Accertamento Iva E Contestazione Per Registrazioni Fuori Termine: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per registrazioni IVA effettuate fuori termine? In questi casi, l’Ufficio presume che il ritardo nelle annotazioni di fatture, corrispettivi o liquidazioni periodiche abbia comportato un indebito slittamento del pagamento dell’imposta o la perdita del diritto alla detrazione. Le conseguenze possono essere pesanti: recupero dell’IVA, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con una difesa adeguata è possibile ridurre le sanzioni o dimostrare che la tardiva registrazione non ha inciso sul debito d’imposta.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta registrazioni IVA fuori termine
– Se le fatture attive sono state annotate oltre i termini di legge
– Se le fatture passive sono state registrate in ritardo, compromettendo il diritto alla detrazione
– Se i corrispettivi giornalieri non sono stati tempestivamente contabilizzati
– Se emergono differenze tra liquidazioni IVA dichiarate e registrazioni contabili
– Se l’Ufficio presume che i ritardi siano stati utilizzati per occultare operazioni imponibili

Conseguenze della contestazione
– Recupero dell’IVA non versata o detratta indebitamente
– Applicazione di sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta accertata
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Rettifica delle liquidazioni periodiche e della dichiarazione IVA annuale
– Nei casi più gravi, contestazioni penali per dichiarazione infedele

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che la registrazione tardiva non ha comportato danni erariali
– Produrre documentazione bancaria, fatture, contratti e altra prova dell’effettiva operazione
– Contestare la perdita del diritto alla detrazione se i requisiti sostanziali erano rispettati
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o motivazione insufficiente nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione delle violazioni come irregolarità formali con sanzioni ridotte
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento parziale o totale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare le registrazioni contabili e i tempi delle annotazioni contestate
– Verificare la legittimità della contestazione alla luce delle norme IVA e della giurisprudenza UE
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e precedenti favorevoli
– Difendere l’impresa davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale da pretese fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– La riduzione delle sanzioni applicate
– Il mantenimento del diritto alla detrazione IVA
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: la registrazione tardiva di fatture e corrispettivi è una delle violazioni più frequenti in materia IVA. È fondamentale predisporre una difesa documentata per evitare che semplici ritardi si trasformino in contestazioni fiscali pesanti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e IVA – spiega come difendersi in caso di accertamento IVA per registrazioni fuori termine e quali strategie adottare per tutelare i tuoi interessi.

👉 Hai ricevuto una contestazione per registrazioni IVA tardive? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione, verificheremo la fondatezza della contestazione e costruiremo la strategia difensiva più efficace per proteggere i tuoi interessi.

Introduzione

L’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) è un pilastro del sistema fiscale italiano ed europeo, regolamentata in Italia dal D.P.R. 633/1972 (c.d. Decreto IVA). La corretta registrazione delle fatture nei registri IVA e la puntuale presentazione delle dichiarazioni sono adempimenti fondamentali per ogni contribuente soggetto all’imposta. Registrare una fattura “fuori termine” – ossia oltre i termini temporali previsti dalla legge – può comportare contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate e l’emissione di avvisi di accertamento IVA per recuperare imposte ritenute dovute. In questa guida, aggiornata a settembre 2025, esamineremo in dettaglio le conseguenze di tali irregolarità e gli strumenti di difesa a disposizione del contribuente (sia esso un privato, imprenditore o professionista). Il taglio è tecnico-giuridico, adatto a lettori con una certa familiarità col diritto tributario, ma con un linguaggio chiaro e accessibile.

Affronteremo dapprima gli obblighi normativi relativi alla registrazione IVA e cosa si intende per registrazioni tardive. Illustreremo poi le varie tipologie di accertamento tributario (analitico, induttivo, sintetico, automatizzato, ecc.) con focus specifico sull’IVA. Analizzeremo le sanzioni amministrative previste per le diverse violazioni in materia IVA (ad esempio la mancata registrazione o il ritardo, l’omesso versamento, la dichiarazione infedele) e le possibili implicazioni penali in casi più gravi (richiamando i reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000).

Dal punto di vista del contribuente (debitore), vedremo come è possibile difendersi in caso di contestazione: dagli strumenti di ravvedimento operoso per sanare spontaneamente le violazioni (inclusi gli istituti speciali o le sanatorie straordinarie recentemente previste) fino alle modalità di impugnazione dell’accertamento davanti alla giustizia tributaria, con esempi pratici di strategie difensive e richiamo alle più recenti sentenze rilevanti. Troverete inoltre tabelle riepilogative per un colpo d’occhio su termini, sanzioni e riduzioni, e una sezione di Domande e Risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni.

Importante: Questa guida tiene conto della normativa e della prassi aggiornate al 2025. In fondo alla guida è presente una sezione con tutte le fonti normative, di prassi e giurisprudenziali citate, per consentire approfondimenti e verifiche. È fondamentale infatti, soprattutto in ambito tributario, fare riferimento a fonti ufficiali e aggiornate (leggi, circolari dell’Amministrazione finanziaria, sentenze delle Corti) data la continua evoluzione della materia.

Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio gli aspetti rilevanti.

Obblighi di registrazione IVA e registrazioni fuori termine

Per comprendere le contestazioni legate alle registrazioni IVA tardive, occorre partire dagli obblighi di legge sulla registrazione delle fatture. Il Decreto IVA (D.P.R. 633/1972) disciplina dettagliatamente le modalità e le tempistiche con cui i documenti rilevanti ai fini IVA devono essere annotati nei registri contabili:

  • Fatture attive (di vendita): vanno emesse e registrate nel registro delle vendite (registro IVA delle fatture emesse, ex art. 23 DPR 633/72) in ordine cronologico. Per le fatture immediate, la registrazione è contestuale all’emissione; per le fatture differite (es. emissione entro il 15 del mese successivo a quello di consegna dei beni), la registrazione deve comunque avvenire entro i termini previsti per l’emissione. In generale, la registrazione deve avvenire non oltre 15 giorni dall’emissione e con riferimento al mese di effettuazione dell’operazione. Con l’introduzione della fatturazione elettronica, l’emissione e la trasmissione attraverso il Sistema di Interscambio (SdI) garantiscono una data certa; resta però in capo al contribuente l’onere di riportare i dati nel registro vendite entro le scadenze di legge.
  • Fatture passive (di acquisto): vanno annotate nel registro IVA degli acquisti (art. 25 DPR 633/72). La norma dispone che le fatture d’acquisto debbano essere registrate entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione e, comunque, prima della liquidazione periodica nella quale si intende esercitare la detrazione . In pratica, se un soggetto riceve una fattura da un fornitore, ha tempo fino alla dichiarazione annuale IVA dell’anno di ricezione per registrarla con riferimento a quell’anno. Ad esempio, una fattura ricevuta nel corso del 2023 andrebbe registrata al più tardi entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA 2023 (fissato al 30 aprile 2024) con competenza 2023. La registrazione tardiva oltre tale termine comporta effetti significativi, come vedremo tra poco.
  • Documenti di trasporto, bollette doganali e altri documenti rilevanti: anch’essi vanno registrati entro termini specifici analoghi a quelli sopra (generalmente coincidono con i termini di registrazione delle fatture, essendo documenti che danno diritto a detrazione). Ad esempio, le bollette doganali d’importazione vanno registrate ai fini IVA per poter detrarre l’imposta pagata in dogana.

Di seguito, uno schema riassuntivo delle principali scadenze di registrazione per le fatture IVA:

Tipo di documentoTermine di registrazioneRiferimento normativo
Fattura di vendita (immediata)Entro 15 giorni dall’emissione (comunque nel mese di effettuazione)Art. 23 DPR 633/1972
Fattura di vendita (differita)Entro il 15 del mese successivo a quello di consegna/spedizione beniArt. 21 DPR 633/1972 (emissione) *
Fattura di acquistoEntro il termine di dichiarazione annuale IVA dell’anno di ricezione **Art. 25 DPR 633/1972
Bolletta doganale d’importazioneEntro il termine di liquidazione periodica (mese/trimestre) di pagamentoArt. 25 DPR 633/1972
Note di credito/debitoStesse regole delle fatture (registro acquisti o vendite, competenza periodo)Art. 26 DPR 633/1972

* NB: La fattura differita per cessioni di beni accompagnate da DDT può essere emessa entro il 15 del mese successivo; la registrazione seguirà contestualmente all’emissione.
*: Il termine ultimo è la dichiarazione annuale IVA relativa all’anno di ricezione; tuttavia per poterne detrarre l’IVA già nelle liquidazioni periodiche dell’anno stesso, la fattura va registrata prima della liquidazione del periodo (mese o trimestre) in cui si intende detrarre.*

Come si vede, la legge concede un certo margine temporale per la registrazione, soprattutto per le fatture di acquisto (fino al termine di aprile dell’anno successivo, in virtù delle modifiche introdotte dal DL 50/2017). Registrare “fuori termine” significa annotare una fattura oltre questi limiti. I casi più frequenti di registrazioni tardive sono ad esempio:

  • Fatture di acquisto ricevute a fine anno e registrate nell’anno successivo oltre il termine di aprile: in tal caso la registrazione avviene nell’anno seguente, quando ormai sarebbe dovuta avvenire nell’anno precedente.
  • Fatture di vendita emesse (o da emettere) a fine mese/anno ma registrate nel periodo successivo: ad esempio una fattura datata 30 dicembre, che viene registrata nel registro vendite di gennaio dell’anno successivo anziché entro dicembre.

Quali sono le conseguenze di queste registrazioni tardive? Dipende dalla tipologia di fattura:

  • Fattura attiva registrata in ritardo: l’IVA relativa a quella operazione non viene conteggiata nella liquidazione corretta. Supponiamo un contribuente avrebbe dovuto dichiarare e versare quell’IVA nella liquidazione di dicembre 2023, ma registra invece la fattura a gennaio 2024: così facendo, l’IVA confluisce (erroneamente) nel conteggio del 2024, mentre per il 2023 c’è stato un versamento inferiore al dovuto. Questo configura un’omissione di versamento o una dichiarazione infedele per il 2023 (per IVA a debito non dichiarata). L’Amministrazione finanziaria, se rileva l’anomalia (ad esempio tramite controlli incrociati sui dati delle fatture elettroniche, o in sede di verifica), potrà emettere un avviso di accertamento IVA per recuperare l’imposta relativa al 2023, con sanzioni e interessi.
  • Fattura passiva registrata in ritardo: qui il problema principale è la perdita del diritto alla detrazione dell’IVA. Infatti, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti deve essere esercitato al più tardi con la dichiarazione annuale relativa all’anno in cui l’imposta è divenuta esigibile ed il contribuente è in possesso della relativa fattura . In pratica servono due condizioni per detrarre: (1) l’IVA è esigibile (cioè la transazione è effettuata) e (2) si possiede una fattura valida. Solo quando entrambe le condizioni si verificano in un dato anno, la detrazione può (e deve) essere esercitata entro la dichiarazione di quell’anno . Se una fattura 2023 viene registrata dopo il 30 aprile 2024 (termine dichiarazione IVA 2023), la detrazione è considerata tardiva e, secondo l’orientamento attuale dell’Amministrazione, definitivamente persa . Non è consentito recuperarla inserendola in dichiarazioni successive tramite una dichiarazione integrativa a favore, a meno che la fattura fosse stata comunque registrata tempestivamente e solo dimenticata in dichiarazione . In altri termini, l’Agenzia delle Entrate ritiene che la mancata registrazione entro i termini equivalga a una rinuncia al diritto di detrazione da parte del contribuente .

Questa posizione è molto restrittiva e ha suscitato critiche, poiché contrasta con i principi di neutralità ed effettività dell’IVA sanciti in ambito UE . La Corte di Giustizia UE ha più volte affermato che, se i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono soddisfatti, il mancato rispetto di taluni obblighi formali non dovrebbe comportare la perdita del diritto stesso, salvo che la violazione formale implichi un rischio di perdite per l’Erario o sia connessa a una frode . La registrazione tardiva di per sé, in assenza di altri elementi, è considerata da molti come un’inadempienza di carattere meramente formale (non vi è occultamento dell’operazione né un danno effettivo per l’Erario, se l’IVA verrà comunque versata o la detrazione verrà solo posticipata) . Anche una circolare ministeriale risalente (Circ. Min. Finanze n. 328/E/1997) definiva il ritardo di registrazione come violazione formale. Tuttavia, la normativa interna – art. 19 e 25 DPR 633/72 – è stata riformulata dal 2017 proprio per stringere sui termini di detrazione, e l’interpretazione ufficiale attuale (circolare AdE n. 1/2018 e varie risposte a interpello) è che il rispetto del termine di annotazione entro l’anno sia imprescindibile per non decadere dal diritto .

In sintesi, possiamo già evidenziare gli effetti pratici principali delle registrazioni fuori termine:

  • IVA a debito (vendite) non registrata in tempo: l’imposta sarà considerata non dichiarata nel periodo corretto. Il Fisco potrà richiederla con un avviso di accertamento per il periodo originario, applicando sanzioni per dichiarazione infedele (pari al 90% dell’imposta non dichiarata, ex art. 1, c.2 D.Lgs. 471/1997) o per omesso versamento (30% dell’imposta non versata, ex art. 13 D.Lgs. 471/1997) a seconda dei casi. Approfondiremo tali sanzioni più avanti. Il contribuente si troverà a dover pagare la differenza d’imposta, gli interessi di mora e la sanzione, salvo che non riesca a dimostrare trattarsi di un errore formale senza alcun intento evasivo (ma comunque l’IVA va versata).
  • IVA a credito (acquisti) registrata in ritardo: il contribuente perde la possibilità di detrarre quell’IVA nel periodo originario e, secondo l’Agenzia delle Entrate, non può recuperarla in periodi successivi tramite dichiarazione integrativa a favore . L’unica strada sarebbe chiederla eventualmente a rimborso entro due anni, come credito inesercitato, ma questa via è incerta e spesso ostacolata. In pratica, l’IVA rimane a carico del contribuente. Inoltre, scatta comunque una sanzione amministrativa per irregolare tenuta dei registri: trattandosi di violazione formale (mancata tempestiva annotazione), la legge prevede una sanzione fissa da €250 a €2.000 (art. 6, c.1 D.Lgs. 471/1997) . Tale sanzione è ravvedibile (ossia riducibile se il contribuente si autodenuncia e la paga spontaneamente con riduzione) . Paradossalmente, chi dimentica di detrarre un’IVA e lo scopre troppo tardi subisce una doppia penalizzazione: perde il risparmio d’imposta e paga pure una multa per non aver registrato in tempo.

È evidente dunque come le registrazioni fuori termine mettano a rischio il principio di neutralità dell’IVA (il contribuente finisce per pagare più imposta di quanta dovrebbe, o per pagare sanzioni se versa in ritardo). Nei prossimi paragrafi vedremo come l’Amministrazione finanziaria individua queste irregolarità e quali tipi di accertamento può intraprendere, prima di esaminare le strategie difensive a disposizione del contribuente.

