Corte Di Cassazione E Doppia Imposizione: Cosa Sapere

Hai ricevuto un accertamento fiscale che comporta una doppia imposizione, sia in Italia che all’estero? La Corte di Cassazione si è più volte pronunciata su questi casi, stabilendo regole precise per tutelare i contribuenti. La doppia imposizione, infatti, si verifica quando lo stesso reddito viene tassato due volte, in due Paesi diversi, senza che vengano correttamente applicate le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Conoscere l’orientamento della giurisprudenza è fondamentale per difendersi.

Quando si verifica la doppia imposizione
– Se i redditi prodotti all’estero vengono tassati anche in Italia senza applicare le convenzioni internazionali
– Se non viene riconosciuto il credito d’imposta per le imposte già versate all’estero
– Se vi sono divergenze di qualificazione del reddito tra Italia e altro Stato (ad esempio dividendi, royalties, interessi)
– Se l’Agenzia delle Entrate presume la residenza fiscale in Italia di soggetti che operano all’estero
– Se mancano adeguati scambi di informazioni tra le autorità fiscali dei due Paesi

Cosa dice la Corte di Cassazione sulla doppia imposizione
– Ha riconosciuto che le convenzioni internazionali hanno valore prevalente rispetto alla normativa interna
– Ha stabilito che il contribuente ha diritto a vedersi riconosciuto il credito d’imposta estero se dimostra l’avvenuto pagamento
– Ha chiarito che la residenza fiscale deve basarsi su elementi concreti (domicilio, interessi economici, legami familiari)
– Ha ribadito che la doppia imposizione deve essere evitata attraverso un’interpretazione conforme ai trattati OCSE
– Ha sottolineato che l’onere della prova sulla spettanza del credito d’imposta spetta al contribuente, ma l’Ufficio deve motivare l’accertamento

Conseguenze di un accertamento con doppia imposizione
– Pagamento duplicato delle imposte sullo stesso reddito
– Applicazione di sanzioni e interessi anche in Italia
– Maggiore esposizione a controlli fiscali internazionali
– Rischio di conflitti tra sistemi fiscali di Stati diversi
– Nei casi più complessi, difficoltà a recuperare le somme già pagate all’estero

Come difendersi dalla doppia imposizione
– Dimostrare con documentazione estera l’effettivo pagamento delle imposte fuori dall’Italia
– Invocare le convenzioni internazionali e l’art. 165 TUIR sul credito d’imposta
– Contestare la residenza fiscale in Italia se non vi sono i presupposti
– Evidenziare errori di calcolo o vizi di motivazione dell’accertamento
– Richiedere l’applicazione diretta delle norme OCSE e delle convenzioni bilaterali
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere la riduzione o l’annullamento della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la natura del reddito e la sua tassazione nei diversi Stati coinvolti
– Verificare la corretta applicazione delle convenzioni internazionali da parte dell’Agenzia delle Entrate
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e precedenti giurisprudenziali favorevoli
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in Cassazione
– Tutelare il patrimonio personale e aziendale da pretese fiscali ingiuste

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della doppia imposizione
– Il riconoscimento del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero
– La riduzione di sanzioni e interessi non dovuti
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– La certezza che i redditi siano tassati una sola volta, nel rispetto della legge e dei trattati internazionali

⚠️ Attenzione: la doppia imposizione è uno dei problemi più complessi della fiscalità internazionale e spesso l’Agenzia delle Entrate ignora o interpreta in modo restrittivo le convenzioni internazionali. È fondamentale agire subito con l’assistenza di un legale esperto.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e internazionale – spiega cosa sapere sulla doppia imposizione secondo la Corte di Cassazione e come difendersi in caso di accertamenti fiscali.

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Introduzione

La doppia imposizione fiscale è un fenomeno in cui la stessa ricchezza viene tassata due volte. Può manifestarsi sotto diverse forme ed è generalmente considerato un’anomalia da evitare per ragioni di equità e di rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Cost.). In ambito tributario, il termine “doppia imposizione” può riferirsi sia a situazioni di duplicazione giuridica del prelievo (due volte la stessa imposta sul medesimo presupposto) sia a una duplicazione economica (lo stesso reddito tassato due volte in mani diverse o con tributi differenti). Nel contesto odierno – caratterizzato da contribuenti che spesso hanno fonti di reddito all’estero, investimenti internazionali o operazioni complesse – comprendere la distinzione tra queste forme di doppia tassazione e conoscere gli strumenti per evitarla è cruciale. Ciò vale sia per i privati cittadini sia per gli imprenditori, oltre che per i professionisti legali e fiscali che li assistono.

La Corte di Cassazione italiana, massima autorità giudiziaria in materia tributaria, ha affrontato più volte il tema della doppia imposizione, contribuendo a definirne i confini e a indicare soluzioni nei casi concreti. In questa guida aggiornata a settembre 2025, esamineremo in dettaglio ciò che c’è da sapere sulla doppia imposizione dal punto di vista dell’ordinamento italiano. Illustreremo le nozioni chiave (con particolare attenzione alla distinzione tra doppia imposizione giuridica ed economica), la normativa italiana rilevante, gli orientamenti più recenti della giurisprudenza di legittimità (con sentenze aggiornate e pronunce della Cassazione), nonché le soluzioni pratiche per evitare o rimuovere la doppia tassazione. Verranno proposte tabelle riepilogative, esempi concreti e una sezione di domande e risposte per chiarire i dubbi frequenti. Il tutto, tenendo ben presente la prospettiva del contribuente-debitore d’imposta, ossia di colui che rischia di subire un doppio prelievo e cerca tutela nei confronti del Fisco.

Concetti fondamentali: doppia imposizione giuridica vs economica

Quando si parla di doppia imposizione è importante distinguere tra due concetti fondamentali: la doppia imposizione giuridica e la doppia imposizione economica. Questa distinzione, ben nota in dottrina e giurisprudenza tributaria, aiuta a capire quando effettivamente ci si trova di fronte a una tassazione duplicata vietata e quando, invece, si tratta di una mera sovrapposizione di prelievi consentita dall’ordinamento (sia pure spesso attenuata da misure correttive). Di seguito ne esaminiamo le differenze:

  • Doppia imposizione giuridica: Si verifica quando la medesima imposta viene applicata più volte sullo stesso presupposto impositivo. In altre parole, l’Erario pretende due volte (o più volte) lo stesso tributo in relazione al medesimo fatto economico. Questa situazione tipicamente coinvolge lo stesso contribuente (o anche soggetti diversi, purché l’imposta e il presupposto siano coincidenti) ed è considerata illegittima nell’ordinamento italiano. Il divieto di doppia imposizione giuridica è sancito espressamente da specifiche norme: ad esempio, l’art. 67 del d.P.R. 600/1973 (riferito agli accertamenti tributari) e l’art. 163 del d.P.R. 917/1986 (TUIR) vietano di assoggettare a tassazione due volte lo stesso reddito con la stessa imposta . Un esempio di doppia imposizione giuridica sarebbe far pagare due volte l’IRPEF su un identico reddito nello stesso periodo d’imposta – circostanza che in condizioni normali non dovrebbe mai accadere, se non per errore dell’Amministrazione finanziaria o per una sovrapposizione illecita di pretese fiscali.
  • Doppia imposizione economica: Si ha invece quando una stessa manifestazione di ricchezza subisce due tassazioni di natura diversa. In tal caso non è la stessa imposta ad essere applicata due volte, bensì due imposte distinte colpiscono, in momenti o modalità differenti, la stessa base imponibile o lo stesso flusso economico . L’esempio classico è la tassazione degli utili societari: prima tassati in capo alla società (con l’imposta sul reddito delle società, IRES) e poi, una volta distribuiti come dividendi, tassati in capo al socio percettore (con IRPEF o altra imposta sui dividendi) . Qui i soggetti colpiti sono diversi e i tributi sono formalmente diversi, ma dal punto di vista economico la ricchezza è la medesima (il profitto generato dall’impresa). Un altro esempio di doppia imposizione economica è la mancata deducibilità fiscale di un costo che costituisce il reddito di un altro soggetto: pensiamo al compenso di un amministratore di società non deducibile per la società e al contempo tassato come reddito di lavoro autonomo in capo all’amministratore – la somma in questione sconta in effetti due imposte diverse (IRES in capo alla società e IRPEF in capo all’amministratore).

Rilevanza giuridica delle due nozioni – La distinzione sopra evidenziata non è solo teorica, ma ha importanti conseguenze pratiche: il nostro ordinamento proibisce la doppia imposizione giuridica, mentre tollera (entro certi limiti) la doppia imposizione economica. La Cassazione ha chiarito che il divieto di doppia imposizione opera solo in caso di reiterata applicazione della medesima imposta sul medesimo presupposto . Non vi è violazione, invece, quando il doppio prelievo è “meramente economico”, come nel caso di utili societari tassati sia in capo alla società (IRES) che in capo ai soci (IRPEF sui dividendi), data la diversità sia dei soggetti passivi sia del titolo del prelievo . In sostanza, due tributi diversi possono legittimamente gravare sul medesimo fatto economico; sta poi al legislatore, per ragioni di politica fiscale, decidere se mitigare tali effetti con appositi meccanismi. Ed in effetti spesso il legislatore adotta misure per attenuare la doppia imposizione economica: si pensi alla parziale detassazione dei dividendi societari percepiti da persone fisiche o società (introdotta per evitare una tassazione complessiva eccessiva del reddito d’impresa distribuito) . Tali misure non discendono da un obbligo giuridico di evitare la doppia imposizione economica, ma da scelte di equità e incentivazione economica. Dunque, dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta), è fondamentale capire che non ogni situazione di doppio prelievo è automaticamente illegittima: sarà necessario verificare se ricorre una duplicazione vietata dalla legge (doppia imposizione giuridica) oppure una duplicazione consentita ma eventualmente mitigabile con gli strumenti previsti (doppia imposizione economica).

Doppia imposizione interna e internazionale

Un’ulteriore distinzione concettuale attiene all’ambito territoriale in cui si verifica la doppia imposizione: possiamo avere doppia imposizione interna (all’interno di uno stesso ordinamento nazionale) e doppia imposizione internazionale (coinvolgente due o più ordinamenti fiscali di Stati diversi).

  • Doppia imposizione interna: si verifica quando la duplicazione del prelievo avviene nell’ambito del medesimo Stato. Ad esempio, in Italia potrebbe darsi il caso – teorico o di fatto – di due imposte nazionali che colpiscono lo stesso presupposto oppure di un’imposta locale che si sovrappone a un’imposta erariale sullo stesso oggetto. In passato, alcune imposte locali e nazionali hanno presentato rischi di sovrapposizione. Tuttavia, grazie al citato principio di divieto della doppia imposizione giuridica, il sistema tributario interno cerca di evitare che due tributi uguali colpiscano lo stesso reddito due volte . Non a caso, come detto, esistono norme specifiche che impediscono all’Amministrazione finanziaria di tassare nuovamente un reddito già tassato. Ad esempio, se un determinato reddito è stato assoggettato ad IRPEF in un anno, non potrà essere ritassato in un altro anno salvo che emergano nuovi elementi (il che comunque attiene più al tema della revisione dell’accertamento che non alla doppia imposizione in senso stretto). La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che il divieto di doppia imposizione interna rileva quando vi sia identità di presupposto e di imposta, mentre non opera se la duplicazione di prelievo avviene con imposte diverse . In pratica, nell’ordinamento italiano è legittimo (benché magari oneroso) che coesistano tributi differenti sul medesimo fatto economico, mentre non è legittimo tassare due volte con lo stesso tributo lo stesso fatto. Si noti che talvolta i contribuenti percepiscono come “doppia tassazione” anche situazioni in cui il medesimo bene o reddito sconta due imposte diverse: ad esempio, il possesso di una seconda casa in Italia può scontare sia l’IMU (imposta patrimoniale comunale sull’immobile) sia l’IRPEF sull’eventuale reddito fondiario (la rendita catastale non affittata). Questo è un caso di duplice prelievo economico (patrimoniale + reddito) che, allo stato, il legislatore ha parzialmente mitigato esentando dall’IRPEF l’abitazione principale ma non le seconde case; dunque, il proprietario di un secondo immobile paga di fatto due imposte diverse sullo stesso cespite immobiliare. Pur essendo discusso a livello di equità, ciò non viola un divieto giuridico, perché IMU e IRPEF hanno natura e presupposti differenti. Sta alla sensibilità del legislatore (ed eventualmente alla pressione dei contribuenti) valutare se evitare o meno queste forme di doppio prelievo economico.
  • Doppia imposizione internazionale: si ha quando due Stati diversi impongono entrambi una tassazione sulla stessa manifestazione di capacità contributiva in capo allo stesso soggetto. Tipicamente ciò avviene perché uno Stato tassa il reddito in base al principio di residenza (tassazione del reddito mondiale del proprio residente) e l’altro Stato tassa lo stesso reddito in base al principio della fonte o del luogo di produzione (tassazione dei redditi generati sul proprio territorio). Ad esempio, un cittadino italiano residente in Italia che lavora in Francia potrebbe subire una tassazione concorrente: la Francia in quanto luogo dove il reddito da lavoro è prodotto, e l’Italia in quanto Paese di residenza fiscale del lavoratore, entrambi pretenderebbero di tassare quello stipendio. In assenza di correttivi, il reddito verrebbe così tassato due volte. Una definizione descrittiva autorevole individua la doppia imposizione internazionale nella sottoposizione delle medesime manifestazioni di ricchezza, in capo al medesimo soggetto, alla potestà impositiva di più Stati tramite imposte identiche o analoghe . Dunque gli elementi caratterizzanti sono: identità del soggetto, identità (o forte similitudine) del presupposto e del tipo di imposta, e concorrente pretesa fiscale di Stati diversi (ciascuno dei quali legittimato dalle proprie norme interne). La doppia imposizione internazionale è un fenomeno molto frequente nell’economia globale e rappresenta un ostacolo alla libera circolazione di persone, capitali e attività economiche. Un contribuente che rischi di pagare il doppio delle imposte sui propri redditi transnazionali potrebbe infatti rinunciare ad investire o lavorare oltreconfine. Per questo motivo sin dal secolo scorso gli Stati hanno sviluppato strumenti di cooperazione internazionale per eliminare o almeno attenuare la doppia tassazione internazionale. Tali strumenti si rinvengono sia in norme interne (es. credito d’imposta per le imposte estere) sia, soprattutto, in apposite Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. L’Italia ha stipulato numerosissime Convenzioni bilaterali (trattati fiscali) con altri Paesi, basate in gran parte sul Modello OCSE, proprio con la finalità di evitare che i contribuenti subiscano un maggiore carico fiscale sui redditi transnazionali . Approfondiremo più avanti il funzionamento di queste Convenzioni e i rimedi da esse previsti.

