Contestazione Per Locazioni Con Canoni Sottostimati: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per canoni di locazione dichiarati inferiori al valore reale di mercato? In questi casi, l’Ufficio presume che i redditi da locazione siano stati sottostimati rispetto al valore catastale o ai prezzi medi di mercato, con l’obiettivo di ridurre l’imponibile ai fini IRPEF e/o cedolare secca. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben impostata è possibile dimostrare la legittimità dei canoni concordati o ridurre sensibilmente le sanzioni.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i canoni di locazione
– Se i canoni dichiarati risultano inferiori ai valori catastali rivalutati o ai valori OMI (Osservatorio Mercato Immobiliare)
– Se vi sono incongruenze tra i contratti registrati e i pagamenti effettivamente percepiti
– Se emergono differenze tra i canoni pattuiti e quelli normalmente applicati per immobili simili nella stessa zona
– Se l’Ufficio presume la presenza di pagamenti “in nero” non dichiarati
– Se vengono contestati contratti di locazione a canone agevolato senza requisiti di legge

Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione dei maggiori redditi da locazione accertati
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle imposte non versate
– Interessi di mora sulle somme dovute
– Possibile riqualificazione del contratto di locazione in termini meno favorevoli al contribuente
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele se l’occultamento è rilevante

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la validità dei canoni concordati tramite contratti registrati e quietanze di pagamento
– Produrre perizie di mercato, stime indipendenti o documentazione che giustifichi canoni inferiori (es. immobile da ristrutturare, scarsa appetibilità, vincoli d’uso)
– Contestare l’applicazione dei valori OMI se utilizzati come unica base presuntiva senza ulteriori elementi concreti
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione dell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i contratti di locazione e i pagamenti oggetto di contestazione
– Verificare la legittimità della contestazione e l’uso corretto dei parametri di riferimento da parte dell’Ufficio
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali
– Difendere il proprietario davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio immobiliare da pretese fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione di sanzioni e interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della validità dei canoni pattuiti e dichiarati
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: le contestazioni sui canoni di locazione sottostimati sono frequenti, soprattutto in città ad alta pressione abitativa, dove il Fisco utilizza i valori OMI come parametro di riferimento. È fondamentale predisporre una difesa documentata per evitare conseguenze economiche e legali sproporzionate.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e immobiliare – spiega come difendersi in caso di contestazione per canoni di locazione sottostimati e quali strategie adottare per tutelare i tuoi interessi.

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Introduzione

Le locazioni con canoni “sottostimati” – comunemente note come affitti in nero o parzialmente in nero – sono quelle situazioni in cui il canone di affitto dichiarato nel contratto registrato (o alle autorità fiscali) è inferiore a quello effettivamente pagato dal conduttore (inquilino). In pratica, il locatore (proprietario) e il conduttore accordano occultamente un canone maggiore rispetto a quello scritto nel contratto, spesso con pagamenti in contanti non tracciati o attraverso scritture private aggiuntive non registrate. Lo scopo di tali pratiche è solitamente evadere o eludere le imposte (pagando meno tasse su un affitto dichiarato più basso) o, talvolta, aggirare normative vincolistiche (come i canoni concordati o altre tutele dell’inquilino).

Questa pratica, per quanto diffusa – si stima quasi un milione di affitti in nero in Italia secondo studi recenti – è estremamente rischiosa e illegale. Il legislatore italiano ha introdotto misure sempre più stringenti per contrastarla: obbligo di forma scritta e di registrazione dei contratti di locazione, sanzioni fiscali molto elevate, e norme che tutelano l’inquilino permettendogli di recuperare le somme pagate in eccesso o di far valere solo il canone ufficiale. Inoltre, la giurisprudenza (fino alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione) ha chiarito in modo definitivo che qualsiasi patto occulto volto a maggiorare il canone è nullo per illiceità della causa, lasciando valido solo il contratto registrato al canone apparente .

Dal punto di vista di chi subisce la contestazione – tipicamente il locatore, in qualità di debitore d’imposta nei confronti dell’erario, ma anche il conduttore che si veda richiedere illegalmente somme aggiuntive – è fondamentale conoscere i propri diritti e strumenti di difesa. Questa guida, aggiornata a settembre 2025, fornisce un’analisi approfondita e aggiornata sulle contestazioni relative a canoni di locazione sottodichiarati, con un linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo. Esamineremo:

  • Il quadro normativo italiano vigente in materia di locazioni (abitative, commerciali, uso diverso, contratti brevi, ecc.) e i relativi obblighi di forma, registrazione e dichiarazione dei canoni.
  • Le conseguenze legali e fiscali di un canone “in nero” o sottostimato: nullità civilistica dei patti occulti, tutele accordate all’inquilino, sanzioni tributarie amministrative (e in casi estremi penali) a carico del locatore.
  • Le modalità con cui l’Agenzia delle Entrate e gli organi preposti scoprono gli affitti non dichiarati (dalle segnalazioni dei conduttori agli incroci di banche dati elettroniche) e come si sviluppa un accertamento fiscale su redditi da locazione non dichiarati.
  • Le strategie difensive a disposizione del locatore e del conduttore: dalla regolarizzazione spontanea (ravvedimento operoso) ai rimedi in sede civile (azioni legali, opposizioni a sfratto, ecc.), fino al contenzioso tributario davanti alle Corti di Giustizia Tributaria per impugnare le pretese fiscali.
  • Esempi pratici, tabelle riepilogative delle sanzioni e delle tempistiche, nonché una sezione di domande & risposte per chiarire i dubbi più frequenti.

L’obiettivo è fornire una guida completa e aggiornata su come difendersi da contestazioni riguardanti canoni di locazione sottostimati, dal duplice punto di vista: quello civilistico (rapporti tra proprietario e inquilino) e quello tributario (rapporti con il Fisco). Conoscere la legge e le più recenti sentenze in materia è il primo passo per tutelare efficacemente i propri diritti in queste situazioni complesse.

Quadro normativo: obblighi nelle locazioni e nullità dei patti occulti

Per comprendere come difendersi, occorre partire dal quadro normativo italiano in tema di locazioni e in particolare dagli obblighi di forma e registrazione dei contratti, nonché dalle norme che sanzionano i cosiddetti “patti in deroga” o occulti sul canone.

Obbligo di forma scritta e di registrazione del contratto

Nel nostro ordinamento le locazioni di immobili urbani devono essere stipulate per iscritto. La legge n. 431/1998 (che disciplina le locazioni abitative) ha infatti stabilito la nullità dei contratti di affitto non redatti in forma scritta. Analogamente, per gli immobili commerciali o ad uso diverso, vige di fatto lo stesso obbligo: la forma scritta è necessaria quantomeno per poter registrare il contratto e avere titolo opponibile a terzi. Dunque, un contratto di locazione verbale è nullo sin dall’origine per mancanza di forma prescritta, e non produce effetti giuridici validi tra le parti.

Oltre alla forma, è fondamentale l’obbligo di registrazione fiscale del contratto. L’art. 1, comma 346 della legge 311/2004 (legge finanziaria 2005) dispone espressamente che “i contratti di locazione (…) comunque stipulati, sono nulli se (…) non sono registrati”. La registrazione va effettuata entro 30 giorni dalla stipula presso l’Agenzia delle Entrate (termine perentorio a carico del locatore), salvo i contratti di durata molto breve (fino a 30 giorni complessivi nell’anno) per cui non vi è obbligo di registrazione. Il locatore deve inoltre darne comunicazione al conduttore entro 60 giorni. La mancata registrazione nei termini comporta quindi non solo violazioni fiscali, ma incide direttamente sulla validità civilistica del contratto, determinandone la nullità assoluta per contrasto con norma imperativa.

È importante notare che la nullità per omessa registrazione è stata oggetto di dibattito giurisprudenziale. In passato, alcuni ritenevano che il contratto non registrato fosse solo inefficace (sospensivamente condizionato alla registrazione), senza intaccarne la validità intrinseca. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha progressivamente confermato l’interpretazione più rigorosa: la norma tributaria che impone la registrazione è norma imperativa, la cui violazione comporta nullità ex art. 1418 c.c.. Già la Corte Costituzionale nel 2007 aveva chiarito che la disposizione della finanziaria 2005, avendo rango imperativo, rende nullo l’atto di locazione non registrato. Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 23601/2017, hanno poi definitivamente statuito che il contratto di locazione non registrato nei termini è nullo in quanto privo di un requisito essenziale di validità, trattandosi di una “nullità testuale” prevista dalla legge.

In sintesi, per qualsiasi locazione immobiliare (uso abitativo o diverso) di durata superiore a 30 giorni è obbligatorio: (a) stipulare un contratto scritto, (b) registrarlo all’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni. La violazione di questi obblighi comporta la nullità del contratto e l’applicazione di sanzioni. Inoltre, la legge prevede la responsabilità solidale di locatore e conduttore per la registrazione: se il locatore non provvede, anche l’inquilino può (e dovrebbe) attivarsi per registrare il contratto, onde mettersi in regola.

Va precisato che non vi sono eccezioni per i contratti tra privati a titolo gratuito: se ad esempio si stipula un contratto di comodato d’uso fittizio per mascherare una locazione dietro compenso, l’obbligo di registrazione scatta comunque (il comodato scritto va registrato se ha durata determinata oltre 30 giorni) e qualora emerga che in realtà vi è un corrispettivo mascherato, ci si troverà in presenza di un affitto in nero con tutte le relative conseguenze (nullità, tasse evase, ecc.). I contratti di locazione ad uso transitorio o di breve durata (es. affitti turistici inferiori a 30 giorni) non richiedono registrazione se non superano i 30 giorni annui complessivi, ma restano soggetti a eventuale comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza e, se ripetuti con finalità imprenditoriali, all’obbligo di dichiarare i redditi percepiti. In ogni caso, suddividere artificiosamente un affitto in una serie di contratti brevi per eludere la registrazione configura un abuso facilmente contestabile dal Fisco qualora venga accertata la continuità del rapporto locatizio.

Di seguito uno schema degli obblighi formali e delle relative sanzioni in caso di inadempimento:

Obblighi formali nelle locazioni immobiliari (oltre 30 gg)

  • Forma scritta obbligatoria: il contratto va redatto per iscritto (pena nullità assoluta ex art. 1, co.4 L. 431/1998 e art. 1418 c.c.).
  • Registrazione entro 30 giorni: il contratto va registrato presso l’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dalla stipula (pena nullità ex art. 1, co.346 L. 311/2004). Locatore e conduttore sono coobbligati alla registrazione.
  • Comunicazioni successive: entro 60 giorni dalla registrazione il locatore deve darne documentata comunicazione al conduttore e all’eventuale amministratore condominiale (ai fini dell’anagrafe condominiale, art. 1130 c.c.).
  • Eccezioni: contratti di durata ≤30 giorni annui complessivi non soggetti a registrazione obbligatoria. Tuttavia, se rinnovati di fatto oltre tale soglia, scatta l’obbligo.

Nullità dei patti occulti sul canone (canone “in nero”)

Oltre agli obblighi formali di validità del contratto, la legge tutela specificamente l’inquilino contro i patti occulti di maggiorazione del canone. L’ipotesi tipica è: le parti registrano un contratto indicando un canone più basso di quello realmente convenuto, e contestualmente stipulano una scrittura privata separata (non registrata) in cui fissano il canone reale più alto, oppure l’inquilino versa mensilmente una somma extra “in nero” oltre quanto risultante dal contratto ufficiale.

