Accertamento Fiscale Ad Allenatore Sportivo: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale come allenatore sportivo? In questi casi, l’Agenzia delle Entrate presume che parte dei compensi percepiti da società, atleti o associazioni non sia stata dichiarata o che vi siano irregolarità nella gestione fiscale e contributiva. Le conseguenze possono essere molto pesanti: recupero delle imposte, sanzioni elevate e, nei casi più seri, contestazioni penali per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben impostata è possibile ridurre sensibilmente le pretese del Fisco o dimostrare la correttezza della propria posizione.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i redditi di un allenatore sportivo
– Se i compensi dichiarati non coincidono con i versamenti bancari o le ricevute incassate
– Se i rimborsi spese vengono considerati compensi non tassati
– Se i pagamenti percepiti da società sportive o associazioni non risultano documentati con fattura o ricevuta
– Se l’Ufficio presume l’esistenza di compensi “in nero” non dichiarati
– Se emergono scostamenti rispetto agli indici ISA o ai parametri medi di settore

Conseguenze dell’accertamento fiscale
– Recupero a tassazione dei compensi non dichiarati o dichiarati parzialmente
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Possibile riqualificazione dei rapporti come lavoro subordinato, con obbligo contributivo e previdenziale
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione dei redditi

Come difendersi dall’accertamento
– Dimostrare la corrispondenza tra i contratti sportivi, le prestazioni rese e i compensi dichiarati
– Produrre estratti conto, ricevute di pagamento e documentazione rilasciata dalle società sportive
– Contestare ricostruzioni presuntive dei redditi basate su parametri standardizzati non rappresentativi
– Evidenziare eventuali errori di calcolo, vizi istruttori o difetti di motivazione nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre le sanzioni applicabili
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i contratti sportivi, i rapporti con società e atleti e la documentazione fiscale contestata
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta qualificazione dei redditi percepiti
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere l’allenatore davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e professionale da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della correttezza dei redditi dichiarati
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: gli allenatori sportivi, soprattutto se collaborano con associazioni dilettantistiche o percepiscono compensi misti (cachet, rimborsi, bonus), sono spesso oggetto di controlli mirati dal Fisco. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare pesanti conseguenze fiscali e penali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e sportivo – spiega come difendersi in caso di accertamento fiscale a carico di allenatori sportivi e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

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Introduzione

Gli allenatori sportivi, siano essi dilettanti o professionisti, possono trovarsi destinatari di accertamenti fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate. Negli ultimi anni il quadro normativo è cambiato (specie con la Riforma dello Sport in vigore dal 2023) e con esso sono mutati sia i regimi fiscali applicabili ai compensi sportivi sia le modalità dei controlli. Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – fornisce un’analisi approfondita e attuale su come difendersi in caso di accertamento fiscale riguardante compensi percepiti da allenatori sportivi, con un taglio tecnico-giuridico ma comprensibile, adatto tanto ai professionisti (avvocati tributaristi, consulenti) quanto agli stessi allenatori e dirigenti di associazioni sportive.

Affronteremo la normativa italiana di riferimento, distinguendo tra sport dilettantistico e professionistico, illustrando le agevolazioni fiscali esistenti (e i relativi limiti) e le novità introdotte dal 2023. Esamineremo poi i profili fiscali tipici delle contestazioni (imposte evase, sanzioni amministrative e potenziali reati tributari) e i profili previdenziali connessi (contributi INPS dovuti se l’attività non è veramente dilettantistica). Seguirà una parte dedicata alle strategie di difesa del contribuente dal punto di vista del “debitore”: dagli strumenti deflattivi per evitare il contenzioso (come l’accertamento con adesione o l’autotutela), fino alla difesa nel merito dinanzi alle Commissioni Tributarie (ora Corti di Giustizia Tributaria). Troverete inoltre tabelle riepilogative dei punti chiave, una sezione di domande e risposte (FAQ) su questioni frequenti (es. “Se alleno in una ASD devo dichiarare il compenso?”, “Cosa succede se supero la soglia esente?”, “Come si ripartisce l’onere della prova in caso di verifica fiscale?”), nonché alcune simulazioni pratiche basate su casi reali per illustrare concretamente le possibili situazioni e soluzioni.

Nota bene: “Come difendersi” non significa cercare stratagemmi per evadere, ma piuttosto far valere i propri diritti e ragioni quando il Fisco contesta presunte irregolarità. Spesso si tratta di capire se l’accertamento sia fondato e, in caso affermativo, come attenuare le conseguenze (ad esempio fruendo di definizioni agevolate delle sanzioni) oppure come contestarne la legittimità (per errori procedurali o di merito). Un allenatore o un’associazione sportiva ben informati possono evitare errori e gestire al meglio un’eventuale verifica, collaborando dove opportuno (se ci sono errori da sanare) o resistendo dove il rilievo è infondato.

Procediamo dunque partendo dalle basi normative, per poi addentrarci nei meccanismi dell’accertamento fiscale e nelle possibili difese, sempre dal punto di vista di chi subisce la contestazione (il contribuente/allenatore).

Inquadramento normativo: compensi sportivi dilettantistici vs professionistici

Per comprendere come difendersi in caso di accertamento, è essenziale conoscere la natura dei compensi sportivi e il loro trattamento fiscale. La normativa italiana distingue nettamente tra lo sport dilettantistico (amatoriale) e lo sport professionistico, con implicazioni diverse sia sul piano contrattuale/previdenziale sia sul piano fiscale . Di seguito chiariremo questa distinzione e le relative regole fiscali, evidenziando anche le importanti novità legislative dal 2023 in poi.

Sport dilettantistico e sport professionistico: definizioni di legge

La differenza tra dilettanti e professionisti non è solo lessicale ma giuridica. La Legge 23 marzo 1981 n.91 definisce i rapporti di lavoro sportivo professionistico: in base a tale legge, un atleta (o allenatore) è considerato professionista solo se la sua federazione sportiva nazionale di appartenenza lo qualifica come tale (con approvazione del CONI) e se viene stipulato un contratto di lavoro sportivo con una società sportiva . Ad esempio, nel calcio di Serie A e B, nel basket di vertice, nel ciclismo professionistico etc., atleti e allenatori sono inquadrati come lavoratori dipendenti o assimilati, soggetti alle ordinarie regole fiscali/previdenziali del lavoro professionistico (contratto, stipendio lordo con ritenute IRPEF e contributi, TFR, ecc.).

Al di fuori delle discipline e categorie espressamente riconosciute come “professionistiche” dal CONI, tutti gli altri operatori sportivi sono formalmente dilettanti, anche se percepiscono compensi. Lo sport dilettantistico in Italia è associato allo sport di base non profit: tipicamente ruota attorno ad Associazioni o Società Sportive Dilettantistiche (ASD/SSD) iscritte al Registro CONI, le quali perseguono finalità educative e senza scopo di lucro. Allenatori, istruttori, atleti, arbitri, preparatori atletici ecc. che operano in tale ambito non sono considerati lavoratori sportivi professionisti e i compensi che ricevono rientrano in un regime fiscale di favore (come vedremo dettagliatamente) . La logica è incentivare il volontariato sportivo e l’attività di base, distinguendola dal business sportivo professionale.

In pratica, un allenatore sportivo dilettante è colui che presta la propria opera presso un ente sportivo dilettantistico (es. la scuola calcio dell’oratorio, la squadra amatoriale iscritta a un campionato minore, la palestra gestita da un’ASD) senza che ciò costituisca la sua professione abituale e senza vincolo di subordinazione . Viceversa, un allenatore professionista (in senso fiscale) è colui che svolge l’attività di allenatore in modo abituale e con carattere di professionalità, ad esempio come titolare di partita IVA (istruttore freelance, personal trainer imprenditore) oppure come tecnico assunto da un club professionistico con regolare contratto di lavoro.

Questa distinzione è fondamentale perché determina il regime fiscale e contributivo applicabile. Per lungo tempo, i compensi degli sportivi dilettanti hanno goduto di una esenzione fiscale e contributiva entro certe soglie, in quanto qualificati come redditi diversi e non come redditi da lavoro . Al contrario, i redditi da lavoro sportivo professionistico rientrano nei normali redditi di lavoro dipendente o autonomo, integralmente tassati secondo le aliquote IRPEF progressive. Vediamo dapprima il regime previgente al 2023 per i dilettanti, poi le modifiche intervenute con la riforma.

Regime fiscale ante 2023 (sport dilettantistico): compensi esenti fino a €10.000

Prima del luglio 2023, la fiscalità dei compensi sportivi dilettantistici era regolata principalmente dall’art. 67, comma 1, lett. m) e dall’art. 69, comma 2 del TUIR (D.P.R. 917/1986). In base a tali norme, le somme percepite per prestazioni in ambito sportivo dilettantistico non erano considerate redditi di lavoro bensì redditi diversi, e godevano di una sostanziale no tax area entro un certo importo annuo . Più precisamente:

  • L’art. 67, co.1, lett. m) TUIR (ante riforma) includeva tra i redditi diversi «le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche» da parte di CONI, federazioni sportive, enti di promozione sportiva, «nonché i compensi per collaborazioni coordinate e continuative di carattere amministrativo-gestionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche» . In altre parole, la legge equiparava alle prestazioni sportive dilettantistiche anche i compensi corrisposti a collaboratori amministrativi non professionali di ASD/SSD. Ciò che accomunava tali figure era la natura “non professionale” dell’attività svolta e l’assenza di vincolo di subordinazione.
  • L’art. 69, co.2 TUIR (come modificato dalla L.205/2017) prevedeva che «Le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi (di cui alla lettera m) del comma 1 dell’articolo 67) non concorrono a formare il reddito per un importo complessivo non superiore nel periodo d’imposta a 10.000 euro», oltre al fatto che rimanevano esclusi da imposizione anche i rimborsi di spese documentate per vitto, alloggio, viaggio e trasporto in occasione di gare fuori comune . In sintesi, fino a €10.000 annui per percettore, questi compensi sportivi erano completamente esenti da IRPEF, e non andavano nemmeno dichiarati dal percettore (erano redditi fiscalmente “esclusi”) .
  • Sulla parte di compensi eccedente la soglia esente (oltre 10.000 € annui), il regime previgente prevedeva una tassazione agevolata: l’ente sportivo erogante, in qualità di sostituto d’imposta, tratteneva una ritenuta fiscale del 23% a titolo d’imposta sulla quota eccedente fino a circa €30.658 annui . Tale ritenuta fissa (pari all’aliquota del primo scaglione IRPEF) era definitiva: il collaboratore sportivo non aveva ulteriori imposte né obbligo di inserire quella parte di reddito in dichiarazione . Solamente per importi eccezionalmente alti (oltre ~€30.658 annui), la parte ulteriore veniva assoggettata a ritenuta d’acconto del 23% e andava dichiarata e tassata con IRPEF ordinaria .

In pratica, fino a 10.000 €: zero tasse e zero adempimenti per il collaboratore; tra 10.000 e ~30.600 €: tassa forfettaria 23% alla fonte, senza dichiarazione; oltre ~30.600 €: l’eccedenza tassata come reddito ordinario (raro in ambito dilettantistico). Questo regime, introdotto originariamente nel 2000 (soglia di €7.500, poi elevata a €10.000 dal 2018) , mirava a semplificare la gestione fiscale delle piccole collaborazioni sportive e a incentivare le ASD/SSD a erogare rimborsi ai volontari senza oneri eccessivi.

Va evidenziato che tali agevolazioni si applicavano solo se erano rispettate le condizioni di legge: l’ente erogante doveva avere i requisiti formali di ente sportivo dilettantistico (affiliazione al CONI, statuto con clausole anti-lucro, etc.) e la prestazione doveva essere realmente dilettantistica, ossia non resa nell’ambito di un’attività professionale abituale del percettore . Abusi o irregolarità facevano decadere le agevolazioni: ad esempio, una ASD che pagava compensi troppo elevati (sproporzionati) rischiava di essere considerata commerciale e perdere il regime fiscale agevolato . La Corte di Cassazione ha affermato al riguardo un principio severo: pagare compensi significativamente superiori ai parametri del settore costituisce presunzione legale di distribuzione di utili ai soci, con conseguente perdita immediata della qualifica di ente non lucrativo e tassazione piena di tutti i proventi dell’ASD . In una recente ordinanza del 21 agosto 2025, ad esempio, la Cassazione ha cassato una sentenza di merito proprio perché non aveva applicato tale presunzione in un caso di compensi a dirigenti di ASD eccedenti del 20% i valori normali .

Dal punto di vista previdenziale, storicamente questi compensi dilettantistici erano esclusi anche da contributi INPS (essendo redditi diversi non professionali). Una norma del 2008 (art. 35 co.5 D.L. 207/2008 conv. L. 14/2009) confermava l’assenza di obblighi contributivi su tali compensi entro i limiti di esenzione fiscale . Tuttavia, se l’attività di fatto assumeva carattere professionale o subordinato, gli enti potevano subire contestazioni dall’INPS: i giudici hanno chiarito che l’onere di provare la genuina natura dilettantistica spetta all’associazione che invoca l’esenzione contributiva . In assenza di prova, prevalgono le regole ordinarie: se un istruttore svolgeva in realtà un lavoro continuativo, andava iscriversi e versare contributi come qualsiasi dipendente. Cassazione ha ribadito nel 2025 che istruttori sportivi retribuiti con continuità non possono essere considerati dilettanti esenti da contributi, ma vanno assoggettati a previdenza con obbligo per l’ASD di versare i contributi omessi . Questo aspetto (previdenziale) ha riflessi anche fiscali, come vedremo in seguito parlando delle riqualificazioni dei rapporti.

