Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per aver venduto un immobile a un prezzo ritenuto incongruo rispetto al valore di mercato? In questi casi, l’Ufficio presume che il corrispettivo dichiarato nell’atto sia inferiore a quello effettivamente percepito, con conseguente occultamento di ricavi o plusvalenze. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, sanzioni elevate e, nei casi più seri, anche contestazioni penali. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con una difesa ben strutturata è possibile dimostrare la correttezza del prezzo dichiarato o ridurre sensibilmente le pretese del Fisco.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta la vendita di immobili a prezzo incongruo
– Se il prezzo dichiarato è inferiore ai valori OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare)
– Se vi sono scostamenti rilevanti rispetto ai prezzi di mercato nella stessa zona
– Se emergono incongruenze tra il valore catastale rivalutato e il corrispettivo indicato nell’atto
– Se l’Ufficio presume che parte del prezzo sia stata corrisposta “in nero”
– Se vengono riscontrati rapporti di parentela o collegamenti societari tra venditore e acquirente
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione della maggiore plusvalenza ritenuta realizzata
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Possibile riqualificazione dell’operazione come elusiva o simulata
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o occultamento di ricavi
Come difendersi dall’accertamento
– Dimostrare la correttezza del prezzo di vendita con perizie di stima indipendenti
– Produrre documentazione su stato dell’immobile, lavori necessari, vincoli urbanistici o condizioni particolari che abbiano inciso sul valore
– Contestare l’uso dei valori OMI se adottati come unica base presuntiva senza ulteriori elementi concreti
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione dell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre l’impatto di sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare gli atti di compravendita e la documentazione a supporto del prezzo dichiarato
– Verificare la legittimità della contestazione e l’uso corretto dei valori OMI da parte dell’Ufficio
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e giurisprudenza favorevole
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e immobiliare da richieste fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione di sanzioni e interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della correttezza del prezzo dichiarato
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: la vendita di immobili a prezzi ritenuti incongrui è una delle aree più contestate dal Fisco, che utilizza i valori OMI come strumento di accertamento. È fondamentale predisporre una difesa solida e ben documentata per evitare conseguenze fiscali e penali sproporzionate.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e immobiliare – spiega come difendersi in caso di accertamento fiscale per vendita di immobili a prezzo incongruo e quali strategie adottare per tutelare i tuoi interessi.
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Introduzione
L’accertamento fiscale sul prezzo di vendita di un immobile scatta quando l’Agenzia delle Entrate (talvolta con l’ausilio della Guardia di Finanza) ritiene che il corrispettivo dichiarato in atto sia significativamente inferiore al reale valore di mercato (valore venale). In questi casi l’Amministrazione finanziaria può rettificare la base imponibile della compravendita, rideterminando il valore dell’immobile e richiedendo il pagamento di maggiori imposte (registro, ipotecarie, catastali, IVA) oltre a sanzioni e interessi . Dal punto di vista del debitore d’imposta – ossia del contribuente venditore (o acquirente, a seconda del tributo) che si vede contestare un valore più alto – è fondamentale conoscere i limiti legali a tali accertamenti e le strategie difensive disponibili. Nel 2025 la materia risulta aggiornata da riforme normative e importanti pronunce giurisprudenziali: oggi il semplice scostamento tra prezzo dichiarato e valore di mercato (ad es. valori OMI) non costituisce di per sé prova sufficiente di un maggior valore . Servono invece elementi indiziari gravi, precisi e concordanti a sostegno della pretesa fiscale, altrimenti l’accertamento può essere annullato in sede contenziosa .
In questa guida approfondiremo cos’è l’accertamento per prezzo incongruo, quando può avvenire, la normativa italiana di riferimento, il ruolo di strumenti come le quotazioni OMI e la regola del “prezzo-valore”, nonché le ultime sentenze in materia. Adotteremo un taglio avanzato ma con linguaggio chiaro, adatto sia a professionisti (avvocati, commercialisti) sia a privati e imprenditori coinvolti in compravendite immobiliari. Verranno presentate tabelle riepilogative, sezioni di Domande e Risposte, ed esempi pratici (simulazioni reali) per illustrare come il contribuente possa difendersi efficacemente. Il punto di vista adottato è quello del contribuente accertato (debitore), evidenziando i suoi diritti e le possibili linee difensive. Infine, tutte le fonti normative e giurisprudenziali più autorevoli utilizzate sono elencate in fondo alla guida.
Cos’è l’accertamento sul valore di un immobile
Definizione: L’accertamento di valore (o rettifica del valore di compravendita) è il procedimento mediante il quale l’Amministrazione finanziaria ridetermina il valore imponibile di un immobile compravenduto, ritenendo il prezzo dichiarato in atto “troppo basso” rispetto al valore normale di mercato . In pratica, l’Ufficio confronta il corrispettivo dichiarato con parametri oggettivi (vendite similari, quotazioni, perizie, ecc.) e, se riscontra un’incongruenza significativa, notifica al contribuente un avviso di rettifica e liquidazione (per le imposte d’atto) o un avviso di accertamento (per imposte sui redditi/IVA) con cui aumenta la base imponibile al valore stimato e richiede le relative imposte aggiuntive . Ad esempio, se in un rogito è indicato un prezzo di €100.000 ma secondo l’Agenzia l’immobile vale €150.000, quest’ultima può ricalcolare le imposte dovute su €150.000, richiedendo la differenza d’imposta, oltre a sanzioni e interessi.
Base giuridica: In Italia la base normativa è duplice, a seconda del tipo di imposta coinvolta:
- Per le imposte indirette (registro, ipotecaria, catastale), gli art. 51 e 52 del DPR 131/1986 disciplinano la determinazione del valore dei beni trasferiti. In generale, il valore dichiarato dalle parti è assunto come base, ma l’ufficio può controllare il valore di mercato (valore venale in comune commercio) avvalendosi di criteri comparativi, capitalizzazione dei redditi, e ogni altro elemento di valutazione . Se ritiene che il valore venale sia superiore al prezzo dichiarato, l’Ufficio notifica la rettifica indicando il valore attribuito e gli elementi utilizzati (es. vendite comparabili, perizie, quotazioni) . Questo avviso di rettifica deve essere adeguatamente motivato (art. 52 DPR 131/1986) e, se fa riferimento a perizie o atti non noti al contribuente, questi devono essere allegati . L’omessa indicazione di fatti e ragioni giuridiche nella motivazione rende nullo l’accertamento .
- Per le imposte dirette (redditi d’impresa o plusvalenze) e per l’IVA, storicamente l’art. 39, c.1, DPR 600/1973 (per le imposte sui redditi) e l’art. 54 DPR 633/1972 (IVA) prevedevano una presunzione secondo cui il corrispettivo dichiarato doveva corrispondere al “valore normale” del bene. Dal 2006, con il decreto “Bersani” (DL 223/2006), si era introdotta addirittura una presunzione legale relativa di cessione al valore normale per gli immobili . Tuttavia, tale presunzione è stata abolita con effetto retroattivo dalla Legge Comunitaria 2008 (L. 88/2009) , in seguito a rilievi della UE sull’incompatibilità di accertamenti automatici basati sul valore normale . Oggi dunque non esiste più una presunzione legale di corrispondenza prezzo=valore di mercato: lo scostamento di prezzo è solo un’indicazione che va supportata da ulteriori prove . L’ufficio, ai fini IRPEF/IRES o IVA, può comunque procedere ad accertamento analitico-induttivo o induttivo se ritiene sottofatturati i corrispettivi, ma dovrà costruire un quadro probatorio solido (come vedremo) e dimostrare l’eventuale maggior ricavo non dichiarato.
Chi interviene: L’accertamento di valore è effettuato dall’Agenzia delle Entrate, oggi integrata con le funzioni dell’ex Agenzia del Territorio (che gestiva la banca dati dei valori OMI). Le segnalazioni possono nascere anche da verifiche della Guardia di Finanza (specialmente se vi sono profili di evasione più ampia o reati tributari). In caso di vendite a prezzo anomalo tra parti correlate (es. società e socio, vendite intra-gruppo) possono attivarsi anche controlli mirati anti-elusione o indagini finanziarie sui conti correnti per reperire evidenze di pagamenti non dichiarati . Il provvedimento che il contribuente riceve di solito è un “avviso di rettifica e liquidazione” (per imposta di registro) oppure un avviso di accertamento (per IVA e imposte sui redditi); talvolta entrambi, se l’operazione incide su più tributi.
Effetti per il contribuente: Il ricevimento di un tale avviso comporta la qualifica di debitore d’imposta per le somme aggiuntive richieste. È importante sottolineare che l’accertamento di valore, di per sé, non annulla la vendita (il contratto resta valido tra le parti) ma incide solo sul trattamento fiscale: il contribuente dovrà pagare le imposte calcolate sul valore accertato salvo che riesca a far annullare o ridurre l’atto impositivo tramite gli strumenti di difesa (adesione o ricorso). Nel frattempo, può valutare di chiedere sospensione della riscossione delle somme in pendenza di giudizio, secondo le condizioni di legge.
Normativa di riferimento e regole speciali
In questa sezione riepiloghiamo le principali fonti normative italiane rilevanti in tema di accertamento del maggior valore degli immobili, nonché alcune regole speciali (come il meccanismo del prezzo-valore) che limitano il potere di accertamento.
Art. 51 e 52 DPR 131/1986 (Testo Unico Imposta di Registro): stabiliscono il principio generale secondo cui, negli atti traslativi a titolo oneroso di immobili, la base imponibile è il valore dichiarato dalle parti, ma l’ufficio può controllare il valore venale di mercato utilizzando criteri oggettivi. In particolare, l’art. 51 comma 3 elenca i criteri di stima a disposizione del Fisco: i trasferimenti e le divisioni di beni analoghi avvenuti negli ultimi 3 anni; le risultanze di perizie giudiziarie relative a immobili simili; il reddito netto capitalizzato (per immobili produttivi di reddito); “ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai Comuni” . Ciò significa che l’ufficio può usare dati di mercato e tecniche estimative varie (dati OMI, listini, coefficienti) per stimare un ipotetico valore normale. L’art. 52 richiede che l’avviso di rettifica indichi il valore attribuito e gli elementi utilizzati per determinarlo, con relativo calcolo delle maggiori imposte . Inoltre, se l’accertamento si fonda su un atto esterno (es. perizia), questo va allegato o richiamato nell’atto . La normativa prevede dunque una procedura garantista: l’ufficio deve motivare la pretesa e fornirne i presupposti di fatto e diritto, altrimenti l’atto è nullo.
Art. 39 DPR 600/1973 e art. 54 DPR 633/1972: riguardano rispettivamente l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA. In origine, dopo la riforma del 2006 (art. 35 DL 223/2006), essi contenevano una disposizione secondo cui, in caso di cessione di beni, l’Amministrazione poteva presumere che il corrispettivo non dichiarato corrispondesse al “valore normale” del bene. Era una presunzione legale relativa a favore del Fisco: il prezzo di vendita era presumibilmente uguale almeno al valore di mercato (salvo prova contraria del contribuente). Questa norma – che costituiva una sorta di regola anti-sottofatturazione automatica – è stata abrogata dal 2009. La Legge 7 luglio 2009 n. 88 (Legge Comunitaria 2008), art. 24 comma 5, ha infatti eliminato quelle disposizioni, con effetto retroattivo a tutte le operazioni ancora accertabili . La soppressione è avvenuta per adeguare l’ordinamento italiano al diritto UE (la Commissione europea aveva aperto una procedura d’infrazione ritenendo incompatibile, in ambito IVA, un accertamento fondato sul valore normale anziché sul corrispettivo effettivo) . Conseguenza: attualmente, per accertare un maggior corrispettivo occorre fare ricorso alle normali presunzioni semplici (artt. 2727-2729 c.c.), che devono essere gravi, precise e concordanti, mentre non vi è più alcuna scorciatoia di legge che attribuisce automaticamente rilevanza al valore di mercato. È “tornato” il quadro normativo pre-2006 .
