Contestazione Per Accrediti Da Piattaforme Online Non Dichiarati: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per accrediti provenienti da piattaforme online non dichiarati? In questi casi, l’Ufficio presume che le somme incassate tramite PayPal, Stripe, Amazon, Airbnb, Upwork o altre piattaforme digitali costituiscano redditi imponibili non dichiarati. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, sanzioni elevate e possibili controlli estesi sui tuoi conti bancari. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con una difesa ben documentata è possibile dimostrare la natura non reddituale delle somme o ridurre sensibilmente le sanzioni.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta accrediti da piattaforme online
– Se i movimenti registrati su piattaforme digitali non coincidono con i redditi dichiarati
– Se i pagamenti ricevuti non sono accompagnati da fatture o ricevute fiscali
– Se vi sono accrediti ricorrenti da clienti italiani o esteri non dichiarati in Italia
– Se l’Ufficio presume che gli accrediti rappresentino compensi professionali o ricavi di impresa
– Se emergono incongruenze tra i dati trasmessi dalle piattaforme e la dichiarazione dei redditi

Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione delle somme considerate redditi non dichiarati
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Maggiore esposizione a controlli bancari e fiscali negli anni successivi
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che gli accrediti non hanno natura reddituale (rimborsi spese, trasferimenti familiari, prestiti)
– Produrre documentazione bancaria, contratti, ricevute e corrispondenza con i soggetti paganti
– Contestare l’automatica qualificazione degli accrediti come reddito imponibile
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione delle somme contestate per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i flussi dalle piattaforme online e la documentazione collegata
– Verificare la legittimità della contestazione e l’inquadramento fiscale corretto delle somme
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e professionale da conseguenze fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della natura non reddituale di parte delle somme contestate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: i redditi da piattaforme online sono uno dei settori più controllati dal Fisco, che incrocia i dati con le informazioni trasmesse dagli operatori digitali. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare conseguenze fiscali e penali molto gravi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e digitale – spiega come difendersi in caso di contestazioni per accrediti da piattaforme online non dichiarati e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

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Introduzione

Negli ultimi anni la “economia digitale” – vendite online, contenuti creati sulle piattaforme social, pagamenti elettronici e criptovalute – è finita al centro dell’attenzione del Fisco italiano . Molti privati e piccoli imprenditori hanno iniziato a guadagnare attraverso canali come OnlyFans, marketplace (Amazon, eBay), servizi di pagamento online (PayPal), e-commerce indipendenti o investimenti in criptovalute. Spesso questi redditi non sono stati dichiarati al fisco, talora per ignoranza degli obblighi, talora per tentare di sottrarsi alle tasse. Il risultato è un’intensificazione dei controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza: sono ormai frequenti le contestazioni di imposte evase relative a questi accrediti digitali, con richieste di pagamento, sanzioni salate e perfino il rischio di conseguenze penali in caso di evasione rilevante .

Dal punto di vista del contribuente (debitore), ricevere una contestazione fiscale di questo tipo può essere disorientante e preoccupante. Cosa fare se arriva una lettera o un avviso che contesta “accrediti da piattaforme online non dichiarati”? Come dimostrare la propria posizione e difendersi efficacemente, evitando di pagare più del dovuto o subire sanzioni ingiuste? Questa guida avanzata – aggiornata a settembre 2025 – fornisce un’analisi dettagliata di come procedere in questi casi. Adotteremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a privati e imprenditori del settore digitale, per capire i propri diritti e doveri e le migliori strategie difensive da adottare.

Cosa troverete in questa guida:

  • Quadro normativo italiano sugli obblighi fiscali relativi ai redditi da piattaforme online (vendite e-commerce, attività di content creation come OnlyFans/YouTube, transazioni in criptovalute, conti elettronici esteri tipo PayPal). Spiegheremo il principio della tassazione del worldwide income per i residenti in Italia, come vengono qualificati questi redditi (lavoro autonomo, d’impresa, redditi diversi, redditi finanziari) e quali obblighi dichiarativi ne derivano. Approfondiremo inoltre gli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW) per patrimoni detenuti all’estero – ad esempio un conto PayPal in Lussemburgo o un wallet crypto su exchange estero – e le relative imposte patrimoniali (come l’IVAFE per i conti esteri e la nuova disciplina sulle cripto-attività dal 2023).
  • Violazioni e sanzioni previste in caso di omessa dichiarazione di tali redditi o attività. Vedremo le conseguenze amministrative: recupero a tassazione delle somme non dichiarate con imposte evase + sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta evasa (aumentate fino al 240% se i redditi sono esteri) , sanzioni per omessa dichiarazione di conti esteri (dal 3% al 15% dell’importo non monitorato, raddoppiate al 6–30% se in paesi non collaborativi) , interessi moratori e possibili misure cautelari (es. fermo dei conti, ipoteche, perfino l’oscuramento di siti web in casi gravi di evasione) . Distinguenderemo inoltre i possibili reati tributari configurabili oltre certe soglie (es. omessa dichiarazione ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 74/2000 se l’imposta evasa supera €50.000 ; dichiarazione infedele art. 4 se l’imposta evasa > €100.000 o i ricavi non dichiarati > €2 milioni ) con relative pene e pene accessorie (reclusione, interdizione da attività, confisca dei profitti illeciti ). Evidenzieremo le più recenti sentenze in materia, ad esempio la Cassazione n. 19849/2021 che ha escluso risvolti penali per il semplice omesso monitoraggio RW , o le pronunce della Cassazione n. 11849/2023 e n. 28077/2024 che hanno chiarito come calcolare le sanzioni in caso di violazioni ripetute su più anni (principio del cumulo giuridico invece del cumulo materiale) .
  • Come vengono scoperte le omissioni: una panoramica sugli strumenti di controllo usati dal Fisco. Spiegheremo le lettere di compliance fiscale inviate dall’Agenzia delle Entrate quando rileva anomalie (per esempio segnalazioni di conti PayPal esteri non dichiarati) , basate su dati ottenuti tramite lo scambio internazionale di informazioni finanziarie (CRS/DAC2 per i conti esteri come PayPal , DAC7 per i redditi da piattaforme digitali ). Illustreremo come la Guardia di Finanza e l’Agenzia incrociano i dati della “Superanagrafe dei conti” (il database che registra i movimenti bancari) e utilizzano algoritmi come il cosiddetto “Risparmiometro” per individuare discrepanze tra flussi finanziari e redditi dichiarati . Faremo cenno anche ai controlli mirati su influencer e content creator: emblematico è il caso di marzo 2024 in cui, attraverso l’analisi di piattaforme social e pagamenti (p.es. OnlyFans), sono stati scoperti oltre 11 milioni di euro di compensi non dichiarati da un gruppo di influencer italiani .
  • Strategie di difesa e rimedi a disposizione del contribuente. Dalla fase preventiva/bonaria alla fase contenziosa, esamineremo come muoversi: come rispondere tempestivamente a una lettera di compliance (fornendo chiarimenti e documentazione o regolarizzando con ravvedimento operoso) ; cosa fare se arriva un vero e proprio avviso di accertamento (valutare l’adesione all’accertamento per ridurre le sanzioni a un terzo, oppure presentare ricorso alle nuove Corti di Giustizia Tributaria ex Commissioni Tributarie) . Approfondiremo istituti deflattivi come l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale, e strumenti di autotutela (richiesta di annullamento in via amministrativa in caso di errori evidenti). Suggeriremo le possibili argomentazioni difensive: ad esempio dimostrare la natura non reddituale degli accrediti (donazioni familiari, rimborsi spese) , far valere che l’obbligo dichiarativo non sussisteva (conto estero sotto soglia di esonero, attività occasionale non imponibile), contestare errori di calcolo o vizi formali dell’atto, invocare l’incertezza normativa oggettiva per gli anni passati (ad es. per le cripto prima del 2023, o per il trattamento fiscale di nuove piattaforme) per ottenere l’annullamento delle sanzioni amministrative in base allo Statuto del Contribuente (L. 212/2000, art. 6 co. 2). Illustreremo anche come la regolarizzazione spontanea può attenuare o eliminare il rischio penale: la normativa prevede la non punibilità dei reati di omessa o infedele dichiarazione se il contribuente estingue integralmente il debito tributario (imposte, sanzioni e interessi) prima dell’apertura del dibattimento penale . In altre parole, pagando il dovuto in tempo si può evitare il processo e le relative sanzioni penali, come confermato dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000.
  • Tabelle riepilogative e schemi visuali: lungo la guida troverete utili tabelle che sintetizzano i punti chiave. Ad esempio, riporteremo in forma tabellare le soglie e condizioni che distinguono un’attività occasionale da un’attività professionale (quando serve aprire Partita IVA), i limiti oltre i quali scatta l’obbligo di dichiarare conti esteri (soglia €15.000) e di pagare l’IVAFE (€5.000 di giacenza media), le differenti sanzioni amministrative applicabili (omessa dichiarazione RW, omessa dichiarazione di redditi, omesso versamento IVA, ecc. con relative percentuali e riduzioni in caso di ravvedimento operoso o definizione agevolata) e i termini di prescrizione degli accertamenti. Avremo anche uno schema delle possibili vie di regolarizzazione: confronto tra sanare spontaneamente l’errore, aderire all’accertamento o fare ricorso, con pro e contro di ciascuna opzione (in termini di costi, sanzioni residue, tempi, rischi).
  • Casi pratici e simulazioni basati su vicende tipiche in Italia, per capire concretamente come applicare le difese. Ad esempio:
  • Caso 1: Piccoli accrediti su piattaforme, sotto soglia. Mario ha ricevuto pagamenti tramite PayPal e bonifici da Amazon Marketplace per poche migliaia di euro, mai superando €15.000 l’anno. Eppure ha ricevuto una lettera del Fisco. Vedremo come, essendo il conto estero sotto la soglia di monitoraggio, non vi era obbligo di dichiarazione in Quadro RW , e come rispondere allegando gli estratti conto per provare questa circostanza può risolvere il caso senza sanzioni .
  • Caso 2: Accrediti consistenti ma non imponibili. Lucia ha un conto PayPal su cui ha fatto confluire €50.000 dai suoi risparmi già tassati (stipendi netti) e da qualche regalo di famiglia. Non ha dichiarato il conto all’estero. In caso di accertamento, vedremo che pagherà solo le sanzioni patrimoniali per omessa dichiarazione RW (3-15% dell’importo) ma nessuna imposta sui redditi, poiché quelle somme non rappresentavano redditi nuovi . Illustreremo come difendersi da accuse infondate di evasione, dimostrando la provenienza lecita e già tassata dei fondi.
  • Caso 3: Redditi da e-commerce non dichiarati. Giovanni vende gadget online in modo informale (senza Partita IVA) tramite eBay e social, incassando pagamenti su PayPal e conti correnti. Ha ignorato gli obblighi fiscali per anni. Mostreremo la “stangata” fiscale che rischia: l’Agenzia ricostruirà i ricavi d’impresa in base ai movimenti bancari , richiedendo IVA e imposte sui redditi evasi più sanzioni al 180% . Con calcoli semplificati, confronteremo questo scenario con il costo molto inferiore che Giovanni avrebbe sostenuto se avesse optato per un ravvedimento operoso immediato (regolarizzando spontaneamente prima dell’accertamento) . Evidenzieremo anche il rischio penale: con decine di migliaia di euro di IVA evasa, Giovanni può essere denunciato per omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) – un reato punito con la reclusione 2–5 anni, salvo attenuanti .
  • Caso 4: Piattaforma online intestata a terzi. Un imprenditore, per eludere i controlli, fa accreditare i proventi del suo negozio online sul conto corrente di un parente residente all’estero. Vedremo come il Fisco italiano può comunque riconoscere il beneficiario effettivo delle somme e pretendere le imposte dal vero titolare. Discuteremo le strategie difensive in questi casi complessi, ad esempio dimostrando la reale titolarità e ripartizione delle somme (se, ad esempio, una parte dei fondi spettava davvero al parente) , oppure evidenziando eventuali vizi procedurali se l’Amministrazione ha violato norme sull’onere della prova nel ricostruire la titolarità occulta.
  • Domande e Risposte frequenti (FAQ): infine, una sezione dedicata ai quesiti più comuni. Risponderemo in modo chiaro e motivato, con riferimenti a norme e documenti ufficiali, a domande del tipo: “Entro quando devo rispondere a una lettera del Fisco?”, “Cosa rischio se la ignoro?”, “Se ho guadagnato solo pochi euro devo comunque dichiararli?”, “Devo dichiarare un conto PayPal estero anche se l’importo è minimo?”, “Posso essere perseguito penalmente per redditi online non dichiarati?” e così via . Questo aiuterà a fugare i dubbi pratici più immediati.