Tali accordi sono radicalmente nulli. In particolare, l’art. 13, comma 1, della legge 431/1998 (per le locazioni abitative) dispone che “È nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”. Si tratta di una nullità ex lege prevista espressamente per contrastare il fenomeno dei canoni extra-contrattuali: qualsiasi clausola, accordo o richiesta che comporti un canone maggiore di quello pattuito nel contratto registrato è da considerarsi priva di effetti giuridici vincolanti per il conduttore. Il canone valido e dovuto rimane esclusivamente quello apparente, risultante dal contratto registrato .

Questa regola, nata per le locazioni abitative, è stata estesa dalla giurisprudenza anche alle locazioni non abitative (commerciali, uso ufficio, ecc.), sebbene in tali casi non esista una norma specifica di legge come l’art. 13 L.431/1998. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2017 hanno infatti affermato che la nullità del patto occulto di maggiorazione del canone si applica in piena analogia anche agli immobili non abitativi, in forza della natura imperativa della norma tributaria sulla registrazione che vale per tutte le locazioni. In altre parole, il patto in nero è nullo per illiceità della causa (contrarietà a norma imperativa, ex art. 1418 co.1 c.c.), in quanto finalizzato ad evadere le imposte violando il dovere costituzionale di contribuire alle spese pubbliche (art. 53 Cost.).

È importante evidenziare che la nullità colpisce solo il patto occulto eccedente, non l’intero contratto (purché quest’ultimo sia regolarmente registrato e genuino nelle altre clausole). La Cassazione ha chiarito che ci troviamo di fronte a una “simulazione relativa del prezzo”: le parti fingono nel contratto un canone più basso, sostituendolo con un accordo segreto di importo maggiore. In tali casi il meccanismo legale è analogo a quello della nullità parziale con inserzione automatica delle clausole lecite: il patto occulto è nullo ab origine, mentre resta valido il contratto di locazione per il canone dichiarato (minore) . Anche se le parti tardivamente registrassero l’accordo occulto, ciò non sanerebbe il vizio, poiché la registrazione tardiva è un fatto “esterno” che non rimuove la nullità genetica derivante dalla causa illecita del patto stesso .

Le conseguenze pratiche sono rilevanti soprattutto per il conduttore: egli non è tenuto a pagare nulla oltre il canone ufficiale e, se ha versato somme in più, ha diritto di chiederne la restituzione. In base all’art. 13 L. 431/1998, il conduttore può agire per ottenere la restituzione di quanto pagato in eccedenza entro 6 mesi dalla riconsegna dell’immobile locato (ossia dalla cessazione della locazione). Questa è un’azione tipica riconosciuta per le locazioni abitative: una volta finito il rapporto, l’inquilino ha sei mesi di tempo per far causa al locatore e recuperare tutti i pagamenti “in nero” effettuati nel corso degli anni, in quanto indebitamente percepiti dal locatore in violazione di norma imperativa.

Nel caso di locazioni commerciali o di altro tipo, pur mancando una disposizione ad hoc sul termine di 6 mesi, il patto occulto è parimenti nullo e si ritiene applicabile la disciplina generale sulla ripetizione dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) e sull’arricchimento senza causa. In sostanza, l’inquilino potrà chiedere indietro le somme extra versate, entro il normale termine di prescrizione (in genere 10 anni) dal momento in cui tali somme sono state pagate o dal termine del rapporto. La giurisprudenza, anche recente, si è più volte pronunciata ordinando la restituzione all’inquilino delle maggiori somme pagate oltre il canone contrattuale, non appena il conduttore fornisca prova dei pagamenti extra. Ad esempio, il Tribunale di Catanzaro nel 2022 ha dichiarato la nullità di un patto occulto in una locazione abitativa e condannato la locatrice a restituire €4.200, corrisposti dall’inquilina in nero (pagamenti provati tramite bonifici bancari) oltre il canone contrattuale di €150 mensili. Il giudice ha rilevato d’ufficio la nullità ex art. 13 L.431/98, affermando che tutti i versamenti effettuati in eccesso sono privi di causa lecita e come tali dovuti in restituzione.

Riassumendo i principi chiave:

  • Divieto di canoni extra-contratto: qualunque accordo occulto che preveda un affitto maggiore di quello indicato nel contratto registrato è nullo e inopponibile al conduttore .
  • Contratto salvo, patto nullo: la nullità colpisce solo la clausola o scrittura occulta; il contratto principale rimane valido alle condizioni dichiarate (canone inferiore) .
  • Restituzione delle somme in nero: il conduttore ha diritto a recuperare quanto pagato in più. Per le locazioni abitative, deve agire entro 6 mesi dalla fine del rapporto; per le altre, vale la prescrizione ordinaria, ma in ogni caso il locatore non può trattenere somme prive di causa.
  • Nullità rilevabile d’ufficio: trattandosi di nullità per violazione di norma imperativa, può essere dichiarata dal giudice anche se non eccepita esplicitamente dall’inquilino, in qualsiasi stato e grado del giudizio. L’ordinamento quindi non tollera il patto illecito fin dal principio.

Va aggiunto che la legge 392/1978 (equo canone), sebbene in gran parte abrogata per le locazioni abitative, conteneva una norma (art. 79) analoga nel vietare patti in deroga ai limiti di legge, incluso il pretendere canoni superiori a quelli consentiti. Tale articolo 79 è tuttora in vigore per le locazioni non abitative coperte dalla 392/78, e sanziona con nullità i patti che comportino vantaggi per il locatore in violazione della legge. Oggi non esistono limiti di legge all’entità del canone nelle nuove locazioni commerciali (libertà contrattuale), quindi l’art. 79 rileva soprattutto per evitare aggiramenti di altre previsioni di legge (es. durata, indennità di avviamento, prelazione, ecc.). In ogni caso, per i canoni in nero la nullità discende già dai principi generali sopra esposti, oltre che dal combinato disposto di art. 13 L.431/98 e art. 1 co.346 L.311/04, senza dover ricorrere a norme dell’equo canone.

Contratto di locazione non registrato: nullità funzionale e sanatoria

Esaminiamo ora in dettaglio la situazione del contratto non registrato affatto, che rappresenta il caso estremo di “affitto in nero” (nessun contratto ufficiale, accordo magari verbale o scrittura privata tenuta nel cassetto senza registrazione). Come detto, la legge prevede la nullità di tali contratti. La domanda che sorge è: questa nullità è assoluta e insanabile, o è possibile sanare il contratto tramite registrazione tardiva?

In principio, secondo le regole generali, un contratto nullo non può essere convalidato successivamente (art. 1423 c.c.), salvo diversa disposizione di legge. Nel nostro caso, la normativa positiva (art. 1 co.346 L.311/2004) non prevedeva espressamente alcuna sanatoria per la tardiva registrazione, limitandosi a dichiarare la nullità in caso di omessa registrazione. Si riteneva dunque che, una volta decorso il termine di 30 giorni senza registrazione, l’unico rimedio fosse stipulare un nuovo contratto ex novo e registrarlo (nel frattempo il contratto originario restava nullo). Questa impostazione è stata superata dalla giurisprudenza più recente: le Sezioni Unite 23601/2017 hanno infatti introdotto la nozione di “nullità per inadempimento (funzionale)” e affermato che una registrazione tardiva del contratto può avere effetto sanante retroattivo. In pratica, se il contratto conteneva sin dall’origine il canone realmente dovuto (nessuna simulazione di canone) ma semplicemente non venne registrato in tempo, la sua tardiva registrazione – consentita dalle norme tributarie, seppur con sanzioni – “convalida” il contratto con effetto ex tunc, rendendolo valido come se fosse stato registrato nei termini. Questa interpretazione è resa possibile dalla natura particolare della nullità in esame: essendo preordinata a garantire l’adempimento fiscale, il successivo adempimento (sia pure tardivo) dell’obbligo di registrazione fa venir meno la ragione del vizio, in coerenza con la finalità antifrode della norma.

Di diverso avviso è la situazione in cui oltre alla mancata registrazione vi sia anche una simulazione del canone (contratto ufficiale con canone fittizio inferiore e accordo separato non registrato col canone reale). In tal caso, come già visto, la nullità deriva da una causa illecita originaria e non può essere sanata nemmeno registrando tardi l’accordo occulto. La tardiva registrazione elimina solo la nullità sopravvenuta da inadempimento fiscale, ma non può sanare la nullità genetica di un patto illecito.

Riassumendo:

  • Contratto non registrato contenente il canone reale (nessuna simulazione, solo omissione fiscale): nullità originaria ex lege; registrazione tardiva – se avviene spontaneamente prima dell’accertamento – cura la nullità con effetto retroattivo. Dopo la registrazione tardiva, il contratto si considera valido sin dall’inizio (ferma restando l’applicazione di sanzioni amministrative per il ritardo).
  • Contratto simulato (canone finto registrato, canone reale occulto): nullità insanabile del patto occulto per illiceità della causa; il contratto ufficiale rimane valido al canone fittizio. La successiva registrazione del patto occulto (o la scoperta dello stesso) non rianima quel patto, che resta nullo ab initio.
  • Contratto né registrato né scritto (accordo verbale): è nullo sia per difetto di forma che per omessa registrazione. Non essendo mai stato formalizzato, tecnicamente non c’è un contratto da sanare; la relazione è di mero fatto. In teoria, le parti potrebbero regolarizzare stipulando ora un contratto scritto e registrandolo, che però avrebbe efficacia solo ex nunc (dal momento in cui viene formato e registrato), non sanando il passato.

Occorre menzionare che tra il 2011 e il 2015 era in vigore una normativa eccezionale (poi caducata dalla Corte Costituzionale) che concedeva all’inquilino un regime di favore in caso di mancata registrazione: il D.Lgs. 23/2011, art. 3 commi 8-9, stabiliva che l’inquilino potesse denunciare il contratto in nero e ottenere d’ufficio la trasformazione del rapporto in un contratto quadriennale a canone molto ridotto (pari a 3 volte la rendita catastale). Questa disciplina, pensata come sanzione gravosa per il locatore inadempiente, fu però dichiarata incostituzionale nel 2014 per eccesso di delega legislativa. Successivamente, con la legge 208/2015 (comma 59) il legislatore ha integrato l’art. 13 della L.431/98 prevedendo un rimedio analogo ma azionabile davanti al giudice: in caso di mancata registrazione nei termini, il conduttore può chiedere al giudice di accertare l’esistenza della locazione e di “ricondurla a condizioni conformi” alla legge, fissando un canone non superiore al minimo dei valori locali di mercato (nei contratti agevolati) o comunque al canone concordato minimo previsto. In pratica, l’inquilino che prova di aver avuto in corso un rapporto di locazione non registrato può ottenere giudizialmente l’applicazione di un contratto regolare a condizioni favorevoli (durata di legge e canone calmierato). Contestualmente il giudice disporrà la restituzione delle somme eventualmente eccedenti pagate in passato. Questa azione giudiziaria è ammessa anche nel caso in cui il locatore abbia sì stipulato un contratto scritto, ma non lo abbia registrato entro 30 giorni. La norma infatti equipara la mancata registrazione tempestiva ai patti nulli sul canone, offrendo al conduttore un analogo strumento di tutela.