Accertamento IVA: definizione e tipologie

Con il termine accertamento in ambito tributario si indica l’attività mediante la quale l’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate o Guardia di Finanza) controlla la correttezza delle dichiarazioni fiscali del contribuente e, in caso di divergenze, rettifica gli importi dovuti, emanando appositi provvedimenti (avvisi di accertamento o di rettifica). Nel caso dell’IVA, l’accertamento mira a determinare se il debito IVA dichiarato è inferiore al dovuto o se un credito IVA esposto non spettava, tenendo conto di tutte le operazioni attive e passive del periodo.

È importante conoscere le diverse tipologie di accertamento che possono riguardare l’IVA, perché ognuna segue presupposti e procedure specifiche:

  • Accertamento (o rettifica) analitico-contabile: È la forma “ordinaria” di accertamento in cui l’ufficio verifica analiticamente le risultanze delle scritture contabili del contribuente, confrontando dati, fatture, registri e ogni evidenza disponibile. Se emergono elementi certi di imposta non dichiarata (ad esempio vendite non fatturate o costi indebitamente detratti), l’ufficio rettifica la dichiarazione IVA sulla base di dati specifici e documentati . L’art. 54 del DPR 633/72 autorizza l’ufficio a procedere a rettifica quando “ritiene che ne risulti un’imposta inferiore a quella dovuta” utilizzando elementi probatori anche presuntivi, purché gravi, precisi e concordanti . In pratica, l’accertamento analitico parte dalle scritture dell’azienda: se queste sono tenute regolarmente, il Fisco le utilizza per individuare incongruenze (es. ricavi mancanti, giri di fatture false, errata applicazione di aliquote). Ad esempio, in caso di registrazioni tardive di fatture, un accertamento analitico può basarsi sul raffronto tra la data delle fatture elettroniche nello SdI e la data di registrazione a libro, evidenziando quelle registrate in ritardo per recuperare l’IVA del periodo corretto.
  • Accertamento induttivo (extracontabile): Si ha quando le scritture contabili del contribuente sono inaridite, inattendibili o inesistenti, tali da non consentire una ricostruzione analitica attendibile. In questi casi, l’ufficio può determinare l’imponibile induttivamente, cioè sulla base di presunzioni semplici (seppur qualificate) o di dati e coefficienti provenienti da fonti esterne. L’art. 55 del DPR 633/72 consente l’accertamento induttivo IVA in situazioni come mancata presentazione della dichiarazione, omessa tenuta o gravi irregolarità nelle scritture, frodi ecc. In tal caso il Fisco può disattendere le risultanze contabili e ricostruire il volume d’affari anche con metodi approssimativi – ad esempio consumi di materie prime, movimenti bancari, ricarichi medi di settore, indagini finanziarie su patrimoni, ecc. – purché il risultato sia ragionevole. L’accertamento induttivo è tipico delle situazioni di evasione più grave. Riguardo alle registrazioni fuori termine, raramente da sole giustificano un accertamento induttivo totale, ma se si riscontra un’abitudine sistematica a non registrare vendite o a tenere doppia contabilità, allora l’ufficio può ritenere la contabilità non attendibile e procedere induttivamente a determinare un maggior volume d’affari presunto. Ad esempio, se dall’analisi dei conti bancari emergono ricavi molto superiori a quelli annotati nei registri IVA (magari perché molte vendite non sono state registrate o lo sono state con ritardo), l’ufficio può riprendere a tassazione l’IVA sulle differenze ricostruite in via induttiva.
  • Accertamento sintetico (redditometrico): Questo termine in realtà attiene principalmente all’IRPEF delle persone fisiche (art. 38 DPR 600/1973) e consiste nel determinare indirettamente il reddito del contribuente in base alle spese sostenute e al tenore di vita. Non è uno strumento utilizzato per determinare direttamente l’IVA dovuta, perché l’IVA è un’imposta periodica legata alle transazioni e non al reddito personale. Tuttavia, lo menzioniamo per completezza: se un accertamento sintetico IRPEF individua ricavi non dichiarati (ad esempio un professionista che conduce un tenore di vita incompatibile con i redditi dichiarati), tali maggiori ricavi potrebbero riflettersi anche in una pretesa IVA (ad esempio se il soggetto era anche IVA e ha occultato compensi, dovrebbe l’IVA su di essi). In linea di massima però, parlando di accertamento IVA, si fa riferimento alle forme analitiche o induttive sopra descritte, non al redditometro in senso stretto.
  • Controllo automatizzato (liquidazione automatica): Prima ancora di un “accertamento” vero e proprio, la legge prevede controlli automatici sulle dichiarazioni. Ai sensi dell’art. 54-bis DPR 633/72 (analogo all’art. 36-bis DPR 600/73 per le imposte dirette), l’Agenzia delle Entrate esegue un controllo automatizzato delle dichiarazioni IVA per verificare errori materiali, omissioni, versamenti effettuati, ecc. Se dal controllo emergono discrepanze (ad esempio un contribuente ha indicato un debito IVA ma non risulta il pagamento corrispondente, oppure ci sono errori di calcolo), viene inviata una comunicazione di irregolarità (c.d. 36-bis) con l’esito della liquidazione automatica. Il contribuente può pagare le somme dovute con sanzioni ridotte (10% anziché 30% se paga entro 30 giorni) oppure fornire chiarimenti. Questo controllo non implica un vero avviso di accertamento (che è un atto impositivo tipico), ma può preludervi se il contribuente ignora la comunicazione. Ad esempio, nel contesto delle registrazioni tardive, il controllo automatizzato può incrociare i dati delle fatture elettroniche: se rileva che alcune fatture emesse verso il contribuente non compaiono nel suo registro acquisti per l’anno dovuto, potrebbe segnalare l’omessa detrazione (anche se in genere questo richiede un controllo formale). Oppure, se il contribuente ha indicato un certo credito IVA a riporto ma non aveva presentato la dichiarazione l’anno precedente (dove quel credito si sarebbe originato), scatta l’anomalia.
  • Accertamento parziale: La normativa consente all’ufficio di emettere avvisi di accertamento “parziali”, ossia focalizzati su specifici rilievi, senza attendere la fine di un controllo globale e senza precludere ulteriori accertamenti sullo stesso periodo d’imposta. Per l’IVA, la facoltà di accertamento parziale è prevista dall’art. 54, comma 5 del DPR 633/72 , in parallelo a quanto previsto per l’IRPEF dall’art. 41-bis DPR 600/73. Ciò significa che, se l’Agenzia dispone di elementi certi o segnalazioni esterne (ad esempio dati dell’Anagrafe Tributaria, comunicazioni dello SdI, verbali della Guardia di Finanza), può emettere rapidamente un avviso di accertamento limitato a quei rilievi, senza dover necessariamente esaminare l’intera posizione fiscale del contribuente. Questo strumento è spesso usato per far emergere evasione in modo tempestivo. Nel nostro contesto, un caso tipico è il seguente: incrociando i dati dell’e-fattura, l’Agenzia vede che il contribuente Alfa Srl ha emesso, poniamo, 10 fatture in dicembre 2023, ma nella comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA o nella dichiarazione annuale 2023 di Alfa, quei valori non compaiono; successivamente li ritrova nelle liquidazioni 2024. Ciò suggerisce che Alfa ha contabilizzato in ritardo e versato l’IVA dopo. L’Agenzia può quindi emettere un accertamento parziale per l’anno 2023, contestando l’IVA non versata in quell’anno più interessi e sanzioni, senza attendere ulteriore tempo. In seguito, potrebbe fare anche altri accertamenti se emergessero ulteriori anomalie (ad esempio su costi indebiti, ecc.), ma intanto ha bloccato quell’evasione. Gli accertamenti parziali non precludono accertamenti successivi sul medesimo periodo, purché questi siano basati su elementi diversi da quelli già utilizzati .

Riassumendo, l’accertamento IVA può assumere forme diverse: dal recupero puntuale dell’IVA su una fattura registrata tardivamente (analitico), alla ricostruzione complessiva di un maggior volume d’affari (induttivo), fino a controlli automatizzati o avvisi parziali mirati. Ciascuna tipologia ha differenti garanzie procedurali per il contribuente. Ad esempio, un accertamento analitico/induttivo a seguito di verifica comporta la redazione di un processo verbale di constatazione (PVC) da parte della Guardia di Finanza e il diritto del contribuente a presentare osservazioni entro 60 giorni prima che l’ufficio emetta l’avviso definitivo (come da Statuto del Contribuente, L. 212/2000, art. 12 c.7). Un accertamento parziale invece può essere emanato senza previa notifica di PVC (si basa spesso su controlli da remoto) e notificato direttamente via PEC o raccomandata . In ogni caso, l’avviso di accertamento deve essere motivato indicando i fatti contestati e le norme violate, e va notificato entro i termini di decadenza previsti dalla legge (di regola 5 anni dopo l’anno di presentazione della dichiarazione, come stabilito dall’art. 57 DPR 633/72, salvo raddoppi per reati tributari) – ad esempio, per l’anno d’imposta 2020 la decadenza è il 31 dicembre 2025.

Nei prossimi capitoli analizzeremo in particolare come viene contestata dall’ufficio la registrazione fuori termine delle operazioni IVA e quali sanzioni si applicano, prima di illustrare come il contribuente può difendersi o prevenire tali contestazioni.

Contestazione delle registrazioni IVA fuori termine

Entriamo ora nel merito delle contestazioni che sorgono quando l’Amministrazione finanziaria scopre che il contribuente ha registrato fatture oltre i termini consentiti. Le situazioni vanno distinte a seconda che si tratti di fatture di acquisto (IVA a credito) o fatture di vendita (IVA a debito), poiché le implicazioni – e quindi la strategia difensiva – differiscono sensibilmente.

Fatture di acquisto registrate in ritardo (detrazione IVA negata)

Come evidenziato, la normativa prevede che il diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti possa essere esercitato al più tardi con la dichiarazione annuale relativa all’anno in cui l’imposta è divenuta esigibile e il contribuente ha ricevuto la fattura . Se una fattura d’acquisto non è annotata entro tale termine, la posizione ufficiale dell’Agenzia delle Entrate è che la detrazione sia decaduta, ovvero non più recuperabile in dichiarazioni successive .

Questa interpretazione è stata ribadita recentemente nella Risposta a interpello n. 115 del 17/04/2025 dell’Agenzia delle Entrate, caso in cui un contribuente aveva ricevuto fatture nel 2023 ma non le aveva registrate entro il termine della dichiarazione 2023 (aprile 2024), provvedendo solo nel 2024 e chiedendo se poteva presentare una dichiarazione integrativa per detrarre comunque l’IVA. La risposta dell’Agenzia è stata negativa: no alla detrazione per la fattura registrata fuori termine . In particolare l’Agenzia ha affermato che:

  • Il diritto alla detrazione nasce quando esistono contemporaneamente il requisito sostanziale (imposta esigibile) e quello formale (possesso di una fattura regolare) in capo al cessionario/committente .
  • Deve essere esercitato entro la dichiarazione annuale dell’anno in cui tali condizioni si sono verificate .
  • La registrazione tempestiva nel registro acquisti entro tale termine annuale è vista come parte integrante dell’esercizio del diritto; se manca, la tardività equivale a rinuncia definitiva alla detrazione .
  • La dichiarazione integrativa a favore (ex art. 8, c.6-bis DPR 322/98) è ammessa solo se la fattura era già stata registrata nei termini, ma per mero errore l’IVA non era stata detratta in dichiarazione . Se invece la registrazione stessa è avvenuta oltre il termine, non si tratta – secondo l’Agenzia – di un “mero errore” emendabile, ma di una scelta (o negligenza) che preclude il recupero .

Nella situazione esaminata, quindi, le fatture 2023 registrate nel 2024 non hanno permesso di detrarre l’IVA 2023, e l’Agenzia ha chiarito che presentare ora una dichiarazione integrativa 2023 “a favore” per inserire quell’IVA è precluso. Il contribuente, di fatto, perde l’IVA a credito su quegli acquisti .

Sanzioni: trattandosi di una violazione formale (omessa registrazione nei termini) che però ha comportato un vantaggio per l’Erario (il contribuente non ha detratto, quindi ha versato più IVA di quanto avrebbe potuto), non c’è imposta evasa da recuperare. Pertanto l’ufficio in questi casi generalmente non emette un avviso di accertamento per imposta, ma contesta una violazione formale alla tenuta dei registri IVA. Come anticipato, l’art. 6, comma 1, D.Lgs. 471/1997 punisce “le omesse o tardive registrazioni nelle scritture obbligatorie” con una sanzione amministrativa da €250 a €2.000. La Risposta AdE n. 115/2025 conferma che “per la violazione sono applicabili sanzioni da 250 a 2.000 euro, comunque ravvedibili ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 472/1997” . Ciò significa che il contribuente può ridurre tale sanzione se provvede spontaneamente (ad esempio accorgendosi dell’errore può regolarizzare versando la sanzione minima ridotta). Se invece interviene l’ufficio, verrà irrogata la sanzione, di solito in misura che tiene conto della gravità e della recidiva (spesso applicando un importo intermedio, es. €500 o €1.000 per singola violazione, a discrezione).