Al termine della guida troverete un elenco di fonti normative, prassi e giurisprudenza citate, così da poter approfondire o verificare singoli riferimenti in modo puntuale. La materia è complessa e in continua evoluzione, ma conoscere le regole del gioco è il primo passo per difendersi al meglio e pagare solo il giusto. Procediamo ora con l’analisi dettagliata.

Quadro normativo: obblighi fiscali per chi guadagna online

In Italia, chi è residente fiscale (cioè vive abitualmente in Italia o ha qui il centro dei propri interessi) è soggetto al principio del “worldwide income”: deve dichiarare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti nel mondo (art. 3 TUIR). Non importa se il reddito proviene da una piattaforma estera o se i pagamenti arrivano su conti fuori confine: il Fisco italiano ha il diritto di tassarli, salvo crediti d’imposta per eventuali tasse già pagate all’estero (in virtù delle Convenzioni contro le doppie imposizioni).

Redditi da piattaforme: categorie reddituali e Partita IVA

Il primo passo per capire come dichiarare (e quindi cosa può non essere stato dichiarato) è qualificare il tipo di reddito generato dalle piattaforme online. In generale, le entrate possono rientrare in diverse categorie del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi):

  • Redditi di lavoro autonomo (art. 53 TUIR): compensi percepiti per attività svolte senza subordinazione, abitualmente ma in forma individuale. Molte attività online rientrano qui se svolte personalmente: es. i proventi di un content creator o influencer che fornisce servizi promozionali, gli incassi da consulenze o lezioni online dati da privati, le entrate da OnlyFans o piattaforme simili se gestite come attività professionale. Se l’attività diventa abituale e continuativa, anche se individuale, può essere richiesta l’apertura della Partita IVA come lavoratore autonomo (in alternativa, se saltuaria, possono essere dichiarati come lavoro autonomo occasionale). Da notare che dal 2025 il legislatore ha persino introdotto un codice ATECO specifico (73.11.03 “Attività di influencer marketing”) per identificare formalmente l’attività di influencer/content creator . Questo significa che ormai tali professioni sono riconosciute e regolamentate, con precisi obblighi fiscali e contributivi (l’INPS, ad esempio, con la Circolare n. 44/2025 ha chiarito l’iscrizione previdenziale per i creatori di contenuti digitali) .
  • Redditi d’impresa (artt. 55-66 TUIR): ricavi derivanti da un’attività organizzata in forma d’impresa commerciale. Chi apre un e-commerce o svolge un’attività di vendita abituale di beni o servizi online viene considerato a tutti gli effetti un imprenditore dal punto di vista fiscale, soggetto a IVA e imposte sui redditi d’impresa. Non è necessario costituire una società: basta anche una ditta individuale o l’attività di fatto svolta come impresa. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che vendite online svolte con carattere di abitualità configurano reddito d’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica adottata o dalla presenza di una struttura organizzativa . Una sentenza recente, Cass. n. 7552/2025, ha stabilito che un privato che effettua numerose vendite su eBay per più anni dev’essere considerato alla stregua di un imprenditore, anche se non ha mai aperto Partita IVA: l’abitualità e continuità delle transazioni è sufficiente a qualificare l’attività come impresa, a nulla rilevando la mancanza di un’organizzazione formale o l’ammontare totale dei ricavi . In altre parole, se un soggetto compie atti tipici di un’attività commerciale (es. compravendita di beni) in modo ripetuto e non meramente occasionale, il Fisco può riqualificare i guadagni come reddito d’impresa (art. 55 TUIR) e pretendere l’apertura retroattiva della Partita IVA con relativo pagamento di IVA e imposte dirette evase.
  • Redditi diversi (art. 67 TUIR): sono una categoria “di chiusura” in cui rientrano vari proventi non classificabili altrove. Ad esempio, i redditi occasionali da attività commerciale – se una persona vende online sporadicamente oggetti per lucro, senza organizzazione d’impresa – possono essere dichiarati come “redditi diversi” (ex art. 67, comma 1, lett. i) TUIR). Allo stesso modo, i guadagni derivanti da attività di lavoro occasionale (non abituale) possono rientrare tra i redditi diversi (lett. l) art. 67 TUIR). In pratica, una vendita online episodica o un singolo ingaggio come creator di breve durata, se realmente isolati, producono redditi imponibili ma non richiedono Partita IVA: andranno comunque dichiarati nel quadro RL (redditi diversi) e, se il pagatore è un’azienda, possono essere stati soggetti a ritenuta d’acconto del 20%. La linea di confine tra attività occasionale e attività professionale non è definita rigidamente dalla legge, ma ci si basa su criteri qualitativi e quantitativi. Non esiste un limite di euro fisso oltre il quale scatta automaticamente l’obbligo di aprire partita IVA; tuttavia, la prassi considera spesso €5.000 annui un valore oltre cui è difficile sostenere che l’attività sia rimasta meramente occasionale . Più che l’importo, però, contano la frequenza e l’organizzazione: ad esempio, la Cassazione ha ritenuto non imponibile la vendita di beni appartenenti al proprio patrimonio personale (es. mobili usati di casa), perché manca un vero scopo di lucro e un’attività reiterata . Viceversa, se qualcuno acquista beni apposta per rivenderli guadagnandoci, anche poche volte, dimostra già un intento commerciale; quei guadagni, se occasionali, saranno redditi diversi tassabili IRPEF e, se invece diventano regolari, saranno reddito d’impresa .
  • Redditi di natura finanziaria: in questa categoria rientrano i proventi da investimenti, interessi, dividendi e plusvalenze su valute. Fino al 2022, in assenza di norme ad hoc, l’Agenzia delle Entrate ha trattato le criptovalute analogamente alle valute estere ai fini fiscali . Ciò significava che le eventuali plusvalenze da trading di crypto venivano tassate come “redditi diversi di natura finanziaria” (art. 67, co.1, lett. c-ter TUIR) solo se si superava la soglia prevista per le valute estere (giacenza media > €51.645,69 per almeno 7 giorni) . In pratica, pre-2023 si applicava ai guadagni in Bitcoin & co. la stessa regola del cambio valuta: se uno deteneva molta valuta estera (o crypto) e la convertiva con profitto superando la soglia di consistenza, scattava l’imposta sul capital gain, altrimenti no. Questa impostazione ha generato molta incertezza e comportamenti disomogenei dei contribuenti . Ad esempio, alcuni ritenevano di non dover dichiarare le proprie criptovalute se tenute in wallet privati in Italia (pensando che l’obbligo RW valesse solo per estero), oppure non dichiaravano utili in crypto finché non li convertivano in euro (“cash-out”) – posizioni comprensibili nel vuoto normativo, ma oggi potenzialmente sanzionate se riferite ad anni passati (salvo far valere l’esimente dell’incertezza normativa come vedremo). Dal 2023, infatti, c’è stata la svolta normativa: la Legge n. 197/2022 (Bilancio 2023) ha introdotto una disciplina organica per le cripto-attività, modificando il TUIR. In particolare ha inserito la lettera c-sexies al comma 1 dell’art. 67 TUIR, qualificando formalmente le plusvalenze da criptovalute come redditi diversi di natura finanziaria . Contestualmente, è stata fornita una definizione legale di “cripto-attività” e sono state dettate regole specifiche sia per la tassazione dei guadagni sia per la dichiarazione di detenzione delle valute virtuali. La novità principale è che dal 2023 le plusvalenze su crypto sono tassate al 26% come redditi finanziari, con una soglia di esenzione di €2.000 annui (fino al 2024) – ovvero se in un anno i realizzi netti non superavano 2.000 €, non si pagava nulla, oltre tale soglia l’intero gain era imponibile . Dal 2025, questa franchigia è stata abolita: ogni guadagno in crypto, anche di pochi euro, costituisce reddito tassabile al 26% . Esempio: nel 2024 vendo crypto con 8.000 € di plusvalenza, la tassa si applica su (8.000 – 2.000) = 6.000 € imponibili (26% = €1.560) ; nel 2025, invece, se realizzo anche solo €100 di plusvalenza devo dichiararla e pagarci €26 di imposta. Inoltre, tutte le cripto-attività detenute da residenti ora vanno dichiarate in Quadro RW a prescindere dall’importo e dal paese in cui sono custodite : il legislatore ha eliminato ogni dubbio, imponendo il monitoraggio fiscale anche per un singolo euro in crypto su un exchange estero. Infine sono state previste misure di regolarizzazione per il passato (una sorta di mini-voluntary): ad esempio, chi entro il 2022 aveva crypto non dichiarate poteva sanare pagando una imposta sostitutiva del 3,5% sul valore al 1° gennaio 2023 più una sanzione ridotta dello 0,5% annuo per omessa dichiarazione RW . Queste misure erano volontarie e a scadenza; chi non ne ha usufruito e viene scoperto ora, subirà l’applicazione piena di imposte e sanzioni ordinarie.

