Accertamento Fiscale A Consulenti Informatici: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale come consulente informatico? In questi casi, l’Agenzia delle Entrate presume che parte dei compensi percepiti per consulenze IT, sviluppo software, gestione sistemi o assistenza tecnica non sia stata dichiarata correttamente. Il settore digitale e tecnologico è particolarmente monitorato dal Fisco per l’alto volume di prestazioni rese a clienti italiani ed esteri e per i pagamenti spesso effettuati tramite piattaforme online. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni elevate e, nei casi più complessi, contestazioni penali per dichiarazione infedele. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben strutturata è possibile ridurre sensibilmente le pretese fiscali o dimostrare la correttezza della propria posizione.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i redditi di un consulente informatico
– Se i compensi dichiarati non coincidono con i contratti stipulati con i clienti
– Se vi sono incongruenze tra fatture emesse, ricevute di pagamento e movimenti bancari
– Se i pagamenti da clienti esteri non sono stati dichiarati in Italia
– Se l’Ufficio presume prestazioni “in nero” fatturate in ritardo o non registrate
– Se emergono scostamenti rispetto agli indici ISA o ai parametri medi del settore informatico

Conseguenze dell’accertamento fiscale
– Recupero a tassazione dei compensi ritenuti non dichiarati
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Possibile riqualificazione dell’attività come impresa con obblighi IVA e previdenziali più onerosi
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o frode fiscale

Come difendersi dall’accertamento
– Dimostrare la corrispondenza tra contratti, incarichi svolti e compensi dichiarati
– Produrre fatture, bonifici, ricevute di pagamento e documentazione bancaria
– Contestare ricostruzioni presuntive basate su parametri standardizzati non rappresentativi della realtà professionale
– Evidenziare errori di calcolo, vizi istruttori o carenze di motivazione nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre sanzioni e interessi applicati
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione fiscale, bancaria e contrattuale oggetto di contestazione
– Verificare la legittimità della contestazione e l’inquadramento corretto dei redditi percepiti
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere il consulente informatico davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e professionale da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione di sanzioni e interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della correttezza della contabilità e delle dichiarazioni rese
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: i consulenti informatici sono spesso sotto la lente del Fisco per i compensi provenienti dall’estero e per l’uso di piattaforme digitali di pagamento. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare conseguenze fiscali e penali pesanti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità dei professionisti IT – spiega come difendersi in caso di accertamento fiscale a carico di consulenti informatici e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

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Introduzione

Gli accertamenti fiscali rappresentano la verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria della correttezza delle dichiarazioni dei redditi e dell’IVA di aziende e professionisti, compresi i consulenti informatici. Tali verifiche possono essere effettuate con diversi metodi di accertamento – analitico, induttivo, analitico‐induttivo o sintetico (redditometrico) – a seconda delle anomalie riscontrate nella contabilità o nella capacità contributiva del contribuente. In ogni caso, l’ufficio deve notificare un avviso di accertamento motivato, dando diritto al contribuente di esercitare il proprio contraddittorio e di difendersi in sede amministrativa e contenziosa. Questo approfondimento (aggiornato a settembre 2025) esamina, dal punto di vista del contribuente, le strategie difensive contro gli accertamenti tributari più frequenti per un consulente informatico (spesso libero professionista con partita IVA), focalizzandosi su normativa e giurisprudenza recenti. Verranno considerati i vari tipi di accertamento (art. 39 e 38 del DPR 600/1973), gli obblighi istruttori dell’Amministrazione (art. 32 DPR 600/1973), gli accertamenti basati su conti esteri o fatture inesistenti, e le tutele nei vari gradi di giudizio (CTP, CTR e Cassazione). Le domande frequenti e le tabelle di sintesi aiuteranno a chiarire punti critici e soluzioni operative.

Tipologie di accertamento fiscale

I metodi di accertamento utilizzabili dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza nei confronti di un consulente informatico (persona fisica o società con partita IVA) sono essenzialmente due grandi famiglie:

  • Accertamento analitico (o extracontabile/induttivo): si basa sull’esame delle scritture contabili o delle fatture del contribuente. L’ufficio può rettificare il reddito dichiarato se riscontra discrepanze o inesattezze dirette e dimostrabili, come errori di calcolo, costi non dedotti correttamente o ricavi non dichiarati.
  • Accertamento sintetico (redditometrico): si applica quando il contribuente non è soggetto obbligato alla contabilità, o quando non vengono riscontrate evidenti anomalie contabili ma si ha sospetto di elevata capacità contributiva (ad es. elevati consumi o risparmi rispetto al reddito dichiarato). In tal caso si determina “sinteticamente” il reddito complessivo sulla base delle spese sostenute o di parametri normativi (art. 38 DPR 600/1973).