Difendersi in questi casi non è semplice, perché formalmente la norma (art.19 e 25 DPR 633) è stata rispettata dall’ufficio. Tuttavia, in sede contenziosa il contribuente potrebbe sollevare alcuni argomenti di difesa:

  • Natura formale della violazione e Principio di neutralità IVA: Si può sostenere che, avendo la transazione i requisiti sostanziali, la sola tardiva registrazione non dovrebbe comportare la perdita del diritto a detrazione. Come evidenziato, la giurisprudenza UE tutela il diritto a detrarre se non c’è pregiudizio per l’Erario . In passato anche la Cassazione italiana ha riconosciuto che il mancato adempimento formale (ad esempio la mancata presentazione della dichiarazione annuale IVA) non fa automaticamente perdere la detrazione se il contribuente può provare l’esistenza del diritto sostanziale . Ad esempio, la Cass. 27814/2022 ha affermato che la neutralità va garantita anche se il contribuente non ha rispettato formalità, purché provi il suo diritto (operazione reale, fattura posseduta, ecc.) . Nel nostro caso, però, la difficoltà è che la normativa nazionale fissa un termine decadenziale specifico, e il contribuente non l’ha rispettato.
  • Insussistenza di danno erariale: Se il contribuente non ha detratto l’IVA in nessun modo altrove, la sua tardiva registrazione non ha arrecato danno allo Stato, anzi semmai un vantaggio (l’IVA non detratta rimane incassata dallo Stato). Sanzionare oltremodo questa situazione può apparire contrario ai principi di proporzionalità e ragionevolezza. Su questo punto, va detto, le Commissioni Tributarie/Corti di Giustizia Tributaria talvolta accolgono ricorsi riducendo le sanzioni se valutano che la violazione sia meramente formale e pentita (specie se il contribuente ha ravveduto tardivamente appena accortosi). Ad esempio, se Tizio scopre a maggio 2024 di aver dimenticato delle fatture 2023, le registra subito e fa un’istanza all’ufficio segnalando l’errore, potrebbe ottenere in via di “autotutela” una riduzione della sanzione al minimo ravveduto, evitando il contenzioso. Non è un diritto codificato ma un appello all’equità che talvolta viene ascoltato.
  • Utilizzo della dichiarazione integrativa a favore: Una linea di difesa potrebbe essere di interpretare in modo estensivo l’art.8, c.6-bis DPR 322/98. La norma consente di presentare dichiarazioni integrative a proprio favore entro il termine di decadenza dell’accertamento (entro 5 anni). Alcuni sostengono che ciò dovrebbe permettere il recupero di IVA non detratta, anche se la fattura fu registrata in ritardo, perché il legislatore nel 2016 ha aperto all’integrativa a favore senza condizioni troppo restrittive. L’Agenzia però obietta che l’integrativa presuppone comunque che il diritto alla detrazione fosse esistente e solo non esercitato; se la registrazione è tardiva, quel diritto non sarebbe sorto validamente in capo al periodo. Si entra in una disputa interpretativa sottile. Vi sono dottrina e associazioni di categoria (ad es. AIDC – Associazione Dottori Commercialisti) che hanno contestato la posizione delle Entrate, argomentando che nulla vieterebbe una integrativa a favore in questi casi, poiché le norme interne non contrastano con la facoltà di emenda di errori ed omissioni garantita dallo Statuto del contribuente . All’atto pratico, però, finché non interviene una sentenza di legittimità favorevole o una modifica normativa, l’ufficio respingerà tali istanze.

In conclusione, in caso di accertamento dell’Agenzia per detrazione indebita/perduta, il contribuente può valutare se ricorrere evidenziando i profili di eccesso di rigore (ad esempio invocando il diritto UE). Va detto che di recente c’è stato un irrigidimento: dal 2023 in poi le risposte a interpello dell’Agenzia (n. 479/2023 e n. 115/2025) sono tutte nel senso della decadenza del diritto se registrazione tardiva . Per ora, dunque, la via più prudente per il contribuente è prevenire queste situazioni, usando il ravvedimento operoso prima possibile (ne parleremo oltre) o, se già oggetto di contestazione, cercare magari un accordo bonario con l’ufficio (ad esempio definendo la sanzione minima) anziché affrontare un giudizio dall’esito incerto.

Fatture di vendita registrate in ritardo (IVA a debito omessa o tardiva)

Se non registrare in tempo una fattura d’acquisto punisce il contribuente stesso (perdita della detrazione), non registrare o dichiarare in tempo una fattura attiva danneggia l’Erario, perché comporta un mancato versamento di IVA nei termini dovuti. È dunque considerata una violazione più grave, sanzionata più severamente e potenzialmente foriera anche di conseguenze penali nei casi limite.

Consideriamo uno scenario tipico: una fattura di vendita datata fine mese o fine anno, ma contabilizzata nel periodo successivo. Ad esempio, un professionista emette una fattura il 30 dicembre 2024, ma la registra sul registro dei corrispettivi/fatture emesse nel gennaio 2025, inserendola quindi nelle liquidazioni IVA del 2025. In questo modo, l’IVA relativa a quella operazione, che era esigibile a dicembre 2024, verrà versata solo in occasione della liquidazione (mensile o trimestrale) del 2025, ossia con ritardo. Agli occhi del Fisco, ciò significa che la dichiarazione IVA 2024 è infedele (perché manca quell’IVA dovuta) e c’è stato un omesso versamento per il 2024.

La scoperta di tali irregolarità può avvenire tramite vari strumenti:

  • Controlli incrociati e fatturazione elettronica: Con l’e-fattura, l’Agenzia vede in tempo quasi reale le fatture emesse. Se una fattura datata dicembre non appare tra i dati di liquidazione periodica del quarto trimestre 2024, un sistema di analisi potrebbe segnalarla come anomalia. Anche le comunicazioni dati fatture (esterometro, etc.) o lo spesometro in passato potevano evidenziare discrepanze.
  • Verifiche e ispezioni: in sede di verifica, confrontando libri IVA, prime note e via dicendo, la GdF può scovare fatture con data e numero progressivo non coerenti con la cronologia delle registrazioni, deducendo che sono state inserite in ritardo.

Una volta accertato il fatto, l’ufficio ha due strade, spesso cumulative:

  1. Recupero dell’imposta non versata: tramite avviso di accertamento, rettificando la dichiarazione IVA dell’anno X (2024 nell’esempio) per aggiungere i ricavi non dichiarati. Verrà richiesto il pagamento dell’IVA relativa, con relativi interessi di mora (calcolati al tasso legale aumentato di un punto, per i tributi) a decorrere dalla scadenza originaria (nel nostro esempio, dal 16 gennaio 2025, data di versamento dell’IVA di dicembre 2024, o dal 27 dicembre 2025 se quell’importo sarebbe confluito a saldo annuale).
  2. Irrogazione di sanzioni: qui occorre distinguere la qualificazione della violazione:
  3. Se la fattura non fu proprio dichiarata nell’anno giusto, la dichiarazione annuale IVA di quell’anno è infedele per difetto di imponibile. Si applica la sanzione per dichiarazione infedele pari al 90% della maggiore imposta dovuta (art. 5, c.4 D.Lgs. 471/1997) . Questa sanzione ha un minimo di 500 euro, ma nel caso specifico di IVA evasa normalmente il 90% dell’imposta non versata è superiore a 500€. Ad esempio, IVA di €10.000 non dichiarata → sanzione €9.000.
  4. In alternativa, l’ufficio potrebbe contestare il fatto come omesso versamento periodico se per ipotesi la violazione emergesse in fase di controllo automatizzato (ad es. liquidazione periodica presentata ma pagamento non effettuato). In tal caso la sanzione sarebbe il 30% dell’importo non versato (art. 13 D.Lgs. 471/97). Tuttavia, quando l’omissione si trascina fino a confliggere con la dichiarazione annuale, prevale di solito la contestazione della dichiarazione infedele. Spesso, in concreto, viene irrogata un’unica sanzione del 90% per l’intera violazione annuale, invece di sanzioni mensili del 30%, perché la fattura attiva omessa ha effetti sulla dichiarazione annuale.
  5. Inoltre, qualora l’importo dell’IVA non dichiarata sia ingente, l’ufficio può trasmettere segnalazione alla Procura per il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) o di omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000), se ne ricorrono le condizioni (vedi oltre sezione penale).
  6. Sanzione accessoria: per la tardiva registrazione in sé, potrebbe aggiungersi la sanzione formale di cui sopra (€250-2.000), ma in genere se la vicenda si traduce in una maggiore imposta evasa l’attenzione è focalizzata su imposta e 90%. In ogni caso, il principio del ne bis in idem vieta di punire due volte lo stesso fatto sotto profili diversi. Quindi o si contesta come violazione sostanziale (infedele) o come formale (mancata registrazione). Quando c’è imposta evasa, la tendenza è trattarla come violazione sostanziale (che assorbe la formalità).

Esempio pratico: La società Beta Srl, mensile IVA, avrebbe dovuto dichiarare €50.000 di operazioni attive a dicembre 2024, ma alcune fatture di dicembre per €10.000 di imponibile (IVA 22% = €2.200) sono state registrate nel gennaio 2025. Di conseguenza, Beta ha versato per dicembre 2024 € (50.000-10.000)22% = €8.800 di IVA anziché €11.000, e la sua dichiarazione annuale 2024 è infedele per €2.200 di IVA. L’Agenzia, venutane a conoscenza (tramite incrocio dati fatture), nel 2026 notificherà avviso di accertamento 2024 chiedendo €2.200 di IVA, ~€X di interessi e €1.980* di sanzione (90% di 2.200). Beta potrà definire l’accertamento con adesione o acquiescenza pagando magari una sanzione ridotta a un terzo (~30% dell’imposta) più il tributo e interessi.

Difese possibili: In situazioni come questa, i margini di contestazione nel merito sono ridotti, poiché il fatto (mancato tempestivo versamento) è oggettivo. Tuttavia, il contribuente potrebbe:

  • Invocare l’errore scusabile o la buona fede: se ad esempio la tardiva registrazione fu dovuta a cause di forza maggiore (es. malattia grave del personale contabile a fine anno, errori informatici non imputabili all’azienda, ecc.), provare a ottenere quantomeno una riduzione della sanzione per circostanze eccezionali. L’ordinamento prevede cause di non punibilità solo per obiettiva incertezza normativa e casi simili, non tanto per errori gestionali. Però in giudizio un approccio di equità può talora indurre la Commissione a ridurre le sanzioni al minimo.
  • Contestare la qualificazione come infedele: se l’importo è piccolo rispetto al dichiarato, potrebbe sostenere che l’errore non integra infedeltà “sostanziale” (anche se legalmente basta 1 euro di differenza per la sanzione infedele, i giudici tributari possono valutare la proporzionalità). Inoltre, se Beta Srl ha comunque dichiarato quell’IVA (anche se nel 2025) e versato (tardivamente), si potrebbe eccepire che non c’è stata reale evasione ma solo spostamento temporale. In realtà, la legge è chiara che l’imposta va dichiarata nel periodo corretto, ma per esempio se Beta ha già versato quell’IVA nel 2025 (quando l’ha contabilizzata), potrebbe chiedere di compensare tale pagamento con quanto richiesto per il 2024, per evitare doppia imposizione. L’ufficio in genere imputa quel pagamento 2025 all’anno 2025, ma in adesione magari può ridurre l’importo sanzionato tenendo conto che l’erario non ha subito perdite definitive (ha incassato con ritardo, su cui percepisce interessi).
  • Ravvedimento operoso: se Beta stessa si fosse accorta dell’errore prima dell’arrivo dell’accertamento (ad esempio a febbraio 2025, notando la svista di non aver incluso fatture di dicembre), avrebbe potuto fare un ravvedimento operoso per sanare la situazione: cioè presentare una dichiarazione IVA integrativa 2024 entro 90 giorni (ossia entro fine marzo 2025), versando i €2.200 di IVA mancante con sanzione ridotta (ad esempio 1,67% se entro 90 giorni) più interessi. Così avrebbe evitato l’accertamento. Se ci si accorge a annuale già inviata, è possibile ravvedere comunque con integrativa successiva (fino al 2029 in teoria), ma prima che l’errore sia contestato. Approfondiremo oltre il ravvedimento.
  • Accertamento con adesione: se l’avviso è arrivato, il contribuente può attivare la procedura di adesione (istanza entro 30 gg dalla notifica). In sede di adesione si può far valere eventuali elementi a favore (es. documentare che quell’IVA fu effettivamente versata anche se tardi, proponendo di limitare sanzioni). Nella pratica, aderendo, la sanzione verrebbe comunque ridotta per legge a 1/3 del 90%, quindi circa il 30% dell’imposta , senza bisogno di convincere troppo l’ufficio perché è previsto dalla norma.

Da notare che, se le registrazioni tardive di vendite sono ricorrenti e rilevanti, il Fisco potrebbe dubitare della fedeltà dell’intera contabilità. In casi estremi, come accennato, si passa ad un accertamento induttivo globale: ad esempio, se trovano molte fatture fuori termine, potrebbero presumere che ve ne siano altre non trovate e utilizzare coefficienti per stimare vendite non registrate. Oppure potrebbero contestare che volutamente a fine anno l’azienda sposti ricavi all’anno successivo, con possibili contestazioni di frode fiscale. Una violazione ripetuta e sistematica di questo tipo quindi aumenta il rischio di contestazioni aggravate.

In conclusione per le vendite, la difesa del contribuente ruota soprattutto sul minimizzare le conseguenze, più che sul negare il fatto. Ciò significa sfruttare strumenti deflativi (ravvedimento se ancora in tempo, accertamento con adesione una volta ricevuto l’avviso) per ridurre le sanzioni, e nel contempo adempiere immediatamente al pagamento dell’imposta dovuta (magari chiedendo una dilazione se l’importo è elevato) per mostrare collaborazione e buona fede. In giudizio, sostenere che la violazione è solo temporale e priva di intento doloso può talvolta trovare ascolto in termini di sanzioni, ma difficilmente eviterà di pagare l’IVA dovuta e gli interessi.

Sanzioni amministrative per violazioni IVA

Dopo aver visto le conseguenze immediate delle registrazioni tardive, riepiloghiamo in maniera sistematica le sanzioni amministrative previste dal nostro ordinamento per le principali violazioni in materia di IVA che possono rilevare in questo contesto. Le sanzioni tributarie sono previste dal D.Lgs. 471/1997 (violazioni amministrative in materia di tributi) e dal D.Lgs. 472/1997 (disposizioni generali e ravvedimento).