La riforma del 2023: nuova figura di lavoratore sportivo e soglia esente €15.000

A partire dal 1º luglio 2023 è entrata in vigore una sostanziale riforma del lavoro sportivo dilettantistico, attuata con il D.Lgs. 36/2021 (come correttivo della riforma dello sport). La riforma ha modernizzato l’inquadramento dei collaboratori sportivi dilettanti, introducendo la figura del “lavoratore sportivo” dilettante e modificando sia il trattamento fiscale che quello contributivo . In sintesi, dal 2023:

  • I compensi sportivi dilettantistici non rientrano più tra i redditi diversi, ma sono considerati redditi di lavoro a tutti gli effetti (subordinato o autonomo a seconda dei casi) . L’art. 36 del D.Lgs. 36/2021, comma 6, stabilisce infatti che «i compensi di lavoro sportivo nell’area del dilettantismo non costituiscono base imponibile ai fini fiscali fino all’importo complessivo annuo di €15.000. Qualora l’ammontare complessivo superi €15.000, esso concorre a formare il reddito del percipiente solo per la parte eccedente tale importo» . Si tratta dunque di una no tax area ampliata a €15.000 annui (rispetto ai precedenti 10k). Fino a 15.000 € in un anno, il collaboratore sportivo dilettante continua a non pagare IRPEF su quei compensi; oltre 15.000 €, solo la parte eccedente entra nel reddito imponibile cumulandosi con gli altri redditi e venendo tassata secondo le aliquote IRPEF ordinarie . In parallelo, è stata eliminata la precedente ritenuta agevolata del 23%: ora, superata la franchigia, si applica direttamente la tassazione ordinaria sul pezzo eccedente.
  • In pratica, sotto il nuovo regime post-2023: se un allenatore dilettante percepisce €20.000 in un anno, i primi 15.000 sono esenti, i restanti 5.000 vengono tassati come reddito di lavoro (dipendente o assimilato) con aliquota progressiva IRPEF . L’ASD o SSD dovrà in tal caso operare una ritenuta d’acconto su quella parte eccedente (ad esempio applicando il 20% se qualificato come co.co.co) che poi il collaboratore conguaglierà in dichiarazione . Non c’è più la “tassa piatta” 23% a titolo d’imposta sulla fascia intermedia: il vantaggio fiscale resta solo entro i 15k, oltre si entra nel regime normale .
  • La soglia di esenzione 15.000 € annui si applica già dall’anno d’imposta 2023 intero, grazie a una disciplina transitoria ad hoc. In altre parole, anche per il periodo 1º gennaio – 30 giugno 2023 (quando formalmente era ancora in vigore il vecchio regime) viene comunque riconosciuto il tetto di €15.000 per l’intero 2023 . Ciò è stato chiarito dal legislatore (art. 51 co.1-bis D.Lgs. 36/2021) e confermato dall’Agenzia delle Entrate in un interpello del 2023 . Ad esempio, se nel primo semestre 2023 un allenatore ha già percepito €10.000 esenti, nel secondo semestre avrà ancora €5.000 esenti e l’eventuale eccedenza oltre 15k sarà tassata . Dunque per il 2023 non si sommano due franchigie (10k+15k), ma vale un unico tetto annuale di 15.000 .
  • Vengono introdotti nuovi obblighi dichiarativi: il lavoratore sportivo dilettante deve rilasciare un’autocertificazione all’atto di ogni pagamento, dichiarando quanto ha già percepito in compensi sportivi in quell’anno . Ciò consente all’ente erogatore di monitorare il cumulo e sapere se con quella erogazione si supera la soglia esente. Rimane infatti onere del percettore controllare la somma dei compensi eventualmente ricevuti da più enti sportivi nel corso dell’anno .
  • Il rapporto di collaborazione sportiva dilettantistica viene formalizzato: l’art. 25 D.Lgs. 36/2021 ora prevede espressamente che tali collaborazioni possano essere configurate come lavoro subordinato part-time oppure come lavoro autonomo (anche coordinato e continuativo, i classici co.co.co) a seconda delle caratteristiche . Si chiude così la “zona grigia” per cui prima erano redditi diversi non catalogati; ora l’ASD/SSD inquadra formalmente il collaboratore come lavoratore (seppur con esenzione fiscale fino a un certo importo). È stata introdotta anche la possibilità di prestazioni sportive occasionali di breve durata, remunerate con voucher, entro certi limiti .
  • Sul fronte previdenziale, la riforma del 2023 segna una svolta: da luglio 2023 i collaboratori sportivi dilettanti (tranne coloro che prendono solo rimborsi spese documentati) diventano soggetti a contribuzione pensionistica. È istituito infatti il Fondo Pensione Sport presso la Gestione Separata INPS. Le nuove regole prevedono che nessun contributo è dovuto sui primi €5.000 annui, mentre sulla quota eccedente tale cifra scatta l’obbligo contributivo (con aliquote agevolate) . In pratica, un allenatore dilettante che guadagna ad es. €10.000 in un anno 2024, non paga contributi sui primi 5.000, ma versa contributi (parte a suo carico e parte a carico dell’ASD) sui successivi €5.000; se guadagna €20.000, paga contributi su 15.000 (eccedenza oltre 5k) e paga IRPEF sui 5.000 oltre 15k . Questo meccanismo fornisce una tutela previdenziale di base ai collaboratori senza però gravare i compensi minori.
  • Vengono introdotti anche nuovi adempimenti in materia di lavoro: ad esempio, le ASD/SSD devono iscrivere i collaboratori nel Registro dei Lavoratori Sportivi, comunicare l’instaurazione dei co.co.co sportivi al Centro per l’Impiego (seppur con modalità semplificate), ecc. . Di fatto il settore dilettantistico è stato in parte “professionalizzato”: molte ASD hanno dovuto regolarizzare i rapporti con contratti scritti e considerare il costo dei contributi, tanto che alcune hanno ridotto i compensi o rivisto le collaborazioni per sostenere il nuovo onere . Dall’altro lato, per i lavoratori è un vantaggio in termini di copertura pensionistica e assicurativa.

In conclusione sul quadro normativo: oggi (settembre 2025) un allenatore che collabora con un’ASD ha diritto a €15.000 annui esenti da IRPEF, ma se supera tale soglia dovrà dichiarare e pagare le tasse sulla parte eccedente, come qualsiasi altro lavoratore . Inoltre l’ASD dovrà regolarizzare il rapporto come lavoro sportivo e versare eventuali contributi INPS oltre i 5.000 € annui . Permane comunque una forte agevolazione fiscale entro i 15k che rende questo regime ancora molto vantaggioso rispetto a un rapporto di lavoro ordinario. Chi però in passato operava ai limiti della norma (es. istruttori pagati “in nero” spacciati per volontari) deve stare molto attento: i controlli sono aumentati e la giurisprudenza è chiara nel negare i benefici a chi non rispetta i requisiti sostanziali (come vedremo, l’onere di provare la reale natura dilettantistica grava sull’ente sportivo ).

Adempimenti fiscali delle associazioni sportive e regime 398/1991

Prima di passare ai controlli del Fisco, vale la pena ricordare brevemente gli obblighi fiscali in capo alle associazioni/società sportive dilettantistiche. Spesso dirigenti e allenatori ritengono (erroneamente) che, essendo tutto “esente” o decommercializzato, l’ASD non debba presentare dichiarazioni dei redditi. Non è così: tutte le ASD/SSD devono presentare la dichiarazione annuale dei redditi (modello Redditi ENC), anche se non hanno redditi imponibili, in base all’art. 1 del DPR 600/73 . La Cassazione ha ribadito nel 2024 che l’obbligo dichiarativo permane anche per gli enti in regime forfetario Legge 398/1991, i quali devono indicare i proventi istituzionali “decommercializzati” in dichiarazione, sebbene non tassabili . L’omessa presentazione della dichiarazione da parte di un’ASD costituisce violazione (anche solo formale, sanzionata con minimo €250) e, se l’ente in realtà svolgeva attività commerciale, può configurare addirittura reato tributario in caso di evasione rilevante .

Il regime agevolato Legge 398/1991 permette alle ASD/SSD di pagare imposte ridotte sulle attività commerciali (sponsorizzazioni, pubblicità, vendita biglietti, etc.) e di tenere contabilità semplificata. Ma non esonera dall’obbligo di dichiarare tali proventi e di rispettare i requisiti associativi. Un ente che abusa dello schema associativo per operare come un’azienda a scopo di lucro, senza la sostanza del no-profit (niente vita associativa reale, clienti non soci, distribuzione di utili mascherata), rischia di essere riqualificato come ente commerciale a tutti gli effetti: in tal caso perde le agevolazioni 398/91 retroattivamente e viene tassato con IRES, IVA, IRAP ordinarie su tutti i proventi, con aggiunta di sanzioni e potenziali responsabilità penali dei legali rappresentanti . Lo sottolineiamo perché molti allenatori dilettanti operano all’interno di ASD: se l’ASD viene “smascherata” dal Fisco come attività commerciale, anche i compensi agli allenatori possono essere ridefiniti (ad esempio come normali stipendi) con recupero di imposte e contributi.

In sintesi, per un allenatore sportivo è fondamentale sapere in quale contesto opera: se in ambito dilettantistico genuino (con ente riconosciuto e regola d’arte) oppure in situazioni borderline. Nel secondo caso, in sede di accertamento fiscale le autorità tributarie potrebbero disconoscere le agevolazioni sia per l’ente che per i collaboratori. Ciò premesso, passiamo ora a esaminare come e perché scatta un accertamento fiscale in questo settore.

Controlli fiscali nel settore sportivo: cause tipiche di accertamento

Quando e perché il Fisco può contestare compensi sportivi non dichiarati? Le situazioni sono diverse. In generale, l’Agenzia delle Entrate dispone oggi di numerosi strumenti di controllo incrociato che rendono piuttosto facile individuare anomalie . Ad esempio, attraverso le Certificazioni Uniche (CU) inviate annualmente dalle ASD/SSD, l’Agenzia sa chi ha percepito compensi sportivi e per quali importi . Incrociando questo dato con le dichiarazioni dei redditi, emergono immediatamente eventuali compensi non dichiarati dal percipiente. Inoltre, con l’ausilio dello “spesometro” (ora sostituito dalla fatturazione elettronica), dei dati dei conti bancari (anagrafe dei conti), e delle informazioni del Registro CONI, il Fisco può scoprire entrate non dichiarate sia da parte dell’ente sportivo sia da parte del singolo allenatore . La Guardia di Finanza, dal canto suo, svolge verifiche mirate nel mondo sportivo: ad esempio, può presentarsi presso la sede di un’ASD (palestra, impianto sportivo) e controllare libri sociali, registri degli iscritti, ricevute emesse, contratti con istruttori, per verificare se tutto corrisponde a un’attività dilettantistica genuina o se ci sono elementi di attività commerciale nascosta . Durante questi controlli di polizia tributaria, spesso emergono indizi come: compensi pagati in nero a istruttori non registrati ufficialmente, incassi in contanti non tracciati, clientela non associata (persone che pagano per servizi sportivi senza essere soci, indice di attività commerciale) , oppure mancate fatturazioni di sponsor/pubblicità da parte della ASD . Tutti elementi che poi vengono segnalati all’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti del caso.

Riassumendo, le cause più comuni che portano a un accertamento fiscale verso un allenatore sportivo (o la sua ASD) sono le seguenti:

