Come Difendersi Da Contestazioni Su Fatture Elettroniche Irregolari

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunte irregolarità nelle fatture elettroniche? In questi casi, l’Ufficio presume che le fatture emesse o ricevute non rispettino i requisiti formali o sostanziali previsti dalla normativa, con il rischio di perdere la detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi. Le conseguenze possono essere molto pesanti: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e, nei casi più gravi, contestazioni penali. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben strutturata è possibile correggere le irregolarità o dimostrare la validità fiscale delle fatture contestate.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta le fatture elettroniche
– Se mancano dati obbligatori (partita IVA, codice destinatario, CIG/CUP, ecc.)
– Se le fatture sono state emesse in ritardo rispetto ai termini previsti dalla legge
– Se emergono incongruenze tra le fatture elettroniche e i corrispettivi dichiarati
– Se l’operazione sottostante non risulta documentata in maniera adeguata
– Se l’Ufficio presume che la fattura sia stata emessa per un’operazione inesistente o non correttamente qualificata

Conseguenze della contestazione
– Indetraibilità dell’IVA indicata nelle fatture irregolari
– Indeducibilità dei costi non correttamente documentati
– Applicazione di sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta non versata
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti

Come difendersi dalle contestazioni
– Dimostrare la correttezza sostanziale delle operazioni nonostante errori formali nella fattura
– Produrre contratti, documenti di trasporto, bonifici e altra documentazione a supporto
– Correggere tempestivamente le irregolarità mediante note di variazione o autofatture sostitutive
– Contestare l’indetraibilità dell’IVA se i requisiti sostanziali di inerenza e veridicità dell’operazione sono rispettati
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione nella contestazione
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare le fatture elettroniche contestate e la documentazione collegata
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione della normativa IVA
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e giurisprudenza favorevole
– Difendere l’impresa o il professionista davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– La regolarizzazione delle fatture con eliminazione delle sanzioni
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della correttezza fiscale delle operazioni contestate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: le fatture elettroniche, essendo trasmesse al Sistema di Interscambio (SdI), sono automaticamente oggetto di controlli formali e sostanziali da parte del Fisco. È fondamentale intervenire subito in caso di contestazione per evitare conseguenze economiche e legali molto pesanti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e IVA – spiega come difendersi in caso di contestazioni su fatture elettroniche irregolari e quali strategie adottare per tutelare i tuoi interessi.

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Introduzione

Le fatture elettroniche sono diventate obbligatorie in Italia per la maggior parte delle operazioni tra imprese e professionisti, garantendo maggiore tracciabilità e trasparenza. Tuttavia, possono verificarsi irregolarità nelle fatture elettroniche – ad esempio errori formali, emissioni tardive, omissioni o addirittura l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – che espongono il contribuente a contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Dal punto di vista del debitore (contribuente) che riceve o emette una fattura contestata, è fondamentale conoscere gli strumenti di difesa disponibili per tutelare i propri diritti e prevenire o gestire eventuali sanzioni.

In questa guida, aggiornata a settembre 2025 e arricchita con i più recenti riferimenti normativi (comprese le novità introdotte dalla riforma fiscale 2024) e giurisprudenziali, forniremo un quadro avanzato su come difendersi da contestazioni riguardanti fatture elettroniche irregolari. Esamineremo le norme italiane di riferimento, le pronunce più autorevoli dei giudici tributari, nonché le procedure deflattive che consentono di evitare o ridurre il contenzioso (come l’autotutela e la mediazione tributaria).

Struttureremo la trattazione attraverso domande e risposte frequenti, esempi pratici e tabelle riepilogative che schematizzano le principali differenze normative (ad esempio, prima e dopo le modifiche del 2024 in materia di fatture omesse/irregolari) e le opzioni difensive a disposizione. Il focus sarà sul punto di vista del destinatario della contestazione (cessionario/committente, o in generale il contribuente debitore d’imposta) e su come questi possa agire per regolarizzare eventuali errori, evitare sanzioni sproporzionate e far valere le proprie ragioni qualora la contestazione dell’Amministrazione finanziaria non sia fondata.

Cosa si intende per “fattura elettronica irregolare”? In termini generali, si ha una fattura irregolare quando il documento non rispetta i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge (art. 21 DPR 633/1972 per il contenuto della fattura) oppure quando la fattura non è stata affatto emessa nei termini di legge. Esempi comuni includono: fattura elettronica omessa (mancata emissione entro i termini), scartata dal Sistema di Interscambio (SdI) e non riemessa correttamente, fattura emessa con dati incompleti o errori (ad es. indicazione generica delle operazioni), applicazione errata dell’IVA (es. indebita esenzione o aliquota sbagliata), oppure utilizzo di fatture relative a operazioni inesistenti (fittizie). Ognuna di queste situazioni può portare l’Agenzia delle Entrate a contestare al contribuente violazioni di legge, con possibili conseguenze sul piano tributario (recupero dell’imposta, sanzioni amministrative) e in casi gravi anche penale (quando si tratta di frodi IVA mediante fatture false).

L’obiettivo di questa guida è fornire al lettore gli strumenti per: riconoscere le diverse tipologie di irregolarità nelle fatture elettroniche; capire quali obblighi ha il contribuente per regolarizzare o segnalare tali irregolarità (alla luce delle recentissime modifiche normative); sapere come reagire alle comunicazioni o avvisi dell’Amministrazione finanziaria (dai semplici avvisi di irregolarità ai più formali avvisi di accertamento); utilizzare efficacemente gli strumenti deflattivi del contenzioso per evitare un processo tributario quando possibile; impostare una difesa solida, basata su normativa e giurisprudenza, nel caso in cui occorra contestare in giudizio la pretesa fiscale.

Esempio pratico iniziale: Mario, titolare di una piccola impresa, riceve un avviso dall’Agenzia delle Entrate che contesta la detrazione IVA su alcune fatture elettroniche ricevute nel 2023, ritenute irregolari perché riportavano descrizioni molto generiche dei servizi. Inoltre, gli viene contestato di non aver regolarizzato una fattura che il suo fornitore non aveva mai emesso. Mario teme di dover restituire l’IVA detratta con sanzioni e interessi. Questa guida spiegherà a casi come quello di Mario cosa fare per regolarizzare errori (ad esempio, quali comunicazioni inviare all’Agenzia, come emettere un’autofattura o una nota integrativa) e come difendersi dimostrando che le operazioni erano reali e che eventuali difetti formali della fattura non giustificano la perdita del diritto alla detrazione .

Normativa e obblighi in caso di fattura elettronica omessa o irregolare

La normativa IVA italiana prevede uno specifico meccanismo per gestire il caso in cui la fattura non venga emessa dal cedente/prestatore oppure venga emessa in maniera irregolare. Tali disposizioni mirano a coinvolgere il cessionario/committente (cioè il cliente) nella regolarizzazione, al fine di assicurare che l’operazione sia comunque riportata e che l’imposta dovuta sia versata all’Erario. La fonte principale è l’art. 6, comma 8, del D.Lgs. 471/1997 (decreto sulle sanzioni tributarie in materia di IVA). Fino al 2024 questa norma obbligava il cessionario a emettere un’autofattura di regolarizzazione entro precisi termini, mentre una recente riforma (attuata con il D.Lgs. 87/2024, noto come “Decreto Sanzioni”) ha modificato profondamente la procedura a partire dal 1° settembre 2024 . Vediamo entrambe le discipline, prima e dopo la riforma, poiché nelle contestazioni può essere ancora rilevante distinguere le violazioni avvenute prima o dopo tale data.

Fattura omessa o irregolare fino al 31 agosto 2024 (vecchia disciplina) – In base al testo previgente dell’art. 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997, se un soggetto passivo IVA (cessionario/committente) acquistava beni o servizi senza ricevere fattura, oppure riceveva una fattura irregolare, era tenuto a regolarizzare l’operazione entro un certo termine. In mancanza di regolarizzazione, al cessionario si applicava una sanzione pari al 100% dell’IVA relativa all’operazione, con un minimo di 250 euro . La regolarizzazione doveva avvenire con le seguenti modalità :

  • Mancata ricezione della fattura: se il fornitore non avesse emesso alcuna fattura entro 4 mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, il cliente doveva emettere un’autofattura elettronica (a fini IVA) entro i successivi 30 giorni. Questa autofattura – spesso detta “autofattura denuncia” – andava trasmessa tramite SdI all’Agenzia delle Entrate, con tutti i dati richiesti dall’art. 21 DPR 633/72, riportando quindi gli elementi dell’operazione originaria. In pratica, il cessionario si sostituiva al cedente inadempiente emettendo lui stesso la fattura mancante . All’atto dell’autofattura, il cessionario doveva versare l’IVA dovuta sull’operazione.
  • Fattura ricevuta ma irregolare: se il fornitore aveva emesso sì una fattura, ma questa presentava irregolarità (tipicamente un’IVA inferiore al dovuto o altri errori rilevanti), il cessionario doveva emettere, entro 30 giorni dalla registrazione della fattura anomala, un’autofattura integrativa. In tale documento il cliente indicava la corretta base imponibile e imposta, integrando l’IVA non applicata dal fornitore, e provvedeva a versare la differenza all’Erario . Anche questa autofattura andava trasmessa elettronicamente al SdI.