Ecco le fattispecie sanzionatorie più rilevanti legate a irregolarità IVA:

  • Omessa fatturazione o mancata registrazione di operazioni imponibili: L’art. 6, comma 1, D.Lgs. 471/97 sanziona chi non emette fatture quando dovuto, o non le registra, o le registra per importi inferiori. La sanzione è dal 90% al 180% dell’IVA relativa all’imponibile non fatturato/non registrato . In pratica, se un’operazione attiva sfugge a fatturazione/registrazione, l’IVA evasa è recuperata e la sanzione base è il 100% (poi modulabile dal 90 al 180 a seconda di gravità). Questa è la norma generale per le operazioni non dichiarate. Nel caso di fatture registrate in ritardo, se ciò ha comportato omessa dichiarazione temporanea, rientra in questa sanzione. Di norma gli uffici applicano il minimo edittale (90%) quando contestano a consuntivo nella dichiarazione infedele. Il massimo (180%) è riservato a casi aggravati (magari documentazione distrutta, intento fraudolento palese).
  • Dichiarazione IVA infedele: L’art. 5, comma 4, D.Lgs. 471/97 prevede per chi indica un’imposta inferiore a quella dovuta o un’eccedenza detrazione superiore al reale una sanzione pari al 90% della differenza d’imposta o del credito non spettante. Questa in parte è sovrapposta alla precedente (nel senso che la dichiarazione infedele IVA spesso coincide con omissioni di fatture). In genere, in sede di accertamento, l’ufficio richiama entrambe come base normativa ma la sostanza è la stessa: 90%. Va segnalato che se l’infedeltà deriva da errori formali senza imposta dovuta (es. errata compilazione modelli senza danno erariale) non si applica il 90% ma sanzioni fisse minori. Nel nostro contesto, la tardiva registrazione di vendite produce proprio un’imposta dovuta in più → 90% di sanzione sul dovuto .
  • Omessa dichiarazione IVA: caso estremo, se il contribuente non presenta proprio la dichiarazione annuale (entro 90 giorni dalla scadenza, altrimenti si considera tardiva ma valida). La sanzione è dal 120% al 240% dell’IVA dovuta, con un minimo di €250 (art. 5, c.1 D.Lgs. 471/97). Se però la dichiarazione omessa presentava un credito (quindi niente IVA dovuta), si applica una sanzione fissa da €250 a €2.000. Questo caso esula dalle registrazioni tardive in senso stretto, ma è utile menzionare che dimenticarsi di presentare la dichiarazione è ancora più grave. Se uno registra tardi e per qualche ragione non compila la dichiarazione, entra in questo ambito.
  • Omessi versamenti periodici o a saldo: L’art. 13 D.Lgs. 471/97 punisce il mancato pagamento di imposte risultanti da dichiarazione o dovute in acconto con la sanzione del 30% per ogni importo non versato. Nel contesto IVA, ciò si applica ai versamenti mensili/trimestrali non eseguiti e al saldo annuale non versato. Ad esempio, se uno dichiara regolarmente l’IVA ma poi non paga, c’è il 30%. Nel caso di registrazioni tardive di vendite, però, non c’è una dichiarazione di quell’importo: come detto, quando la cosa emerge, si contestualizza come infedele (90%). Dunque il 30% è più tipico per differenze modeste o tardivi versamenti senza infedeltà dichiarativa. Da notare che il 30% può ridursi a 15% se il versamento avviene con un ritardo non superiore a 90 giorni (grazie a una riduzione automatica in virtù dell’art. 13, c.1 D.Lgs. 471 modificato dal 2015) – e ulteriormente riducibile col ravvedimento. Dal 2024 questa sanzione per tardivo versamento scende al 25% come vedremo (riforma sanzioni).
  • Violazioni formali nella tenuta dei registri: L’art. 6 D.Lgs. 471/97 prevede sanzioni fisse per una serie di irregolarità formali. Il comma 1 – già citato – punisce le omissioni nelle registrazioni obbligatorie con €250-2.000. Il comma 2 punisce le irregolarità nelle fatture (dati incompleti) con sanzione fissa da €250 a €2.000 se non incidono su imposta. Se invece una fattura è emessa irregolare con imposta inferiore, si ricade nel 90-180%. Vi sono poi commi specifici per casistiche particolari (es. inversione contabile non correttamente effettuata, autofatture, ecc., con sanzioni dal 5% al 10% dell’imposta o fisse, spesso modificate dal D.Lgs. 158/2015). Senza entrare troppo nel dettaglio, è utile capire che quando si parla di violazioni formali (che non incidono sul calcolo dell’imposta), le sanzioni sono in importo fisso limitato; quando c’è un impatto sull’imposta, si passa alle percentuali sull’imposta.

Per collegare al caso specifico:

  • Se registro tardi una fattura d’acquisto ma non la detraggo affatto, la violazione è formale pura → €250-2.000 di cui sopra.
  • Se registro tardi ma ho comunque detratto quell’IVA in dichiarazione (magari presentando integrativa), allora starei cercando di detrarre in ritardo: l’ufficio potrebbe considerarla detrazione indebita in quell’anno, quindi contestare un’indebita compensazione di credito o infedele per eccesso di detrazione → 90% sull’importo indebitamente detratto.
  • Se registro tardi una fattura di vendita e di fatto verso l’IVA in ritardo (anche se poi l’ho dichiarata nell’anno dopo), l’ufficio considera quell’anno originario con IVA omessa → 90%. L’anno successivo magari sarà rettificato a scendere (ma non succede in pratica, l’ufficio non storna l’eccedenza pagata l’anno dopo, lascia che il contribuente eventualmente la utilizzi come credito).

Un caso particolare: operazioni inesistenti. Non c’entra con le registrazioni tardive, ma giusto da citare: se la fattura registrata fuori termine in realtà fosse fittizia, la sanzione non è 90% bensì dal 135% al 270% dell’IVA, con minimo €1.000 (art. 6, c.6 D.Lgs. 471/97). Questo per dire che se emergono fatture false, le sanzioni amministrative si inaspriscono molto (oltre all’eventuale penale).

Chiudiamo la panoramica delle sanzioni amministrative ricordando che:

  • In caso di accertamento con adesione o acquiescenza, le sanzioni accertate si rideterminano in misura ridotta: con adesione, si applica 1/3 delle sanzioni irrogabili (quindi 30% anziché 90%, 10% anziché 30%, etc.); con acquiescenza (pagamento entro 60gg senza ricorso) si applica 1/3 delle sanzioni comminate nell’atto (se l’ufficio aveva messo 90%, si paga 30%). Queste riduzioni sono previste dal D.Lgs. 218/1997 e dall’art. 15 D.Lgs. 218/97 per l’acquiescenza.
  • Le sanzioni tributarie non sono penali, ma amministrative, tuttavia sono comunque soggette ai principi del diritto punitivo (legalità, non retroattività in peius, proporzionalità). Dal 2016 le nuove sanzioni del D.Lgs. 158/2015 (che ha riformato in parte il D.Lgs. 471/97) si applicano retroattivamente se più favorevoli, quindi a violazioni pregresse possono applicarsi i nuovi minimi se inferiori.

In tabella, riassumiamo le sanzioni amministrative chiave menzionate:

Violazione IVANormaSanzione prevista
Omessa fatturazione/registrazione operazioniD.Lgs. 471/97 art. 6 c.190% – 180% dell’IVA relativa all’operazione
Dichiarazione IVA infedeleD.Lgs. 471/97 art. 5 c.490% della maggior imposta o del minor credito (min. €500)
Omesso versamento IVA (periodico o saldo)D.Lgs. 471/97 art. 1330% dell’importo non versato (15% se ritardo ≤90gg)
Omessa dichiarazione annuale IVAD.Lgs. 471/97 art. 5 c.1-2120% – 240% dell’IVA dovuta (min €250). Se senza debito: €250 – €2.000
Violazioni formali registri/fatture senza impattoD.Lgs. 471/97 art. 6 c.1-2€250 – €2.000 (per ciascuna violazione)
Fatture per operazioni inesistenti (false)D.Lgs. 471/97 art. 6 c.6135% – 270% dell’IVA indicata (min €1.000)

Nota: Tutte le sanzioni percentuali si applicano sull’imposta evasa o sul credito indebuto. Le percentuali indicate sono quelle ordinarie; possono essere ridotte per effetto di ravvedimento operoso o definizioni agevolate. Inoltre, il D.Lgs. 87/2024 (riforma sanzioni) ha leggermente abbassato alcune percentuali (es. omesso versamento al 25%) per violazioni dal 2025 in poi, come vedremo.

In pratica, per le registrazioni fuori termine, si ricadrà principalmente nelle prime due righe (90%) se c’è IVA non versata, oppure nella penultima (violazione formale €250-€2.000) se non c’è imposta evasa. Il contribuente, in sede di difesa, dovrà puntare a ricondurre la propria situazione, se possibile, al regime sanzionatorio più favorevole (ad esempio dimostrando che non vi fu occultamento deliberato, ma solo ritardo → chiedendo applicazione della sanzione fissa minima anziché del 90%).

Procedure di difesa contro l’accertamento

Quando un contribuente riceve un avviso di accertamento IVA o comunque viene contestata una violazione (ad esempio tramite un processo verbale della Guardia di Finanza o una comunicazione di irregolarità), è fondamentale attivarsi prontamente per impostare una strategia difensiva. Vediamo le principali fasi e strumenti di difesa dal punto di vista del destinatario dell’atto.

Verifica della legittimità dell’atto e richiesta di autotutela

Non appena notificato (ad esempio via PEC o raccomandata AR) un avviso di accertamento, la prima cosa da fare è analizzare l’atto in dettaglio. Occorre verificare:

  • Termini di notifica: L’accertamento è stato emesso entro i termini di decadenza previsti? (Come detto, di regola entro il 5° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, o 7° se dichiarazione omessa). Se l’atto è tardivo, è nullo per decadenza dei termini.
  • Soggetto e periodo: Verificare che sia intestato correttamente al contribuente, con codice fiscale/P.IVA giusti, e riguardi il periodo effettivamente contestabile. Eventuali errori di persona o sul periodo imponibile possono inficiare l’atto (per esempio atto intestato a soggetto cessato senza indicazione degli eredi/successori, o riferito a annualità già definite).
  • Motivazione dell’atto: La legge richiede che l’avviso di accertamento sia motivato, ovvero esponga chiaramente i fatti, le circostanze e le norme che giustificano la pretesa. Bisogna leggere se l’ufficio ha spiegato perché ritiene vi sia IVA dovuta: ad esempio “fattura nr. X non registrata tempestivamente, con IVA €… dovuta per il mese … non versata”. Se la motivazione è generica o contraddittoria, il contribuente può far valere un vizio di nullità dell’atto per difetto di motivazione . La Cassazione ha annullato accertamenti carenti di motivazione, specie se basati su presunzioni non esplicitate .
  • Calcoli e allegati: Verificare i conteggi (imposta, interessi, sanzioni) e se l’atto richiama documenti esterni (es. PVC Gdf, prospetti) assicurarsi che siano stati allegati o già noti, altrimenti l’accertamento potrebbe essere viziato (il contribuente deve poter capire da dove nascono le cifre).
  • Rispetto del contraddittorio: Se l’accertamento scaturisce da una verifica fiscale con PVC, occorre controllare se l’ufficio ha atteso i 60 giorni dalla consegna del PVC prima di emettere l’avviso (obbligo sancito dallo Statuto contribuente art.12 c.7). La violazione di tale termine comporta la nullità relativa dell’atto, sollevabile in giudizio. Se invece si tratta di un accertamento parziale o da indagini finanziarie, il contraddittorio prima non è obbligatorio (ma se l’atto riguarda materia non “urgente”, la giurisprudenza a volte richiede un minimo contraddittorio, specie per accertamenti da studi di settore/ISA o sintetici).

Se dall’analisi emergono errori palesi (ad esempio l’ufficio ha computato male l’IVA dovuta, o ha ignorato che il contribuente aveva già versato parte di essa), è opportuno attivare subito un’istanza di autotutela presso l’ufficio accertatore. L’autotutela è la facoltà della PA di annullare o rettificare i propri atti d’ufficio in presenza di errori manifesti. Ad esempio, se l’ufficio contesta €10.000 di IVA ma il contribuente prova che in realtà 5.000 di quelle sono già stati versati (magari con F24 su un altro codice tributo per errore), potrebbe chiedere in autotutela lo sgravio parziale. Gli uffici non accolgono facilmente l’autotutela se la questione è opinabile; la accettano più volentieri in caso di errore materiale evidente (soggetto sbagliato, doppia imposizione lampante, ecc.) o se esiste una nuova norma/sentenza favorevole sopravvenuta. Tentare comunque l’autotutela non costa nulla: va presentata in carta libera all’ufficio, e non sospende i termini per il ricorso che comunque vanno rispettati (60 giorni). Quindi va usata con cautela per non perdere tempo utile.

Adesione all’accertamento (accertamento con adesione)

Uno strumento efficace, soprattutto quando il contribuente riconosce in parte il proprio errore e vuole evitare un contenzioso lungo, è l’accertamento con adesione (disciplinato dal D.Lgs. 218/1997). Si tratta di una procedura di carattere facoltativo che consente al contribuente di iniziare un confronto con l’ufficio che ha emesso l’atto, al fine di giungere – se possibile – a un accordo su imposte e sanzioni dovute.

Per attivarla, entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, si presenta all’ufficio un’istanza di accertamento con adesione. L’istanza sospende il termine per fare ricorso per 90 giorni. L’ufficio convocherà il contribuente (di solito tramite PEC) per un contraddittorio orale, durante il quale si discuteranno i punti contestati. È un’occasione per il contribuente di esporre le proprie ragioni in modo informale e magari portare documenti integrativi. Nel contesto di registrazioni IVA tardive, per esempio, si può far presente all’ufficio se quell’IVA poi è stata versata, o se la violazione è frutto di disorganizzazione ma senza volontà fraudolenta, ecc.

Se le parti trovano un accordo, viene redatto un atto di adesione con le somme concordate. Vantaggi dell’adesione:

  • Le sanzioni vengono automaticamente ridotte a 1/3 di quelle originarie . Ad esempio, invece del 90% si paga il 30%. Inoltre, non si pagano le spese di notifica né si applicherà la sanzione per omesso versamento se si paga quanto concordato nei termini.
  • Si evita il contenzioso e l’atto non è più impugnabile (diventa definitivo l’accordo). Ciò dà certezza e spesso le Entrate in sede di adesione possono anche riconoscere deduzioni o elementi favorevoli al contribuente, rendendo la pretesa meno pesante.
  • Si può ottenere una rateazione fino a 8 rate trimestrali (16 se importi > €50.000). La prima va versata entro 20 giorni dalla firma.

Se non si raggiunge l’accordo (o se il contribuente alla fine decide di non aderire), ripartono i termini per fare ricorso (i 60 gg + 90 di sospensione, quindi 150 gg totali dalla notifica iniziale). Nulla vieta comunque di aderire parzialmente e poi impugnare solo gli aspetti non condivisi, ma tecnicamente l’adesione o c’è o non c’è: non si può firmare un accordo “parziale” e poi impugnare il resto, purtroppo.

Nel nostro contesto, spesso l’adesione è utile per ridurre le sanzioni e magari negoziare il quantum dovuto. Esempio: se l’accertamento chiede €10.000 di IVA e €9.000 di sanzioni (90%), in adesione magari si concorda €9.000 di IVA (magari riconoscendo qualche fattura contestata erroneamente) e €3.000 di sanzioni (1/3 di 9.000). Il contribuente risparmia sanzioni e chiude la partita più rapidamente.

Acquiescenza (accettazione dell’atto) e definizione agevolata

Se l’accertamento contiene rilievi corretti e il contribuente non intende o non ha convenienza a contestarli, può valutare l’acquiescenza all’atto, ovvero il pagamento di quanto richiesto entro il termine per impugnare (60 giorni). La legge incentiva l’acquiescenza prevedendo la riduzione delle sanzioni ad 1/3 (lo stesso beneficio dell’adesione) . In pratica, se uno paga nei 60 giorni senza fare ricorso, l’ufficio (previa richiesta) dovrebbe ricalcolare le sanzioni ridotte e l’importo da versare sarà tributo + interessi + 1/3 sanzioni. Spesso nell’atto stesso c’è scritto l’importo se paghi entro 60gg.