Riassumendo, tutti i redditi derivanti da attività online sono soggetti a tassazione secondo le regole ordinarie in base alla loro natura. Non esistono “zone franche” digitali. Pertanto:

  • Se produci contenuti online (video, foto, post sponsorizzati, abbonamenti su piattaforme) e ne ricavi denaro, quei compensi sono reddito imponibile IRPEF. Se l’attività è professionale/abituale, dev’essere inquadrata come lavoro autonomo o impresa con partita IVA; se è occasionale, rimane reddito diverso ma comunque va indicato nella dichiarazione dei redditi. Ad esempio, un creator di OnlyFans con guadagni mensili stabili dovrà aprire p.IVA come ditta individuale o professionista, emettere fatture/ricevute e dichiarare il reddito; un utente che abbia fatto un singolo incasso spot potrà forse qualificarlo come occasionale, ma dovrà comunque giustificarlo e inserirlo in dichiarazione se imponibile.
  • Se vendi beni o servizi online (tramite Amazon, eBay, Etsy, tuo sito e-commerce, dropshipping, ecc.), appena l’attività ha un minimo di continuità e scopo di lucro, sei tenuto ad aprire Partita IVA e a rispettare gli adempimenti IVA e contabili come qualsiasi commerciante . Le vendite veramente sporadiche di beni propri potrebbero non costituire attività d’impresa (specie se vendi oggetti usati personali, senza intento di profitto netto); ma se compri merce per rivenderla, anche poche volte, stai già svolgendo un’attività economica. Inizialmente potrebbero qualificare i proventi come redditi diversi (se l’episodicità è limitata), ma se il fenomeno si ripete di anno in anno, l’Agenzia non avrà dubbi a contestarti l’omessa apertura IVA e il reddito d’impresa evaso . In sintesi: chi vende online per guadagno deve dichiarare i ricavi. I privati che vendono il proprio usato occasionalmente non pagano tasse, ma attenzione a non confondere questa situazione con chi invece opera quasi come un negozio senza averne le forme legali.
  • Se ottieni pagamenti tramite piattaforme digitali (es. ricevi denaro su PayPal, Stripe, conti esteri, ecc.), devi valutare se tali somme rappresentano redditi imponibili. L’utilizzo di un intermediario di pagamento non cambia la natura del reddito: un compenso per un servizio resta tale anche se accreditato su PayPal. Anzi, come vedremo, avere soldi su conti esteri in sé fa scattare obblighi di monitoraggio. Dunque, l’idea di “nascondere” i guadagni lasciandoli su PayPal o su carte prepagate estere non funziona: legalmente andrebbero dichiarati comunque; di fatto, oggi il Fisco li scopre facilmente (PayPal è equiparato a un conto estero e segnalato via CRS ).
  • Se detieni o scambi criptovalute, dal 2023 la normativa è molto chiara: devi dichiarare nel quadro RW i tuoi wallet/exchange (anche se non hai guadagnato) e devi riportare nei redditi le plusvalenze da trading, a meno che siano sotto il limite (che però dal 2025 è zero, soglia abolita) . Restano fuori dal fisco solo i movimenti senza realizzo di guadagni (ad esempio, se scambi una crypto con un’altra della stessa natura potresti non generare tassazione immediata – su questo tema un importante chiarimento è arrivato nel 2023 confermando che il baratto fra criptovalute non omogenee non è di per sé realizzo imponibile ). Ma attenzione: appena converti in euro o in un bene/servizio, stai realizzando un reddito potenzialmente tassabile.

In conclusione, qualsiasi flusso economico che derivi da attività online deve essere attentamente valutato ai fini fiscali. Purtroppo molti contribuenti non hanno dichiarato tali redditi, magari ritenendoli “hobby” o confidando nell’anonimato del web. La legge però non fa sconti: il Fisco può tassare e sanzionare il passato non dichiarato, salvo il caso di obiettiva incertezza sulle regole, che tuttavia dal 2023 è stata quasi del tutto eliminata dalle nuove norme.

Conti esteri, piattaforme e monitoraggio fiscale (Quadro RW)

Un aspetto peculiare delle piattaforme online è che spesso coinvolgono l’estero. Ad esempio: OnlyFans ha sede all’estero; Amazon e eBay operano con società estere; PayPal (Europe) ha sede in Lussemburgo; molti exchange di criptovalute sono esteri. Ciò significa che i fondi possono transitare su conti esteri intestati a contribuenti italiani. La normativa italiana prevede uno specifico obbligo di dichiarazione per le attività finanziarie detenute all’estero: il cosiddetto monitoraggio fiscale tramite il Quadro RW della dichiarazione dei redditi (introdotto dal D.L. 167/1990 e successive modifiche). Vediamo i punti chiave:

  • Quando un conto/piattaforma è considerato “estero”: se il denaro è depositato presso un ente fuori Italia. PayPal, ad esempio, pur accessibile online ovunque, è giuridicamente un conto estero (in quanto gestito da PayPal Europe Bank in Lussemburgo) . Lo stesso vale per un conto corrente aperto in uno stato estero, per un wallet crypto non custodial con chiave privata propria (equiparato a detenzione estera fuori dal circuito italiano), per i fondi parcheggiati su piattaforme estere. Non è considerato estero invece un conto presso una banca italiana, anche se alimentato da transazioni online: se i soldi arrivano su un IBAN italiano, non c’è obbligo di monitoraggio RW (ma ovviamente rimane l’obbligo di dichiarare l’eventuale reddito). Un caso particolare: le cartedipagamento/prepagate estere (tipo carte di banche straniere o fintech internazionali su cui alcuni accreditano ricavi). Se la carta ha IBAN estero o è emessa da soggetto estero, andrebbe dichiarata in RW come conto estero.
  • Soglie di esonero RW: per non sommergere i contribuenti di adempimenti, la legge e le istruzioni stabiliscono che piccoli importi su conti esteri possano non essere dichiarati. In particolare, dal 2014 è in vigore la regola per cui non scatta l’obbligo di monitoraggio se il valore massimo del conto estero nel corso dell’anno non supera €15.000 . In pratica, se durante tutto l’anno il saldo non ha mai oltrepassato 15 mila euro, quel conto è esonerato dalla compilazione del quadro RW. Inoltre, per i conti correnti esteri è prevista un’imposta patrimoniale chiamata IVAFE (paragonabile al bollo italiano sui conti): si paga €34,20 annui a persona, ma solo se la giacenza media del conto supera €5.000. Dunque:
  • Se un conto estero ha saldo massimo annuo sotto 15.000 € e giacenza media sotto 5.000 €, non va dichiarato affatto (niente RW, niente IVAFE) .
  • Se ha saldo max < 15.000 € ma giacenza media sopra 5.000 € (es. conto sempre con €10k di media ma mai oltre €12k di picco), va indicato in RW solo per calcolare e pagare l’IVAFE dovuta (€34,20) .
  • Se ha saldo massimo oltre 15.000 € anche un solo giorno, scatta l’obbligo di monitoraggio RW (dichiarando il valore massimo annuale) . Se però la giacenza media fosse sotto 5k, l’IVAFE non è comunque dovuta, ma il monitoraggio sì .

Esempio: ho un conto PayPal estero che durante l’anno ha oscillato tra €2.000 e €10.000 di saldo: non avendo mai superato €15.000, non devo dichiararlo (perché max < 15k) e, dato che la media poniamo fosse €6.000, l’IVAFE sarebbe dovuta, ma per pagarla dovrei comunque dichiarare il conto. In realtà le regole vanno coordinate: le istruzioni dicono che se il conto non supera 15k ma supera 5k di media, va dichiarato barrando la casella solo per IVAFE . Nel dubbio, molti preferiscono dichiarare sempre i conti esteri di cui sono a conoscenza; ma è importante sapere di questa soglia, perché può costituire un valido motivo di difesa: se il Fisco vi contesta di non aver dichiarato un conto piccolo (es. conto con massimo €3.000), potete opporre che l’obbligo di legge non sussisteva e chiedere l’archiviazione della contestazione .