Dunque, dal punto di vista del conduttore, un contratto non registrato non è del tutto “non avere diritti”: l’inquilino può denunciare la situazione e persino ottenere la formalizzazione coattiva di un contratto regolare con canone ridotto. Dal punto di vista del locatore, però, l’omessa registrazione è estremamente perniciosa: espone alla nullità del contratto (con impossibilità di sfrattare l’inquilino finché non si sana la situazione) e a pesanti sanzioni fiscali; inoltre mette il proprietario “con le spalle al muro” in caso di controversia con l’inquilino, che può far leva su questa irregolarità per ottenere vantaggi sostanziali.

Tabella – Possibili situazioni e validità del contratto di locazione

Situazione del contrattoValidità civilisticaEffetti pratici per le parti
Contratto scritto e registrato nei termini (regolare)Valido ed efficace.Rapporto locatizio pienamente tutelato. Canone dovuto quello pattuito. Inquilino ed esclusivamente quel canone.
Contratto registrato ma con patto occulto per canone maggioreContratto valido al canone dichiarato; patto occulto nullo.Il locatore può esigere solo il canone ufficiale. L’inquilino non è tenuto a pagare oltre e può recuperare quanto pagato in nero.
Contratto non registrato (affitto in nero totale)Nullo ab origine (ex L.311/2004). Sanabile da registrazione tardiva (efficacia retroattiva) se privo di patti illeciti.Finché non è registrato, il locatore non può sfrattare né pretendere canoni (se non come indennità di occupazione). L’inquilino può rifiutare pagamenti oltre eventualmente il valore d’uso e può rivolgersi al giudice per regolarizzare a canone ridotto.
Contratto scritto registrato tardivamente (dopo 30 gg)Valido dalla registrazione (retroattivamente per SU 2017).Da sanatoria: il rapporto diventa regolare, ma restano dovute le imposte evitate e sanzioni. Fino alla registrazione, il contratto era inefficace.
Contratto fittizio (es. comodato) con corrispettivo occultoNullità del negozio simulato e configurabilità di locazione non registrata.Il locatore rischia nullità e sanzioni come per affitto in nero. L’inquilino può far valere che pagava un canone di fatto e chiedere tutela come contratto non registrato.

(Legenda: per semplicità la tabella non distingue tra locazioni abitative e non, salvo dove indicato. In ogni caso, “patto occulto nullo” e “contratto non registrato nullo” valgono per entrambe le categorie secondo giurisprudenza consolidata.)

Procedimenti civili tra locatore e conduttore: tutele e strategie

Vediamo ora come si traducono le suddette previsioni normative e principi giurisprudenziali nei rapporti pratici tra proprietario e inquilino, ossia sul piano civilistico. In caso di affitto con canone sottostimato o non dichiarato, possono sorgere diversi tipi di contenzioso tra le parti, principalmente riconducibili a due scenari contrapposti:

  1. Il locatore agisce contro l’inquilino – tipicamente per ottenere il pagamento di canoni (in particolare la parte “in nero”) o per liberare l’immobile (sfratto per morosità o finita locazione).
  2. L’inquilino agisce contro il locatore – per far dichiarare la nullità del patto illecito, ottenere la restituzione di somme indebitamente pagate, o resistere a uno sfratto sostenendo la nullità del contratto/patto.

Analizziamo le possibili azioni e difese in ciascuna ipotesi, dal punto di vista di chi deve difendersi dalla controparte.

Sfratto per morosità basato su canoni in nero

È prassi di alcuni locatori, quando il rapporto si deteriora, minacciare o avviare uno sfratto per morosità accusando l’inquilino di non aver pagato quanto dovuto. Se però la morosità riguarda il mancato pagamento della quota “in nero” (oltre al canone registrato), tale azione è destinata a fallire. Come visto, il conduttore non è tenuto a pagare importi extra-contrattuali nulli, e anzi il pagamento di essi è indebito. Pertanto, in udienza di convalida di sfratto, l’inquilino può comparire e contestare l’asserita morosità eccependo che le somme pretese dal locatore non sono dovute perché frutto di un patto nullo. Il giudice, rilevata la nullità del patto di maggiorazione, dichiarerà infondata la morosità: il conduttore infatti avrà corrisposto regolarmente il canone legittimo (quello risultante dal contratto). Lo sfratto verrà negato o revocato.

Va segnalato che la nullità essendo rilevabile d’ufficio, il giudice può basarsi anche su elementi emergenti dagli atti (es. se il locatore stesso menziona l’esistenza di un accordo integrativo non registrato). Una volta accertata la simulazione del prezzo, il giudice nega la risoluzione per inadempimento relativa al canone occulto. Lo conferma Cassazione Sez. Unite 18213/2015: in tema di locazione abitativa, la nullità colpisce solo il patto occulto, e il contratto registrato resta valido con il suo canone, per cui il mancato pagamento dell’eccedenza non integra inadempimento sanzionabile.

Difesa dell’inquilino: se sei un conduttore minacciato di sfratto perché non paghi la quota in nero, sappi che la legge è dalla tua parte. In sede di sfratto: – Presentati all’udienza (per evitare la convalida in assenza). – Nel frattempo, consigna su un conto deposito o in tribunale l’importo del canone ufficiale eventualmente dovuto (se sei in arretrato anche sul canone registrato) per dimostrare la tua buona fede. – Eccepisci per iscritto e oralmente la nullità di qualsiasi patto di maggiorazione del canone ai sensi dell’art. 13 L.431/98 (se locazione abitativa) o comunque per contrarietà a norma imperativa. – Richiama la giurisprudenza e, se possibile, allega documenti che provino l’esistenza del canone in nero (es. copia di scritture private firmate, ricevute, messaggi). – Chiedi che il giudice accerti il canone dovuto nel solo importo risultante dal contratto e dichiari non dovute le somme aggiuntive pretese dal locatore.

Con tale linea difensiva, l’azione di sfratto non potrà avere successo sulla base del canone in nero. Al più, il giudice – rigettata la convalida – potrà trasformare il rito ex art. 667 c.p.c. e trattare la causa nel merito. In quella sede potrà emergere ufficialmente la nullità del patto occulto e cristallizzarsi l’importo reale del canone dovuto. Di norma, se l’inquilino è in pari col canone legittimo, il locatore soccombe. Se invece l’inquilino era moroso anche sul canone ufficiale, la difesa sul patto nero gli evita di dover pagare somme ulteriori, ma resta tenuto a pagare gli arretrati legittimi: in tal caso potrebbe comunque esserci risoluzione per morosità, ma limitatamente al mancato pagamento del canone contrattuale.

Difesa del locatore: un proprietario che abbia in corso un accordo in nero dovrebbe evitare di imbastire uno sfratto basato su quel patto illecito, perché in giudizio verrebbe scoperto e vanificato, con possibili contro-pretese dell’inquilino. Se l’inquilino è moroso anche sul canone ufficiale, il locatore potrà agire per quello importo; ma se il rapporto è viziato da patti occulti, è preferibile trovare un accordo bonario per chiudere la locazione, magari concordando la restituzione di parte di quanto pagato in nero in cambio di una liberazione volontaria dell’immobile. In caso contrario, la lite rischia di aggravarsi con esiti sfavorevoli per il locatore. Si noti inoltre che portare in giudizio un contratto non registrato o un patto occulto può esporre il locatore a segnalazioni automatiche all’Agenzia delle Entrate o alla Procura (specie se l’inquilino solleva la questione in atti): c’è giurisprudenza secondo cui il giudice investito di una controversia da cui emergano reati tributari ha l’obbligo di trasmettere gli atti alle autorità competenti.

Azione dell’inquilino per restituzione dei canoni in nero

L’altra faccia della medaglia è il caso in cui sia il conduttore ad agire contro il locatore, tipicamente dopo aver lasciato l’immobile, per riavere indietro i soldi pagati in più durante la locazione. Come visto, l’art. 13 L.431/98 consente all’inquilino di recuperare gli importi pagati in eccedenza entro 6 mesi dalla riconsegna, attraverso un’azione di ripetizione dell’indebito. In assenza di un accordo spontaneo, l’inquilino dovrà promuovere un giudizio civile contro il locatore, indicando precisamente le somme versate in nero (distinguendole da quelle pagate come canone ufficiale) e chiedendone la restituzione perché percepite in forza di un patto nullo.

Prova dei pagamenti: l’onere probatorio in questi casi può essere il punto cruciale. Poiché i pagamenti in nero avvengono spesso in contanti e senza ricevute, l’inquilino potrebbe incontrare difficoltà a dimostrare di aver effettivamente corrisposto somme ulteriori. Sono tuttavia ammesse tutte le prove: testimoni che abbiano assistito ai pagamenti, messaggi o email in cui il locatore ammette l’esistenza del doppio canone, eventuali ricevute o quietanze “ombra” firmate dal locatore (talvolta, paradossalmente, alcuni proprietari rilasciano ricevute separate per l’importo extra). La Cassazione ha ritenuto che la stessa dichiarazione dell’inquilino può costituire prova dell’esistenza di un contratto in nero, se credibile e supportata da riscontri . Ad esempio, una recente sentenza ha affermato che la denuncia dell’inquilino è sufficiente per presumere l’esistenza di un affitto in nero, salvo prova contraria del locatore . Dunque il giudice potrà valutare la verosimiglianza del racconto del conduttore, l’eventuale tenore incongruente del canone ufficiale (magari troppo basso per quel tipo di immobile) e ogni altro elemento, anche tramite giuramento decisorio se necessario.

Esiti e difese: se l’inquilino riesce a provare i pagamenti, il giudice non può far altro che accertare la nullità del patto e condannare il locatore a restituire l’indebito, oltre agli interessi legali dal giorno di ciascun pagamento (trattandosi di somma dovuta a titolo di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., gli interessi decorrono dal pagamento). Una difesa classica del locatore convenuto in queste cause consiste nel negare che vi siano stati pagamenti extra, oppure sostenere che tali somme fossero dovute per altre ragioni (ad esempio spese condominiali straordinarie, pagamento di mobilio, caparra aggiuntiva, ecc.) al fine di sottrarle dal conteggio. Se riesce a instillare il dubbio, l’onere resta al conduttore di dimostrare che quei pagamenti erano proprio corrispettivo del godimento dell’immobile. In assenza di prove, la domanda del conduttore potrebbe essere rigettata per difetto di prova. Per questo, è consigliabile che l’inquilino si procuri quanto più possibile elementi probatori prima di lasciare l’immobile: ad esempio, effettuare almeno un pagamento del canone tramite bonifico (anche di importo totale includendo la parte in nero) così che resti traccia documentale; oppure farsi rilasciare una qualche dichiarazione scritta dal locatore (ci sono stati casi in cui l’inquilino, al termine, si fa firmare dal locatore una dichiarazione dei versamenti eseguiti, magari con la scusa di “mettere tutto a posto per sicurezza”, utilizzabile poi come prova).

Da notare che il termine di 6 mesi previsto dalla legge 431/98 per le locazioni abitative è un termine di decadenza: ciò significa che, scaduti i 6 mesi dalla restituzione dell’immobile, l’inquilino perde il diritto di agire in giudizio per recuperare le somme extra (a meno che nel frattempo non abbia già notificato un atto di citazione interrompendo la decadenza). Pertanto, il conduttore deve muoversi tempestivamente. Per i contratti non abitativi, come detto, non c’è questo termine breve: in teoria l’azione si prescrive in 10 anni. Tuttavia, conviene agire il prima possibile anche in tali casi, per evitare problemi di prova o eccezioni di decorso del termine se si inquadra la domanda in altri istituti.