In più, esiste una forma estrema: l’accertamento induttivo puro (DPR 600/1973, art. 39, comma 2), ammesso soltanto in presenza di gravi violazioni formali (omessa tenuta delle scritture, contabilità sottratte alle verifiche, falsificazioni sistematiche) da cui derivi l’incredibilità di tutta la contabilità. In questi casi l’Agenzia può ricalcolare il reddito in base ad indizi (anche presunzioni “supersemplici” prive di gravità/precisione) senza avvalersi degli elementi contabili.

Accertamento analitico‐induttivo (art. 39, comma 1, lett. d, DPR 600/1973)

Il metodo analitico‐induttivo viene adottato quando il contribuente, pur avendo contabilità regolare, presenta dati incoerenti o incompletezze che giustificano una revisione presuntiva del reddito. In base all’art. 39, comma 1, lett. d, DPR 600/1973, l’Amministrazione può procedere alla rettifica su presunzioni semplici (cioè onere della prova ribaltato sul contribuente) quando l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza dei dati dichiarati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e da altre verifiche, nonché dal controllo delle fatture e documenti relativi all’attività. In pratica, se ad esempio le fatture passive o i contratti aziendali documentano attività non dichiarate, o se risultano incongruenze tra costi e ricavi, l’Ufficio può stimare induttivamente i ricavi reali. Sia elementi diretti (come verbali ispettivi, questionari, documenti extrafiscali) che presunzioni (semplici ma gravi, precise e concordanti) possono motivare l’avviso (Cass. n. 24627/2019; Cass. n. 13112/2020) .

In sintesi, l’accertamento analitico‐induttivo si fonda su due prerequisiti generali: (1) elementi probatori diretti (contabili, fatture, documenti) che attestano l’anomalia; (2) elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti (es. vendite a soggetti inesistenti, carenze di registrazioni tali da far dubitare della veridicità). In tal caso l’onere della prova circa la correttezza dei redditi dichiarati si sposta sul contribuente : egli dovrà dimostrare il contrario anche mediante prove induttive. Ad esempio, la Cassazione ha stabilito che in presenza di fatture apparentemente inesistenti l’amministrazione deve comunque provare che il contribuente era a conoscenza del meccanismo fraudolento ; tuttavia, se ciò avviene, il contribuente può opporsi deducendo costi verosimili anche in via presuntiva .

Accertamento induttivo “puro” (art. 39, comma 2, DPR 600/1973)

L’accertamento induttivo puro è una forma speciale riservata a ipotesi estreme, elencate tassativamente dall’art. 39, comma 2 (lett. c e d). Esso scatta quando, ad esempio, risulta che il contribuente non ha tenuto affatto le scritture contabili prescritte o le ha sottratte all’ispezione (lett. c), oppure quando le omissioni e le falsità riscontrate in contabilità sono talmente gravi, numerose e ripetute da rendere inaffidabili i registri stessi (lett. d) . In questi casi l’Agenzia può ignorare in parte o del tutto i dati contabili e ricostruire il reddito con qualsiasi presunzione semplice (anche priva di gravità/precisione) ritenuta opportuna, poiché la legge prevede esplicitamente che l’Amministrazione si avvalga di presunzioni “supersemplici” qualora le scritture siano compromesse . Ciò significa che, ad es., se un consulente informatico è risultato senza contabilità oppure con registrazioni manifestamente false, il Fisco potrà presumere astrattamente il reddito (e i relativi ricavi e IVA) anche con criteri semplificati come indici forfettari. In tali ipotesi l’onere della prova rimane sempre a carico del contribuente: egli dovrà dimostrare l’effettiva affidabilità o sufficienza dei suoi dati per annullare l’accertamento.

Accertamento sintetico o “redditometrico” (art. 38, DPR 600/1973)

L’accertamento sintetico – noto anche come “redditometro” – è un metodo di tipo forfetario che ricostruisce il reddito del contribuente sulla base delle sue spese complessive o di indici di capacità contributiva. Originariamente disciplinato dall’art. 38 del DPR 600/73, l’accertamento sintetico presuppone che, se le spese sostenute superano in misura significativa il reddito dichiarato, si può determinare un reddito presunto. Dal 2021 la normativa è stata in parte modificata: oggi l’ufficio può procedere in via redditometrica solo se (i) il reddito determinato sinteticamente eccede di almeno il 20% quello dichiarato e (ii) supera almeno 10 volte l’assegno sociale annuo (circa €70.000 per il 2024) . In pratica, per colpire evasori di rilievo, si applica solo se il reddito “ricostruito” supera abbondantemente quello dichiarato (almeno +20%) e oltrepassa una soglia minima.