In sintesi, la doppia imposizione interna è affrontata mediante il divieto (limitato al caso di identica imposta) previsto dal diritto nazionale, mentre la doppia imposizione internazionale è gestita tramite un coordinamento tra Stati (trattati e normative interne di attuazione). In entrambi i casi, il contribuente che si trovi di fronte a una doppia tassazione deve sapere quali strumenti l’ordinamento gli mette a disposizione per non pagare due volte il dovuto.

Normativa italiana in materia di doppia imposizione

Passiamo ad esaminare le principali fonti normative dell’ordinamento italiano che riguardano il tema della doppia imposizione. Esse si dividono in norme interne che sanciscono principi generali o predispongono rimedi unilaterali, e norme che recepiscono obblighi derivanti da accordi internazionali. Qui di seguito elenchiamo e commentiamo le più rilevanti per un livello avanzato di approfondimento:

  • Art. 67 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600Divieto di doppia imposizione nell’accertamento delle imposte sui redditi. Questa disposizione, contenuta nel decreto che disciplina l’accertamento tributario, stabilisce che non può essere tassato un reddito già soggetto a tassazione. È, di fatto, la norma che codifica il principio del “ne bis in idem” tributario sul piano interno per le imposte sui redditi. L’art. 67 è rubricato proprio “Divieto della doppia imposizione” e postula che la stessa imposta sul reddito non possa colpire due volte lo stesso presupposto . In termini pratici, ciò vincola l’Amministrazione finanziaria a evitare duplicazioni: ad esempio, se un reddito era imponibile in un certo anno non può essere ri-imposto in un altro anno a titolo della stessa imposta. La giurisprudenza ha applicato questo articolo in vari casi di contenzioso, talora invocato dal contribuente quando l’Agenzia delle Entrate tentava di recuperare a tassazione componenti reddituali già tassati in precedenza sotto altra forma. È importante notare che l’art. 67 si riferisce all’ambito delle imposte sui redditi e alla medesima imposta: come visto, non impedisce tassazioni economiche duplicate con imposte diverse.
  • Art. 163 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – Anche il Testo Unico delle Imposte sui Redditi prevede, in chiusura della parte relativa all’IRPEF, un principio di divieto di doppia imposizione, in termini sostanzialmente analoghi all’art. 67 del d.P.R. 600/1973 . L’art. 163 TUIR (nel testo attuale) sancisce infatti che i redditi già tassati non debbano essere nuovamente tassati nell’ambito dell’IRPEF. Storicamente, questa norma ha radici lontane, come la Treccani ricorda: già leggi del 1877 e successivamente del 1958 contenevano disposizioni per evitare che redditi già colpiti da un’imposta diretta venissero tassati di nuovo con la stessa imposta . Dunque, si tratta di un principio ben radicato nel nostro ordinamento tributario. Tuttavia, va ribadito che sia l’art. 67 DPR 600/73 sia l’art. 163 TUIR si riferiscono alla duplicazione della stessa imposta sul reddito. Di conseguenza, questi articoli sono invocabili ad esempio per evitare che un medesimo provento sia conteggiato due volte ai fini IRPEF, ma non possono essere usati per contestare la presenza di due imposte diverse sullo stesso reddito (cosa che esula dal loro perimetro).
  • Art. 165 TUIR – Credito d’imposta per le imposte pagate all’estero: Questa norma rappresenta il principale strumento unilaterale previsto dall’Italia per evitare la doppia imposizione internazionale sui redditi. Essa stabilisce che, se un reddito prodotto all’estero da un residente in Italia è tassato anche nello Stato estero, il contribuente ha diritto a un credito d’imposta sulle imposte italiane, pari all’importo dell’imposta pagata all’estero (nei limiti della corrispondente imposta italiana dovuta su quel reddito). In sostanza, si evita che il reddito estero sconti un doppio gravame: l’Italia riconosce uno sconto d’imposta per le somme già versate al fisco estero. L’art. 165 dettaglia le condizioni e i calcoli per questo meccanismo. Tra le condizioni, c’è l’obbligo per il contribuente di aver dichiarato il reddito estero nella propria dichiarazione dei redditi italiana. Proprio su questo punto si innesta una problematica che ha dato luogo a contenzioso: il comma 8 dell’art. 165 prevede infatti che se il contribuente omette di dichiarare il reddito estero, perde il diritto al credito per le imposte estere relative a quel reddito. Questa previsione è stata a lungo criticata perché finiva per punire con una sorta di doppia tassazione (integrale) chi, magari per ignoranza o errore, non avesse indicato in dichiarazione un reddito già tassato fuori dall’Italia. Immaginiamo un lavoratore italiano che ha pagato le tasse all’estero sul suo stipendio e, non sapendo di doverlo dichiarare in Italia, omette di farlo: se viene successivamente accertato dal Fisco italiano, non solo dovrà pagare le imposte italiane su quel reddito, ma – applicando rigidamente l’art.165 co.8 – non potrebbe nemmeno scomputare quanto già versato all’estero, subendo così una doppia imposizione integrale. Come vedremo, la Corte di Cassazione di recente è intervenuta su questa materia, affermando principi importantissimi a tutela del contribuente, in nome degli obblighi internazionali dell’Italia (le Convenzioni contro le doppie imposizioni) . Anticipiamo sin d’ora che la Cassazione ha sostanzialmente disinnescato l’art. 165 comma 8 TUIR, ritenendo che esso non possa privare il contribuente del credito d’imposta in presenza di una Convenzione internazionale applicabile . Torneremo più avanti su queste pronunce fondamentali (risalenti al 2024-2025). Per ora, è importante sapere che il credito per le imposte estere rimane uno strumento chiave per evitare la doppia tassazione su base unilaterale: il contribuente italiano che produce redditi fuori dai confini nazionali deve indicare tali redditi in dichiarazione e può detrarre le imposte estere pagate, nei limiti previsti, allegando la relativa documentazione. Questo consente normalmente di non pagare due volte. In assenza di convenzione internazionale, l’art.165 TUIR opera comunque (quale misura interna); se invece esiste una Convenzione, il credito d’imposta si applica secondo le regole convenzionali, che spesso rimandano alla legge interna per il calcolo.
  • Art. 169 TUIRPrevalenza delle convenzioni internazionali. Questa disposizione stabilisce un principio generale: le norme del TUIR (Testo Unico delle imposte sui redditi) si applicano fatto salvo quanto disposto dalle Convenzioni internazionali contro la doppia imposizione ratificate dall’Italia. In altri termini, se una norma interna (come appunto l’art. 165 TUIR o altre) fosse in contrasto con una previsione di una Convenzione contro le doppie imposizioni vigente, prevale la norma convenzionale. L’art. 169 specifica anche che ciò vale a meno che l’applicazione del TUIR risulti più favorevole al contribuente . Questo principio di prevalenza è cruciale: significa che le regole pattizie concordate tra l’Italia e l’altro Stato nelle Convenzioni hanno un rango speciale nell’ordinamento interno, tale da sovrastare eventuali norme interne difformi. È proprio appellandosi a questa prevalenza che, come vedremo, la Cassazione ha risolto il conflitto tra il comma 8 dell’art.165 TUIR (sfavorevole al contribuente) e le Convenzioni (che impongono di evitare comunque la doppia tassazione). Anche il d.P.R. 600/1973 contiene una disposizione analoga: l’art. 75 d.P.R. 600/73 prevede che nell’applicazione delle imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia . Dunque tanto l’art. 75 DPR 600 quanto l’art. 169 TUIR garantiscono che l’Italia onori gli impegni presi nei trattati contro le doppie imposizioni, evitando che norme interne impediscano ai contribuenti di beneficiare dei trattamenti di favore previsti dai trattati.
  • Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000) – Pur non contenendo un riferimento espresso alla doppia imposizione, lo Statuto sancisce principi di civiltà fiscale che indirettamente rinforzano la tutela del contribuente da fenomeni impositivi irragionevoli. Ad esempio, l’art. 6 comma 1 L.212/2000 prevede che il contribuente non sia tenuto a fornire documenti già in possesso dell’amministrazione: questa norma è stata invocata per evitare duplicazioni di richieste e – sebbene in modo indiretto – può attagliarsi al concetto che il Fisco non può far pagare due volte su basi già note. Inoltre, l’art. 10 comma 1 L.212/2000 stabilisce il principio dell’affidamento e della buona fede nei rapporti tra contribuente e Fisco: una doppia imposizione inattesa e non chiara potrebbe essere vista in contrasto con tale principio di buona fede. Tuttavia, lo Statuto non fornisce rimedi specifici per la doppia imposizione, restando la tutela affidata alle norme tecniche sopra citate e alle vie del contenzioso.
  • Norme speciali anti-doppia imposizione nell’IVA e nelle imposte indirette: Va menzionato che l’ordinamento prevede meccanismi specifici per evitare doppi prelievi anche nell’ambito delle imposte indirette. Un esempio fondamentale è il principio di alternatività IVA/Registro, sancito dall’art. 40 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico dell’imposta di registro). Tale principio dispone che per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti ad IVA, l’imposta di registro si applica in misura fissa, e non proporzionale . Ciò significa che, se un contratto di compravendita o locazione è assoggettato ad IVA, il medesimo atto, ai fini della registrazione, non sconta la normale aliquota proporzionale (ad esempio il 9% per la compravendita di fabbricati tra privati), ma paga solo una somma fissa (attualmente 200 euro). Lo scopo è chiaro: evitare la “doppia imposizione indiretta”, ossia che la stessa operazione economica sia colpita sia da IVA (imposta sul valore aggiunto) sia da imposta di registro proporzionale. Esempio: se un costruttore vende un appartamento, applica l’IVA (ad esempio al 10% o 22% a seconda dei casi) sul prezzo; quando l’atto viene registrato, si pagherà solo 200 euro di registro, non il 9% . Viceversa, se un privato vende un appartamento (operazione non soggetta ad IVA), l’atto sconta l’imposta di registro piena (es. 9%) . In pratica, IVA e imposta di registro si alternano: o c’è l’una (IVA) o, in sua mancanza, si applica l’altra in misura piena. Questo principio di alternatività subisce alcune eccezioni: ad esempio, per le locazioni di immobili strumentali (capannoni, uffici) l’art. 40 del TUR prevede al comma 1-bis che l’imposta di registro proporzionale si applichi anche se il contratto è soggetto ad IVA . Tale eccezione fu introdotta nel 2006 (decreto-legge n. 223/2006, c.d. “decreto Bersani” ) per specifiche finalità di gettito, ed è un caso in cui il legislatore ha consapevolmente creato una duplicazione di prelievo (IVA + registro) su uno stesso contratto, derogando al principio generale. Ciò conferma che la doppia imposizione economica non è proibita in assoluto, potendo il legislatore introdurla se motivato – anche se si tratta di situazioni limitate e spesso contestate dagli operatori per il maggior onere. Anche in queste ipotesi, comunque, se il contribuente si trova a pagare un’imposta non dovuta può agire per il rimborso di quanto versato in eccedenza (come vedremo a proposito di un caso di doppio versamento IVA/Registro risolto in Cassazione).

