden of proof pratico è in capo a te contribuente per dimostrare la natura del costo e la sua correlazione all’impresa .

D: Quali sanzioni si rischiano se l’Agenzia contesta spese non inerenti?
R: Sul piano amministrativo, la contestazione di costi indebiti porta a sanzione per dichiarazione infedele, pari al 90% della maggior imposta. Esempio: 10.000 € di costi indeducibili in IRES al 24% → 2.400 € imposta evasa, sanzione base 2.160 € (90%). In adesione puoi ridurla a 30% (quindi 720 €) , in acquiescenza 1/3 (720 € uguale), in mediazione 35% (840 €). Se vai in giudizio e perdi, paghi 100% (salvo eventualmente ridotta a 1/3 se non fai appello e paghi subito). Inoltre ci sono gli interessi.
Nota: Non è reato penale a meno che l’imposta evasa > 100k € e i costi siano simulati inesistenti > 10% base: ma qui parliamo di costi reali, quindi no reato (in genere). Diverso sarebbe se fossero proprio fatture false, ma allora è un altro ambito.
Quindi principalmente sanzione amministrativa + interessi. E il recupero dell’imposta ovviamente.

D: Se so che la spesa non è inerente ma la deduco lo stesso sperando non se ne accorgano, cosa rischio?
R: Rischi il recupero di imposta + sanzione + interessi come detto. Il non farsi accorgere può andare, ma considera che in caso di controlli mirati (ad esempio su imprese che deducono molti costi legali), potresti essere estratto. Devi valutare se vale la pena. Inoltre, rischi di incappare nel reato di infedele dichiarazione se l’importo è enorme e l’imposta evasa supera soglie (anche se i costi sono reali ma non inerenti, la giurisprudenza penale li può considerare “fittizi” nell’accezione di fraudolenti: è raro, ma se uno deducesse milioni di costi personali deliberatamente, attenzione). Quindi la condotta consigliabile è: non dedurre ciò che sai essere non inerente. Laddove il confine è grigio, decidi col tuo consulente considerando costi/benefici e magari predisponendo le difese.

D: Come posso prevenire contestazioni su spese legali?
R: Riassumendo alcuni consigli operativi: – Mantieni separazione netta tra spese aziendali e personali (non far pagare all’impresa cose tue private). – Quando l’azienda si fa carico di spese per amministratori (es. difesa legale), formalizza la decisione con delibere che spieghino la motivazione aziendale. – Assicurati di avere pezze giustificative: fai inserire in fattura la motivazione, conserva atti di causa, etc. – Se possibile, stipula polizze che coprano queste spese, così non entrano neanche in deduzione (o comunque sei rimborsato). – Consulta un fiscalista prima di dedurre spese “atipiche” e, se rimane incertezza, valuta un interpello per avere il parere dell’Agenzia in anticipo. – Segui gli aggiornamenti normativi/giurisprudenziali: se ad esempio in futuro dovesse cambiare la legge o uscire una circolare che ammorbidisce (o irrigidisce) la posizione, devi saperlo e adeguarti nella tua condotta fiscale.

D: In caso di verifica, come devo comportarmi se chiedono spiegazioni su spese legali?
R: Collabora e fornisci subito documentazione. Spiega con chiarezza a cosa attiene ogni spesa legale contestata, consegna copie di atti, e metti in evidenza gli aspetti che ne mostrano l’utilità per l’azienda. Ad esempio: “Questa parcella è per una causa contro un fornitore X, ecco la citazione, e la causa l’abbiamo vinta salvando un credito importante”. Oppure, se è difesa penale: “Sappiamo che è un tema delicato, ma guardate che l’accusa era per un fatto accaduto in stabilimento, ecco le carte; l’amministratore è stato prosciolto, per noi era fondamentale”. Insomma, cerca di convincere l’ispettore lì per lì. Non sarà lui a decidere in ultima istanza, ma il suo rapporto influirà. Se vede impegno e buona fede, magari nella relazione scriverà in modo equilibrato. Se invece sembri nascondere o minimizzare, lo insospettisci di più.