A differenza dell’accertamento induttivo, l’accertamento redditometrico non sposta automaticamente l’onere probatorio sul contribuente; l’art.38 stabilisce infatti che l’Agenzia ha l’onere di provare gli elementi indiziari (spese, beni, consumi) dai quali emerge la capacità contributiva (prima prova). In altre parole, il fisco deve dimostrare il tenore di vita minimo desunto (ad es. frequenti viaggi all’estero, auto costose, ristrutturazioni) prima di creare una presunzione. Solo a quel punto si inverte la prova in capo al contribuente, che dovrà fornire documenti che giustifichino le spese con redditi non tassati o risparmi antecedenti . La Cassazione ha recentemente precisato che non basta al contribuente provare genericamente di avere avuto redditi aggiuntivi: è necessario dettagliare anche la misura e la durata di tali redditi e come sono stati utilizzati per coprire le spese indiziate . Va comunque notato che l’accertamento sintetico si applica solo alle persone fisiche (soggetti non in regime di impresa o autonomo abituale) , essendo rivolto ai consumi dei privati.

In sintesi, nei confronti di un consulente informatico l’accertamento redditometrico scatterà se l’Amministrazione ha individuato evidenze di spesa elevata o beni di lusso non compatibili con il reddito dichiarato, e tali evidenze sono spese di ogni tipo e consistenti in >20% (soglia normativa) rispetto al reddito dichiarato . In sede di difesa l’attenzione sarà concentrata sulla prova documentale contraria: il contribuente dovrà dimostrare con documenti certi l’origine lecita delle risorse spese (es. eredità, donazioni, prestiti, plusvalenze esenti, risparmi accumulati) e che tali somme non costituiscono reddito non dichiarato .

Il potere istruttorio dell’Amministrazione (art. 32, DPR 600/1973)

Prima di emettere un avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate ha a disposizione un potere istruttorio molto ampio concesso dall’art. 32 del DPR 600/1973. Tale norma consente all’Ufficio di invitare formalmente il contribuente a produrre dati, notizie, atti e documenti ritenuti utili per l’accertamento (fermo restando che le richieste devono essere motivate e richiedere informazioni pertinenti). In particolare, il comma 1 (nn. 3 e 4) autorizza richieste di esibizione di documenti anche extracontabili, oltre a questionari e interrogatori verbali. Il comma 4 di tale articolo stabilisce un effetto sanzionatorio molto importante: «le informazioni e i documenti non forniti in risposta a tali inviti non possono essere utilizzati a favore del contribuente, né in sede amministrativa né in sede contenziosa» . In pratica, se il contribuente non ottempera (senza valida giustificazione) ad un questionario o a un invito a esibire documenti bancari/fatture, quegli stessi documenti non potranno mai poi servire per difenderlo nel giudizio tributario (l’Amministrazione invece potrà basarsi sulle informazioni mancanti come indizio contro il contribuente).

La Cassazione (ordinanza 10669/2025) ha confermato l’impostazione rigorosa: per far scattare la preclusione probatoria prevista dal comma 4, è sufficiente una notifica valida dell’invito (con avviso delle conseguenze) e l’assenza di documenti; in tale caso il contribuente deve provare che il mancato adempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (onere tutto a suo carico) . In concreto, ciò rafforza il dovere di collaborazione del contribuente: se riceve un questionario o un invito dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia, deve assolutamente rispondere entro i termini per non perdere la possibilità di usare quei dati a proprio favore in caso di disaccordo. Ad esempio, il contribuente potrebbe essere indotto con avviso formale a fornire chiarimenti su movimenti bancari o fatture sospette, sapendo che il silenzio gli preclude di contestare tali elementi in futuro.

In breve: il contribuente ha l’obbligo di fornire tempestivamente e esaustivamente i dati richiesti durante la fase istruttoria. L’inerzia o l’incompletezza non giustificata può comportare una chiusura delle porte difensive relative a quei dati, con conseguente rafforzamento dell’accertamento a suo carico.

Gradi di giudizio e normativa procedurale

Se si ritiene l’avviso di accertamento ingiustificato, il contribuente (o la società) può impugnare l’atto con un ricorso tributario. In base allo Statuto del contribuente (L. 212/2000, art. 19) e al D.Lgs. 546/1992, il ricorso si introduce così:

  • Commissione Tributaria Provinciale (CTP): entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento . Occorre depositare il ricorso scritto (in bollo) e una copia del ricorso in sede di notifica all’Ufficio. È prassi includere motivi di fatto e diritto illustrati con chiarezza.
  • Commissione Tributaria Regionale (CTR): in secondo grado, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Si può appellare se si ritiene che la CTP abbia sbagliato nel valutare i fatti o nell’applicare la legge.
  • Corte di Cassazione (Sezione tributaria): ultima istanza, limitata ai motivi di diritto (violazioni di legge o vizi di motivazione). Occorre proporre ricorso per Cassazione (ordinanza) entro 6 mesi dalla sentenza d’appello (termini stabiliti dal D.P.R. 327/2001). Qui non si discutono i fatti, ma soltanto la corretta interpretazione delle norme.