In sintesi, la normativa italiana offre un quadro di tutela abbastanza articolato: principi di divieto di doppia imposizione giuridica sul piano interno; strumenti unilaterali (come il credito d’imposta) e prevalenza dei trattati sul piano internazionale; regole speciali per evitare doppi prelievi in materia di imposte indirette. Tali disposizioni riflettono la volontà del legislatore di conciliare l’esigenza di prelievo fiscale con il principio di ragionevolezza e di equa ripartizione del carico tributario, evitando duplicazioni immotivate. Come vedremo nel prossimo paragrafo, la Corte di Cassazione ha avuto un ruolo chiave nell’interpretare e nell’applicare queste norme, spesso estendendone in via sistematica la portata a tutela del contribuente.

L’orientamento della Corte di Cassazione sulla doppia imposizione

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, è intervenuta più volte su casi riguardanti la doppia imposizione, consolidando alcuni principi e talora innovando l’interpretazione delle norme a favore di una maggiore tutela del contribuente. Esamineremo separatamente gli orientamenti in materia di doppia imposizione internazionale (soprattutto in relazione alle Convenzioni contro le doppie imposizioni e al credito d’imposta per i redditi esteri) e quelli in materia di doppia imposizione interna (inclusi i rapporti tra imposte diverse, come IVA/Registro o IRES/IRPEF). Citando alcune sentenze chiave della Cassazione fino al 2025, potremo delineare “cosa sapere” per affrontare queste questioni da un punto di vista avanzato.

Doppia imposizione internazionale: convenzioni e credito d’imposta secondo la Cassazione

La Cassazione ha più volte ribadito che le Convenzioni internazionali contro la doppia imposizione – una volta ratificate – fanno parte integrante dell’ordinamento, prevalendo sulle norme interne incompatibili e dovendo essere interpretate secondo criteri propri e alla luce del Modello OCSE e relativi Commentari . In particolare, la Suprema Corte ha enunciato alcune linee guida fondamentali:

  • Benefici convenzionali legati alla piena residenza fiscale: solo chi è effettivamente residente fiscale in uno Stato contraente (cioè soggetto a tassazione ivi in modo illimitato sui redditi mondiali) può invocare i benefici della Convenzione . Ciò implica, ad esempio, che se un soggetto non è considerato residente dall’altro Stato (o non vi è soggetto passivo “full tax liability”), potrebbe non poter sfruttare il trattato. Tuttavia, su questo punto occorre fare attenzione a un importante chiarimento dato dalla giurisprudenza: la nozione di “residente” ai fini convenzionali non richiede il pagamento effettivo di imposte nell’altro Stato, è sufficiente la potenziale soggezione illimitata (principio del liable to tax, soggetto passivo potenziale) . Ad esempio, Cass. n. 10706/2019 ha affermato che “ai fini della doppia imposizione rileva la sola esistenza del potere impositivo principale, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta” . Ciò significa che un contribuente italiano che risulta residente ai sensi della Convenzione in un altro Stato (perché lì ha domicilio, famiglia, ecc.), può ottenere i benefici convenzionali anche se in quello Stato – magari per esenzioni locali – non ha pagato imposte su certi redditi. L’importante è che vi fosse il potere impositivo in teoria. Questo principio è stato confermato più volte ed è coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, ad esempio sul caso dei dividendi Italia-Svizzera: l’aliquota ridotta prevista dal trattato si applica per il solo fatto che il dividendo sia imponibile in Svizzera, anche se poi di fatto la Svizzera lo esenta (caso Truck Center in CGUE, recepito da Cass. 26377/2018) . Questo orientamento della Cassazione ha enorme rilievo pratico, perché impedisce all’Amministrazione finanziaria di richiedere al contribuente la prova del “doppio pagamento”: se c’è Convenzione e l’altro Stato aveva titolo per tassare quel reddito, l’Italia deve adeguarsi ai limiti convenzionali (ad esempio applicare l’aliquota ridotta o dare il credito) anche se l’altro Stato ha rinunciato a tassare quel reddito per sue ragioni interne. In sintesi: la Cassazione considera l’esistenza della potestà impositiva estera (anche solo teorica) sufficiente a far scattare l’obbligo di evitare la doppia tassazione in Italia .
  • Finalità delle Convenzioni e interpretazione conforme: Più volte la Suprema Corte ha sottolineato che lo scopo delle Convenzioni contro le doppie imposizioni è “eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali, onde evitare che i contribuenti subiscano un maggior carico fiscale sui redditi percepiti all’estero e agevolare l’attività economica e d’investimento internazionale” (così Cass. 27600/2011 e numerose successive). Questo principio teleologico guida l’interpretazione delle clausole convenzionali. Ne discende, ad esempio, che le espressioni come “possono essere tassati” (may be taxed) presenti nelle Convenzioni non vanno intese come facoltà alternativa per gli Stati di tassare a piacimento (che porterebbe a doppia tassazione), bensì come attribuzione di concorrenza di potestà da gestire attraverso il meccanismo del credito o dell’esenzione. Proprio su questa sfumatura si è avuta nel 2024 una importante evoluzione giurisprudenziale: la Cassazione ha rimeditato un precedente orientamento ed ha chiarito che, nell’interpretare l’art. 15 del Modello OCSE (redditi di lavoro dipendente), la frase “possono essere tassati” nel Paese della prestazione non esclude affatto la tassazione concorrente nello Stato di residenza. In altre parole, se un trattato dice che lo stipendio può essere tassato nello Stato estero (tipicamente quando il soggiorno supera i 183 giorni o altre condizioni), ciò significa che quell’estero ha diritto di tassare senza escludere che anche lo Stato di residenza possa tassare, salvo ovviamente l’obbligo di eliminare la doppia imposizione poi . Caso esemplare: un contribuente italiano lavora più di 183 giorni in Kazakistan; secondo la Convenzione Italia-Kazakistan, il reddito può essere tassato in Kazakistan (Stato della fonte) e l’Italia (Stato di residenza) deve concorrere a tassarlo ma eliminare la doppia imposizione tramite credito . In passato, qualche interpretazione riteneva che in tali casi l’Italia dovesse rinunciare alla tassazione (esenzione) se presenti le condizioni dei 183 giorni; la Cassazione 2024 (sent. nn. 5524, 5530, 5558 del 1º marzo 2024) ha invece chiarito che l’Italia mantiene il diritto di tassare i suoi residenti, limitandosi poi a detrarre l’imposta estera . Questo ha portato a uniformare la prassi: 183 giorni all’estero non significano esenzione automatica in Italia, a meno che la Convenzione specifica non preveda espressamente l’esenzione (la maggior parte prevedono invece il credito). È un punto molto tecnico, ma rilevante per i lavoratori all’estero: significa che, ad esempio, un italiano che lavora in un Paese estero per più di metà anno dovrà comunque dichiarare in Italia il reddito, salvo poi ottenere il credito per l’imposta estera pagata (come regola generale). La Cassazione ha richiamato anche il D.Lgs. 208/2023 che ha riformato la fiscalità internazionale introducendo il concetto di “domicilio fiscale” e nuove regole sulla residenza, confermando la linea di tassazione mondiale italiana (worldwide taxation) e la necessità di trasferire effettivamente il centro degli interessi all’estero per non essere più soggetti all’Italia .
  • Prevalenza dei trattati e disapplicazione di norme interne contrastanti: Come anticipato, la Cassazione ha recentemente compiuto un passo di portata storica riguardo al comma 8 dell’art. 165 TUIR (quello che nega il credito d’imposta se il reddito estero non era stato indicato in dichiarazione). In particolare, con Cass. 24205 del 9 settembre 2024 e successive conferme (Cass. 28801/2024, Cass. 10642/2025 ecc.), i giudici di legittimità hanno affermato che la omessa dichiarazione del reddito estero in Italia non fa perdere il diritto al credito per le imposte estere, se esiste una Convenzione contro le doppie imposizioni che impegna l’Italia a eliminare la doppia imposizione su quel reddito . La Cassazione ha evidenziato che lo Stato italiano, firmando la Convenzione (nel caso specifico si trattava di Italia-Portogallo e di un pilota d’aereo italiano che aveva pagato tasse in Portogallo), ha assunto un obbligo incondizionato verso l’altro Stato di evitare la doppia tassazione: di conseguenza “i contribuenti non devono subire una doppia imposizione” e l’Agenzia delle Entrate non può opporre loro il mancato adempimento di oneri formali interni (come la dichiarazione) per negare il credito . Fare altrimenti esporrebbe lo Stato italiano a violare il diritto pattizio internazionale . In pratica, la Cassazione ha “disapplicato” l’art.165 co.8 TUIR in favore del trattato: ha riconosciuto il diritto del contribuente al rimborso delle imposte italiane versate, così da neutralizzare la doppia imposizione subita, nonostante il contribuente avesse effettivamente omesso di dichiarare inizialmente quei redditi esteri . Questa posizione, oltre a essere di enorme impatto per migliaia di contribuenti (si pensi ai tanti lavoratori italiani all’estero non iscritti AIRE che hanno avuto cartelle per doppie tasse), equivale a considerare la norma interna incostituzionale o invalida per contrasto con i trattati . La Cassazione infatti parla chiaramente dell’art.165 co.8 come di una norma soccombente di fronte ai principi delle Convenzioni . Nella più recente ordinanza n. 10642 del 23 aprile 2025, la Corte ha confermato questo orientamento e ha aggiunto un dettaglio operativo: il contribuente che non ha potuto utilizzare il credito d’imposta estero perché l’Agenzia lo aveva negato (per via dell’omessa dichiarazione) può comunque farlo valere richiedendo il rimborso entro il normale termine di prescrizione decennale previsto per i crediti di imposta . Ciò significa che, anche se sono decorsi i termini brevi di decadenza per la dichiarazione integrativa, vi sarebbe spazio per far valere il credito in sede di rimborso (un aspetto tecnico su cui la dottrina si interroga, ma che la Cassazione in quell’ordinanza ha suggerito). In definitiva, per la Corte di Cassazione oggi “il contribuente ha diritto alla detrazione dell’imposta già assolta all’estero da quella dovuta allo Stato italiano, anche in caso di omessa dichiarazione dei redditi esteri” . Questo principio, in attesa di un auspicato intervento legislativo di adeguamento, è un punto fermo della giurisprudenza e costituisce un forte baluardo contro la doppia imposizione internazionale subita dal contribuente per ragioni formali.
  • Doppia imposizione e rimedi sovranazionali: La Cassazione ha anche fatto riferimento, in alcune pronunce, all’evoluzione del diritto dell’Unione Europea. La Corte di Giustizia UE, pur non avendo sancito un divieto generale di doppia imposizione tra Stati membri (mancando competenza diretta dell’UE sulla tassazione diretta), ha però più volte censurato discriminazioni o doppie imposizioni che violavano le libertà fondamentali. Ad esempio, la CGUE ha imposto che l’Italia non potesse limitarsi a dire “tanto c’è il credito d’imposta” per giustificare aliquote più alte sui dividendi verso non residenti . In pratica, la giurisprudenza unionale ha richiesto agli Stati di coordinare i propri sistemi per non creare ostacoli ingiustificati. La Cassazione italiana si è adeguata interpretando le norme convenzionali e interne in modo conforme al diritto comunitario . Un esempio è il caso già citato dei dividendi transfrontalieri: dopo un noto caso CGUE del 2009 (Cause C-540/07 Commissione c. Italia – caso “Tecnhi”), l’Italia ha dovuto rimborsare la maggiore ritenuta subìta da una società madre estera su dividendi italiani, senza pretendere la prova che quell’estero avesse effettivamente prelevato la sua imposta, perché ciò era irrilevante ai fini del trattamento convenzionale . In sostanza, la Cassazione oggi è allineata a un approccio internazionale: evitare la doppia imposizione è la regola, e le eccezioni o condizioni devono essere esplicitamente previste e non contrastare con gli scopi degli accordi internazionali e del diritto UE.

Riassumendo questa sezione internazionale, dal punto di vista pratico per un avvocato o un contribuente: le più recenti sentenze della Cassazione (fino al 2025) offrono un quadro molto garantista verso il contribuente italiano con redditi esteri. La Corte riconosce: (a) il diritto ai benefici dei trattati anche se l’estero non ha prelevato imposta (basta che ne avesse titolo); (b) l’obbligo dell’Italia di dare il credito d’imposta sempre, a prescindere da omissioni formali, per onorare i trattati; (c) un’interpretazione delle clausole “may be taxed” come tassazione concorrente (quindi il contribuente deve dichiarare in Italia, ma otterrà il credito); (d) la prevalenza assoluta delle norme convenzionali sulle contrastanti norme interne. Tutto ciò si traduce in strumenti difensivi efficaci: il contribuente può far valere direttamente la Convenzione dinanzi ai giudici tributari, qualora l’Agenzia delle Entrate richieda importi che portano a doppia imposizione. La stessa Agenzia, preso atto di questi orientamenti, ha iniziato ad adeguare la prassi (ad esempio con circolari che tengono conto delle sentenze per evitare soccombenze in massa).