  • Superamento della soglia di esenzione senza adeguata tassazione: è il caso classico del collaboratore che eccede il limite annuo esente (7.500/10.000 € fino al 2022, 15.000 € dal 2023) ma non dichiara né versa le imposte dovute sulla parte eccedente . Ad esempio, un allenatore dilettante percepisce €12.000 nell’anno 2022 da una ASD; i primi 10.000 erano esenti, ma sugli ulteriori 2.000 la ASD avrebbe dovuto applicare la ritenuta 23% e l’allenatore avrebbe comunque dovuto dichiararli. Se ciò non è avvenuto (magari per ignoranza o negligenza), risulteranno €2.000 di redditi non dichiarati. L’Agenzia lo scopre incrociando i dati: la ASD, infatti, dovrebbe aver comunicato in CU o 770 l’importo pagato; confrontandolo col 730/Redditi dell’allenatore, scatta l’accertamento per IRPEF evasa su €2.000 . Allo stesso modo nel nuovo regime: se un istruttore percepisce €18.000 nel 2024 e non dichiara i 3.000 € eccedenti la soglia di 15k, quei 3.000 sono un reddito occultato. Questo tipo di violazione viene spesso rilevato tramite controlli automatizzati o formali su dichiarazioni e CU, con emissione di comunicazioni di irregolarità o direttamente avvisi di accertamento. Si tratta quindi di uno scenario frequentissimo, spesso frutto di scarsa consapevolezza delle regole da parte dei contribuenti.
  • Mancata presentazione della dichiarazione dei redditi (quando dovuta): molti collaboratori sportivi dilettanti, ritenendosi integralmente esenti, non presentavano affatto la dichiarazione annuale. Finché i compensi non superavano mai le soglie e le ritenute coprivano l’eccedenza, ciò era generalmente lecito (non c’era imposta dovuta, quindi niente obbligo dichiarativo). Tuttavia, se anche solo €1 risulta imponibile, scatta l’obbligo di presentare il modello Redditi . Ad esempio, chi ha percepito €12.000 nel 2022 (esempio sopra) avrebbe dovuto presentare la dichiarazione in quanto c’era IRPEF dovuta su €2.000. La mancata presentazione viene contestata come dichiarazione omessa, con relative sanzioni. Dal 2024 in poi, questa situazione sarà ancor più diffusa, perché con il regime nuovo ogni percettore di oltre 15.000 € annui dovrà dichiarare l’eccedenza (non c’è più ritenuta d’imposta risolutiva) . Inoltre, se l’allenatore aveva anche altri redditi che lo obbligavano comunque (es. un lavoro dipendente principale), l’omissione nella dichiarazione dei compensi sportivi può configurare dichiarazione infedele (dichiarazione presentata ma incompleta) . Insomma, l’Agenzia Entrate presta particolare attenzione a chi non ha presentato il dichiarativo ma risultava avere compensi oltre soglia, oppure a chi lo ha presentato omettendo questi redditi.
  • Compensi erogati da enti non qualificati (o oltre ambito): l’agevolazione fiscale si applica solo se il pagatore è un ente sportivo dilettantistico riconosciuto (CONI, Federazione, Ente di Promozione, ASD/SSD iscritta) . Se invece l’allenatore viene pagato da un soggetto non riconosciuto (es. una società non sportiva, un’associazione culturale non affiliata al CONI, o un privato), quei compensi non rientrano nell’esenzione art.67, co.1, m). Un caso tipico: una palestra gestita de facto da una SRL commerciale, che però paga gli istruttori facendoli figurare come compensi sportivi da un’associazione di facciata. Oppure una ASD che ha perso l’iscrizione al CONI ma continua ad operare. In tali casi, il Fisco considera quei compensi come redditi ordinari (lavoro autonomo occasionale, o lavoro dipendente, a seconda dei fatti) e contesterà la mancata tassazione . Anche qui Cassazione è chiara: l’affiliazione formale al CONI è condizione necessaria ma non sufficiente per le agevolazioni; tuttavia, se manca l’iscrizione, automaticamente niente regime di favore . Dunque i compensi pagati da un ente non qualificato diventano pienamente imponibili. In sede di accertamento ciò emerge perché l’Agenzia verifica lo status giuridico dell’erogatore: ad es., se Tizio ha ricevuto 5.000 € da una SRL non sportiva, non può invocare l’art.67 m) e dovrà pagarci le imposte. Parallelamente, la società erogante verrà sanzionata per non aver operato ritenute da lavoro, ecc.
  • Riqualificazione del rapporto come lavoro professionale o subordinato: questa è una causa spesso innescata dall’autorità previdenziale (INPS), ma che ha forti riflessi fiscali. Capita quando un’ASD impiega stabilmente degli allenatori/istruttori come se fossero dipendenti, ma li retribuisce come “dilettanti”. Se dall’istruttoria (magari a seguito di un’ispezione del lavoro) emerge che l’allenatore svolgeva un’attività abituale, con orari e direttive tipiche di un lavoratore dipendente, allora quell’accordo verrà riqualificato come vero rapporto di lavoro subordinato. Conseguenze: l’ASD doveva sin dall’inizio versare i contributi INPS e operare le ritenute IRPEF sullo stipendio, come un normale datore di lavoro . I compensi che pensava esenti diventano invece redditi di lavoro dipendente, con tassazione progressiva. La Cassazione 2025 ha affrontato un caso del genere: istruttori e segretarie di un ente sportivo erano formalmente “dilettanti”, ma in realtà lavoravano con continuità e sottoposti a direttive; la Corte ha confermato la riqualificazione in lavoro vero e proprio, negando l’esenzione fiscale . In pratica, l’INPS ha richiesto i contributi omessi e l’Agenzia delle Entrate (spesso su segnalazione INPS) ha recuperato le imposte sui compensi, con sanzioni per ritenute non operate . L’allenatore, dal canto suo, può trovarsi improvvisamente debitore d’imposta perché ciò che credeva non tassato per legge diventa tassato ex post. Come difendersi? In casi simili l’unica strada è contestare la riqualificazione stessa, cercando di provare che non c’erano gli indici di subordinazione/professionalità (ad es. l’istruttore era realmente autonomo, decideva lui tempi e modi, ecc.). Se la riqualificazione è fondata, infatti, c’è poco scampo: l’accertamento fiscale sarà conseguente al nuovo inquadramento.
  • Compensi non dichiarati da allenatori professionisti*: finora abbiamo parlato di dilettanti, ma anche un allenatore in ambito professionistico può omettere di dichiarare parte dei redditi. Ad esempio un preparatore atletico con *partita IVA potrebbe aver effettuato prestazioni pagate in nero da privati (lezioni private, coaching personale) e non averle fatturate. Oppure, un allenatore di una squadra professionistica potrebbe aver ricevuto dal club dei fringe benefit o bonus non risultanti dal contratto ufficiale, e quindi non dichiarati. In questi casi il Fisco può scoprirlo attraverso vari indizi: movimentazioni bancarie anomale, segnalazioni di spese rilevanti incompatibili col reddito dichiarato, oppure verificando la contabilità del club (ad es. scoprendo che la società sportiva ha pagato l’affitto di casa all’allenatore, configurando un reddito in natura per quest’ultimo). Un caso concreto: la Cassazione ha esaminato la posizione di un noto calciatore in un’accertamento dove il club gli aveva pagato direttamente il procuratore (oltre 1,2 milioni di euro); ciò è stato considerato un fringe benefit imponibile per l’atleta, che lui avrebbe dovuto dichiarare, e la Corte ha confermato la sanzione per omessa dichiarazione a suo carico, sottolineando che l’ignoranza del contribuente sul beneficio ricevuto non lo esenta dalla responsabilità . Lo stesso ragionamento vale per un allenatore: se il club gli paga spese personali (auto aziendale ad uso privato, affitto, premi extra contrattuali) queste somme sono reddito imponibile per il tecnico e ometterle è violazione. L’Agenzia può recuperare l’IRPEF dovuta e sanzionare l’allenatore, anche se la società sportiva ha eventualmente regolarizzato versando le imposte come sostituto . Quindi per i coach professionisti l’attenzione va posta sia ai compensi “ufficiali” sia ai vantaggi economici collaterali: entrambi devono essere dichiarati.
  • Indagini finanziarie sui conti bancari: un potentissimo strumento in mano al Fisco è l’accertamento bancario. L’Agenzia (o la Guardia di Finanza) può ottenere dagli istituti di credito i movimenti sui conti correnti intestati all’allenatore (o anche a suoi familiari/società, se sospetta intrecci) e analizzarli. La legge (art. 32, co.1 n.2 DPR 600/1973) prevede una presunzione legale molto incisiva: i versamenti riscontrati sul conto, se il contribuente non li giustifica, si presumono redditi imponibili sottratti a tassazione . In pratica, sta al contribuente provare che quelle somme versate sul conto non sono ricavi/compensi (ma magari trasferimenti tra propri conti, risparmi pregressi, donazioni esenti, restituzioni di prestiti, ecc.) . Se non fornisce una prova adeguata, l’intero importo viene considerato reddito occulto e tassato di conseguenza . Questa presunzione vale anche per le persone fisiche non imprenditori (la Cassazione la applica pure ai privati, ormai stabilmente ). Dunque, se un allenatore dilettante presenta movimenti bancari incompatibili coi suoi redditi dichiarati, l’ufficio può colpire: ad esempio, tanti bonifici ricevuti da allievi o genitori degli atleti potrebbero indicare pagamenti “in nero” per lezioni, se l’allenatore non li ha dichiarati. Oppure, se un trainer professionista con P.IVA dichiara 10.000 € l’anno ma sul conto ne passano 30.000, dovrà convincere il Fisco della provenienza lecita dei restanti 20.000 (magari erano risparmi accumulati in anni precedenti, oppure prestiti familiari). Le indagini bancarie spesso portano alla luce somme non dichiarate molto maggiori rispetto ai controlli su CU/dichiarazioni, specialmente per quei contribuenti che operano per contanti o su circuiti informali. Va detto che prima di emettere un avviso basato su dati bancari, l’ufficio deve invitare il contribuente al contraddittorio: tipicamente invia un questionario o una convocazione chiedendo spiegazioni per ogni accredito sospetto. È cruciale rispondere puntualmente a tale invito, fornendo documenti (es. se un versamento era un regalo di matrimonio, allegare lettera/dichiarazione di chi l’ha fatto) perché in giudizio dopo potrebbe essere tardi per nuove giustificazioni. In ogni caso, la regola è: ogni movimento non chiarito è un reddito tassabile presunto .
  • Accertamento sintetico del reddito (“redditometro”): un’altra modalità di accertamento, usata in passato soprattutto, è quella sintetica ex art. 38 DPR 600/73. Consiste nel ricostruire il reddito del contribuente in base alle spese sostenute e al tenore di vita. Se per due anni consecutivi il reddito presunto (calcolato su auto possedute, case, viaggi, ecc.) supera di oltre il 20% il reddito dichiarato, il Fisco può determinare un maggior reddito e pretenderne le imposte . Questo strumento – noto come redditometro – è stato molto discusso, sospeso e riformulato negli anni recenti. Attualmente può essere utilizzato con criteri più selettivi e previo contraddittorio col contribuente. Un allenatore sportivo potrebbe esserne destinatario se, ad esempio, dichiara redditi modesti ma acquista immobili, auto costose o ha spese incompatibili (es. un allenatore dilettante dichiara zero ma compra una Porsche). In tal caso l’ufficio avvia un accertamento sintetico e chiede di spiegare con quali redditi si sono finanziate quelle spese. Il contribuente, per difendersi, dovrà provare che ha utilizzato denaro non imponibile (risparmi accumulati in passato, eredità, vincite, redditi esenti, ecc.). La legge gli riconosce espressamente questa possibilità di prova contraria (art. 38, co.6 DPR 600/73). Ad esempio, se l’allenatore dimostra che l’auto l’ha pagata coi risparmi di 10 anni di lavoro precedente già tassato, l’accertamento sintetico dovrà esserne preso atto . Diversamente, scatterà la tassazione. Da notare che la procedura del redditometro impone obbligatoriamente un invito al contraddittorio: l’Agenzia deve convocare il contribuente prima di emettere l’atto, esponendogli le risultanze e ascoltando le sue giustificazioni . La Cassazione ha ritenuto che la mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale in questi casi comporta la nullità dell’accertamento . Pertanto, se un allenatore riceve un avviso basato sul redditometro senza essere stato previamente interpellato, potrà eccepirne l’illegittimità per violazione dello Statuto del Contribuente.

In sintesi, gli accertamenti fiscali su allenatori e ASD sorgono soprattutto per: compensi non dichiarati oltre soglia, omessa dichiarazione, abuso dello status dilettantistico (enti non qualificati o rapporti in realtà professionali), e anomalie finanziarie (entrate in conto non spiegate, spese incoerenti). Molte volte si tratta di irregolarità commesse in buona fede o per scarsa chiarezza normativa (specie in passato). Tuttavia, il Fisco negli ultimi anni, anche a seguito di alcune frodi nel settore sportivo, ha intensificato i controlli e la giurisprudenza gli ha fornito robusti strumenti presuntivi (bancari, sintetici). Il contribuente non deve farsi trovare impreparato: nel prossimo capitolo vedremo come si svolge l’iter di un accertamento fiscale e quali sono i diritti di difesa da esercitare in ogni fase.

Procedura di accertamento fiscale: fasi, garanzie e tempi

Affrontare un accertamento fiscale richiede di conoscere le fasi procedurali previste dalla legge, così da poter far valere i propri diritti in ciascuna di esse. Le norme di riferimento sono il D.P.R. 600/1973 (per le imposte sui redditi) e lo Statuto dei Diritti del Contribuente (L. 212/2000), che fissano garanzie importanti. Ecco le tappe tipiche di un accertamento fiscale in materia di compensi sportivi (che, in generale, ricalcano quelle di qualunque verifica tributaria):

1. Verifica fiscale (accesso, ispezione, acquisizione documenti): spesso l’innesco è un controllo presso la sede dell’ASD/SSD o presso il domicilio del contribuente. Ad effettuare la verifica può essere la Guardia di Finanza (Nucleo di polizia economico-finanziaria) oppure funzionari dell’Agenzia delle Entrate. L’accesso deve avvenire in orari di ufficio e con ordine di accesso esibito, come garantito dallo Statuto del Contribuente . Durante l’ispezione, i verificatori possono esaminare libri contabili e sociali, estratti conto bancari, ricevute, contratti con allenatori, statuti associativi, ecc. . Possono anche raccogliere dichiarazioni e testimonianze: ad esempio, in un controllo INPS per verificare se un istruttore era dipendente, la GdF può verbalizzare le dichiarazioni dell’istruttore o di altre persone sulle modalità della prestazione . Queste testimonianze, oggi, sono utilizzabili anche nel giudizio tributario grazie alla recente riforma (d.lgs. 130/2022) che ha ammesso la prova testimoniale in Commissione in taluni casi – elemento di novità che rafforza i riscontri fattuali. Durante la verifica, è buona prassi per l’ente/allenatore collaborare ma anche iniziare a predisporre eventuali controdeduzioni: ogni documento rilevante a discolpa (es. ricevute di versamenti d’imposta, contratti che chiariscono la posizione) andrebbe esibito subito o comunque annotato. La durata della verifica può variare: se non si conclude in giornata, i funzionari possono proseguirla fuori sede analizzando la documentazione acquisita; in ogni caso, per legge, non possono tratteneresi oltre 30 giorni lavorativi (prorogabili in casi complessi) presso la sede del contribuente.

2. Processo Verbale di Constatazione (PVC): al termine della verifica (sia essa in loco o in ufficio), viene redatto un verbale denominato PVC, che riepiloga tutti i rilievi riscontrati. Questo è un documento chiave: elenca i fatti accertati (es. “Tizio ha percepito €X non dichiarati nell’anno Y”; “l’ASD non ha esibito libro soci; si presume distribuzione utili”; “Caio allenatore era di fatto dipendente, non applicata ritenuta né contributi”) . Il PVC viene formalmente notificato al contribuente, di solito consegnato a mano al legale rappresentante dell’ASD o inviato via PEC. Da quel momento scattano importanti garanzie difensive: l’art. 12, comma 7, L. 212/2000 prevede infatti che il contribuente ha 60 giorni di tempo dalla notifica del PVC per presentare osservazioni e richieste, e l’ufficio non può emettere l’avviso di accertamento prima di tale termine (salvo casi eccezionali di particolare urgenza) . Questo periodo di 60 giorni serve proprio a consentire un contraddittorio endoprocedimentale: in pratica, l’allenatore o l’ASD possono inviare all’Ufficio fiscale una memoria difensiva dove contestano le conclusioni del PVC, fornendo ulteriori prove a loro favore. È un passaggio fondamentale: talvolta l’Agenzia, ricevute le memorie, può riesaminare la posizione e archiviare o ridurre alcune contestazioni in autotutela (cioè senza neppure arrivare all’atto impositivo) . Ad esempio, se nel PVC si sostiene che la ASD ha omesso €5.000 di ricavi del bar interno, l’ASD nei 60 giorni può dimostrare con documenti contabili che in realtà quel bar era in perdita (più costi che ricavi) e che l’ufficio ha male interpretato i dati . Tutto ciò va scritto e inviato: meglio ancora se tramite un professionista che imposti bene le argomentazioni giuridiche. Il tempo dei 60 giorni va sfruttato appieno perché, scaduto, l’ufficio presumibilmente tirerà dritto con l’accertamento.

3. Emissione dell’Avviso di Accertamento*:* decorsi i 60 giorni (o anche esattamente allo scadere, se l’ufficio non intende accogliere nulla), l’Agenzia delle Entrate può emanare l’atto formale di accertamento. L’avviso di accertamento è il provvedimento con cui si quantificano le maggiori imposte dovute, le relative sanzioni amministrative e gli interessi. Deve essere motivato, cioè spiegare chiaramente su quali elementi si basa (spesso richiamando dettagliatamente il PVC). Viene notificato al contribuente via PEC o tramite raccomandata notificata dall’ufficiale giudiziario o messo a disposizione nell’area riservata online (per i soggetti obbligati alla fatturazione elettronica). Una volta ricevuto l’avviso, il contribuente ha generalmente 60 giorni per reagire. Nel nostro contesto di compensi sportivi, l’avviso può riguardare vari tributi: tipicamente IRPEF e addizionali per il percettore persona fisica; IVA, IRES, IRAP per la ASD se questa viene considerata ente commerciale; ritenute non versate per la ASD in qualità di sostituto d’imposta, ecc.. È possibile che, da una stessa verifica, scaturiscano più avvisi: ad esempio uno all’allenatore per IRPEF evasa, e uno alla ASD per le ritenute omesse su quei compensi e per l’IVA non versata sulle sponsorizzazioni, ecc.

Contestualmente all’avviso, l’Agenzia invita il contribuente a versare le somme o almeno una percentuale di esse a titolo cautelativo. Fino a qualche anno fa, chi presentava ricorso doveva pagare 1/3 delle imposte accertate come condizione di ammissibilità; oggi non è più così (dal 2022 l’obbligo di versamento provvisorio è stato abolito per importi sotto 50.000 € e comunque semplificato), ma nella pratica l’Agenzia suggerisce sempre di versare spontaneamente una parte per evitare successive azioni esecutive. Ad esempio, nell’avviso potrebbe esserci scritto: “se intende definirlo per acquiescenza, versi 1/3 delle sanzioni entro 60 giorni” oppure “in caso di ricorso, ai sensi dell’art.15 DLgs 218/97 si invita a versare il 50% dell’imposta accertata”. Sono indicazioni standard. L’importante è capire che entro 60 giorni dalla notifica l’accertato deve decidere che fare: pagare, aderire o ricorrere (vedi punto successivo).