Difesa del locatore: se vieni citato dal tuo ex-inquilino per la restituzione di affitti in nero, valuta innanzitutto se la richiesta corrisponde al vero. Se effettivamente hai percepito somme extra-contratto, sappi che in diritto non avresti titolo per trattenerle. Una possibile difesa è cercare di ridurre l’importo dovuto contestando singole voci: ad esempio, se alcune somme erano versate per utenze o servizi, evidenziarlo (anche se formalmente, se non erano previste nel contratto, pure tali accordi sarebbero nulli se mascheravano canone). Un’altra strada è verificare se il termine di decadenza è trascorso (nel caso di contratto abitativo: se l’immobile è stato riconsegnato da oltre 6 mesi prima della citazione, eccepire la decadenza ex art. 13 L.431/98). Infine, si può contestare la prova: negare recisamente l’esistenza di pagamenti in nero e mettere il conduttore davanti al suo onere probatorio. Va però considerato che mentire al giudice espone al rischio di false testimonianze o dichiarazioni mendaci se emergono evidenze contrarie. Spesso, quindi, la soluzione migliore per il locatore è transigere: ad esempio, offrire spontaneamente una parziale restituzione all’inquilino (magari quella documentata) in cambio di una quietanza liberatoria che impedisca future pretese. Questa può rivelarsi un’opzione conveniente anche perché, oltre a chiudere la partita civilistica, potrebbe evitare l’innesco di accertamenti fiscali (è prassi di molti inquilini, se ostacolati, procedere contestualmente a una denuncia all’Agenzia delle Entrate per mettere pressione).

Contratto non registrato: azioni possessorie e indennità di occupazione

Quando un contratto di locazione è nullo per mancata registrazione, formalmente non esiste un contratto valido. In tal caso, se l’inquilino occupa l’immobile senza pagare nulla o oltre la scadenza pattuita (se c’era un accordo verbale di durata), il locatore non può attivare la procedura di sfratto (che richiede un contratto di locazione valido), ma deve ricorrere ad un’azione ordinaria di rilascio per occupazione sine titulo. Si tratta di una causa civile, non sommaria, in cui il proprietario chiede la restituzione dell’immobile detenuto senza titolo e un’indennità di occupazione per il periodo di utilizzo illegittimo. Il giudice, accertata l’assenza di titolo registrato, può disporre la cessazione della detenzione da parte del convenuto (ex conduttore) e condannarlo a pagare un’indennità commisurata al valore locativo di mercato per tutto il tempo dell’occupazione abusiva.

Dal punto di vista dell’inquilino, sebbene la nullità del contratto gli conferisca alcune leve, c’è anche il rovescio della medaglia: non avendo un contratto valido, l’inquilino non gode delle tutele normalmente previste (es. preavviso per sfratto, durate minime, ecc.) e può essere trattato alla stregua di un occupante senza titolo. In giudizio, l’ex-inquilino può provare l’esistenza di un accordo di locazione non registrato, ma ciò – come visto – non gli dà diritto a continuare la locazione, semmai a ottenere la riqualificazione a condizioni agevolate. Se tuttavia il conduttore non intraprende l’azione di cui all’art. 13 co.6 L.431/98 per far “riconoscere” il contratto, e si limita a resistere al rilascio, è assai probabile che il giudice ordini comunque lo sgombero, riconoscendo solo l’indennità al proprietario e magari concedendo all’inquilino qualche mese di tempo per lasciare (spesso, le tempistiche processuali di una causa ordinaria fanno sì che l’occupante resti molti mesi, se non anni, prima della sentenza: di fatto avendo così un periodo di soggiorno prolungato, seppur poi pagherà un’indennità).

Difesa dell’inquilino in occupazione senza titolo: se ti trovi in un immobile senza contratto registrato e il proprietario ti fa causa per rilascio: – Puoi sollevare la questione che esisteva un contratto verbale o una scrittura non registrata: il giudice ne prenderà atto ma, essendo nullo, non impedirà il rilascio. Puoi però chiedere che venga determinata l’indennità di occupazione in misura non superiore al canone pattuito inizialmente o comunque equa (spesso i giudici la quantificano nel valore di mercato; se il canone in nero era molto alto, paradossalmente potresti beneficiare di una stima inferiore). – Se ne hai i requisiti e intendi restare, valuta di agire tu stesso ex art. 13 co.6 L.431/98 per far dichiarare l’esistenza di una locazione e fissare un canone legale: potresti ottenerlo se, ad esempio, si trattava della tua abitazione principale e sei disposto a pagare il triplo della rendita catastale come nuovo canone. Questa mossa va ponderata con un avvocato. – In ogni caso, preparati eventualmente a rilasciare l’immobile: non avere un contratto valido ti espone alla perdita della detenzione, salvo accordi col proprietario.

Difesa del locatore in caso di contratto non registrato: se hai affittato senza contratto e vuoi riottenere il possesso, l’opzione giudiziaria è come detto la causa ordinaria di rilascio per occupazione sine titulo. Nel farlo, però, metti in conto che emergerà la locazione in nero, con possibili conseguenze fiscali e obbligo di restituire eventuali caparre o depositi. Una strategia preferibile spesso è cercare di regolarizzare la posizione prima: ad esempio, registrare tardivamente il contratto (pagando le sanzioni ridotte se possibile) e poi, con il contratto regolarizzato, procedere eventualmente con uno sfratto canonico. Abbiamo visto che per la Cassazione ciò sana il contratto retroattivamente; tuttavia, alcuni tribunali potrebbero avere approcci difformi, quindi è essenziale farsi assistere da un legale. In alternativa, negozia con l’inquilino la sua uscita: magari condonando degli importi o restituendo parte di quanto pagato in nero, in modo da ottenere una riconsegna spontanea e reciproca quietanza. Questo ti eviterà sia le lungaggini processuali sia il rischio di sanzioni in sede fiscale derivanti dalla pubblicità della causa.

Accertamenti fiscali dell’Agenzia delle Entrate sui canoni sottostimati

Passando al profilo tributario, un locatore che abbia percepito canoni non dichiarati (in tutto o in parte) può essere oggetto di un accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate. Negli ultimi anni il Fisco ha intensificato la lotta agli affitti in nero, sfruttando sia le segnalazioni dei privati sia strumenti di controllo incrociato basati sulle banche dati. Vediamo come avvengono queste contestazioni e quali sono le conseguenze.

Come il Fisco scopre gli affitti in nero o i canoni irregolari

L’Agenzia delle Entrate può individuare situazioni di affitti non dichiarati attraverso diverse fonti informative e incroci di dati:

  • Dati catastali e di registro: incrociando le informazioni del Catasto e dell’Anagrafe Tributaria, il Fisco sa quanti immobili possiede un contribuente e quanti contratti di locazione risultano registrati a suo nome. Se un soggetto possiede, ad esempio, 3 appartamenti e dichiara redditi da locazione per uno solo, gli altri due sono un campanello d’allarme (potrebbero essere sfitti, certo, ma se per più anni non risultano né affittati né abitati dal proprietario, potrebbe scattare una verifica).
  • Incrocio con utenze domestiche: un caso tipico. Molti Comuni e la stessa Agenzia effettuano controlli incrociati tra utenze di luce, gas, acqua e contratti registrati. Se un immobile risulta ufficialmente sfitto ma registra consumi elevati di elettricità e gas (indice di occupazione), è plausibile la presenza di un inquilino in nero. Alcune iniziative locali coinvolgono anche la Polizia Municipale: ad esempio in città turistiche i vigili urbani controllano gli affitti brevi non dichiarati.
  • Banche dati su contratti brevi (Airbnb & co.): per le locazioni turistiche o brevi, dal 2017 gli intermediari come Airbnb, Booking ecc. comunicano al Fisco i dati sugli affitti e applicano una ritenuta alla fonte (cedolare secca del 21%). Se un proprietario affitta abitazioni tramite portali online senza optare per la cedolare, l’Agenzia può ricevere segnalazioni di movimenti di denaro non dichiarati. Anche gli obblighi di comunicazione alla Questura degli alloggiati (schedine alloggiati) possono far emergere la presenza di locatari non seguita da dichiarazioni fiscali.
  • Movimenti finanziari: se i pagamenti del canone avvengono tramite bonifico o assegno (specie per importi elevati) e l’importo non corrisponde a quanto dichiarato nel contratto registrato, ciò lascia tracce. L’Agenzia può ottenere (anche tramite Guardia di Finanza) l’accesso ai conti correnti e vedere accrediti periodici. Ad esempio, accrediti mensili di 1.000€ quando il contratto registrato parla di 500€ mensili suggeriscono chiaramente l’esistenza di un canone occulto. Viceversa, prelievi in contanti di importi costanti compatibili con affitti (e successivi versamenti sul conto) possono destare sospetti.
  • Segnalazioni dei conduttori: come già accennato, molti accertamenti partono proprio dalla denuncia dell’inquilino. Sia per ritorsione a un rapporto degenerato, sia per ottenere benefici (ad es. evitare lo sfratto o regolarizzare la propria posizione), l’inquilino può segnalare al Fisco che ha pagato affitti in nero. Può farlo con una comunicazione formale o anche telefonando al numero anti-evasione o tramite il portale di segnalazione anonima (whistleblowing) dell’Agenzia. In genere, la testimonianza diretta del conduttore, magari corredata da ricevute o estratti conto, è un elemento molto concreto che l’Agenzia difficilmente ignora.
  • Altre fonti: vicini di casa, amministratori di condominio (che ora devono essere informati dei nominativi degli inquilini per l’anagrafe condominiale), controllo incrociato con la tassa rifiuti (se qualcuno paga la Tari come occupante ma non risulta contratto registrato), ecc. Il Fisco dispone inoltre di un nuovo strumento chiamato “Superanagrafe dei conti” e algoritmi di analisi del rischio (il cosiddetto redditometro o strumenti successivi): se un contribuente ha un tenore di vita non coerente coi redditi dichiarati, l’Agenzia indaga. Per i locatori questo può significare: possiedi immobili da cui dovresti trarre reddito ma non dichiari nulla? Allora vivi di altri introiti non spiegati? Scattano approfondimenti.

In breve, oggigiorno nascondere un affitto è molto difficile. Come afferma uno studio legale specializzato, gli affitti in nero sono tra le violazioni “più facilmente individuabili dal Fisco grazie a controlli incrociati e segnalazioni”. E spesso le contestazioni partono d’ufficio su base presuntiva.

Accertamento fiscale: cosa contesta l’Agenzia e sanzioni

Quando l’Agenzia delle Entrate rileva un canone non dichiarato o sottodichiarato, può emettere un avviso di accertamento contestando al locatore: – Il recupero dell’IRPEF (o cedolare secca) evasa sui canoni non dichiarati, per gli ultimi anni ancora accertabili (in genere fino a 5 anni addietro, estendibili a 7 in caso di omessa dichiarazione). – L’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie per omessa/infedele dichiarazione dei redditi e per violazione dell’obbligo di registrazione (imposta di registro evasa). – Il calcolo degli interessi di mora dovuti sulle maggiori imposte.

Talvolta l’Agenzia emette due atti distinti: un accertamento registro per la registrazione evasa (con imposta di registro dovuta + sanzione) e un accertamento redditi per l’IRPEF non versata sui canoni. Spesso però un unico avviso cumula entrambe le componenti.