Statuto del Contribuente (L. 212/2000), art. 7: impone che ogni atto impositivo sia motivato, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base della pretesa. Dal 2023, a seguito della riforma del processo tributario, tale articolo è stato integrato (D.Lgs. 30 dicembre 2023 n.219) chiarendo che se l’atto fa riferimento ad un altro documento non conosciuto dal contribuente, questo deve essere allegato (salvo ne sia riprodotto il contenuto essenziale) . Inoltre, nelle contese sugli accertamenti immobiliari, la Cassazione ha rimarcato la distinzione tra la motivazione dell’avviso (che serve a mettere a conoscenza il contribuente degli elementi su cui si fonda la rettifica) e la prova effettiva di tali elementi in giudizio . In altri termini, l’Ufficio deve indicare chiaramente nell’atto gli elementi e i criteri di stima utilizzati, ma la piena dimostrazione di quei valori potrà avvenire nel contraddittorio processuale, anche attraverso documenti e perizie portati in giudizio. Il contribuente, dal canto suo, ha diritto di conoscere ex ante il nucleo della pretesa per potersi difendere (pena la nullità per difetto di motivazione). Sulla scia della riforma 2022/2023 del processo tributario, è stato inserito anche nell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992 (che disciplina il processo) un comma 5-bis che richiama l’obbligo per l’ente impositore di specificare gli elementi di fatto e diritto a supporto delle sue richieste, senza potersi basare su mere asserzioni generiche . Questa norma rafforza l’onere motivazionale e probatorio a carico del Fisco, a tutela del diritto di difesa del contribuente.
Regola del “prezzo-valore” (art. 1, comma 497, L. 266/2005): Si tratta di una disposizione speciale che il contribuente acquirente persona fisica può utilizzare, su opzione, nelle compravendite non soggette a IVA di immobili ad uso abitativo (e relative pertinenze). Introdotta dal 2006, consente di pagare l’imposta di registro non sul prezzo pattuito ma sul valore catastale (rendita catastale rivalutata per coefficienti) dell’immobile. In pratica, dichiarando comunque il prezzo effettivo in atto, l’acquirente può richiedere che la base imponibile sia calcolata come “rendita × coefficiente” (esempio tipico: per la prima casa il coefficiente è 115.5 = rendita × 1,05 × 110, mentre per altri immobili abitativi è 126) . Questa regola, oltre a spesso ridurre l’imposta dovuta, ha l’effetto di limitare il potere di accertamento del Fisco sul valore: l’Agenzia delle Entrate non può accertare un maggior valore ai fini dell’imposta di registro se è stato applicato correttamente il prezzo-valore . In altri termini, rispettata la formula catastale e indicato regolarmente il corrispettivo in atto, il contribuente viene tutelato da contestazioni di sottofatturazione ai fini delle imposte di registro/ipotecarie/catastali. Esempio: immobile abitativo rendita €1.000, venduto a €200.000 con agevolazione prima casa; applicando il prezzo-valore la base imponibile registro 2% sarà €1.000×115,5 = €115.500 (anziché 200.000) e su questa l’ufficio non potrà mai contestare ulteriori maggiorazioni . Ambito di applicazione: Il regime prezzo-valore si applica solo alle persone fisiche acquirenti non esercenti attività d’impresa o lavoro autonomo, per immobili a destinazione abitativa. Non vale quindi per immobili strumentali, né per terreni (salvo pertinenze), né per vendite soggette a IVA (es. acquisto da costruttore con IVA) . Se l’acquirente non è un privato (o l’immobile non è abitativo), il prezzo-valore non è esercitabile e l’Ufficio mantiene la facoltà di accertare il maggior valore secondo i criteri ordinari. Va notato, infine, che la tutela del prezzo-valore riguarda la sola imposta di registro: rimangono comunque possibili (al ricorrere dei presupposti) eventuali accertamenti in ambito imposte sui redditi o IVA se, ad esempio, il venditore è un’impresa e si sospetta un ricavo non dichiarato. Tuttavia, anche in tali casi, il fatto che la compravendita sia avvenuta alla presenza di un notaio con prezzo dichiarato e valore catastale noto costituisce un elemento di trasparenza utile in difesa del contribuente.
Vendite con agevolazioni fiscali: Oltre al prezzo-valore per la prima casa, vi sono altre agevolazioni nella tassazione delle vendite immobiliari (ad esempio, l’aliquota registro ridotta al 2% per prima casa, l’imposta di registro fissa €200 per trasferimenti di immobili strumentali soggetti a IVA, l’agevolazione “prima casa under 36” con esenzione imposte, le agevolazioni per imprenditore agricolo professionale sui terreni, ecc.). In linea generale, la presenza di un’agevolazione non impedisce l’accertamento di un maggior valore, ma può incidere sul calcolo delle somme dovute e sul perché l’accertamento scatta. Ad esempio, se un soggetto ha ottenuto l’agevolazione prima casa dichiarando di avere i requisiti ma in realtà non li aveva, l’ufficio potrebbe contestare la decadenza dall’agevolazione (richiedendo la differenza d’imposta al 9% + sanzione 30%) piuttosto che un maggior valore. Oppure, in caso di immobile venduto a prezzo inferiore al “valore catastale rivalutato” (evento raro ma possibile per abitazioni di lusso con rendite elevate), l’Ufficio potrebbe interpretarlo come indice di anomalia – essendo il valore catastale un minimo fiscale – e approfondire la posizione. In ogni caso, le imposte agevolate eventualmente dovute in più per effetto dell’accertamento seguono le regole dell’agevolazione stessa: ad esempio, se viene rettificato il valore di un terreno agricolo acquistato con imposta agevolata all’1%, la maggiore imposta richiesta sarà all’1% (e non all’ordinaria 15%), salvo decadenza dall’agevolazione. Un capitolo a parte meriterebbero le vendite infragruppo o tra entità correlate con regimi speciali (es. cessione d’azienda con immobili inclusi, trasformazioni, conferimenti): anche in tali casi l’Amministrazione può verificare l’eventuale incongruità dei valori attribuiti ai beni immobili trasferiti, applicando se del caso le norme anti-elusive o di transfer pricing domestico (ad es. se la cessione infra-gruppo a prezzo basso celi un’attività distribuzione di utili). Tali ipotesi esulano dall’ambito delle normali compravendite ma vanno tenute presenti in un’ottica avanzata: ogni volta che un immobile è trasferito a un valore anomalo rispetto a criteri oggettivi, il Fisco può attivarsi facendo leva sulla normativa di riferimento (registro, redditi, IVA, elusione a seconda dei casi).
Sintesi normativa in tabella: Di seguito uno schema riassuntivo delle principali norme applicabili:
Riferimento normativo | Contenuto rilevante |
---|---|
Art. 51 DPR 131/1986 (T.U. Registro) | Base imponibile = valore dichiarato; ufficio può rettificare in base al valore venale usando comparabili, reddito capitalizzato, etc. . |
Art. 52 DPR 131/1986 | Procedura di rettifica: obbligo di motivazione (valore attribuito ed elementi utilizzati) e di allegazione atti; nullità se non rispettato . |
Art. 39 DPR 600/1973, Art. 54 DPR 633/1972 | (Testi previgenti) Presunzione legale di cessione a valore normale (introdotta 2006). Abrogata nel 2009 . Oggi vale solo la regola generale delle presunzioni semplici. |
L. 88/2009 (Comunitaria 2008), art. 24 c.5 | Sopprime dal 2009 le norme su presunzione di corrispettivo = valore normale (adeguamento a diritto UE) . Effetto retroattivo sui periodi ancora accertabili. |
L. 266/2005, art. 1 c.497 (“Prezzo-valore”) | Opzione per persone fisiche: registro su valore catastale per immobili abitativi non IVA; preclude accertamento su valore se rispettato . |
Statuto Contribuenti (L.212/2000), art. 7 | Obbligo di motivazione atti fiscali (presupposti di fatto e diritto). Se rinvio a documenti esterni, allegarli o riprodurli . Distinzione motivazione/prova . Novità 2023: ulteriore obbligo di specificità elementi di prova in atti impositivi (v. D.Lgs. 219/2023) . |
D.Lgs. 546/1992, art. 7 c.5-bis | (Introdotto da L.130/2022) Nel processo tributario l’ente impositore deve indicare in giudizio gli elementi di fatto e diritto alla base dell’accertamento, nonché i mezzi di prova a sostegno. Rafforza l’esigenza di atti motivati e supportati da prove. |
Codice Civile, art. 2697 | Onere della prova: spetta a chi vuol far valere un diritto (nel contenzioso tributario, l’Amministrazione deve provare il maggior imponibile; il contribuente può provare il contrario) . Questo principio generale è applicato in tutta la giurisprudenza in materia di accertamenti sul valore. |
Quando scatta l’accertamento per prezzo incongruo
Non ogni differenza tra il prezzo di vendita e un ipotetico valore di mercato fa scattare un accertamento. In pratica, l’Agenzia delle Entrate attiva la rettifica del valore solo in presenza di scostamenti significativi o anomalie evidenti. Vediamo le principali circostanze che possono indurre il Fisco a intervenire:
- Prezzo dichiarato molto inferiore alle quotazioni medie di mercato: se il prezzo risulta sensibilmente più basso rispetto ai valori medi rilevabili (ad esempio, dalle quotazioni OMI per zona e tipologia, o da altri listini immobiliari), l’ufficio può considerarlo “non congruo” . Non esiste in legge una soglia matematica di scostamento, ma in prassi uno scarto del 20-30% o più rispetto al range di mercato attira l’attenzione. Tanto maggiore è il divario, tanto più probabile sarà l’accertamento, specie se non giustificato da particolarità del bene.
- Segnalazioni di vendite “sotto costo” o antieconomiche: se una società immobiliare vende immobili a un prezzo inferiore ai costi di costruzione o comunque inferiore al valore di carico in contabilità, l’operazione appare antieconomica e dunque sospetta. La logica tributaria vuole che un’impresa operi per profitto; una vendita in perdita senza ragione valida fa presumere che parte del corrispettivo sia stato occultato (o che vi sia altra finalità elusiva) . Cassazione ha confermato che l’antieconomicità (ad es. vendere appartamenti sotto il costo di costruzione) legittima l’Ufficio a dubitare della veridicità del corrispettivo dichiarato e a procedere ad accertamento . (Caso reale: società edile vende nel 2004 alcuni appartamenti a prezzo inferiore ai costi, generando una perdita e abbattendo l’utile a zero; l’Agenzia presume ricavi non dichiarati e rettifica IRES, IRAP e IVA; la Cassazione ha dato ragione al Fisco, criticando la CTR che aveva giustificato la vendita in perdita solo perché negli anni successivi la stessa società vendette altri immobili a prezzi normali – per la Suprema Corte ciò semmai avvalora il sospetto che quelle vendite 2004 fossero anomale )*.
- Operazioni tra parti correlate o familiari a prezzo simbolico: vendite di immobili tra parenti o soggetti con stretti legami, concluse a un prezzo irrisorio (o comunque palesemente di favore), fanno scattare l’allarme. L’Ufficio può sospettare che si tratti di una donazione mascherata o di un trasferimento con corrispettivo simulato . In tali casi l’Agenzia non solo può rettificare il valore ai fini delle imposte (spesso prendendo a base il valore catastale rivalutato come minimo), ma potrebbe contestare la natura dell’atto: ad esempio, se un padre “vende” al figlio una casa per €50.000 quando vale €200.000, si configura un’operazione mista, in parte vendita e in parte donazione indiretta del valore eccedente. Fiscalmente, la parte di donazione sarebbe soggetta a imposta sulle donazioni (salvo franchigie) e l’atto di vendita potrebbe essere riqualificato. La giurisprudenza civile ha talora dichiarato nullo un atto di vendita fittizio usato per dissimulare una donazione non rispettosa delle forme (mancanza di testimoni, etc.), ma in genere, se un corrispettivo è indicato, l’atto conserva efficacia come vendita per quella parte. Dal punto di vista fiscale, comunque, la strategia dell’Ufficio è di recuperare le imposte di registro come se il prezzo fosse quello reale di mercato, applicando eventualmente sanzioni per dichiarazione infedele. Per il contribuente (specie il venditore) difendersi in questi casi è difficile se il prezzo è manifestamente simbolico: occorrerebbe provare che il prezzo ridotto aveva una giustificazione oggettiva (es. immobile afflitto da debiti o servitù a favore dell’acquirente, ecc.), altrimenti l’accertamento sul maggior valore andrà a buon fine e potrebbe aprire anche la questione dell’imposta di donazione evasa.