4. Reazione del contribuente: pagamento, deflazione o ricorso. Ricevuto l’avviso, ci sono vari scenari:

  • Pagamento integrale (eventualmente con acquiescenza agevolata): se l’allenatore o l’ASD decidono di non contestare l’accertamento (perché magari riconoscono l’errore e vogliono chiudere subito), possono pagare il dovuto entro 60 giorni. In tal caso scatta il beneficio dell’acquiescenza: le sanzioni amministrative vengono ridotte a 1/3 del minimo . Ad esempio, una sanzione del 120% verrebbe ridotta al 40%. Questo è previsto dall’art. 15 del D.Lgs. 218/1997. L’acquiescenza comporta rinuncia al ricorso: pagando, si accetta l’accertamento e lo si rende definitivo. Conviene farlo solo se l’atto è fondato e l’importo non troppo elevato, o se non si hanno margini di difesa convenienti. Nel contesto dei compensi sportivi, l’acquiescenza può essere opportuna ad es. per sanare annualità pregresse evitando il contenzioso, soprattutto se c’è già una nuova normativa più favorevole in vigore (pensiamo a chi nel 2022 ha sforato di poco i 10k: potrebbe accettare di pagare quell’imposta minima con sanzioni ridotte, anche in vista che dal 2023 non avrà più quel problema fino a 15k).
  • Accertamento con adesione: è uno strumento deflattivo che consente di negoziare con l’ufficio un accordo. Il contribuente può presentare entro 60 giorni una istanza di adesione (D.Lgs. 218/1997) che sospende i termini per ricorrere e avvia una fase di dialogo . In uno o più incontri, l’allenatore (o il suo difensore) e i funzionari dell’Agenzia discutono i rilievi e possono giungere a un compromesso: ad esempio riducendo l’imponibile contestato o riconoscendo alcune spese deducibili, ecc. In caso di accordo, si firma un atto di adesione con l’ammontare concordato e il contribuente paga (anche a rate) quanto dovuto, beneficiando per legge della sanzione ridotta a 1/3 del minimo . L’adesione è molto vantaggiosa perché solitamente l’ufficio – pur di chiudere – concede sconti sia sul merito sia sulle sanzioni. Esempio: per un reddito non dichiarato di 10.000 €, con imposta evasa 2.300 € e sanzione base 100% = 2.300 €, in adesione si potrebbe accordare che il reddito evaso era in realtà 8.000 (tenuto conto di costi non considerati) e applicare sanzione al 90% ridotta a 1/3 = 30%. Così il contribuente pagherebbe magari 1.840 € di imposta + 552 € di sanzione invece di 2.300+2.300. N.B.: presentare istanza di adesione estende il termine per fare ricorso da 60 a 150 giorni, quindi conviene sempre provarci se c’è materia, fosse altro per guadagnare tempo. Nel nostro tema, l’adesione può permettere di discutere ad esempio l’applicazione di attenuanti, o la non intenzionalità, o valori più bassi di quelli presunti. È uno strumento altamente consigliato quando l’accertamento non è totalmente campato in aria.
  • Reclamo e mediazione tributaria: si tratta di un altro istituto deflattivo (art. 17-bis D.Lgs. 546/92) che, fino al 2023, era obbligatorio per le liti di valore fino a €50.000 . In pratica il contribuente doveva presentare un reclamo all’ufficio prima di andare in Commissione, e l’ufficio poteva accogliere, mediare o rifiutare. Dal 2024 questa mediazione non è più obbligatoria per i nuovi ricorsi, ma rimane facoltativa su base volontaria . Ciò significa che oggi, se l’allenatore vuole, può comunque presentare un ricorso in via amministrativa chiedendo una mediazione all’Agenzia, la quale potrebbe – ad esempio – annullare parzialmente l’atto o ridurre sanzioni per evitare il processo. Se però non lo fa, il contribuente potrà proseguire il contenzioso. In sostanza, l’adesione e la mediazione sono due vie parallele: l’adesione è negoziale prima del ricorso, la mediazione era un tentativo dopo aver notificato il ricorso ma prima del giudice. Con la riforma, si è preferito snellire il tutto, lasciando l’adesione come principale strumento pre-contenzioso. Comunque, in caso di esito positivo, la mediazione comporta la riduzione delle sanzioni al 35% (cioè 1/3 del minimo + un ulteriore abbattimento).
  • Ricorso in Commissione Tributaria: se non si trova un accordo o non si vuole accettare l’atto, resta la via del ricorso giurisdizionale. Il contribuente deve presentare entro 60 giorni (estesi a 150 se ha tentato adesione) un ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (dal 2023 rinominata Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado). Nel ricorso si indicano i motivi per cui l’accertamento è illegittimo o infondato. La presentazione del ricorso sospende automaticamente la riscossione fino alla sentenza di primo grado per le somme eccedenti la eventuale soglia del versamento provvisorio (che come detto è stata abolita per importi modesti). Nel ricorso il contribuente può anche chiedere la sospensione dell’atto se il pagamento immediato gli causerebbe un danno grave, ma ciò va motivato e richiesto al giudice. La causa tributaria, specie per questioni non semplici, può durare alcuni anni attraverso i gradi di giudizio. È quindi sempre bene valutare i pro e contro del contenzioso, magari tentando prima le soluzioni deflattive sopra dette.

Tempistiche (decadenza) degli accertamenti: per completezza segnaliamo che l’Agenzia deve emettere l’avviso di accertamento entro termini di decadenza stabiliti dalla legge. In generale, per le imposte sui redditi vale il termine del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (o sarebbe dovuta). Se la dichiarazione è stata omessa, il termine si estende al settimo anno. Ad esempio, per redditi 2019 dichiarati, c’è tempo fino al 31/12/2025; se il 2019 non fu dichiarato pur dovendo, fino al 31/12/2026 . Per l’IVA e altre imposte i termini sono analoghi. Inoltre, eventuali procedimenti penali per reati tributari possono prorogare di un raddoppio i termini (ma solo se la notizia di reato è precedente alla scadenza normale). Questi dettagli diventano rilevanti se si eccepisce in giudizio la decadenza dell’azione accertatrice, ma nel contesto di un allenatore con redditi non dichiarati di solito gli atti arrivano entro i termini.

Abbiamo visto le opzioni difensive iniziali. Nei paragrafi successivi approfondiremo sia gli strumenti deflattivi (autotutela, adesione, ecc.) sia la difesa nel merito in giudizio, indicando quali argomenti e prove può spendere un allenatore/ASD per far valere le proprie ragioni.

Strumenti deflattivi e soluzioni pre-contenziose

Prima di arrivare davanti a un giudice tributario, il contribuente ha a disposizione alcune strategie “deflattive” per evitare o chiudere anticipatamente la lite, spesso con benefici sulle sanzioni. Ne abbiamo già accennato: qui le esaminiamo nel dettaglio dal punto di vista pratico.

Autotutela: correzione o annullamento da parte dell’ufficio

L’autotutela è il potere/dovere della Pubblica Amministrazione di correggere i propri atti quando risultino errati o illegittimi. In campo tributario, l’autotutela viene attivata su istanza del contribuente (o d’ufficio raramente) per ottenere l’annullamento totale o parziale di un avviso di accertamento senza dover ricorrere in Commissione . Quando invocarla? Nei casi di errori evidenti: ad esempio, calcoli sbagliati, persona scambiata per un’altra, importi già pagati ma contestati di nuovo, applicazione di una norma palesemente errata. Se un allenatore ritiene che l’ufficio abbia commesso un errore del genere, può presentare in qualsiasi momento (anche oltre i 60 gg) un’istanza in carta libera spiegando l’errore e chiedendo l’annullamento in autotutela. L’ufficio non è obbligato ad accogliere, ma se la ragione è fondata spesso lo fa, perché comunque in un eventuale ricorso perderebbe. Ad esempio, se l’accertamento pretende IRPEF su €5.000 ma l’allenatore può provare con ricevute che su quei 5.000 c’era già stata ritenuta d’imposta versata dalla ASD, questo va segnalato: l’Agenzia potrebbe annullare la quota per doppia imposizione. Attenzione però: l’autotutela non sospende i termini per ricorrere. Quindi, se l’ufficio non risponde in tempo, si deve comunque fare ricorso entro 60 gg, altrimenti l’atto diviene definitivo. In sostanza, l’autotutela è un tentativo parallelo e non alternativo al ricorso. Vale la pena farla quando c’è un caso lampante o documenti risolutivi non considerati. Dal nostro punto di vista “difensivo”, fare un’istanza di autotutela ben circostanziata può anche aiutare successivamente in giudizio: se l’Agenzia la ignora, il giudice potrà valutare negativamente questo, specie se l’errore era macroscopico.

Accertamento con adesione: negoziare con il Fisco

Come spiegato, l’adesione è lo strumento principe per negoziare col Fisco. Conviene quasi sempre presentare l’istanza di accertamento con adesione (allegando copia dell’avviso) entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto . L’ufficio vi convocherà (in genere dopo qualche mese) per una discussione. In preparazione dell’incontro, è essenziale predisporre una strategia: cosa possiamo concedere e cosa chiediamo? Esempi di elementi negoziabili nel caso di compensi sportivi:

  • Quantum dei compensi non dichiarati: se l’accertamento si basa su presunzioni (es. movimenti bancari, stime), si può far presente all’ufficio eventuali dimostrazioni parziali. Magari non si riesce a giustificare tutto, ma si portano prove per giustificare una parte dei versamenti sul conto. L’ufficio potrebbe “ricalcolare” il reddito occulto in misura inferiore.
  • Non intenzionalità e buona fede: spesso gli allenatori dilettanti invocano di aver agito in buona fede seguendo prassi diffuse (es. “pensavo che sotto 10.000 € non dovessi fare nulla”). Pur non essendo una scusante che annulla l’imposta, può essere usata per chiedere una riduzione delle sanzioni al minimo. In adesione, i funzionari hanno un margine di discrezionalità nell’applicare attenuanti: ad esempio potrebbero concordare sanzioni al 90% invece che 150%. Poi per legge queste si ridurranno di 1/3.
  • Pagamenti rateali: se l’importo accertato è elevato, si può discutere un piano di rateazione (fino a 8 rate trimestrali, o 16 se importo > €50.000). L’adesione consente il pagamento dilazionato.
  • Definizione di altri anni fiscali: talvolta, se ci sono posizioni analoghe in anni contigui non ancora controllati, si può proporre di definire anche quelli per avere una “pace fiscale” complessiva. Ad esempio: “riconosco di aver sforato la soglia anche nel 2021 e 2022, facciamo un’adesione cumulativa su tre anni con riduzione sanzioni”. Questo evita futuri accertamenti a sorpresa.

Durante l’incontro di adesione, che è informale, è importante mantenere un atteggiamento collaborativo ma fermo sui punti essenziali. Se si raggiunge un accordo, si formalizza tutto per iscritto. Se non ci si accorda, si può comunque proseguire col ricorso, senza alcun aggravio (il tentativo non pregiudica niente).

Reclamo e mediazione tributaria: volontaria dal 2024

Come visto, dal 2024 il reclamo-mediazione non è più un passaggio obbligato. Tuttavia, può ancora essere utile presentare un reclamo se si ritiene di poter convincere direttamente l’ufficio. In pratica, il reclamo è un ricorso anticipato: si scrive un atto indirizzato all’Agenzia delle Entrate (non al giudice) in cui si spiegano i motivi di illegittimità dell’accertamento e, contestualmente, si può formulare una proposta di mediazione, ad esempio accettare di pagare il 50% del dovuto. L’ufficio locale valuterà e, se la proposta è ragionevole, potrebbe accoglierla. Se la ignora o la rifiuta, trascorsi 90 giorni il reclamo si considera rigettato e si può allora depositare il ricorso vero e proprio in Commissione (il termine di 60 gg resta sospeso per 90 in attesa della risposta). Vantaggi: la mediazione se riesce comporta sanzioni ridotte al 35% e chiusura veloce; inoltre mostra al giudice, in caso di successivo processo, che il contribuente era disponibile a conciliare. Svantaggi: allunga un po’ i tempi (3 mesi in più) e richiede uno sforzo argomentativo simile a quello del ricorso (quindi costi professionali pressoché identici). Nel nostro caso, si potrebbe ad esempio usare il reclamo per evidenziare all’ufficio profili di illegittimità dell’atto (procedurali) sperando che preferiscano annullare in autotutela piuttosto che rischiare una causa. Diciamo che l’adesione rimane lo strumento prioritario; il reclamo/mediazione è aggiuntivo, oggi facoltativo.

Altre soluzioni: ravvedimento operoso ex post e conciliazione giudiziale

Un cenno merita il ravvedimento operoso, che però è utilizzabile prima che l’accertamento arrivi. Se un allenatore si rende conto spontaneamente di non aver dichiarato un reddito (ad esempio, a novembre 2024 si accorge di aver sforato i 15k e non averlo indicato nel 730 fatto a maggio), può presentare una dichiarazione integrativa e versare la maggiore imposta con sanzioni ridotte (anche al 15% invece del 90% se entro un anno) . Il ravvedimento fatto prima della notifica di qualunque controllo estingue l’illecito amministrativo con forte sconto e soprattutto esclude a priori i reati tributari (per definizione non c’è più evasione dolosa se si è autodenunciata e sanata la violazione). Quindi è sempre consigliabile, potendo, anticipare l’amministrazione: appena ci si accorge di un errore, ravvedersi. Tuttavia, spesso l’allenatore lo scopre solo a controllo avvenuto.

Se invece si è già in causa davanti alla Commissione Tributaria, esiste la conciliazione giudiziale: è una transazione che può avvenire durante il processo, con l’accordo tra contribuente e ufficio, sottoposto all’ok del giudice. Può accadere ad esempio in udienza che la controparte (Agenzia) proponga: “chiudiamo la lite col pagamento del 60% delle imposte e sanzioni ridotte al 40%”. Se l’allenatore accetta, la Commissione emette una sentenza che recepisce l’accordo. Le sanzioni, in caso di conciliazione, possono essere ridotte fino al 40% (se avviene in primo grado) o al 50% (se in appello). Questa è un’ulteriore chance, specie se il giudizio sta andando male, per evitare il rischio di condanna piena.

In conclusione, la difesa ideale sfrutta tutti i canali disponibili: prima il dialogo con l’ufficio (adesione/istanze), poi – se necessario – il giudice. L’importante è non restare inerti: chi ignora l’accertamento e non impugna nei termini perde ogni possibilità e dovrà pagare tutto. Ora, assumendo che si arrivi alla fase del contenzioso, vediamo come strutturare la difesa in Commissione.