Se il cessionario ottemperava a tali obblighi (emissione di autofattura e pagamento dell’IVA entro i termini indicati), evitava la sanzione del 100% a suo carico. Inoltre, una volta regolarizzata l’operazione, aveva diritto a detrarre l’IVA versata tramite autofattura. In caso contrario, l’Agenzia poteva contestargli la mancata regolarizzazione e applicare la sanzione (oltre, ovviamente, a recuperare l’imposta non versata dal cedente). È importante notare che questa procedura non sollevava comunque il fornitore dalle proprie responsabilità: la Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo principale di fatturazione e versamento resta sempre in capo al cedente, e l’intervento del cessionario è una forma di tutela dell’Erario senza creare un “doppio” debito d’imposta . In altre parole, pagando con autofattura il cliente evitava sanzioni per sé e otteneva la detrazione, ma il fisco poteva comunque pretendere la stessa IVA dal fornitore inadempiente, non configurandosi alcuna esenzione per quest’ultimo . La Cassazione (sent. n. 12146/2021) ha definito quella in capo al cessionario come una “detrazione di oneri di natura diversa”, aggiungendo che la regolarizzazione “non era di ostacolo alla contabilizzazione della fattura e alla detrazione dell’IVA, anche se emesse tardivamente, a regolarizzazione avvenuta” .

Novità dal 1° settembre 2024: comunicazione dell’omissione o irregolarità (TD29) – La riforma del sistema sanzionatorio IVA, approvata a metà 2024 (D.Lgs. 87/2024), ha semplificato la procedura a carico del cessionario. Per le violazioni commesse a partire dal 1/9/2024, non è più previsto l’obbligo di emettere un’autofattura di denuncia e versare immediatamente l’IVA, bensì l’obbligo di comunicare l’omissione o l’irregolarità all’Agenzia delle Entrate entro un termine più lungo . Contestualmente, la sanzione in caso di inadempimento del cessionario è stata ridotta al 70% dell’imposta (sempre con minimo 250 euro) . In dettaglio, il nuovo comma 8 dell’art. 6 D.Lgs. 471/97 dispone che il cessionario/committente che non abbia ricevuto la fattura o ne abbia ricevuta una irregolare evita la sanzione se effettua una comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate entro 90 giorni dal termine in cui la fattura avrebbe dovuto essere emessa (in caso di omissione) oppure entro 90 giorni da quando la fattura è stata emessa (in caso di fattura irregolare) .

Questa comunicazione deve avvenire utilizzando un apposito tipo di documento elettronico “TD29” da inviarsi tramite il Sistema di Interscambio (SdI) . In pratica, il cessionario trasmette un file XML (simile a una fattura elettronica) contenente i dati dell’operazione non fatturata o fatturata irregolarmente, con la funzione di segnalare l’inadempimento del fornitore. Non è più richiesto il pagamento immediato dell’IVA con autofattura: la comunicazione TD29 è una mera segnalazione e non ha rilevanza ai fini della registrazione IVA (ossia il cliente non deve registrarla nei propri registri acquisti) . Questo snellisce notevolmente gli adempimenti: come osservato dagli esperti, si è passati dall’obbligo di emettere un documento contabile e versare l’imposta, a una semplice comunicazione informativa, più accessibile e semplice per il contribuente .

Dati e contenuto del TD29 – Le specifiche tecniche emanate dall’Agenzia delle Entrate descrivono in dettaglio come compilare il documento TD29. In sintesi, nel file bisogna indicare: i dati del fornitore originario (Cedente/Prestatore) e del cliente segnalante (Cessionario/Committente); nel campo data, la data di effettuazione dell’operazione originaria; la descrizione dell’operazione con l’imponibile che non è stato fatturato (o la parte non indicata in fattura) e la relativa imposta calcolata dal cliente (oppure il codice “Natura” appropriato, se l’operazione era non imponibile o esente); il riferimento alla eventuale fattura ricevuta (se si sta segnalando una fattura irregolare, va richiamato il numero della fattura del fornitore a cui ci si riferisce) . Il TD29 si invia con un Codice Destinatario speciale “0000000” (sette zeri), così da non essere recapitato a nessun destinatario ma registrato nei sistemi dell’Agenzia . In fase di compilazione, si può assegnare al TD29 un proprio numero progressivo (è consigliato utilizzare una numerazione dedicata per distinguerli dalle fatture normali) .

Esempio: Se una fattura immediata doveva essere emessa dal fornitore entro il 12 marzo 2025 (entro 12 giorni dall’operazione avvenuta il 1° marzo 2025) e ciò non è avvenuto, il cliente dovrà trasmettere il TD29 entro 90 giorni dal 12 marzo, quindi entro il 10 giugno 2025. Per le fatture differite (es. consegna beni a gennaio 2025 con fattura da emettere entro il 15 febbraio 2025), il termine di 90 giorni decorre dal 15 febbraio. In generale, la scadenza per la comunicazione TD29 segue la scadenza di emissione della fattura, che varia a seconda che si tratti di fattura immediata, differita, ecc. Ne risulta che il cessionario ha un lasso di tempo variabile, in media attorno a 3 mesi dall’ultimo giorno utile in cui il cedente poteva fatturare. (Vedi tabella sotto per alcuni esempi illustrativi.)

Tabella 1 – Termini di emissione fattura vs. Termini comunicazione TD29

Tipo di operazioneTermine di emissione fattura (fornitore)Scadenza comunicazione TD29 (cessionario)
Fattura immediata (es. operazione effettuata 10 gennaio 2025)Entro 12 giorni (ad es. 22 gennaio 2025)Entro 90 giorni dal termine di emissione (es. 22 aprile 2025)
Fattura differita (operazioni di gennaio 2025)Entro il 15 febbraio 2025Entro 90 giorni dal 15 febbraio (circa metà maggio 2025)
Fattura “super-differita” (es. cessioni triangolari con consegna a terzi, gennaio 2025)Entro il 28 febbraio 2025Entro 90 giorni dal 28 febbraio (fine maggio 2025)

(Nota: i riferimenti temporali sono esemplificativi. In tutti i casi, 90 giorni dal termine ultimo in cui la fattura doveva essere emessa dal fornitore.)

Sanzioni e ravvedimento – Come accennato, dal 1/9/2024 l’omessa comunicazione TD29 entro 90 giorni comporta una sanzione amministrativa pari al 70% dell’IVA relativa all’operazione (minimo 250 euro) . Questo importo è inferiore a quello previsto in passato (100%), a indicare una volontà del legislatore di rendere meno gravoso l’onere sul cessionario. Resta ferma, ovviamente, la responsabilità principale in capo al cedente: il fatto che il cliente comunichi l’irregolarità non implica che il fornitore sia esonerato dal versare l’imposta dovuta sull’operazione. Se il cliente non effettua la comunicazione nei termini, potrà comunque attivarsi successivamente attraverso il ravvedimento operoso previsto dall’art. 13 D.Lgs. 472/1997 . In pratica dovrà presentare la comunicazione tardiva (TD29) e pagare spontaneamente la sanzione ridotta in base al tempo di ritardo (ad esempio 1/9 del minimo se entro 90 giorni dal termine originario, 1/8 se entro un anno, etc.), oltre agli eventuali interessi. Il riferimento al ravvedimento non è espressamente nel nuovo comma 8, ma è stato confermato dagli esperti in dottrina che il ravvedimento resta applicabile anche a questa violazione .

Periodo transitorio – Va evidenziato che la novità del TD29, introdotta dalla riforma, ha richiesto aggiornamenti nei tracciati XML. Le specifiche tecniche 1.7.1 sono entrate in vigore dal 1° ottobre 2024, ma l’utilizzo effettivo del nuovo codice documento TD29 è stato reso operativo solo dal 1° aprile 2025 (data indicata dall’Agenzia per l’aggiornamento dei sistemi) . Ciò significa che per le omissioni/irregolarità occorse nei primi mesi di vigenza della nuova norma (settembre 2024 – marzo 2025) vi era un vuoto tecnico: il cessionario era tenuto comunque a comunicare, ma lo strumento telematico non era ancora disponibile. In tali casi transitori, l’Amministrazione finanziaria ha indicato di effettuare la comunicazione appena possibile con il TD29 appena introdotto, avvalendosi magari del ravvedimento per il lieve ritardo tecnico. Nel frattempo, si raccomandava di conservare documentazione probatoria dell’irregolarità riscontrata e della volontà di regolarizzare, in vista di eventuali controlli.

Riepilogo obblighi del cessionario (prima e dopo la riforma 2024):

  • Fino al 31/8/2024: emissione autofattura elettronica entro 30 giorni (dalla scadenza dei 4 mesi, o dalla registrazione della fattura irregolare) con versamento IVA. Sanzione 100% IVA (min. 250 €) se omette .
  • Dal 1/9/2024: invio comunicazione TD29 entro 90 giorni dal termine di emissione fattura (o dall’emissione fattura irregolare). Nessun versamento immediato. Sanzione 70% IVA (min. 250 €) se omette . Ravvedimento operoso applicabile per comunicazioni tardive .