Da notare infine che la Cassazione, pur occupandosi perlopiù di doppia imposizione giuridica internazionale (due volte tasse su stesso reddito), ha talora toccato anche il tema della doppia imposizione economica internazionale (ad esempio nel caso dei dividendi transnazionali: utile tassato alla fonte come profitto societario e poi tassato come dividendo in capo al socio estero). In tali casi, spesso i trattati risolvono prevedendo riduzioni di aliquote o esenzioni per evitare un carico eccessivo. La Cassazione, come visto, ha stabilito che anche la semplice soggezione potenziale a tassazione nello Stato estero impone all’Italia di applicare le clausole di mitigazione (aliquote ridotte sulle ritenute, crediti d’imposta su imposizioni economiche, ecc.) .

Doppia imposizione interna: giurisprudenza su casi di duplice prelievo

Sul versante interno, la Corte di Cassazione ha affrontato questioni di doppio prelievo per lo più connesse a tributi diversi che insistevano sul medesimo fatto generatore di ricchezza. Abbiamo già richiamato il principio cardine affermato da Cass. Sez. Trib. n. 10793/2016: il divieto di doppia imposizione interna (ex art. 67 DPR 600/73) richiede la reiterazione della medesima imposta sul medesimo presupposto, condizione che non si verifica se la duplicazione è solo economica e riguarda imposte diverse . Ciò ha implicazioni su alcuni casi concreti presentatisi in giurisprudenza. Vediamone alcuni di rilievo:

  • IRPEF/IRES e tassazione dei soci: Un tema annoso era la presunta doppia tassazione degli utili societari (prima colpiti da IRES in capo alla società di capitali, poi tassati come reddito di capitale in capo al socio percettore dei dividendi). Questo era un tipico esempio di doppia imposizione economica, non vietata. La Cassazione ha avuto modo di chiarire che tale situazione non integra una “doppia imposizione giuridica” in senso tecnico proprio per la diversità dei soggetti e delle imposte . Negli anni, tuttavia, il legislatore ha attenuato questa doppia tassazione economica: prima attraverso il credito d’imposta sui dividendi (sistema in vigore fino al 2003), poi – abolito quel credito – con sistemi di parziale esenzione. Attualmente (dal 2018 in poi) i dividendi percepiti da persone fisiche sono soggetti a un’imposta sostitutiva del 26%, senza credito, mentre i dividendi percepiti da società sono in gran parte esenti (95%) da IRES per evitare la cascata di imposte. Ciò risolve in via legislativa il problema del cumulo eccessivo. Ma sul piano giurisprudenziale, la Cassazione ha sempre considerato legittimo il fatto che un utile societario venisse tassato due volte in capo a soggetti diversi, non essendoci identità di imposta. Analogamente, in passate pronunce si è ritenuto che non configuri doppia imposizione vietata il caso in cui un componente di reddito sia tassato in capo a un soggetto e indeducibile in capo all’altro: si pensi all’esempio del compenso dell’amministratore non dedotto dalla società (quindi incluso nell’utile tassato IRES) ma tassato in capo all’amministratore stesso (IRPEF). Anche qui la diversità di soggetti e tributi esclude la violazione del divieto legale . Semmai, il legislatore può intervenire (come in parte fa) per permettere la deducibilità di tali costi onde evitare una tassazione economica doppia. Insomma, Cassazione e dottrina concordano che le situazioni di doppia imposizione economica interna, pur non essendo giuridicamente impedite, rappresentano casistiche in cui il sistema tributario può dover essere calibrato per ragioni di equità e politica economica .
  • IRAP vs IVA e altri tributi: Un caso peculiare di supposta doppia imposizione interna che ha generato dibattito è il rapporto tra IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) e IVA. L’IRAP, introdotta nel 1998, tassa il valore aggiunto prodotto dalle imprese e professionisti a livello regionale, ed ha una base imponibile che ricorda un “valore aggiunto netto” (ricavi meno costi del personale e altri costi non deducibili). Data la somiglianza di base concettuale col valore aggiunto, qualcuno sostenne che l’IRAP fosse di fatto una duplicazione dell’IVA (che colpisce anch’essa il valore aggiunto, ma in modo proporzionale sul prezzo di ogni transazione). La questione fu portata all’attenzione della Corte di Giustizia UE, la quale però nel 2006 (sentenza Banca Popolare di Cremona) stabilì che l’IRAP non è un’imposta sul valore aggiunto “di tipo europeo”, perché differisce per struttura: l’IVA è proporzionale al prezzo di ogni vendita, l’IRAP è calcolata sul valore netto della produzione su base annuale, considerando elementi (come ammortamenti, costi del personale, rimanenze) che non sono correlati a singole transazioni . Quindi l’IRAP non viola il divieto (comunitario) di imposte analoghe all’IVA, ed è compatibile con il sistema. Per quanto riguarda il diritto interno, IRAP e IVA coesistono e colpiscono la medesima realtà economica (il prodotto dell’attività d’impresa) da angolature diverse: ciò è considerato legittimo proprio perché sono tributi differenti con presupposti formalmente distinti (l’IVA colpisce il consumo, l’IRAP il valore aggiunto dell’organizzazione produttiva). La Cassazione e la Corte Costituzionale hanno confermato la legittimità dell’IRAP anche sotto il profilo della capacità contributiva, ritenendo che il valore aggiunto prodotto da un’attività autonomamente organizzata sia un indice meritevole di autonoma tassazione e che la coesistenza con l’IVA non costituisca irragionevole doppio prelievo . In sintesi, l’IRAP non viene considerata una “seconda IVA”, bensì un tributo diverso; quindi non c’è violazione del principio del ne bis in idem tributario. Tuttavia, è interessante notare che la Cassazione ha dovuto in passato distinguere casi concreti per evitare che un medesimo presupposto fosse erroneamente colpito due volte: ad esempio, prima della riforma del 2015 sull’IRAP dei professionisti, se un lavoratore autonomo privo di autonoma organizzazione veniva tassato con IRPEF sul reddito e anche con IRAP sul medesimo reddito, poteva eccepire che l’IRAP non fosse dovuta perché la norma, rettamente interpretata, non la prevedeva in assenza di organizzazione. Molte controversie su rimborsi IRAP a professionisti vertevano su questo. La logica però non era tanto il “divieto di doppia imposizione” (IRPEF+IRAP) ma la mancanza del requisito oggettivo dell’IRAP.
  • Addizionali e tributi locali sullo stesso presupposto: Un altro aspetto riguarda i rapporti tra imposte statali e locali. Ad esempio, le addizionali regionali e comunali IRPEF gravano sul medesimo reddito imponibile IRPEF. Si tratta di un prelievo aggiuntivo (dovuto a diversi enti) ma pur sempre dell’imposta sul reddito. Ci si potrebbe chiedere: è doppia imposizione giuridica? La risposta è no, perché formalmente l’addizionale è considerata un tributo accessorio e complementare all’IRPEF, previsto dalla legge statale, e non un’imposizione duplicativa nel senso vietato. La Cassazione ha sempre ritenuto legittime le addizionali in quanto rientranti nel medesimo sistema impositivo coordinato, non avendo esse un’autonoma base imponibile ma solo applicando un’aliquota aggiuntiva al reddito già definito per IRPEF. Diverso sarebbe il caso di un Comune o Regione che introducesse una propria imposta del tutto identica all’IRPEF su base imponibile identica: ciò urterebbe contro principi costituzionali di riparto di potestà (un ente locale non può istituire tributi che esproprino basi imponibili statali) e creerebbe un indebito doppio prelievo. Ma nel quadro normativo vigente, le addizionali sono previste proprio per evitare tali conflitti, integrandosi nel calcolo generale dell’IRPEF. Similmente, per altri tributi si è sempre cercato di evitare duplicazioni: quando furono introdotte le nuove imposte comunali (IMU, TASI), il legislatore ha calibrato abolendo la precedente imposta statale sugli immobili (IRPEF sui redditi fondiari delle prime case) proprio per non duplicare il prelievo sulla stessa base patrimoniale. Quando queste sovrapposizioni non sono state del tutto evitate (come il caso delle seconde case, soggette a IMU e in parte ancora a IRPEF), esse rientrano nelle scelte del legislatore e non sono state sinora censurate dalla Corte Costituzionale, salvo il dibattito politico sulla loro equità.
  • Doppia imposizione e sanzioni: Anche se esula un po’ dal tema fiscale in senso stretto, è opportuno menzionare che in ambito tributario esiste un correlato principio di divieto di “doppio punimento” (ne bis in idem) per il medesimo fatto. Ad esempio, un contribuente che omette di dichiarare redditi potrebbe incorrere sia in sanzione amministrativa tributaria sia, se il fatto è grave, in sanzione penale per evasione. In passato il sistema italiano consentiva un doppio binario sanzionatorio (amministrativo + penale) per alcuni illeciti tributari. Tuttavia, interventi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e poi della Corte Costituzionale (si veda ad es. Corte Cost. n. 222/2019) hanno posto paletti: oggi si tende ad evitare un cumulo di sanzioni eterogenee e, se avviene, devono essere previsti meccanismi di compensazione. Questo argomento è molto complesso e attiene più al diritto penale-tributario; lo accenniamo per completezza, ma teniamo distinto il concetto di doppia imposizione tributaria (tasse duplicate) dal concetto di doppio giudizio o doppia sanzione sullo stesso fatto, che segue altre regole. In ogni caso, dal punto di vista del contribuente, è utile sapere che esiste un principio generale di ne bis in idem anche nelle sanzioni: non si può punire due volte il medesimo comportamento fiscale illecito. Su questo, la Cassazione ha recepito le indicazioni europee: ad esempio, ha escluso la possibilità di applicare la sanzione amministrativa tributaria quando per lo stesso fatto il contribuente è già stato condannato penalmente, se ciò comporta il superamento del limite del bis in idem. Ma ripetiamo, questo è un ambito diverso dalla doppia tassazione, riguardando il profilo punitivo.

IVA e imposta di registro: il principio di alternatività nelle sentenze recenti

Un aspetto di doppia imposizione indiretta che è emerso in giurisprudenza di legittimità concerne l’applicazione congiunta (o alternativa) dell’IVA e dell’imposta di registro su uno stesso atto. Come abbiamo visto, il principio generale (art. 40 DPR 131/1986) è che un atto soggetto a IVA paga solo il registro fisso, mentre un atto fuori campo IVA paga il registro proporzionale. Tuttavia, possono sorgere controversie quando non è chiaro se un’operazione dovesse essere in realtà soggetta a IVA oppure no. Un caso concreto affrontato dalla Cassazione (ordinanza Cass. n. 6126/2021) ha riguardato la vendita di un compendio immobiliare con pagamento di acconti assoggettati a IVA dalle parti, ma poi l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto l’atto soggetto a imposta di registro proporzionale (forse qualificandolo come cessione d’azienda o comunque operazione esclusa da IVA). In tale situazione il contribuente si è trovato a dover pagare l’imposta di registro nonostante avesse già assolto l’IVA sugli acconti versati. La domanda era: ciò viola il principio di alternatività e configura una illegittima doppia imposizione? La Cassazione ha risposto di no, chiarendo però il perché. Secondo la Corte, bisogna guardare al presupposto di ciascuna imposta: l’IVA si applica sul trasferimento di beni e servizi, generandosi all’atto del pagamento del corrispettivo; l’imposta di registro, invece, colpisce l’atto in sé in caso d’uso o registrazione e ha presupposti formali (la registrazione dell’atto) . Nel caso in questione, l’operazione (forse una cessione di immobile considerata esente IVA ex legge) era stata erroneamente assoggettata a IVA sugli acconti, ma ciò non toglieva che la stessa operazione, essendo in realtà fuori campo IVA, dovesse scontare l’imposta di registro proporzionale. Dunque, osserva la Cassazione, “il fatto che il medesimo atto di cessione sia stato assoggettato ad IVA (spontaneamente dalle parti) e ad imposta di registro (dall’Agenzia) non viola né il principio di alternatività IVA/registro, né il divieto di doppia imposizione” . Questo perché, spiega la Corte, il contribuente aveva pagato l’imposta sbagliata (IVA) mentre avrebbe dovuto pagarne un’altra (registro); di conseguenza, “il contribuente ha l’obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge (imposta di registro) e non quello scelto in base a considerazioni soggettive, potendo chiedere il rimborso dell’IVA erroneamente versata” . Questo caso mette in luce un principio pratico importante: se per errore si paga un’imposta non dovuta e intanto matura l’obbligo di un’altra imposta, non si può invocare il divieto di doppia imposizione per sottrarsi al secondo pagamento. Bisogna invece pagare quanto dovuto per legge e semmai attivarsi per recuperare (a rimborso) quanto pagato indebitamente. Dal punto di vista del contribuente, dunque, la tutela consiste nel fare istanza di rimborso dell’IVA (nel caso concreto) che era stata versata per errore, mentre non ci si può opporre al pagamento dell’imposta di registro legittimamente richiesta. La Cassazione con questa pronuncia ha ribadito che il principio di alternatività IVA/registro va correttamente inteso: non è violato se le condizioni di legge per l’alternatività non c’erano (ad esempio perché l’operazione non era realmente soggetta a IVA). È una conferma che il sistema prevede di non cumulare IVA e registro sullo stesso presupposto, ma occorre individuare esattamente quale sia il regime applicabile. Se le parti sbagliano regime, la rettifica può portare temporaneamente a un apparente doppio pagamento, da sistemare poi con i rimedi (rimborso dell’eccedenza).