La giurisdizione tributaria si distingue quindi per i vari livelli: la CTP verifica in fatti e diritto (e può ascoltare testimoni, esaminare prove, rideterminare la base imponibile e le sanzioni), la CTR fa lo stesso in appello, e la Cassazione interviene solo su questioni giuridiche (es. corretto inquadramento normativo, onere probatorio, motivazione degli accertamenti). Ad esempio, recenti pronunce di Cassazione (come l’ordinanza 16850/2024 citata sopra) hanno chiarito principi di prova nei controlli bancari ; tali principi sono vincolanti per i giudici tributari di merito.

Nota procedurale: il ricorso tributario deve essere motivato, sottoscritto e preceduto da istanza di autotutela se la legge lo prevede (non è obbligatorio per gli avvisi d’accertamento IRPEF/IVA). In certi casi è possibile l’accertamento con adesione o la definizione (stragiudiziale) delle sanzioni; sono opzioni che il contribuente valuta con un legale esperto, ma l’adesione è facoltativa e non pregiudica il diritto di impugnare se non accettata. Rileva ricordare che la presentazione del ricorso interrompe la procedura di riscossione degli importi, salva l’imposizione di fidejussioni fideiussorie richieste dal Fisco.

Avvisi su conti correnti e attività estere

Il consulente informatico che detiene conti correnti o beni all’estero deve essere particolarmente cauto. La normativa italiana prevede da tempo l’obbligo di dichiarare tali attività (cd. monitoraggio fiscale) e il Fisco scambia automaticamente molte informazioni con l’estero. In particolare:

  • Dal 1990 (L. 227/1990, art. 4-5) ogni residente italiano deve dichiarare in dichiarazione dei redditi (quadro RW del Modello Redditi PF) tutti i conti correnti, depositi, partecipazioni, trust esteri, ecc. . Anche un conto inattivo o un deposito non prodotto da redditi imponibili deve essere segnalato.
  • L’Italia aderisce agli accordi internazionali di cooperazione fiscale (OCSE Common Reporting Standard, FATCA con gli USA, ecc.), attraverso i quali banche e intermediari esteri comunicano periodicamente all’Agenzia delle Entrate i dati sui conti dei contribuenti italiani (saldo, movimenti, interessi, altri proventi) . In pratica, è ormai facile per il Fisco “scoprire” conti esteri non dichiarati .
  • Gli estratti conto (compresi quelli esteri) rilevano automaticamente come elementi presuntivi ai sensi dell’art. 32 e 33 del DPR 600/73. In particolare, l’Agenzia può richiedere (o la Guardia di Finanza può acquisire) gli estratti conto di conti correnti esteri: ogni versamento o prelievo non giustificato dal contribuente può costituire base di accertamento come “reddito occulto” (con i limiti delle soglie 1.000€/gg e 5.000€/mese, come noto) .

Per difendersi dagli avvisi basati su conti esteri, il contribuente deve quindi: (i) dimostrare di aver correttamente compilato il quadro RW (se omesso, l’Agenzia applica le sanzioni previste dal D.Lgs. 472/1997); (ii) in caso di accertamento, fornire le prove documentali che giustifichino i movimenti esteri contestati (fatture, contratti, ricevute di vendita, prove di rimpatrio d’acquisti, ecc.) ; (iii) ricordarsi che se ha già pagato imposte all’estero (ad es. ritenute estere o tasse su investimenti), avrà diritto al credito d’imposta solo se quei redditi esteri erano stati dichiarati (altrimenti si perde il credito) .

Esempi di contestazioni su estero: scambio di valute ingenti (oltre 12.500€) non dichiarate, prelievi esteri senza giustificazione, gestione di trust o società estere non comunicate, canoni di affitto/incassi su conti esteri non indicati. Ad esempio, la Cassazione ha ribadito che, anche se un conto estero è intestato formalmente a un terzo o trust, se il contribuente ne è il beneficiario effettivo deve dichiararne i redditi .

In conclusione, gli avvisi su conti esteri si fondano in genere sulle presunzioni bancarie (art. 32 e 51 DPR 600/73) . Recenti pronunce di legittimità confermano che tali presunzioni sono legali e non richiedono requisiti di gravità/precisione come le presunzioni ordinarie , e possono essere superate solo tramite prova analitica puntuale (riconciliazione completa dei conti, indicazione specifica di ogni movimento non imponibile) .

Fatture inesistenti e operazioni simulate

L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti è tra i comportamenti più gravi contestati nelle verifiche fiscali di professionisti e imprese. In tali casi, l’Amministrazione solitamente disconosce i costi dedotti e le IVA detratte corrispondenti, aggiungendo imposte e sanzioni. Dal punto di vista penale, l’uso di fatture false costituisce reato (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, art. 2 D.Lgs. 74/2000 ), ma anche nel contenzioso tributario valgono alcune garanzie difensive.