Irregolarità legate all’autofatturazione (reverse charge e integrazioni)

Nel contesto delle fatture elettroniche, il termine “autofatturazione” può riferirsi a diverse situazioni: oltre alla regolarizzazione di cui sopra, l’autofattura è utilizzata anche nei casi in cui la normativa richiede al cessionario di integrare o autofatturare l’IVA in regime di reverse charge. Si pensi, ad esempio, agli acquisti di servizi extra-UE, agli acquisti intracomunitari di beni, o alle operazioni domestiche soggette a reverse charge interno (come prestazioni edilizie, cessioni di rottami, subappalti nel settore edile, cessioni di telefoni e altri beni ex art. 17 comma 6 DPR 633/72). In tutte queste ipotesi, la fattura emessa dal fornitore può non recare l’IVA (perché non dovuta dal cedente) e spetta al committente integrare il documento con l’imposta. Con l’introduzione della fatturazione elettronica, sono stati previsti specifici tipi documento per gestire queste casistiche: i codici TD16, TD17, TD18, TD19 e TD20 servono a comunicare al SdI le integrazioni/autofatture legate al reverse charge.

Vediamo brevemente quali sono le irregolarità possibili e come difendersi:

  • Mancata integrazione di una fattura in reverse charge interno: ad esempio, un fornitore edile emette fattura elettronica senza IVA indicando “inversione contabile” (N6) come richiesto dalla legge, ma il cliente omette di integrare il documento e di registrarlo adeguatamente. In tal caso si configura una violazione sanzionabile ai sensi dell’art. 6, comma 9-bis, D.Lgs. 471/1997, che punisce il cessionario per mancata integrazione di fattura in reverse charge. La sanzione, in assenza di frode, è proporzionale all’IVA non correttamente contabilizzata (solitamente dal 90% al 180% di detta imposta, riducibile se il documento è registrato anche se irregolarmente). Tuttavia, se il cessionario si accorge dell’errore, può regolarizzare emettendo un’autofattura (tipo documento TD20) per autofatturazione interna, e inviandola al SdI. Dopo la riforma del 2024, è stato chiarito che per queste ipotesi di reverse charge interno la tempistica per l’autofattura TD20 è allineata a quella della comunicazione TD29 vista sopra : anche qui si hanno 90 giorni dal termine di emissione originario per mettersi in regola senza sanzioni (prima della riforma, era 30 giorni). Dunque, se il fornitore non avesse emesso affatto la fattura in reverse charge, o l’avesse emessa con importo inferiore, il cliente entro 90 giorni deve trasmettere la TD20 (che di fatto supplisce la mancanza) . L’autofattura TD20 in questo caso conterrà come cedente il fornitore effettivo e come cessionario sé stesso, con indicazione dell’operazione imponibile e l’IVA non applicata in fattura (sotto il codice Natura N6 appropriato) . Una volta inviata l’autofattura, il cessionario procederà a registrarla sia nel registro IVA vendite (per assolvere il debito d’imposta) sia nel registro acquisti (per esercitare la detrazione, ove spettante), neutralizzando l’effetto economico.
  • Mancata autofatturazione di un acquisto estero: nelle operazioni con fornitori esteri (UE o extra-UE) non obbligati alla e-fattura italiana, l’acquirente italiano deve emettere autofattura per assolvere l’IVA. Per esempio, un servizio ricevuto da un fornitore USA richiede un’autofattura (documento TD17) per l’inversione contabile. Se l’acquirente omette di farlo, incorre in violazione. La normativa (art. 46, comma 5, DL 331/1993) prevede tempi specifici: se entro il secondo mese successivo all’operazione non si riceve fattura estera, bisogna emettere autofattura entro il 15 del terzo mese; se si riceve una fattura estera ma con importo inferiore al reale, l’autofattura integrativa va fatta entro il 15 del mese successivo alla registrazione della fattura originale . Il nuovo sistema con TD20 copre anche queste ipotesi: dal 2024 l’Agenzia ha previsto di usare il TD20 pure per documentare ritardi nell’integrazione di acquisti intracomunitari o esteri . Va però prestata attenzione: in alcuni casi (specie negli acquisti intra-UE) il flusso SDI non prevede altrimenti un documento “fase 1” perché la fattura estera rimane cartacea. L’autofattura TD20 diventa quindi un documento inserito solo per avere traccia a sistema della regolarizzazione tardiva . Anche qui, in caso di omissione, il cessionario può ravvedersi emettendo tardivamente il TD17/TD18/TD19 e, se richiesto dalle nuove specifiche, anche un TD20, pagando la sanzione ridotta.
  • Errori nell’autofattura: può capitare che l’autofattura venga emessa ma in modo errato (ad esempio indicando un’aliquota sbagliata). Trattandosi di un documento interno, l’errore può essere corretto emettendo un’autofattura rettificativa. Se invece l’errore ha portato a un versamento IVA insufficiente, il cessionario dovrà attivarsi per versare la differenza, con interessi e sanzione ridotta tramite ravvedimento. In linea generale, nelle contestazioni è possibile difendersi sostenendo che, se l’operazione era reale e l’IVA dovuta è stata comunque assolta, un vizio formale nell’autofattura non deve invalidare il diritto alla detrazione. La Cassazione ha riconosciuto che anche in caso di irregolarità formali nei documenti, il diritto alla detrazione permane se i requisiti sostanziali sono soddisfatti e l’operazione è provata .

Conclusione su autofatture: Le irregolarità legate all’autofatturazione spesso emergono in occasione di controlli incrociati (ad esempio, l’Agenzia verifica acquisti intracomunitari non dichiarati, o fornitori nazionali in reverse charge che non hanno riscontro in integrazioni da parte dei clienti). Per difendersi efficacemente, il cessionario deve poter dimostrare di aver posto rimedio spontaneamente appena rilevato l’errore (idealmente attraverso ravvedimento) oppure, se contesta la sanzione, evidenziare che nessun danno erariale è derivato dall’irregolarità (ad es. l’IVA è stata comunque versata seppur in ritardo). La cooperazione con il Fisco – mostrando le autodichiarazioni e i versamenti eseguiti – è un elemento che può favorire la riduzione delle sanzioni in sede di accertamento, specie se si invoca l’esimente dell’errore formale senza impatto sostanziale (art. 6, comma 5-bis, D.Lgs. 472/1997, che esclude punibilità per violazioni che non ostacolano i controlli né incidono sulla base imponibile o sul pagamento del tributo) .

Controlli automatizzati, scarti del SdI e prime contestazioni

L’introduzione della fattura elettronica ha reso possibile una serie di controlli automatizzati sia in fase di emissione sia successivamente, che possono portare a contestazioni preventive (scarto della fattura) o successive (comunicazioni di irregolarità). È importante conoscere questi meccanismi per agire tempestivamente:

1. Scarto della fattura elettronica da parte del SdI – Il Sistema di Interscambio effettua, al momento della ricezione di ogni fattura elettronica, una serie di verifiche formali sul file XML (integrità, conformità al formato, coerenza dei dati obbligatori, partita IVA esistente, ecc.). Se il file non supera tali controlli, viene scartato e considerato non emesso. Il mittente riceve una “notifica di scarto” con indicazione dell’errore da correggere. Cosa succede in questi casi? Di fatto, una fattura scartata equivale a una fattura mai emessa, pertanto l’operazione risulta temporaneamente priva di documentazione fiscale. La normativa richiede all’emittente di procedere a un nuovo invio corretto entro i termini di legge di emissione (12 giorni per fatture immediate, 15 del mese successivo per differite, ecc. come da art. 21 DPR 633/72) . L’Agenzia delle Entrate ha tuttavia fornito una indicazione operativa importante: per evitare sanzioni, è consigliabile riemettere la fattura corretta entro 5 giorni dalla notifica di scarto . Questo termine di 5 giorni non è fissato per legge, ma è stato comunicato dall’Agenzia nel 2018 in un forum con il Sole 24 Ore, come tolleranza tecnica ritenuta ragionevole . In pratica, se il fornitore corregge l’errore e trasmette nuovamente la fattura entro 5 giorni dal primo invio scartato, la violazione viene considerata come mero ritardo non sanzionabile, perché non incide sul periodo di liquidazione IVA e non ostacola i controlli (si applica l’esimente dell’errore “minimo” di cui sopra) . Diversamente, se la riemissione avviene oltre i 5 giorni e comunque oltre il termine di legge per quello specifico tipo di fattura, la fattura sarà considerata tardiva. In tal caso si configura la violazione di omessa/tardiva fatturazione, con sanzione dal 90% al 180% dell’IVA (minimo 500 €) ai sensi dell’art. 6, c.1, D.Lgs. 471/97. Tuttavia, anche in tali ipotesi, se la fattura è emessa prima che la tardività impatti la liquidazione periodica (ad esempio, fattura di fine mese scartata e re-inviata pochi giorni dopo ma sempre entro la liquidazione di competenza) si potrebbe sostenere la non punibilità per assenza di danno e pregiudizio ai controlli .