Vediamo in dettaglio le sanzioni previste. La materia è un po’ complessa perché coinvolge diversi tipi di imposta, ma possiamo riassumere così:

  • Sanzione per omessa/tardiva registrazione (Imposta di Registro): se il contratto non è registrato entro 30 gg, scatta una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta di registro dovuta. L’imposta di registro sulle locazioni abitative è il 2% annuo del canone (esente se si era in cedolare secca); dunque su un affitto annuo di 6.000€, l’imposta sarebbe 120€ e la sanzione va da un minimo di 144€ (120%) a un massimo di 288€ (240%) per ogni annualità non registrata. In caso di occultamento parziale del canone (contratto registrato per meno, quindi imposta di registro versata su base minore), la sanzione è ancora più alta: dal 200% al 400% della differenza d’imposta evasa. Ad esempio, se su 6.000€ annui ne hai dichiarati solo 3.000 registrando un canone dimezzato, hai pagato 60€ di registro invece di 120€: la differenza è 60€, la sanzione va da 120€ (200%) a 240€ (400€) solo per quell’anno.
  • Sanzioni per IRPEF (o cedolare) non dichiarata: omettere di indicare i canoni nella dichiarazione dei redditi è considerata una violazione grave. Se nessun canone è stato dichiarato, si configura dichiarazione omessa per quel reddito: la sanzione è dal 240% al 480% dell’imposta evasa, con un minimo di 516 €. Se invece qualche reddito l’hai dichiarato ma inferiore al reale (caso di dichiarazione infedele), la sanzione è dal 200% al 400% della maggiore imposta dovuta. Ad esempio, se a livello IRPEF hai evaso 1.000€ di imposte sugli affitti, rischi una sanzione tra 2.000€ e 4.000€ solo per quell’anno. Queste percentuali risultano più che raddoppiate rispetto alle sanzioni ordinarie previste per l’infedeltà dichiarativa (che sarebbero 90-180%) poiché la normativa ha previsto aggravamenti specifici per i redditi da locazione non dichiarati. Infatti la legge stabilisce che per redditi fondiari abitativi, in caso di accertamento con adesione o acquiescenza, non si applicano riduzioni: la sanzione va pagata per intero. Ciò scoraggia i tentativi di patteggiare una sanzione ridotta a posteriori.
  • Interessi moratori: su ogni imposta evasa si applicano gli interessi legali (oggi attorno al 5% annuo) calcolati dal momento in cui l’imposta andava pagata (dunque dall’anno di imposta in questione) fino al pagamento effettivo. Gli interessi sono un’aggiunta inevitabile alle somme dovute.
  • Presunzione di canone non dichiarato per gli anni precedenti: la normativa fiscale (art. 41-ter DPR 600/1973) prevede che, se si accerta un affitto in nero, si può presumere che il rapporto di locazione sussistesse anche per i quattro periodi d’imposta precedenti a quello accertato, salvo prova contraria del locatore. E per tali anni l’Agenzia determina un reddito presunto pari al 10% del valore catastale dell’immobile. In pratica: se ti beccano un affitto in nero nel 2023, possono supporre che affittavi già dal 2019 (4 anni prima) e, se non hai altro elemento, ti tassano per quegli anni su un canone forfettario del 10% del valore catastale (che è circa il triplo della rendita catastale). Questo meccanismo è stato introdotto proprio per evitare che i locatori sfuggano dicendo “era il primo anno che affittavo”: serve una prova convincente (es. l’immobile era realmente inutilizzato o occupato da un familiare gratis) per vincere la presunzione. Altrimenti ti trovi tassato d’ufficio anche per gli anni passati.

Nella tabella seguente riepiloghiamo le sanzioni amministrative chiave:

Tabella – Sanzioni amministrative per affitti non dichiarati

Violazione fiscale (affitti)Sanzione prevista (misura ordinaria)
Omessa o tardiva registrazione del contrattodal 120% al 240% dell’imposta di registro dovuta sul canone
Occultamento parziale del canone in sede di registrazione (dichiarato un canone inferiore)dal 200% al 400% della maggiore imposta di registro evasa
Omessa indicazione dei canoni nella dichiarazione dei redditi (redditi fondiari)dal 240% al 480% dell’IRPEF (o cedolare) evasa, minimo €516
Indicazione dei canoni in misura inferiore al reale (dichiarazione infedele)dal 200% al 400% dell’imposta evasa
Registrazione tardiva del contratto tramite ravvedimento operoso (sanzione ridotta)v. tabella successiva – riduzioni dal 6% al 20% in base al ritardo

Come si vede, le percentuali sono elevatissime, potenzialmente ben superiori all’importo del canone stesso. Ad esempio: se hai percepito €5.000 non dichiarati, potresti subire €10.000 di sanzione IRPEF oltre agli €5.000 di imposta evasa, totale €15.000 più interessi – tre volte l’importo incassato in nero. Ciò evidenzia come il gioco dell’evasione non valga la candela se si viene scoperti.

Oltre alle sanzioni fiscali, vanno tenute presenti le implicazioni civilistiche parallele: l’Agenzia delle Entrate, nel proprio avviso, spesso evidenzia (se trattasi di locazione abitativa) che il contratto è nullo e dunque il canone legalmente dovuto sarebbe ridotto (triplo rendita catastale, ad es.). Questo però rileva più che altro per dare una base al calcolo del reddito imponibile presunto. Sul piano pratico, come già detto, la nullità del contratto comporta che il locatore non avrebbe nemmeno diritto civilmente a pretendere il canone pattuito in nero. In un certo senso, il locatore sorpreso rischia una doppia penalizzazione: dover pagare le tasse su un reddito percepito illegalmente (che magari l’inquilino gli chiederà pure di restituire!). Ciò può sembrare duro, ma è coerente con l’idea che chi evade comunque deve pagare le imposte sul guadagno ottenuto anche illecitamente; mentre, se deve restituire all’inquilino, quello diventa un fatto tra privati (eventualmente potrà dedurre quella restituzione come onere, in sede di redditi, nell’anno in cui la paga, se avviene a seguito di provvedimento).

Infine, un cenno ai profili penali: l’affitto in nero di per sé è un illecito tributario amministrativo, non un reato. Tuttavia, può dare luogo a reati fiscali in casi di evasione molto rilevante. In particolare, la legge punisce con sanzione penale: – L’omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se l’imposta evasa supera €50.000. Ciò tipicamente riguarda chi non presenta proprio la dichiarazione pur dovendolo fare. Se un locatore non dichiara nulla e l’IRPEF evasa sugli affitti supera questa soglia, potrebbe scattare il penale. Ad esempio, con cedolare secca 21%, €50.000 di imposta corrispondono a circa €238.000 di affitti non dichiarati in un anno – scenario raro per singoli, ma non impossibile per chi affitta molti immobili. – La dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) se l’imposta evasa supera €100.000 e l’ammontare degli introiti non dichiarati eccede il 10% del reddito o comunque €2 milioni. Questo è difficile da raggiungere con soli affitti in nero, a meno di grandissimi patrimoni immobiliari. – Frode fiscale aggravata se, ad esempio, si usano artifizi (ma nel caso di affitti di solito non c’è false fatture, solo omissione). – Va inoltre ricordato un reato “collaterale”: l’art. 12 del DL 113/2018 punisce con arresto fino a 2 anni chi cede in locazione un immobile, a fini di lucro, a uno straniero privo di regolare titolo di soggiorno. Questo è un reato penale specifico che può intercettare casi di affitti in nero a immigrati irregolari (oltre alle sanzioni fiscali, scatta questo illecito).

Nella gran parte dei casi di affitti in nero “ordinari”, comunque, non si configura reato fiscale, restando tutto nell’ambito amministrativo. È però essenziale, in fase difensiva, tenere d’occhio gli importi per evitare di sforare soglie penalmente rilevanti: ad esempio, se una verifica dovesse contestare 6-7 anni di affitti evasi tutti insieme, la somma delle imposte potrebbe anche superare €50.000, configurando il reato di omessa dichiarazione (specie se il contribuente non presentava proprio la dichiarazione perché aveva solo quegli affitti). In tali frangenti, pagare subito il dovuto col ravvedimento o adesione prima che parta la denuncia penale può essere risolutivo, poiché l’integrale pagamento dei debiti tributari prima del dibattimento estingue i reati fiscali (art. 13 D.Lgs. 74/2000, come riformato).

Strategie di difesa in sede fiscale

Affrontare un accertamento per canoni non dichiarati richiede un’attenta strategia, meglio se assistiti da un tributarista. Dal punto di vista del debitore d’imposta (il locatore chiamato a pagare tasse e sanzioni), l’obiettivo è ridurre o annullare la pretesa dimostrando eventuali errori o infondatezze nell’accertamento, oppure avvalendosi degli strumenti deflattivi del contenzioso.

Ecco le principali strade difensive:

  • Ravvedimento operoso (prima dell’accertamento): Se ti rendi conto spontaneamente di aver omesso degli affitti, la mossa migliore è anticipare il Fisco e regolarizzare prima di essere scoperto. Il ravvedimento operoso ti consente di pagare l’imposta dovuta con sanzioni ridotte proporzionalmente al ritardo. Ad esempio, se registri il contratto e dichiari i redditi entro 30 giorni dal termine, la sanzione di registro scende al 6% (invece del 120%); entro 90 gg al 12%; entro 1 anno al 15%; entro 2 anni ~17%; oltre 2 anni 20%. (Queste percentuali ridotte valgono per l’imposta di registro; per l’IRPEF evasa le riduzioni sono analoghe: 1/10 o 1/8 della sanzione minima a seconda dei casi). Se il ravvedimento avviene dopo un verbale di constatazione ma prima dell’accertamento formale, la sanzione è fissa al 24%. Insomma, pagare spontaneamente conviene enormemente. Occorre presentare la dichiarazione integrativa per i redditi non dichiarati, versare imposte e interessi, e registrare eventualmente tardivamente il contratto. Questo chiude la posizione sul piano amministrativo e, se fatto prima di notifiche, evita ulteriori guai. Certo, rimane la nullità del contratto (che andrà sanato) e la possibilità che l’inquilino sappia che hai regolarizzato (perché magari dovrai fargli firmare la registrazione tardiva) e possa agire. Ma almeno si circoscrivono i danni economici verso l’erario.
  • Difesa in sede di contraddittorio e accertamento con adesione: Se ricevi un PVC (Processo Verbale di Constatazione) dalla Guardia di Finanza o un invito al contraddittorio dall’Agenzia prima dell’emissione dell’avviso, approfittane per fornire la tua versione. Ad esempio, se l’Agenzia presume 4 anni di affitti non dichiarati, porta prove che in alcuni di quei 4 anni l’immobile era vuoto o usato da te/familiari (foto, bollette zero, autodichiarazioni). Se contesta canoni maggiori (es. sostiene che prendevi 1000€ quando dichiaravi 500€), cerca di dimostrare che il canone reale era quello minore: porta estratti conto mostrando che l’unico flusso mensile ricevuto era 500€, o spiega che l’inquilino ti pagava di meno perché compensava spese fatte da lui, ecc. Anche se magari non ribalti l’ipotesi, puoi ottenere uno sconto. Nell’adesione, infatti, si negozia: il funzionario potrebbe acconsentire a riconoscere un canone non dichiarato inferiore a quanto ipotizzato inizialmente, riducendo così imposta e sanzioni.