A differenza dell’adesione, l’acquiescenza non consente di modificare l’imponibile: si paga quanto indicato nell’atto (con sanzioni ridotte). Quindi conviene quando l’ufficio “ha ragione” e magari l’importo non è così elevato da giustificare un contenzioso. Nel caso di registrazioni tardive, se per esempio l’importo contestato è modesto e il contribuente riconosce l’errore, pagando subito evita aggravi ulteriori e chiude la faccenda.

Attenzione però: per ottenere la riduzione a 1/3 con acquiescenza, bisogna rinunciare al ricorso e a qualunque istanza di riesame successiva. Dunque è una decisione definitiva.

In alcune circostanze particolari (es. definizioni agevolate previste da leggi speciali come la “pace fiscale”), può esserci convenienza a non fare subito acquiescenza ma attendere eventuali condoni. Tuttavia, basare la propria strategia sull’incertezza di un condono futuro è rischioso e generalmente sconsigliato per importi rilevanti (non è detto che ci sarà un condono e, se anche fosse, potrebbe escludere i debiti da accertamento recente). Nel 2023, ad esempio, la legge di bilancio ha introdotto una definizione agevolata delle liti pendenti col Fisco: ciò ha spinto alcuni a fare ricorso per poi chiudere la lite pagando meno. È uno scenario da valutare caso per caso con assistenza professionale.

Ricorso alle Commissioni Tributarie (Corti di Giustizia Tributaria)

Se non si giunge a un accordo in adesione, o se il contribuente ritiene l’atto totalmente o parzialmente errato e sceglie di contestarlo in giudizio, deve presentare ricorso avanti alla Commissione Tributaria competente (dal 2023 rinominata Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado). I termini sono di 60 giorni dalla notifica, salvo eventuale sospensione per adesione.

I passi principali sono:

  • Redazione del ricorso: atto scritto, in cui il contribuente (anche tramite difensore abilitato, avvocato o commercialista iscritto all’albo dei difensori tributari) espone i motivi per cui contesta l’accertamento. I motivi possono essere di legittimità (vizi procedurali, errori formali dell’atto) e/o di merito (l’ufficio ha torto sui fatti o sul diritto applicato).
  • Notifica del ricorso: va notificato all’ente impositore (Agenzia Entrate) entro 60gg, di solito via PEC (ormai obbligatoria).
  • Costituzione in giudizio: entro 30 giorni dalla notifica, il ricorrente deposita (via PEC o sul portale telematico) il ricorso presso la segreteria della Corte tributaria, insieme ai documenti rilevanti.
  • Mediamente tra 6 mesi e 1 anno dopo, ci sarà la trattazione davanti alla Commissione, che emetterà una sentenza di primo grado. Nel frattempo l’ufficio, se lo ritiene, può emettere un atto di controdeduzioni (difesa).
  • Il pagamento: la proposizione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Tuttavia, poiché trattasi di tributo non ancora definitivo, l’Agente della Riscossione può riscuotere solo un terzo delle imposte accertate (con relativi interessi e sanzioni proporzionali a quel terzo) dopo 60 giorni. Se si vuole evitare anche questo pagamento provvisorio, il contribuente deve chiedere esplicitamente alla Commissione una sospensione dell’esecuzione e dimostrare sia il fumus boni iuris (motivi fondati) che il periculum (danno grave e irreparabile se pagasse ora). Le commissioni spesso concedono la sospensiva per importi significativi o se il contribuente prova difficoltà finanziarie, ma non è scontato.

In sede di processo tributario, la difesa del contribuente dovrà essere argomentata e supportata da documenti. Nel caso di contestazioni da registrazioni tardive, alcune linee difensive possibili in giudizio (riprendendo quanto già accennato):

  • Eccepire vizi procedurali: es. nullità per mancato contraddittorio (se applicabile), decadenza, difetto di motivazione, ecc. Queste eccezioni vengono valutate prima nel giudizio e, se accolte, fanno cadere l’atto senza entrare nel merito.
  • Sostenere la tesi dell’adempimento sostanziale: per fatture d’acquisto tardive, puntare sul fatto che il diritto a detrazione era sostanzialmente maturato e la formalità temporale non dovrebbe pregiudicarlo. Citare giurisprudenza favorevole (sentenze della CGUE su neutralità, eventuali pronunce di Cassazione come quelle del 2022 sul principio che la detrazione non si perde per omissione formale qualora provata la sostanza ). Questo può convincere i giudici tributari se l’importo è rilevante e c’è equità dalla parte del contribuente, specialmente se non vi è stata alcuna frode.
  • Dimostrare l’assenza di evasione intenzionale: per vendite tardive, evidenziare magari che tutte le fatture sono state effettivamente emesse e tracciate (non c’è volontà di occultare), che l’IVA è stata versata ancorché tardi, che l’azienda ha sempre dichiarato tutto salvo l’errore temporale. Questo può servire a chiedere clemenza sulle sanzioni. La Commissione può, se ritiene la sanzione sproporzionata rispetto alla gravità, ridurla applicando l’art. 7 D.Lgs. 472/97 (circostanze attenuanti, magari minimo edittale). Ad esempio, in alcuni casi di errori formali, le Commissioni hanno abbassato le sanzioni a €250 ritenendo la violazione formale.
  • Errori di calcolo dell’ufficio: verificare che l’ufficio abbia calcolato esattamente l’imposta non versata. Se il contribuente trova errori, portarli all’attenzione del giudice (con documenti contabili, F24 pagati, ecc.). Spesso l’ufficio commette errori nel non considerare versamenti tardivi già avvenuti: il giudice allora scomputerebbe tali importi dall’accertato.
  • Questioni di diritto controverse: come la questione integrativa a favore, decadenza del diritto, ecc., sollevarle anche in giudizio. Se c’è qualche precedente, allegarlo. Ad esempio, se esiste una sentenza di Cassazione o CTR nella stessa regione che su un caso simile ha dato ragione al contribuente, citarla per orientare il collegio.

Il processo tributario, specie su questioni IVA legate a normative comunitarie, può anche portare – in casi importanti – a un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE o a sezioni unite della Cassazione per risolvere contrasti. Ad oggi, però, sul tema specifico del termine di registrazione il contrasto è più tra prassi AdE e principi UE, vedremo se emergeranno sentenze risolutive.

Ricordiamo che dopo il primo grado c’è l’appello (Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado, ex CTR) entro 60gg dalla notifica della sentenza, e poi eventualmente il ricorso in Cassazione per motivi di diritto.

Mediazione tributaria e conciliazione giudiziale

Per le controversie di valore non elevato, esistono procedure deflattive ulteriori:

  • Mediazione tributaria: obbligatoria per cause di valore fino a €50.000 (importo del tributo al netto interessi e sanzioni) per atti notificati dal 2023 in poi. Consiste nel presentare il ricorso che vale anche come istanza di mediazione: un ufficio diverso da quello accertatore (o un organo di conciliazione) valuta se accogliere parzialmente le ragioni del contribuente. Se si trova un accordo, la sanzione è ridotta al 35% del minimo (invece che 100%). Per es., su un 90% si scende al 30% col patto di mediazione. Se la mediazione fallisce, il ricorso prosegue. Nel caso di IVA da registrazioni tardive, se l’importo è piccolo potrebbe rientrare in mediazione e spesso l’Agenzia in questi casi per evitare cause costose accetta una riduzione delle sanzioni (specie se il contribuente porta argomenti validi).
  • Conciliazione giudiziale: se la causa è già davanti al giudice, le parti possono trovare un accordo (conciliazione) in corso di causa. Può essere fuori udienza (le Entrate inviano proposta) o in udienza davanti al collegio. La conciliazione prevede sanzioni ridotte al 50% di quanto sarebbe dovuto e interessi ridotti al 50%. Può essere totale o parziale. Nel caso che qui trattiamo, se in primo grado il contribuente e l’ufficio capiscono che la causa potrebbe avere esiti incerti, possono conciliare: ad esempio, il contribuente paga l’imposta dovuta, ma invece del 90% paga il 45% di sanzioni, e chiudono il contenzioso con un accordo omologato dal giudice. È uno strumento meno usato dell’adesione, ma utile se emergono elementi nuovi durante la causa.

Sintesi delle azioni difensive del contribuente

Per chiarezza, ecco una tabella riepilogativa delle opzioni difensive e dei relativi benefici:

Strumento difensivoQuando attivarloBeneficiNormativa
Istanza di autotutelaSubito, se atto viziato da errori palesiAnnullamento/riduzione immediata dell’atto (raro)Art. 2-quater D.L. 564/1994 (autotutela)
Accertamento con adesioneEntro 30 gg da notifica accertamento (richiesta di incontro)Contraddittorio con ufficio; Sanzioni ridotte a 1/3; possibile ridurre imponibile concordandoD.Lgs. 218/1997, art. 6-7
Acquiescenza all’accertamentoEntro 60 gg da notifica (pagamento)Sanzioni ridotte a 1/3 (come adesione) senza negoziazione; definizione immediataD.Lgs. 218/1997, art. 15
Ricorso tributarioEntro 60 gg (o 150 se adesione) da notificaGiudice terzo esamina il merito e legittimità; possibile annullamento totale o parziale dell’atto; sospensione a 1/3 importi in pendenzaD.Lgs. 546/1992 (proc. trib.)
Mediazione tributariaContestualmente al ricorso (valore ≤ €50k)Possibile accordo pre-giudizio; sanzioni ridotte a 35% del minimo se accordoD.Lgs. 546/92, art. 17-bis
Conciliazione giudizialeDurante il processo, fino appello (anche parziale)Chiude lite con accordo; sanzioni ridotte al 50% in 1° grado (40% in appello)D.Lgs. 546/92, art. 48 e 48-bis
Ravvedimento operoso (pre-accertamento)Prima che violazione sia contestata/formalmente conosciuta dall’ufficioNon si arriva ad accertamento: regolarizzazione spontanea con sanzioni ridotte (vedi sez. successiva)D.Lgs. 472/97, art. 13

Come si vede, l’ordinamento offre vari strumenti. La scelta dipende dalla situazione specifica. In generale, per importi modesti e violazioni evidenti, meglio sfruttare adesione o acquiescenza per chiudere con sanzioni basse. Per questioni di principio o importi rilevanti, il ricorso può essere doveroso, magari tentanto prima mediazione. Sempre, se possibile, agire prima con ravvedimento rimane la miglior strategia preventiva.

Nel prossimo capitolo parleremo proprio di come il ravvedimento operoso consente di sistemare registrazioni tardive (o altre violazioni) prima che arrivi la mano pesante del Fisco, e delle eventuali sanatorie straordinarie in vigore.

Ravvedimento operoso: regolarizzare prima dell’accertamento

Il ravvedimento operoso è uno strumento fondamentale a disposizione del contribuente per sanare spontaneamente le violazioni tributarie commesse, beneficiando di sanzioni ridotte. In materia IVA, il ravvedimento è particolarmente utile quando ci si accorge di aver registrato tardivamente fatture o di aver omesso versamenti, prima che l’errore venga contestato dall’Amministrazione.

Come funziona il ravvedimento operoso

La disciplina generale è contenuta nell’art. 13 del D.Lgs. 472/1997. I presupposti per potersi ravvedere sono:

  • La violazione non deve essere già stata contestata dall’ufficio (ad esempio, non deve essere già stato notificato un avviso di accertamento o altro atto di liquidazione per quella violazione). In pratica bisogna anticipare il Fisco.
  • Non devono essere iniziate ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento formalmente comunicate al contribuente (ad esempio, se ho ricevuto un PVC o anche solo un questionario sul periodo in cui c’è la violazione, il ravvedimento non è ammesso per quella violazione specifica).

Se queste condizioni sono rispettate, il contribuente può regolarizzare versando:

  1. Il tributo dovuto (se la violazione comporta un’imposta da pagare, es: omesso versamento IVA).
  2. Gli interessi moratori calcolati al tasso legale dal giorno in cui andava pagata l’imposta al giorno in cui si paga effettivamente (il tasso legale è 5% annuo per il 2023, 6% per il 2024).
  3. Una sanzione amministrativa ridotta, calcolata in percentuale secondo tempi del ravvedimento.

Per le registrazioni tardive di fatture, possiamo avere due situazioni:

  • Se la tardiva registrazione ha comportato un omesso versamento di IVA (fatture attive), allora il ravvedimento consisterà nel versare l’IVA mancante + interessi + sanzione ridotta (sanzione base sarebbe il 30% per tardivo versamento, ridotta secondo quando ci si ravvede).
  • Se la tardiva registrazione ha comportato un’indebita detrazione o un’imposta a credito non più detraibile (fatture passive), il ravvedimento può riguardare il pagamento della sanzione fissa per la violazione formale (€250 ridotto) se l’imposta non è stata detratta. Oppure, nel caso uno abbia indebitamente detratto quell’IVA in ritardo, allora ravvede restituendo l’IVA (magari come storno di credito) e pagando la sanzione sul credito indebito ridotta.

Facciamo un esempio concreto di ravvedimento operoso applicato al nostro tema:

Esempio: Nel mese di luglio 2025 la società Gamma scopre di non aver registrato una fattura di vendita di maggio 2025 per €5.000 + IVA €1.100. Ha quindi versato meno IVA a maggio (perché quella fattura non era nel calcolo). Non è ancora arrivata alcuna contestazione. Gamma immediatamente decide di ravvedersi il 10 luglio 2025. Cosa deve fare?

  • Calcola l’IVA dovuta in più: €1.100.
  • Calcola interessi dal 16 giugno (scadenza versamento maggio) al 10 luglio: 24 giorni al tasso legale (6% annuo nel 2025) → interessi circa €1,10 (1100 * 6% * 24/365).
  • Determina la sanzione ridotta: poiché il pagamento avviene entro 60 giorni dal termine (scadenza 16/06, ravvedimento il 10/07 entro 30 gg), la sanzione base sarebbe il 15% (omesso versamento ≤90gg). Entro 30 giorni, la riduzione è a 1/10 del 15%, quindi 1,5% . Su €1.100 è €16,50.
  • Compila un F24 con codice tributo dell’IVA dovuta, e codice tributo per interessi e codice tributo per sanzioni, e paga il totale di circa €1.100 + €1,10 + €16,50 = €1.117,60.

Così Gamma avrà sanato l’omesso versamento di maggio con una spesa aggiuntiva minima (sanzione 1.5% invece di 30%). L’ufficio non emetterà alcuna sanzione ulteriore, e Gamma eviterà l’accertamento.

Tempistiche e aliquote del ravvedimento: Le riduzioni dipendono da quanto tempo passa dalla violazione. Fino al 31/08/2024 valeva la disciplina classica:

  • Ravvedimento sprint: entro 14 giorni – sanzione ridotta giornalmente: 0,1% per giorno di ritardo (equivale a 1/15 di 15% per giorno) . Esempio: 10 giorni di ritardo → 1% di sanzione.
  • Ravvedimento breve (mensile): dal 15° al 30° giorno – sanzione 1,5% (cioè 1/10 del 15%) .
  • Ravvedimento entro 90 giorni: dal 31° al 90° giorno – sanzione 1,67% (1/9 di 15%) .
  • Ravvedimento annuale: entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è avvenuta la violazione – sanzione 3,75% (1/8 del 30%) .
  • Ravvedimento biennale: entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo – sanzione 4,29% (1/7 del 30%) .
  • Ravvedimento ultra-biennale: oltre il termine della dichiarazione successiva (quindi anche fino ai 5 anni) – sanzione 5% (1/6 del 30%) .