Come difendersi: Se l’Agenzia contesta l’emissione tardiva di una fattura scartata, il cedente può esibire la documentazione della notifica di scarto e della successiva trasmissione avvenuta entro 5 giorni, invocando la circolare AE 13/E del 2018 che ammetteva un lieve ritardo senza sanzioni . È utile conservare tutte le notifiche SdI per comprovare tempistiche e buon esito finale. In sede di contraddittorio si potrà argomentare che l’irregolarità è stata sanata prontamente e che non vi è stata evasione d’imposta (la fattura è stata comunque emessa nel corretto periodo IVA). Qualora il nuovo invio sia avvenuto oltre i 5 giorni, conviene utilizzare il ravvedimento operoso per ridurre la sanzione di tardiva fatturazione: ad esempio, inviando la fattura con qualche settimana di ritardo ma prima che l’Agenzia contesti, si può versare spontaneamente la sanzione ridotta (1/8 del minimo, o 1/7 se dopo 90 gg) beneficiando della diminuzione delle pene pecuniarie.

Va ricordato inoltre che il cliente che non riceve la fattura perché scartata dal SdI (e magari il fornitore non se ne avvede subito) può trovarsi senza documento. Dopo il decorso di 4 mesi dall’operazione, se il fornitore non ha ancora regolarizzato, il cliente dovrà attivarsi con la procedura vista (TD29) per non incorrere a sua volta in sanzione . Dunque, è interesse di entrambi le parti monitorare gli esiti del SdI: il fornitore per reinviare subito la fattura, il cliente per sollecitare o, in estrema ratio, segnalare l’omissione passati i termini.

2. Controlli incrociati e lettere di compliance – Il sistema della fatturazione elettronica ha trasformato il SdI in un enorme database di tutte le operazioni IVA tra soggetti residenti. L’Agenzia delle Entrate sfrutta questi dati per effettuare controlli incrociati automatizzati tra le fatture e le dichiarazioni dei contribuenti. Ad esempio, può verificare se un contribuente ha detratto IVA su fatture che il fornitore non ha emesso o non ha annotato; oppure se ha omesso di dichiarare ricavi risultanti dalle fatture elettroniche emesse. Queste verifiche possono originare le cosiddette “comunicazioni di irregolarità” (anche note come avvisi bonari o lettere di compliance). Si tratta di comunicazioni inviate dall’ufficio in via automatica (ai sensi dell’art. 54-bis DPR 633/72 per l’IVA, e art. 36-bis DPR 600/73 per le imposte dirette) quando emergono incongruenze tra i dati delle fatture e quanto riportato nelle liquidazioni periodiche IVA (LIPE) o nella dichiarazione annuale IVA. Ad esempio, se dalle e-fatture attive di un soggetto risulta un volume d’affari superiore a quello dichiarato, oppure dalle e-fatture passive risulta IVA detratta maggiore di quella che emerge dalle liquidazioni presentate, scatta un alert.

In questi casi, l’Agenzia invia al contribuente una comunicazione con il dettaglio delle anomalie riscontrate e chiede di fornire chiarimenti o di regolarizzare la posizione. Come difendersi? Innanzitutto, queste comunicazioni non sono provvedimenti sanzionatori, ma inviti a verificare. Se l’anomalia segnalata è effettivamente un errore del contribuente (ad esempio, dimenticanza di registrare una fattura, o errore di trascrizione nella dichiarazione), è possibile rimediare versando la maggiore imposta dovuta con sanzione ridotta al 20% (in luogo del 30%) entro 30 giorni . Ciò costituisce adesione all’avviso bonario e consente di chiudere la pendenza senza ulteriori sanzioni (oltre alla riduzione già prevista). Se invece il contribuente ritiene che la contestazione sia infondata (ad esempio, l’Agenzia segnala una fattura mancante ma in realtà questa era stata emessa e c’è stata una errata associazione nei database, oppure la detrazione contestata era legittima), può segnalare all’ufficio le proprie controdeduzioni. Nella comunicazione di irregolarità sono indicati i modi e i tempi per fornire chiarimenti (tipicamente 30 giorni). Si possono inviare memorie spiegando l’errore (ad esempio allegando documenti che provino l’avvenuta emissione della fattura) o evidenziando eventuali duplicazioni di conteggi.

Solo se la posizione non viene definita in questa fase, l’Agenzia potrà procedere con un formale avviso di accertamento. Dunque è altamente consigliabile cogliere l’occasione della fase bonaria per sistemare o chiarire la posizione. Dal punto di vista difensivo, ogni volta che si riceve una lettera di compliance è utile: riesaminare i propri registri e dichiarazioni per capire l’origine della divergenza; se c’è un errore, affrettarsi a regolarizzarlo (magari con ravvedimento se la lettera non offre già la sanzione ridotta); se non c’è errore, preparare una risposta puntuale con eventuali prove documentali. Questa cooperazione preventiva spesso risolve la questione senza sfociare in un contenzioso.

3. Verifiche fiscali e avvisi di accertamento su fatture “sospette” – Al di là dei controlli automatici, l’Agenzia svolge attività di audit e verifiche mirate (tramite Guardia di Finanza o funzionari) su contribuenti considerati a rischio. In tali contesti, le fatture elettroniche vengono analizzate per individuare possibili frodi o abusi, come ad esempio fatture per operazioni inesistenti (frodi “carosello”, false fatturazioni tra imprese compiacenti) o utilizzo indebito dell’IVA (es. costi non inerenti fatti passare in detrazione). Se dalle indagini emergono elementi in tal senso, l’ufficio emetterà un Processo Verbale di Constatazione (PVC) e quindi un avviso di accertamento, contestando al contribuente le violazioni (di norma negando la detrazione IVA su quelle fatture e irrogando le sanzioni dal 90% al 180% dell’IVA, oltre al recupero dell’imposta e interessi).

I casi tipici di contestazione riguardano: operazioni oggettivamente inesistenti (la fattura documenta una cessione mai avvenuta in assoluto), operazioni soggettivamente inesistenti (il bene/servizio c’è stato ma il fornitore indicato in fattura è un mero cartiere, diverso dal reale esecutore, di solito per frode IVA), oppure difetto di inerenza (acquisti che secondo il Fisco non sono legati all’attività e quindi l’IVA non è detraibile). Esaminiamo come difendersi in ciascuno di questi scenari, sulla base della giurisprudenza:

  • Errori formali nella fattura (fattura “irregolare” ma operazione reale): se l’Agenzia contesta la validità della fattura solo per motivi formali (ad es. descrizione troppo generica, dati incompleti), il contribuente può far valere il principio di sostanza sulla forma. La Corte di Cassazione ha affermato più volte, in linea col diritto UE, che il diritto alla detrazione IVA non può essere negato per mere irregolarità formali, quando l’operazione è reale e sono soddisfatti i requisiti sostanziali . Ad esempio, con l’ordinanza n. 32369 del 3/11/2022, la Cassazione ha stabilito che una fattura con descrizione generica non fa presumere indetraibilità se il contribuente è in grado di integrare quelle informazioni con documentazione complementare che provi l’effettività dell’operazione . In quel caso, un contribuente aveva ricevuto fatture recanti solo la dicitura “prestazioni per vostro conto” (molto generica): l’Agenzia voleva negare sia il costo che la detrazione IVA, ma il contribuente ha esibito contratti e registri operativi che dettaglivano le prestazioni eseguite. La Cassazione ha dato ragione al contribuente, sottolineando che l’amministrazione, nel valutare il diritto a detrazione, “deve considerare anche le eventuali altre informazioni fornite” dall’imprenditore, come documenti, messaggi, contratti, in grado di completare le indicazioni in fattura . Dunque, in presenza di errori formali:
  • assicurarsi di conservare documenti integrativi (contratti, DDT, rapportini, email) che possano colmare le lacune della fattura;
  • se contestati, produrli subito in sede difensiva per dimostrare la realtà e l’inerenza dell’operazione;
  • richiamare la giurisprudenza di legittimità e della Corte di Giustizia UE che tutela il diritto a detrazione in caso di buona fede e sostanza economica reale dell’operazione, invitando l’ufficio a soprassedere dalla sanzione o dall’indebito recupero dell’imposta.
  • Operazioni oggettivamente inesistenti: se il Fisco sostiene che talune fatture siano false perché le operazioni non sono mai avvenute (es. fatture di acquisto per beni/servizi mai ricevuti realmente), la difesa è estremamente difficile. La Cassazione esclude in questi casi la possibilità per il contribuente di invocare la buona fede – poiché “sa se ha effettivamente ricevuto o meno il bene/servizio” – e una volta provata l’inesistenza dell’operazione, la detrazione va negata in ogni caso . In tali situazioni, l’unica strada per il contribuente è cercare di smontare la premessa fattuale dell’ufficio, ossia provare che invece l’operazione c’è stata. Ciò richiede di portare evidenze tangibili: consegne di beni (DDT, trasporti), foto, testimonianze (oggi ammesse anche dichiarazioni giurate nel processo tributario), documenti che dimostrino la prestazione. Se però l’operazione era fittizia e l’azienda ha partecipato consapevolmente alla creazione di costi fittizi, difficilmente potrà evitare le conseguenze (oltre alle sanzioni amministrative massime, anche quelle penali: emettere o utilizzare fatture per operazioni inesistenti è reato ai sensi degli artt. 2 e 8 D.Lgs. 74/2000, punito con la reclusione). In questo contesto, più che una “difesa” nel merito, spesso si punta a negoziare una definizione (ad es. un’accertamento con adesione limitando i danni sul piano amministrativo) e, in sede penale, eventualmente patteggiare o dimostrare attenuanti.
  • Operazioni soggettivamente inesistenti (frode carosello): scenario diverso è quello delle frodi IVA in cui il bene/servizio è stato effettivamente acquistato dal contribuente, ma il fornitore indicato in fattura è un soggetto fittizio o interposto (spesso una società “cartiera” che non versa l’IVA). In tali casi, l’Agenzia contesta al cessionario di aver partecipato (consapevolmente o meno) a una frode e tende a negare la detrazione se ritiene che il cessionario sapesse o avrebbe dovuto sapere dell’intento fraudolento. La giurisprudenza, a partire dalla Corte di Giustizia UE (principio Kittel), ha affermato che il diritto a detrazione può essere negato solo se si prova che il cessionario era consapevole o negligente grave riguardo alla frode. La Cassazione ha recepito questo principio, distinguendo queste ipotesi da quelle oggettive: la buona fede del contribuente conta e va valutata in concreto . Negli ultimi anni la Suprema Corte ha emesso numerose pronunce (incluse Sezioni Unite nel 2018) stabilendo che in caso di operazioni soggettivamente inesistenti il contribuente ha diritto alla detrazione se ignaro in buona fede, mentre se era consapevole o gravemente negligente la detrazione va esclusa.