Un’altra area di attrito storica tra IVA e registro riguarda l’ambito delle locazioni immobiliari: come detto, per le locazioni di immobili strumentali si paga sia IVA (se il locatore esercita l’opzione per l’imponibilità) sia registro proporzionale (1% annuale) per espressa deroga legislativa . Alcuni contribuenti hanno provato a contestare questa duplicazione come incostituzionale o contraria ai principi generali, ma finora senza successo. La giurisprudenza, considerando che la deroga è voluta dalla legge, la accetta; l’unica tutela per il contribuente è eventualmente scegliere il regime (IVA esente vs IVA imponibile) più conveniente valutando il cumulo col registro. Ad esempio, un locatore di immobile strumentale può decidere di non applicare IVA (lasciando l’operazione esente) così da pagare registro al 2%, oppure applicare IVA (22%) sapendo però che pagherà anche registro 1%. La scelta dipende dal fatto che con IVA può scaricare l’IVA sugli acquisti, quindi c’è un trade-off. In ogni caso, questo ci mostra che non ogni doppio prelievo IVA+registro è un errore: a volte è la legge stessa a prevederlo, e in tali frangenti non c’è molto spazio per contestazioni giuridiche, se non sul piano politico-legislativo.

Principali sentenze recenti riassunte

Per comodità del lettore, riportiamo in tabella alcune pronunce della Corte di Cassazione (2018-2025) che abbiamo citato, con l’indicazione del principio affermato:

Sentenza Cassazione (Sez. Trib.)OggettoPrincipio di diritto affermato
Cass. 10793/2016Doppia imposizione interna (IRPEG/IRES e IRPEF su utili)Il divieto di doppia imposizione (art. 67 DPR 600/73) opera solo se c’è applicazione reiterata della stessa imposta sul medesimo presupposto. Non sussiste violazione in caso di duplicità meramente economica del prelievo su uno stesso reddito (es. utile tassato in capo alla società e dividendo in capo al socio) dato che differiscono soggetti passivi e requisiti dei due tributi .
Cass. 27600/2011 e Cass. 26377/2018Dividendi esteri e trattati (Italia-Svizzera)Ai fini dei benefici convenzionali (aliquota ridotta su dividendi a soggetti esteri) rileva la sola soggezione del dividendo al potere impositivo dell’altro Stato, indipendentemente dal suo effettivo assoggettamento ad imposta estera. Scopo delle Convenzioni è evitare la sovrapposizione fiscale fra Stati, dunque non va richiesta la prova di un pagamento estero effettivo per riconoscere le agevolazioni .
Cass. 10706/2019Residenza e “liable to tax”La qualifica di residente ai fini convenzionali dipende dalla potenziale tassazione mondiale nello Stato estero, a nulla rilevando che il soggetto abbia o meno pagato imposte in concreto. È sufficiente l’esistenza in capo all’altro Stato di un potere impositivo astratto sul contribuente, coerentemente con la finalità delle Convenzioni di eliminare la doppia imposizione .
Cass. 6126/2021Alternatività IVA/Registro (acconti su cessione)Il pagamento di IVA su acconti non esclude il successivo pagamento dell’imposta di registro proporzionale se l’atto è di natura tale da scontare il registro. In tal caso non c’è violazione del principio di alternatività né divieto di doppia imposizione, poiché il contribuente deve pagare il tributo previsto dalla legge (registro) e semmai chiedere rimborso dell’IVA indebitamente versata .
Cass. 24205/2024 (19/6/2024)Omessa dichiarazione redditi esteri e credito d’impostaIn presenza di Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni, lo Stato italiano ha assunto un obbligo incondizionato di evitare la doppia tassazione. Dunque l’Amministrazione finanziaria non può negare al contribuente il credito per le imposte pagate all’estero opponendo l’inadempimento di oneri formali interni (omessa dichiarazione del reddito estero). L’art. 165 co.8 TUIR va disapplicato in quanto contrario ai suddetti obblighi pattizi . Il contribuente ha diritto al rimborso dell’imposta italiana pagata in eccedenza rispetto al dovuto dopo il credito .
Cass. 25424/2024 (23/9/2024)Lavoratore italiano all’estero (UK) – convenzioneLa nazionalità del datore di lavoro è irrilevante: se esiste una Convenzione contro le doppie imposizioni applicabile, il lavoratore residente all’estero che abbia pagato imposte fuori Italia ha diritto a non subire ulteriore tassazione piena in Italia. La Cassazione ha confermato il diritto al rimborso delle imposte italiane versate in eccesso e riaffermato il divieto di doppia tassazione, sottolineando l’importanza delle Convenzioni bilaterali per garantire equità di trattamento .
Cass. 10642/2025 (ord. 23/4/2025)Ulteriore conferma su art.165 co.8 TUIR – termini rimborsoConferma l’orientamento inaugurato nel 2024: l’omessa indicazione dei redditi esteri non comporta perdita del diritto al credito. Inoltre specifica che il contribuente può recuperare il credito d’imposta non utilizzato presentando istanza di rimborso entro il termine ordinario di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) . Sollecita il legislatore a modificare l’art.165 co.8 TUIR per adeguarlo alla giurisprudenza di legittimità ormai consolidata .

(Tabella: Principali pronunce della Cassazione in materia di doppia imposizione e relativi principi)

Come si evince da questa rassegna, la Cassazione ha svolto un ruolo cruciale nel censurare situazioni di doppia imposizione ingiustificata e nell’adattare l’ordinamento interno ai vincoli internazionali. In particolare, le sentenze del 2024-2025 sul credito d’imposta estero costituiscono pietre miliari a tutela dei contribuenti internazionali. È importante per i professionisti tenere conto di questi orientamenti quando assistono clienti coinvolti in contestazioni su redditi esteri o su presunti doppi prelievi: spesso una corretta impostazione della difesa, richiamando i principi affermati dalla Suprema Corte, può evitare esborsi duplicativi.

Strumenti per evitare la doppia imposizione: consigli pratici dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta)

Dopo aver analizzato principi e sentenze, passiamo a un piano più pratico: quali strumenti ha a disposizione un contribuente per evitare o rimediare a una doppia imposizione? Di seguito forniamo una sorta di vademecum operativo, dal punto di vista del soggetto “debitore d’imposta” (cioè colui che rischia di dover pagare due volte), distinguendo tra situazioni di fiscalità internazionale e situazioni interne.

Come prevenire la doppia imposizione internazionale

Se sei un contribuente italiano con attività o investimenti all’estero (lavoro, pensione, immobili, partecipazioni, ecc.), per prevenire la doppia tassazione devi agire su due fronti: la corretta applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni (se esiste con quel Paese) e l’uso appropriato del credito d’imposta nella tua dichiarazione dei redditi italiana.

Ecco alcuni consigli chiave:

  • Verifica la Convenzione applicabile: L’Italia ha oltre 100 Convenzioni fiscali bilaterali. Prima di tutto, controlla se esiste una Convenzione tra l’Italia e il Paese dove hai prodotto reddito. In caso positivo, studiane le disposizioni rilevanti: in particolare l’articolo che disciplina quel tipo di reddito (es. art. 15 per lavoro dipendente, art. 7 per utili d’impresa, art. 11 per interessi, art. 10 per dividendi, etc.) e l’articolo finale sulla “Eliminazione della doppia imposizione” (di solito art. 23 o simili). La Convenzione ti dirà dove può essere tassato quel reddito e quale Stato deve alleviare la doppia imposizione. Ad esempio, col Regno Unito la regola sul lavoro dipendente può dire che il reddito può essere tassato in UK se lavori lì oltre 183 giorni, e l’art.23 dirà che l’Italia concede un credito per l’imposta UK. Con la Svizzera, per i frontalieri nuovi (dal 2024) la regola è: tassazione concorrente Svizzera (alla fonte) e Italia (ordinaria), con l’Italia che dà credito per l’imposta svizzera . Ogni Convenzione ha le sue particolarità (alcune prevedono direttamente l’esenzione in Italia per certe pensioni estere, altre sempre il credito, ecc.). Conoscere la Convenzione ti mette in condizione di non pagare più del dovuto: ad esempio, se la Convenzione stabilisce una ritenuta massima del 15% sul dividendo pagato all’estero, puoi chiedere a chi ti paga il dividendo di applicare quell’aliquota ridotta invece di una superiore.
  • Documentazione e modulistica per Convenzioni: Per usufruire dei benefici di una Convenzione (aliquote ridotte o esenzioni alla fonte) spesso occorre presentare un modulo di attestazione di residenza fiscale italiana all’estero, o viceversa. Ad esempio, per far applicare la ritenuta ridotta sui dividendi USA (15% invece di 30%), devi inviare il modulo W-8BEN all’intermediario USA attestando che risiedi in Italia e la Convenzione USA-Italia ti dà diritto a quell’aliquota. Analogamente, se lavori in Francia e vuoi evitare che il tuo datore francese applichi ritenute francesi non dovute (in base alla Convenzione, magari il reddito è tassabile solo in Italia se sei lì per breve tempo), dovrai presentare un’attestazione. Dal lato italiano, per ottenere il credito d’imposta estero, è fondamentale conservare i documenti che provano l’imposta pagata all’estero: buste paga con ritenute, certificazioni del sostituto d’imposta estero, modelli fiscali esteri, ricevute di pagamento d’imposta. In caso di controllo, l’Agenzia delle Entrate vorrà vedere queste prove per riconoscere il credito.
  • Compilazione corretta della dichiarazione dei redditi (Quadro CE/CR): Nella dichiarazione dei redditi italiana (Modello Redditi Persone Fisiche, Società o Enti) esistono appositi quadri per indicare i redditi prodotti all’estero e calcolare il credito d’imposta. È cruciale che tu compili questi quadri (tipicamente il Quadro RL o RC per indicare il reddito estero, e il Quadro CE/CR per il calcolo del credito) inserendo i dati richiesti: Paese di provenienza del reddito, ammontare del reddito estero (convertito in euro), imposta pagata all’estero (sempre in euro), e calcolo del credito spettante nei limiti dell’imposta italiana proporzionale a quel reddito. Se la convenzione prevede l’esenzione del reddito in Italia (succede per poche fattispecie, come forse alcune pensioni governative, o redditi di stabili organizzazioni se si sceglie l’esenzione), dovrai indicare il reddito tra quelli esenti in virtù di convenzione. Se commetti errori in questa fase (ad esempio dimentichi di indicare il reddito estero), rischi come visto di avviare un contenzioso, ma alla luce della giurisprudenza recente potrai comunque far valere i tuoi diritti. Tuttavia è sempre preferibile dichiarare correttamente, per evitare sul nascere problemi con il Fisco. Nota bene: se la dichiarazione è presentata in ritardo o il reddito estero non dichiarato viene scoperto, l’Agenzia prima contestava l’intera imposta italiana. Ora, dopo le sentenze 2024, dovrebbe riconoscere d’ufficio il credito d’imposta anche in sede di accertamento (essendo obbligata dal trattato). Comunque, meglio non trovarsi in quella situazione: previeni dichiarando tutto.
  • Richiesta di rimborso o compensazione: Se ti accorgi di aver subito una doppia imposizione su un reddito passato (ad esempio hai pagato tasse all’estero e, per mancata conoscenza, hai pagato per intero anche in Italia senza chiedere credito), hai ancora delle vie per rimediare. In base alle indicazioni della Cassazione (ordinanza 10642/2025), puoi presentare istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate per le imposte italiane versate e che avresti invece dovuto ridurre col credito estero . Il termine per il rimborso in questi casi è quello generale di 48 mesi dalla data del pagamento (art. 38 DPR 602/73) per le imposte dirette; però la Cassazione parla di termine di prescrizione decennale per far valere il credito come diritto soggettivo . È una questione tecnica complessa: nel dubbio, conviene presentare istanza il prima possibile. L’istanza va motivata richiamando la Convenzione contro le doppie imposizioni e le sentenze Cassazione pertinenti, affermando che non si può trattenere dal contribuente un’imposta che doveva essere scomputata. Se l’Agenzia rifiuta, si può ricorrere in Commissione Tributaria, dove alla luce della giurisprudenza attuale le chance di successo sono alte. Un’altra possibilità, se si tratta di annualità non ancora definitive, è presentare una dichiarazione integrativa a favore entro i termini (es. entro il 31 dicembre del quinto anno successivo) per inserire il credito non fruito; oppure, se c’è un contenzioso in corso, eccepire in giudizio il diritto al credito come difesa (anche in appello, stando a Cass. 24205/2024 che ha accolto il credito in sede di legittimità).
  • Mutual Agreement Procedure (MAP): Nei casi più complessi di doppia imposizione internazionale (specialmente in ambito di redditi d’impresa o rettifiche fiscali internazionali, come il transfer pricing), le Convenzioni prevedono una procedura amichevole fra Stati per eliminare la doppia tassazione. Dal punto di vista del contribuente, se ad esempio due Stati si tassano a vicenda lo stesso reddito e il credito d’imposta non copre tutto (o non è applicabile), puoi attivare la MAP presentando istanza all’autorità competente (in Italia, il MEF – Dipartimento delle Finanze, ufficio per le convenzioni internazionali). La MAP è una procedura diplomatica: i due Stati si confrontano e cercano di risolvere il caso, ad esempio concordando un rimborso in uno dei due Paesi o una ripartizione diversa del reddito tassabile. Dal 2019 in UE esiste anche una procedura arbitrale obbligatoria per le doppie imposizioni da aggiustamenti fiscali tra Stati membri (Direttiva UE 2017/1852 recepita in Italia). Queste procedure sono complesse e richiedono tempo, ma sono strumenti importanti se il meccanismo interno (credito) non è sufficiente. Per un privato che ha pagato tasse in due Paesi, di solito il credito risolve tutto. La MAP diventa rilevante per aziende o casi di doppia residenza, ecc. È comunque utile sapere che c’è: se mai dovessi incappare in un caso in cui né l’Italia né l’altro Stato vogliono cedere su una tassazione, la Convenzione probabilmente ti consente di chiedere alle autorità di dialogare per togliere il doppio imponibile.
  • Consulenza e pianificazione preventiva: Infine, dal punto di vista pratico, il miglior modo per evitare doppie imposizioni è pianificare per tempo con l’aiuto di un professionista. Ad esempio, se stai per trasferirti all’estero per lavoro, informati sulle implicazioni fiscali: c’è un accordo speciale per quel tipo di lavoro (come per i frontalieri Svizzera/Francia)? Devi iscriverti all’AIRE? Come evitare di restare residente fiscale in entrambi i Paesi (doppia residenza = potenziale doppia imposizione)? Spesso semplici accorgimenti (come trasferire la famiglia all’estero in caso di espatrio, per evitare di mantenere il “domicilio fiscale” in Italia secondo le nuove norme ) possono risparmiarti tasse doppie. Se hai redditi di investimento esteri, valuta se conviene optare per un regime di imposizione alla fonte o dichiararli in Italia con credito – ad es., molti Paesi offrono opzioni fiscali ai non residenti (pensiamo al Portogallo con il regime residenti non abituali): sfruttarli può ridurre il rischio di doppia tassazione, ma devi capire come interagisce con le regole italiane. In sintesi, conoscere in anticipo la normativa e farsi assistere è la miglior tutela contro la doppia imposizione.