  • Cosa va dichiarato in Quadro RW: il quadro RW serve a indicare il valore delle attività estere detenute a fine anno e/o il valore massimo raggiunto, nonché gli eventuali trasferimenti da/per l’estero. Nel caso di conti correnti esteri, in RW si indica di solito il saldo al 31/12 e il massimo dell’anno. Per wallet/exchange di criptovalute, si indica il valore delle cripto al 31/12 e il valore massimo detenuto durante l’anno (in euro). Questo è un obbligo formale di monitoraggio: il mancato monitoraggio è sanzionato anche se le attività non producono reddito (es. conto estero infruttifero). Come detto, la sanzione per omessa dichiarazione RW è dal 3% al 15% degli importi non dichiarati (cioè del valore del conto) , elevata al 6–30% se l’attività è in un Paese black list (non cooperativo) . Nota: per i Paesi un tempo black list ma oggi collaborativi (es. Svizzera dal 2017, San Marino, ecc.), si applica la sanzione normale 3–15%. Il Lussemburgo (sede PayPal) è collaborativo, quindi niente raddoppio . Un tempo c’era una presunzione legale (art. 12 D.L. 78/2009) per cui i capitali detenuti in paradisi fiscali si presumevano redditi evasi, ma la Cassazione ha chiarito che tale presunzione non si applica a conti in paesi aderenti a CRS come il Lussemburgo .
  • Scambio automatico di informazioni finanziarie (CRS/FATCA): oggi il Fisco italiano riceve ogni anno, in automatico, dati sui conti esteri dei propri residenti. Tramite lo standard OCSE CRS (Common Reporting Standard), recepito in UE con direttiva DAC2, le banche e istituzioni finanziarie estere comunicano alle autorità fiscali dei Paesi di residenza i saldi e gli intestatari dei conti di soggetti non residenti . Così il Lussemburgo invia all’Italia l’elenco degli italiani con conti PayPal e relative giacenze; la Svizzera comunica i conti bancari dei cittadini italiani; e così via. Inoltre esiste il sistema FATCA per lo scambio tra Italia e USA (riguarda conti finanziari, incluse certe piattaforme se qualificabili come conti). In sintesi, avere un conto estero non dichiarato è oggi molto rischioso, perché è probabile che l’Agenzia delle Entrate ne venga comunque a conoscenza tramite questi canali. Lo stesso PayPal, contrariamente a quanto credono alcuni utenti, non è affatto invisibile: i suoi dati confluiscono nel CRS e vengono incrociati con le dichiarazioni dei contribuenti .
  • DAC7 e piattaforme digitali: dall’altro lato, dal 2023 è attiva anche la Direttiva UE 2021/514 (DAC7), recepita in Italia col D.Lgs. 32/2023, che impone ai gestori di piattaforme digitali di raccogliere e comunicare al Fisco i dati sui venditori attivi . In pratica, marketplace come Amazon, eBay, Airbnb, Booking, Vinted, Etsy, Uber e altri devono segnalare periodicamente alle autorità fiscali le informazioni sui venditori (nome, codice fiscale/IVA, totale proventi, numero di transazioni). L’obbligo scatta sia per venditori professionali sia per privati che superino certe soglie di attività: la direttiva infatti esenta i “piccoli” venditori occasionali, definiti come chi fa meno di 30 transazioni l’anno e incassa meno di €2.000 in totale . Oltre tali limiti, la piattaforma dovrà includere i dati del venditore nel report annuale. Ciò significa che, se Tizio ha venduto 50 oggetti su Vinted per €3.000, i suoi dati saranno inviati all’Agenzia delle Entrate, che potrà così verificare se Tizio ha dichiarato qualcosa. Lo scopo di DAC7 è proprio quello di “far emergere” i redditi online e combattere l’evasione nel settore del peer-to-peer e-commerce . Le sanzioni per la mancata comunicazione di questi dati sono pesanti (fino a €31.000) , a carico dei gestori della piattaforma, quindi è molto probabile che tali segnalazioni vengano fatte con solerzia.
  • Altri obblighi: Oltre alle imposte sui redditi e IVA, chi svolge attività economiche ha spesso ulteriori doveri, ad es. contributivi (iscrizione all’INPS gestione commercianti o separata per autonomi, versamento contributi). Un influencer o creator che diventi imprenditore dovrà aprire posizione INPS; un venditore e-commerce idem. Questi aspetti esulano dal focus fiscale stretto, ma vanno tenuti presenti perché l’omissione contributiva può dar luogo ad accertamenti paralleli (es. avvisi di addebito INPS per contributi non versati, come ricordato nella guida agli influencer ). Inoltre ci sono normative di settore: gli influencer devono rispettare la disciplina sulla pubblicità trasparente (evitando pubblicità occulta, sennò sanzioni Antitrust ), e la privacy (Garante). Tuttavia, nella presente guida ci concentriamo sul profilo tributario e sul come difendersi da contestazioni fiscali.

Delineato il quadro degli obblighi, è evidente che molti comportamenti tenuti da privati sul web – considerati erroneamente “informali” o non meritevoli di attenzione fiscale – in realtà integrano violazioni se non sono stati dichiarati. Adesso vediamo come l’Amministrazione finanziaria individua queste situazioni e quali sono gli atti tipici di contestazione che ci si può vedere recapitare.

Come il Fisco scopre gli accrediti non dichiarati: controlli e contestazioni

La scoperta di redditi non dichiarati provenienti da piattaforme online può avvenire tramite diverse modalità di controllo. Negli ultimi tempi, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno potenziato le loro capacità investigative incrociando dati e utilizzando strumenti tecnologici avanzati. Ecco i principali canali attraverso cui emerge un accredito “sospetto” non dichiarato:

  • Superanagrafe dei conti e Risparmiometro: in Italia esiste una anagrafe centralizzata dei rapporti finanziari presso l’Agenzia delle Entrate, dove affluiscono le informazioni di banche, Poste, istituti di pagamento su conti correnti, depositi, carte, ecc. Ogni mese gli intermediari aggiornano il database con saldi e movimenti dei clienti (aggregati). Il Fisco può interrogare questa “superanagrafe” per vedere, ad esempio, che un contribuente ha ricevuto sul suo conto bancario bonifici o accrediti per importi significativi non giustificati dai redditi dichiarati. Inoltre, con il progetto “Risparmiometro”, un algoritmo confronta i flussi in entrata e uscita dei conti di ciascuno con i redditi noti: se un soggetto accumula risparmi o spende somme ben superiori al suo reddito ufficiale, scatta un alert di possibile evasione . Questo strumento, autorizzato anche dal Garante Privacy purché usato su profili a rischio , consente di selezionare contribuenti per controlli mirati. Ad esempio, se un disoccupato muove decine di migliaia di euro sul conto, o se un lavoratore dipendente con stipendio modesto presenta elevate entrate extra su PayPal o carta, è molto probabile che il Fisco se ne accorga. Nota: i controlli su conti correnti possono essere attivati sia dall’Agenzia che dalla Guardia di Finanza, quest’ultima con poteri di polizia giudiziaria (soprattutto se vi è ipotesi di reato tributario).
  • Scambio di informazioni internazionali (CRS, DAC2, FATCA): come accennato, l’Italia riceve annualmente informazioni sui conti esteri dei suoi residenti . Di conseguenza, se un contribuente ha un conto PayPal, Revolut, Transferwise o un conto corrente tradizionale fuori Italia, e su tali conti ha tenuto somme di una certa rilevanza, molto probabilmente tali dati sono nella disponibilità dell’Agenzia. L’uso di conti esteri per ricevere pagamenti online (per esempio far accreditare su PayPal estero i compensi di OnlyFans, o usare un conto svizzero per incassare le vendite e-commerce) non è più una strategia sicura per eludere il Fisco. Infatti, i dati CRS includono saldi e in certi casi movimenti; l’Agenzia può confrontarli con il quadro RW (per vedere se il conto era dichiarato) e con il quadro redditi (per vedere se eventuali interessi o proventi sono stati dichiarati). Se qualcosa non quadra, scatta quantomeno una segnalazione interna.
  • Report DAC7 delle piattaforme: a partire dal 2024 (riferito all’anno 2023), l’Agenzia Entrate inizierà a ricevere i dati comunicati dai gestori di piattaforme digitali ai sensi del DAC7 . Quindi, ad esempio, saprà che il Sig. Rossi in quanto venditore privato su Amazon ha incassato 10.000 € da 100 vendite, oppure che la Sig.ra Bianchi come host su Airbnb ha guadagnato 8.000 € da 40 locazioni turistiche. Queste informazioni permetteranno di inviare lettere di compliance mirate o avviare controlli se i soggetti non hanno dichiarato nulla. Va evidenziato che DAC7 distingue anche le situazioni occasionali: se uno rimane sotto 30 vendite e 2.000 €, la piattaforma non lo segnala . Ma se magari quell’utente opera su più piattaforme diverse, ciascuna sotto soglia, comunque i ricavi reali sommati potrebbero essere alti – e potrebbero emergere attraverso altri controlli (es. movimenti bancari). Inoltre, alcune piattaforme (come Amazon, Shopify) richiedono già di per sé l’apertura di Partita IVA per vendere in modo continuativo , quindi chi ne usufruisce senza regolarizzarsi è un “anomalia” palese.
  • Controlli su dichiarazioni IVA e fatture elettroniche: per chi ha partita IVA, l’Agenzia delle Entrate incrocia i dati delle fatture elettroniche, dei corrispettivi telematici e delle comunicazioni IVA (LIPE, esterometro) per scovare ricavi non dichiarati o attività sommerse. Nel caso di e-commerce, ad esempio, se una persona fisica non ha mai aperto IVA ma risulta avere numerose transazioni, l’Agenzia può rilevare l’assenza di fatturazione per quelle vendite. Oppure se un’impresa vende su Amazon ma non ha registrato i relativi corrispettivi, Amazon stessa potrebbe aver comunque emesso fatture o note, e c’è tracciabilità. In alcuni casi, la GdF ha effettuato acquisti in incognito su siti web sospetti per vedere se veniva emessa fattura: se ciò non accade, scatta il verbale di constatazione per omessa fatturazione e ricavi in nero.
  • Open source intelligence e social network: non va sottovalutato il fatto che la Guardia di Finanza spesso monitora i social media e il web per trovare elementi di prova. Ad esempio, nel caso degli influencer di marzo 2024 citato prima, i finanzieri hanno analizzato i post sponsorizzati, i contenuti su OnlyFans e gli stili di vita mostrati online per stimare i guadagni reali degli individui . Se un influencer sfoggia viaggi e beni di lusso ma dichiara 0 euro, è un bersaglio quasi certo. Allo stesso modo, inserzioni di vendita su marketplace, recensioni, siti internet di e-commerce senza Partita IVA esposta – tutto può innescare un controllo. Esistono reparti specializzati (Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche GdF) che pattugliano il web in cerca di attività commerciali abusive online.

In pratica, grazie a questi strumenti integrati, il Fisco “sa” o può sapere di gran parte dei nostri movimenti economici, anche quelli online. Spesso, però, prima di emettere un atto formale, l’Agenzia invia una comunicazione bonaria per consentire al contribuente di spiegare o ravvedersi. Vediamo dunque quali sono le contestazioni tipiche e come si manifestano:

Lettere di compliance fiscale

Le lettere di compliance (o lettere di compliance “cooperative”) sono comunicazioni informali che l’Agenzia delle Entrate invia quando rileva un’anomalia che suggerisce una potenziale evasione, prima di passare a un vero e proprio avviso di accertamento . Negli ultimi anni sono diventate molto frequenti proprio in materia di conti esteri e redditi online. Il contenuto tipico della lettera è: “Gentile contribuente, dai dati in nostro possesso risulta che… ad esempio, lei ha percepito accrediti su un conto estero (es. PayPal) non risultanti dalla sua dichiarazione dei redditi… La invitiamo a verificare e, se del caso, a regolarizzare…”. Non è un atto impositivo: infatti la lettera non comporta una sanzione immediata né una richiesta di pagamento immediato . Generalmente indica una scadenza o comunque sollecita a fornire chiarimenti entro un certo tempo (spesso 30 giorni). Non rispondere non ha conseguenze dirette automatiche, ma è altamente sconsigliato ignorarla: se la lettera resta senza seguito, quasi sicuramente l’Ufficio procederà con un accertamento formale, questa volta con cartella esattoriale, sanzioni piene e termini stretti per reagire .

Esempio tipico: Lettera per conto PayPal non dichiarato. L’Agenzia ha ricevuto via CRS i dati del tuo account PayPal estero e non trova traccia né in Quadro RW né di eventuali redditi connessi. Scrive quindi segnalando l’omissione. Spesso viene precisato che “qualora i dati non fossero corretti o il conto rientrasse in cause di esonero, si prega di fornire elementi di riscontro” . Ciò indica un’apertura al dialogo: se c’è un errore (ad es. il conto era cointestato a un soggetto estero, o era sotto soglia) possiamo farlo presente e probabilmente la questione si chiuderà lì. Viceversa, se effettivamente il conto era non dichiarato, la lettera invita a mettersi in regola.