Difendersi in giudizio: ricorso e onere della prova

Quando si decide di impugnare l’avviso di accertamento, occorre preparare un ricorso motivato indicando tutti i vizi dell’atto e le prove a supporto. In un contenzioso su compensi sportivi, i motivi di ricorso più comuni e le relative linee difensive possono essere:

  • Violazioni procedurali e formali: es. mancato rispetto del contraddittorio (se richiesto), motivazione carente dell’atto, omessa indicazione dei criteri di calcolo, errori sul calcolo di sanzioni o interessi, notifica irrituale. Questi vizi, se fondati, possono portare all’annullamento dell’accertamento a prescindere dal merito. Ad esempio, se l’ufficio ha emesso l’avviso prima dei 60 giorni dal PVC senza urgenza motivata, ciò viola l’art.12 c.7 Statuto Contribuente ed è causa di nullità . Oppure, se in un accertamento sintetico non è stata inviata la convocazione al contribuente, anche questo è motivo invalidante. Tali eccezioni vanno sollevate subito in ricorso, perché sono preliminari.
  • Questioni giuridiche di inquadramento: ad esempio, contestare che il contribuente rientrasse nelle agevolazioni. Il Fisco potrebbe aver sostenuto che l’ente non aveva i requisiti (affiliazione CONI mancante, attività non lucrativa assente). Il ricorrente (allenatore o ASD) dovrà allora dimostrare il contrario: allegare lo Statuto, certificati CONI, prove di effettiva vita associativa (verbali, eventi sportivi svolti, tesseramenti). In particolare, dimostrare la natura dilettantistica reale dell’attività è cruciale se contestato. Cassazione ha chiarito che non basta la forma: servono evidenze che l’ASD operava senza scopo di lucro, con democraticità interna, ecc. . Questo può includere testimonianze di soci, documenti che mostrano come l’associazione era gestita. Se invece l’Agenzia ha ragione (perché magari la ASD era una mera facciata), allora la difesa su questo punto è debole e conviene puntare su altro (es. quantificazioni). Nel caso di un allenatore professionista, l’inquadramento giuridico può riguardare ad es. la residenza fiscale (se afferma di non dover dichiarare in Italia perché residente all’estero, occorrerà provare effettiva residenza estera con iscrizione AIRE, ecc., altrimenti l’Agenzia tasserà in Italia i compensi esteri). Su questioni giuridiche spesso si fa leva anche su eventuali circolari o prassi a favore: ad esempio, se c’è una circolare dell’Agenzia che in passato aveva lasciato intendere una certa esenzione, citarla a supporto della buona fede.
  • Ricostruzione dei fatti e importi contestati: qui si entra nel cuore fattuale. L’ufficio accusa Tizio di non aver dichiarato X € di reddito; il ricorrente deve dimostrare che quell’importo è errato o inesistente. Che prove può portare? Se la contestazione viene da dati bancari, come detto, bisogna giustificare i movimenti: allegare documenti e spiegazioni per ogni versamento contestato (es. scrittura privata di un prestito ricevuto, lettera di donazione, prelevamenti di contante ridepositato, ecc.). Il giudice valuterà se la spiegazione è verosimile e documentata. Attenzione: la giurisprudenza su questo è severa, sostiene che la presunzione bancaria regge anche con indizi e l’onere di provare il contrario è totalmente a carico del contribuente . Quindi servono pezze giustificative solide. Se invece la contestazione è su compensi da ASD non dichiarati, la prova potrà consistere nel mostrare che quei compensi in realtà erano esenti e comunicati: ad esempio, allegare la Certificazione Unica rilasciata dalla ASD che attesta “redditi esenti art.67 TUIR €8.000”. Questo aiuterebbe a far capire che non c’era malafede e potrebbe portare almeno all’annullamento delle sanzioni (poiché fino al 2022 effettivamente sotto 10k non c’era obbligo dichiarativo formale) . Se si discute di limiti di esenzione superati, un aspetto difensivo può essere: l’Agenzia a volte computa come compensi sportivi anche somme che non lo erano (es. rimborsi spese documentati, che invece per legge non concorrono al reddito e quindi non vanno conteggiati nel tetto ). Quindi si può contestare la quantificazione del reddito imponibile: “dei 12.000 € contestati, 2.000 erano rimborsi documentati per trasferta, quindi non imponibili nemmeno oltre soglia”. Ciò richiede di esibire le pezze giustificative (ricevute spese viaggio, ecc.).
  • Sanzioni e elemento soggettivo: le sanzioni tributarie, pur essendo “amministrative”, richiedono la valutazione della colpevolezza (dolo o colpa) del contribuente. Nel caso di omessa/infedele dichiarazione, è sufficiente anche la colpa (negligenza) per applicarle . Tuttavia, il contribuente può cercare di dimostrare la assenza di colpa grave, cioè la scusabilità dell’errore, per ottenere l’annullamento o una riduzione delle sanzioni. Ad esempio: “la disciplina era oggettivamente incerta, come dimostrato da pronunce contrastanti, quindi l’errore è scusabile”, oppure “mi sono affidato a un commercialista che ha sbagliato”. La Cassazione ha affermato che l’ignoranza del contribuente non esime di per sé da colpa, a meno che non provi di essere stato indotto in errore inevitabile . Ciò rende difficile ottenere l’annullamento totale, ma può convincere i giudici a ridurre la sanzione al minimo edittale. In casi estremi, se si prova il difetto assoluto di capacità/intenzione (es. disabilità mentale, forza maggiore), le sanzioni possono essere annullate. Nel nostro ambito, una tipica argomentazione è la buona fede diffusa: “tutti gli operatori del settore erano convinti che sotto 10k non servisse dichiarare, come confermato da istruzioni fiscali poco chiare”. Questo potrebbe perlomeno evitare l’applicazione delle aliquote massime. Inoltre, si può far leva sul fatto che eventuali nuovi adempimenti (come la riforma 2023) hanno spiazzato i contribuenti, giustificando l’errore nella fase di transizione.
  • Reati tributari pendenti: se l’accertamento riguarda importi elevati, potrebbe esserci un parallelo procedimento penale per reati ex D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione infedele o omessa). In sede di ricorso tributario, ciò di per sé non è un motivo di annullamento, ma va gestito con attenzione per evitare contraddizioni. Ad esempio, se in penale si sostiene l’assenza di dolo perché il soggetto non sapeva del fringe benefit, in Commissione non si può poi dire che invece lo sapeva ma pensava fosse esente… Le posizioni devono essere coordinate. Spesso conviene aspettare l’esito del penale (se favorevole al contribuente) e usarlo come prova nel tributario, ma non sempre i tempi lo consentono. Notare che un’assoluzione penale per mancanza di dolo non annulla automaticamente le sanzioni amministrative, perché queste si applicano anche per colpa . Però può moralmente influenzare i giudici tributari a essere più clementi.

Onere della prova: un aspetto cruciale in questo contenzioso è capire chi deve provare cosa. In generale, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare i fatti costitutivi della pretesa tributaria (esistenza di maggiori redditi); tuttavia, quando vi sono presunzioni legali (come nei movimenti bancari o nell’accertamento sintetico), tale onere si alleggerisce in capo al Fisco, spostandosi sul contribuente l’onere di provare il contrario . Abbiamo già detto: per i versamenti in conto non giustificati, presunzione di reddito imponibile (il Fisco non deve dimostrare che erano corrispettivi di lavoro, lo presume e basta); per confutarla, è il contribuente a dover produrre prova contraria documentale. Analogamente, se l’Agenzia contesta la natura non dilettantistica di un’ASD, secondo la Cassazione spetta all’ASD provare di possedere tutti i requisiti sostanziali per l’agevolazione . Questo principio è stato ribadito di recente (Cass. ord. 62/2025): chi vuole il beneficio fiscale deve dimostrare di averne diritto, non il contrario . Quindi, in giudizio l’ASD dovrà portare evidenze concrete di funzionamento conforme alla legge (riunioni, soci veri, assenza scopo di lucro), altrimenti la presunzione del Fisco (che era un ente commerciale di fatto) prevarrà.

Un caso di inversione dell’onere a favore del contribuente è, come detto, la prova che certe somme non erano reddito ma altre entrate (es. donazioni): qui di nuovo, serve prova a carico del contribuente. In sintesi, l’allenatore/ASD che ricorre deve essere pronto a documentare analiticamente la propria versione, perché molte carte sono in mano sua.

Fortunatamente, con la riforma del processo tributario 2022, oggi è ammessa la prova testimoniale in giudizio, sia pure con limiti (va richiesta in modo circostanziato e ammessa solo se non surrogabile da documenti). Ciò significa che, ad esempio, il contribuente può far testimoniare in Commissione alcuni genitori che confermino che le somme versate sul suo conto erano raccolte per comprare le divise ai bambini e non compensi per lui. Oppure far testimoniare il segretario della ASD che spieghi l’effettiva natura volontaria del rapporto di lavoro. Prima, queste testimonianze non potevano essere ammesse; ora sì (previa valutazione di rilevanza). Questo strumento in più può fare la differenza in casi borderline, purché usato saggiamente.

In definitiva, la difesa in giudizio di un allenatore sportivo contro un accertamento fiscale dovrà combinare eccezioni giuridiche (per far annullare o ridurre la pretesa su basi di diritto) e argomentazioni di merito (per abbattere la ricostruzione dei fatti operata dal Fisco). Ogni caso concreto è diverso, ma l’approccio sistematico – verificare procedura, inquadramento, quantificazione, sanzioni – aiuta a non trascurare nulla. Nel prossimo capitolo passeremo in rassegna alcune sentenze recenti che costituiscono precedenti importanti in materia, per poi illustrare esempi pratici di difesa riuscita o mancata.

Giurisprudenza recente: sentenze chiave su fiscalità sportiva

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione e le Commissioni Tributarie (ora Corti di Giustizia Tributaria) hanno prodotto numerose pronunce riguardanti il trattamento fiscale delle attività sportive dilettantistiche e professionistiche. Conoscere questi precedenti è utile sia per orientarsi nella difesa (sapere quali principi sono consolidati) sia per citarli a supporto delle proprie tesi. Di seguito riepiloghiamo alcune sentenze chiave aggiornate al 2024-2025, con il principio di diritto affermato:

  • Cass. Civ. Sez. V, ord. 11375/2020 (dep. 15/06/2020)Compensi sportivi percepiti da soggetto con partita IVA nello sport: La Cassazione ha stabilito che l’agevolazione fiscale (esenzione fino a €10.000) non spetta se il percettore esercita professionalmente la stessa attività sportiva. In pratica, un allenatore che ha partita IVA per attività sportive non può ricevere compensi esenti art.67 TUIR per prestazioni nel medesimo ambito: deve emettere fattura e dichiarare quei compensi come reddito di lavoro autonomo . Questo principio evita che professionisti mascherino redditi da lavoro come se fossero “rimborsi dilettantistici”. Implicazione pratica: se sei un trainer con P.IVA e collabori con una ASD, non puoi usufruire della franchigia come i dilettanti puri, ma devi trattare il compenso come imponibile (la ASD dovrebbe farti un contratto di prestazione professionale con ritenuta d’acconto).
  • Cass. Pen. Sez. III, sent. 35977/2021 (dep. 04/10/2021)Omessa dichiarazione da parte di SSD dilettantistica e profili penali: La sentenza (penale) ha riguardato il legale rappresentante di una SSD che non presentava dichiarazioni ritenendo di avere solo proventi esenti ex L.398/91. La Cassazione ha affermato due cose: (1) anche le ASD/SSD in regime agevolato devono presentare la dichiarazione dei redditi ogni anno, pure se hanno solo entrate decommercializzate, perché è un obbligo normativo assoluto ; (2) in quel caso specifico, tuttavia, data la confusione sui requisiti di mutualità (soci vs semplici utenti), è stata esclusa la punibilità per dolo, riconoscendo un’incertezza normativa oggettiva che ha impedito di configurare il reato (l’omessa dichiarazione penale richiede il dolo). In sostanza, la SSD fu sanzionata amministrativamente, ma niente condanna penale perché c’era buona fede su una norma poco chiara . Questo precedente conferma che la linea di confine tra socio e semplice cliente nelle associazioni sportive può essere labile e, in caso di dubbio, l’imputazione penale può cadere per assenza di dolo. Ciò non toglie però che fiscalmente le imposte fossero dovute.
  • Cass. Civ. Sez. V, ord. 11337/2022 (dep. 07/04/2022)Fringe benefit a calciatore professionista (commissione agente pagata dal club): Ordinanza molto rilevante nel settore pro. Ha stabilito che se una società sportiva paga direttamente il procuratore dell’atleta, tale esborso costituisce un fringe benefit tassabile in capo all’atleta stesso . Il calciatore avrebbe dovuto quindi dichiarare l’importo pagato per lui dal club come reddito da lavoro. La sua difesa – “non lo sapevo, perché era un accordo tra club e agente” – non è stata accolta: la Cassazione ha detto che l’ignoranza non lo esime, anzi doveva eventualmente provare di essere completamente inconsapevole (cosa non creduta) . Inoltre, ha chiarito che la sanzione per omessa indicazione di redditi colpisce anche in caso di mera colpa: non serve provare che l’atleta volesse evadere, basta che sia stato negligente . Conseguenza: il calciatore è stato sanzionato e tenuto responsabile, pur avendo poi il club versato l’IRPEF dovuta come sostituto. Questo principio si applica per analogia a qualunque lavoratore sportivo: allenatori, atleti, ecc. Devono dichiarare tutti i compensi e vantaggi economici ricevuti, anche se erogati da terzi in loro favore. Non possono scaricare la colpa sul sostituto d’imposta se qualcosa sfugge: la responsabilità fiscale ultima è la loro.
  • Cass. Pen. Sez. III, sent. 38800/2024 (dep. 22/10/2024)SSD di fatto commerciale – omessa dichiarazione (penale): Caso emblematico di “associazione sportiva mascherata”. Una SSD dilettantistica che gestiva una palestra svolgeva in realtà attività commerciale pura: niente vita associativa, clienti qualunque, servizi tipici di una palestra for profit (ingressi a pagamento con badge, ecc.). La Cassazione penale ha confermato la condanna per il reato di omessa dichiarazione (art.5 D.Lgs.74/2000) al rappresentante della SSD, affermando che la sostanza economica prevale sulla forma giuridica . Se un ente agisce come impresa commerciale, deve presentare la dichiarazione dei redditi e dichiarare i proventi, altrimenti commette reato se l’imposta evasa supera la soglia (in quel caso, per più annualità di incassi palestra non dichiarati, la soglia penale di €50.000 di imposta evasa fu superata). La sentenza elenca una serie di indizi concordanti di commercialità di fatto: assenza di opzione per legge 398, mancanza di attività sportiva dilettantistica autentica, continuità con società di capitali precedente, clientela non soci, ecc. . Tali indizi, se concomitanti, provano il fine di evasione. Questo precedente è un monito soprattutto per chi guida associazioni sportive: fingere di essere ASD per non pagare tasse può portare non solo ad accertamenti fiscali ma addirittura a condanne penali se i numeri sono rilevanti. Dal punto di vista dell’allenatore, implica che se egli partecipa (come beneficiario di compensi) a un sodalizio fittizio, potrebbe trovarsi coinvolto indirettamente (ad es. costretto a restituire imposte su compensi che credeva esenti, oppure chiamato come teste in un procedimento penale).
  • Cass. Civ. Sez. Trib., ord. 28091/2024 (dep. 31/10/2024)Obbligo dichiarativo per ASD in regime 398/91: Questa ordinanza ribadisce, in ambito tributario, che le ASD/SSD anche se godono di agevolazioni devono comunque presentare la dichiarazione annuale . L’art. 1 del DPR 600/73 impone a ogni soggetto passivo di dichiarare i redditi posseduti, anche se esenti. Il fatto di aver solo proventi istituzionali e compensi sportivi esenti non esonera dall’obbligo. È una conferma di precedenti, ma utile perché viene spesso eccepito dalle difese che “non c’era imposta quindi non serviva la dichiarazione”: argomento non accolto. La mancata presentazione comporta una sanzione fissa (250-1000 €) se non c’era imposta dovuta , ma non toglie che l’atto sia formalmente omissivo.
  • Cass. Lav. (Sez. IV), ord. 26252/2025 (pubbl. agosto 2025)Contributi previdenziali per istruttori sportivi e onere della prova: Questa recentissima pronuncia della sezione Lavoro (indicata in dottrina come n.62/2025, vedi sopra) ha rilevanza anche fiscale. La Corte ha affermato che la mera iscrizione al Registro CONI non basta a qualificare un compenso come reddito esente ex art.67 co.1 m) TUIR se nella sostanza l’attività era professionale . In ambito contributivo ciò si traduce in: i compensi sportivi dilettantistici non sono esenti da contributi se le prestazioni erano svolte con abitualità e continuità tipiche di un lavoro. L’onere della prova della genuinità dilettantistica spetta all’ASD/SSD; se non la fornisce, l’INPS può pretendere la riqualificazione in lavoro subordinato con conseguente obbligo contributivo integrale . I giudici hanno anche elencato gli indici di subordinazione: rispetto di orari, potere direttivo del datore, inserimento stabile nell’organizzazione, ecc., constatando che nel caso specifico (istruttori e personale di segreteria in una finta ASD) tali indici c’erano, quindi hanno confermato la riqualificazione e l’obbligo contributivo. Perché è importante dal lato fiscale? Perché spesso l’INPS segnala all’Agenzia Entrate e viceversa: se passa la tesi che quegli istruttori erano dipendenti, allora fiscalmente i loro compensi non erano redditi diversi esenti ma salari imponibili (con ritenute IRPEF non operate). Dunque questa ordinanza rafforza il potere dell’Amministrazione di disconoscere l’esenzione sportiva in presenza di un rapporto di lavoro vero, e rende difficile per le ASD sostenere il contrario senza prove documentali forti. In definitiva: niente scorciatoie, se qualcuno lavora come un dipendente dev’essere trattato come tale, anche se lo chiami “istruttore volontario”.