Difesa in pratica: Il contribuente deve mostrare di aver adottato tutte le misure diligenti per verificare l’affidabilità del fornitore e la realtà dell’operazione, nei limiti di quanto ragionevolmente esigibile da un operatore economico. Ad esempio: controlli sul fornitore (esistenza, iscrizione al Registro imprese, DURC, regolarità fiscale se disponibile), modalità di pagamento tracciabili, presenza di contratti e ordini, rispondenza tra attività del fornitore e beni ceduti, etc. La Cassazione con l’ordinanza n. 14102 del 21/05/2024 ha ribadito che non si possono pretendere indagini approfondite paragonabili a quelle dell’autorità inquirente, ma il cessionario deve attivarsi secondo un principio di ordinaria diligenza . Nella stessa pronuncia, la Corte ha dato ragione a un contribuente che aveva acquistato da una società risultata poi irregolare: poiché quest’ultima era formalmente attiva, iscritta al registro, e nulla di anomalo era riscontrabile senza poteri investigativi, il cessionario non poteva sapere della frode e dunque la detrazione gli andava riconosciuta .

Quindi, in caso di contestazione per “frode carosello”, la difesa consiste nel produrre tutte le prove della bontà commerciale dell’operazione (merci ricevute, usate o rivendute; pagamenti effettuati a valori di mercato; contatti con il fornitore genuini) e della propria buona fede (verifiche ragionevoli svolte ex ante, assenza di indizi di allarme). Inoltre, sottolineare se l’ufficio non ha fornito prove concrete di collusione ma solo sospetti basati su elementi come margini troppo bassi o legami indiretti. La Cassazione n. 9851/2018 e seguenti affermano che l’Amministrazione deve anzitutto provare gli elementi oggettivi della frode e indizi di consapevolezza, dopodiché spetta al contribuente dimostrare di aver fatto il possibile per evitarla .

Recentemente, con l’ordinanza n. 9919/2025, la Cassazione ha esteso l’analisi alla situazione in cui il fornitore evade l’IVA (non la versa) pur senza organizzare una frode strutturata. In tale pronuncia (che ha suscitato qualche dibattito) la Corte ha affermato che anche in assenza di una vera frode, è sufficiente a negare la detrazione la prova che il cessionario fosse a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo dell’evasione commessa dal cedente . Si tratta di una linea rigorosa: secondo i giudici, se vi erano stretti rapporti personali o societari tra le parti, o altre circostanze che indicavano la consapevolezza del cliente riguardo al comportamento fiscale scorretto del fornitore, la detrazione può essere disconosciuta . Ciò impone ai contribuenti un dovere di attenzione ancora maggiore nella scelta dei partner commerciali. Per difendersi da simili contestazioni, oltre ai criteri di buona fede già menzionati, sarà utile evidenziare l’assenza di segnali di allarme e, se del caso, far presente che un fornitore inadempiente non può automaticamente tradursi in una colpa del cliente, specie in mancanza di evidenze che lo collegano alla gestione fiscale altrui. È auspicabile che questo orientamento non porti a negazioni “facili” del diritto a detrazione in situazioni dove il cliente non aveva strumenti per sapere dell’altrui evasione . Ad ogni modo, è prudente per le aziende dotarsi di procedure di verifica dei fornitori (controllo partita IVA attiva, reputazione, ecc.) e documentare tali verifiche, così da poterle esibire se necessario.

  • Inerenza e altre contestazioni qualitative: Un’ulteriore categoria di contestazioni riguarda l’inerenza della spesa all’attività d’impresa. Se il Fisco ritiene che un acquisto non avesse attinenza con l’attività (esempio classico: acquisto di beni ad uso personale del titolare fatti passare tra i costi aziendali), allora la relativa IVA non è detraibile per mancanza del requisito soggettivo di inerenza. Qui la difesa è produrre elementi che colleghino il bene/servizio all’attività (es. dimostrarne l’impiego nei processi aziendali, l’utilità economica). La Cassazione ha statuito che l’onere della prova dell’inerenza è a carico del contribuente , e che l’inerenza ha natura qualitativa (non quantitativa): anche un costo elevato può essere inerente se funzionale, mentre costi anomali vanno giustificati dettagliatamente . Dunque, carte alla mano, bisogna spiegare perché quella spesa aveva un nesso con i ricavi o l’attività produttiva. Una spesa apparentemente estranea, se debitamente provata come strategica o pubblicitaria, può essere difesa. Viceversa, se emergono usi personali o extracommerciali, meglio valutare un’adesione parziale all’accertamento per ridurre sanzioni, poiché in giudizio sarebbe arduo vincere.

Nota sulla doppia imposizione e duplicazione dell’IVA: quando il Fisco disconosce la detrazione su una fattura ritenuta falsa o irregolare, spesso si crea il fenomeno per cui l’IVA viene incassata due volte dall’Erario: una volta dal cedente (se era una fattura per operazione inesistente, il cedente viene comunque obbligato a versare quell’IVA in fattura in base all’art. 21, c.7 DPR 633/72), e una seconda volta viene negata la detrazione al cessionario, che quindi finisce per pagarla anch’egli. Ci si potrebbe chiedere se ciò violi il principio di neutralità o il divieto di doppia imposizione. La Corte Costituzionale tempo fa fu investita della questione, ma ha ritenuto legittima la norma perché finalizzata a contrastare le frodi; la Cassazione, dal canto suo, ha confermato che in tali casi “l’IVA indicata in fattura fuori conto è qualcosa di avulso dal meccanismo ordinario” e può legittimamente essere richiesta a entrambi i soggetti . In sostanza, si preferisce penalizzare severamente le operazioni inesistenti pur con effetti di apparente duplicazione, pur di tutelare l’Erario. Dunque, questo argomento di difesa (eccepire la duplicazione del prelievo) non è accolto dai giudici, se non in casi particolarissimi. Molto meglio puntare su altre strategie (buona fede, assenza di frode, ecc.) come visto sopra.

Strumenti deflattivi: autotutela, mediazione tributaria e altre opzioni

Quando si riceve una contestazione formale (ad es. un avviso di accertamento che recupera IVA su fatture irregolari), il contribuente ha davanti a sé varie possibilità per risolvere la controversia senza arrivare a una sentenza definitiva. Gli strumenti deflattivi del contenzioso sono procedure che consentono di annullare o ridurre le pretese fiscali in via amministrativa o di trovare un accordo col Fisco, spesso con beneficio di sanzioni ridotte. Di seguito riepiloghiamo i principali strumenti e come sfruttarli dal punto di vista del debitore:

  • Autotutela tributaria: è il potere riconosciuto all’Amministrazione finanziaria di annullare o rettificare d’ufficio i propri atti quando emergano errori evidenti o illegittimità. Può avvenire su iniziativa dell’ufficio stesso oppure su semplice istanza del contribuente (istanza di autotutela). In materia di fatture irregolari, l’autotutela può essere efficace se, ad esempio, l’avviso di accertamento contiene un errore di fatto (fattura contestata per importo sbagliato, scambio di persona, doppia imposizione per stessa fattura) oppure se sopraggiungono elementi nuovi che l’ufficio non aveva considerato (ad esempio, il contribuente dimostra documentalmente che l’operazione era reale e l’ufficio non ne era a conoscenza). L’autotutela non sospende di per sé i termini per fare ricorso – quindi va eventualmente presentata in parallelo al ricorso per non decadere – ed è discrezionale: l’ufficio non è obbligato a annullare l’atto, salvo in casi particolari previsti dalla legge (ad esempio, recentemente sono stati introdotti obblighi di autotutela in presenza di provvedimenti palesemente nulli o doppioni). Nella pratica, conviene usare l’autotutela per far correggere situazioni macroscopiche: se la contestazione è fondata su interpretazioni controverse o valutazioni (non semplici errori), difficilmente l’ufficio la accoglierà. Ad ogni modo, presentare un’istanza ben motivata non pregiudica i successivi passi ed è un tentativo a basso costo che può talora risolvere in poche settimane un problema altrimenti destinato al tribunale. (Riferimento: Definizione di autotutela )
  • Accettazione dell’accertamento (acquiescenza): se il contribuente riconosce la fondatezza della contestazione (o vuole comunque evitare il contenzioso) può optare per l’acquiescenza. Consiste nel non impugnare l’avviso e pagare quanto richiesto, beneficiando di una significativa riduzione delle sanzioni. In genere, l’acquiescenza comporta il pagamento delle sole imposte più interessi con sanzioni ridotte a 1/3 del minimo previsto . Se l’avviso non era preceduto da un contraddittorio obbligatorio, c’è un ulteriore abbattimento a 1/6. Il pagamento (o la prima rata) va effettuato entro il termine per ricorrere (60 giorni). Questa opzione è indicata quando: la pretesa è corretta oppure difficilmente contestabile; il contribuente preferisce chiudere subito la questione; magari l’importo delle sanzioni ridotte è sostenibile. Bisogna però valutare che l’acquiescenza preclude ogni successiva contestazione: è una resa totale, seppur agevolata.
  • Accertamento con adesione: è la procedura di definizione concordata dell’accertamento. Consente, su istanza del contribuente (o invito dell’ufficio), di sedersi attorno a un tavolo con l’Agenzia prima del ricorso per discutere il merito delle contestazioni. Nel caso di fatture irregolari, con l’adesione si può cercare un compromesso: ad esempio, riconoscere parte delle irregolarità e contestarne altre, ottenere un ricalcolo dell’imposta evasa più aderente alla realtà, oppure concordare l’applicazione della sanzione minima ed edulcorata da circostanze attenuanti. Se si raggiunge un accordo, si redige un atto di adesione in cui il contribuente accetta di pagare quanto concordato; le sanzioni sono ridotte a 1/3 del minimo . Il vantaggio è anche poter rateizzare il dovuto. Se la trattativa fallisce, il contribuente può comunque proporre ricorso (i termini sono sospesi durante la procedura). L’adesione è utile quando la controversia è complessa o opinabile: spesso consente di strappare un esito migliore di quello incerto di un giudizio, evitando al contempo i costi e i tempi del processo. Ad esempio, su una contestazione di IVA indetraibile per 100.000 €, con adesione si potrebbe accordarsi per ridurre imponibile o IVA a 70.000 e sanzione al minimo 90% ridotta a 1/3 (quindi 30%), chiudendo con notevole risparmio rispetto al rischio di perdere in giudizio (sanzione piena 90%).
  • Reclamo e mediazione tributaria: per le liti di valore non superiore a 50.000 euro (valore calcolato al netto di sanzioni e interessi), il contribuente che intende impugnare l’avviso di accertamento deve prima presentare un reclamo-mediazione. Si tratta di un particolare ricorso introduttivo (da presentare entro 60 giorni come un normale ricorso) in cui, oltre a esporre le ragioni, si può formulare una proposta di mediazione all’ufficio . L’Agenzia delle Entrate, tramite la propria Commissione di mediazione, esaminerà il caso e potrà accogliere, rifiutare o avanzare una controproposta transattiva. Se entro 90 giorni non si raggiunge un accordo, il reclamo produce gli effetti del ricorso e la causa prosegue in Commissione Tributaria (ora “Corte di Giustizia Tributaria”) . Se invece c’è accordo, si formalizza una mediazione con pagamento dovuto e sanzioni ridotte al 35% del minimo . La mediazione è obbligatoria sotto soglia, ma è anche un’opportunità: consente di ottenere magari una riduzione dell’imposta o delle sanzioni senza attendere il giudice. Per esempio, in materia di fatture, l’ufficio potrebbe accettare in mediazione di riconoscere la detrazione su alcune fatture se il contribuente rinuncia su altre, con compromesso sull’importo finale. È fondamentale presentare insieme al reclamo un’istanza motivata, evidenziando punti deboli dell’accertamento e prospettando una soluzione equa. Questo strumento è utile soprattutto quando la pretesa dell’ufficio non è chiaramente infondata ma nemmeno solidissima, cosicché entrambe le parti hanno convenienza a evitare il giudizio.
  • Conciliazione giudiziale: Se si arriva in giudizio, esiste comunque la possibilità di chiudere la lite con una conciliazione, sia in primo grado sia in appello (con modalità diverse). Le parti, davanti al giudice, possono accordarsi su un importo transattivo; le sanzioni in conciliazione sono ridotte al 40% del minimo (in primo grado) o 50% in appello. La conciliazione può essere totale o parziale. Ad esempio, durante il processo su fatture irregolari, si potrebbe trovare un accordo riconoscendo la detrazione di metà delle fatture contestate e pagando sull’altra metà, con sanzioni ridotte al 40%. La conciliazione va formalizzata con un verbale omologato dal giudice. È indicata quando emergono elementi nuovi nel processo che rendono opportuno chiudere prima della sentenza (che potrebbe essere incerta), oppure quando magari in appello si vuole evitare il costo di un ricorso per Cassazione.

Oltre a questi, vi sono strumenti speciali come la definizione agevolata delle liti pendenti (se prevista da norme occasionali, es. “pace fiscale”), che permette a volte di chiudere cause in corso pagando percentuali ridotte dell’imposta. Nel 2023-2024, ad esempio, è stata offerta la definizione al 15% o 20% per le liti in Cassazione pendenti al 1/1/23, e al 5% per quelle vinte in primo grado . Si tratta però di misure straordinarie.

Quale strumento scegliere? Dipende dal caso concreto. In generale: se l’atto presenta errori palesi -> tentare subito l’autotutela; se l’importo è modesto e si ha margine per trattare -> reclamo/mediazione; se l’importo è elevato ma si vuole evitare il rischio processuale -> adesione; se si è convinti di avere ragione piena e non si vuole concedere nulla -> ricorso, sapendo però che in caso di esito incerto si potrà sempre conciliare più avanti. La tempestività è cruciale: tutti questi istituti hanno termini stretti (60 giorni per ricorso/adesione, ecc.). Inoltre, vanno calcolate le convenienze economiche: a volte accettare una piccola rinuncia di imposta con sanzioni ridotte è preferibile al costo di un lungo contenzioso con incertezza sull’esito.

Esempio pratico: riprendendo il caso di Mario dell’introduzione, supponiamo che l’Agenzia delle Entrate, dopo gli elementi prodotti, mantenga l’avviso contestando 20.000 € di IVA detratta su fatture ritenute soggettivamente inesistenti (fornitore “cartiera”). Mario potrebbe valutare una mediazione se il valore rientra nei 50.000 €: ad esempio, proponendo di pagare 10.000 € rinunciando a metà detrazione, con sanzione al 35%, chiudendo il tutto. Se l’ufficio rifiuta perché convinto di avere prove solide, Mario può procedere in giudizio, ma tenere aperta la porta di una conciliazione in corso di causa (ad esempio, se emergono dubbi sulla consapevolezza, l’ufficio potrebbe accettare in corso di giudizio di ridurre la pretesa). Qualora invece Mario fosse certo di poter dimostrare la propria totale buona fede, potrebbe optare di andare direttamente in Corte di Giustizia Tributaria chiedendo l’annullamento integrale dell’atto. In tale sede, come vedremo nelle FAQ, sarà importante sottolineare tutta la giurisprudenza a favore e presentare prove concrete a suo discarico.

Domande frequenti (FAQ)

Q1: Ho ricevuto una fattura elettronica che contiene errori (ad esempio l’indirizzo o il CAP sbagliato, oppure una descrizione molto generica). Rischio sanzioni o il disconoscimento della detrazione IVA?
A1: Gli errori meramente formali (come dati anagrafici inesatti, refusi, descrizioni poco dettagliate) non comportano sanzioni significative né la perdita del diritto alla detrazione, a patto che l’operazione sottostante sia reale. La normativa prevede sanzioni fisse (di solito 250 euro) solo per omesse o incomplete indicazioni che non incidono sulla base imponibile. L’Agenzia delle Entrate raramente contesta una fattura solo per un CAP errato. Sul versante detrazione IVA, la giurisprudenza è chiara: la detrazione non può essere negata per errori formali non essenziali, se si può provare che la cessione/prestazione c’è stata davvero . È bene però farsi emettere una nota di variazione o fattura correttiva dal fornitore se ci sono dati importanti errati (p. IVA, importo, aliquota). In conclusione, corregga l’errore concordando col fornitore (se rilevante), ma non tema per la detraibilità: documenti esterni (contratti, DDT) potranno sempre integrare le informazioni .

Q2: Il Sistema di Interscambio ha scartato una mia fattura elettronica perché avevo inserito un codice destinatario sbagliato. L’ho corretta ed inviata 3 giorni dopo lo scarto. Devo considerarla tardiva?
A2: No, se ha reinviato la fattura entro 5 giorni dalla notifica di scarto, l’operazione è considerata tempestiva e non soggetta a sanzione . L’Agenzia delle Entrate ritiene che il reinvio entro tale finestra “salvi” la data originale della fattura. In pratica, la fattura re-inviata mantiene lo stesso numero e data, e viene considerata emessa regolarmente. Non dovrà quindi fare nulla, se non conservare sia la notifica di scarto che quella di avvenuta consegna della versione corretta, per sicurezza. Se invece fossero passati più di 5 giorni, allora formalmente la fattura sarebbe tardiva (oltre i termini di emissione). In tal caso, per scrupolo, avrebbe dovuto applicare il ravvedimento operoso versando una piccola sanzione. Ma nel suo scenario, avendo rispettato i 5 giorni, può stare tranquillo .