Attenzione però: per gli affitti in nero su abitazioni, la legge – come detto – non consente riduzioni di sanzioni in caso di adesione. Quindi l’adesione conviene principalmente per ridurre la base imponibile (il maggior reddito accertato). Ad esempio, se contestano €10.000 annui evasi e tu riesci a concordare per €5.000, dimezzi tutto (imposte e sanzioni). Inoltre, l’adesione evita il contenzioso e ti dà diritto a un pagamento rateale delle somme.

  • Impugnare l’avviso di accertamento: Se l’accertamento è già stato emesso e lo ritieni errato, puoi presentare ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria (il nuovo nome delle Commissioni Tributarie) entro 60 giorni. I motivi di ricorso possibili includono:
  • Vizi formali: ad esempio notifica irregolare, motivazione insufficiente dell’atto, mancato contraddittorio (se dovuto).
  • Vizi di merito: contestazione delle ricostruzioni del Fisco. Ad esempio, dimostrare che i calcoli sono sbagliati, che l’immobile era occupato a titolo gratuito (presentando un contratto di comodato registrato magari, se esistente), che l’importo dei bonifici considerati come affitto in realtà comprendeva altre voci (spese condominiali, ecc.). Oppure contestare la presunzione dei 4 anni chiedendo di limitarla a meno anni presentando prove (es. l’immobile è stato acquistato di recente, oppure ristrutturato e non abitabile per parte del periodo).
  • Applicazione errata di norme: ad esempio se l’Agenzia ha ignorato che nel frattempo hai registrato il contratto e quindi non andava più applicata la sanzione del 200% per registro (questo è un aspetto particolare: la tardiva registrazione spontanea, pur non esentando da sanzione, potrebbe far considerare la violazione come “tardiva registrazione” punita con minimo 120% anziché “omessa” con 240% – dettagli tecnici da valutare).

Nel giudizio tributario, avrai occasione di produrre documenti, perizie (ad esempio una perizia che attesti che il canone di mercato di quell’immobile era effettivamente simile a quello dichiarato, e non al valore più alto ipotizzato dal Fisco) e anche di far testimoniare l’inquilino se occorre (nel processo tributario formalmente non è ammessa la prova testimoniale, ma dichiarazioni rese davanti alla Guardia di Finanza dall’inquilino possono essere acquisite come elementi). Spesso i giudici tributari sono sensibili a documentazione concreta che smonti le presunzioni.

La giurisprudenza tributaria ha ad esempio annullato accertamenti basati solo sull’OMI (i valori locativi medi di zona) senza altre prove: se il Fisco si limita a dire “il canone dichiarato era troppo basso rispetto alla media di zona”, ciò non basta, servono indizi specifici (Cass. 10825/2016). Quindi si può contestare l’uso di valori medi se il tuo immobile aveva caratteristiche peggiori (piano terra, senza riscaldamento, etc.) tali da giustificare un canone basso. Oppure se l’inquilino era un parente cui facevi pagare poco (affitto gratuito o agevolato ai figli: il Fisco a volte presume reddito di mercato, ma se provi che era comodato a figlio, quell’immobile non genera reddito tassabile come locazione).

Impugnare l’avviso consente anche di ridurre le sanzioni se ottieni ragione parziale: ad esempio, se il giudice accoglie in parte e abbassa l’imponibile, le sanzioni vanno ricalcolate proporzionalmente. In più, in caso di vittoria totale o parziale potresti ottenere la compensazione delle spese o la condanna dell’Ufficio alle spese legali (il che è un deterrente per accertamenti troppo aggressivi).

  • Sospensione e tutela del patrimonio: se l’importo accertato è elevato e c’è rischio che l’Agenzia iscriva ipoteca o avvii riscossione, nel ricorso puoi chiedere la sospensione dell’atto al giudice tributario, provando che la sua esecuzione ti causerebbe danni gravi (es. importo enorme rispetto al tuo reddito). Se concessa, la riscossione viene congelata fino a sentenza. Al contempo, valuta con un legale misure di protezione del patrimonio in via preventiva (anche un semplice fondo patrimoniale o trust, se fatti senza frode e prima delle cartelle, possono mettere al riparo la prima casa, ad esempio, da eventuali pignoramenti per debiti fiscali).

In ogni caso, rivolgiti a un avvocato tributarista esperto. Egli potrà: – Analizzare a fondo l’accertamento individuando punti deboli e vizi. – Raccogliere prove a tuo favore e predisporre memorie difensive efficaci. – Se del caso, trattare con l’ufficio per un accordo favorevole (accertamento con adesione) evitando il processo. – Oppure predisporre un ricorso tecnico, citando precedenti di Cassazione a te favorevoli, e portarlo avanti nelle varie fasi di giudizio.

Spesso, anche semplicemente presentando ricorso, si ottiene in sede di mediazione (obbligatoria sotto €50.000) un’ulteriore possibilità di accordo: l’Agenzia, per evitare l’incertezza del giudizio, potrebbe offrire uno sconto sulle sanzioni (ad esempio pagare solo il minimo 120% invece che 240%).

Un ultimo consiglio: mantenere la calma e la trasparenza. Se sai di avere torto, negare l’evidenza in modo goffo può peggiorare la situazione. Meglio collaborare parzialmente per mostrarsi ragionevoli (senza però ammettere colpe incondizionatamente), al fine di ottenere indulgenza. Il Fisco spesso punta a recuperare le somme, non a rovinare il contribuente: se dimostri volontà di pagare il giusto, magari dilazionato, è nell’interesse anche dell’erario chiudere il caso. Al contrario, un atteggiamento ostinato negazionista di fronte a prove schiaccianti (come bonifici chiaramente riconducibili ad affitti) comporterà il massimo rigore e la chiusura di ogni possibile trattativa.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito alcune domande comuni sul tema delle locazioni con canoni occultati e relative risposte sintetiche, alla luce di quanto esposto.

  • D: Cosa si intende esattamente per canone sottostimato o affitto in nero?
    R: Indica qualsiasi situazione in cui il corrispettivo effettivo della locazione non coincide con quello dichiarato nel contratto registrato o al Fisco. Può trattarsi di un contratto non registrato affatto (affitto totalmente in nero) oppure di un contratto registrato per un importo inferiore con un patto occulto per la differenza. In entrambi i casi il locatore percepisce somme non risultanti ufficialmente e dunque non tassate.
  • D: Il proprietario che fa un affitto in nero a quali rischi va incontro?
    R: Sul piano civilistico, rischia la nullità del contratto (se non registrato) e la nullità di eventuali accordi sul sovrapprezzo. Ciò significa che non può legalmente né sfrattare l’inquilino né esigere i canoni in nero, anzi può essere costretto a restituirli. Sul piano fiscale, rischia accertamenti dell’Agenzia delle Entrate con recupero delle imposte evase sui canoni non dichiarati e sanzioni molto salate (dal 200% fino al 480% dell’imposta evasa, a seconda dei casi). Inoltre, deve pagare l’imposta di registro evasa con sanzione (120-240% dell’imposta). In casi estremi (evasione sopra soglie penalmente rilevanti) può subire anche un procedimento penale per reati tributari. Infine, una volta emerso l’affitto in nero, l’inquilino potrebbe legittimamente pagare solo il canone legale (spesso inferiore) e pretendere la restituzione di quanto versato in nero.
  • D: L’inquilino che paga un affitto in nero rischia conseguenze?
    R: L’inquilino, dal punto di vista fiscale, non commette evasione (l’IRPEF sugli affitti è dovuta dal proprietario). Dunque non rischia sanzioni tributarie né penali tributarie. Tuttavia, accettando un affitto in nero, l’inquilino si espone ad alcuni rischi e svantaggi:
  • Non ha un contratto valido, quindi non ha le garanzie legali sulla durata minima, sui preavvisi per la disdetta, ecc. Il proprietario potrebbe cercare di sfrattarlo più facilmente (pur con le procedure ordinarie).
  • Non può detrarre alcunché (es. esistono detrazioni per i canoni di studenti universitari o lavoratori fuori sede, ma solo per contratti registrati).
  • Ha difficoltà a ottenere la residenza anagrafica in quell’immobile, poiché i comuni richiedono un titolo registrato per la residenza (anche se in teoria basterebbe una dichiarazione).
  • Potrebbe essere chiamato a testimoniare in un eventuale accertamento fiscale, e in quella sede dovrà ammettere di aver pagato in nero (autodenunciando un illecito altrui, il che per lui non comporta sanzioni ma la situazione può essere scomoda).
  • Attenzione: se l’inquilino è una società o professionista che avrebbe potuto dedurre il costo dell’affitto, pagando in nero perde tale deduzione; peggio, se prova a dedurlo comunque con false quietanze, commetterebbe reati fiscali (dichiarazione fraudolenta). Quindi un inquilino “business” rischia qualcosa solo se partecipa attivamente alla frode contabile.

D’altra parte, la legge considera l’inquilino la parte debole e gli offre tutele: può denunciare il nero senza incorrere in sanzioni, può far valere la nullità dei patti occulti in tribunale e non deve pagare i canoni illeciti. Anzi, può chiederne la restituzione. Quindi più che rischi, l’inquilino ha da guadagnare nel far emergere la situazione, salvo la perdita della casa se il rapporto si interrompe.

  • D: Posso registrare tardivamente un contratto non registrato e mettermi in regola?
    R: Sì, è possibile. La registrazione tardiva spontanea (ravvedimento) comporta il pagamento dell’imposta dovuta con sanzioni ridotte (vedi sopra) ma evita un eventuale accertamento d’ufficio più gravoso. Sul piano civile, la Cassazione ha stabilito che la registrazione tardiva sana il contratto ex tunc, se il canone indicato era quello reale. Quindi il contratto da nullo diventa valido. Tuttavia, se c’era un patto occulto di importo maggiore, quello resta nullo e insanabile anche se ora registri tutto: la tardiva registrazione dell’accordo occulto non lo legittima, perché la sua causa resta illecita . In sintesi: registrando ora, paghi le sanzioni ma regolarizzi il contratto (al canone dichiarato); se invece stai solo cercando di legalizzare un extra-costo retroattivamente, non funziona. Inoltre, sappi che la registrazione tardiva non ti esonera dalle sanzioni: non esiste una “sanatoria tombale” civile che ti risparmia le multe fiscali. L’Agenzia applicherà comunque almeno il 120% di sanzione (ridotta a seconda del ravvedimento). Quindi è un mettersi in regola utile per il futuro e per evitare guai peggiori, ma ha un costo.
  • D: Dopo quanto tempo l’inquilino deve lasciare la casa se denuncia l’affitto in nero?
    R: Non c’è un termine fisso: dipende dalle azioni giudiziarie. Se l’inquilino denuncia al Fisco, parte l’accertamento tributario per il proprietario, ma ciò non rescinde automaticamente il rapporto di locazione. Se il contratto è nullo per mancata registrazione, l’inquilino è formalmente un occupante senza titolo: il proprietario dovrà fargli causa per ottenerne la liberazione, il che può richiedere mesi o anni. Nel frattempo però l’inquilino potrebbe non voler più restare, oppure potrebbe attivarsi lui in giudizio per far definire un contratto legale (art. 13 co.6 L.431/98) come contromossa. In pratica, se l’inquilino denuncia e smette di pagare il nero, il proprietario avrà due scelte: accordarsi o agire per cacciarlo. Quindi l’inquilino potrebbe dover lasciare, ma non immediatamente: i tempi medi di uno sfratto o azione analoga sono diversi mesi.