In presenza di un avviso basato su fatture ritenute inesistenti, il contribuente può argomentare che il fisco debba dimostrare l’elemento soggettivo del reato: in altre parole, non basta contestare la materialità dell’operazione, ma occorre provare che il contribuente sapeva che le fatture erano fittizie . Cassazioni recenti (Cass. 20818/2021) hanno richiamato questo principio: “se l’Amministrazione contesta l’oggettiva inesistenza della fattura, deve dimostrare la consapevolezza del meccanismo fraudolento da parte del contribuente. Non è sufficiente assumere che i fornitori siano fittizi o la contabilità non attendibile” . Questo non significa che il contribuente sia assolto, ma che deve essere lasciato all’Ufficio l’onere di provare il dolo. Nel frattempo, il contribuente può comunque offrire controdeduzioni (es. prova di reale operatività del fornitore, documenti analoghi, giustificativi extra-fattura) e ricondurre i costi a ragione.

Da un altro versante, la Cassazione ha confermato che anche in presenza di accertamento analitico-induttivo basato su fatture inesistenti il contribuente può dedurre i costi aziendali in via presuntiva, sottraendo una percentuale forfettaria a titolo di costi di produzione (coerentemente con la Corte Cost. n.10/2023) . Ciò significa che anche se il fisco ricostruisce i ricavi in più, il contribuente deve poter detrarre comunque i costi inerenti all’attività (seppur in modo forfettario) e le eventuali perdite patrimoniali.

Domande di fatto frequenti: Cosa fare se mi contesta delle fatture? Occorre innanzitutto verificare la regolarità formale delle stesse (dati, soggetti emittenti) e ricostruire tutta la filiera documentale (contratti, bonifici, comunicazioni). Se si tratta di beni/servizi effettivamente acquistati, si può tentare di dimostrarlo con prove equivalenti. Se invece le fatture sono davvero fittizie, si valuterà il contesto (erano servizi straordinari o iperammortizzati? C’è passaggio di fondi?). In ogni caso, il contraddittorio è cruciale: è opportuno fornire all’Amministrazione tutte le spiegazioni possibili durante l’accertamento affinché disponga di elementi sulla base dei quali valutare correttamente i fatti.

Incongruenze nei ricavi e parametri

Un’altra causa comune di accertamento nei consulenti informatici è l’incongruenza tra ricavi dichiarati e spese sostenute o con i parametri normativi di settore. Ad esempio, se un professionista dichiara pochi ricavi rispetto al numero di ore lavorate o ai corrispettivi medi del settore IT, l’Amministrazione può ipotizzare un’accertamento analitico‑induttivo basato sull’antieconomicità.

La Cassazione ha recentemente ribadito che il criterio dell’antieconomicità (ossia rapporto costo/ricavi sproporzionato) è un parametro legittimo di ricostruzione induttiva del reddito. In presenza di una contabilità formalmente regolare ma evidentemente “inattendibile” perché il rapporto tra costi e ricavi è insostenibile, l’Ufficio può ricostruire i maggiori ricavi mediante presunzioni semplici . Ad esempio, se un software consultant ha dichiarato redditi netti minuscoli ma spese documentate altissime, il Fisco presumerà che parte delle entrate non è stata dichiarata, calcolando i ricavi mancanti sulla base dell’andamento normale dell’attività (in base a dati di settore, percentuali di ricarico standard, indici di redditività…). L’onere di motivare questa accusa ricade sull’Amministrazione (dimostrare appunto l’antieconomicità come fatto), ma una volta affermata scatta l’inversione dell’onere: spetta al contribuente dimostrare l’esistenza di costi e deduzioni effettivi anche se non documentati storicamente (ad es. costi di produzione internamente sostenuti, ammortamenti, strutture).

Va rilevato che gli studi di settore, parametri e indici ISA, ormai sostituiti dal 2019 dal regime degli indici di affidabilità, possono comunque essere un punto di riferimento indicativo: un reddito dichiarato molto al di sotto di tali minimi può giustificare una ricostruzione. In difesa, il contribuente può tentare di contestare gli elementi del raffronto (ad esempio, la coerenza dei parametri di settore, l’applicabilità all’attività svolta) oppure documentare componenti di costo occulti (ad es. quota di costi generali, remunerazione del lavoro proprio, investimenti) che riducano il margine di antieconomicità. Inoltre, come visto sopra, può dedurre per via induttiva una percentuale di costi e oneri (anche senza prova documentale completa) per diminuire la base imponibile aggiunta .