Q3: Cosa devo fare se il mio fornitore non mi invia affatto la fattura elettronica per un acquisto che ho effettuato?
A3: La legge impone al cliente di attivarsi per regolarizzare. In particolare, se sono trascorsi 4 mesi dalla data dell’operazione senza ricevere la fattura, Lei ha 30 giorni (secondo le vecchie regole fino ad agosto 2024) per emettere un’autofattura di denuncia dell’omissione . Questa autofattura (tipo documento TD20 fino a quando era previsto, ora TD29 dopo la riforma) va trasmessa al SdI per segnalare l’omissione e deve contenere l’IVA dovuta sull’operazione. Dal 2024, la procedura è diventata ancora più semplice: invece di un’autofattura con pagamento immediato, deve inviare una comunicazione TD29 entro 90 giorni dal termine in cui il fornitore avrebbe dovuto emettere la fattura . Ad esempio, se l’operazione è di marzo 2025 e la fattura andava emessa entro 15 aprile (fattura differita), il termine per la sua comunicazione è 90 giorni da metà aprile, quindi circa metà luglio 2025. In questo modo eviterà sanzioni a suo carico. Importante: se il fornitore emette poi la fattura in ritardo, potrebbe crearsi un doppione – ma l’Agenzia dovrebbe tener conto che lei aveva segnalato l’omissione. In ogni caso, meglio sollecitare il fornitore prima di procedere alla comunicazione/autofattura, perché spesso il problema si risolve con un sollecito bonario.

Q4: Ho ricevuto una “comunicazione di irregolarità” dall’Agenzia delle Entrate che mi contesta una differenza tra l’IVA a credito che ho portato in detrazione e i dati delle fatture elettroniche. Come devo comportarmi?
A4: Le comunicazioni di irregolarità (o avvisi bonari) segnalano presunte discrepanze emerse dai controlli automatici. La prima cosa da fare è verificare se effettivamente esiste l’errore segnalato. Ad esempio, può darsi che Lei abbia incluso un credito IVA di una fattura ricevuta a cavallo d’anno che però, secondo l’Agenzia, andava detratta nell’anno successivo; oppure potrebbe aver registrato due volte una fattura, ecc. Se individua l’errore, può regolarizzarlo pagando quanto dovuto con la sanzione ridotta al 20% (invece del 30%) entro 30 giorni . Troverà nella comunicazione i conteggi esatti e i modelli F24 precompilati per pagare. Così la questione si chiude lì, senza ulteriori conseguenze (né iscrizione a ruolo). Se invece Lei ritiene che la comunicazione sia sbagliata (ad esempio, ha documenti che provano come la detrazione sia corretta), può inviare una risposta scritta all’Agenzia (spesso via PEC o tramite il cassetto fiscale) spiegando le sue ragioni e allegando la prova. Faccia tutto entro 30 giorni. L’ufficio riesaminerà e, se concorda, annullerà l’anomalia. In mancanza di riscontro o di pagamento, dopo 30 giorni la comunicazione diventa un vero e proprio accertamento esecutivo. Dunque, non ignori l’avviso bonario: è un’opportunità per sistemare a costi ridotti o far correggere un abbaglio del sistema.

Q5: L’Agenzia delle Entrate mi ha notificato un avviso di accertamento in cui contesta che alcune fatture che ho utilizzato sono false (operazioni inesistenti) e mi chiede indietro l’IVA con sanzione al 90%. Io però ho davvero ricevuto quei beni/servizi. Cosa posso fare?
A5: In questo caso Lei deve impugnare l’avviso di accertamento dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria). Nel ricorso dovrà argomentare che le operazioni erano reali e che l’Agenzia non ha dimostrato il contrario o la sua partecipazione a frodi. Prepari tutta la documentazione probatoria: DDT firmati, contratti, foto dei beni, email col fornitore, evidenze di pagamento (bonifici, assegni). In sostanza, deve convincere i giudici che le fatture rispecchiano operazioni genuine. Richiami la giurisprudenza di Cassazione che abbiamo discusso: ad esempio la sentenza Cass. 32369/2022 che ha ammesso prove extrafattura per dimostrare la veridicità , e le sentenze sulla buona fede nelle frodi carosello (se il suo caso è soggettivo, citi le pronunce che dicono che la detrazione va mantenuta se l’acquirente non sapeva né poteva sapere della frode ). Può anche valutare, parallelamente, di avviare un dialogo con l’ufficio (adesione) se pensa di poter trovare un accordo (es. pagare una parte delle imposte e chiudere). Ma se è sicuro delle sue ragioni e ha prove solide, andare in giudizio è appropriato. Verifichi inoltre eventuali vizi formali dell’atto (motivazione inadeguata, notifica errata) con il supporto di un legale, perché potrebbero fornire ulteriori appigli (da far valere però con cautela, perché spesso i giudici di merito tendono ad andare al sodo del merito). Importante: il termine per il ricorso è 60 giorni dalla notifica, non lasci scadere. Se l’importo è alto, può chiedere al giudice anche la sospensione dell’atto (entro 30 gg dal ricorso) per evitare di pagare subito.

Q6: In sede di controllo fiscale mi è stato rilevato che non avevo integrato alcune fatture in regime di reverse charge interno (avevo dimenticato di emettere il documento d’integrazione TD16). Posso ancora rimediare?
A6: Sì, può farlo tramite ravvedimento operoso. Di fatto, deve ora emettere l’autofattura/integrazione mancante (con tipo documento corretto) e procedere a registrarla, come avrebbe dovuto fare originariamente. Per il ritardo, c’è una sanzione prevista dall’art. 6 c.9-bis D.Lgs. 471/97: in genere una sanzione percentuale sull’IVA non contabilizzata. Tuttavia, ravvedendosi spontaneamente prima dell’accertamento definitivo, la sanzione è ridotta (fino a 1/5 se già c’è stato PVC, oppure 1/8 se non c’è ancora formale contestazione, a seconda dei tempi). Paghi anche l’IVA eventualmente dovuta se non l’aveva versata (nei casi di reverse charge interno normalmente è neutra, ma se c’era un debito non compensato lo versi). Presenti all’ufficio la documentazione di avvenuto ravvedimento. In molti casi, se agisce prima che venga emesso l’atto, l’ufficio potrebbe limitarsi a prendere atto del ravvedimento ed eventualmente chiudere con un semplice atto liquidatorio della sanzione ridotta. Se invece l’accertamento è già emesso, può sempre evidenziare che ha regolarizzato spontaneamente, ciò spesso porta almeno a una mitigazione delle sanzioni in sede di adesione.

Q7: Qual è la differenza tra una “fattura irregolare” e una “fattura per operazione inesistente”?
A7: Una fattura irregolare è un documento emesso per un’operazione reale, ma che non rispetta i requisiti formali o sostanziali previsti (può avere errori, omissioni di dati, o indicare un importo inferiore al reale imponibile, ecc.). In sostanza l’operazione c’è stata, ma la fattura è compilata male o non corretta. Invece, una fattura per operazione inesistente è, per definizione, relativa a un’operazione che non è mai avvenuta (o non con quei soggetti o in quelle quantità). Quindi è un documento falso dal punto di vista del contenuto economico. Le conseguenze sono diverse: la fattura irregolare può essere regolarizzata (come visto, con comunicazione/autofattura) e dà diritto a detrazione se l’operazione è vera; la fattura inesistente non può essere “sanata” perché manca la realtà sottostante – anzi genera responsabilità anche penali se usata deliberatamente. In pratica, nel primo caso la legge cerca di recuperare la corretta imposta (facendola versare al cliente se il fornitore ha sbagliato) e salva il diritto a detrazione dopo regolarizzazione; nel secondo caso, la legge punisce la falsità recuperando l’IVA indebitamente detratta e infliggendo sanzioni severe (90-180% IVA) e perseguendo eventualmente il reato.

Q8: Se la fattura è stata emessa in ritardo (oltre i termini dei 12 giorni o del mese successivo), l’IVA è comunque detraibile dal cessionario?
A8: Sì, il cessionario può detrarre l’IVA, purché la fattura (anche tardiva) sia stata ricevuta prima della liquidazione periodica in cui la vuole detrarre e comunque entro i limiti di legge (oggi il diritto va esercitato al più tardi con la dichiarazione annuale relativa al secondo anno successivo) . Una fattura tardiva è valida ai fini IVA – genera semmai una sanzione in capo al cedente per emissione ritardata. Se lei, da acquirente, la riceve in ritardo ma prima di presentare la dichiarazione annuale dell’anno successivo, può ancora detrarla in dichiarazione integrativa (entro il 30 aprile del secondo anno). Ad esempio: fattura di novembre 2024 emessa tardivamente a febbraio 2025 – lei non l’aveva nella liquidazione di dicembre ’24, ma può inserirla nell’IVA annuale 2024 o al più tardi entro il 2025. Se i termini sono trascorsi (fattura tardiva ricevuta dopo due anni), purtroppo il diritto a detrazione è perso secondo la normativa italiana; potrebbe chiedere a rimborso l’IVA extratempo, ma è controverso. In ogni caso, la tardività non incide sul principio che se la fattura c’è e l’IVA è stata effettivamente pagata al fornitore, il cessionario dovrebbe poter recuperare la neutralità: su questo ci sono state discussioni, ma la via prudente è rispettare i termini di detrazione.