- Discordanza con parametri finanziari (mutui, redditi): un forte indicatore di sottofatturazione è la discordanza tra l’importo del mutuo e il prezzo di vendita. Se l’acquirente ha ottenuto dalla banca un mutuo significativamente più alto del prezzo dichiarato, l’Agenzia presume che il prezzo reale corrisponda almeno al mutuo erogato. Ad esempio, compravendita dichiarata €100.000 con mutuo da €150.000: è molto probabile un accertamento di valore a €150.000, ritenendo che la differenza sia stata versata “in nero”. La Cassazione ha espresso chiaramente che l’erogazione di un mutuo di importo superiore al prezzo di compravendita è di per sé sufficiente a giustificare la rettifica dei corrispettivi dichiarati . In una recente sentenza (Cass. 10/07/2024 n. 18866) la Suprema Corte ha ribadito che, pur eliminata la presunzione legale di valore normale, il giudice può fondare il proprio convincimento anche su un unico elemento purché dotato di precisione e gravità . E uno scostamento mutuo/prezzo rientra in tali elementi gravi. Inoltre, già in passato, Cass. 14388/2017 aveva confermato che in accertamento induttivo del reddito d’impresa, la differenza tra mutuo e prezzo dichiarato può da sola legittimare la ripresa a tassazione del maggior ricavo . Dunque questo è uno scenario tipico: l’Amministrazione acquisisce i dati dei mutui (spesso comunicati per obbligo dalle banche all’Anagrafe Tributaria) e li confronta con i rogiti; se vede mutui superiori al prezzo, parte la contestazione. Il contribuente potrà difendersi solo dimostrando che il mutuo eccedente non era finalizzato all’acquisto (ad es. includeva liquidità per ristrutturare l’immobile, o spese accessorie, o consolidamento debiti – circostanze documentabili con fatture di lavori, estratti conto, ecc.). In mancanza di tale prova, i giudici tributari tendono ad avallare l’accertamento su tale base.
- Prezzo inferiore al valore catastale rivalutato (per abitazioni): come accennato, il valore catastale (specie se con i coefficienti “prima casa” o “seconda casa”) rappresenta un parametro ufficiale. Una vendita di abitazione tra privati a un prezzo addirittura inferiore a questo valore minimo fiscale è altamente inusuale. L’Agenzia delle Entrate, in casi del genere, quasi certamente effettuerà un accertamento, sia per recuperare la differenza d’imposta (dato che le parti avrebbero potuto dichiarare almeno il valore catastale) sia perché un simile scostamento suggerisce l’esistenza di corrispettivi non dichiarati. La Cassazione ha anche riconosciuto che la rendita catastale rivalutata può fungere da discrimine obiettivo: se il prezzo dichiarato è sotto tale soglia, è ancora più ragionevole l’azione accertatrice . Fortunatamente questi casi sono rari e di solito limitati a immobili di pregio con rendite altissime (dove il valore catastale può superare il prezzo di mercato reale). Più spesso accade il contrario (prezzi reali ben maggiori del catastale), per cui questa circostanza opera come campanello d’allarme solo per sottovaluazioni estreme.
- Incoerenza con altri atti o dati conosciuti: l’ufficio può incrociare varie banche dati per scovare anomalie. Ad esempio: se lo stesso immobile era stato acquistato poco tempo prima a un prezzo molto superiore a quello della successiva rivendita, salvo crolli di mercato, la rivendita a prezzo stracciato appare sospetta (a meno di legami di parentela, donazioni parziali, ecc.). Oppure, se un immobile è venduto a prezzo basso ma poi immediatamente rivenduto a terzi a prezzo molto più alto (flip transaction), l’ufficio può contestare che il primo prezzo fosse fittizio e servisse a trasferire ricchezza senza tassazione adeguata. Anche il confronto con immobili simili venduti in zona nello stesso periodo può originare segnalazioni: i notai trasmettono i dati di ogni compravendita, e l’Agenzia ha strumenti per confrontare prezzi €/mq tra atti differenti. Se emergono casi abnormi (es. nello stesso stabile un appartamento venduto a 1.200 €/mq e un altro simile a 2.500 €/mq), il più basso potrebbe essere attenzionato (tenendo conto però delle possibili differenze di piano, stato, ecc.).
In sintesi, l’accertamento per prezzo incongruo viene avviato quando il Fisco ha motivo concreto di ritenere che il prezzo dichiarato non rispecchi il reale valore di scambio. L’elemento iniziale spesso è una presunzione (prezzo antieconomico, inferiore a parametri, ecc.), che dovrà poi essere sostenuta da prove o indizi ulteriori per reggere in giudizio. La prossima sezione esaminerà proprio quali prove e criteri utilizza l’Amministrazione e quali sono i relativi limiti, secondo la normativa e la giurisprudenza.
Criteri di accertamento del maggior valore e limiti probatori
Una volta deciso di procedere, l’Ufficio deve quantificare il supposto maggior valore dell’immobile e motivare di conseguenza l’atto impositivo. Per farlo, la legge e la prassi mettono a disposizione diversi criteri estimativi. Tuttavia, la giurisprudenza ha delineato importanti limiti probatori: i dati utilizzati dal Fisco hanno spesso natura indiziaria e non possono da soli giustificare l’accertamento senza ulteriori riscontri . Analizziamo i principali criteri e i vincoli relativi.
Quotazioni OMI: ruolo e valore probatorio
Le quotazioni immobiliari OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare, a cura dell’Agenzia delle Entrate) forniscono, per ogni semestre, valori di mercato al m² (minimo e massimo) per tipologie di immobili omogenee (abitazioni, uffici, negozi, ecc.) in una determinata zona territoriale omogenea del Comune. Sono quindi valori medi statistici, utili come riferimento generale. L’Agenzia spesso li utilizza come primo indicatore: se il prezzo dichiarato è sotto il range OMI della zona, lo considera incongruo. Tuttavia, per la Cassazione, le mere quotazioni OMI non costituiscono una prova certa del valore di uno specifico immobile . Esse sono considerate nozioni di fatto di comune esperienza (art. 115 c.p.c.), idonee a dare indicazioni di massima, ma soggette a variabilità per molti fattori particolari .
La giurisprudenza tributaria è ormai costante su questo punto: “le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle Entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio, essendo idonee a fornire valori di larga massima” . Non è legittimo un accertamento fondato esclusivamente sulla differenza tra prezzo dichiarato e valori OMI . L’Ufficio deve accompagnare le quotazioni con altri elementi concreti. Ad esempio, Cass. n. 17189/2023 ha confermato che il semplice scostamento dal valore OMI non basta e servono “ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” . Analogamente Cass. n. 22475/2024 ha statuito che la rettifica dell’imposta di registro non può basarsi solo sullo scostamento OMI, dovendo invece fondarsi su presunzioni multiple e concordanti .
In pratica, le quotazioni OMI possono essere utilizzate come punto di partenza o termine di paragone, ma non assurgono da sole a prova del maggior valore . Esse rientrano tra gli “ogni altro elemento di valutazione” citati nell’art. 51 DPR 131/86, ma vanno integrate con ulteriori criteri o evidenze . Per di più, la stessa Agenzia delle Entrate, nella Circolare 18/E del 14.04.2010, ha riconosciuto che dopo la L. 88/2009 “è venuta meno la presunzione legale relativa a favore dell’ufficio” e il mero scostamento rispetto ai prezzi medi torna a costituire “elemento presuntivo semplice”. La circolare aggiungeva che gli uffici avrebbero coltivato il contenzioso solo qualora la sottofatturazione fosse supportata “oltre che dal mero riferimento allo scostamento… anche da ulteriori elementi presuntivi idonei”, facendo esempi come “il valore del mutuo (qualora di importo superiore a quello della compravendita), i risultati di indagini finanziarie, i prezzi di precedenti atti di compravendita dello stesso immobile” . Questa presa di posizione amministrativa è in linea con l’orientamento dei giudici.
In sintesi: le quotazioni OMI servono da indicatore ma non bastano da sole. Se un avviso di accertamento si basa unicamente su di esse (senza una perizia dettagliata, senza comparativi specifici, ecc.), è viziato e può essere annullato in giudizio . Il contribuente che riceva un atto del genere dovrebbe contestare subito l’inadeguatezza probatoria dell’OMI e pretendere che l’Ufficio espliciti quali altri elementi concreti giustificano la rettifica . Se l’Ufficio non fornisce nulla oltre al riferimento generico ai valori OMI, la giurisprudenza gli darà torto.
Metodo comparativo e perizie di stima
Un metodo di accertamento molto utilizzato (e più solido) è il metodo comparativo di mercato: l’Ufficio affida a propri tecnici (ex Agenzia del Territorio, oggi uffici provinciali del Catasto/Entrate) una perizia di stima che confronta l’immobile con beni simili venduti in tempi recenti nella stessa zona. Questo rientra espressamente tra i criteri di cui all’art. 51 DPR 131/86: “trasferimenti a qualsiasi titolo … anteriori non oltre tre anni … aventi ad oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni” . In sostanza si creano dei “comparable”. Ad esempio, se l’immobile oggetto di compravendita è un negozio di 100 mq in centro, l’ufficio cercherà atti di vendita di negozi simili in centro negli ultimi anni e, partendo da quei prezzi, ricaverà un valore al mq da applicare.
Correzione delle differenze: È raro trovare immobili perfettamente identici; quindi i periti applicano coefficienti di correzione per tenere conto delle differenze (es. stato d’uso, piano, affaccio, epoca della vendita se i prezzi oscillano nel tempo, ecc.). La Cassazione ha ritenuto legittimo l’uso di comparabili non perfettamente omogenei purché vengano applicati opportuni coefficienti correttivi in modo logico e trasparente . Ad esempio, nell’Ordinanza Cass. n. 19973/2025 (caso di un grande fabbricato venduto a Roma), la Corte ha confermato che il “Market Comparison Approach” è valido anche con immobili disomogenei, a patto di aggiustare i valori con coefficienti per la diversa localizzazione e la data dell’operazione . In quel caso l’ufficio aveva aumentato il valore dichiarato (€12 milioni) a €13,59 milioni basandosi su una perizia comparativa, e ciò è stato ritenuto corretto perché i coefficienti Kl (localizzazione) e Ke (tempo di vendita) erano stati applicati in modo da armonizzare le differenze . L’importante, dice la Cassazione, è che nella motivazione dell’accertamento siano indicati gli elementi di fatto e i parametri utilizzati, mentre la verifica dell’esattezza di tali parametri è questione di prova da svolgersi in giudizio .
Prova in giudizio: Una volta impugnato l’accertamento, l’onere passa all’Amministrazione di dimostrare la correttezza della stima. Se il contribuente contesta, ad esempio, che i comparabili scelti non erano rappresentativi o che i coefficienti usati sono arbitrari, il giudice deve valutare queste critiche. Non basta per l’Ufficio dire “ecco la perizia”: dovrà convincere il giudice che la perizia è attendibile, magari facendo deporre il perito in commissione (o producendo dettagli sui calcoli). Di contro, per il contribuente diventa fondamentale procurarsi una perizia di parte da un tecnico indipendente, che evidenzi eventuali errori o omissioni nella stima del Fisco . Ad esempio, se la perizia dell’ufficio non considerava che l’immobile era in cattivo stato di conservazione, il contribuente dovrà documentarlo (foto, preventivi di ristrutturazione) e preferibilmente esibire una controstima che applichi un coefficiente di deprezzamento per lo stato d’uso.