Evitare la doppia imposizione interna e duplicazioni di imposte

Sul fronte interno (all’interno dell’Italia), come contribuente hai principalmente da vigilare su eventuali errori o sovrapposizioni indebite da parte dell’Amministrazione, poiché – come visto – non esistono in generale due imposte uguali sullo stesso presupposto per legge (salvo casi particolari). Alcuni consigli pratici:

  • Attenzione alla corretta qualificazione dei fatti imponibili: Molti casi di apparente doppia imposizione interna nascono da una diversa qualificazione di un’operazione. Ad esempio, la vicenda di IVA vs registro citata: vendi un capannone, applichi IVA pensando sia cessione di bene, ma il Fisco la qualifica come cessione d’azienda soggetta a registro; oppure registri un contratto credendolo esente IVA e paghi registro, poi l’Agenzia sostiene che doveva esserci IVA. Per evitare di pagare due volte, l’ideale è cercare di inquadrare correttamente fin dall’inizio l’operazione e applicare il giusto trattamento fiscale. Questo può implicare richiedere un parere o interpello su casi dubbi. Nel dubbio, qualora si verifichi una doppia tassazione per diversa qualificazione, sappi che hai diritto al rimborso dell’imposta pagata erroneamente: ad esempio, se hai versato IVA ma in realtà era dovuto registro, potrai chiedere indietro l’IVA. Non pagare e tacere: se ti viene richiesto un secondo pagamento (es. registro) e sai di aver già pagato IVA, attivati subito per recuperare la prima imposta. I termini di rimborso IVA sono brevi (entro 2 anni di solito dal versamento). Quindi muoviti tempestivamente.
  • Utilizzare le esenzioni/deduzioni previste per attenuare doppie basi: Un caso di doppia imposizione economica interna è, come detto, la tassazione di un medesimo reddito in capo a soggetti diversi (es. società e socio) o con imposte diverse (es. IRPEF e imposta patrimoniale). In questi casi, come contribuente singolo puoi fare poco per “evitare” la struttura del prelievo (che è fissata per legge), ma puoi utilizzare al massimo le agevolazioni concesse. Esempio: se sei socio di una società e percepisci dividendi, sei tassato due volte sul reddito societario. L’Italia però ti dà una tassazione sul dividendo abbastanza ridotta (il 26% flat, che può essere inferiore all’aliquota IRPEF marginale). Valuta se ti conviene optare per regimi alternativi (in alcuni casi i dividendi da partecipazioni qualificate, ante 2018, potevano essere tassati parzialmente a IRPEF ordinaria se conveniva). Altro esempio: se hai un immobile che usi come seconda casa (dunque paghi IMU e IRPEF), considera le deduzioni possibili (la rendita catastale ai fini IRPEF è ridotta del 50% per immobili storici o inagibili, ecc.) – sfruttando queste riduzioni, alleggerisci la doppia tassazione. Ancora: l’IRAP pagata dall’impresa è in parte deducibile dal reddito ai fini IRES/IRPEF (per la quota riferita al costo del lavoro). Dedurla significa evitare di tassare due volte quel pezzo di base (senza deduzione, pagheresti IRAP sul costo e poi IRPEF/IRES sul reddito senza quel costo dedotto). Quindi, conosci le norme agevolative e applicale. A volte non è semplice individuarle, perciò farsi assistere da un commercialista è utile.
  • Ne bis in idem nelle sanzioni e negli interessi: se malauguratamente hai avuto una contestazione fiscale con sanzioni e magari sei anche imputato in un procedimento penale per lo stesso fatto (es. omessa dichiarazione rilevante penalmente), sappi – come detto – che non potrai essere punito due volte definitivamente. In questi casi, conviene segnalare la pendenza penale all’autorità tributaria e viceversa, per coordinare. In genere si aspetta l’esito penale e, se c’è condanna, la sanzione amministrativa tributaria viene (dovrebbe essere) annullata o ridotta in fase esecutiva. Tieni d’occhio questi aspetti o tramite il tuo legale valuta se ricorrono i presupposti del ne bis in idem, per evitare di pagare sanzioni amministrative se hai già patteggiato una pena penale (ad esempio). Questo è un campo altamente specialistico, ma la regola empirica per il contribuente è: non pagare subito tutto a cuor leggero, consulta un legale tributario se pensi di essere vittima di duplicazione punitiva, perché ci sono spiragli di difesa (anche di incostituzionalità in alcuni casi).

In generale, per la doppia imposizione interna, il contribuente si trova in una posizione in cui o la legge ha già predisposto il divieto (quindi non succede a monte) o, se succede, spesso è per errore o interpretazione discordante. Quindi la strategia è: attenzione, consultazione, e tempestività nei rimedi (rimborso, ricorso, ecc.).

Domande frequenti (FAQ) sulla doppia imposizione

Di seguito, una serie di domande comuni sul tema della doppia imposizione, con risposte concise che riassumono i punti salienti della guida:

D: Che cos’è in parole semplici la doppia imposizione fiscale?
R: È quando il fisco tassa due volte la stessa ricchezza. Può succedere all’interno di uno Stato (doppia imposizione interna) o tra Stati diversi (doppia imposizione internazionale). Un esempio tipico internazionale: guadagni un reddito all’estero e lo Stato estero lo tassa e anche l’Italia lo tassa. Un esempio interno: i profitti di una società tassati prima come reddito della società e poi nuovamente come dividendi in capo ai soci. La legge cerca di evitare la prima situazione tramite trattati e crediti d’imposta, mentre la seconda situazione è attenuata con aliquote ridotte o esenzioni parziali (ma non è vietata di per sé perché sono tasse diverse su soggetti diversi).

D: La doppia imposizione è vietata dalla legge?
R: Sì, ma solo la doppia imposizione “giuridica”, cioè la stessa imposta pretesa due volte sullo stesso presupposto. L’ordinamento italiano ha norme esplicite che lo vietano (art. 67 DPR 600/73, art. 163 TUIR) . Invece, la doppia imposizione “economica” (due imposte diverse sulla stessa ricchezza) non è espressamente vietata: può esistere, anche se spesso la legge prevede meccanismi per alleggerirla. Dunque, non ogni doppia tassazione è illegale; lo è solo se si tratta di ripetere identico tributo su identica base. Ad esempio, far pagare due volte l’IRPEF sulla stessa quota di reddito sarebbe vietato, mentre far pagare IRPEF e un’altra imposta (es. un’imposta regionale) sullo stesso reddito può accadere se la legge lo prevede.

D: Qual è la differenza tra doppia imposizione giuridica ed economica?
R: La doppia imposizione giuridica significa due volte la medesima imposta sul medesimo fatto (ad esempio due volte IRPEF sullo stesso reddito). La doppia imposizione economica significa due imposte differenti che colpiscono la stessa manifestazione economica (ad esempio IRES sull’utile della società e IRPEF sul dividendo distribuito ai soci, che deriva da quell’utile). La prima è vietata espressamente , la seconda no (è lasciata alla politica fiscale decidere se e come attenuarla).

D: Cosa devo fare per evitare di pagare due volte le tasse su un reddito estero?
R: Devi sfruttare gli strumenti che esistono: se c’è una Convenzione contro le doppie imposizioni con il Paese estero, quella di solito prevede che il reddito venga tassato in entrambi i Paesi ma poi uno dei due (di solito il Paese di residenza, cioè l’Italia se sei residente in Italia) elimini la doppia tassazione tramite un credito d’imposta. In pratica, dichiari in Italia il reddito estero, calcoli l’imposta italiana, poi sottrai (fino a capienza) l’imposta che hai pagato all’estero. Così paghi complessivamente il livello più alto tra i due, non la somma di entrambi. Se invece la Convenzione prevede l’esenzione (raramente, ma ad es. certi redditi dei professori o studenti, o stipendi pubblici), allora in Italia proprio non dichiari quel reddito (o lo dichiari come esente). La cosa fondamentale è: dichiara sempre i redditi esteri nella dichiarazione italiana, anche se hai già pagato fuori, per poter attivare il meccanismo del credito ed essere in regola. Se non c’è Convenzione, l’Italia concede comunque un credito unilaterale (art. 165 TUIR). Se ti accorgi di aver pagato due volte, puoi chiedere rimborso al Fisco italiano per l’eccedenza. Se l’Agenzia delle Entrate inizialmente nega il credito perché magari non avevi dichiarato il reddito, sappi che la Cassazione ora ti dà ragione: potrai far valere i tuoi diritti citando le sentenze recenti .