Queste percentuali sono riferite all’omesso versamento. Per infedeltà dichiarativa (90%) c’erano analoghe frazioni ma l’orientamento era ravvedere prima di essere scoperti come dichiarazione integrativa spontanea, comunque rari per IVA.

Novità dal 1° settembre 2024: Il D.Lgs. 87/2024 (attuativo della legge delega fiscale) ha modificato il regime sanzionatorio e il ravvedimento. In particolare per omessi versamenti ha abbassato la sanzione base al 25% e rivisto le riduzioni. Dal 1/9/2024 quindi, per violazioni commesse da tale data, il ravvedimento prevede:

  • Entro 14 giorni: sanzione 0,08% al giorno (dallo 0,08% per 1 giorno fino a ~1,17% per 14 gg) . Notare che 0,08% è calcolato come 12,5% * 1/10 * 1/15 , riflettendo che la sanzione base per ≤90gg è ora 12,5% (metà di 25%).
  • Giorni 15-30: 1,25% (cioè 12,5% * 1/10) .
  • Giorni 31-90: 1,39% (12,5% * 1/9) .
  • Oltre 90gg ed entro dichiarazione annuale: 3,125% (25% * 1/8) .
  • Entro dichiarazione anno successivo: 3,57% (25% * 1/7) .
  • Dopo avviso bonario (comunicazione irregolarità, senza PVC): 4,17% (25% * 1/6) .
  • Dopo PVC ma prima di notifica atto: 5% (25% * 1/5) .
  • Dopo notifica avviso preceduto da PVC: 6,25% (25% * 1/4) .

Quest’ultima parte è innovativa: significa che oggi il ravvedimento si estende anche a fasi successive, seppur con sanzioni ridotte molto meno. Ad esempio, se arriva un PVC GdF ma ancora non c’è avviso, pagando tutto si può chiudere con sanzione ridotta al 5% (prima ciò non era ammesso, dopo PVC niente ravvedimento). È una forma di “ravvedimento operoso specialissimo” introdotto per incentivare la sistemazione anche a fronte di controlli avviati, fino a prima della notifica dell’accertamento definitivo.

Dal punto di vista del contribuente, quindi, fintanto che non viene notificato l’atto finale, c’è sempre convenienza a “ravvedersi” per spuntare sanzioni più basse. L’unica accortezza è che se è arrivato un PVC o una comunicazione, l’ufficio magari preferirà fare l’atto e fargli fare adesione; ma la norma ora lo consente, quindi il contribuente potrebbe depositare F24 con 5% e presentarsi con quietanze per far valere l’estinzione.

Nel contesto di registrazioni tardive, spesso il ravvedimento consisterà in:

  • Per fatture attive non registrate: presentare (se necessario) una dichiarazione IVA integrativa per correggere la liquidazione del periodo interessato (se ormai concluso), e versare l’IVA dovuta più sanzione ridotta. Ad esempio, se mi accorgo a ottobre 2025 di aver dimenticato vendite in luglio 2025, potrei includerle nella liquidazione di ottobre come operazioni emerse ora (ci sono modalità tecniche di correzione come il rigo VE24 in dichiarazione annuale). Più efficacemente, potrei fare un’integrativa 2025 nel 2026 per aggiungere quell’IVA (pagando contestualmente sanzioni). L’importante è pagare spontaneamente prima che arrivi l’accertamento.
  • Per fatture passive non registrate: se ancora sono in tempo (cioè entro aprile dell’anno successivo), posso registrarle ed esercitare il diritto in dichiarazione annuale o nella liquidazione di dicembre (c’è una procedura di retro-detraibilità entro il 15 gennaio dell’anno nuovo per le fatture di fine anno ricevute a gennaio). Se invece ho superato i termini, l’unica è rassegnarsi a non detrarre. Il ravvedimento in tal caso consisterebbe nel versare la sanzione formale di €250 ridotta (ad esempio 1/8 = €31 se fatto entro un anno dall’errore). Molti in realtà in questi casi attendono sperando in un’interpretazione evolutiva o un condono di queste detrazioni perdute – ma è incerto.

Ravvedimento speciale e sanatorie: Nel 2023 il legislatore ha offerto un ravvedimento speciale (Legge 197/2022) per violazioni dichiarative riferite fino al 2021, con sanzioni 1/18. Poteva essere usato anche per IVA (ad esempio se nel 2021 uno aveva detratto meno del dovuto e voleva correggere a favore, o viceversa). Tuttavia era limitato alle dichiarazioni presentate, e si è concluso (scadenza versamenti 2023). Inoltre c’è stata una sanatoria violazioni formali (pagando €200 per anno per regolarizzare infrazioni formali commesse fino al 2021). Quest’ultima poteva in teoria coprire le tardive registrazioni se qualificate come formali (e senza impatto su imposta). Dunque, chi nel 2023 ha aderito a tale sanatoria ha potuto “ripulire” eventuali registrazioni fuori termine 2016-2021 pagando €200 ad anno, evitando future sanzioni su quelle (ma non recuperando la detrazione persa, solo immunizzandosi da multe formali).

Al momento (2025) non vi sono sanatorie aperte di quel tipo. Quindi il ravvedimento ordinario rimane la via maestra per regolarizzare.

Di seguito, presentiamo due tabelle che sintetizzano le sanzioni da ravvedimento per un omesso versamento IVA, rispettivamente secondo le regole ante riforma 2024 e post riforma 2024:

Ravvedimento operoso – Violazioni commesse fino al 31/08/2024 (omessi versamenti IVA)

Termine del ravvedimentoSanzione ridotta applicabileNote
Entro 14 giorni dalla scadenza del versamento0,1% per ciascun giorno di ritardo (fino max 1,4%)c.d. “ravvedimento sprint”
Dal 15° al 30° giorno1,5% (1/10 del 15%)c.d. ravvedimento breve
Dal 31° al 90° giorno1,67% (1/9 del 15%)
Entro 1 anno (o dichiarazione annuale)3,75% (1/8 del 30%)
Entro 2 anni (o dichiarazione anno successivo)4,29% (1/7 del 30%)
Oltre 2 anni5,0% (1/6 del 30%)c.d. ravvedimento ultrabiennale

Ravvedimento operoso – Violazioni commesse dal 1/09/2024 (omessi versamenti IVA)

Termine del ravvedimentoSanzione ridotta applicabileNote (sanzione base 25%)
Entro 14 giorni dalla scadenza0,08% per ogni giorno (fino ~1,17% al 14° giorno)Ravvedimento sprint (nuova misura)
Dal 15° al 30° giorno1,25% (1/10 di 12,5%)
Dal 31° al 90° giorno1,39% (1/9 di 12,5%)
Dal 91° giorno ed entro dichiarazione annuale dell’anno violazione3,125% (1/8 di 25%)
Oltre dichiarazione annuale anno violazione (fino a notifica atto)3,57% (1/7 di 25%)
Dopo invio comunicazione irregolarità (36-bis) senza PVC4,17% (1/6 di 25%)Ravvedimento post-comunicazione
Dopo constatazione in PVC ma prima di notifica accertamento5,0% (1/5 di 25%)Ravvedimento post-PVC (novità 2024)
Dopo notifica “schema atto” post-PVC (pre-avviso)6,25% (1/4 di 25%)Ultima chance prima atto definitivo

N.B.: Le percentuali indicano la sanzione calcolata sull’imposta non versata. In caso di ravvedimento relativo a violazioni formali senza imposta (es. mancata registrazione di fatture acquisti senza danno erariale), la sanzione fissa di €250 è riducibile nelle misure generali: 1/9 (€27,78) entro 90gg, 1/8 (€31,25) entro 1 anno, 1/7 (€35,7) entro 2 anni, 1/6 (€41,67) oltre.

Come si vede, il nuovo ravvedimento premia maggiormente i primi 90 giorni e introduce la possibilità di ravvedersi anche dopo l’intervento del Fisco, seppur con riduzioni minori. In ogni caso, il ravvedimento resta la soluzione più conveniente: ad esempio, meglio pagare una sanzione dell’1-5% che attendere un accertamento con sanzione del 90%! Inoltre, il ravvedimento ha riflessi penali positivi: se la violazione configurava reato (es. omesso versamento IVA > soglia), l’integrale pagamento del dovuto con ravvedimento prima dell’apertura del dibattimento penale estingue il reato (art. 13 D.Lgs. 74/2000) , come vedremo.

Definizioni agevolate e sanatorie straordinarie

Nel corso degli anni, il legislatore italiano ha introdotto varie misure di definizione agevolata o sanatorie che consentono ai contribuenti di chiudere le pendenze tributarie a condizioni favorevoli, spesso riducendo sanzioni e interessi. In questa sezione accenniamo a queste possibilità, perché possono offrire soluzioni ulteriori anche a chi ha controversie su accertamenti IVA legati a registrazioni fuori termine.

1. “Rottamazione” delle cartelle esattoriali: Strumento più volte riproposto (da ultimo la Rottamazione-quater nel 2023) che permette di estinguere i debiti affidati all’Agente della Riscossione versando solo il capitale e una quota interessi ridotta, senza sanzioni né interessi di mora. Questa misura riguarda la fase di riscossione. Ad esempio, se un avviso di accertamento IVA è divenuto definitivo e trasmesso a riscossione (cartella/ruolo), con la rottamazione il contribuente può pagare solo l’imposta. Nel caso di registrazioni tardive, se uno ha perso un ricorso e ha un debito in cartella di €10.000 imposta + €9.000 sanzioni + €2.000 interessi, con la rottamazione potrebbe pagare solo €10.000 + un modestissimo aggio. La rottamazione-quater (legge 197/2022) si è chiusa con domanda entro 30/06/2023 per le cartelle 2000-2017 e alcune 2018-2020. Al momento non ce n’è una aperta, ma in futuro non è escluso.

2. Definizione agevolata delle liti pendenti: Nel 2023 è stata data la possibilità di definire con pagamento ridotto le cause tributarie in corso: il contribuente poteva chiudere pagando un importo percentuale del valore della controversia (es. 90% se pendente in primo grado, 40% se aveva vinto in primo e perso in secondo, 15% se aveva già vinto nei primi due gradi, ecc.). Questo ha consentito di chiudere liti IVA a costi ridotti, annullando di fatto sanzioni e interessi in molti casi. Ad esempio, un’impugnazione di un atto su IVA tardiva da €100k, se il contribuente aveva vinto in primo grado, poteva essere definita pagando il 15% (quindi solo €15k) per chiudere. È stata un’opportunità eccezionale prevista dalla L. 197/2022 (scadenza istanze 30/06/2023). Anche qui, attualmente non attiva, ma dimostra che mantenere una lite aperta talvolta può portare a un condono successivo.

3. Sanatoria delle violazioni formali: Richiamata poc’anzi, è stata prevista dall’art. 1 commi 166-173 L. 197/2022 per violazioni formali 2016-2021. Ha permesso, pagando €200, di regolarizzare errori formali (come registrazioni tardive che non incidono su imposta). Chi ne ha fruito si è messo al riparo da quelle sanzioni €250-€2.000. Se il lettore non ne ha approfittato, ormai il termine (31/03/2023 per primo versamento) è passato. Tuttavia, va notato: se in futuro emergesse un controllo su una violazione formale sanata, l’ufficio non può più multare.

4. Ravvedimento speciale: Introdotto dall’art. 1 c.174 L. 197/2022, per le violazioni dichiarative 2021 e precedenti: pagando 1/18 del minimo (quindi 5% per infedeltà) e l’imposta dovuta, in 8 rate fino 2024. Era utile per correggere dichiarazioni dove magari si erano saltate operazioni. Poteva applicarsi pure a IVA (es. non hai dichiarato un imponibile, lo dichiari ora e paghi imposta + 5%). Il termine era il 31/03/2023 (poi prorogato 31/10/2023 per alcuni). Chi l’ha usato ha definito. Ormai non è più utilizzabile, ma potrebbe essercene uno nuovo nel futuro se il fisco replicasse la misura.

5. Altre misure: Ci sono state definizioni agevolate per accertamenti non impugnati (es. riduzione sanzioni se paghi entro tot, oltre all’acquiescenza classica c’era nel 2019 la “pace fiscale” con pagamento del solo tributo per atti 2018). In anni passati condoni veri e propri (es. condono 2002-2003) che però oggi sarebbero in contrasto col diritto UE se riferiti all’IVA (la Commissione mal vede condoni sull’IVA).

6. Transazione fiscale e piano di rientro penale: In ambito penale, ma lo menzioniamo, il D.Lgs. 74/2000 art. 13-bis incentiva l’estinzione del debito tributario anche tardiva per ottenere attenuanti o patteggiamenti. E da ultimo la riforma fallimentare consente nei concordati preventivi di stralciare anche IVA con transazione fiscale (grazie a modifica dell’art. 182-ter L.F.). Ma usciamo dal seminato.

In sintesi, attualmente (settembre 2025) non c’è un condono aperto specifico per le violazioni IVA da registrazioni tardive. Chi ha ricevuto un accertamento deve difendersi con gli strumenti ordinari (ricorso, adesione, ecc.). Chi invece ha solo commesso la violazione ma non è stato ancora accertato, può sperare in qualche sanatoria futura, ma è una scommessa: conviene piuttosto ravvedersi e mettersi in regola.

Va tenuto presente che l’Italia, essendo vincolata alle normative UE sull’IVA, non può liberamente condonare l’IVA non versata senza incorrere in censure europee, a meno di circostanze eccezionali. Ad esempio, il condono tombale del 2003 fu bocciato dalla Corte di Giustizia per la parte IVA. Quindi, eventuali future definizioni si concentreranno su sanzioni e interessi, ma difficilmente abbuoneranno l’imposta dovuta. Questo per avvalorare l’idea che chi ha omesso versamenti è bene che sanì per conto proprio (magari dilazionando col ravvedimento in rate).

Implicazioni penali delle violazioni IVA

Le violazioni tributarie più gravi in materia di IVA possono integrare estremi di reato ai sensi del D.Lgs. 74/2000 (Norme penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto). Dal punto di vista del contribuente-debitore, è fondamentale essere consapevoli di quando un’irregolarità fiscale travalica l’ambito amministrativo e sfocia nel penale, poiché le conseguenze diventano decisamente più serie (processo penale, eventuali pene detentive, fedina penale, ecc.).