La Cassazione ha anche chiarito che, se le commissioni tributarie di primo e secondo grado hanno confermato la valutazione dell’ufficio con identiche motivazioni di merito (doppia conforme), in sede di legittimità non è più possibile ridiscutere tali accertamenti di fatto . Nel caso citato (Cass. 19973/2025) il contribuente si doleva che non fosse stato considerato che il 18% della superficie era in condizioni scadenti, ma poiché sia CTP che CTR avevano già valutato (negativamente) questo argomento, la Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile per “doppia conforme” . Ciò evidenzia che le questioni fattuali – come l’adeguatezza dei comparabili o dello stato dell’immobile – vanno vinte nei primi due gradi di giudizio, portando là tutte le prove, perché in Cassazione ci si può appellare solo per violazioni di legge, non per rimettere in discussione la valutazione tecnica.
Conclusione sul metodo comparativo: È uno strumento efficace e ammesso dalla legge, ma deve essere applicato correttamente. Se l’ufficio utilizza comparazioni generiche (es. cita prezzi medi OMI spacciandoli per comparabili, o prende immobili non omogenei senza alcun aggiustamento), il contribuente potrà eccepire che la metodologia è viziata. Al contrario, una perizia ben fatta e dettagliata dell’Agenzia costituisce per il contribuente un ostacolo più duro da superare: in tal caso la difesa dovrà puntare su eventuali aspetti particolari non considerati (vincoli sull’immobile, spese necessarie, diritti di terzi, ecc.) oppure sulla presentazione di una CTU (Consulenza Tecnica d’Ufficio) in sede processuale, se il giudice lo ritiene opportuno. Non di rado, di fronte a due stime contrastanti (quella dell’ufficio e quella di parte), la Commissione può nominare un perito terzo per dirimere – anche se nel processo tributario la CTU è ammessa con più parsimonia rispetto al civile. In ogni caso, la Cassazione ha affermato un principio di equilibrio: l’assenza di immobili perfettamente identici non impedisce l’uso del metodo comparativo, purché si armonizzino le differenze con criteri oggettivi . Quindi il contribuente deve andare oltre la semplice protesta “il mio immobile è diverso da quelli confrontati“: deve dimostrare concretamente dove e quanto la stima dell’ufficio sia errata (ad esempio, contestare i numeri dei coefficienti usati o presentare vendite comparabili alternative che diano un valore inferiore).
Altri elementi indiziari: indagini finanziarie, canoni, ecc.
Oltre a OMI e comparabili, l’Agenzia può raccogliere altri indizi a corredo dell’accertamento di maggior valore. Come anticipato, uno molto utilizzato è il confronto con l’importo del mutuo (già trattato sopra): un mutuo più alto del prezzo è un indizio di pagamento occulto . Un altro è l’esito di indagini finanziarie: la Guardia di Finanza, specie per vendite multiple di società, può analizzare i conti correnti alla ricerca di movimenti compatibili con pagamenti in nero (ad esempio, bonifici o assegni girati a terzi, prelievi in contanti prima dell’atto, ecc.). In un caso del 2017, ad esempio, la GdF condusse un’analisi bancaria a tappeto su una società di costruzioni sospettata di vendere abitazioni dichiarando meno del ricevuto: trovarono una serie di operazioni sospette su conti di terzi compiacenti e degli stessi acquirenti, delineando un modus operandi ripetuto che avvalorava la tesi di corresponsioni extracontabili . La Cassazione ha censurato la CTR che aveva ignorato tali risultanze, ribadendo che il giudice deve valutare tutti gli elementi presuntivi offerti e nel loro complesso, senza limitarsi ad affermazioni generiche sulla libertà di contrattazione . Dunque, evidenze di movimenti finanziari non giustificati possono pesare moltissimo: se l’ufficio documenta, ad esempio, che nei giorni intorno al rogito l’acquirente ha prelevato 50.000€ in contanti e il venditore ha versato contanti simili sul suo conto, è un indizio quasi schiacciante di corrispettivo occulto.
Ancora, può rilevare il contratto preliminare: se nel preliminare (che magari non fu registrato, ma l’ufficio lo acquisisce da una delle parti) era indicato un prezzo maggiore di quello poi formalizzato all’atto definitivo, ciò fornisce la prova di uno sconto anomalo o di un doppio accordo. Oppure, se negli annunci immobiliari o nei documenti di pubblicità dell’immobile era riportato un certo prezzo e poi l’atto è a molto meno, l’ufficio può utilizzarli come indizio (magari ottenendo copia dell’annuncio tramite testate immobiliari online o agenzie).
Per immobili a reddito, può essere utilizzato il metodo della capitalizzazione dei redditi (anche questo previsto dall’art. 51 DPR 131/86): se un immobile era locato con canone annuo X, il suo valore teorico può stimarsi capitalizzando X al tasso di mercato. Ad esempio, un negozio affittato a 20.000€/anno, capitalizzato al 5%, “vale” circa 400.000€; se fosse venduto a 200.000€ mentre produceva quel reddito, l’ufficio avrebbe buon gioco a dire che nessun investitore venderebbe a un prezzo che genera un rendimento del 10% (salvo particolari condizioni). Questo criterio è meno frequentemente usato in accertamento, ma può comparire come supporto.
Riassumendo gli elementi probatori possibili e il loro valore: la Cassazione (ord. n. 17481 del 01/07/2025) ha fatto un elenco illuminante di quali elementi, se presenti e specifici, possano costituire i famosi indizi gravi, precisi e concordanti per confermare un maggior valore . Oltre allo scostamento da OMI (di per sé insufficiente), ha citato: il contratto preliminare con prezzo diverso; l’importo del mutuo contratto dall’acquirente ; la perizia di stima; la destinazione dell’immobile (es. se un immobile è venduto come rudere ma in realtà era ristrutturato e destinato ad uso commerciale redditizio); le sue caratteristiche specifiche (superficie, stato di conservazione, epoca di costruzione); e perfino la circostanza se il valore dichiarato eguagli almeno il valore catastale rivalutato (in mancanza, l’accertamento è più giustificabile) . Tutti questi elementi però devono emergere chiaramente nell’atto: l’Ufficio non può limitarsi a frasi generiche o di stile. Deve, ad esempio, specificare i dati del mutuo, oppure indicare “dal preliminare in data X risulta prezzo Y”, oppure ancora “immobile venduto per €50.000 ma dotato di impianto industriale del valore di €100.000 non menzionato”. Solo così al contribuente è dato modo di difendersi efficacemente .
In conclusione, l’onere della prova spetta all’Amministrazione finanziaria . Dopo la fine delle presunzioni legali automatiche, tutto è rimesso alla valutazione del giudice sulla base di presunzioni semplici (art. 2729 c.c.): esse possono benissimo dimostrare un maggior corrispettivo, ma devono avere i crismi di legge (gravità, precisione, concordanza). Un singolo elemento molto forte (es. mutuo superiore) può bastare da solo se il contribuente non oppone nulla di credibile . Più spesso, servirà una combinazione di elementi: ad esempio, OMI + mutuo + perdita antieconomica in bilancio + preliminare discordante. Il contribuente, dal canto suo, per vincere dovrà: smontare la precisione/gravitá di tali indizi (mostrando spiegazioni alternative o errori nei dati) e/o portare controprove a proprio favore (perizie, documenti che spieghino il prezzo basso, ecc.). Nei paragrafi successivi vedremo come costruire una difesa efficace. Prima, però, dedichiamo un breve focus a casi particolari: immobili strumentali e terreni.
Immobili strumentali e terreni: considerazioni specifiche
Finora abbiamo parlato in generale, ma è utile distinguere le vendite di immobili abitativi tra privati (dove opera il prezzo-valore e tipicamente l’imposta di registro) dalle vendite di immobili strumentali o terreni, spesso coinvolgenti imprese e diverse regole IVA.
Immobili strumentali (aziendali): Parliamo di beni immobili di una società o di un professionista destinati all’attività (es. capannoni, uffici, negozi, magazzini). Qui la regola del prezzo-valore non si applica, e quasi sempre la cessione è soggetta a IVA (se chi vende è un’impresa, salvo esenzioni) oppure a registro proporzionale se esente IVA. In caso di prezzo incongruo: – Vendita da parte di impresa (bene merce o strumentale): l’operazione produce effetti sia sull’IVA dichiarata sia sul reddito d’impresa (IRES/IRPEF). Un prezzo sottostimato significa IVA versata minore e un ricavo contabilizzato minore (dunque minor utile tassato). L’Agenzia potrà quindi contestare due profili: (1) IVA evasa sulla differenza (se l’acquirente non è detraente pieno, c’è danno erariale; se invece acquirente è soggetto IVA con piena detrazione, l’operazione è neutra per lo Stato sul piano IVA, ma resta l’aspetto reddituale); (2) maggior reddito imponibile ai fini delle imposte dirette. Ad esempio, se una Srl vende un capannone a 100 invece che 150, potrebbe vedersi recapitare un accertamento IVA (sanzionato al 90-100% della differenza d’imposta) e un accertamento IRES per ricavi non dichiarati. Va detto che, in base al principio generale, anche per gli immobili strumentali valgono i medesimi limiti probatori: non si può più presumere per legge il valore normale, servono presunzioni semplici. Quindi OMI e altri listini non bastano da soli neanche qui. Nel 2019, ad esempio, la Cassazione ha annullato la rettifica di valore di un ramo d’azienda (contenente immobili) perché l’ufficio si era basato solo sulle quotazioni OMI post-2009, ritenendo erroneamente che la legge comunitaria non valesse per il registro: la Corte ha chiarito che anche per l’imposta di registro sugli immobili strumentali valgono i criteri di cui all’art. 51 DPR 131/86 e i valori OMI sono solo indizi . – Vendita da parte di professionista (bene strumentale): Caso meno frequente (un professionista che vende l’ufficio di proprietà). In genere si applica l’IVA se il bene era acquistato con detrazione, oppure il registro. Anche qui, stesso discorso: il Fisco può contestare un prezzo troppo basso come ricavo non dichiarato (rettificando il quadro RL/REDDITI del professionista) e/o come minore IVA versata. Ma dovrà provarlo con indizi solidi. – Vendita di immobile dalla società al socio (o parti correlate): Questo è un caso tipico di potenziale sottofatturazione per favorire il socio. La differenza tra prezzo di favore e valore di mercato può essere vista come utilità distribuita al socio (equiparabile a dividendo nascosto o addirittura a pagamento di utili in natura). Il Fisco può qui agire da più fronti: accertare la società per ricavo non contabilizzato (come se avesse incassato il valore pieno) oppure riqualificare la differenza come dividendo ai soci (tassandola in capo a questi). La giurisprudenza inquadra spesso la situazione come atto in parte a titolo oneroso e in parte gratuito: la porzione gratuita essendo un’utilità a favore del socio potrebbe essere soggetta a tassazione come dividendo. Si tratta comunque di situazioni che confluiscono nel contenzioso tributario classico dove vanno provate le circostanze dell’operazione.
Vendita di immobili da privato (non impresa) con possesso < 5 anni: Questo è il caso delle plusvalenze private (art. 67 TUIR). Se un privato cede un’abitazione, terreno edificabile o terreno agricolo acquistato da meno di 5 anni, l’eventuale plusvalore generato è tassabile (imposta sostitutiva del 26% se applicata per opzione in atto, oppure da dichiarare in dichiarazione redditi come “reddito diverso”). Se il prezzo è incongruo al ribasso, l’Agenzia potrebbe accertare una plusvalenza maggiore di quella dichiarata (o rilevare plusvalenza quando apparentemente non c’era). Ad esempio: Tizio acquista a 100, rivende dopo 2 anni a 110 dichiarati – plusvalenza 10 tassabile. Ma se il valore di mercato era 150, il Fisco può sostenere che Tizio in realtà ha ceduto a 150 (di cui 40 non dichiarati) e tassare 50 di plusvalenza. Anche qui, però, serve la prova del maggior corrispettivo percepito: il solo OMI non basta a tassare un privato su plusvalenza non dichiarata . Serviranno, ad esempio, elementi come movimentazioni bancarie anomale sui conti di Tizio post-vendita. Se l’acquirente è un parente, potrebbero addirittura configurarlo come donazione parziale non dichiarata. Insomma, la logica è simile ai casi sopra, con la differenza che la plusvalenza privata non fa scattare sanzioni per infedele dichiarazione se il contribuente non l’aveva proprio dichiarata per mancanza di conoscenza (in assenza di dichiarazione, l’accertamento è “a tassazione” della plusvalenza ex novo). Nel contenzioso, comunque, i paletti probatori restano uguali.