Queste pronunce, assieme ad altre, delineano un panorama dove il Fisco e i giudici tendono a evitare che l’agevolazione per lo sport dilettantistico sia usata in modo improprio. Tuttavia riconoscono anche circostanze attenuanti e distinguono i casi di buona fede (es. incertezza normativa oggettiva) da quelli di evasione deliberata. Nella sezione seguente vedremo come queste regole e principi si applicano in concreto attraverso alcuni casi pratici, per poi passare alle FAQ e alle conclusioni.

Esempi pratici: casi di accertamento e possibili soluzioni

Per calare la teoria nella realtà, presentiamo di seguito alcune simulazioni di casi reali (basate su vicende realmente accadute, semplificate) in cui un allenatore sportivo o un’associazione si trovano alle prese con accertamenti fiscali. Vedremo come potrebbe svolgersi la difesa dal punto di vista del debitore-contribuente.

Caso 1: Allenatore dilettante con doppio reddito e compensi esenti non dichiarati

Scenario: Marco è un istruttore di tennis dilettante. Lavora come impiegato full-time (reddito da lavoro dipendente di circa €20.000 annui) e nel tempo libero allena i ragazzi di un’ASD locale di tennis. Nel 2022 l’ASD gli ha corrisposto €8.000 come “compenso sportivo dilettantistico” per l’attività svolta nei weekend. Essendo sotto la soglia di esenzione (€10.000), l’ASD non ha applicato ritenute e ha indicato quell’importo nella Certificazione Unica 2023 di Marco come reddito esente art.67 c.1 m). Marco, convinto che sotto €10.000 non si paghi nulla, non ha indicato questi 8.000 € nella propria dichiarazione dei redditi 2023 (modello 730 riferito al 2022). Nel 2024, con la nuova normativa, sente dire che la soglia è salita a 15.000 € e pensa di essere comunque a posto.

Un anno dopo (autunno 2023), Marco riceve una comunicazione di irregolarità dall’Agenzia delle Entrate: dal controllo automatizzato, risulta che l’ASD ha trasmesso una CU con €8.000 a suo favore, ma nella dichiarazione di Marco non c’è traccia di tali somme. L’Agenzia chiede spiegazioni e prospetta una sanzione per infedele dichiarazione. Marco è sorpreso: “Ma erano esenti, perché avrei dovuto dichiararli?”.

Problema: Formalmente, l’omessa indicazione di redditi (ancorché esenti) può configurare una dichiarazione infedele. Anche se su quegli €8.000 non c’era imposta (erano entro franchigia), di fatto c’è stata un’inesattezza formale nella dichiarazione. In teoria l’Agenzia potrebbe applicare la sanzione dal 90% al 180% dell’imposta evasa. Ma qui l’“imposta evasa” è zero (per legge erano esenti). Siamo in una zona grigia: le istruzioni ministeriali fino al 2022 non prevedevano un quadro obbligatorio ove riportare i compensi sportivi esenti, dunque molti compilatori li omettevano del tutto.

Difesa (dal punto di vista di Marco): Marco, tramite il CAF che gli aveva fatto il 730, risponde alla comunicazione spiegando che quei 8.000 € erano esenti per legge e per questo non indicati in dichiarazione. Allegherà copia della Certificazione Unica rilasciata dall’ASD dove si evidenzia che la somma è contrassegnata come “redditi esenti – art.67 c.1 m) TUIR” . Sosterrà che, data l’esenzione, non vi era alcuna imposta evasa né obbligo di dichiarazione, in base alla normativa vigente nel 2022. Potrà citare a suo favore la Circolare 18/E del 2018 (Agenzia Entrate) che chiariva come i compensi sportivi sotto soglia non andassero indicati dal percipiente perché esclusi da tassazione. Inoltre, farà presente che per l’anno 2023 la soglia è stata elevata a 15.000 €, a riprova dell’intento del legislatore di considerare irrilevanti importi come quello percepito da lui.

Esito ipotizzabile: L’Agenzia, valutate le spiegazioni, potrebbe annullare in autotutela la comunicazione, riconoscendo che non c’era materia imponibile. In caso contrario, qualora emettesse comunque un avviso di accertamento contestando la violazione formale, Marco potrà impugnarlo sostenendo l’assenza di dolo o colpa grave (essendosi attenuto alla prassi comune) e chiedendo l’annullamento delle sanzioni. Con buone probabilità, la Commissione gli darebbe ragione, dato che nessuna imposta è stata sottratta e che punire una mera omissione formale contrasterebbe col principio di capacità contributiva e buona fede. In pratica, Marco non dovrebbe pagare nulla; al massimo, l’episodio servirà a chiarirgli che dal 2023 in poi, superando i 15k, dovrà dichiarare l’eccedenza.

Considerazioni: Questo caso evidenzia l’importanza di mantenersi informati: molti collaboratori sportivi ignoravano (e ignorano) gli aspetti dichiarativi, confidando solo sull’esenzione. Oggi sappiamo che con la riforma chi supera i limiti deve dichiarare l’eccedenza . Chi invece sta sotto, come Marco, continua a non dover pagare imposte, ma può comunque indicare i redditi esenti in dichiarazione in un apposito rigo (per evitare disallineamenti). La vicenda di Marco probabilmente si chiude senza costi, ma poteva complicarsi se quell’anno avesse avuto magari €11.000 (10k esenti + 1k tassabile non dichiarato): in tal caso avrebbe davvero evaso una piccola imposta e la sanzione sarebbe scattata.

Caso 2: Associazione sportiva “mascherata” da palestra commerciale

Scenario: La “GymStar SSD a r.l.” nasce nel 2018 come società sportiva dilettantistica (forma di s.r.l. sportiva senza scopo di lucro, iscritta al CONI). Sulla carta, promuove il fitness dilettantistico. In realtà, il suo centro offre abbonamenti in palestra a chiunque paghi, senza tesseramento come socio, e organizza corsi con istruttori pagati. Di fatto opera come una normale palestra commerciale. Per i primi anni, GymStar aderisce al regime Legge 398/91 e non dichiara utili, indicando di avere solo proventi istituzionali e sponsorizzazioni. Non presenta dichiarazione dei redditi (convinta che non serva poiché in perdita fiscale) e non tiene scritture contabili se non un registro incassi-pagamenti. Nel 2021 una verifica della Guardia di Finanza scopre varie irregolarità: manca un libro soci aggiornato, gli abbonati non sono formalmente soci, la società non ha mai convocato un’assemblea, i 3 soci fondatori coincidono coi 3 ex proprietari di una palestra commerciale cessata nel 2017 (hanno solo cambiato veste). Inoltre, la GymStar non ha neppure optato per il regime 398 formalmente e non ha versato IVA sugli incassi. Insomma, emergono forti indizi che non sia una vera SSD dilettantistica ma un’impresa.

La Guardia di Finanza redige un PVC contestando a GymStar la natura commerciale e quindi il non aver dichiarato ricavi imponibili per gli anni 2018-2022 (circa €500.000 di incassi complessivi da abbonamenti e corsi). Segnala anche che gli istruttori pagati come collaboratori sportivi in realtà lavoravano lì a tempo quasi pieno, quindi avrebbero dovuto essere trattati da dipendenti (con contributi e ritenute). Viene ipotizzato il reato di omessa dichiarazione per il legale rappresentante. L’Agenzia emette avvisi di accertamento per ciascun anno, recuperando IVA, IRES e IRAP non versate, oltre a sanzioni amministrative massime (ritenendo il comportamento volutamente evasivo).

Problema: La GymStar si trova ora con una pretesa fiscale enorme (decine di migliaia di euro di tasse e sanzioni per ogni anno) e una denuncia penale. Dal punto di vista degli allenatori/istruttori che lavoravano lì, anch’essi rischiano conseguenze: l’INPS li potrebbe citare per i contributi omessi e l’Agenzia potrebbe accertare i loro compensi come redditi di lavoro dipendente non dichiarati.

Difesa (dal punto di vista del rappresentante GymStar): La situazione è difficile. La linea difensiva potrebbe tentare di sostenere che l’associazione, pur con errori formali, svolgeva attività dilettantistica. Ma le evidenze sono contrarie: stessi gestori di prima, sistema di ingressi da palestra commerciale, mancanza totale di vita associativa. In giudizio si potrebbe eccepire qualche vizio procedurale (es. “la delega di firma dell’accertamento non era regolare” o “mancata convocazione al contraddittorio”), ma sono questioni secondarie rispetto al merito. Sul piano penale, l’avvocato potrebbe puntare sull’assenza di dolo specifico, magari dicendo che i responsabili pensavano davvero di poter operare così e che c’era incertezza normativa. Tuttavia, dopo la pronuncia Cass. 38800/2024 , sappiamo che i giudici guardano la sostanza: qui la sostanza grida “evasione volontaria”. Probabilmente il penale si chiuderà con patteggiamento e pagamento di una multa.

Sul piano tributario, l’unica via è cercare un accordo in adesione per ridurre il danno: la GymStar potrà proporre all’ufficio un pagamento parziale, ad esempio rinunciando alle agevolazioni per gli ultimi due anni ma chiedendo di non applicare sanzioni piene. In pratica, ammettere il “peccato” e chiedere clemenza sulle sanzioni. Potrebbe anche procedere alla trasformazione in SSD lucrativa (pagando imposte sostitutive) per regolarizzare il futuro, mostrando buona volontà. Se l’Agenzia percepisce collaborazione, potrebbe accettare una definizione meno severa (es. applicare sanzioni al 100% anziché 200%, magari rateizzando).

Dal lato degli istruttori, questi potrebbero difendersi evidenziando che loro si sono fidati del datore di lavoro (la SSD) e che hanno dichiarato zero perché convinti fosse esente. Potrebbero evitare sanzioni (dimostrando buona fede) ma dovranno comunque regolarizzare la loro posizione previdenziale e fiscale per gli anni passati, magari attraverso un accertamento con adesione personalizzato (pagando l’IRPEF dovuta sui compensi come redditi di lavoro dipendente, ma con sanzioni ridotte). Probabilmente la stessa GymStar, per liberarsi da possibili azioni di rivalsa, pagherà per loro i contributi arretrati e li inviterà a sanare le imposte in dichiarazione integrativa.

Esito ipotizzabile: GymStar dovrà pagare una cifra ingente, ma forse grazie a un accordo eviterà il fallimento: ad esempio, su €500k di ricavi non dichiarati, potrebbe concordare imposte e sanzioni per ~€300k totali da rateizzare in 5 anni. Gli istruttori vedranno i loro compensi degli scorsi anni riqualificati come redditi da lavoro: alcuni dovranno pagare IRPEF su essi (ma se erano sotto le soglie, l’IRPEF potrebbe essere minima), e magari l’INPS li iscriverà d’ufficio con accredito figurativo dei contributi (pagati in gran parte dalla GymStar come datore). L’aspetto penale si chiuderà probabilmente con una condanna patteggiata per il rappresentante, ma senza effetti diretti sugli istruttori.

Considerazioni: Questo caso evidenzia come le autorità trattino le situazioni di abuso sistematico: con mano pesante. La difesa ha margini ristretti. Dal punto di vista degli allenatori, trovarsi coinvolti in simili strutture è rischioso: conviene verificare sempre che l’ASD/SSD per cui si lavora rispetti le regole (tesseramento, ricevute, ecc.). In caso di dubbio, meglio pretendere un contratto vero (anche di collaborazione sportiva registrato) per tutelarsi. Anche perché, come visto, se va tutto a rotoli, l’allenatore rischia di dover restituire le imposte su compensi che credeva netti.

Caso 3: Allenatore professionista e benefit non dichiarato

Scenario: Alessandro è l’allenatore di una squadra di basket di Serie A2. Ha un regolare contratto di lavoro sportivo professionistico con la società “Basket Club” che gli paga €100.000 annui lordi (da cui sono trattenute imposte e contributi). Nel 2024, per convincerlo a restare, il club gli promette un premio extra di €20.000 se porterà la squadra ai playoff, pagandolo però “fuori busta” tramite uno sponsor. Effettivamente, a giugno 2024 la squadra raggiunge i playoff e lo sponsor XYZ (legato al club) paga €20.000 direttamente ad Alessandro con un bonifico estero (lo sponsor è svizzero), indicandolo come “bonus performance”. Alessandro, su suggerimento del presidente, considera questo un regalo dello sponsor e non lo riferisce al commercialista che gli fa la dichiarazione. Nel 2025, la Guardia di Finanza, indagando sul club, scopre l’accordo: in pratica il club aveva dirottato parte del compenso sull’estero per non pagarci tasse né contributi. Segue un accertamento: l’Agenzia delle Entrate contesta ad Alessandro la mancata dichiarazione di quei €20.000 nel Redditi 2025. In parallelo, contesta al club di aver fatto pagamenti “in nero” ai sensi dell’art. 23 DPR 600/73 (sostituto d’imposta inadempiente).

Problema: Dal punto di vista fiscale, quei €20.000 sono un reddito di lavoro dipendente a tutti gli effetti (fringe benefit o premio) corrisposto da un terzo per conto del datore. Alessandro avrebbe dovuto dichiararli nel 2025 e il club avrebbe dovuto assoggettarli a ritenuta. Non essendo avvenuto, l’Agenzia vuole recuperare l’IRPEF su 20k (circa €8.000) e applicare sanzione per omessa indicazione in dichiarazione (90%-180% dell’imposta, quindi min. €7.200). Inoltre, essendo l’imposta evasa > €50.000 ? (8k è sotto 50k, quindi niente reato per Alessandro), non c’è reato di infedele, ma per il club potrebbe esserci omesso versamento ritenute (art. 10-bis D.Lgs.74/2000) se supera soglia €150k (non in questo singolo caso). Ad ogni modo, Alessandro si trova un avviso per IRPEF + sanzioni ~ €15.000.

Difesa (dal punto di vista di Alessandro): Alessandro inizialmente si giustifica dicendo di non aver saputo nulla: sostiene che il bonus glielo ha dato lo sponsor senza che lui ne fosse a conoscenza precisa e pensava fosse neto. Questa linea però è debole, specie dopo Cass. 11337/2022 , che ha chiarito che l’ignoranza del percettore non lo esonera e va provata rigorosamente. Alessandro ricorre in Commissione puntando su un’altra strategia: chiede la disapplicazione della sanzione per obiettiva incertezza, argomentando che non c’era chiarezza se quel bonus fosse inquadrabile come reddito di lavoro o liberalità dello sponsor. Porta a supporto un parere (di parte) di un fiscalista che afferma che casi simili sono borderline. Inoltre, sottolinea di aver già versato (dopo l’accertamento) l’IRPEF dovuta, e chiede la non punibilità per tenuità dell’omissione (8k di imposta su 100k dichiarati non alterava significativamente la sua posizione). In subordine, chiede quantomeno la riduzione della sanzione al minimo perché trattasi, se del caso, di mera negligenza lieve.