Di seguito, esaminiamo i principali reati tributari correlati a condotte IVA, con i loro presupposti essenziali (semplificando per attenerci al nostro tema):

  • Dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 74/2000): reato commesso da chi, al fine di evadere l’IVA, utilizza fatture false (relative operazioni inesistenti) indicandole in dichiarazione per abbattere l’IVA dovuta. Si pensi all’utilizzo di fatture di comodo per ottenere detrazioni fittizie di IVA. Sanzione penale: reclusione da 4 a 8 anni (ridotta da 1.5 a 6 anni se importi fittizi < €100.000) . Soglie: non vi è soglia di punibilità, è reato anche per piccoli importi, ma se >€100k è aggravato . – Questo reato attiene a condotte dolose e non rientra nelle “registrazioni tardive” se non in senso opposto (qui si registra troppo, inventando operazioni).
  • Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3): riguarda chi, con mezzi fraudolenti diversi dalle fatture false (ad es. false rappresentazioni, operazioni simulate, uso di documenti falsi), indica in dichiarazione elementi inferiori al vero o crediti fittizi, superando determinate soglie: imposta evasa > €30.000 e attivo sottratto >5% di quello dichiarato o >€1.5 milioni . Pena 3-8 anni . – Anche questo implica comportamenti ingannevoli; non tipicamente collegato a registrazioni tardive se queste sono frutto di negligenza e non di un piano fraudolento con artifici.
  • Dichiarazione infedele (art. 4): è il reato di dichiarazione annuale infedele per chi, con dolo, indica nelle dichiarazioni elementi attivi inferiori al reale o elementi passivi fittizi tali da superare due soglie: imposta evasa > €100.000 e ricavi non dichiarati >10% di quelli dichiarati o comunque > €2 milioni . Pena: reclusione 2 – 4 anni e 6 mesi . – Esempio: un’azienda che occulta vendite per €5 milioni su €10 dichiarati evadendo €600k di IVA, ricade in questa fattispecie. Nel nostro contesto, se le registrazioni tardive di vendite portano a dichiarazioni IVA infedeli sopra soglia (e fatte con dolo, cioè volontà di evadere), potrebbe scattare questo reato. Ma attenzione: la giurisprudenza richiede il dolo specifico di evasione. Se il contribuente dimostra che l’omissione fu colposa (negligenza), non c’è reato (resta sanzione amministrativa). Tuttavia, la linea di confine è sottile: difficilmente evadi oltre €100k di IVA “per sbaglio”. Comunque, le soglie moderano: se l’IVA evasa con tardive registrazioni è sotto €100k, penalmente non è infedele (resta illecito amm.). Per una PMI, €100k IVA evasa significa ~€455k di imponibile non dichiarato (aliquota 22%).*
  • Omessa dichiarazione (art. 5): punisce chi omette di presentare la dichiarazione IVA (o reddituale) entro i termini con imposta evasa > €50.000. Pena 2 – 5 anni . – Se uno non presenta proprio la dichiarazione IVA e doveva versare >€50k, è reato. Questo scenario è più grave di tardive registrazioni; qui non c’è registrazione tardiva, c’è proprio assenza di dichiarazione. Però potrebbe succedere: soggetto in crisi non presenta dichiarazione IVA per non evidenziare debito. Se quell’anno c’era IVA a debito > 50k, è reato. Questo è un reato “di pericolo” formale: il dolo è intrinseco nell’omissione cosciente.
  • Emissione di fatture false (art. 8): punisce chi emette fatture per operazioni inesistenti per permettere ad altri di evadere. Pena 4 – 8 anni (ridotta 1.5 – 6 anni se importi < €100k) . – Non riguarda il contribuente che usiamo come esempio (sarebbe il “fornitore compiacente” nel giro di false fatture).
  • Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10): reato commesso da chi nasconde o distrugge libri, registri o documenti fiscali, in modo da non consentire la ricostruzione del volume d’affari, al fine di evadere l’IVA o altri tributi. Pena 3 – 7 anni . – Questo potrebbe tangere il nostro caso se qualcuno, per occultare vendite, tenesse doppia contabilità e registrasse fuori termine o per nulla le fatture, distruggendo i documenti originali. Ad esempio, se si scopre che Tizio ha fatto sparire alcune fatture di vendita per non pagarci l’IVA (magari le emetteva e non le annotava, nascondendo le copie), oltre all’evasione potrà risponderne ex art. 10. Non ci sono soglie per questo reato, basta il dolo di evasione e l’effetto di impedire i controlli.
  • Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis) e Omesso versamento IVA (art. 10-ter): Queste due fattispecie puniscono il mancato pagamento di imposte dichiarate.
  • Art. 10-bis: omesso versamento di ritenute operate su stipendi, se >€150.000 per anno . Riguarda sostituti d’imposta (non IVA).
  • Art. 10-ter: omesso versamento dell’IVA dichiarata, se l’ammontare supera €250.000 per periodo d’imposta . Pena per entrambi: reclusione 6 mesi – 2 anni . – Questo è cruciale: se un contribuente compila regolarmente la dichiarazione IVA annuale, indica magari un debito IVA di €300.000 ma poi non lo paga (in tutto o in parte) entro il termine (che la norma fissa al termine per l’acconto dell’anno successivo, in pratica il 27 dicembre successivo), commette reato art. 10-ter per la parte oltre €250k non versata. Per tardive registrazioni: se uno ritarda registrando vendite, in genere non dichiara quell’IVA, dunque casomai è dichiarazione infedele. L’art. 10-ter invece copre chi dichiara ma non versa. Tuttavia, ipotizziamo un caso: contribuente dichiara tutto, ha debito €270k, paga solo €10k e “salta” €260k -> reato omesso versamento IVA per quei €260k (sopra soglia 250). Invece se tardivamente registra e versa quell’IVA l’anno dopo, formalmente l’anno originario ha omesso di versare €X. Se quell’X fosse >€250k e lui poi lo versa oltre soglia… complicato dire, in genere quell’anno non l’ha dichiarato, dunque rientra in art.4 potenzialmente, non art.10-ter.
  • Nota su soglie: la soglia di €250k per omesso IVA è stata innalzata da €50k originari a €250k nel 2015. Si era ipotizzato di ridurla a €150k nel 2020 ma non attuato , e con la riforma 2024 è rimasta €250k .
  • Indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti (art. 10-quater): punisce chi non versa tributi usando in compensazione crediti non spettanti > €50k (pena 6 mesi – 2 anni) o crediti inesistenti > €50k (pena 1.5 – 6 anni) . – Esempio: uso un credito IVA fittizio o di anni passati decaduto per non pagare IVA attuale. Nel contesto delle registrazioni tardive, potrebbe configurarsi se qualcuno, perdendo il diritto a detrazione su una fattura perché registrata tardi, nonostante ciò compensasse quel credito nell’F24. Sapendo di non avere più diritto ma compensando lo stesso, starebbe usando un credito non spettante; oltre alla sanzione 90%, se >€50k sarebbe reato art. 10-quater, comma 1 (non spettante). Se addirittura si inventasse il credito (fatture false) sarebbe comma 2 (inesistente). Quindi, attenzione: compensare crediti IVA inesistenti o decaduti può portare a rilevanza penale.
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11): punisce chi, per sottrarsi al pagamento di imposte (anche IVA) già dovute e accertate, compie atti fraudolenti sui propri beni (es. li intesta ad altri) per rendere inefficace la riscossione, se il debito superava €50k (pena 6 mesi – 4 anni, aggravata 1-6 anni se debito >€200k) . – Non riguarda direttamente la dichiarazione/registrazione, ma è un reato connesso alla fase di recupero: se dopo l’accertamento Tizio nasconde i suoi beni per non farli pignorare, commette questo reato.

In definitiva, per un contribuente che abbia problemi di registrazioni IVA tardive, i reati più pertinenti da tenere a mente sono:

  • Dichiarazione infedele (art.4) se l’IVA evasa per dichiarazioni incomplete supera €100.000 (e il 10% del dichiarato).
  • Omesso versamento IVA (art.10-ter) se al contrario ha dichiarato l’IVA ma non l’ha pagata per oltre €250.000.
  • Occultamento di documenti contabili (art.10) se la tardiva registrazione era parte di un disegno per nascondere le scritture.
  • Indebita compensazione (art.10-quater) se ha “recuperato” crediti IVA non più spettanti compensandoli.

Va sottolineato che questi reati richiedono l’elemento soggettivo del dolo: ossia la volontà di evadere. Nel caso di omessi versamenti (10-ter) il dolo è generico (consapevole non pagamento). Per la dichiarazione infedele, è dolo specifico di evadere. Dunque, se le registrazioni tardive sono occasionali, dovute a trascuratezza e di importo non enorme, è improbabile una contestazione penale. Spesso, ad esempio, una PMI può omettere €30k di IVA, avrà sanzioni ma non reato (sotto soglia).

Cosa succede se c’è rilevanza penale? Se l’ufficio tributario ravvisa un reato (tipicamente infedele o omesso versamento), deve fare una denuncia alla Procura. Partirà parallelo un procedimento penale. L’accertamento amministrativo va avanti indipendentemente: il contribuente pagherà (salvo eventuale sospensione in attesa esito penale in rarissimi casi di conflitto). Nel penale, se viene rinviato a giudizio e processato, rischia in teoria la reclusione, ma va detto che per molti reati tributari, specie infedele e omessi versamenti, spesso si punta a patteggiamento o sospensione condizionale, specie se è incensurato e se provvede a saldare il debito. Pagare il dovuto, infatti, giova enormemente.

L’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede una causa di non punibilità per alcuni reati tributari, tra cui l’omesso versamento IVA, se prima del processo (precisamente prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado) il contribuente paga integralmente l’imposta dovuta, interessi e sanzioni amministrative . In tal caso, il reato è estinto. Per la dichiarazione infedele/fraudolenta e l’omessa dichiarazione, il pagamento integrale comporta solo attenuanti, ma non estinzione, a meno che intervenga prima che l’autore venga a conoscenza di verifiche (in quel caso può operare la non punibilità per “pentimento operoso” ex art. 13 co.2, introdotto nel 2019).

Inoltre, novità del 2023: è stata estesa la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) anche ai reati tributari, con certi limiti, per cui se l’evasione è di poco sopra soglia e il comportamento non è abituale, il giudice può dichiarare non punibile il fatto per tenuità (questo è in evoluzione, introdotto col D.Lgs. 24/2024).

Riassumendo consigli pratici lato contribuente:

  • Monitorare le soglie: se si profila che l’IVA non dichiarata o non versata supera le soglie penali, agire immediatamente (ravvedimento, pagamento) per rientrare sotto. Ad esempio, se verso una parte e scendo sotto 250k di omesso versamento entro la scadenza di dicembre, evito il reato 10-ter.
  • Pagare prima possibile: se malauguratamente scatta un procedimento penale, presentarsi avendo già pagato tutto (magari sfruttando il periodo delle indagini preliminari per farlo) è la migliore linea difensiva, perché consente spesso l’archiviazione per non punibilità (per i reati omissivi) o comunque evita misure cautelari e facilita patteggiamenti.
  • Assistere il procedimento penale con un legale esperto: far valere l’assenza di dolo specifico se si trattava di disorganizzazione, ecc.
  • Attenzione alle condotte successive: non aggravare la posizione compiendo atti per sottrarsi alla riscossione (che porterebbero nell’art.11), ma piuttosto cercare accordi con l’erario (rateizzazioni, etc.). Anche perché l’avvio di un piano di rateazione ed il pagamento regolare delle rate è visto come segno di ravvedimento attivo apprezzato in sede penale.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende esattamente per “registrazioni IVA fuori termine”?
R: Si intendono le annotazioni di fatture nei registri IVA effettuate oltre i termini previsti dalla legge. Ad esempio, per una fattura di vendita emessa a dicembre, registrarla nell’anno successivo; oppure per una fattura di acquisto ricevuta in un dato anno, annotarla dopo il termine di presentazione della dichiarazione IVA di quell’anno (generalmente oltre il 30 aprile dell’anno successivo). In sostanza, è una registrazione tardiva rispetto alle scadenze di legge, che può comportare la non corretta liquidazione dell’IVA nel periodo di competenza.

D: Quali sono i termini di registrazione delle fatture IVA (attive e passive)?
R: In sintesi: le fatture di vendita vanno registrate entro 15 giorni dall’emissione e comunque nel mese di effettuazione dell’operazione (per fatture differite, entro il 15 del mese successivo all’operazione). Le fatture di acquisto devono essere registrate entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale IVA dell’anno in cui sono state ricevute (quindi, di regola, entro il 30 aprile dell’anno successivo) e comunque prima della liquidazione periodica in cui si intende detrarre l’IVA . Per esempio, una fattura d’acquisto datata e ricevuta nel 2024 va registrata entro il 30 aprile 2025 con riferimento al 2024 per poterne detrarre l’IVA nell’anno 2024.

D: Cosa succede se registro in ritardo una fattura di acquisto? Posso ancora detrarre l’IVA?
R: Secondo l’interpretazione attuale dell’Agenzia delle Entrate, no. Se la fattura d’acquisto non è registrata entro il termine della dichiarazione annuale dell’anno di competenza, il diritto alla detrazione di quell’IVA si considera decaduto e l’IVA diventa indetraibile . Non è consentito recuperarla in dichiarazioni successive tramite integrativa a favore (a meno che la fattura fosse stata comunque registrata nei termini e solo omessa in dichiarazione per errore materiale) . In pratica l’IVA rimane a carico del contribuente. Inoltre, viene comminata una sanzione amministrativa per irregolare tenuta dei registri (violazione formale) da €250 a €2.000 . Questa sanzione può essere ridotta tramite ravvedimento operoso. Si tratta di una posizione molto restrittiva: in dottrina e giurisprudenza UE si sostiene che un mero ritardo, senza frode, non dovrebbe far perdere il diritto, ma allo stato attuale l’amministrazione finanziaria italiana adotta la linea del rigore, contestando la detrazione tardiva come non ammessa .

D: E se registro in ritardo una fattura di vendita (con IVA a debito)?
R: In tal caso hai temporaneamente omesso di dichiarare e versare l’IVA su quella operazione nel periodo corretto. L’IVA è comunque dovuta al Fisco per il periodo originario. Se non ti ravvedi spontaneamente, l’Agenzia delle Entrate, appena rileva l’irregolarità (es. incrociando i dati delle fatture elettroniche o tramite verifica), emetterà un avviso di accertamento per l’anno in cui l’IVA era esigibile, chiedendo il pagamento dell’imposta non versata, con interessi e sanzione pari al 90% dell’imposta (sanzione per dichiarazione infedele) . Pagherai dunque la differenza di IVA più una multa salata, salvo riduzioni se definisci l’accertamento per adesione/acquiescenza. Se invece ti accorgi tu dell’errore prima, puoi effettuare un ravvedimento operoso: verserai l’IVA dovuta con interessi e sanzioni ridotte (ad esempio, se paghi entro 30 giorni dal termine, solo l’1,5% invece del 30%/90% previsto) . In sintesi: l’IVA sulle vendite va sempre versata; un ritardo comporta sanzioni crescenti col tempo, e se elevato importo può configurare reato (dichiarazione infedele oltre soglia).