Vendite di terreni agricoli o edificabili: Per i terreni si applicano principi analoghi. I terreni edificabili hanno spesso un valore di mercato soggetto a stime e a quotazioni comunali. L’art. 51 DPR 131/86 nel definirne il valore venale fa riferimento anche qui a vendite analoghe e perizie. Un punto da notare: il valore dei terreni edificabili è a volte oggetto di accertamenti anche in aumento (con finalità opposta: evitare sottofatturazione) e in diminuzione (quando il contribuente chiede il rimborso di imposta di registro sostenendo che l’ufficio aveva sopravvalutato). In tale ambito, la Cassazione ha confermato che i valori OMI per aree edificabili non bastano a determinare il valore, potendo variare a seconda di indici, ubicazione precisa, opere di urbanizzazione, ecc. . Quindi per i terreni occorre spesso una perizia ad hoc. Se l’Agenzia fa un accertamento su un terreno venduto a prezzo “basso”, deve portare elementi quali: prezzi di compravendite vicine di terreni simili, parametri edilizi (es. cubatura) e loro incidenza sul valore, eventuali stime fatte da enti pubblici, o il valore risultante da atti di divisione o perizie in cause civili, ecc. Il contribuente potrà difendersi evidenziando magari che il terreno, pur edificabile sulla carta, aveva problemi (vincoli, oneri di bonifica) tali da giustificare il minor prezzo.
Ricapitolando: indipendentemente dal tipo di immobile (abitativo vs strumentale vs terreno), la formula è sempre prezzo dichiarato vs valore di mercato. Cambiano le imposte coinvolte (registro vs IVA vs redditi) e alcune regole speciali (prezzo-valore per taluni, esenzione plusvalenza dopo 5 anni per i privati, ecc.), ma il potere-dovere del Fisco di accertare corrispettivi non dichiarati vige in ogni caso di incongruità marcata, con i medesimi vincoli probatori: servono presunzioni semplici forti, non automatismi. E la Cassazione ha esteso l’orientamento garantista (no accertamenti su soli valori medi) anche all’imposta di registro su beni d’impresa e terreni . Il contribuente, quindi, anche in questi ambiti potrà opporre le argomentazioni difensive illustrate più avanti.
Come difendersi da un accertamento sul prezzo di vendita
Giunti al cuore della nostra guida, affrontiamo il punto di vista del contribuente che riceve un avviso di accertamento per prezzo incongruo: quali sono i mezzi di difesa a sua disposizione e le migliori strategie per ottenere l’annullamento o almeno la riduzione della pretesa fiscale. La difesa si può articolare su più livelli: pre-contenzioso (strumenti deflativi come adesione, mediazione) e contenzioso vero e proprio (ricorso alle Commissioni/nuove Corti di Giustizia Tributaria). Vediamo le opzioni in ordine.
1. Accertamento con adesione e mediazione
Prima di intraprendere il ricorso, il contribuente può valutare soluzioni deflattive del contenzioso, soprattutto se riconosce in parte la fondatezza dell’accertamento o vuole evitare tempi e costi del giudizio. Gli strumenti chiave sono:
- Istanza di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): consiste nel chiedere un contraddittorio all’ufficio che ha emesso l’atto, per discutere e possibilmente concordare un valore di definizione. L’istanza va presentata entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (termine di impugnazione) e sospende per 90 giorni i termini di ricorso. Nel contraddittorio, il contribuente può presentare la propria perizia di parte, evidenziare errori fattuali dell’ufficio e negoziare. Spesso si può arrivare a una soluzione di compromesso: ad esempio, riconoscere un certo aumento di valore ma inferiore a quello accertato, con sconto sulle sanzioni. Se si perfeziona l’adesione, infatti, la sanzione amministrativa viene ridotta a 1/3 del minimo . Questo può essere molto conveniente (ad es., sanzione registro 30% scende al 10%). È importante però arrivare al contraddittorio preparati con documenti e argomenti. Se l’ufficio è disponibile, l’adesione permette di chiudere la vicenda in pochi mesi e con esborso ridotto.
- Mediazione/reclamo obbligatorio: se il valore dell’atto (imposta + interessi + sanzioni) non supera €50.000, prima di ricorrere è obbligatorio presentare un’istanza di reclamo-mediazione (art. 17-bis D.Lgs. 546/92, modificato dalla L. 130/2022). Spesso questa istanza coincide col ricorso stesso, ma depositato in via amministrativa: l’ufficio ha 90 giorni per valutare se accogliere in toto o proporre mediazione. Nel contesto di un accertamento immobiliare, il contribuente potrà evidenziare nella memoria di reclamo i punti deboli dell’accertamento (es. “si basa solo su OMI, in violazione della giurisprudenza X ; la perizia non considera lo stato fatiscente, documentato da foto allegate” ecc.) e magari offrire una cifra di definizione. Se l’Agenzia ritiene solide le nostre contro-argomentazioni, potrebbe annullare in autotutela (raro ma possibile) o proporre una riduzione. La mediazione si chiude con un accordo di conciliazione che tipicamente prevede il pagamento di un importo concordato e la riduzione delle sanzioni al 35% del minimo (in caso di conciliazione fuori udienza) o al 40% se in udienza.
- Conciliazione giudiziale: qualora si vada avanti col ricorso, esiste ancora la possibilità di conciliare in corso di causa, sia in primo che in secondo grado (art. 48 D.Lgs. 546/92). Per gli atti di valore elevato, questa può essere un’opzione: durante l’udienza (o anche prima) le parti possono accordarsi per chiudere la lite con reciproche concessioni. Ad esempio, l’ufficio potrebbe accettare di ridurre il valore accertato del 30% e il contribuente di rinunciare al resto, definendo il dovuto. La conciliazione comporta sanzioni ridotte al 50% (in udienza) o al 40% (fuori udienza) del minimo. Nel 2023 sono state introdotte ulteriori incentivazioni alla conciliazione per smaltire l’arretrato: per cause pendenti da anni, il MEF ha emanato regolamenti per favorire accordi transattivi anche su importi consistenti .
Quando scegliere la via deflattiva? Se le prove del Fisco sono schiaccianti (es. atto con mutuo differenziale chiaro, o un preliminare firmato che indica un prezzo maggiore) e la controparte (contribuente) non ha molto da opporre se non spiegazioni di comodo, può convenire cercare un accordo per limitare danni. Anche in caso di incertezza sull’esito del giudizio, l’adesione evita il rischio di dover pagare poi anche spese di giudizio e interessi di mora accumulati negli anni del processo. Viceversa, se l’accertamento appare debole o viziato, spesso l’Agenzia stessa in sede di adesione rinuncerà (annullando) oppure non troverà accordo; il contribuente allora farà bene a proseguire col ricorso confidando nell’annullamento totale.
2. Ricorso in Commissione (Corte di Giustizia Tributaria)
Se non si raggiunge un accordo o si ritiene l’accertamento totalmente infondato, il passo successivo è il ricorso al giudice tributario. Dal 2023 le Commissioni Tributarie sono state rinominate Corti di Giustizia Tributaria di primo grado (ex CTP) e di secondo grado (ex CTR), ma la sostanza non cambia. Ecco i punti chiave per impostare una difesa vincente in giudizio:
- Termini e condizioni: Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (termine prorogato di 90 giorni se si è presentata istanza di adesione e questa non è andata a buon fine). Occorre versare il contributo unificato previsto (in base al valore della lite) e, se non si è già in fase di mediazione obbligatoria, costituirsi in giudizio depositando gli atti presso la segreteria della Corte tributaria competente (di solito quella della provincia dove ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto). Se l’importo in contestazione supera €3.000, è necessaria l’assistenza tecnica di un difensore abilitato (avvocato, commercialista, ecc.).
- Motivi di ricorso: Nella redazione del ricorso, bisogna articolare con chiarezza i motivi di impugnazione. Questi di solito si dividono in vizi formali/procedurali e vizi di merito:
- Vizi formali: es. difetto di motivazione (l’atto non spiega adeguatamente da dove è tratto il maggior valore, violando art. 52 DPR 131/86 e art. 7 L.212/2000) ; mancata allegazione di un atto richiamato (es. l’avviso cita una perizia del Territorio ma non l’ha allegata né ne riproduce i contenuti essenziali, il che potrebbe rendere nullo l’atto) ; notifica irregolare; mancato rispetto dei termini (ad es. accertamento emesso oltre i termini decadenziali di legge); oppure violazioni del contraddittorio (non sempre necessario in materia di tributi non “armonizzati”, ma ad es. per l’IVA sopra certe soglie si discute del contraddittorio endoprocedimentale).
- Vizi di merito: qui si contestano la sostanza e le prove dell’accertamento. Esempi: “erronea applicazione dell’art. 51 DPR 131/86” in quanto l’ufficio ha utilizzato dati OMI come fossero prova certa, in violazione della giurisprudenza (si citeranno Cass. xyz) ; oppure “difetto di gravità dei presupposti presuntivi” perché lo scostamento di prezzo è minimo e spiegabile con fattori economici (fretta di vendere per liquidità, ecc.); oppure “errata valutazione tecnico-estimativa” perché l’ufficio ha comparato immobili non omogenei senza correzione (oppure non ha considerato che l’immobile necessitava di integrale ristrutturazione, come da perizia allegata); “omesso esame di fatti decisivi” se, ad esempio, l’ufficio ignorò volutamente dati contrari (magari c’era una perizia di banca allegata all’atto che valutava proprio 100, e loro l’hanno ignorata). Insomma, si demolisce la bontà dell’accertamento punto per punto.
- Prove a supporto nel ricorso: Il ricorrente può (e dovrebbe) allegare subito tutti i documenti utili: la perizia di parte con eventuali foto, mappe, analisi del mercato locale; documenti che attestano lo stato dell’immobile (perizie tecniche, preventivi di spesa se era da ristrutturare, certificati che segnalano vincoli urbanistici, ecc.); eventuali dichiarazioni sostitutive di terzi coinvolti (ad es. se la vendita era a un parente e il prezzo era basso perché l’immobile proveniva da divisione ereditaria e c’erano patti familiari, si può far dichiarare agli altri coeredi come stavano le cose – anche se la testimonianza non è ammessa nel processo tributario, le dichiarazioni rese ex art. 47 DPR 445/2000 possono avere valore indiziario); estratti conto bancari (per dimostrare che non ci furono flussi di denaro extra rispetto a quanto dichiarato, o che il mutuo eccedente fu speso altrove, ecc.).
- Sospensione della riscossione: Importante, contestualmente al ricorso (o dopo, ma meglio insieme) si può chiedere alla Corte Tributaria la sospensione dell’esecutività dell’atto, se dal pagamento immediato deriverebbe un danno grave e irreparabile e se si ravvisano elementi di fondatezza del ricorso (art. 47 D.Lgs. 546/92). Per gli avvisi di accertamento non preceduti da atto bonario, la legge già prevede che la riscossione sia sospesa fino a 60 gg dopo la sentenza di primo grado se il contribuente paga 1/3 delle imposte (istituto dell’autotutela cautelare); ma per sicurezza, soprattutto se le somme sono alte, conviene chiedere al giudice la sospensione totale. Bisogna provare il pregiudizio (es. dover pagare 50.000€ creerebbe crisi di liquidità all’azienda, con documenti contabili) e la bontà di almeno un motivo di ricorso (es. “l’atto è palesemente immotivato, come da documenti allegati”). Se accordata, la sospensione evita che l’Agente della Riscossione avvii procedure esecutive durante il processo.