D: Quali sono le ultime sentenze importanti sull’inerenza delle spese legali?
R: Le principali da citare aggiornate al 2025: – Cass. 20945/2019: spese difesa penale amm. non deducibili, IVA non detraibile . – Cass. 9910/2024: spese difesa penale organi societari indeducibili, serve correlazione ad attività che produce utili (massima) . – Cass. 17111 e 17112/2025: IVA su spese legali difesa penale indetraibile, ribadito nesso immediato/diretto mancante . – Cass. 17113/2025: stesso concetto IVA, e distinzione nozione inerenza IVA vs imposte dirette (più ampia ma comunque rigetto in quel caso) . – Cass. 13043/2024: caso manutenzione macchine caffè – ha ribadito che l’inerenza va valutata in concreto sulla funzionalità al reddito, censurando la CTR che non l’aveva fatto (non è spese legali ma principio generale). – Cass. 10693/2025: sulla competenza di spese legali pluriennali – deducibili solo se provata ultimazione prestazione nell’anno . – Cass. 26202/2018: fondamentale su inerenza qualitativa, niente valutazione utilità neanche potenziale . Queste sono state citate nella guida con riferimenti. In fondo troverai i dettagli di queste sentenze.

D: Questa guida è veramente aggiornata a settembre 2025? Le cose cambiano in fretta…
R: Sì, abbiamo incluso tutti i riferimenti fino a metà settembre 2025. Ad esempio, sono menzionate le sentenze di giugno 2025 appena pubblicate e un articolo di luglio 2025 di FiscoOggi (rivista ufficiale AdE) che commenta quelle pronunce . Naturalmente, invitiamo sempre a verificare se dopo tale data vi siano state novità (sentenze successive, cambi normativi). Il diritto tributario evolve, ma i principi generali esposti dovrebbero restare validi, salvo interventi maggiori. In ogni caso, trovi di seguito una sezione con fonti normative e giurisprudenziali utilizzate: è un buon punto di partenza per eventuali aggiornamenti.

Tabelle riepilogative

Per facilitare la consultazione, riportiamo di seguito alcune tabelle riepilogative che condensano i punti essenziali della guida.

Tabella 1 – Inerenza delle spese legali per tipologia di controversia (già presentata in precedenza):

Tipo di spesa legaleEsempiInerenza fiscaleDeducibilità
Cause civili/commerciali (affari aziendali)Cause contrattuali, recupero creditiSfera impresa – InerenteDeducibile (costo d’impresa)
Controversie di lavoroVertenze dipendenti, ricorsi INPSSfera impresa – InerenteDeducibile
Contenzioso tributarioRicorsi avvisi, difesa in accertamentiSfera impresa – InerenteDeducibile
Procedimenti amministrativi (sanzioni)Ricorsi multe, sanzioni Antitrust ecc.(Spesa difensiva) Inerente*Deducibile* (non la sanzione)
Procedimenti penali – difesa personaleDifesa penale amm./dip. per reatiEstraneo (illecito) – Non inerenteIndeducibile
Consulenza legale generalePareri, contrattualistica, complianceSfera impresa – InerenteDeducibile
Cause tra soci / governance internaImpugnazione bilanci, liti sociVariabile (caso per caso)Se tutela società sì, altrimenti no
Spese legali personali camuffateCausa divorzio titolare in contabilitàEstraneo totale – Non inerenteIndeducibile (abuso se deliberato)

Legenda: Inerente = attinente attività; Non inerente = estraneo; Ded.= deducibilità ai fini imposte reddito.
( Le spese difensive contro sanzioni sono inerenti in quanto volte a tutelare l’impresa; la sanzione pecuniaria in sé non è deducibile .*)

Tabella 2 – Iter di contestazione e difesa (in sintesi):

FaseAzioni FiscoDifese contribuenteEsiti possibili
Verifica/PVCVerbalizza costo non inerenteControdeduzioni scritte entro 60 ggUfficio le valuta (non vincolato)
Avviso di accertamentoNotifica atto, chiede imposte + sanz. 90%– Pagamento (acquiescenza, sanz. ridotta 1/3)<br>– Opposizione: adesione o ricorsoSe pago, definito (sanz. 90→30%); se ricorro, vedi sotto
Accert. con adesione(su istanza) Incontro, eventuale propostaNegozia su imponibile e sanzioniAccordo: riduz. sanz. 1/3, rate; <br>No accordo: si ricorre
Reclamo/mediazione(per <50k€) Esamina reclamo, può proporre mediazioneSi può accettare proposta di mediazioneMediato: atto mediativo (sanz. 35%);<br>Non mediato: ricorso avanti CGT
Ricorso CGT I gradoSi costituisce con controdeduzioniPresenta ricorso con motivi (formali/merito), proveSentenza C.G. Tributaria di I grado (accoglimento totale/parziale o rigetto)
Appello CGT II grado(se perde in I) Appella su punti controversiControappello se vinto in I e ufficio appellaSentenza II grado (definitiva su fatti)
CassazioneRicorso su violazioni di legge (non su fatto)Controdeduzioni; eventuale ric. incidentalePronuncia su diritto: può confermare o cassare con/ senza rinvio

N.B.: In ogni fase il contribuente può anche chiedere sospensione dell’atto se deve pagarne gli effetti durante la pendenza.