D: Qual è la soglia oltre la quale il mancato versamento dell’IVA diventa un reato?
R: Il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) scatta se l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale non viene versata, in tutto o in parte, per un importo superiore a €250.000 per periodo d’imposta . La soglia va valutata dopo la scadenza del termine di versamento (attualmente, il 27 dicembre dell’anno successivo, termine versamento acconto). Ad esempio, IVA 2024 dichiarata e non versata per €300k integra il reato. Nota: questo reato riguarda l’IVA dichiarata ma non pagata. Invece, se l’IVA non è neanche dichiarata (operazione omessa dalla dichiarazione), il reato ipotizzabile diventa dichiarazione infedele (art.4) se supera €100.000 di imposta evasa e gli altri parametri . Dunque: soglia €250k per omesso versamento dichiarato; €100k (con ulteriori condizioni) per omessa dichiarazione di operazioni (infedele).

D: Cosa posso fare se ricevo un avviso di accertamento IVA per queste ragioni?
R: Hai diverse opzioni: – Accertamento con adesione: puoi presentare istanza entro 30 giorni e aprire un dialogo con l’ufficio. Se trovi un accordo, paghi l’imposta (eventualmente ridotta se emergono errori dell’ufficio) e le sanzioni al 1/3 . È utile per ridurre le sanzioni ed evitare il ricorso. – Acquiescenza: se l’atto è corretto e non vuoi contestare, pagando entro 60 giorni ottieni comunque la riduzione delle sanzioni a 1/3 . – Ricorso in Commissione Tributaria: entro 60 giorni puoi impugnare l’accertamento se ritieni sia illegittimo o infondato. In tal caso preparerai un ricorso motivato (meglio farti assistere da un avvocato tributarista o commercialista). Durante il processo potresti anche tentare una conciliazione. Il ricorso è consigliabile se hai argomenti validi di difesa, ad esempio: l’ufficio non ha tenuto conto che quell’IVA l’avevi comunque versata anche se in ritardo (quindi contestazione in parte infondata), oppure vuoi far valere i principi UE sulla detrazione tardiva. Ricorda però che il ricorso non ferma automaticamente la riscossione di 1/3 del tributo, a meno di sospensiva. – Piano rateale: sia in adesione che dopo un eventuale giudizio, puoi rateizzare (adesione: fino 8 rate trimestrali; in fase di riscossione: piani fino a 72 rate mensili, o 120 se difficoltà). Questo per gestire l’esborso.

In breve, se l’accertamento è errato contestalo (ricorso); se è corretto ma oneroso cerca l’adesione per ridurre sanzioni; se è modesto valuta acquiescenza per chiuderla presto.

D: Il ravvedimento operoso vale anche se mi sono già accorto tardi (tipo un anno dopo)?
R: Sì. Puoi ravvederti finché l’ufficio non ti contesta formalmente la violazione (niente accertamento notificato, niente PVC ricevuto). Anche a distanza di anni: il ravvedimento “ultrannuale” è possibile (fino a 5 anni e oltre). Ovviamente l’aliquota di sanzione ridotta aumenta col tempo, ma rimane sempre molto più bassa delle sanzioni piene. Ad esempio, se ti accorgi oggi nel 2025 di un’omissione del 2023, puoi ancora ravvederti: pagherai il tributo dovuto, interessi legali dal 2023 e la sanzione ridotta (che ad esempio è il 4,29% se entro la dichiarazione dell’anno successivo, oppure 5% se oltre ). Anche dopo 5 anni, tecnicamente potresti ravvederti (finché non è decaduto il potere di accertamento). Dal 2024, il ravvedimento è stato esteso persino alle fasi successive (post-PVC, con riduzione minore) . Quindi, meglio tardi che mai: ravvedersi è quasi sempre consigliabile finché sei “scoperto”.

D: Ho dimenticato di registrare una fattura ma comunque l’IVA di quell’operazione l’ho versata in qualche modo: rischio lo stesso?
R: Situazione peculiare. Se si tratta di una fattura attiva: per esempio, hai emesso fattura a dicembre ma non registrata, però hai comunque versato l’IVA magari perché hai incluso l’importo nel totale versato (può capitare se tieni contabilità extracontabile). In tal caso non c’è danno erariale – potresti incorrere solo in una sanzione formale per irregolare tenuta registri (€250-2.000). Dovresti regolarizzare registrando comunque la fattura (in modo tardivo) e magari ravvedere la sanzione formale. Se invece è fattura passiva e tu, nonostante non l’avessi registrata, hai detratto quell’IVA (ipoteticamente indicando a mano in dichiarazione un credito extra), allora hai esercitato una detrazione senza registrazione: formalmente è scorretto e l’ufficio potrebbe contestarla come indebita detrazione con sanzione 90%. Dovrai dimostrare che avevi la fattura e diritto, ma l’omessa registrazione gioca a sfavore. Se invece non l’hai registrata e non l’hai detratta (quindi hai versato più IVA di quanto avresti dovuto), come detto sei tu ad averci rimesso: niente imposta evasa, solo violazione formale che puoi chiudere con €250 (ridotti).

D: Se commetto queste violazioni, rischio l’arresto?
R: Solo nei casi più gravi che integrano reato e superano le soglie viste. Ad esempio, se hai evaso intenzionalmente IVA per centinaia di migliaia di euro (dichiarazione infedele sopra soglia) o non hai versato oltre 250k di IVA dichiarata, è possibile un procedimento penale. La pena massima prevista per questi reati va da 2 a 6-8 anni a seconda (infedele: max 4 anni e 6 mesi; omesso versamento: max 2 anni). In pratica, per un incensurato, è più probabile una pena sospesa o patteggiata. Ma il procedimento penale è comunque un’esperienza seria (sequestri preventivi sui beni a garanzia del credito erariale, ecc.). Nella stragrande maggioranza dei casi di piccole/medie imprese con ritardi IVA, non si arriva al penale perché non si raggiungono le soglie o manca il dolo. Il sistema penale è pensato per colpire i grandi evasori o le frodi (fatture false, frodi carosello, ecc.). In ogni caso, se c’è rischio penale, come già detto la mossa migliore è correre a pagare il dovuto: la legge prevede la non punibilità se paghi prima del dibattimento per omesso versamento , e attenuanti forti per infedele. Quindi puoi evitare condanne saldando. Anche per questo conviene anticipare col ravvedimento: non solo eviti l’accertamento, ma ti metti al riparo dal penale.

D: Come si possono prevenire queste problematiche di registrazione tardiva?
R: Organizzazione e controllo interno. Alcuni consigli: – Adottare procedure contabili che garantiscano la registrazione tempestiva (ad es. controllare a fine mese che tutte le fatture emesse siano state riportate; per acquisti, tenere un registro di protocollazione in ingresso e a fine anno verificare di aver registrato tutti i documenti ricevuti). – Utilizzare software gestionali che segnalano anomalie (molti ERP possono evidenziare se una fattura elettronica ricevuta non è stata ancora registrata). – Formare adeguatamente il personale amministrativo sulle scadenze IVA. – Effettuare delle “mini-audit” interni periodici: ad esempio, a fine anno controllare se ci sono fatture datate nell’anno non ancora registrate. – Per le fatture d’acquisto a cavallo d’anno, ricordare che si può detrarre entro aprile dell’anno successivo; passato quel termine, considerare se conviene richiedere al fornitore una nota di variazione (non sempre possibile) o comunque segnarsi di non usare quel credito. – In caso di dubbi, rivolgersi a un commercialista prima che scadano i termini annuali: spesso recuperare entro aprile via dichiarazione annuale è l’ultima chiamata.

Inoltre, monitorare le comunicazioni trimestrali IVA e il portale Fatture&Corrispettivi: l’Agenzia mette a disposizione i dati delle fatture, quindi un confronto tra le fatture risultanti al SdI e quelle registrate può svelare discrepanze da correggere prima che lo faccia il Fisco.

D: Le contestazioni sulle registrazioni tardive riguardano solo l’IVA o anche le imposte sui redditi?
R: Principalmente l’IVA, perché è imposta di periodo con meccanismi di detrazione immediata legati alla registrazione. Tuttavia, la registrazione tardiva di un costo (fattura acquisto) può incidere anche sul reddito d’impresa: se la fattura di acquisto di competenza 2023 la registro nel 2024, rischio di perdermi non solo la detrazione IVA, ma anche la deduzione del costo nell’anno corretto (per i redditi conta la competenza economica, non la registrazione, ma l’onere della prova del costo può risultare difficile se non l’hai registrato nelle scritture del 2023). Il Fisco potrebbe dire: “nel bilancio 2023 non c’è quel costo, quindi non è deducibile in 2023, e in 2024 è fuori competenza”. Quindi, c’è un riflesso anche in ambito imposte dirette. In pratica, un’acquisizione non contabilizzata a tempo debito può farti perdere la deduzione. Dovrai magari rettificare il bilancio precedente. Ci sono però margini in ambito redditi (p.es. il principio di derivazione contabile e norme sul errore contabile). Ma ecco, un motivo in più per stare attenti: non è solo l’IVA, potresti pagare più IRES/IRPEF perché hai “dimenticato” un costo nell’anno giusto. Quindi le registrazioni tardive vanno evitate per non complicare tutta la fiscalità dell’azienda.

Conclusioni

Le registrazioni IVA effettuate oltre i termini di legge costituiscono molto più di una semplice irregolarità formale: possono pregiudicare diritti del contribuente (come la detrazione dell’IVA sugli acquisti) e nel contempo esporlo a sanzioni e recuperi d’imposta significativi. Dal punto di vista del debitore-contribuente, è essenziale comprendere sia gli obblighi stringenti imposti dalla normativa IVA italiana sia i propri diritti e strumenti di tutela in caso di contestazione.

Abbiamo visto che l’Agenzia delle Entrate, specie negli ultimi anni, adotta un approccio rigoroso: la tempestività della registrazione delle fatture viene considerata un elemento sostanziale per la spettanza della detrazione . Ciò impone ai contribuenti un elevato standard di diligenza nella gestione contabile. Allo stesso tempo, esistono principi di rango superiore (comunitari e costituzionali) che tutelano la neutralità dell’IVA e la capacità contributiva, principi che il contribuente può far valere in sede di difesa.

In caso di accertamento, il contribuente non è privo di risorse: dagli istituti deflattivi (ravvedimento operoso, adesione) al ricorso giurisdizionale, passando per eventuali sanatorie, vi sono vie percorribili per ridurre l’impatto economico dell’irregolarità e, ove possibile, far valere le proprie ragioni. Fondamentale è agire con tempestività: ad esempio, un ravvedimento operoso effettuato prima che l’ufficio si muova può letteralmente fare la differenza tra una piccola multa e un accertamento ben più oneroso, o perfino tra un illecito amministrativo e uno penale.

Questa guida ha fornito un quadro avanzato e aggiornato al 2025 delle problematiche e delle soluzioni relative agli accertamenti IVA per registrazioni tardive, con riferimenti a normativa, prassi e giurisprudenza recente. Il consiglio finale per imprenditori, professionisti e avvocati che assistono contribuenti è di mantenere sempre alta l’attenzione sulla compliance IVA, investendo in sistemi di controllo interno, e in caso di errore di non aspettare: porvi rimedio subito costa molto meno che affrontare un contenzioso tributario.

In conclusione, “come difendersi” da queste contestazioni significa innanzitutto prevenire l’errore (con organizzazione e formazione), e laddove l’errore avvenga comunque, giocare d’anticipo utilizzando gli strumenti normativi a disposizione per regolarizzare la posizione o per contestare eventuali pretese illegittime. Con la giusta strategia, è possibile limitare i danni e riportare la propria posizione fiscale sul binario corretto, tutelando al contempo la propria attività e il proprio patrimonio dagli effetti di errori gestionali o interpretazioni sfavorevoli delle norme.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la registrazione tardiva delle fatture IVA? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la registrazione tardiva delle fatture IVA?
Vuoi sapere cosa rischi e come predisporre una difesa efficace?

👉 Prima regola: dimostra che il ritardo nelle registrazioni non ha inciso sulla corretta liquidazione e versamento dell’imposta e che non vi è stato alcun intento evasivo.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Fatture emesse registrate oltre i termini previsti;
  • Fatture di acquisto annotate tardivamente nei registri IVA;
  • Ritardi nelle liquidazioni periodiche IVA;
  • Errori formali nelle date di registrazione rispetto alla data di emissione o ricezione;
  • Anomalie riscontrate nei controlli incrociati tra SdI (Sistema di Interscambio) e registri IVA.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Sanzioni amministrative per violazione degli obblighi di registrazione;
  • Interessi di mora in caso di ritardato versamento dell’IVA;
  • Indetraibilità dell’IVA se l’Agenzia considera il ritardo rilevante ai fini sostanziali;
  • Possibile contestazione di dichiarazione infedele;
  • Maggiori controlli negli anni successivi.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • La tardiva registrazione ha effettivamente comportato evasione o minore versamento IVA?
  • I versamenti IVA periodici erano comunque corretti e puntuali?
  • I ritardi riguardano poche operazioni o situazioni ricorrenti?
  • Le fatture tardive erano comunque comunicate tramite SdI?
  • L’accertamento è motivato su elementi concreti o solo su presunzioni formali?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Registri IVA vendite e acquisti;
  • Copia delle fatture contestate con data di trasmissione SdI;
  • Liquidazioni periodiche IVA (LIPE) e F24 di versamento;
  • Dichiarazioni IVA annuali;
  • Comunicazioni di irregolarità già ricevute e risolte.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare che il ritardo è stato solo formale e non ha comportato evasione;
  • Contestare l’indetraibilità dell’IVA se i requisiti sostanziali erano rispettati;
  • Evidenziare la buona fede e l’assenza di vantaggi fiscali indebiti;
  • Richiedere la riduzione delle sanzioni tramite il ravvedimento operoso;
  • Presentare istanza di annullamento in autotutela se la documentazione era già agli atti;
  • Ricorrere alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni in caso di accertamento ingiustificato.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le registrazioni contestate e i flussi IVA;
📌 Verifica se le sanzioni sono legittime o sproporzionate;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per rispettare i termini di registrazione ed evitare nuove contestazioni.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e IVA;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su registrazioni tardive e adempimenti IVA;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Gli accertamenti IVA per registrazioni fuori termine non sempre sono fondati: spesso derivano da meri errori formali senza impatti sostanziali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare l’assenza di evasione, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare ulteriori contestazioni.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti IVA per registrazioni tardive inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!