Nel frattempo, Alessandro ha anche fatto causa al club per recuperare i danni: infatti sostiene che il pagamento era parte del suo stipendio e che il club, facendoglielo pagare al netto tramite sponsor, lo ha messo nei guai. Questa causa civile potrebbe concludersi con un accordo: il club gli versa un importo pari alle tasse e sanzioni che deve pagare, in cambio lui rinuncia ad altre pretese. Ciò risolverebbe tra privati la questione monetaria, ma in sede fiscale la responsabilità rimane la sua.

Esito ipotizzabile: Con ogni probabilità, la Commissione Tributaria confermerà che l’importo era reddito imponibile e doveva essere dichiarato – su questo non c’è scampo. Sulle sanzioni, potrebbe magari concedere una riduzione al minimo (90%) riconoscendo una certa confusione indotta dal club, ma non annullerà la sanzione completamente perché la legge richiede comunque diligenza al contribuente. Quindi Alessandro dovrà pagare l’IRPEF evasa (€8.000) più una sanzione attorno a €7.200, oltre interessi. Se il club onora l’accordo privato, di fatto Alessandro non ci rimette economicamente (sarà il club a pagare in ultima analisi il conto, come avrebbe dovuto fare inizialmente tassandogli il bonus in busta paga). La vicenda penale potrebbe non toccare Alessandro (per lui non c’è reato sotto soglia); il club forse se la cava con una sanzione amministrativa e, se l’importo fosse stato più alto, avrebbe rischiato sanzioni penali per le ritenute non operate.

Considerazioni: Questo caso, complementare al caso del calciatore-procuratore, dimostra che anche per i coach professionisti valgono le stesse regole fiscali dei lavoratori dipendenti: ogni somma o beneficio ricevuto in relazione al rapporto di lavoro è tassabile, non importa da chi provenga. Gli accordi “fuori contratto” sono molto pericolosi: può sembrare allettante ricevere un netto esentasse, ma se scoperti, le conseguenze possono essere pesanti. La difesa di Alessandro è stata debole perché confidava sull’alibi dell’ignoranza, difficilmente credibile nel suo ruolo. Il suo vero salvagente è stato rivalersi sul club: questa è una lezione pratica, non abbiate timore di mettere per iscritto tutto col vostro datore di lavoro e di farvi pagare il dovuto al lordo, perché altrimenti il Fisco busserà da voi.

Questi esempi coprono alcune situazioni tipiche: l’allenatore dilettante inconsapevole, l’associazione abusiva, l’allenatore professionista coinvolto in compensi opachi. Ognuno ha richiesto un approccio difensivo diverso, ma un filo conduttore c’è: documentare sempre la propria buona fede e tenere traccia di ogni accordo economico.

Dopo aver esplorato teoria, norme, giurisprudenza e casi pratici, concludiamo la guida con una sezione di domande frequenti che riepiloga in forma Q&A i dubbi più comuni e le relative risposte, e con alcune considerazioni finali.

Domande frequenti (FAQ) su allenatori sportivi e accertamenti fiscali

D1: Cosa si intende esattamente per “compensi da attività sportiva dilettantistica”?
R: Si intendono tutte le somme corrisposte, in ambito sportivo non professionistico, a persone che svolgono ruoli sportivi o tecnico-amministrativi senza carattere di professionalità e senza vincolo di subordinazione. Comprende tipicamente: le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi sportivi e i compensi per collaborazioni continuative ma non professionali, erogati da organismi sportivi dilettantistici riconosciuti (CONI, Federazioni, Enti di promozione, ASD/SSD) . Esempi: il rimborso all’allenatore della squadra dilettanti, il premio gara all’arbitro amatoriale, il compenso forfetario al preparatore atletico di una ASD, ecc. L’elemento chiave è che non sono redditi da lavoro “ordinario”: la legge li qualifica come redditi diversi proprio perché sono legati allo sport dilettantistico svolto in modo non professionale .

D2: Fino a che importo annuo questi compensi sono esenti da tasse?
R: La soglia di esenzione IRPEF per i compensi sportivi dilettantistici è stata di €10.000 annui fino al 30 giugno 2023. Dal 1º luglio 2023 la soglia è stata elevata a €15.000 annui , in virtù dell’art. 36 D.Lgs. 36/2021 (Riforma dello Sport) . Ciò significa che, rispettando le condizioni di legge (natura dilettantistica del rapporto e ente erogante riconosciuto), un collaboratore sportivo non paga IRPEF sui primi 10.000 € (fino al 2022) o 15.000 € (dal 2023) percepiti in un anno. Da notare: per l’anno 2023 c’è stata una disciplina transitoria particolare, ma in sostanza si è garantita l’esenzione fino a €15.000 sul totale annuo .

D3: Cosa succede se il compenso supera tale soglia esente?
R: Per la parte di compenso eccedente la soglia, il trattamento fiscale cambia:
Fino al 2022 (vecchia disciplina): la parte oltre €10.000 e fino a ~€30.658 era soggetta a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 23% (tassazione fissa) e non andava dichiarata dal percettore . Oltre ~€30.658, l’ulteriore eccedenza subiva ritenuta 23% a titolo di acconto e doveva essere dichiarata e tassata con IRPEF ordinaria .
Dal 2023 (nuova disciplina): la parte eccedente €15.000 annui concorre al reddito complessivo del percipiente e viene tassata con le normali aliquote IRPEF progressive . In pratica diventa reddito di lavoro (dipendente se c’è subordinazione, oppure assimilato co.co.co) e va dichiarata. L’ente pagatore dovrà in genere operare una ritenuta d’acconto su tali somme. Non c’è più la ritenuta d’imposta forfettaria: subito tassazione ordinaria oltre soglia .
In sintesi, superata la soglia esente: prima c’era una sorta di flat tax 23% sulla parte intermedia, ora c’è l’IRPEF ordinaria. Inoltre, oggi chi supera la soglia deve presentare la dichiarazione dei redditi, perché quell’eccedenza fa cumulo col resto .

D4: Un allenatore dilettante deve presentare la dichiarazione dei redditi?
R: Dipende dalla situazione:
– Se i compensi sportivi percepiti non superano la soglia esente (10k o 15k secondo l’anno) e il collaboratore non ha altri redditi che lo obblighino, allora non è tenuto a presentare la dichiarazione . Infatti tali compensi sono esclusi da tassazione e, fino al 2022, le istruzioni fiscali non richiedevano di inserirli.
– Se i compensi superano la soglia esente:
– Fino al periodo d’imposta 2022, se anche superavano ma erano stati assoggettati interamente a ritenuta a titolo d’imposta (fino a €30.658), il percettore non era obbligato a dichiararli (proprio perché la ritenuta esauriva l’obbligo tributario) .
– Dal 2023 in poi, la parte eccedente €15.000 non è coperta da ritenuta d’imposta (ma solo da eventuale ritenuta d’acconto), quindi va dichiarata obbligatoriamente . Ad esempio, nel 2024 un istruttore che percepisce €20.000 dovrà presentare il Modello Redditi/730 indicando i €5.000 eccedenti (20k-15k) come redditi di lavoro e pagarci l’IRPEF relativa .
– Se l’allenatore ha altri redditi (es. un lavoro dipendente principale), potrebbe comunque essere obbligato a presentare la dichiarazione anche se i compensi sportivi sono sotto soglia. In pratica, va valutato caso per caso: se quell’anno si superano i limiti per l’esonero da 730 (es. due CU, immobili locati, ecc.), allora la dichiarazione va fatta e i compensi sportivi esenti andrebbero indicati nell’apposito rigo (come “altri redditi esenti” o annotazioni), per completezza. Se invece il soggetto è pensionato o dipendente con CU unica e i compensi sportivi erano esenti, può non fare nulla. Attenzione: È sempre consigliabile farsi consigliare da un esperto; in dubbio, meglio presentare la dichiarazione e riportare eventualmente i compensi sportivi nelle sezioni dedicate (ad esempio nel quadro RL con codice esenzione), così da evitare future contestazioni.

D5: Quali sono le sanzioni se non dichiaro dei compensi imponibili?
R: Se un contribuente omette di dichiarare redditi dovuti, si possono configurare due violazioni (D.Lgs. 471/1997): dichiarazione infedele oppure omessa dichiarazione . In breve:
Dichiarazione infedele (art. 1, co.2): è quando uno presenta la dichiarazione ma dimentica di indicare alcuni redditi imponibili o indica deduzioni/detrazioni non spettanti, oltre certe soglie (imposta evasa > €5.000 e > 10% di quella dichiarata, oppure redditi non dichiarati > 10% del totale o > €2 milioni) . La sanzione va dal 90% al 180% dell’imposta evasa . Esempio: se non ho dichiarato €5.000 su cui c’erano €1.150 di IRPEF, la sanzione minima sarà €1.035 (90% di 1.150) . In assenza di aggravanti, in genere applicano il 100% circa.
Omessa dichiarazione (art. 1, co.1): è quando non presento proprio la dichiarazione pur essendo obbligato . È considerata più grave. La sanzione va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di €250 . Se però non c’era imposta dovuta (caso di dichiarazione “a zero” comunque omessa), si applica una sanzione fissa tra €250 e €1.000 (raddoppiata oltre 90 gg di ritardo) . Quindi, se ad esempio un allenatore nel 2024 percepisce €20.000 (doveva dichiarare 5k) ma non presenta affatto il modello Redditi, formalmente è omessa dichiarazione: sanzione 120-240% sull’imposta dovuta su quei 5k, con minimo €250 se l’imposta era zero o coperta da ritenute.
Nota: In entrambi i casi, se il contribuente si “ravvede” spontaneamente prima dell’accertamento (presentando dichiarazione integrativa e pagando il dovuto) beneficia del ravvedimento operoso, che riduce moltissimo le sanzioni (fino a 1/10 del minimo se entro un anno) . Se invece arriva l’accertamento, come visto sopra ci sono le riduzioni da adesione, acquiescenza etc. Spesso quindi la sanzione effettiva si riduce a 1/3 del minimo in caso di definizione.

D6: L’associazione sportiva può essere ritenuta responsabile delle imposte sui compensi dei collaboratori?
R: In parte . Le ASD/SSD agiscono spesso come sostituti d’imposta, cioè trattengono e versano imposte per conto dei collaboratori. In particolare:
– Nel regime ante 2023, l’ASD aveva l’obbligo di trattenere la ritenuta del 23% sulla parte di compensi che eccedeva la franchigia di €10.000 . Se non lo ha fatto, l’Agenzia può richiederle il versamento di quelle ritenute non effettuate (oltre a interessi e sanzione del 20% per omesso versamento di ritenute) .
– Nel regime nuovo post-2023, sull’eccedenza oltre 15k l’ASD deve operare ritenuta d’acconto (la percentuale dipende se è reddito assimilato a lavoro dip. o autonomo, es. 20%) . Se non lo fa, anche qui è sanzionabile per omesso versamento.
– Se il rapporto fosse di lavoro dipendente (caso borderline ma possibile se la collaborazione in realtà maschera un lavoro), allora l’ASD avrebbe dovuto fare le ritenute IRPEF mensili come qualsiasi datore di lavoro. La mancata effettuazione comporta, oltre a sanzioni, che l’Agenzia può rivalersi sia sul datore che sul dipendente (in solido) per recuperare l’imposta.
In generale, quindi, l’ASD/SSD deve adempiere correttamente agli obblighi fiscali verso i collaboratori: se non lo fa, può ricevere cartelle per ritenute non versate (sanzione 30% per ciascun importo) . Inoltre, in casi di frode, l’ente può essere considerato corresponsabile dell’evasione. Viceversa, se l’ASD trattiene correttamente le imposte, il collaboratore non verrà tassato due volte su quelle somme: in un eventuale controllo, se l’ente ha versato la ritenuta su una parte di compenso, quella parte per il collaboratore è già a posto (semmai pagherà il resto). Ecco perché è cruciale che le ASD gestiscano bene la parte fiscale: per non incorrere esse stesse in sanzioni e per tutelare i propri collaboratori da brutte sorprese .

D7: Cosa è cambiato con la Riforma dello Sport dal 2023 per chi collabora con un’ASD?
R: Molto. Dal 1º luglio 2023 i collaboratori sportivi dilettanti sono stati formalmente inquadrati come “lavoratori sportivi”. Le principali novità:
Inquadramento del reddito: il compenso non è più chiamato “reddito diverso” ma rientra tra i redditi di lavoro (subordinato, se c’è un contratto dipendente, oppure co.co.co. se collaborazione coordinata, oppure autonomo occasionale) . In pratica molte ASD hanno dovuto far firmare ai vecchi collaboratori degli contratti di co.co.co. sportivo annuali.
Fisco: come detto, fino a €15.000 annui niente IRPEF, oltre si paga IRPEF normale sulla parte eccedente . Quindi per molti che prima guadagnavano 7-8k non cambia nulla (anzi la soglia è aumentata), per chi guadagnava di più ora sopra 15k paga qualcosa in più di tasse rispetto a prima (dove c’era imposta fissa 23% su parte eccedente 10k).
Contributi: i collaboratori ora acquisiscono diritti previdenziali. L’ASD deve iscriverli al Registro Lavoratori Sportivi e versare contributi INPS (Gestione Separata Sport) sulla parte di compenso oltre €5.000 annui . Prima non c’erano contributi da versare affatto; ora sì (seppure con aliquote ridotte). Questo ha spiazzato alcune ASD che hanno visto aumentare il “costo” di un collaboratore. Alcune hanno ridotto i compensi o cambiato formula per assorbire l’onere contributivo . Per il collaboratore però è un vantaggio: matura un minimo di pensione, è assicurato per gli infortuni, ecc.
Adempimenti: il collaboratore deve rilasciare autocertificazione dei compensi percepiti nell’anno (per permettere all’ASD di monitorare la soglia) ; l’ASD deve fare una comunicazione semplificata al Centro per l’Impiego per ogni co.co.co (prima i compensi sportivi erano esentati da comunicazioni obbligatorie) .
In sostanza, dal 2023 il settore si “professionalizza” un po’ di più. Rimane comunque la grossa agevolazione fiscale fino a 15k, che è uno sconto d’imposta significativo. Chi però guadagnava molto (es. 20-25k annui) ora dovrà pagare qualche migliaio di euro di IRPEF sopra soglia e vedrà trattenuta una quota di contributi – nulla di drammatico, ma è un cambio. Le associazioni dovranno stare più attente a rispettare anche la normativa lavoristica: non possono più pagare istruttori in nero spacciandoli per volontari, perché ora c’è un registro dove vanno censiti e se li trovano non registrati scattano sanzioni. D’altra parte, se tutto è in regola, l’associazione mantiene i benefici fiscali e il collaboratore ottiene anche tutela previdenziale .