Strategie di difesa e diritti del contribuente

Dal momento in cui riceve un avviso di accertamento, il consulente informatico (o l’impresa) deve attivarsi immediatamente per tutelarsi. Le principali strategie difensive includono:

  • Controdeduzioni documentali: risposta agli inviti dell’ufficio con tutte le prove possibili (esibizione di fatture, contratti, giustificativi di spesa, estratti conto giustificati, ricevute, preventivi, ecc.). L’obiettivo è fornire ricostruzioni contabili accurate e respingere le presunzioni dell’Agenzia. Una risposta esaustiva durante la fase amministrativa può evitare o attenuare l’accertamento.
  • Accertamento con adesione / ravvedimento: se gli errori sono chiari, valutare la definizione agevolata. Con l’adesione, il contribuente collabora con l’Amministrazione per concordare l’imposta dovuta (scontando sanzioni), ma ciò chiude la possibilità di impugnare. Se si scopre l’errore prima dell’avviso, è possibile pagare spontaneamente o ricorrere al ravvedimento operoso.
  • Ricorso amministrativo e contenzioso: presentazione entro termini (generalmente 60 giorni) di un ricorso motivato davanti alla CTP. In ricorso si può chiedere l’accoglimento ex art. 19 L. 212/2000 (statuto) se si contesta legittimità e fondatezza dei rilievi. È fondamentale individuare vizi formali (errata notifica, incompetenza, violazione del contraddittorio obbligatorio, decadenze) o vizi di merito (errata interpretazione delle spese, parametri non applicabili, errata qualificazione dell’attività).
  • Accertamento induttivo vs “ufficio”: in casi estremi, è prevista dall’art. 41 del DPR 600/73 una forma di accertamento d’ufficio per situazioni residuali (se il reddito non è proprio regimato, ecc.), ma anche qui vige sempre il principio del giusto contraddittorio e il diritto di difesa.
  • Assistenza professionale: un avvocato tributarista esperto affiancherà il contribuente dalla fase istruttoria al contenzioso, predisponendo ricorso, partecipando alle udienze e proponendo istanze di prova. In particolare, l’avvocato analizzerà i movimenti bancari (per contestare eventuali presunzioni di reddito), valuterà la correttezza formale degli atti (conformità alle norme tributarie e processuali) e identificherà linee di difesa concrete (es. tipologie di costi deducibili, contrattazione di oneri fiscali).

Infine, il tempo è fondamentale: il contribuente deve immediatamente versare gli importi già liquidati di propria volontà (se non impugnati) e depositare il ricorso nei termini, altrimenti l’avviso diventa definitivo. L’orientamento Cassazione n. 20476/2025 è perentorio: chi non impugna entro termine perde il diritto di eccepire questioni come la prescrizione dei tributi contestati .

Domande e risposte (FAQ)

Q: Qual è la differenza tra accertamento analitico, analitico-induttivo, induttivo e sintetico?
A: L’accertamento analitico (lett. a/b/c dell’art.39) si basa su errori nelle scritture contabili già fornite; è la rettifica “bilanciata” dei singoli valori dichiarati. L’accertamento analitico-induttivo (art.39, comma1, lett. d) si applica quando, pur esistendo contabilità, emergono anomalie (fisiche o presuntive) tali da ricostruire in più o in meno il reddito usando presunzioni di solidarietà. L’accertamento induttivo puro (art.39, comma2) scatta solo se vi sono gravi irregolarità formali (libri mancanti o falsi); in tale caso si presume il reddito “minimo” e l’Agenzia può usare qualsiasi indizio, anche semplice, senza contare sulle scritture contabili. L’accertamento sintetico (art.38, c.4-5) invece si basa sul principio della capacità contributiva: anche senza contabilità, l’ufficio può presumere che il reddito complessivo sia maggiore delle spese sostenute (soggetto alle soglie di scostamento del 20% e 10×assegno sociale) .

Q: Quali sono i principali diritti del contribuente durante un accertamento fiscale?
A: Tra i diritti del contribuente ricordiamo: partecipare al contraddittorio preventivo (art.38 c.7 DPR 600/73) fornendo documenti prima dell’atto finale; opporsi agli accertamenti con istanza motivata o accertamento con adesione; formulare ricorso tributario nei termini; chiedere la sospensione amministrativa dell’esecutorietà dell’atto (versando il 20% contestato); avvalersi di consulenti (commercialisti, avvocati) per la difesa e l’esame dei documenti; beneficiare delle garanzie processuali come la motivazione dell’avviso e l’onere probatorio che grava sull’Agenzia (ad esempio nel redditometro l’Erario deve provare i parametri di spesa prima di invertire la prova) . Se l’atto contiene vizi procedurali (errata competenza, termini decaduti, notifiche difettose), il contribuente può farlo annullare. È inoltre previsto il cosiddetto ricorso per Cassazione per questioni di diritto (art. 360 c.p.c.), anche a tutela di principi generali (ad es. violazione di leggi tributarie).

Q: Come ci si difende da un avviso basato sulle movimentazioni bancarie?
A: L’Agenzia presume che versamenti/prelievi non giustificati costituiscano reddito (art.32 DPR 600/73). Per difendersi, il contribuente deve produrre immediatamente documentazione idonea a spiegare tali movimenti: ad es., contratti di finanziamento, estratti conto di pagamenti incrociati tra conti, ricevute di vendita di beni o contratti di lavoro autonomo retribuiti, donazioni ricevute, atti di prestito, ecc. Nel ricorso vanno contestati eventuali errori di calcolo dell’Ufficio e sottolineato il rigido onere di prova a carico dello stesso (Cass. 16850/2024 ha ribadito che senza giustificazioni valide è legittimo l’accertamento bancario ). Se possibile, si può rilevare l’esistenza di “oneri partecipativi” (es. il consulente ha anticipato costi per conto terzi), oppure dedurre percentuali forfettarie di spese come prova induttiva contraria (Cass. 18653/2023 ha confermato tale facoltà di prova ). In ogni caso è cruciale rispondere puntualmente alle richieste istruttorie (art.32), altrimenti il contribuente non potrà utilizzare i documenti che non ha esibito .