D: Ho lavorato 8 mesi all’estero l’anno scorso, pensavo di non dover pagare tasse in Italia (visto che superavo i 183 giorni fuori). È così?
R: Dipende dalla tua residenza fiscale e dalla Convenzione: se sei rimasto residente fiscale in Italia (non iscritto AIRE, famiglia ancora in Italia, ecc.), allora sei tassato in Italia su tutto il reddito mondiale. Il fatto di aver trascorso >183 giorni all’estero rileva per la Convenzione sul diritto di tassazione dello Stato estero, ma non esonera automaticamente dall’obbligo di dichiarare in Italia. Molte Convenzioni (modello OCSE art.15) dicono: lo Stato estero può tassare il reddito di lavoro dipendente se superi 183 giorni lì, altrimenti se stai meno tempo il reddito è solo tassabile nel Paese di residenza. Quindi oltre 183 giorni vuol dire che anche il Paese estero tassa. Ma l’Italia, essendo tuo Stato di residenza, non perde il potere impositivo (a meno che la Convenzione non preveda diversamente). In pratica: dovrai dichiarare il reddito in Italia, però potrai scomputare le imposte pagate all’estero, evitando il doppio carico. Ci sono eccezioni se ad esempio la Convenzione prevede direttamente che quel reddito è tassato solo all’estero (ma per i lavoratori dipendenti è raro, di solito c’è il credito). Quindi attento: 183 giorni all’estero non equivalgono a “tasse zero in Italia” se sei rimasto residente italiano; equivale piuttosto a “tasse in due Paesi con credito per non pagare il doppio”.

D: Non ho dichiarato in Italia dei redditi esteri di qualche anno fa, perché li avevo già tassati nel Paese dove li ho prodotti. Ora l’Agenzia mi contesta l’omessa dichiarazione e vuole le imposte italiane. Posso evitare la doppia imposizione?
R: Sì. In passato, la legge (art.165 co.8 TUIR) ti avrebbe negato il credito per il solo fatto che non li avevi dichiarati a suo tempo, così ti saresti trovato a pagare di nuovo tutte le imposte in Italia. Ma le cose sono cambiate: la Cassazione 2024 ha stabilito che l’Agenzia deve riconoscere il credito per le imposte estere anche in caso di omessa dichiarazione iniziale, perché lo impongono le Convenzioni . Quindi, nel tuo contenzioso, puoi far valere il principio che devi pagare solo l’eventuale differenza tra imposte italiane e estere, ma non due volte. Se avevi pagato all’estero e l’imposta estera è uguale o superiore a quella italiana, in definitiva non dovrai pagar nulla (se non magari sanzioni amministrative per l’omissione, a meno che tu ottenga l’annullamento anche di quelle in conciliazione). Ti conviene farti assistere da un tributarista per presentare ricorso o istanza in autotutela citando Cass. 24205/2024 e seguenti. La stessa Agenzia delle Entrate, preso atto di queste sentenze, potrebbe accogliere già in sede di adesione la richiesta di non imponibilità duplicativa. Ricorda che hai diritto al rimborso se eventualmente hai già pagato doppio.

D: In quali casi si paga sia l’IVA che l’imposta di registro su un’operazione?
R: In linea generale, un’operazione è o soggetta a IVA o soggetta a registro proporzionale, non entrambe in cumulo pieno. Ci sono però eccezioni. La regola di alternatività dice: se un atto rientra nel campo IVA (anche se esente o non imponibile), allora il registro si paga solo fisso . Se invece un atto non rientra affatto in campo IVA (perché non è cessione di beni né prestazione servizi rilevante, es: cessione di azienda, conferimento di immobile in società, ecc.), allora paga il registro secondo tariffa. Le eccezioni: la principale è per le locazioni di immobili strumentali (capannoni, uffici) dove il locatore può optare per IVA: in tal caso, per legge, si paga anche il registro all’1% annuale . Quindi lì sì, c’è un cumulo IVA+registro per precisa scelta normativa. Altre situazioni di cumulo possono derivare da errori: ad esempio paghi IVA su qualcosa che era invece cessione d’azienda (non imponibile IVA ma soggetta a registro); allora potresti trovarti a pagare anche il registro. Ma in tal caso puoi recuperare l’IVA versata per errore. In sintesi: normalmente non paghi mai due imposte proporzionali sulla stessa base imponibile di una transazione; o IVA o registro. Se succede, o è un caso particolare previsto (locazioni strumentali), oppure c’è un errore da correggere tramite rimborso di una delle due imposte.

D: Cosa sono le Convenzioni contro le doppie imposizioni e come funzionano?
R: Sono accordi internazionali tra due Stati che stabiliscono come ripartire la potestà di tassazione su redditi “internazionali” (prodotti da residenti di uno Stato nell’altro Stato o viceversa), al fine di evitare che siano tassati due volte . In pratica ogni Convenzione (di solito seguendo il Modello OCSE) contiene: definizioni di chi è “residente” di uno Stato (per decidere chi può usufruire del trattato); regole per ciascuna categoria di reddito (interessi, dividendi, royalties, redditi di lavoro, pensioni, plusvalenze, ecc.) indicando se e quanto ciascuno Stato può tassare quel reddito; e infine una clausola che impone allo Stato di residenza di eliminare la doppia imposizione, di solito concedendo un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, oppure esentando il reddito (metodo esenzione) . Le Convenzioni hanno valore di legge e prevalgono sul diritto interno . Per beneficiare delle Convenzioni devi essere residente in uno dei due Stati e soggetto alle imposte lì (non vale per chi è esente totale, salvo eccezioni sui fondi pensione come da Commentario OCSE ). In pratica, se hai un reddito transnazionale, la Convenzione ti dice chi tassa e come evitare il doppio: o con aliquote ridotte alla fonte + credito nel tuo Paese, o con tassazione esclusiva in uno dei due. Esempio: la Convenzione Italia-USA prevede che i dividendi pagati da società USA a residenti italiani siano tassati max al 15% negli USA, poi l’Italia tassa anche lei il dividendo (26% di cui il 15% USA andrà a credito). Oppure la Convenzione Italia-Francia per certi redditi di pensione prevede che siano tassati solo nel Paese di residenza del pensionato e non nell’altro. È importante consultare la specifica Convenzione (disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate sezione “Convenzioni internazionali”) per sapere cosa si applica al tuo caso.

D: L’Italia ha accordi particolari con Paesi vicini come Svizzera o San Marino per evitare doppie tasse?
R: Sì, con la Svizzera ad esempio ci sono due tipi di accordi: la normale Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Svizzera (che copre tutti i redditi, firmata nel 1976, aggiornata di recente in alcune parti) e accordi specifici, ad esempio sugli imposti dei frontalieri. Proprio nel 2023 è entrato in vigore un nuovo Accordo Italia-Svizzera per i lavoratori frontalieri: prima i vecchi frontalieri pagavano solo in Svizzera (e l’Italia riceveva un rimborso forfettario dalla Svizzera); ora per i nuovi frontalieri c’è tassazione in entrambi i Paesi, ma con un meccanismo di credito d’imposta in Italia per l’imposta pagata in Svizzera . Quindi anche qui il doppio prelievo viene evitato perché l’Italia scomputa ciò che è stato pagato al fisco elvetico. Con San Marino c’è una Convenzione analoga firmata nel 2002 (aggiornata nel 2013) che regola i vari redditi e prevede crediti d’imposta. Con la Francia c’è la Convenzione del 1989 (in vigore dal 1992) e ulteriori accordi per situazioni particolari (p.es. tassazione dei lavoratori frontalieri Valico di confine, oggi superata perché la Convenzione 1989 li elimina già). In generale, con quasi tutti i Paesi occidentali l’Italia ha trattati che funzionano grossomodo allo stesso modo. Nei rapporti con Paesi “black list” o senza Convenzione, il rischio di doppia imposizione è maggiore ma come detto l’art.165 TUIR aiuta comunque.

D: Ho ricevuto una cartella su IRPEF 2018 per un reddito estero non dichiarato. Posso ancora fare qualcosa ora nel 2025?
R: Se la cartella è definitiva e non hai fatto ricorso entro i 60 giorni, diventa difficile rimediare in via giudiziaria perché i termini sono scaduti. Tuttavia, potresti agire in due modi: 1) se non hai pagato e la cartella è in riscossione, potresti presentare un’istanza di autotutela all’Agenzia spiegando che quel reddito era tassato all’estero e invocando la non debenza di (parte del) importo per via della Convenzione; l’Agenzia non è obbligata ad accogliere ma a volte, specie con le nuove circolari in mano, potrebbe annullare parzialmente l’atto riconoscendo il credito. 2) In alternativa (o in aggiunta), puoi presentare un’istanza di rimborso per le imposte che risulterebbero in eccesso (anche se deriva da cartella, puoi argomentare che tu hai un credito ex art.165 non utilizzato). Se l’Agenzia la respinge, potresti allora fare causa su diniego di rimborso (in tal caso i 60 gg decorrono dal diniego, quindi riapri il contenzioso sotto altra forma). Questo stratagemma è stato in effetti suggerito dalla Cassazione: usare il rimborso come via per recuperare crediti non fruiti . Attenzione però ai tempi: per il 2018 una domanda di rimborso presentata ora, a più di 4 anni dal versamento, potrebbe essere tardiva secondo l’Agenzia; ma tu puoi replicare che trattasi di indebito arricchimento dello Stato e hai 10 anni di tempo (tesi non pacifica, ma che ha sponde giurisprudenziali). Vale la pena tentare, dati gli importi spesso rilevanti.

D: Un ente benefico estero che non paga tasse nel suo Paese può usufruire delle Convenzioni contro le doppie imposizioni?
R: Sì, se formalmente è considerato “soggetto residente” ai sensi della Convenzione. Il Commentario OCSE (par. 8.2 art.4) specifica che un ente, ancorché esente da imposte nel suo Stato (ad esempio un ente caritativo che non paga tasse, o un fondo pensione esente), è comunque “liable to tax” (soggetto potenziale) perché sottoposto alle leggi fiscali, quindi rientra nella definizione di residente . Questo significa che, ad esempio, un fondo pensione estero esente che prende dividendi dall’Italia può chiedere l’aliquota ridotta convenzionale e il rimborso della ritenuta eccedente, nonostante nel suo Paese non paghi materialmente imposte, perché è comunque considerato soggetto fiscale lì (se perdesse i requisiti di esenzione pagherebbe). La Cassazione ha recepito questo principio in varie sentenze. Dunque gli enti non profit, fondi pensione, ecc., godono dei trattati di regola. Bisogna però controllare caso per caso: talvolta gli Stati si riservano di negare benefici convenzionali a entità che, pur residenti, non sono effettivamente tassate (c.d. clausole “limitation of benefits” o simili). Ma nell’assenza di clausole specifiche, vale quanto detto.

D: Ricevo un dividendo da una società estera che ha già pagato tasse sugli utili: non è doppia imposizione che io paghi di nuovo il 26% in Italia sul dividendo?
R: Questa è la classica doppia imposizione economica internazionale. Sì, lo stesso utile societario viene tassato due volte (società estera e poi socio italiano). Però è “legale” perché sono due soggetti diversi e due livelli diversi. Alcune Convenzioni cercano di ridurre questo fenomeno: ad esempio, la Convenzione Italia-USA prevedeva un credito d’imposta fittizio sui dividendi per il socio, ma è una clausola rarissima e superata (nel nuovo protocollo Italia-USA del 2009 è stata tolta). Nell’UE invece c’è la direttiva madre-figlia che esenta i dividendi intra-gruppo tra società (ma non copre i dividendi verso persone fisiche). Quindi, se sei persona fisica residente in Italia e prendi un dividendo estero, di regola subisci la ritenuta estera (generalmente ridotta al 15% dai trattati) e il 26% in Italia sul netto che ti arriva (senza credito, perché l’imposta italiana sui dividendi persone fisiche è sostitutiva). Il risultato può essere un prelievo effettivo intorno al 36-40%. È sicuramente economicamente una doppia imposizione, ma considerata accettabile dal sistema. L’unico rimedio parziale: assicurati di ottenere la riduzione massima della ritenuta estera secondo il trattato. Ad esempio, senza trattato gli USA farebbero 30% di ritenuta sul dividendo, con il trattato scende al 15%. Quel 15% però purtroppo non lo recuperi in Italia se sei persona fisica in regime imposta sostitutiva. Se fossi una società italiana prendendo dividendo estero, allora sì avresti un credito per eventuali ritenute alla fonte oppure (in ambito UE) addirittura esenzione totale del dividendo. Quindi il suggerimento: valuta con un fiscalista se c’è modo di ottimizzare la struttura (ad esempio far incassare i dividendi esteri a una holding italiana per avere esenzioni, piuttosto che come individuo).