- Giudizio di primo grado: Il processo tributario è in larga parte scritto, ma si tiene anche un’udienza pubblica. Durante l’udienza, il difensore del contribuente può insistere sui punti salienti, replicare alle memorie dell’ufficio e rispondere ad eventuali domande dei giudici. È possibile chiedere la CTU estimativa come detto, motivandone la necessità (es. c’è divergenza netta tra due stime); i giudici la dispongono raramente, ma in cause complesse può avvenire. Se il contraddittorio orale fa emergere spiragli di accordo, come detto, si può proporre conciliazione. Altrimenti, la Corte delibererà e pubblicherà la sentenza di primo grado.
- Esito e oltre: In caso di vittoria completa, l’accertamento è annullato e nulla è dovuto (salvo magari recuperare eventuali 1/3 versati in pendenza). L’Ufficio può appellare in secondo grado. In caso di soccombenza (totale o parziale) del contribuente, si può appellare alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Il secondo grado rivede nel merito la vicenda: possono emergere nuove valutazioni, ma non si possono più presentare nuove prove se non già prodotte (fatta salva la produzione di documenti formatisi dopo, o la richiesta di CTU se non ammessa prima). In appello spesso si gioca sui medesimi elementi, cercando di convincere i giudici di secondo grado dell’eventuale errore di quelli di primo (ad esempio, se in primo grado il giudice ha ritenuto sufficiente l’OMI, evidenziare giurisprudenza contraria ignorata). Ottenere una riforma in appello è possibile specialmente se il primo giudice ha trascurato qualche aspetto probatorio o normativo importante.
- Ricorso in Cassazione: Dopo l’appello, rimane la Suprema Corte come ultimo grado, ma – va sottolineato – la Cassazione non rivede i fatti, bensì solo la corretta applicazione delle norme. Quindi si potrà ricorrere, ad esempio, denunciando violazione di legge se il giudice d’appello ha deciso in contrasto con i principi della Cassazione (magari avallando un accertamento basato su OMI soli, in contrasto con Cass. costante) , oppure vizio di motivazione se la sentenza d’appello manca completamente di considerare una prova decisiva. Non è invece possibile sperare che la Cassazione riconsideri la valutazione del valore: se la CTR ha stabilito, ad esempio, che il giusto valore è 120.000 euro sulla base di perizie, la Cassazione non può entrare nel merito se la motivazione è congrua e non contraddittoria. Il ricorso per Cassazione va notificato entro 60 giorni dalla notifica della sentenza d’appello, oppure entro 6 mesi dalla pubblicazione se non notificata.
In tutto questo percorso, il contribuente-debitore deve mantenere un ruolo attivo: fornire al proprio difensore tutte le informazioni e i documenti possibili, partecipare alle udienze se necessario per chiarimenti (può rendere dichiarazioni spontanee se ammesso), e valutare sempre costi/benefici. Spesso, in materia immobiliare, il valore della lite è elevato, per cui è ragionevole affrontare anche più gradi se si ritiene di avere ragione, giacché la posta in gioco (maggiori imposte + sanzioni) può essere consistente.
3. Autotutela e interventi amministrativi
Un’ulteriore possibilità, non alternativa ma complementare, è quella di richiedere all’Amministrazione l’annullamento in autotutela dell’atto, ossia il ritiro spontaneo dell’accertamento qualora risultino errori palesi o infondatezze. L’istanza di autotutela si può presentare in qualsiasi momento (anche oltre i 60 giorni, non sospendendo però i termini di ricorso) e va indirizzata all’ufficio locale dell’Agenzia che ha emesso l’atto. Nella pratica, l’autotutela viene accolta solo in casi lampanti – ad esempio: hanno accertato un immobile “sbagliato”, confondendo particella catastale; oppure è sopravvenuta una sentenza di Cassazione a Sezioni Unite che smentisce l’orientamento seguito dall’ufficio, e quest’ultimo decide di annullare per evitare cause perse.
Nel contesto dell’accertamento di valore, potrebbe essere utile se, dopo l’emissione dell’atto, il contribuente reperisce documenti nuovi e decisivi: ad esempio, una perizia giurata d’ufficio in un altro procedimento che attesta il medesimo basso valore dell’immobile, oppure l’acquirente rende una confessione scritta che in realtà il mutuo in più era usato per ristrutturare (con fatture allegate). Presentando questi elementi all’ufficio, potrebbe convincersi che la pretesa non regge e annullare/revocare l’atto (magari adottandone uno nuovo con importo minore, o nulla). Tuttavia, la statistica insegna che l’autotutela è rara in materia di valutazioni, perché l’ufficio tende a difendere il proprio operato fino al giudizio.
È comunque importante sapere che se, durante il contenzioso, emergono profili che indurrebbero l’ufficio a rivedere la sua posizione, si può sempre sollecitare una conciliazione o direttamente l’autotutela: l’Agenzia può annullare anche parzialmente l’atto (es. togliere le sanzioni, ridurre il valore accertato) in ogni stato e grado. Ad esempio, se in primo grado il contribuente vince portando prove schiaccianti e l’ufficio fa appello tanto per farlo, nulla vieta che in appello l’ufficio stesso riconosca l’errore e chieda la cessazione della materia del contendere per intervenuto annullamento in autotutela. Sono casi virtuosi ma possibili.
4. Altre difese: profili penali e civili
Accenniamo brevemente a due ulteriori fronti di difesa, per completezza:
- Difesa in ambito penale tributario: La sottofatturazione può, in certi casi, configurare reati tributari a carico del venditore (e/o dell’acquirente se consenziente). In particolare, il D.Lgs. 74/2000 punisce la dichiarazione fraudolenta o infedele quando l’imposta evasa supera determinate soglie. Nel caso di vendita immobiliare, se il venditore è un’azienda che dichiara ricavi inferiori al reale, potrebbe scattare il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) se l’imposta evasa supera €100.000 e l’importo sottratto eccede il 10% dell’imponibile dichiarato . Oppure, se vi sono atti falsi, si potrebbe ipotizzare la frode (art. 3). In pratica, però, la maggior parte dei casi di accertamenti sul valore restano nell’alveo amministrativo, a meno che non si tratti di sistematiche vendite in nero per importi molto grandi. Se dovesse aprirsi un procedimento penale, il contribuente dovrà coordinare la difesa fiscale con quella penale: spesso conviene definire il tributario (pagando il dovuto) perché l’adempimento dei debiti tributari può attenuare o estinguere il reato (causa di non punibilità per particolare tenuità o estinzione del debito prima del dibattimento, ex art. 13 D.Lgs. 74/2000). È dunque un aspetto specialistico dove coinvolgere un avvocato penalista tributario.
- Implicazioni civilistiche: Un accertamento di valore può avere riflessi indiretti sul rapporto tra le parti del contratto. Ad esempio, se venditore e acquirente avevano “patto occulto” di pagare di più, e l’Agenzia lo scopre, quell’accordo in nero è nullo; l’acquirente potrebbe, scoprendosi costretto a pagare più imposte, rivalersi sul venditore (in via civile) se quest’ultimo aveva garantito l’assenza di altri pagamenti. Oppure, in un caso di vendita tra parenti a prezzo irrisorio, altri eredi potrebbero impugnare la vendita come lesiva della legittima sostenendo che era di fatto una donazione. Questi aspetti esulano dal fisco strettamente, ma vanno tenuti presenti. Dal punto di vista del debitore d’imposta, però, la priorità resta annullare o ridurre la pretesa fiscale; le controversie private col compratore o terzi sono questioni separate da gestire eventualmente in altra sede.
Domande frequenti (FAQ) sull’accertamento per prezzo incongruo
Qui di seguito una serie di domande comuni sull’argomento, con risposte sintetiche basate su quanto esposto finora:
D: L’Agenzia delle Entrate può fare un accertamento solo perché il prezzo di vendita è più basso delle quotazioni di mercato?
R: Può avviare l’accertamento se c’è un forte scostamento, ma non può vincere in giudizio basandosi unicamente su quelloscostamento. Le quotazioni OMI da sole non bastano a legittimare la rettifica . Servono elementi aggiuntivi (mutui, comparabili, ecc.). Se l’avviso di accertamento cita esclusivamente “valori OMI”, è viziato e impugnabile con successo .
D: Qual è la “soglia” di differenza di prezzo che fa scattare l’accertamento?
R: Non esiste una soglia fissa per legge (es. 10% o 20%). In pratica, più grande è la differenza tra prezzo dichiarato e valore di mercato medio, più probabile è l’accertamento. Scostamenti modesti (5-10%) di solito non giustificano l’azione, anche perché spiegabili con la libera contrattazione. Scostamenti rilevanti (oltre 20-30%) sono considerati “incongruità” e spesso originano verifiche, specie se supportati da altri indizi. Ad esempio, vendere a €80k qualcosa che mediamente vale €120k attira l’attenzione; vendere a €110k vs €120k probabilmente no.
D: Ho venduto un immobile a un parente stretto a prezzo molto basso. Posso subire conseguenze?
R: Sì. Le vendite tra parenti a prezzo “di favore” sono guardate con sospetto dal Fisco. L’ufficio potrebbe rettificare il valore al livello di mercato, facendoti pagare le imposte sulla differenza come se fosse stata corrisposta. Inoltre, potrebbe considerare la differenza come donazione indiretta al parente. Fiscalmente, le donazioni tra genitori e figli sono esenti fino a 1 milione di euro e al 4% oltre, ma devono rispettare forme giuridiche. Una donazione dissimulata in una vendita può essere contestata. In sostanza, se hai venduto a prezzo simbolico, rischi: (a) imposta di registro aggiuntiva come se il prezzo fosse quello reale; (b) sanzione per sottofatturazione (generalmente 30% dell’imposta evasa); (c) eventuale tassazione come donazione se la cifra è alta (più un’eventuale nullità dell’atto in casi estremi di simulazione totale). La difesa in questi casi è complicata, salvo dimostrare che il prezzo basso era giustificato (es. il figlio si è accollato debiti del padre per un importo equivalente, ecc.).
D: Se l’acquirente ha ottenuto un mutuo più alto del prezzo, cosa devo aspettarmi?
R: Come discusso, un accertamento quasi certo. Per Cassazione, mutuo > prezzo è un indizio forte che giustifica la rettifica del prezzo dichiarato portandolo almeno all’importo del mutuo . Quindi l’Agenzia probabilmente ti contesterà il valore pari al mutuo. Per difenderti, dovresti provare con documenti l’uso alternativo di quella quota di mutuo in eccesso (es. migliorie all’immobile fatte subito dopo, altre spese finanziate). Senza tale prova, è difficile evitare l’accertamento in tale scenario.
D: Ho acquistato casa con il sistema “prezzo-valore” (pagando imposte su valore catastale). Possono comunque farmi un accertamento di valore?
R: No, non per l’imposta di registro. Se hai soddisfatto i requisiti del prezzo-valore (immobile abitativo, acquirente privato non imprenditore, ecc.) e in atto hai richiesto l’applicazione di quella norma, l’Agenzia non può contestare un maggior valore ai fini del registro . Anche se hai pagato molto meno del mercato, l’imposta di registro rimane quella calcolata sul valore catastale. Questo è proprio lo scopo della norma: evitare gli accertamenti sul valore per incoraggiare la trasparenza del prezzo. Attenzione: ciò non ti protegge da eventuali accertamenti su altri fronti – ad esempio, se l’Agenzia scoprisse comunque un pagamento extra in nero (magari perché l’ha confessato il venditore altrove), potrebbe sanzionare l’illecito sotto il profilo dei redditi o addirittura penalmente per dichiarazione fraudolenta. Ma in assenza di prove di nero, con il prezzo-valore sei blindato sul registro. Se invece l’immobile non era abitativo o il venditore era impresa con IVA (quindi il prezzo-valore non applicabile), allora la protezione non vale.
D: Ho venduto un appartamento a un prezzo inferiore al mio costo di acquisto (dopo pochi anni) quindi senza plusvalenza. Possono comunque farmi qualcosa?