Cosa può (e cosa deve) fare il contribuente che riceve una lettera di compliance? Ha sostanzialmente tre opzioni: 1. Fornire spiegazioni e documenti che giustifichino l’anomalia, sostenendo di essere in regola. Ad esempio, rispondere (via PEC, raccomandata o portale dedicato indicato nella lettera) spiegando: “Il conto segnalato aveva un saldo massimo di €10.000, sotto la soglia di monitoraggio RW, come da estratto conto allegato. Inoltre non ha prodotto redditi imponibili”. Oppure: “Gli accrediti rilevati su PayPal erano trasferimenti da mio conto corrente italiano (già tassati) e non compensi di attività” – allegando documentazione. Questa via è opportuna se riteniamo che la pretesa del Fisco sia infondata o frutto di un misunderstanding. 2. Regolarizzare spontaneamente la violazione riconoscendo l’errore. Ciò si fa tramite la presentazione di una dichiarazione integrativa per l’anno (o gli anni) contestato, inserendo il reddito/il conto mancante, e pagando le imposte dovute con sanzioni ridotte da ravvedimento operoso . Il ravvedimento consente sconti sulle sanzioni proporzionali al tempismo: se si agisce subito dopo la lettera, di solito c’è la possibilità di pagare 1/6 della sanzione minima (nel caso di RW omesso, 1/6 del 3% = 0,5% dell’importo; nel caso di imposta evasa, 1/8 del 90% = 11,25% dell’imposta) oltre ovviamente all’imposta e interessi. Questa opzione è fortemente consigliata se effettivamente c’è stata un’omissione: consente di mettersi in regola con costi relativamente contenuti ed evita l’irrigidirsi del contenzioso. 3. Contattare l’ufficio per un confronto: non obbligatorio, ma spesso indicato come possibilità. Si può richiedere un appuntamento (di persona o telefonico) con l’ufficio accertatore per discutere la situazione . Talvolta chiarire a voce può aiutare a sciogliere dubbi reciproci – ma è bene poi formalizzare sempre per iscritto le proprie giustificazioni.

È importante sottolineare che la lettera di compliance rappresenta un’opportunità per il contribuente: se gestita bene, può chiudersi con un esito senza sanzioni gravi. Se ignorata o affrontata male, evolve quasi certamente in un accertamento formale molto più costoso. Non bisogna farsi prendere dal panico: occorre analizzare i dati segnalati (ad esempio confrontare i movimenti segnalati con i propri estratti conto, controllare le soglie, verificare se effettivamente c’è stata evasione oppure no) e agire tempestivamente. Di solito si hanno 30 giorni di tempo, ma il termine può variare e comunque conviene non tardare troppo.

Esempio di risposta efficace: un contribuente riceve lettera per PayPal estero non dichiarato. Dall’estratto risulta saldo max €12.000. Egli invia una PEC all’Agenzia allegando l’estratto conto e scrive che, in base all’art. 4 D.L. 167/90 e istruzioni ministeriali, il conto era sotto la soglia di €15.000 e pertanto non sussisteva obbligo di monitoraggio fiscale . Inoltre specifica che i movimenti in entrata erano bonifici da sé medesimo (dal suo conto italiano) e non redditi imponibili, allegando prova dei bonifici incrociati. Chiede dunque l’archiviazione della posizione. Con questo genere di risposta, l’ufficio con ogni probabilità prenderà atto e chiuderà la pratica senza ulteriori conseguenze.

NB: La lettera di compliance non è un atto impugnabile in Commissione Tributaria, perché non è un provvedimento sanzionatorio o impositivo: è un invito. Quindi non ha senso fare ricorso contro di essa; bisogna invece rispondere come detto sopra. Se poi successivamente dovesse arrivare un avviso di accertamento, allora quello sì che potrà essere impugnato davanti al giudice tributario.

Avviso di accertamento e atto impositivo

Se la fase “bonaria” non risolve la questione (ad esempio: il contribuente non risponde, oppure le sue spiegazioni non vengono ritenute sufficienti, oppure ancora l’Agenzia scopre direttamente l’evasione senza passare per la compliance), si arriva all’avviso di accertamento. Questo è l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta ufficialmente al contribuente maggiori imposte dovute, applicando le relative sanzioni e interessi, e intimando il pagamento entro termini precisi (60 giorni di solito). Può trattarsi di: – un avviso di accertamento per redditi non dichiarati, emesso ai sensi del DPR 600/1973 (imposte dirette) e/o DPR 633/1972 (IVA), in cui si ricalcola il reddito imponibile includendo i ricavi/compensi non dichiarati e si liquidano le imposte evase (IRPEF, addizionali, IVA, IRAP se dovuta) più le sanzioni; – un avviso di accertamento per omesso monitoraggio RW, spesso combinato al precedente se applicabile, dove si irroga la sanzione sul valore non dichiarato (3-15%) eventualmente per ciascun anno omesso; – oppure un provvedimento sanzionatorio separato, ad esempio un atto di contestazione di sanzioni ex D.Lgs. 472/97, se magari le imposte sono state nel frattempo versate ma rimangono le sanzioni da comminare.

L’avviso di accertamento è un atto motivato: deve contenere la descrizione dei fatti contestati (es: “redditi di lavoro autonomo non dichiarati per €XX accertati tramite movimenti PayPal”) , le norme violate e la quantificazione del maggiore imponibile e delle sanzioni. Viene notificato per raccomandata o PEC. Da quel momento scattano precisi termini: – Entro 60 giorni il contribuente può presentare ricorso alla Commissione Tributaria (ora ridenominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). In alternativa, entro lo stesso termine, può definire in acquiescenza l’accertamento pagando quanto richiesto con una riduzione delle sanzioni (1/3 in meno). – Entro 30 giorni dalla notifica, il contribuente (se non vuole subito fare ricorso) può anche presentare istanza di accertamento con adesione, che sospende per 90 giorni i termini del ricorso e apre una negoziazione con l’ufficio. Ne parliamo meglio tra poco.

Trascorsi 60 giorni senza ricorso né pagamento, l’atto diventa definitivo e l’Agenzia iscrive a ruolo le somme, inviando poi la cartella esattoriale per la riscossione coattiva (con aggiunta di ulteriori oneri). Dunque non reagire a un accertamento è estremamente rischioso: si passa alla fase dei pignoramenti e delle ganasce fiscali in tempi non lunghissimi.

Vediamo come ci si può difendere dopo aver ricevuto un avviso di accertamento per accrediti non dichiarati.

Come difendersi: rimedi e strategie dal punto di vista del contribuente

Nel momento in cui si subisce una contestazione fiscale, è fondamentale adottare un approccio lucido e strategico. Le strade possibili sono essenzialmente due (non esclusive): 1) cercare un accordo con il Fisco per limitare i danni (se si riconosce almeno in parte il debito); 2) impostare una difesa in giudizio per far valere le proprie ragioni (se si ritiene l’accertamento infondato in tutto o in parte). Analizziamole.

Regolarizzazione spontanea post-contestazione

Qualora la contestazione sia arrivata (lettera o anche avviso) ma non sia ancora sfociata in un contenzioso avanzato, una opzione sempre valida è quella di tentare un “ravvedimento operoso” tardivo o una definizione agevolata.

  • Ravvedimento operoso: anche se formalmente il ravvedimento è concepito per violazioni non ancora accertate, in pratica l’Agenzia accetta spesso il ravvedimento pure dopo una lettera di compliance o persino dopo un avviso se non è stato ancora impugnato. Ad esempio, se dopo la lettera abbiamo tergiversato e ci arriva l’avviso, possiamo provare a proporre all’ufficio di pagare il dovuto con sanzioni ridotte come se ci ravvedessimo. Questo è possibile soprattutto attraverso l’istituto dell’adesione (vedi sotto) dove l’ufficio può ridurre le sanzioni fino a quasi i minimi edittali.
  • Accertamento con adesione: è una procedura prevista dal D.Lgs. 218/1997 che consente al contribuente di “trattare” con l’Agenzia dopo aver ricevuto un accertamento, per trovare un accordo. Si presenta un’istanza motivata all’ufficio (entro 60 giorni dalla notifica dell’atto) e si partecipa a un contraddittorio. L’ufficio può rivedere al ribasso l’imponibile e soprattutto, per legge, se l’accordo si perfeziona, le sanzioni sono ridotte a 1/3 del minimo previsto . Esempio: in accertamento ti contestavano €10000 di redditi evasi con sanzione 90% = €9000; con l’adesione magari concordi €8000 di reddito, e la sanzione si applica al 90% minimo ma ridotta a 1/3 = 30%, quindi €8000*30% = €2400 invece di €9000. L’adesione quindi può far risparmiare molto sulle sanzioni. Inoltre evita il processo e blocca subito il debito (che va poi pagato in 20 giorni o a rate). Nel nostro contesto, l’adesione è consigliabile se la pretesa fiscale è fondata almeno in parte e il contribuente preferisce chiudere la vicenda riducendo il peso sanzionatorio. Attenzione però: aderendo si rinuncia a fare ricorso, quindi bisogna essere convinti di non avere margini di vittoria totale.
  • Acquiescenza all’accertamento: se non si vuole/può fare adesione, la legge consente comunque, pagando entro 60 giorni senza ricorrere, di avere sanzioni ridotte a 1/3 (come l’adesione) . Questo si chiama pagamento in acquiescenza. Tuttavia, spesso è preferibile l’adesione perché consente di discutere nel merito l’importo.
  • Definizioni agevolate straordinarie: talvolta ci sono sanatorie o condoni parziali previsti per il contenzioso (es. nel 2023 c’è stata una definizione agevolata degli accertamenti pendenti con sanzioni ridotte a 1/18, etc.). Sono situazioni episodiche, vanno valutate caso per caso se previste dalla legge di bilancio o decreto di turno.

In generale, se riconosciamo l’errore (effettivamente non abbiamo dichiarato redditi dovuti) e non ci sono solide ragioni giuridiche per annullare l’accertamento, conviene negoziare col Fisco. Si otterranno sconti sulle sanzioni e si eviterà l’incertezza di una causa.