Q9: In caso di contestazione su fatture elettroniche irregolari, a chi spetta l’onere della prova?
A9: Dipende dal tipo di contestazione. Se l’ufficio contesta l’inesistenza dell’operazione (fattura falsa), in genere ha l’onere iniziale di fornire elementi presuntivi gravi e concordanti che l’operazione non è avvenuta (es. fornitore inesistente, mancanza di mezzi, ecc.). Una volta forniti questi indizi, l’onere si sposta sul contribuente che deve provare la realtà dell’operazione . Se la contestazione è su inerenza, spetta al contribuente provare che la spesa è inerente alla sua attività . Se è un tema di buona fede in frode carosello, inizialmente l’ufficio deve provare la frode e dare indizi di coinvolgimento, poi il contribuente deve dimostrare di aver fatto quanto ragionevole per evitarla . Per errori formali, se l’ufficio nega la detrazione, il contribuente può vincere la causa semplicemente dimostrando (anche con documenti ulteriori) che i requisiti sostanziali ci sono. Diciamo che nella prassi: l’Agenzia, quando contesta, porta la sua ricostruzione; il contribuente deve reagire attivamente producendo controprove. Rimanere passivi confidando che l’ufficio non abbia prove “oltre ogni dubbio” può essere rischioso in sede tributaria, dove spesso si decide sul bilanciamento delle evidenze. Quindi in ogni caso, presentare quanta più prova a discarico possibile è la strategia migliore.

Q10: Cosa rischio sul piano penale se utilizzo o emetto fatture elettroniche false?
A10: L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per evadere l’IVA integra il reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false), punito con la reclusione da 4 anni fino a 8 anni (limiti aumentati dalla riforma del 2015). L’emissione di fatture false è parimenti reato (art. 8 D.Lgs. 74/2000) con le stesse pene. Non ci sono soglie di punibilità per questi reati (anche importi modesti configurano il reato) . Quindi, a prescindere dall’importo, se si accerta che un soggetto ha contabilizzato fatture inesistenti al fine di evadere, l’Agenzia segnala la notizia di reato alla Procura. L’unica esimente è se l’imposta evasa è inferiore a 50.000 € e si opta per il ravvedimento operoso speciale penale (pagando integralmente imposte e interessi prima del dibattimento, ma questo è un tema complesso e in evoluzione normativa). In sintesi: il rischio penale è molto serio. Se Lei si è trovato invischiato in una contestazione del genere ma ritiene di non aver avuto dolo (es. è stato tratto in inganno da fornitori fraudolenti), è fondamentale evidenziarlo da subito anche in sede penale, eventualmente cooperando con gli inquirenti per individuare i reali responsabili. Nel giudizio tributario, la buona fede può salvarLe l’IVA, ma non azzera il procedimento penale, a meno che riesca a dimostrare di non aver avuto intenzione di evadere (cosa tutt’altro che facile se si è inserita in dichiarazione IVA relativa a fatture poi risultate false). In conclusione: evitare assolutamente, con controlli e diligenza, di entrare in circuiti di false fatturazioni, perché le conseguenze vanno ben oltre una sanzione amministrativa.

Conclusioni

Difendersi da contestazioni su fatture elettroniche irregolari richiede un mix di conoscenza tecnica della normativa IVA, prontezza nel porre rimedio agli errori e strategia legale nell’opporsi a eventuali addebiti ingiusti. Abbiamo visto che l’ordinamento mette a disposizione sia procedure di correzione preventiva (comunicazioni, ravvedimenti) sia strumenti di definizione agevolata e tutela giurisdizionale. Il denominatore comune di una difesa efficace è la prova documentale: mantenere ordinata la contabilità, conservare tutta la corrispondenza e i documenti relativi alle operazioni, in modo da poter dimostrare la realtà e la buona fede delle proprie transazioni. Allo stesso tempo, è fondamentale restare aggiornati sulle evoluzioni normative – come la recente abolizione dell’autofattura di denuncia e l’introduzione del TD29 – per adempiere correttamente e non incorrere in sanzioni evitabili.

Per i professionisti (avvocati, commercialisti) che assistono i contribuenti, il consiglio è di verificare sempre, in caso di contestazioni su fatture: (i) se l’ufficio ha rispettato i termini e le forme (spesso vizi procedurali possono essere leva per l’annullamento in autotutela o in giudizio); (ii) se la contestazione è meramente formale o sostanziale, calibrando la difesa di conseguenza (nel primo caso enfatizzare la neutralità dell’IVA e l’assenza di danno erariale , nel secondo caso preparare solide prove fattuali); (iii) utilizzare gli strumenti deflattivi come occasioni per ridurre il carico sanzionatorio e trovare un accordo quando conviene al cliente.

La fatturazione elettronica ha portato a un sistema più trasparente ma anche più stringente: ogni omissione o errore lascia tracce digitali facilmente individuabili. Questo significa che l’Agenzia oggi ha più mezzi per scoprire anomalie, ma al contempo il contribuente ha la possibilità di prevenire molte contestazioni semplicemente facendo le comunicazioni giuste (ad esempio il TD29) entro i termini. “Prevenire è meglio che curare” vale dunque anche in ambito IVA: regolarizzare spontaneamente un errore costa molto meno che affrontare un accertamento dopo anni. E quando la contestazione arriva, non farsi prendere dal panico: analizzarla punto per punto, magari con l’aiuto di un consulente, e scegliere la via di difesa più adatta (che a volte può anche essere ammettere l’errore e negoziare il minimo dovuto, in un’ottica pragmatica).

In definitiva, il contribuente onesto e diligente, munito della documentazione appropriata, ha buone chance di uscire indenne dalle contestazioni su fatture irregolari, soprattutto grazie all’orientamento giurisprudenziale favorevole al mantenimento della detrazione in caso di irregolarità formali o di estraneità alle eventuali frodi . Al contrario, chi abbia utilizzato fatture false con intento evasivo troverà sempre meno scappatoie in un sistema incrociato di controlli e sanzioni inasprite. Questa guida, con i riferimenti normativi aggiornati al 2025 e le pronunce più recenti, auspica di aver fornito un supporto completo per navigare in sicurezza nel complesso (ma affrontabile) mare della difesa tributaria in materia di fatture elettroniche.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate fatture elettroniche irregolari? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate fatture elettroniche irregolari?
Vuoi sapere cosa rischi e come predisporre una difesa efficace?

👉 Prima regola: verifica se l’irregolarità riguarda solo errori formali o se l’Agenzia ritiene che le fatture siano relative a operazioni inesistenti o non documentate.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Errori nei dati obbligatori della fattura (partita IVA, codice fiscale, aliquote IVA, natura operazione);
  • Fatture duplicate o emesse in ritardo;
  • Irregolarità tecniche nella trasmissione al Sistema di Interscambio (SdI);
  • Fatture relative a operazioni inesistenti o non documentate;
  • Differenze tra fatture emesse e dichiarazioni IVA o redditi.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Sanzioni amministrative proporzionate alla gravità dell’irregolarità;
  • Indetraibilità dell’IVA per chi riceve fatture irregolari;
  • Recupero delle imposte per operazioni inesistenti;
  • Interessi di mora sulle somme accertate;
  • Possibili contestazioni penali per utilizzo di fatture false.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • L’irregolarità è un errore formale o sostanziale?
  • La fattura è stata effettivamente trasmessa e ricevuta dal SdI?
  • Esistono prove della realtà dell’operazione (contratti, pagamenti, DDT)?
  • Il cliente ha regolarmente pagato e registrato la fattura?
  • L’accertamento si basa su elementi concreti o solo su presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Copia delle fatture elettroniche contestate e ricevute SdI;
  • Contratti, ordini e documentazione commerciale;
  • Estratti conto bancari e prove di pagamento;
  • Documenti di trasporto (DDT) e corrispondenza con i clienti;
  • Registri IVA e dichiarazioni fiscali.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la realtà delle operazioni con documenti di supporto;
  • Contestare l’applicazione di sanzioni sproporzionate in caso di errori formali;
  • Evidenziare eventuali correzioni già effettuate tramite note di variazione o autofatture;
  • Richiedere l’annullamento in autotutela se la fattura era stata regolarmente emessa e ricevuta;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
  • Attivare difesa penale in caso di contestazioni per fatture false.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le fatture elettroniche contestate e la relativa documentazione;
📌 Verifica la natura delle irregolarità (formali o sostanziali);
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei procedimenti davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione sicura e conforme della fatturazione elettronica.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e normativa sulla fatturazione elettronica;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su irregolarità IVA e fatture inesistenti;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni sulle fatture elettroniche irregolari non sempre sono fondate: spesso derivano da errori tecnici o formali che non incidono sulla sostanza dell’operazione.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la regolarità delle operazioni, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare conseguenze penali.

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