D: Cosa significa che un trattato prevede metodo “credito” o metodo “esenzione” per eliminare la doppia imposizione?
R: Sono i due metodi classici. Metodo del credito d’imposta: il reddito è tassato da entrambi gli Stati (fonte e residenza), però lo Stato di residenza ti dà un credito pari all’imposta pagata allo Stato della fonte . Così tu paghi in totale l’equivalente dell’aliquota più alta fra le due (paghi prima la tassa estera, poi l’Italia calcola la sua e ne sottrae quella estera; se l’Italia ha aliquota più alta, versi la differenza, se l’Italia ha aliquota più bassa non versi nulla ma nemmeno recuperi l’eccesso pagato fuori). Metodo dell’esenzione: il reddito che hai prodotto all’estero viene escluso da tassazione nello Stato di residenza (può essere esenzione totale o esenzione con progressività, cioè non tassano quel reddito ma lo considerano per il calcolo dell’aliquota sugli altri redditi). In tal caso paghi solo l’imposta del Paese estero. Le Convenzioni dell’Italia di solito usano il metodo del credito per la maggior parte dei redditi, e il metodo dell’esenzione per poche categorie (ad esempio certi redditi di stabili organizzazioni di imprese, oppure per evitare doppie patrimoniali su immobili all’estero e in Italia l’immobile estero è esente da IMU per convenzione – casi rari, più che altro in materia di successioni/donazioni con Francia per esempio c’è esenzione alternata). Quindi, nella pratica con i principali Paesi (USA, UK, Germania, etc.) aspettati il metodo del credito: dichiari il reddito qui e porti credito delle tasse estere.

D: Se pago un’imposta in ritardo, rischio di pagare “doppio” con interessi e sanzioni?
R: Non è esattamente doppia imposizione, ma capisco la preoccupazione: se dimentichi di pagare una tassa, ti arriveranno sanzioni (30% riducibile se paghi spontaneamente in ravvedimento) e interessi di mora (circa il 4% annuo attuale). Questo non è considerato doppia imposizione, ma appunto sanzione e interesse per il ritardo. Purtroppo quelli vanno pagati e non c’è un divieto di “doppia sanzione” amministrativa (il 30% è unico per quell’omesso versamento). Quindi è importante pagare nei termini o ravvedersi prima possibile per ridurre tali aggravi. Il “doppio pagamento” qui è solo una percezione: versi l’imposta dovuta + aggiuntivi. Non c’è rimedio se non chiedere clemenza (ma lo Statuto contribuente all’art. 8 prevede che in casi eccezionali di obiettiva incertezza su norme le sanzioni possano essere non applicate – ma non per mero ritardo).

D: Un contribuente può essere tassato due volte perché è residente in due Paesi contemporaneamente?
R: La cosiddetta doppia residenza fiscale può accadere se, secondo le leggi nazionali, uno risulta residente in due Stati (ad esempio l’Italia ti considera residente perché hai il domicilio qui, e l’altro Stato ti considera residente secondo i suoi criteri). In teoria sì, saresti soggetto a tassazione mondiale in entrambi, quindi doppia imposizione totale! Però le Convenzioni hanno delle regole chiamate tie-breaker rules per risolvere questi casi: stabiliscono criteri (domicilio permanente, centro interessi vitali, cittadinanza, ecc.) per assegnare la residenza fiscale ad uno solo dei due Stati . Se c’è Convenzione, quindi, non rimarrai “residente doppio”: verrà deciso che sei residente di uno Stato e l’altro dovrà trattarti come non residente (tassando semmai solo i redditi da fonte locale). Se non c’è Convenzione, il rischio c’è, anche se molti Stati come l’Italia hanno nelle leggi interne possibilità di esentare se c’è tassazione dall’altra parte su base di reciprocità. Ma è una situazione complessa: conviene sempre evitare di cadere nella doppia residenza (curando appunto iscrizione AIRE se vai via, e verificando le regole estere). In caso succeda, con Convenzione fai valere le tie-breaker: ad esempio Cassazione nel 2023 (ord. 25690/2023) ha risolto un caso di cittadino italo-brasiliano che era doppio residente applicando i criteri convenzionali (centro interessi) per stabilire che aveva residenza convenzionale in Brasile , quindi l’Italia non poteva tassarlo come residente.

D: La Corte di Cassazione può annullare una legge che causa doppia imposizione?
R: La Cassazione non può annullare le leggi (non ha potere di dichiarare incostituzionalità direttamente, quello spetta alla Corte Costituzionale). Però la Cassazione può disapplicare norme interne in contrasto con trattati internazionali o col diritto UE, e può sollevare questione di legittimità costituzionale di leggi ingiuste. Nel nostro caso, la Cassazione per l’art. 165 co.8 TUIR di fatto ne ha affermato l’incompatibilità con i trattati , quindi lo ha disapplicato a favore del diritto internazionale. Questo non cancella formalmente la norma, ma impedisce di applicarla nei casi analoghi. È come se fosse “ibernata”: finché non sarà modificata dal Parlamento o eventualmente dichiarata incostituzionale, in teoria sta scritta, ma la sua applicazione è nulla nei giudizi perché contraria a norme di rango superiore (i trattati). La Corte Costituzionale potrebbe essere investita della questione se qualche giudice tributario di merito solleva il dubbio; potrebbe dichiararla incostituzionale per violazione dell’art. 117 Cost. (rispetto trattati) o art. 3/53 (irragionevolezza, capacità contributiva). Al momento però è la Cassazione che ha risolto con l’interpretazione conforme ai trattati. Quindi, indirettamente, la Cassazione protegge i contribuenti dalla doppia imposizione facendo prevalere i principi superiori sulle norme interne contrastanti.

Conclusioni

La materia della doppia imposizione è vasta e ricca di implicazioni sia teoriche sia pratiche. In questa guida abbiamo affrontato il tema con un livello di approfondimento avanzato, adatto a professionisti legali e fiscali, ma presentato in forma accessibile anche a privati cittadini e imprenditori interessati a capire come evitare di pagare due volte le tasse sullo stesso presupposto. Ricapitolando i punti salienti:

  • Principi generali: l’ordinamento italiano vieta la doppia imposizione giuridica (stessa imposta sullo stesso fatto) , mentre ammette quella economica (tributi diversi sulla stessa ricchezza) tollerandola o mitigandola via esenzioni o crediti. A livello internazionale, l’Italia e la maggior parte degli altri Paesi considerano la doppia imposizione un ostacolo da rimuovere, tramite cooperazione (trattati) o misure unilaterali.
  • Normativa nazionale: esistono norme interne specifiche (art. 67 DPR 600/73, art. 163 TUIR) che codificano il divieto di doppia tassazione interna ; l’art. 165 TUIR offre il credito per le imposte estere e l’art. 169 TUIR assicura che i trattati prevalgano sulle leggi interne contrastanti . Inoltre, meccanismi come il principio di alternatività IVA/registro evitano duplicazioni nelle imposte indirette .
  • Giurisprudenza della Cassazione: la Suprema Corte ha di recente rinforzato la tutela anti-doppia imposizione, soprattutto in ambito internazionale: ha stabilito che i crediti d’imposta esteri vanno riconosciuti sempre, anche in caso di omissioni dichiarative, perché lo impongono le Convenzioni ; ha chiarito la corretta interpretazione delle clausole dei trattati (“may be taxed” = tassazione concorrente con obbligo di credito) ; ha ribadito che la sola “potestà” tassatoria estera attiva i benefici convenzionali anche se l’estero non tassa di fatto . In ambito interno, ha confermato che non c’è violazione se i doppi prelievi sono di natura diversa (es. IRES/IRPEF) e ha risolto casi di erronea doppia tassazione (IVA/registro) indicando la via del rimborso dell’imposta indebitamente versata .
  • Prospettiva comparata: l’Italia si muove in linea con gli standard internazionali. Paesi come la Svizzera e la Francia hanno con l’Italia accordi che coprono la maggior parte delle situazioni. La Svizzera in particolare ha un regime speciale per i lavoratori frontalieri in evoluzione (dal 2024 tassazione condivisa con credito in Italia) . La Francia e altri Paesi UE condividono il modello OCSE, per cui un contribuente italiano troverà meccanismi simili di evitamento della doppia tassazione (crediti o esenzioni) anche nei rapporti con essi. È però essenziale conoscerne le particolarità (ad es., la Francia adotta spesso la tecnica del credito d’imposta fittizio anche per dare esenzioni con progressività).
  • Strumenti per il contribuente: abbiamo elencato varie azioni pratiche – dalla corretta dichiarazione dei redditi esteri, all’istanza di rimborso per imposte duplicate, all’interpello internazionale o MAP per casi estremi – che mettono il contribuente nelle condizioni di non pagare indebitamente due volte. Il “punto di vista del debitore” implica essere attivi nella difesa dei propri diritti: se subisci una doppia imposizione, sappi che con ogni probabilità l’ordinamento ti offre un rimedio, ma devi attivarlo tu (difficilmente il Fisco lo applica spontaneamente, benché dopo le pronunce Cassazione 2024-25 ci si attenda un cambio di atteggiamento su alcuni fronti).

In conclusione, conoscere cosa sapere sulla doppia imposizione significa conoscere le regole del gioco fiscale a livello avanzato: consente a un professionista di evitare ai propri clienti esborsi non dovuti e consente ai contribuenti più avveduti di non cadere vittime di quella che altrimenti sarebbe una grave ingiustizia fiscale (pagare due volte per lo stesso reddito). La Corte di Cassazione si è mostrata sensibile a queste ingiustizie, fornendo strumenti giuridici efficaci che ora fanno parte del bagaglio interpretativo. Il prossimo auspicio è che il legislatore intervenga, laddove necessario (come sul famigerato art.165 co.8 TUIR), per allineare la legge a tali principi, rendendo strutturale la protezione anti-doppia imposizione e riducendo la necessità di battaglie giudiziarie. Fino ad allora, questa guida e la giurisprudenza citata rappresentano un punto di riferimento per orientarsi in materia. Come sempre in ambito tributario, prevenire è meglio che curare: pianificare, dichiarare correttamente e chiedere consulenza specializzata sono le mosse vincenti per affrontare in sicurezza il labirinto delle imposizioni incrociate, interne o internazionali.

Hai ricevuto un accertamento fiscale che ti sembra determinare una doppia imposizione? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un accertamento fiscale che ti sembra determinare una doppia imposizione?
Vuoi sapere come si è espressa la Corte di Cassazione in materia e come difenderti?

👉 Prima regola: la doppia imposizione – nazionale o internazionale – è vietata, salvo i casi espressamente previsti dalla legge. La Cassazione lo ha più volte ribadito.


⚖️ Quando si parla di doppia imposizione

  • Doppia imposizione interna: lo stesso reddito o patrimonio viene tassato due volte in Italia, da due diversi enti impositori;
  • Doppia imposizione internazionale: il medesimo reddito viene tassato sia dallo Stato estero dove è prodotto sia dall’Italia in quanto Paese di residenza;
  • Mancata applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni;
  • Errori nell’applicazione del credito d’imposta estero.

📌 Cosa dice la Corte di Cassazione

  • La tassazione duplicata dello stesso presupposto viola i principi costituzionali di capacità contributiva e ragionevolezza;
  • La doppia imposizione può essere esclusa solo se il legislatore lo prevede chiaramente (es. IVA e imposte dirette su presupposti diversi);
  • In ambito internazionale, le convenzioni bilaterali prevalgono sulla normativa interna e vanno applicate per evitare la doppia tassazione;
  • L’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di riconoscere il credito d’imposta estero quando previsto.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Richiesta di imposte non dovute, perché già assolte in Italia o all’estero;
  • Sanzioni e interessi su somme non correttamente calcolate;
  • Necessità di attivare un contenzioso tributario o una procedura amichevole tra Stati;
  • Possibili danni patrimoniali per il contribuente se non interviene tempestivamente.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Il reddito tassato due volte è realmente lo stesso o riguarda presupposti differenti?
  • La convenzione contro le doppie imposizioni applicabile è stata correttamente utilizzata?
  • È stato richiesto il credito d’imposta per le imposte estere già pagate?
  • La Cassazione ha già affrontato casi simili a quello contestato?
  • I termini di impugnazione sono ancora aperti?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Dichiarazioni dei redditi italiane ed estere;
  • Certificazioni fiscali estere di ritenute e imposte già pagate;
  • Copia delle convenzioni internazionali applicabili;
  • Estratti conto e documentazione bancaria collegata;
  • Provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate e motivazioni dell’accertamento.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare con documenti l’esistenza della doppia imposizione;
  • Contestare l’errata applicazione della normativa interna o convenzionale;
  • Chiedere il riconoscimento del credito d’imposta estero;
  • Eccepire l’illegittimità dell’accertamento per violazione dei principi costituzionali;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
  • Attivare procedure internazionali (es. Mutual Agreement Procedure) nei casi transfrontalieri.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le dichiarazioni fiscali italiane ed estere;
📌 Verifica se la doppia imposizione è effettiva e se è stato riconosciuto il credito d’imposta;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in Cassazione;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una corretta pianificazione fiscale internazionale.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in casi di doppia imposizione e credito d’imposta estero;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

La Corte di Cassazione ha chiarito più volte che la doppia imposizione non può gravare sul contribuente, salvo casi eccezionali previsti dalla legge.
Con una difesa mirata puoi dimostrare l’illegittimità dell’accertamento, ottenere il riconoscimento del credito d’imposta ed evitare di pagare due volte lo stesso reddito.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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