Ricorso e difesa in giudizio

Se invece riteniamo che l’accertamento sia viziato, e/o le somme richieste sproporzionate, possiamo presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Prima del 2023 si doveva anche presentare il reclamo/mediazione per importi sotto 50k, ma con la riforma della giustizia tributaria le regole sono cambiate (verificare normativa vigente, ma qui tralasciamo i tecnicismi procedurali).

Nel ricorso, redatto preferibilmente con l’assistenza di un avvocato tributarista o di un commercialista abilitato, si dovranno evidenziare tutti i motivi di illegittimità o infondatezza della pretesa. Ecco alcune linee difensive tipiche nei casi di accrediti online non dichiarati:

  • Dimostrare la natura non imponibile delle somme accreditate: Se gli accrediti contestati non erano in realtà redditi, bisogna provarlo. Ad esempio: erano donazioni o regali da parenti (corredare con dichiarazioni di chi ha donato, copie di bonifici con causali, magari un atto notarile se rilevante); oppure erano trasferimenti di denaro propri tra due conti (dimostrare che il conto A che invia è intestato allo stesso soggetto del conto B che riceve, quindi nessun reddito prodotto); o ancora erano rimborsi spese ricevuti (esibire documenti che provino l’accordo di rimborso, le spese sostenute, etc.). Il punto è ribaltare la presunzione del Fisco: l’Ufficio tende a presumere che ogni accredito ingiustificato sia reddito evaso (soprattutto in ambito impresa, vige l’art. 32 DPR 600/73 che autorizza questa presunzione). Sta a noi fornire una giustificazione alternativa credibile e documentata per togliere quell’importo dall’imponibile. Una difesa riuscita in questo senso può portare all’annullamento totale o parziale dell’accertamento.
  • Contestare la riqualificazione giuridica: Spesso il Fisco trasforma ciò che il contribuente considera “occasionale” in “abituale” e quindi d’impresa. Oppure considera reddito di lavoro ciò che forse era reddito diverso. In giudizio si può contestare questa riqualificazione, portando elementi fattuali e giurisprudenziali. Esempio: tizio vende online pezzi della sua collezione personale di fumetti accumulata negli anni – l’Agenzia gli contesta reddito d’impresa. In ricorso si potrà citare Cass. n. 10117/2023 che esclude tassazione per la vendita di beni del patrimonio personale senza scopo di lucro , e sostenere che nel caso di tizio le vendite riguardavano beni personali, senza attività organizzata e senza reinvestire in nuova merce. Se ciò viene creduto dal giudice, quei proventi non sarebbero imponibili (o al massimo qualificabili redditi diversi se c’era un lucro). Un altro esempio: Caio ha guadagnato con OnlyFans €4.000 in un anno facendo qualche foto sporadica – l’Agenzia pretende l’apertura IVA e reddito d’impresa. In ricorso Caio potrebbe sostenere che l’attività era occasionale, priva del requisito di professionalità, sotto la soglia di €5.000, quindi semmai reddito diverso occasionale, ma non obbligo IVA. Magari allega che non ha continuato negli anni seguenti, che era una prova una tantum.
  • Errori di calcolo e vizi logici nell’accertamento: Spulciando l’atto, talvolta emergono errori: doppia conteggiatura di una somma, applicazione di percentuali sbagliate, mancata considerazione di costi deducibili, ecc. Ad esempio, il Fisco ricostruisce ricavi di un e-commerce sommando tutti gli accrediti PayPal, ma magari non ha considerato che da quei pagamenti vanno sottratte le commissioni di vendita o i resi rimborsati ai clienti. Oppure, nell’accertare redditi crypto, non ha considerato che il contribuente aveva anche delle minusvalenze compensabili (dal 2023 si possono compensare perdite crypto per 4 anni). In sede di ricorso, si può ricalcolare l’imponibile alla luce di questi elementi e chiedere la riduzione della pretesa. Inoltre vi possono essere vizi procedurali: ad esempio, l’accertamento è stato emesso oltre i termini decadenziali (in genere 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di imposta, o settimo se omessa dichiarazione) ; oppure non è stato preceduto da un necessario contraddittorio endoprocedimentale in casi in cui sarebbe obbligatorio (non sempre lo è, ma in materia di indagini finanziarie spesso è previsto di invitare il contribuente a fornire spiegazioni prima di concludere). Tali vizi possono portare all’annullamento totale per questioni formali.
  • Sanzioni: proporzionalità e cumulo: Se anche l’imposta dovesse risultare dovuta, c’è margine di difesa sulle sanzioni. Si può invocare l’art. 7 del D.Lgs. 472/97 sulla proporzionalità, sostenendo che la sanzione applicata è eccessiva rispetto alla gravità del fatto, magari ottenendo una diminuzione discrezionale dal giudice. Ancora, nel caso di violazioni ripetute su più anni, come accennato, è meglio chiedere l’applicazione del cumulo giuridico (art. 12 D.Lgs. 472/97) invece di sommare aritmeticamente le sanzioni di ogni anno. La Cassazione n. 28077/2024 ha chiarito proprio che in caso di omesse dichiarazioni RW per più annualità, si deve applicare un’unica sanzione base aumentata fino al doppio (cumulo giuridico), non sommare tante volte il minimo . Se l’Ufficio invece ha sommato tutto, in ricorso si ottiene una forte riduzione facendo valere questo principio.
  • Incertezza normativa oggettiva: Questo è un asso nella manica quando le regole fiscali erano poco chiare e il contribuente ha adottato un comportamento ragionevole anche se poi rivelatosi non corretto. L’art. 6, c.2, del D.Lgs. 472/97 (ripreso dallo Statuto del Contribuente, L.212/2000 art.10) stabilisce che non sono applicabili sanzioni amministrative quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata o sull’ambito di applicazione della norma tributaria. Nel nostro contesto, ciò può valere specialmente per periodi precedenti a nuove norme. Ad esempio, per le criptovalute fino al 2022 c’era oggettiva incertezza: alcuni obblighi erano solo per analogia, interpretazioni non univoche. Un contribuente sanzionato per non aver indicato crypto in RW nel 2020 potrebbe difendersi adducendo che nessuna norma primaria lo prevedeva esplicitamente e che le istruzioni ministeriali sull’argomento erano scarse e contraddittorie – quindi chiedere l’annullamento delle sanzioni (non dell’imposta se dovuta, ma almeno niente multa). Anche per nuove attività online (YouTuber, streamer, ecc.) in anni in cui non c’erano indicazioni, si può provare questa via. La Cassazione n. 32255/2018 ad esempio ha riconosciuto l’esimente dell’incertezza normativa in un caso in cui il contribuente non aveva indicato nel quadro RW un conto estero ritenendo – erroneamente – che non fosse obbligatorio: data la novità della norma e l’assenza di chiarimenti all’epoca, la sanzione fu annullata . Questa difesa va argomentata bene e supportata da documenti (es. circolari contraddittorie, consulenze avute, etc.), ma può salvare dalle sanzioni anche se l’imposta rimane dovuta.
  • Profili penali (se presenti): se l’evasione contestata supera soglie penali e nel frattempo è partita una segnalazione alla Procura, occorre muoversi anche su quel fronte. Una difesa penale punterà, oltre che sulle argomentazioni di merito (assenza del fatto, rideterminazione al di sotto della soglia), anche sugli elementi soggettivi: dimostrare che non c’era volontà fraudolenta. Ad esempio, nel reato di dichiarazione infedele occorre il dolo specifico di evasione: se l’imputato prova di aver agito in buona fede, credendo magari che quei redditi non fossero imponibili (p.es. “pensavo fossero esentasse perché era un hobby”), potrebbe ottenere un’assoluzione per carenza di dolo – anche se in sede tributaria paga comunque. Non è facile far valere l’ignoranza della legge, ma se l’argomento è credibile, in qualche caso i giudici penali assolvono o applicano attenuanti. In ogni caso, pagare il debito tributario prima possibile è la migliore strategia anche in ambito penale, perché come detto estingue il reato di omessa/infedele dichiarazione se fatto prima del dibattimento . Quindi, una difesa oculata, se vede un rischio concreto di condanna, consiglierà di trovare le risorse per saldare il Fisco (magari con un mutuo, una vendita di beni, etc.) e depositare in Procura le ricevute di pagamento integrale: a quel punto si chiederà l’archiviazione o il proscioglimento per intervenuto pagamento (ex art. 13 D.Lgs.74/2000) . Questo non è “sfuggire” ma usare legalmente un’extrema ratio prevista dalla legge.
  • Misure cautelari ed esecutive: a volte, parallelamente all’accertamento, il Fisco attiva misure cautelative (es. se sospetta che il contribuente disperda i beni): iscrive ipoteca, fermo auto o chiede al giudice un sequestro preventivo per equivalente (soprattutto se c’è procedimento penale). In tali casi, la difesa deve muoversi anche su quel campo: fare ricorso cautelare per sospendere la cartella, opposizione al sequestro se sproporzionato, ecc. Mostrare collaborazione e magari iniziare a pagare a rate può aiutare a scongiurare i provvedimenti peggiori.

Ogni caso ovviamente fa storia a sé, ma quanto sopra copre le principali situazioni. Conviene farsi assistere da un professionista esperto, perché i tecnicismi (come il calcolo esatto delle soglie penali, o l’individuazione di vizi formali nell’atto) possono fare la differenza tra vincere o perdere un ricorso.

Focus: difesa in caso di contestazione IVA per e-commerce

Vale la pena dedicare un cenno particolare all’IVA, perché nelle attività online di vendita spesso l’evasione non riguarda solo le imposte sui redditi ma anche l’IVA non versata sulle vendite. Se un soggetto avrebbe dovuto aprire partita IVA e non l’ha fatto, l’Agenzia contesterà sia l’omessa dichiarazione dei ricavi sia l’omessa dichiarazione e versamento dell’IVA relativa. In pratica, ricostruirà il fatturato imponibile e pretenderà: – l’IVA evasa (22% sui ricavi salvo aliquote diverse per beni particolari) per ciascun anno non dichiarato; – la sanzione per omessa dichiarazione IVA che va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (minimo €250) , oppure se il contribuente in quei anni presentò la dichiarazione IVA ma sottoindicando i ricavi, sanzione per dichiarazione infedele IVA 90-180% dell’imposta non dichiarata ; – la sanzione per omessa fatturazione delle vendite (se applicabile): 90-180% dell’IVA su ogni operazione non documentata, ma di solito viene assorbita dalla sanzione per omessa dichiarazione annuale più grave ; – l’eventuale sanzione fissa per omessa iscrizione alla partita IVA (€500-2.000) anche se spesso viene contestata solo in dottrina e non applicata cumulativamente ; – interessi di mora e così via.