R: Se sei un privato e hai venduto sotto costo entro 5 anni, ufficialmente non c’è plusvalenza tassabile. Tuttavia, se il prezzo è anormalmente basso, l’Agenzia potrebbe sospettare che in realtà tu abbia realizzato una plusvalenza nascosta (ossia hai incassato di più di quanto dichiarato). Quindi sì, potrebbero accertare un maggior reddito diverso (plusvalenza) in capo a te, se hanno indizi che hai incassato di più. Se invece sei un’impresa e vendi sottocosto, come visto rientri nel caso delle operazioni antieconomiche: il Fisco può presumere che la vendita in perdita nasconda ricavi non dichiarati . Quindi in entrambi i casi “vendere sotto costo” attira l’interesse del Fisco. Dovresti essere pronto a spiegare il perché della vendita a perdita (urgenza di liquidità, errore di valutazione, necessità di cedere per evitare spese, etc.), preferibilmente con elementi oggettivi (ad es. l’immobile aveva problemi occulti emersi dopo l’acquisto che ne hanno ridotto il valore).
D: In caso di accertamento, quali sanzioni si applicano?
R: Dipende dal tipo di imposta: – Per imposta di registro/ipotecaria/catastale, se l’ufficio rettifica un valore più alto, si ha un’omessa/infedele dichiarazione ai fini dell’imposta. La sanzione solitamente è il 30% della maggiore imposta dovuta (D.Lgs. 472/97, salvo recidive). Ad esempio, dichiarato 100k, accertato 150k, maggiore imposta registro 9% su 50k = €4.500, sanzione 30% = €1.350, oltre interessi. Questa sanzione può essere ridotta: 1/3 (450€) se si aderisce prima del ricorso; 1/3 se si perde in giudizio ma si paga entro termini (definizione agevolata post-sentenza); 1/2 se conciliazione; etc. – Per IVA e imposte sui redditi, viene contestata una dichiarazione infedele. La sanzione ordinaria è dal 90% al 180% della maggiore imposta evasa (art. 1 D.Lgs. 471/97 per IVA, e analogo per IRES/IRPEF). Nella pratica spesso applicano il minimo 90%. Quindi se su quella differenza di 50k l’IRES evasa era 24% = 12k, la sanzione sarebbe 10.8k (90%). Anche queste sanzioni godono di riduzioni in caso di adesione (1/3 del minimo) o acquiescenza (riduzione 1/3) o conciliazione (riduzione 50%). Inoltre, se l’imposta evasa non supera 3k euro, la sanzione è ridotta a 1/3. – Cumulabilità: se una stessa differenza di prezzo impatta più imposte (registro e IVA, ad esempio, in certi casi), in teoria il contribuente può subire sanzioni su entrambi i fronti. C’è però il principio del ne bis in idem interno che, in casi di sovrapposizione perfetta, potrebbe portare a considerare assorbite alcune sanzioni. In genere comunque, registro e IVA essendo tributi diversi, le sanzioni viaggiano separate. – Interessi: su ogni imposta aggiuntiva vengono conteggiati gli interessi legali (oggi attorno al 5% annuo in aumento) dal giorno in cui l’imposta doveva essere versata (per registro, dalla registrazione dell’atto; per IVA, dalla liquidazione periodica dell’epoca; per IRES, dalla data del saldo dichiarazione, ecc.) fino al pagamento. – Sanzioni penali: come detto, se l’evasione supera soglie penali, oltre alle sanzioni amministrative ci può essere il profilo penale (multa, reclusione) ma sono procedimenti distinti.
D: Se penso che l’accertamento sia totalmente sbagliato, devo comunque pagare qualcosa subito?
R: Presentando ricorso, l’esecuzione dell’atto è sospesa limitatamente a 1/3 delle imposte (per atti “esecutivi” come gli accertamenti esecutivi recenti). In pratica: di norma l’atto ti richiede di pagare entro 60 giorni le imposte, interessi e sanzioni, ma se fai ricorso e ne dai comunicazione all’ente, è dovuto solo 1/3 dell’imposta contestata (senza sanzioni) come importo provvisoriamente esigibile. Ad esempio, maggiore imposta 9.000€, paghi 3.000€ ora; il resto rimane in sospeso fino a sentenza. Se vinci, ti rimborseranno quei 3.000€ con interessi; se perdi, dovrai pagare il resto + sanzioni. Tuttavia, puoi anche chiedere la sospensione di quel 1/3 come visto. Se la ottieni, non paghi nulla finché non c’è giudizio. Se invece l’accertamento non è “esecutivo” (in passato gli avvisi di accertamento imposta registro non erano immediatamente esecutivi finché non divenivano definitivi), allora il pagamento è sospeso per legge pendente ricorso. Occorre controllare la tipologia di atto e la data. In sintesi: non è automatico pagare tutto subito, hai strumenti per differire o sospendere in attesa del verdetto, specialmente se sei certo dell’erroneità dell’atto.
D: Come posso prevenire il rischio di accertamento in futuro, quando vendo o compro un immobile?
R: Alcuni suggerimenti utili: – Se sei acquirente privato di abitazione, utilizza il prezzo-valore richiedendolo in atto. Pagherai le imposte sul catastale e sarai al riparo da accertamenti di valore . – Sii trasparente sul prezzo: dichiara sempre in atto l’effettivo corrispettivo che passa di mano. Evita di fare (o accettare) accordi “a parte” in denaro: non solo sono illegali, ma se emergono sei sanzionabile duramente. – Se sei un venditore impresa, non sottostimare i corrispettivi per vantaggi di breve periodo: l’Agenzia incrocia i dati e preferisce vedere margini in linea col mercato. Se vendi sottocosto, prepara un dossier che spieghi il perché (mercato in crisi, necessità di liquidare l’invenduto, difetti dell’immobile, ecc.) da esibire in caso di controllo. – Puoi valutare di far fare una perizia giurata prima di vendere, se pensi che realizzerai un prezzo molto basso rispetto a certi parametri: un perito terzo che attesta che quel prezzo è congruo per ragioni X può essere un’arma preventiva. Se l’accertamento arriva, tu hai già un elemento forte da opporre. – Nelle clausole contrattuali, evita escamotage tipo dichiarare che parte del prezzo è per arredi o altro se non è vero e giustificato: il Fisco potrebbe contestare la ripartizione fittizia. Se invece una parte del prezzo è per davvero destinata ad altro (mobili, attrezzature), specifica chiaramente e fornisci una stima di quei beni. – Per le imprese di costruzione: tenere traccia delle spese di costruzione per singola unità, così da motivare eventuali vendite a prezzo inferiore (ad esempio, “l’appartamento X è stato venduto a 90k perché proprio quel lotto aveva questo costo e poco mercato”). Documentare eventuali sconti particolari concessi (es. alloggio a dipendente, vendita a socio come fringe benefit, ecc.) per poterlo spiegare.
- Infine, tieni presente il fattore temporale: l’Agenzia può accertare il valore entro 2 anni dal pagamento imposta (se registro) oppure entro il 31 dicembre del quinto anno successivo (per redditi/IVA, salvo ev. proroghe). Spesso controllano con calma le compravendite di 2-3 anni prima. Conserva quindi la documentazione pertinente per almeno 6-7 anni dopo la vendita, così da averla pronta in caso di controllo.
Esempi pratici e casi di studio
Vediamo ora alcuni scenari concreti di accertamento per prezzo incongruo e relativo esito, per comprendere meglio l’applicazione pratica di principi e strategie:
Esempio 1: Vendita di immobile abitativo tra privati, prezzo inferiore alle attese di mercato.
Mario vende a Lucia un appartamento nel 2024 al prezzo dichiarato di €100.000. L’immobile è una seconda casa (registro 9%) e non è richiesta l’opzione prezzo-valore. La zona OMI indica valori medi di €1.800/mq e l’appartamento (80 mq) varrebbe circa €144.000 secondo tali parametri. Dopo un anno, Mario riceve un avviso di accertamento che rettifica il valore a €140.000, basandosi sui dati OMI della zona. L’ufficio liquida così €3.600 di maggior imposta di registro (9% su 40k) più €1.080 di sanzione (30%) e interessi. Mario è sorpreso, perché ha venduto a 100k in quanto l’appartamento necessitava di ristrutturazione completa (preventivi per €30k) e aveva urgenza di liquidità. Difesa: Mario presenta ricorso sottolineando che l’atto è motivato solo con riferimento alle medie OMI, senza ulteriori elementi. Allegando la Circolare 18/E 2010 e sentenze Cassazione (es. Cass. 22475/2024) dimostra che ciò è illegittimo . Inoltre produce una perizia giurata fatta fare prima della vendita, in cui un tecnico stimava il valore in €105.000 proprio a causa dei lavori necessari (documentati). In giudizio, l’Agenzia non porta altri elementi (non c’è mutuo, né comparabili specifici). Esito: la Commissione accoglie il ricorso: “l’accertamento è basato esclusivamente sullo scostamento OMI, privo di ulteriori presunzioni gravi, precise e concordanti, in violazione dell’art. 52 DPR 131/86 e della giurisprudenza di legittimità”. Mario ottiene l’annullamento totale . (In aggiunta, Lucia acquirente non aveva subito variazioni d’imposta, ma è anch’ella sollevata perché, se l’atto fosse passato, in solido avrebbe dovuto pagare anche lei le imposte di registro complementari).
Esempio 2: Vendita di capannone da società a prezzo antieconomico (sotto costo).
La Alfa Srl, costruttrice, realizza nel 2019 tre capannoni. Due li vende a prezzo congruo nel 2020, uno lo vende nel 2019 al socio Beta a un prezzo pari a circa l’80% del costo di costruzione (vendita in perdita). La società dichiara per il 2019 un reddito quasi zero grazie a quella perdita, e Beta (socio-acquirente) gode di un affare. Accertamento: l’Agenzia nel 2021 effettua un controllo: rileva che i capannoni simili venduti l’anno dopo avevano prezzi 30% più alti. Considera antieconomica la vendita al socio e presume un corrispettivo occulto. Emette avviso di accertamento aumentando i ricavi 2019 di Alfa Srl di €100.000 (la differenza stimata), con recupero di IRES e IRAP evase, e contestuale recupero di IVA (€22.000) su quella differenza, sostenendo che in realtà Beta avrebbe pagato extra in nero. Difesa: Alfa Srl impugna sostenendo che la vendita 2019 fu fatta a minor prezzo perché il capannone presentava difetti costruttivi poi sistemati negli altri due (Beta accettò un immobile “grezzo” per finirlo da sé). Porta in giudizio le fatture di Beta del 2020 per lavori sul capannone (per un valore di €80.000) per mostrare che quell’immobile valeva meno perché incompleto. La società evidenzia anche che Beta era socio al 50% e aveva preferito acquistare subito per ragioni di utilizzo urgente, accollandosi lavori. L’Agenzia dal canto suo mostra estratti conto dove Beta preleva €50.000 in contanti nei giorni vicini alla vendita, insinuando che fosse il nero pagato. Esito: la Commissione considera che la condotta di Alfa Srl fu antieconomica (Cass. 26773/2020 la legittima: chi vende sottocosto può nascondere materia imponibile) . Tuttavia, le prove portate dalla società (investimenti successivi di Beta per completare l’immobile, giustificazioni tecniche) e l’assenza di prova certa sul destino dei €50.000 prelevati (Beta giustifica fossero per altre operazioni personali) creano un ragionevole dubbio. La CTR, in appello, riduce l’accertamento del 50% riconoscendo che almeno in parte il minor prezzo era giustificato dai lavori incompiuti, ma reputa comunque che un 50% resti non spiegato. Si concilia infine in appello con valore accertato dimezzato: Alfa paga IRES su €50.000 invece di 100.000, più IVA su 50.000 che Beta non detrae (per evitare penalità). Questo esempio mostra che in casi di operazioni infragruppo anomale l’Agenzia è aggressiva, ma una difesa ben documentata può ottenere una sensibile riduzione (se non annullamento totale).
Esempio 3: Vendita di immobile con mutuo eccedente – Cassazione favorevole al Fisco.