D8: Cosa posso fare se ricevo un avviso di accertamento per compensi sportivi non dichiarati?
R: Non ignorarlo! Entro 60 giorni dalla notifica occorre agire. I passi consigliati:
1. Analizzare l’atto attentamente (o farlo analizzare a un esperto tributarista/commercialista): capire cosa viene contestato esattamente (quale imposta, quali anni, quale importo) . Ad esempio, ti chiedono IRPEF su X euro per l’anno Y, con sanzione Z per omessa/infedele dichiarazione.
2. Raccogliere la documentazione utile: Certificazioni Uniche dei compensi, ricevute, lo statuto dell’ASD, eventuali comunicazioni dell’ASD che ti facevano ritenere di non dover dichiarare, copie di e-mail o messaggi rilevanti, ecc. . Bisogna avere materiale sia per capire se l’accertamento è corretto, sia per eventualmente contestarlo.
3. Valutare con un esperto le opzioni: ci sono errori formali nell’accertamento (es. è tardivo, o notificato a indirizzo sbagliato)? Ci sono motivi di merito validi per contestarlo (ad es. l’imposta era in realtà già pagata, oppure tu avevi diritto a una detrazione che non ti hanno calcolato)? Ci sono margini di trattativa con l’ufficio per ridurre sanzioni o importi?
4. Decidere se aderire o ricorrere: in molti casi conviene presentare istanza di accertamento con adesione (entro 60 giorni) . Questo sospende i termini e ti permette di negoziare con l’Agenzia un eventuale accordo (spesso si ottengono sconti su sanzioni). Se la cifra non è enorme e riconosci l’errore, potresti anche optare per il pagamento con acquiescenza (versi tutto entro 60 gg con sanzioni ridotte a 1/3) , soluzione rapida e meno costosa a livello sanzionatorio.
5. Pagare o impugnare: se trovi un accordo con l’ufficio (adesione), pagherai quanto concordato (rate se necessario) e la questione si chiude. Se invece non trovi accordo o ritieni l’accertamento ingiusto, allora dovrai presentare ricorso entro 60 giorni (o 150 se hai fatto adesione) . Il ricorso va motivato per bene e presentato alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione). Tieni presente che dal 2023 non c’è più l’obbligo di reclamo/mediazione fino a 50k, quindi puoi andare diretto in giudizio se vuoi. Valuta però con l’esperto la convenienza economica: se il gioco (spese, tempo) vale la candela rispetto all’importo in contestazione. A volte fare ricorso per 1.000 € di imposte non conviene, meglio pagare con sconto. Altre volte per cifre grandi conviene eccome combattere.
6. Evitare recidive: una volta gestito l’avviso, assicurati di regolarizzare il futuro: se finora non dichiaravi certi redditi ma ora hai capito che devi, d’ora in poi compila correttamente la dichiarazione; se l’ASD non ti faceva CU e questo ti ha tratto in errore, pretendi che la faccia; insomma, adotta tutte le misure per non ricadere nello stesso problema negli anni successivi.

D9: Se ho la partita IVA come istruttore, posso ricevere compensi sportivi esenti come dilettante?
R: In generale no, non per le stesse prestazioni. La normativa agevolativa è pensata per chi non esercita professionalmente quella attività . Se hai aperto una P.IVA da personal trainer, istruttore fitness o simili, significa che svolgi professionalmente quell’attività. Dunque, se vai a collaborare con un’ASD, dovresti farlo inquadrando il compenso nel tuo reddito di lavoro autonomo (emettendo fattura con IVA, oppure con ritenuta d’acconto se co.co.co, a seconda dei casi). Non puoi semplicemente prendere €300 al mese dall’ASD e considerarli “compenso dilettantistico esente” mentre per altri clienti fai fattura: sarebbe un abuso. La Cassazione ha chiarito che in questi casi l’esenzione non spetta: i compensi vanno tassati come redditi di lavoro autonomo con partita IVA . Di fatto, avere la P.IVA nello stesso settore esclude la qualifica di “dilettante”. Diverso è il caso in cui la P.IVA sia per attività diversa: es. sei un fisioterapista con P.IVA ma alleni una squadra di calcio dilettanti; lì potresti sostenere che l’attività di allenatore non è quella professionale prevalente e quindi i 300€ al mese che prendi dall’ASD li vuoi trattare da redditi diversi esenti. È un terreno scivoloso: fiscalmente l’Agenzia tende a contestare, perché se hai P.IVA nel settore sportivo difficilmente accetta che quella collaborazione sia “hobby”. Quindi, prudenza: se hai P.IVA, la via più sicura è fatturare tutto e semmai applicare il regime forfettario o altre agevolazioni, ma non invocare l’art. 67 m) TUIR.

D10: Quando l’omissione di compensi diventa un reato penale?
R: I reati tributari sono disciplinati dal D.Lgs. 74/2000. Nel contesto di redditi non dichiarati, i possibili reati sono principalmente due :
Dichiarazione infedele (art.4) – scatta se nella dichiarazione ometti di indicare redditi imponibili per un imponibile evaso > €2 milioni oppure un’imposta evasa > €100.000. In tal caso è un delitto punito con reclusione da 2 a 4 anni (limiti aumentati con riforma 2015). Nel caso degli allenatori, è abbastanza raro superare queste soglie, a meno di non dichiarare proprio nulla su cifre enormi. Ad esempio, un istruttore che avesse avuto €300.000 di compensi non dichiarati (imposta evasa ~€90k) non ricadrebbe ancora nel penale per infedele (perché imposta <100k). Ci vorrebbe una plateale evasione.
Omessa dichiarazione (art.5) – scatta se non presenti affatto la dichiarazione ed evadi oltre €50.000 di imposta. Qui la soglia è più bassa. Esempio: una SSD che per anni non dichiara nulla e in un anno “nasconde” €300.000 di ricavi evadendo €80.000 di IRES commette reato di omessa dichiarazione. Per un allenatore persona fisica, evadere 50k imposta significa non dichiarare sui 150-200k di reddito (a seconda delle aliquote). Non impossibile per allenatori top, ma difficile per i dilettanti. Pena: reclusione 2 a 5 anni.
Altri reati potenzialmente applicabili: l’omesso versamento di ritenute certificate (art.10-bis) se una ASD trattiene l’IRPEF ai collaboratori ma non la versa per oltre €150k annui (poco pertinente qui), oppure reati di emissione fatture false se si costruiscono fatture per coprire compensi in nero (ipotesi estrema).
In sintesi, l’allenatore medio difficilmente incappa nel penale a meno di situazioni eclatanti (importi enormi non dichiarati). Mentre le associazioni sportive “mascherate” con grandi volumi possono farlo – come visto nel Caso 2 sopra, il rappresentante ha rischiato/avuto una condanna per omessa dichiarazione.
Importante: Il ravvedimento operoso eseguito prima che inizino verifiche o comunque prima della denuncia azzera il penale. Anche la definizione dell’accertamento con pagamento integrale delle somme prima della sentenza penale può attenuare molto la pena. Quindi, se doveste scoprire di aver evaso importi oltre soglia, consultate subito un legale per valutare come sanare ed evitare guai peggiori.

Conclusioni

Dal punto di vista del debitore-contribuente (allenatore o associazione sportiva), affrontare un accertamento fiscale può sembrare un’esperienza scoraggiante e complessa. Tuttavia, come abbiamo illustrato, non sempre l’accertamento è fondato e, anche quando lo è, esistono diversi strumenti per gestirlo e mitigarne gli effetti.

È fondamentale anzitutto conoscere le regole del gioco: negli ultimi anni la fiscalità dello sport dilettantistico è cambiata, ma rimane uno status privilegiato rispetto ad altre attività. Ciò comporta però che l’Amministrazione finanziaria vigili attentamente su eventuali abusi. La linea di confine tra lecito e illecito in questo campo spesso sta nei fatti concreti: un allenatore veramente dilettante, che percepisce modesti rimborsi da un’ASD genuina, difficilmente sarà bersaglio di un accertamento severo; viceversa, situazioni “di comodo” (professionisti camuffati da dilettanti, ASD che operano come palestre commerciali) verranno perseguite duramente, come dimostrato dalle sentenze citate .

Dal punto di vista pratico, abbiamo visto che la difesa in caso di verifica deve essere tempestiva e su più fronti: procedurale (far valere i diritti dello Statuto del Contribuente, ad esempio sfruttando il contraddittorio preventivo ), negoziale (cercare soluzioni come l’adesione per ridurre le sanzioni e chiudere prima) e contenziosa (non esitare a ricorrere al giudice quando si hanno buone ragioni, ad esempio errori dell’ufficio o interpretazioni normative controverse). La preparazione di una difesa efficace richiede di documentare ogni elemento: oneri di prova e presunzioni giocano un ruolo cruciale in giudizio e chi ha tenuto traccia di pagamenti, comunicazioni, statuti e quant’altro parte avvantaggiato rispetto a chi deve cercare di ricostruire dopo anni senza pezze d’appoggio.

Un consiglio strategico è di non isolare la questione fiscale dal contesto: spesso alle contestazioni tributarie si affiancano quelle previdenziali e viceversa (Agenzia Entrate e INPS condividono informazioni). Perciò, se un allenatore viene convocato dall’INPS perché il suo rapporto è considerato subordinato, è probabile che poi arrivi anche l’Agenzia a chiedere le imposte; e al contrario, una verifica fiscale su un’ASD può far emergere contribuzioni non versate. Avere un approccio globale e magari ricomporre transattivamente la situazione con tutti gli enti (Entrate, INPS, Riscossione) può portare a soluzioni più equilibrate e sostenibili, evitando accanimenti multipli.

Infine, un aspetto umano: mantenere un atteggiamento collaborativo e trasparente, senza però rinunciare ai propri diritti. Lo Statuto del Contribuente garantisce correttezza e rispetto reciproco: pretendete che sia applicato (ad esempio, fate valere il diritto ai 60 giorni per presentare memorie dopo un PVC ), ma allo stesso tempo non chiudete le porte a una soluzione bonaria se vi rendete conto di aver sbagliato. Spesso mostrando buona fede e sistemando le proprie posizioni (ad esempio iniziando a dichiarare correttamente negli anni successivi durante la pendenza del contenzioso) si ottiene un miglior trattamento nella fase di accordo o in sede giudiziale.

In conclusione, il messaggio di questa guida è duplice: prevenire è meglio che curare – quindi informarsi, tenere la contabilità in ordine, chiedere pareri preventivi a professionisti può evitare di incorrere in problemi; ma se anche un accertamento arriva, non è la fine del mondo – con competenza e azione tempestiva si può spesso rimediare, pagando il giusto dovuto (talora niente, se si dimostra di aver ragione) e voltare pagina.

Lo sport, anche quello dilettantistico, deve restare un terreno di gioco e passione, non un campo minato fiscale: conoscere le regole aiuta a tenere il Fisco “in panchina” e a dedicarsi con serenità alla propria attività di allenatore.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché, come allenatore sportivo, ti vengono contestati compensi non dichiarati o irregolarità fiscali? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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👉 Prima regola: dimostra la corretta qualificazione dei compensi (sport dilettantistico, lavoro autonomo, collaborazione coordinata) e la loro tracciabilità.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Compensi percepiti da associazioni o società sportive non dichiarati;
  • Somme corrisposte come rimborso spese ma riqualificate come redditi da lavoro;
  • Differenze tra i movimenti bancari e i redditi dichiarati;
  • Pagamenti in contanti non documentati;
  • Errato inquadramento tra prestazioni dilettantistiche esenti e prestazioni professionali imponibili.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sui compensi ritenuti occultati;
  • Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele;
  • Interessi di mora sulle somme dovute;
  • Rischio di riqualificazione dei rapporti come lavoro subordinato irregolare;
  • Possibili contestazioni penali se le somme non dichiarate superano le soglie di legge.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • I compensi percepiti rientravano nei limiti di esenzione previsti per i dilettanti?
  • I pagamenti erano tracciabili (bonifici, assegni, accrediti)?
  • Le somme contestate erano rimborsi spese documentati o veri compensi?
  • L’associazione o società sportiva aveva rispettato gli obblighi di certificazione?
  • L’accertamento si basa su prove concrete o solo su presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti con associazioni, federazioni o società sportive;
  • Certificazioni uniche (CU) rilasciate dalle associazioni;
  • Estratti conto bancari e ricevute dei pagamenti;
  • Documentazione dei rimborsi spese (viaggi, trasferte, alloggi);
  • Dichiarazioni fiscali degli anni contestati.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la corretta natura dilettantistica dei compensi entro i limiti di legge;
  • Contestare la riqualificazione come reddito imponibile quando si trattava di rimborsi documentati;
  • Evidenziare la buona fede in caso di incertezze normative;
  • Richiedere annullamento in autotutela se le somme erano già regolarmente certificate;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
  • Difesa penale mirata in caso di contestazioni per evasione fiscale rilevante.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza contratti e compensi percepiti dall’allenatore;
📌 Valuta la fondatezza della contestazione e i margini di difesa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei giudizi fiscali e nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione sicura e trasparente dei compensi sportivi.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e sportivo;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni fiscali a tecnici e professionisti dello sport;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Gli accertamenti fiscali agli allenatori sportivi non sempre sono fondati: spesso derivano da errori nell’inquadramento dei compensi, da presunzioni o da interpretazioni restrittive della normativa.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza della tua posizione, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare conseguenze penali.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti fiscali come allenatore sportivo inizia qui.Vuoi sapere cosa rischi e come predisporre una difesa efficace?

👉 Prima regola: dimostra la corretta qualificazione dei compensi (sport dilettantistico, lavoro autonomo, collaborazione coordinata) e la loro tracciabilità.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Compensi percepiti da associazioni o società sportive non dichiarati;
  • Somme corrisposte come rimborso spese ma riqualificate come redditi da lavoro;
  • Differenze tra i movimenti bancari e i redditi dichiarati;
  • Pagamenti in contanti non documentati;
  • Errato inquadramento tra prestazioni dilettantistiche esenti e prestazioni professionali imponibili.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sui compensi ritenuti occultati;
  • Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele;
  • Interessi di mora sulle somme dovute;
  • Rischio di riqualificazione dei rapporti come lavoro subordinato irregolare;
  • Possibili contestazioni penali se le somme non dichiarate superano le soglie di legge.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • I compensi percepiti rientravano nei limiti di esenzione previsti per i dilettanti?
  • I pagamenti erano tracciabili (bonifici, assegni, accrediti)?
  • Le somme contestate erano rimborsi spese documentati o veri compensi?
  • L’associazione o società sportiva aveva rispettato gli obblighi di certificazione?
  • L’accertamento si basa su prove concrete o solo su presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti con associazioni, federazioni o società sportive;
  • Certificazioni uniche (CU) rilasciate dalle associazioni;
  • Estratti conto bancari e ricevute dei pagamenti;
  • Documentazione dei rimborsi spese (viaggi, trasferte, alloggi);
  • Dichiarazioni fiscali degli anni contestati.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la corretta natura dilettantistica dei compensi entro i limiti di legge;
  • Contestare la riqualificazione come reddito imponibile quando si trattava di rimborsi documentati;
  • Evidenziare la buona fede in caso di incertezze normative;
  • Richiedere annullamento in autotutela se le somme erano già regolarmente certificate;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
  • Difesa penale mirata in caso di contestazioni per evasione fiscale rilevante.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza contratti e compensi percepiti dall’allenatore;
📌 Valuta la fondatezza della contestazione e i margini di difesa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei giudizi fiscali e nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione sicura e trasparente dei compensi sportivi.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e sportivo;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni fiscali a tecnici e professionisti dello sport;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Gli accertamenti fiscali agli allenatori sportivi non sempre sono fondati: spesso derivano da errori nell’inquadramento dei compensi, da presunzioni o da interpretazioni restrittive della normativa.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza della tua posizione, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare conseguenze penali.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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