La difesa per la parte IVA segue concetti simili a quella per i redditi, ma con alcune particolarità: – Si può cercare di ridurre la base IVA dimostrando costi e acquisti con IVA a credito. Ad esempio, se l’Agenzia mi contesta €100k di vendite non fatturate (quindi €100k IVA inclusa in nero), in sede di adesione o giudizio potrei far valere che per acquistare la merce venduta ho sostenuto €50k + IVA di costi, dunque l’IVA evasa netta non è su 100k ma su 50k (perché avrei avuto diritto a detrarmi l’IVA sugli acquisti). Questo può abbassare sia il debito sia far magari scendere sotto soglia penale l’IVA evasa (sottraendo l’IVA a credito) . – Se entra il penale, ricordiamo che il reato di omessa dichiarazione IVA scatta per IVA evasa > €50.000 per anno . Quindi magari contestano 3 anni con 40k ciascuno: ogni anno sotto soglia, quindi niente penale (non si sommano tra anni per il reato, la soglia è annua). Oppure contestano 80k in un anno: reato. A volte, presentare tardivamente una dichiarazione IVA dopo aver ricevuto verifiche può trasformare l’ipotesi di reato: se presenti la dichiarazione anche se tardiva prima che ti contestino formalmente, potresti evitare l’accusa di omessa dichiarazione (che presuppone la totale omissione) ma restare in quella di infedele o di omesso versamento. Sono sottigliezze da valutare caso per caso con un tributarista e un penalista. – Da ultimo, in caso di accordo o ravvedimento sull’IVA, ricordarsi che c’è una particolarità: il reato di omesso versamento IVA (art.10-ter) non gode della non punibilità col pagamento tardivo, se non viene effettuato entro una certa data (il 27 dicembre dell’anno successivo). Ma nella maggior parte dei casi di e-commerce sommerso, il reato contestato è omessa dichiarazione, non omesso versamento – perché chi non ha mai dichiarato è punito per quello, non per non aver versato (non avendo nemmeno dichiarato l’imposta dovuta).

Domande frequenti (FAQ) sulla difesa da contestazioni fiscali digitali

D: Entro quando devo rispondere a una lettera di compliance del Fisco?
R: Nella lettera normalmente è indicato un termine (di solito 30 giorni dal ricevimento) per fornire chiarimenti o regolarizzare spontaneamente . Questo termine non è perentorio (non è fissato da legge ma dall’ufficio), quindi se hai un valido motivo e rispondi con un leggero ritardo, difficilmente scarteranno le tue spiegazioni. Tuttavia è caldamente consigliato rispettare la scadenza indicata o chiedere proroga prima della scadenza, per dimostrare collaborazione. Se la lettera resta senza riscontro oltre quel termine, l’Agenzia può procedere direttamente all’accertamento. Conclusione: Meglio rispondere entro il termine indicato (30 gg circa). Se serve più tempo (es. per recuperare documenti dall’estero), contatta l’ufficio e richiedi formalmente una breve proroga.

D: Cosa rischio se ignoro una contestazione fiscale?
R: Ignorare del tutto è la scelta peggiore. Se ignori la lettera di compliance, arriverà quasi certamente un avviso di accertamento con sanzioni. Se ignori l’avviso (non paghi e non fai ricorso), dopo 60 giorni diventa definitivo e l’Agente della Riscossione (ex Equitalia) ti manderà una cartella di pagamento. A quel punto, se ignori anche la cartella, scattano le procedure esecutive: pignoramenti di conti correnti, stipendio, pensione, fermo amministrativo dell’auto, ipoteca su immobili, ecc. Inoltre, se le somme evase superano soglie penali e tu non interagisci, la Procura della Repubblica potrebbe procedere con indagini e denunciarti: ti ritroveresti con un processo penale e rischio di condanna (fino al carcere, anche se per incensurati spesso la pena può essere sospesa con la condizionale). In sintesi, non fare nulla porta a perdere ogni possibilità di contestare o ridurre il debito e aggrava la tua posizione. Conclusione: Bisogna sempre reagire: o pagando/ravvedendoti o presentando ricorso o comunque comunicando con il Fisco. L’inerzia produce inesorabilmente cartelle, interessi su interessi e possibili guai penali.

D: Se ho guadagnato solo piccole cifre (poche centinaia di euro), devo dichiararle lo stesso?
R: Dipende dal tipo di reddito, ma in generale sì, anche i piccoli redditi sono tassabili salvo specifiche esclusioni. Ad esempio: – Se ho venduto oggetti usati di mia proprietà per €300 totale, non è reddito tassabile (patrimonio personale alienato senza scopo di lucro). – Se ho fatto un lavoretto occasionale online (es. venduto un logo grafico) per €300, tecnicamente andrebbe dichiarato come “reddito diverso” anche se è poco. In pratica se c’è una ritenuta d’acconto già subita, potrei essere a credito e magari molti non lo indicano, ma l’obbligo ci sarebbe. – Se ho ricavato €100 di plusvalenza crypto nel 2024, sono sotto la soglia di esenzione (€2.000) quindi non dovevo nulla (per il 2024); se fosse nel 2025, la soglia è abolita, quindi quei €100 sarebbero tassabili (26%) e in teoria andrebbero dichiarati, anche se l’imposta è solo €26. Insomma, l’ordinamento non prevede franchigie generali di “no tax area” per redditi extra (a parte per crypto fino al 2024 e pochi altri casi). Anche €50 di lavoro autonomo andrebbero sommati al resto dei redditi. Detto ciò, è poco probabile che il Fisco insegua somme irrisorie: spesso le lettere scattano oltre certe entità. Tuttavia, con gli incroci automatici, potrebbe arrivare una comunicazione anche per 500€ non dichiarati (specie se frutto di diverse transazioni). Conclusione: per stare tranquilli, formalmente qualsiasi reddito andrebbe dichiarato anche se piccolo, salvo non sia espressamente esente. In sede difensiva, se vi contestano cifre minime, si può chiedere il proscioglimento per particolare tenuità (nel penale, se il fatto è tenue e paghi, spesso archiviano) o far leva sulla modesta entità per negoziare la chiusura in via amministrativa.

D: Un conto PayPal va sempre inserito nel quadro RW?
R: Come spiegato, un conto PayPal è considerato estero, ma non sempre va dichiarato. Se l’importo sul conto ha superato €15.000 in qualsiasi momento dell’anno, allora sì, va indicato in RW con il valore massimo . Se non ha mai superato €15.000, l’obbligo di monitoraggio fiscale non scatta . Tuttavia attenzione: se la giacenza media era sopra €5.000, bisognava dichiararlo comunque per l’IVAFE (anche se in RW c’è un’apposita casella da barrare in tal caso) . Quindi diciamo: – Saldo max > €15k: obbligo RW (monitoraggio) + IVAFE se media >5k. – Saldo max < €15k ma media >5k: obbligo RW solo per IVAFE. – Saldo max < €15k e media <5k: nessun obbligo RW né IVAFE. Molti però non conoscono queste sottigliezze e non dichiarano nulla. L’Agenzia tende a segnalare anche conti sotto 15k se li vede (per “educare” al futuro). Se hai ricevuto una lettera per un PayPal di piccola entità, puoi replicare che eri in esonero e chiudere lì . Conclusione: Non tutti i conti PayPal vanno dichiarati; dipende dagli importi. Ma è buona prassi dichiararli se significativi, per evitare seccature.

D: Posso essere perseguito penalmente per non aver dichiarato redditi online?
R: Sì, ma solo se i numeri superano certe soglie di rilevanza penale e se c’era il dolo di evadere. In particolare: – Se non hai proprio presentato la dichiarazione dei redditi (omessa dichiarazione) e l’imposta evasa supera €50.000, scatta il reato di cui all’art. 5 D.Lgs. 74/2000 , punibile con la reclusione da 2 a 5 anni. Esempio: Tizio era totalmente sconosciuto al Fisco (mai fatta dichiarazione) e in realtà guadagnava 100k all’anno online -> reato. – Se hai presentato la dichiarazione ma omettendo quei redditi (dichiarazione infedele) e l’imposta evasa supera €100.000, oppure se i redditi non dichiarati superano il 10% di quelli dichiarati e comunque €2 milioni, scatta il reato art. 4 D.Lgs. 74/2000, punibile con reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi. Esempio: Caio dichiara 20k di lavoro dipendente ma omette 150k di redditi da e-commerce -> reato infedele. – Se c’è IVA evasa sopra soglia (€50k se omessa dichiarazione IVA, €250k se omesso versamento con dichiarazione presentata), si applicano analogamente art.5 o art.10-ter. Va detto che per le nuove attività digitali spesso i soggetti neppure presentavano dichiarazione, quindi il caso comune è la omessa dichiarazione integrale. La notizia positiva: se metti a posto la situazione prima che il penale arrivi a sentenza (idealmente prima che inizi il processo), pagando tutto, non vieni punito penalmente . Inoltre, se l’evasione è modesta e paghi, è plausibile che la Procura archivi per tenuità. Conclusione: Il penale scatta solo per evasioni sopra soglia. In caso di contestazioni su grandi cifre, conviene attivarsi per pagare il dovuto ed evitare il processo penale.

D: Ho ricevuto soldi tramite PayPal da un amico/parente all’estero. Devo pagarci tasse?
R: Le somme ricevute a titolo di regalo o aiuto familiare non costituiscono reddito imponibile IRPEF per chi le riceve. Quindi, se tuo zio ti ha mandato €5.000 via PayPal dall’estero come regalo, non devi pagare imposte su quei 5000. Però attenzione a due cose: 1) Se il conto PayPal è estero e l’importo supera le soglie, dovevi dichiarare il conto in RW (non il regalo come reddito, ma il fatto di avere quei soldi all’estero sì). Se non l’hai fatto, formalmente sei passibile di sanzione RW, anche se puoi chiedere clemenza spiegando che non sapevi. 2) Se l’importo è molto elevato (decine di migliaia di euro), teoricamente scatterebbe l’imposta sulle donazioni (che però tra parenti stretti ha franchigia di 1 milione di euro, quindi a meno che tuo zio non ti mandi oltre 1.000.000 €, niente imposta di donazione). In sintesi, nessuna tassa sul regalo in sé, ma l’Agenzia potrebbe chiederti di provare che era davvero un regalo e non un pagamento per qualcosa. È importante quindi avere traccia (es. messaggio dell’amico: “ti regalo questi soldi per il tuo matrimonio”, o bonifico con causale “regalo” etc.). In caso di verifica, presenta magari un’autodichiarazione firmata da chi ha dato i soldi attestante che era una liberalità senza obbligo di restituzione.