Un caso tipico: l’inquilino denuncia, il proprietario si rifiuta di formalizzare un contratto regolare, allora l’inquilino smette di pagare del tutto e attende lo sfratto; quando il proprietario lo cita, l’inquilino in udienza dichiara l’assenza di titolo e chiede tempo per cercare altro alloggio. Spesso i giudici concedono qualche mese di rinvio per permettere all’inquilino di trovare casa, visto che comunque il proprietario ha colpa di non aver registrato. Dunque, l’inquilino guadagna tempo e magari risparmia affitto in quel periodo. Non esiste però una regola fissa: ogni tribunale può regolarsi caso per caso.

  • D: Quanto tempo ha l’inquilino per chiedere indietro i soldi pagati in nero?
    R: Per le locazioni abitative, la legge fissa 6 mesi dalla riconsegna dell’immobile come termine di decadenza. Trascorso tale periodo dopo che hai lasciato la casa, perdi il diritto di agire in giudizio per la restituzione (salvo tu abbia già avviato la causa). Se invece il contratto era di tipo diverso (commerciale, ecc.), non c’è questo termine breve: vale la prescrizione ordinaria di 10 anni dal pagamento o dalla fine del rapporto. In ogni caso, conviene muoversi subito, magari anche prima di lasciare l’immobile, consultando un legale. Nota bene: se ancora abiti lì ma vuoi recuperare gli importi, la tua azione potrebbe incrinare irreparabilmente il rapporto col locatore (che proverà a liberarsi di te). Molti preferiscono attendere di andare via, sapendo di avere quei 6 mesi per agire in tranquillità dopo.
  • D: Ho fatto risultare un contratto di comodato gratuito, ma in realtà l’inquilino mi paga un affitto: che succede se lo scoprono?
    R: Un contratto di comodato falsamente tale è considerato dal Fisco alla stregua di un affitto in nero. Le conseguenze: l’Agenzia delle Entrate ti contesterà l’omessa dichiarazione dei canoni, presumendo magari un importo di mercato (se non trova altro) o basandosi su quanto l’inquilino eventualmente dichiara di averti pagato. Dal lato civilistico, quel comodato potrebbe essere riqualificato come locazione nulla per difetto di registrazione. L’inquilino dunque potrebbe invocare tutte le tutele viste (nullità patti, ecc.). In pratica, non c’è differenza rispetto all’affitto in nero classico, se non che tu hai pure registrato un atto mendace (il comodato) che però non ti salva da nulla – anzi hai pagato l’imposta fissa di registro per il comodato e non ti è servito. Se la cosa emerge in un processo, il comodato fittizio evidenzia un comportamento fraudolento che il giudice valuterà a tuo sfavore.

Diverso è il caso di un comodato genuino (es. casa data gratis al figlio): quello è legittimo e non genera redditi tassabili. Ma va coerentemente mantenuto: non puoi intestarla come comodato e poi incassare soldi.

  • D: Dichiarare un canone inferiore è un reato di falso in atto pubblico?
    R: No, il contratto di locazione non è un atto pubblico ma una scrittura privata. Indicare un importo inferiore non configura falsità documentale penalmente rilevante (a meno che tu presenti quell’atto a un pubblico ufficiale per frodare, ma in genere resta tra privati e Fisco). È invece un’illecito tributario. Non c’è l’accusa di falso in bilancio o cose simili, semplicemente evasione fiscale. Diverso sarebbe se coinvolgessi un pubblico ufficiale compiacente, ma non è il caso. Quindi non si va incontro a reati di falso, bensì alle sanzioni tributarie e alle nullità civili.
  • D: Se registro l’affitto con cedolare secca a canone basso e poi prendo una parte in nero, perdo la cedolare secca?
    R: Sì, la cedolare secca (tassa piatta del 21% sulle abitazioni locate) richiede che il contratto sia registrato e comprenda tutto il canone. Se l’Agenzia scopre che avevi un canone più alto, probabilmente decadrà dal regime di cedolare e ti verrà applicata l’IRPEF ordinaria su tutto, più le sanzioni. Inoltre, la cedolare impone l’obbligo di comunicare all’inquilino con raccomandata la rinuncia agli aggiornamenti ISTAT del canone: se non l’hai fatto all’inizio, perdi il diritto alla cedolare. In generale, la scoperta di irregolarità comporta la perdita dei benefici fiscali come la cedolare, con recupero dell’imposta ordinaria (più alta) fin dall’origine.
  • D: Ho un inquilino che non paga nulla perché il contratto è nullo; almeno posso non pagarci le tasse?
    R: Se davvero non percepisci alcun reddito (ad es. inquilino moroso totale, contratto annullato, ecc.), ovviamente non devi pagare IRPEF su redditi mai incassati. Però attenzione: finché l’inquilino occupa l’immobile, c’è una norma che prevede la tassazione comunque del reddito fondiario, finché dura la locazione, anche se non percepito (salvo convalida di sfratto per morosità, in quel caso dal provvedimento smetti di dichiarare). Nel caso di contratto nullo, se lo risolvi giudizialmente retroattivamente, potresti non dover dichiarare nulla. Ma l’Agenzia potrebbe chiederti prova che non hai incassato. Insomma, non c’è una tassa sul “valore locativo” salvo situazioni di presunzione; ma se ti trovi con un occupante che non paga canone perché niente contratto, in teoria quell’anno dichiari reddito zero da quell’immobile. Dovrai però comunque pagare l’IMU e la TASI se dovuta, perché quelle colpiscono il possesso dell’immobile a prescindere.
  • D: Posso scaricare dalle tasse le somme restituite all’inquilino se vengo costretto a restituire l’affitto in nero?
    R: Questa è una domanda sofisticata. In linea di massima, le somme restituite all’inquilino perché indebitamente percepite potrebbero considerarsi come restituzione di redditi tassati non spettanti. Se tu avevi dichiarato quei redditi (ma per definizione non li avevi dichiarati, se erano in nero), potresti portarli in deduzione. Ma siccome non erano dichiarati, la restituzione non è un onere deducibile da redditi futuri – tutt’al più ridurrà il profilo sanzionatorio penale perché alla fine non ti sei arricchito. Non c’è una norma che ti consenta di recuperare dal Fisco le tasse pagate su redditi poi restituiti (esiste per altri casi, come gli aiuti di Stato restituiti, ma non qui). Quindi, se paghi le tasse sul nero e poi ridai i soldi all’inquilino, hai una perdita secca. L’unico modo sarebbe chiedere all’Agenzia un rimborso in autotutela sostenendo che quel reddito in realtà non era dovuto in quanto il contratto è stato dichiarato nullo ab origine e l’hai restituito: è argomento molto debole, difficilmente accolto, perché ai fini IRPEF conta che tu lo abbia percepito (anche se poi l’hai dovuto rendere). In pratica, è un caso di ingiusto arricchimento privato che non influenza la pretesa tributaria originaria.

Esempi pratici

Per meglio illustrare come vengono affrontate in concreto le contestazioni su affitti in nero, presentiamo alcuni scenari esemplificativi:

Esempio 1: Locazione abitativa con doppio canone (parte in nero)

Scenario: Tizio, proprietario, concede in locazione un appartamento a Caio come abitazione principale. Le parti firmano e registrano un contratto 4+4 indicando un canone di €500 mensili. In realtà, però, si accordano verbalmente che Caio pagherà €700 al mese: quindi €200 sono “in nero”. Caio versa €500 con bonifico ogni mese (importo registrato) e consegna €200 in contanti a Tizio senza ricevute.

Contestazione: Dopo 2 anni, Caio e Tizio litigano perché l’appartamento ha problemi e Caio vorrebbe riduzione del canone; Tizio rifiuta. Caio smette di pagare i €200 extra e continua a versare solo i €500 ufficiali. Tizio minaccia sfratto per morosità. Caio si rivolge a un avvocato.

Soluzione: L’avvocato di Caio gli fa notare che il patto per i €200 extra è nullo ex art. 13 L.431/98. Consiglia a Caio di resistere allo sfratto: Caio in udienza dichiara di aver sempre pagato il canone contrattuale e che la morosità riguarda somme illegittime. Lo sfratto viene rigettato dal giudice, che rileva d’ufficio la nullità dell’accordo occulto. A questo punto, Caio decide di lasciare l’immobile a fine contratto. Entro 6 mesi dalla riconsegna, tramite il suo legale, cita Tizio in giudizio chiedendo la restituzione di €200 x (24 mesi) = €4.800 versati in nero nei 2 anni. Come prova, esibisce estratti conto che mostrano i prelievi in contanti regolari di €200 subito dopo ogni bonifico, e produce alcuni SMS in cui Tizio gli ricordava di portargli “il resto in contanti”. Il tribunale ritiene provato il patto occulto e condanna Tizio a restituire €4.800 a Caio, oltre interessi legali. Inoltre, attiva d’ufficio la segnalazione all’Agenzia delle Entrate.

Tizio si trova quindi a dover pagare 1) le spese legali e la restituzione a Caio, 2) l’accertamento fiscale dell’Agenzia: recupero IRPEF sui €4.800 (circa €1.000) più sanzione del 240% (€2.400) perché non li aveva dichiarati, più interessi. Tizio in totale subisce un danno economico pesantissimo, perdendo ben oltre quanto aveva guadagnato con il nero.

Commento: Questo esempio mostra la forza della tutela dell’inquilino e la convenienza per lui di far emergere la situazione. Caio di fatto ha recuperato tutto il nero pagato. Per Tizio è un disastro: avrebbe fatto meglio ad accordarsi bonariamente prima, magari riducendo il canone o restituendo una parte, invece di arrivare in tribunale.

Esempio 2: Locazione commerciale non registrata (affitto “in nero” totale)

Scenario: La società Alfa SNC affitta da Beta (privato) un locale commerciale dal 2019, ma per comune accordo non stipulano contratto scritto: Alfa paga €1.500 al mese in contanti a Beta, senza ricevute. Nel 2021 Beta, temendo problemi, fa firmare ad Alfa un contratto di comodato gratuito per lo stesso immobile, registrato, pensando di cautelarsi. I pagamenti però continuano. Nel 2022 Alfa, colpita da crisi, smette di pagare qualsiasi cosa ma rifiuta di lasciare il locale.

Contestazione: Beta si rivolge a un legale e avvia un’azione di rilascio contro Alfa, sostenendo che il comodato è terminato e Alfa occupa abusivamente. Alfa, in giudizio, rivela che in realtà c’era un affitto in nero di €1.500 e che ha già pagato in tre anni circa €54.000 a Beta. Deposita come prova un brogliaccio firmato dal contabile di Alfa e controfirmato da Beta con segnati mese per mese gli importi versati. Inoltre Alfa ha emesso assegni a favore di Beta poi annullati e sostituiti da contanti, ma nell’estratto conto di Alfa compaiono questi movimenti anomali.

Soluzione: Il tribunale accerta che il “comodato” era fittizio e in realtà c’era una locazione non registrata, quindi nullo ex lege. Dichiara risolto quel rapporto per inadempimento di Alfa (che comunque non pagava da mesi) e ordina il rilascio dell’immobile entro 4 mesi. Contestualmente, però, riconosce a Beta solo un’indennità di occupazione per gli ultimi mesi di uso senza pagamento, quantificata in €1.200 mensili (leggermente inferiore al precedente canone, per via della crisi e del mercato). Alfa, costituitasi come convenuta, non ha chiesto formalmente la restituzione di quanto pagato, quindi su quel punto nulla viene statuito (anche se il giudice osserva che i pagamenti pregressi erano privi di causa lecita). Beta ottiene dunque il locale indietro, ma la sua vittoria è parziale: non recupera tutte le mensilità non pagate (il giudice non gli riconosce €1.500×6 mesi di arretrati ma solo €1.200×6, applicando il concetto di indennità ridotta). Inoltre, la sentenza evidenzia che Beta ha percepito €54.000 in nero: viene inviata segnalazione al Fisco.