Tabella 3 – Sanzioni e definizioni:

SituazioneSanzione applicataNote riduzioni
Contestazione ordinaria90% imposta evasa (dich. infedele)Minimo 90% – Massimo 180% per aggravanti
Accertamento con adesione1/3 del 90% = 30% del tributoEs. imposta 1.000€, sanz. standard 900€, in adesione 300€
Acquiescenza (no ricorso)1/3 del 90% = 30%Vale se paghi entro termini ricorso, senza contestare
Mediazione (accordo)35% del minimo (90%) = 31.5% circaLeggermente meno vantaggiosa di adesione
Ricorso e perdita in giudizio100% (giudice può ridurre a minimo se già non applicato)Se non fai appello ulteriore, puoi chiedere sanz. 90→45% (1/2)
Sanzione annullata/excludenda0% – Il giudice può annullarla per certe circostanzeEs. obiettiva incertezza normativa ex art. 6 co.2 D.Lgs 472/97

Queste tabelle offrono un quadro d’insieme utile per ricordare i principali aspetti trattati nella guida.

Passiamo ora alle fonti e riferimenti utilizzati, suddivisi per tipologia (normativa, prassi e giurisprudenza), così che possiate consultarle direttamente per ulteriori approfondimenti o verifiche.

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👉 Prima regola: dimostra che le spese legali sostenute erano direttamente collegate alla tua attività professionale o d’impresa e quindi deducibili.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Spese legali per controversie considerate di natura personale;
  • Costi di consulenza legale legati a operazioni ritenute estranee all’attività;
  • Oneri per liti giudiziarie su questioni patrimoniali private;
  • Mancanza di documentazione che provi l’inerenza delle spese;
  • Contestazioni su parcelle forensi pagate ma non pertinenti al reddito d’impresa.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Indeducibilità delle spese legali considerate non inerenti;
  • Recupero delle imposte dovute per i maggiori redditi imponibili;
  • Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele;
  • Interessi di mora sulle somme accertate;
  • Possibile estensione dei controlli su altre spese dedotte.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • La lite o la consulenza legale riguardava l’attività professionale o aziendale?
  • Esiste un nesso diretto tra la spesa e la produzione del reddito?
  • La parcella del legale descrive con precisione l’oggetto della prestazione?
  • Le spese erano necessarie a tutelare interessi economici dell’impresa o del professionista?
  • L’accertamento si fonda su presunzioni o su mancanza di documentazione?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Fatture dei legali con indicazione chiara della causa o della consulenza;
  • Atti giudiziari o stragiudiziali che provano la connessione con l’attività;
  • Delibere societarie o incarichi professionali che hanno originato la spesa;
  • Estratti conto bancari che dimostrano il pagamento;
  • Dichiarazioni fiscali e registrazioni contabili delle spese legali.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare l’inerenza effettiva delle spese legali con documentazione a supporto;
  • Contestare la riqualificazione come spese personali quando riguardavano la tutela dell’attività;
  • Evidenziare che la difesa legale era necessaria a preservare la continuità aziendale o professionale;
  • Eccepire errori di calcolo o difetti di motivazione dell’accertamento;
  • Richiedere l’annullamento in autotutela se la documentazione era già agli atti;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le parcelle e la documentazione delle spese legali;
📌 Valuta la fondatezza della contestazione e individua i punti difensivi;
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⚖️ Ti rappresenta nei giudizi fiscali e, se necessario, penali;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una corretta gestione delle spese deducibili.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e deducibilità dei costi;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni fiscali su spese legali e professionali;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni per deduzione di spese legali non inerenti non sempre sono fondate: spesso dipendono da carenze documentali o da interpretazioni restrittive dell’inerenza.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità delle spese, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare conseguenze fiscali più gravi.

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