D: Se ho già pagato delle imposte all’estero su quei redditi online (es. ritenute USA su YouTube, o tasse versate in uno Stato estero), devo pagarle di nuovo in Italia?
R: In generale, se sei residente in Italia hai diritto a un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero sul medesimo reddito, entro certi limiti (art. 165 TUIR). Ad esempio, se una piattaforma USA ti ha trattenuto il 30% di tasse americane, quando dichiari quel reddito in Italia potrai detrarre quell’importo fino a concorrenza della quota di IRPEF italiana su quel reddito. Quindi non c’è doppia imposizione. Tuttavia, devi comunque dichiarare il reddito in Italia e indicare il credito d’imposta. Se non l’hai dichiarato affatto, ora te lo contestano per intero; potrai in sede di adesione o ricorso far valere che hai subito ritenute estere e chiedere di scomputarle. Spesso l’Agenzia italiana non lo fa automaticamente (perché non lo sa): sarai tu a doverlo documentare (certificato di imposizione estera) per vederti riconosciuto il credito. Conclusione: No doppia tassazione, ma devi attivarti per far valere il credito. Se non lo fai in tempo, rischi di pagare due volte e poi chiedere rimborso.

D: Fino a quanti anni indietro possono farmi accertamenti su questi redditi non dichiarati?
R: La norma generale (art. 43 DPR 600/73 per imposte dirette, art. 57 DPR 633/72 per IVA) prevede che il Fisco ha tempo fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui avresti dovuto dichiarare il reddito. Quindi, per redditi 2020 (dichiarazione da presentare nel 2021), il termine è il 31/12/2026. Se però non hai presentato affatto la dichiarazione, il termine si allunga al 31 dicembre del settimo anno successivo . Quindi 2020 non dichiarato del tutto -> accertabile fino al 31/12/2027. Attenzione: questi termini sono stati ampliati dalla finanziaria 2016; per annualità anteriori a un certo anno (2015) erano più brevi, ma ormai ci stiamo avvicinando al punto che tutto il 2017-2018-2019 ecc. è accertabile fino al 2023-2024-2025 in base alle nuove regole. Per l’IVA valgono termini analoghi (5 anni, o 7 se dichiarazione omessa). Per le violazioni RW, essendo violazioni “di imposta” anch’esse, in teoria stesso termine dell’imposta sui redditi (c’è dibattito se siano autonomamente sanzionabili con termine 5/7 anni o 6/8, ma prevale 5/7). Dunque indicativamente: 5 anni se hai presentato la dichiarazione (anche infedele), 7 anni se omessa. Nel penale, la prescrizione del reato è più lunga (6 anni o più, interrotta da atti fino a 7,5 anni per omessa, mi pare 8 per infedele, e anche oltre se atti interruttivi), ma per gli aspetti fiscali quello è l’orizzonte. Conclusione: nel 2025 possono ancora accertare le annualità dal 2019 in poi (dich.2020->2025 per omessa), e anche il 2018 se era omessa dichiarazione (scadenza 2025). Più si va indietro, più si entra in zone prescritte. Da notare: se uno ha aderito a voluntary disclosure o sanatorie per alcuni anni, quelli sono coperti.

D: Dopo aver sistemato la questione, come evitare problemi in futuro?
R: La lezione è di curare la compliance fiscale: – Dichiarare ogni anno i proventi online nelle giuste categorie. – Aprire Partita IVA se l’attività lo richiede (abitualità). – Compilare il Quadro RW per conti esteri, criptovalute, investimenti fuori Italia quando dovuto. – Tenere traccia documentale di tutte le entrate: se ricevi soldi, annota perché, da chi, a che titolo, così se ti chiedono sarai pronto a spiegare. – In caso di dubbio interpretativo, valuta di presentare un interpello all’Agenzia delle Entrate per avere chiarimenti ufficiali (ad es., se avvii un nuovo modello di business online non disciplinato, chiedi lumi su come dichiarare). – Aggiornati sulle normative (ad es. le novità DAC7, crypto, ecc.) perché come vedi cambiano e quello che non era obbligatorio ieri magari lo è oggi. In generale, se la tua attività online decolla, investire qualche soldo in un commercialista esperto di fiscalità digitale è la mossa migliore per dormire tranquillo.

Conclusione

Affrontare una contestazione per accrediti da piattaforme online non dichiarati è senza dubbio impegnativo, ma con le giuste conoscenze e l’assistenza adeguata è possibile difendersi efficacemente. Il Fisco italiano sta colmando il divario normativo e tecnologico rispetto alla nuova economia digitale: oggi sa dove guardare e dispone dei dati per stanare redditi nascosti. Dal canto loro, contribuenti, professionisti e imprenditori devono prendere coscienza che attività prima “invisibili” ora sono sotto i riflettori del sistema tributario.

Il punto di vista del debitore dev’essere pragmatico: riconoscere eventuali errori, ma anche far valere i propri diritti. Non tutte le contestazioni dell’Agenzia sono infallibili; esistono casi in cui la pretesa fiscale si può ridimensionare o annullare perché il fatto non costituisce violazione (come vendite davvero occasionali di beni personali) o perché l’ufficio ha usato presunzioni eccessive. In altri casi, invece, l’evasione c’è stata e le norme sono chiare: in tali situazioni conviene puntare a minimizzare il danno, sfruttando gli strumenti deflattivi per ridurre sanzioni e dilazionare i pagamenti, evitando magari strascichi penali.

Abbiamo visto come predisporre le principali strategie difensive: dalla dimostrazione documentale della non imponibilità di certe somme, alla negoziazione in adesione, fino alla battaglia legale in Commissione Tributaria su questioni di diritto. Si è evidenziato anche il grande valore di alcune disposizioni “a tutela del contribuente” – come l’esimente dell’incertezza normativa e la non punibilità penale a fronte di integrale pagamento – che il difensore accorto non mancherà di invocare quando ne ricorrono i presupposti.

In definitiva, il messaggio chiave è: prevenire è meglio che curare. Se si operano guadagni online, mettersi in regola spontaneamente (dichiarando il dovuto, magari aderendo a regimi forfettari agevolati quando possibili, tenendo traccia dei propri movimenti) è la via maestra per evitare in futuro la posizione scomoda del “debitore contestato”. Ma se ormai la contestazione è realtà, occorre reagire con tempestività, competenza e fermezza. Conoscere i propri diritti – ad esempio il fatto che un piccolo conto estero può essere esonerato, o che una certa sanzione può essere ridotta – permette di dialogare da una posizione più forte con l’Amministrazione o di sostenere con successo le proprie ragioni davanti a un giudice.

Questa guida, con il suo taglio tecnico-divulgativo, ha cercato di fornire un quadro completo degli aspetti coinvolti, mantenendosi aggiornata alle norme e prassi di settembre 2025 e supportando le affermazioni con autorevoli fonti normative e giurisprudenziali. Affrontare temi complessi come fiscalità e diritto può sembrare arduo, ma confidiamo che la suddivisione in capitoli, l’uso di esempi concreti, tabelle e FAQ abbia reso il tutto più comprensibile.

Che tu sia un avvocato che assiste un cliente influencer, un piccolo imprenditore e-commerce preoccupato per una verifica in corso, o un privato che si è trovato improvvisamente nel mirino del Fisco per quei “soldi di internet”, speriamo che queste informazioni ti aiutino a difenderti nel modo migliore. In caso di dubbi specifici, il consiglio finale è di rivolgerti a professionisti qualificati (tributaristi, commercialisti) perché ogni caso ha le sue particolarità e una consulenza mirata può farti risparmiare molto più di quanto costi.

Ricorda: il Fisco può essere un avversario ostico, ma non è onnipotente né infallibile. Conoscere le regole del gioco tributario ti permette di far valere le tue ragioni e trovare soluzioni equilibrate. Anche di fronte a contestazioni di accrediti online non dichiarati, difendersi è possibile – e doveroso, per tutelare i propri diritti ed evitare ingiustizie.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati accrediti da piattaforme online non dichiarati (PayPal, Stripe, Amazon, eBay, Airbnb, OnlyFans, Etsy, ecc.)? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Vuoi sapere cosa rischi e come impostare una difesa efficace?

👉 Prima regola: dimostra la natura reale delle somme accreditate, distinguendo tra redditi imponibili e semplici trasferimenti patrimoniali o rimborsi.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Accrediti da piattaforme digitali non dichiarati come redditi;
  • Vendite su marketplace (Amazon, eBay, Etsy) qualificate come attività d’impresa abituale;
  • Compensi da servizi online (Airbnb, Booking, OnlyFans, Patreon, ecc.) non fatturati;
  • Movimenti PayPal/Stripe non registrati in contabilità;
  • Differenze tra gli accrediti online e i redditi dichiarati.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sui redditi ritenuti non dichiarati;
  • Sanzioni per dichiarazione infedele fino al 90% della maggiore imposta;
  • Interessi di mora sulle somme contestate;
  • Rischio di riqualificazione come attività d’impresa con obbligo di partita IVA;
  • Possibili contestazioni penali per evasione fiscale significativa.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Gli accrediti erano veri redditi o rimborsi spese, prestiti, trasferimenti familiari?
  • L’attività online era occasionale o abituale (con obbligo di partita IVA)?
  • I pagamenti erano già tassati in Italia o all’estero?
  • I flussi PayPal/Stripe comprendono solo redditi o anche somme non imponibili?
  • L’accertamento si fonda su prove documentali o su presunzioni automatiche?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Estratti conto PayPal, Stripe e delle piattaforme online;
  • Contratti con clienti o piattaforme digitali;
  • Fatture emesse e dichiarazioni fiscali;
  • Prove di rimborsi, trasferimenti familiari o somme non imponibili;
  • Estratti conto bancari con movimenti collegati.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la non imponibilità di parte degli accrediti (rimborsi, trasferimenti privati);
  • Contestare la riqualificazione come attività d’impresa se le operazioni erano occasionali;
  • Fare valere eventuali imposte già pagate su quelle somme;
  • Eccepire vizi di calcolo o motivazioni carenti nell’accertamento;
  • Richiedere annullamento in autotutela o presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
  • Difesa penale mirata in caso di contestazioni rilevanti.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza gli estratti conto delle piattaforme online e i flussi finanziari;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione e costruisce la linea difensiva;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei procedimenti fiscali e, se necessario, penali;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione sicura dei redditi derivanti da attività online.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità digitale e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su redditi da piattaforme online e marketplace;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sugli accrediti da piattaforme online non dichiarati non sempre sono fondate: spesso derivano da errori di interpretazione o da presunzioni sui flussi digitali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale natura delle somme, evitare la riqualificazione come ricavi occulti e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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