Q: Come contrastare un accertamento redditometrico?
A: Bisogna innanzitutto verificare che l’avviso rispetti le soglie previste (scostamento 20% e soglia assegno sociale) . In caso positivo, il contribuente deve smontare la presunzione dell’Ufficio fornendo prove concrete della provenienza delle somme spese: ad esempio, dimostrando con documenti di aver ereditato il denaro, di averlo ottenuto da una cessione patrimoniale tassata (e quindi non imponibile), o di averlo ricevuto come finanziamento. Non è sufficiente dire “è un regalo di amici”: la Cassazione ha chiesto di dettagliare quanto denaro, quando acquisito e come impiegato per le spese rilevate . Inoltre, il contribuente può produrre spese dedotte nell’anno accertato o precedenti (ad es. oneri deducibili, ritenute versate, ammortamenti) che riducano l’ammontare del reddito imputato. Se applicabile, si può utilizzare l’istituto dell’accertamento con adesione post-pagamento per ottenere sconti sulle sanzioni.

Q: Cosa fare se vengono contestate fatture inesistenti?
A: Innanzitutto, verificare se si è incorsi in una contestazione penale o solo tributaria. Sul piano tributario, il contribuente dovrà dimostrare nei limiti del possibile l’esistenza delle operazioni (ad es. foto materiali, copie di DDT, contratti, bonifici verso il cedente). Secondo la Corte di Cassazione (Cass. 20818/2021), occorre anche dimostrare che non era consapevole della simulazione: l’Agenzia deve provare il dolo fiscale . Se la contestazione è fondata, il contribuente potrà però sempre dedurre in via induttiva una quota dei costi non provati, sottraendola dai maggiori ricavi accertati, come previsto dal diritto vivente alla luce della Corte Cost. n.10/2023 . Infine, ogni errore formale dell’avviso (es. mancato richiamo di norme, mancanza di contraddittorio obbligatorio per gli studi di settore) va evidenziato nel ricorso. Sul piano fiscale, l’uso di fatture false costituisce reato (art. 2 D.Lgs. 74/2000) e in tal caso può scattare anche l’accertamento con recupero sanzioni elevate.

Q: Quanto tempo ho per impugnare un avviso?
A: Generalmente il termine è di 60 giorni dalla data di notificazione dell’avviso (art. 45, D.Lgs. 546/1992). Se l’atto è irrilevabile (ad es. mancata notifica formale), il termine inizia dalla conoscenza effettiva. In caso di adesione (accertamento con adesione), il termine è prorogato a 90 giorni dalla comunicazione dell’accertamento (art. 6, D.Lgs. 218/1997). È fondamentale rispettare queste scadenze, perché decorso il termine senza ricorso l’avviso diventa definitivo e in Cassazione si ritiene che il contribuente non possa più sollevare neanche eccezioni di prescrizione già maturata .

Tabelle riepilogative

Tipo di accertamentoNormativaQuando si applicaOnere della provaElementi principali
AnaliticoArt. 39, c.1, lett. a-c, DPR 600/73Contabilità regolare, errori di calcolo o applicazione delle norme di reddito; rettifica diretta su voci specifiche.Amministrazione (prova diretta)Rettifica in base a scritture contabili; correzione di irregolarità puntuali.
Analitico‐induttivoArt. 39, c.1, lett. d, DPR 600/73Contabilità presente ma con anomalie (fatture inesistenti, costi carenti, ricavi sottostimati); presunzioni semplici ammesse.Contribuente (presunzioni legali)Uso di presunzioni gravi, precise, concordanti; poss. correzioni sia su costi che su ricavi.
Induttivo puroArt. 39, c.2, lett. c-d, DPR 600/73Grave irregolarità contabile (scritture manomesse o inesistenti); irrilevanza totale delle scritture.Contribuente (presunzioni supersemplici)Ricostruzione presuntiva basata su elementi semplici; affidabilità annullata.
Sintetico (redditometrico)Art. 38, DPR 600/73Persone fisiche (no impresa); reddito ricostruito >20% del dichiarato e >10×assegno sociale; si basa su spese e beni di lusso.Amministrazione (prova spese) / Contribuente (prova contraria)Presunzione iuris tantum sulla capacità contributiva; contraddittorio obbligatorio.