L’Agenzia delle Entrate procede a tassare Beta per quei redditi: Beta cerca di difendersi sostenendo che era comodato, ma l’evidenza contraria è chiara (c’è addirittura un documento firmato che attesta pagamenti). L’Agenzia quindi gli contesta IRPEF evasa su €54.000 (circa €20.000 di imposte) più sanzioni 240% (€48.000) e interessi, oltre a sanzione registro 240% su imposta dovuta (contratto 3 anni × imposta registro 2% di €54.000 = €1.080 imposta evasa, sanzione ~€2.600). Beta, davanti a questa mazzata, chiede accertamento con adesione e ottiene di diluire le somme e ridurre qualcosina sulla quantificazione (riesce a far togliere 1 anno presunto, perché dimostra che nel 2019 il locale era ancora sfitto per lavori). Paga infine circa €50.000 tra imposte e sanzioni.

Commento: In questo scenario, il locatore Beta è riuscito a liberare il suo immobile, ma a caro prezzo. L’inquilino Alfa è uscito in pochi mesi, ma Beta ha perso quasi tutti i guadagni illeciti a causa del fisco, e inoltre i pagamenti finali (6 mesi) li ha recuperati solo parzialmente come indennità ridotta. Se Beta avesse registrato un contratto regolare con Alfa sin dall’inizio (magari a canone inferiore se Alfa non poteva pagare di più), avrebbe potuto sfrattare in via breve per morosità e incassare legalmente gli arretrati o escutere la fideiussione (che in nero ovviamente non c’era). Ha invece scelto l’irregolarità e ne ha pagato le conseguenze.

Esempio 3: Locazione abitativa registrata con cedolare, ma canone di fatto più alto

Scenario: Luigi affitta una sua seconda casa a Maria con regolare contratto 3+2 a canone concordato di €400 mensili, optando per la cedolare secca. Il contratto è registrato e Luigi usufruisce anche delle agevolazioni IMU prima casa perché Maria vi ha la residenza (in alcuni comuni è previsto per contratti concordati). In realtà, Luigi e Maria sono amici e si erano accordati che Maria gli avrebbe corrisposto ulteriori €300 al mese “perché l’appartamento è arredato di lusso”. Di comune accordo non menzionano questa cifra nel contratto (che per legge includerebbe tutto). Maria gli bonifica €400 ogni mese e poi gli dà €300 con PayPal indicando “contributo spese”. Dopo 1 anno litigano e Luigi chiede a Maria di andarsene.

Contestazione: Maria decide di non rinnovare e cerca un’altra casa, ma intanto segnala all’Agenzia delle Entrate che Luigi percepisce €700 al mese pur dichiarandone €400. Fornisce gli estratti di PayPal. L’Agenzia avvia un controllo e convoca Luigi.

Soluzione: Luigi, messo alle strette, ammette che effettivamente i €300 erano un extra non dichiarato. Prima che esca l’accertamento, fa ravvedimento: presenta una dichiarazione integrativa per l’anno in questione dichiarando €3.600 in più di redditi da locazione, e versa la cedolare secca dovuta (21% di 3.600 = €756) con sanzione ridotta del 20% (€151) perché è trascorso oltre un anno, più interessi. Inoltre registra un accordo integrativo al contratto (questa volta lo registra davvero, benché ormai Maria sta andando via, giusto per avere un pezzo di carta registrato che includa i €300 per i mesi residui). L’Agenzia a questo punto formalmente gli contesta comunque la violazione: gli invia una comunicazione di irregolarità chiedendo la differenza d’imposta (cedolare 21% su 3.600) e la sanzione piena. Luigi chiede il riesame presentando le ricevute del suo ravvedimento, e l’Agenzia annulla le sanzioni maggiorate applicando quelle già pagate col ravvedimento. Luigi se la cava pagando in totale circa €950. Maria lascia la casa alla scadenza naturale senza altri strascichi (non aveva somme da recuperare perché in fondo aveva pagato ciò che aveva accettato di pagare; semplicemente ha “tradito” Luigi denunciando il nero, forse per ripicca o senso di giustizia).

Commento: Qui l’affitto in nero era parziale ma comunque ha creato problemi. Luigi ha perso le agevolazioni: avendo violato le regole della cedolare e del concordato, l’Agenzia gli ha revocato l’aliquota ridotta per quell’anno (in realtà, nel caso specifico potrebbe anche revocargli l’intera cedolare secca, costringendolo a pagare IRPEF ordinaria su tutti i canoni, per violazione delle condizioni di trasparenza). Inoltre, Maria in teoria avrebbe potuto chiedergli indietro i €3.600 extra, ma ha scelto di non farlo forse perché anche lei amica all’inizio sapeva e accettava. L’esempio dimostra comunque che anche su contratti “ufficiali” è un rischio inserire clausole occulte: se i rapporti si rovinano, l’inquilino ha la possibilità di far valere la nullità e segnalare il tutto, causando al proprietario sanzioni e perdita di benefici fiscali.

In conclusione, dalle simulazioni emerge un filo conduttore: il locatore ha tutto da perdere nel ricorrere a canoni in nero, mentre il conduttore ha tutele legali forti che può attivare a suo vantaggio. Dal punto di vista difensivo, chi si trova dalla parte del “debole” (l’inquilino che ha subito richieste illegittime o il contribuente onesto che vuole regolarizzare) ha strumenti efficaci, mentre chi ha consapevolmente violato le norme (il locatore evasore) ha poche vie d’uscita se non quella di cercare un compromesso e mettersi in regola il prima possibile.

Conclusioni

Le locazioni con canoni sottostimati o non dichiarati rappresentano un rischio elevato in Italia, tanto sul piano civile quanto su quello fiscale. La normativa attuale – consolidata da prassi e giurisprudenza – mira a scoraggiare fortemente tali pratiche, sanzionando il locatore evasore e proteggendo il conduttore che ne è vittima (o complice talvolta, ma considerato comunque parte debole). Dal punto di vista del locatore (debitore d’imposta), il messaggio è chiaro: conviene rispettare le regole (registrazione e dichiarazione integrale dei canoni) o, se si è in errore, ravvedersi subito. Le conseguenze di un eventuale accertamento o contenzioso possono azzerare i benefici economici ottenuti con l’evasione, quando non peggiorare drammaticamente la situazione finanziaria del locatore stesso.

Dal punto di vista del conduttore, conoscere i propri diritti è fondamentale: non si è obbligati a pagare somme in nero, e se le si paga per necessità, si ha comunque la possibilità di recuperarle e di liberarsi da pretese ingiuste. La legge offre vie di uscita lecite (nullità dei patti, azioni di restituzione) che vanno fatte valere tempestivamente. Certo, denunciare un affitto in nero può significare perdere la casa in cui si sta, ma spesso è il preludio a trovare una soluzione abitativa più regolare e stabile.

In definitiva, per difendersi efficacemente nelle contestazioni sui canoni sottostimati bisogna:

  • Conoscere la legge: sapere che il patto occulto è nullo, che il contratto non registrato è nullo, che l’inquilino può agire entro certi termini e che il Fisco ha poteri di controllo.
  • Agire con tempestività: il locatore in fallo deve ravvedersi prima possibile per limitare sanzioni; l’inquilino deve far valere i suoi diritti (in tribunale o in sede fiscale) nei termini previsti senza lasciar decadere le possibilità.
  • Documentare tutto: ogni prova può fare la differenza, sia per l’inquilino (bonifici, ricevute, messaggi che provano il nero) sia per il locatore in difesa (prove che il canone dichiarato era congruo, ecc.).
  • Farsi assistere da professionisti: un avvocato esperto di locazioni per le vicende civilistiche e un tributarista per quelle fiscali possono letteralmente risparmiare migliaia di euro e ottenere soluzioni che un profano non otterrebbe. Dato l’elevato tecnicismo (basti pensare alle soglie, ai ravvedimenti, alle nullità parziali, ecc.), l’assistenza qualificata è cruciale.

Questa guida ha fornito un’analisi dettagliata e aggiornata a settembre 2025 delle problematiche e difese relative agli affitti in nero. In un’ottica avanzata ma pragmatica, speriamo di aver chiarito come muoversi in queste acque insidiose, ricordando che la conformità alla legge, alla lunga, è la strategia più conveniente.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato di aver dichiarato canoni di locazione inferiori a quelli di mercato? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato di aver dichiarato canoni di locazione inferiori a quelli di mercato?
Vuoi sapere cosa rischi e come predisporre una difesa efficace?

👉 Prima regola: dimostra la correttezza del contratto registrato e la legittimità del canone pattuito con l’inquilino, distinguendo tra valutazioni di mercato e accordi reali.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Contratti di locazione registrati con importi inferiori ai valori di mercato;
  • Differenze tra canoni dichiarati e indici OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare);
  • Contestazioni su locazioni a parenti o società collegate;
  • Canoni ridotti non giustificati da situazioni particolari (immobile in cattivo stato, locazione agevolata);
  • Disallineamenti tra contratto registrato e somme effettivamente percepite.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sui maggiori canoni stimati;
  • Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele;
  • Interessi di mora sulle somme accertate;
  • Rischio di contestazioni penali se gli importi sono rilevanti;
  • Maggiori controlli futuri sui contratti di locazione registrati.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Il canone indicato nel contratto è stato realmente percepito?
  • L’immobile presenta caratteristiche che giustificano un affitto ridotto (condizioni, ubicazione, lavori necessari)?
  • Il canone ridotto era previsto da agevolazioni fiscali o da accordi particolari (canone concordato, patti territoriali)?
  • L’Agenzia delle Entrate ha utilizzato valori OMI aggiornati e pertinenti?
  • L’accertamento si basa su presunzioni o su prove concrete di maggiori incassi?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti di locazione registrati presso l’Agenzia delle Entrate;
  • Ricevute e bonifici dei canoni effettivamente percepiti;
  • Perizie tecniche sullo stato dell’immobile;
  • Eventuali accordi territoriali o contratti a canone concordato;
  • Dichiarazioni fiscali e modelli 730/Redditi con i canoni dichiarati.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare che il canone dichiarato corrisponde al contratto registrato e ai pagamenti ricevuti;
  • Contestare l’utilizzo improprio dei valori OMI come prova esclusiva;
  • Evidenziare le condizioni particolari dell’immobile che giustificano il canone ridotto;
  • Fare valere agevolazioni specifiche (es. canone concordato, patti locali);
  • Richiedere annullamento in autotutela se l’Agenzia si è basata solo su presunzioni;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i contratti di locazione e i dati contestati;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione e individua i punti di difesa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta nei procedimenti fiscali e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per registrare contratti sicuri e inattaccabili dall’Agenzia.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e fiscale immobiliare;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su canoni sottostimati e redditi da locazione;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni per locazioni con canoni sottostimati non sempre sono fondate: l’Agenzia delle Entrate spesso si basa su valori OMI o presunzioni di mercato che non riflettono la realtà del contratto.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza dei canoni dichiarati, evitare il recupero di imposte indebite e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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