Tizio (impresa individuale) vende un immobile commerciale a Caio per €200.000 (più IVA). Caio ottiene un mutuo di €300.000 garantito da ipoteca sullo stesso immobile. L’Agenzia accerta che Caio, oltre a pagare Tizio i €200.000 ufficiali, gli avrebbe corrisposto altri €100.000 in nero (corrispondenti al mutuo eccedente). Tizio si vede notificare un accertamento per maggiori ricavi €100.000, con IVA relativa e reddito d’impresa corrispondente. Le prove? Solo il fatto del mutuo e che Caio non aveva altri immobili su cui giustificare quell’ulteriore somma. Tizio fa ricorso sostenendo che Caio ha usato il surplus del mutuo per altri scopi (capitale circolante della sua attività, sostiene, senza però documentare). Esito: la Cassazione (richiamando Cass. 18866/2024) afferma che lo scarto mutuo/prezzo, di per sé, è un indizio grave e preciso sufficiente se non contrastato da prova contraria convincente . Poiché Tizio non ha fornito evidenze concrete sull’uso alternativo di quei 100k (nessuna pezze d’appoggio, solo affermazioni), l’accertamento viene confermato in toto. Tizio finisce per pagare IVA + imposte su quei 100k, sanzioni e interessi. Nota: Caio acquirente, che detrae l’IVA sull’acquisto ufficiale, non viene sanzionato fiscalmente (a meno che emergesse anche il suo ruolo attivo nel nero, ma spesso l’acquirente non ha convenienza a dichiarare di aver pagato di più). Però Caio in questa situazione si è indebitato più del necessario e deve comunque restituire un mutuo più alto senza un giustificativo economico: mossa pericolosa.
Esempio 4: Applicazione del “prezzo-valore” – nessun accertamento nonostante scostamento.
Nel 2023, Sempronio acquista da un costruttore (vendita esente IVA, oltre 5 anni da fine lavori) un appartamento come seconda casa. Prezzo concordato €150.000, ma Sempronio nota che il valore catastale dell’immobile è solo €80.000 (rendita 500€×160). D’accordo col venditore, dichiarano comunque €150.000 in atto (per trasparenza) ma Sempronio richiede l’applicazione del prezzo-valore, pagando registro 9% su €80.000 = €7.200 invece che su 150k = €13.500. L’Osservatorio OMI indicherebbe per quell’immobile un valore di circa €140.000, dunque il prezzo è allineato al mercato. Tuttavia, a fini registro, l’Agenzia incassa meno della metà. Può venire voglia al funzionario di rettificare? No, per legge non può, in assenza di indicazione di maggior corrispettivo. Sempronio e il venditore non ricevono alcun accertamento di valore, perché il prezzo-valore preclude all’ufficio di sindacare la congruità del corrispettivo . L’unica evenienza in cui Sempronio potrebbe avere noie è se il Fisco scoprisse che in realtà il prezzo pagato era superiore a 150k (ma qui non è il caso, era quello). In pratica, l’ufficio ha tassato l’atto sul minimo catastale e accetta così com’è. Le casse erariali guadagnano meno? In teoria, sì; ma il legislatore ha preferito così per ridurre l’evasione: Sempronio non aveva incentivo a dichiarare meno di 150k, quindi ha dichiarato la verità. E il venditore costruttore dichiara a bilancio 150k (utile reale) su cui paga le sue imposte, senza poterne occultare una parte. Dunque, obiettivo di trasparenza raggiunto.
Esempio 5: Rettifica di valore di un terreno edificabile – contributo di più elementi.
Una società Gamma acquista nel 2018 un terreno edificabile pagando registro sul valore dichiarato di €300.000. Nel 2020 rivende il terreno a €500.000. L’ufficio, insospettito dall’apprezzamento, verifica l’atto del 2018: scopre che al tempo la rendita catastale era irrisoria (terreno agricolo) ma poco dopo è stato adottato un piano urbanistico che ha reso edificabile la zona. Dunque, sospetta che il valore 2018 di 300k fosse sottostimato (forse il reale valore edificativo era già noto agli insider). Confrontando con atti di vendita di lotti vicini, risulta che nel 2019 un terreno simile fu venduto a €450.000. Inoltre, ottengono copia di una perizia giurata fatta da un istituto di credito nel 2017 che valutava il terreno €400.000 in vista di un mutuo (poi non erogato). Accertamento: l’Agenzia rettifica il valore dell’atto del 2018 da €300k a €400k, chiedendo differenza registro 9% su 100k = €9.000 + sanzione 30% = €2.700. La motivazione dell’avviso cita: “valore venale accertato in base a comparazione con vendita di terreno omologo (atto Notaio X rep… del 05/09/2019, €450.000 per mq simili) e riscontro di perizia bancaria (per Euro 400.000) precedente l’atto, elementi che si pongono concordemente a supporto di un maggior valore di almeno €400.000”. Difesa: Gamma contesta sostenendo che nel 2018 il piano regolatore non era ancora efficace e l’acquirente si assumeva un rischio (infatti, argomentano, il valore era minore proprio perché non era certo si potesse edificare – la delibera definitiva è del 2019). Tuttavia, la presenza di quella perizia 2017 (fatta probabilmente considerando la variante in itinere) smentisce Gamma. Esito: la Commissione dà ragione al Fisco: qui non c’è un uso di sole medie OMI, ma di due elementi concreti precisi: un atto comparativo e una perizia specifica. Sono considerate presunzioni gravi, precise e concordanti . Gamma paga i 9k + sanzioni. (Se Gamma avesse potuto dimostrare che il lotto venduto a 450k nel 2019 aveva caratteristiche diverse – es. più grande, o con diritti edificatori maggiori – forse avrebbe ottenuto uno sconto, ma così non è stato).
Questi esempi illustrano come, a seconda delle prove disponibili e delle circostanze, l’esito possa cambiare radicalmente: si va dall’annullamento totale (se il Fisco ha basato l’accertamento su basi fragili) alla conferma piena (se il contribuente non riesce a smontare indizi forti). Spesso l’esito è intermedio, con una rideterminazione del valore accertato. In qualunque caso, la chiave per il contribuente è: conoscere i propri diritti, raccogliere le prove a favore e contestare puntualmente ogni punto debole dell’accusa fiscale.
Conclusioni
L’accertamento fiscale sul valore degli immobili è una materia complessa che richiede al contribuente (e ai suoi consulenti) un mix di conoscenze giuridiche, fiscali e tecniche estimative. Abbiamo visto che il quadro normativo italiano – pur consentendo all’Amministrazione finanziaria di sindacare i corrispettivi apparentemente troppo bassi – pone precisi limiti a tutela della libertà contrattuale e del diritto di difesa: dal 2009 non esistono più automatismi basati sul valore normale, e ogni contestazione deve reggersi su elementi probatori solidi . La giurisprudenza più recente ha ribadito questi principi, smantellando accertamenti fondati unicamente su quotazioni OMI o su presunzioni semplicistiche . D’altro canto, la stessa Cassazione riconosce valore a indizi forti come le vendite manifestamente antieconomiche o la sproporzione tra mutuo e prezzo , legittimando l’azione del Fisco in presenza di tali segnali, purché poi corroborati in giudizio.
Dal punto di vista del debitore d’imposta, difendersi efficacemente significa: – Prevenire, quando possibile, scegliendo strumenti come il prezzo-valore nelle compravendite tra privati (per blindarsi da accertamenti su registro) e tenendo traccia documentale di eventuali motivi di riduzione del prezzo. – Esigere il rispetto delle garanzie procedurali: una motivazione dettagliata dell’avviso, con allegazione degli atti richiamati; in mancanza, far valere la nullità. – Contestare nel merito con dati oggettivi: presentare per tempo perizie, per quanto possibile “terze” (meglio se giurate), che attestino la coerenza del prezzo; evidenziare ogni differenza tra il proprio immobile e quelli usati dall’ufficio; dimostrare condizioni di mercato particolari (crisi economica nel settore, necessità di liquidazione immediata, ecc.) che possano giustificare un prezzo ridotto, come riconosciuto anche da alcune Commissioni di merito. – Conoscere la normativa e i precedenti: citare in ricorso le norme (art. 51 e 52 DPR 131/86, art. 39 DPR 600/73, L.88/09 ecc.) e le sentenze di legittimità rilevanti serve a far capire al giudice che il contribuente ha ragione non per simpatia ma per diritto. Ad esempio, segnalare che “Cass. 22475/2024 ha annullato un atto identico basato solo su OMI” rende difficile per il giudice ignorare il vizio dell’atto impugnato. – Valutare accordi se opportuno: come discusso, a volte combattere per l’annullamento totale potrebbe essere rischioso (se ci sono elementi contro di noi) o costoso (tempi lunghi). In tali casi, la soluzione transattiva con l’ufficio può chiudere la questione in modo soddisfacente, specie con le sanzioni ridotte. Questo non è arrendersi ma fare un calcolo di convenienza.
In ultima analisi, il messaggio chiave è: la vendita di un immobile a prezzo incongruo non è una condanna senza appello, ma una situazione in cui occorre attivarsi prontamente per far valere le proprie ragioni. Il sistema tributario italiano, pur severo con chi tenta di evadere dichiarando meno, offre comunque strumenti di tutela per chi ha agito in buona fede o ha valide ragioni per il prezzo pattuito. Utilizzarli al meglio può fare la differenza tra subire un aggravio ingiusto di tasse e riuscire a difendere con successo la legittimità della propria compravendita.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la vendita di un immobile a un prezzo ritenuto incongruo rispetto al valore di mercato? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la vendita di un immobile a un prezzo ritenuto incongruo rispetto al valore di mercato?
Vuoi sapere cosa rischi e come predisporre una difesa efficace?
👉 Prima regola: dimostra la legittimità del prezzo di vendita pattuito e le circostanze che lo giustificano (condizioni dell’immobile, stato di conservazione, urgenza di liquidità, vincoli contrattuali).
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Prezzo di vendita dichiarato inferiore al valore OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare);
- Differenze tra il valore catastale e quello dichiarato nell’atto;
- Vendite tra parenti o soggetti collegati, ritenute non di mercato;
- Operazioni immobiliari qualificate come elusive o simulate;
- Mancanza di perizie o documentazione a supporto del prezzo concordato.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero delle imposte calcolate sul valore ritenuto congruo;
- Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele;
- Interessi di mora sulle somme accertate;
- Possibili accertamenti anche sull’acquirente (imposte di registro e ipocatastali);
- Contestazioni penali in caso di simulazione fraudolenta.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Il prezzo pattuito corrispondeva effettivamente a quello incassato?
- Le condizioni dell’immobile giustificavano un prezzo inferiore (vetustà, lavori necessari, vincoli urbanistici)?
- È disponibile una perizia tecnica che attesti il valore reale dell’immobile al momento della vendita?
- L’Agenzia delle Entrate ha usato valori OMI adeguati e pertinenti alla zona?
- L’accertamento si basa su presunzioni o su prove documentali solide?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Atto notarile di compravendita;
- Ricevute e prove di pagamento del prezzo concordato;
- Perizie di stima redatte da professionisti;
- Documentazione tecnica sull’immobile (planimetrie, certificazioni, lavori necessari);
- Dichiarazioni fiscali relative all’operazione.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la congruità del prezzo con prove e perizie indipendenti;
- Contestare l’uso automatico dei valori OMI come unico parametro;
- Evidenziare fattori specifici che hanno inciso sul prezzo (urgenza di vendita, vincoli, stato dell’immobile);
- Richiedere l’annullamento in autotutela se la documentazione era già depositata;
- Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
- Attivare difesa penale in caso di contestazioni per simulazione fraudolenta.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la documentazione relativa alla compravendita;
📌 Valuta la legittimità della contestazione e i punti deboli dell’accertamento;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire correttamente le compravendite immobiliari.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e diritto immobiliare;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni fiscali su compravendite immobiliari;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Gli accertamenti fiscali per vendita di immobili a prezzo incongruo non sempre sono fondati: spesso si basano su valori OMI standardizzati che non riflettono la reale situazione del bene.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza del prezzo pattuito, evitare il recupero di imposte indebite e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti fiscali sulle vendite immobiliari inizia qui.