Esempi pratici di accertamento e difesa (simulazioni)

  1. Caso redditometrico per dipendente con alta capacità di spesa: Un consulente informatico dipendente dichiara un modesto reddito IRPEF annuo, ma l’Agenzia rileva spese (abitazione di lusso, auto costosa, frequenti viaggi) che farebbero presumere un reddito molto più elevato. Scatta l’accertamento sintetico ai sensi dell’art. 38. Difesa: dimostrare l’origine lecita delle spese (risparmi pregressi, eredità, prestiti regolari) con documenti (scritture contabili, contratti). Chiedere eventuale contraddittorio. Nel ricorso, evidenziare i limiti soglia (20% e 10× assegno sociale) e contestare ogni dato errato.
  2. Accertamento analitico su partita IVA (fatture pass.): Il consulente ha acquistato servizi da un fornitore X, ma l’Amministrazione sospetta che le fatture emesse da X siano fittizie. Investe l’IRPEF di componente risultato inesistente. Difesa: acquisire documenti che provino l’operazione (e.g. email scambio, certificati di lavoro, contratti firmati, DDT, parcelle). Se mancano, evidenziare che spetta all’ufficio provare il dolo (Cass. 20818/2021) . Nel ricorso, si può dedurre comunque costi forfettari come ammortamento e oneri professionali (Cass. 19574/2025) .
  3. Controllo dei conti correnti (art. 32): L’Agenzia esegue indagini bancarie su 3 anni di estratti conto e invia questionari. Rileva consistenti versamenti su conto estero senza giustificazione e li computa come redditi irregolari. Difesa: raccogliere contratti o fonti di reddito che spiegano i versamenti (es. consulenze estere fatturate in seguito, cessione di quote societarie, erogazioni ricevute). Dare risposta completa all’invito art.32 (esplicitando, ad es., i beneficiari dei bonifici in entrata/uscita) . In giustizia, contestare la correttezza dei conteggi (soglie giornaliere/mensili) e spiegare che il contribuente ha adempiuto al RW (se dovuto) .
  4. Ricavi incongrui e parametri del settore: Un consulente fattura molto meno rispetto al compenso medio di mercato per le stesse attività. L’ufficio applica indici di affidabilità che portano a un reddito più elevato (accertamento analitico-induttivo). Difesa: dimostrare che l’attività è davvero risultata sottocaricata in quell’anno (es. ristrutturazione societaria, aspettative di clienti deluse, malattia) e che costi (anche generali) erano eccezionalmente alti, riducendo il margine. Fornire conteggi alternativi di costi ammortizzati o servizi subappaltati da dedurre. Chiedere al giudice di primo grado di valutare rigorosamente la gravità e coerenza delle prove contrarie presentate.

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👉 Prima regola: dimostra la tracciabilità dei pagamenti, la regolare emissione delle fatture e la corretta applicazione del regime fiscale (forfettario, ordinario o internazionale).


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Compensi da clienti italiani o esteri non dichiarati;
  • Pagamenti ricevuti tramite bonifici, PayPal o piattaforme digitali non contabilizzati;
  • Fatture mancanti o irregolari;
  • Errata gestione IVA per clienti UE o extra-UE (reverse charge, operazioni fuori campo);
  • Scostamenti dai parametri ISA o incongruenze tra redditi dichiarati e movimenti bancari.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sui compensi non dichiarati;
  • Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele o omessa fatturazione;
  • Interessi di mora sulle somme accertate;
  • Rischio di contestazioni previdenziali INPS se l’attività è abituale;
  • Possibili procedimenti penali in caso di evasione fiscale rilevante.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Ogni incarico è stato fatturato e registrato?
  • I compensi dall’estero erano imponibili in Italia o già tassati?
  • I flussi PayPal e digitali contengono solo compensi o anche rimborsi/trasferimenti privati?
  • Le differenze derivano da anticipi, progetti annullati o rimborsi spese?
  • L’accertamento si basa su prove concrete o su presunzioni generiche?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti e lettere di incarico con i clienti;
  • Fatture elettroniche e note di pagamento;
  • Estratti conto bancari e report PayPal/Stripe;
  • Documentazione IVA (reverse charge, operazioni UE/extra-UE);
  • Dichiarazioni fiscali degli anni contestati.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la trasparenza della contabilità e la tracciabilità dei compensi;
  • Contestare la riqualificazione come ricavi imponibili di somme non dovute (rimborsi, trasferimenti);
  • Evidenziare la corretta applicazione delle regole IVA per i clienti esteri;
  • Eccepire errori di calcolo o difetti di motivazione nell’accertamento;
  • Richiedere annullamento in autotutela se la documentazione era già presente;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
  • Difesa penale mirata se contestata evasione significativa.

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Conclusione

Gli accertamenti fiscali ai consulenti informatici non sempre sono fondati: spesso derivano da presunzioni su flussi digitali o da errori nell’applicazione delle regole internazionali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la regolarità delle tue dichiarazioni, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare conseguenze penali.

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