Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunti compensi occulti erogati ai soci di una Srl? In questi casi, l’Ufficio presume che parte delle somme uscite dalla società siano state attribuite ai soci sotto forma di utili mascherati, rimborsi fittizi o spese personali addebitate all’impresa, senza la corretta tassazione. Le conseguenze possono essere molto pesanti: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni elevate e, nei casi più gravi, contestazioni penali per dichiarazione infedele. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben strutturata è possibile dimostrare la reale natura delle somme e ridurre in modo significativo le sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta compensi occulti ai soci
– Se emergono prelievi o spese personali dei soci addebitate alla società
– Se vi sono rimborsi spese privi di documentazione o sproporzionati
– Se i costi aziendali appaiono privi di inerenza e riconducibili a utilità personali
– Se i soci ricevono somme non registrate come compensi o utili deliberati
– Se l’Ufficio presume che i flussi finanziari verso i soci siano stati occultati o dissimulati
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione delle somme qualificate come compensi occulti
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Rettifica dei bilanci societari e delle dichiarazioni dei redditi dei soci
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o falso in bilancio
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale natura dei prelievi o dei rimborsi contestati
– Produrre documentazione contrattuale, contabile e bancaria a supporto delle operazioni
– Contestare la qualificazione come compensi occulti se trattasi di spese aziendali legittime
– Evidenziare errori di calcolo, vizi di motivazione o difetti istruttori nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione in termini meno gravosi per ridurre le sanzioni
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione societaria e fiscale relativa alle somme contestate
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta qualificazione delle operazioni
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere la società e i soci davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della legittimità di parte delle operazioni contestate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: i compensi occulti ai soci rappresentano una delle aree più attenzionate dal Fisco nei controlli sulle Srl. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare conseguenze economiche e penali molto gravi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per compensi occulti a soci di Srl e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.
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Introduzione
Premessa: In Italia l’Agenzia delle Entrate talvolta contesta a società di capitali con pochi soci (spesso legati da vincoli familiari) la presenza di utili “extrabilancio” o compensi occulti ai soci, assumendo che tali utili non dichiarati siano stati automaticamente distribuiti ai membri della compagine sociale . Ciò comporta una doppia imposizione fiscale: i profitti occulti vengono tassati sia in capo alla società (imposte IRES/IRAP) sia in capo ai soci come redditi di capitale (IRPEF o imposta sostitutiva), con applicazione di ritenute e sanzioni per omessa dichiarazione . Questa tassazione aggiuntiva è di particolare gravità e ingiustificata se in realtà nessuna distribuzione di utili è mai avvenuta nella realtà dei fatti.
Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – esamina in dettaglio la disciplina e la giurisprudenza più recente sull’accertamento di utili/compensi occulti ai soci di S.r.l., dal punto di vista del debitore/contribuente (socio tassato) . Verranno illustrati i riferimenti normativi rilevanti, le pronunce giurisprudenziali di Cassazione e delle Corti di Giustizia Tributaria più aggiornate (in particolare anni 2024-2025), oltre a prassi amministrative ufficiali. L’esposizione utilizzerà un linguaggio tecnico-giuridico ma con intento divulgativo, adatto sia a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a imprenditori e privati interessati. Sono incluse sezioni a domande e risposte (FAQ), tabelle riepilogative, casi pratici di simulazione e modelli esemplificativi di atti difensivi (istanza di autotutela, ricorso tributario, memoria difensiva), per fornire un quadro avanzato e completo dell’argomento.
Fonti normative principali: si richiamano soprattutto le disposizioni del Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR) – ad es. art. 5 (trasparenza fiscale delle società di persone), art. 47 (disciplina dei dividendi e redditi di capitale), art. 44, art. 89 – nonché le norme procedurali del D.P.R. 600/1973 (accertamento imposte) e del codice civile sulle presunzioni semplici (art. 2729 c.c.) . Saranno citate le più recenti pronunce della Corte di Cassazione (tra cui Cass. 2288/2025, Cass. 2464/2025, Cass. 15274/2025, Cass. 19272/2024, Cass. 24621/2024, Cass. 41579/2023, ecc.) e alcuni orientamenti delle Commissioni tributarie (oggi Corti di Giustizia Tributaria) di merito. Infine, si accennerà anche al possibile rilievo penale della materia: in alcuni casi, infatti, la mancata dichiarazione di utili occulti imputati al socio è stata considerata dalla Cassazione come dichiarazione infedele penalmente sanzionabile .
Normativa di riferimento (Italia)
- D.P.R. 600/1973, art. 47 co.4 – Consente al Fisco, in caso di utili di società di capitali non ancora distribuiti formalmente, di imputarli comunque ai soci come se fossero stati percepiti . In altre parole, l’Amministrazione finanziaria può tassare in capo ai soci i maggiori utili extracontabili accertati nella società, applicando analogicamente questo principio (derivato dall’art. 47 co.4 TUIR sulla tassazione dei dividendi non distribuiti). Quando l’Agenzia accerta ricavi non dichiarati o costi fittizi in capo alla società (che generano utili “in nero”), presume che tali utili occulti siano stati ripartiti pro quota tra i soci .
- Art. 5 TUIR (Trasparenza fiscale società di persone) – Stabilisce che i redditi prodotti da società di persone (s.n.c., s.a.s., etc.) sono imputati direttamente ai soci indipendentemente da effettiva distribuzione. Di conseguenza, nelle società di persone non si applica alcuna presunzione di utili occulti , poiché i redditi “in nero” eventualmente scoperti confluiscono comunque nel reddito imponibile personale dei soci per trasparenza. Viceversa, per le società di capitali (S.r.l., S.p.A.) vige la tassazione separata (IRES sulla società e IRPEF sui dividendi distribuiti): qui si innesta dunque la presunzione fiscale di distribuzione ai soci degli utili extra-contabili, essendo altrimenti tali somme tassate solo in capo alla società.
- Altri riferimenti del TUIR: l’art. 44 include nei redditi di capitale gli utili da partecipazione, l’art. 47 specifica il periodo d’imposta in cui i dividendi si considerano percepiti e disciplina anche utili in natura o da riserve, l’art. 89 regola l’imponibilità delle riserve di utili. Inoltre l’art. 27 D.P.R. 600/1973 prevede le ritenute alla fonte sui dividendi distribuiti. Nel contesto dei “utili occulti” contestati, queste norme comportano che l’accertamento fiscale applichi sia l’IRES sul maggior utile societario scoperto, sia la relativa ritenuta (26%) o imposta sostitutiva sui dividendi presunti in capo ai soci , trattandoli come utili ordinari percepiti (anche se in realtà non deliberati né erogati).
- Codice Civile (artt. 2433 c.c. e ss.) – Disciplina le modalità formali di distribuzione degli utili di bilancio (delibera assembleare su utili netti distribuibili, rispetto delle riserve obbligatorie, ecc.). Se una distribuzione di utili avviene in violazione delle norme civilistiche (es. senza delibera o in presenza di perdite non coperte), si configura una distribuzione illegittima o un’anticipazione di utili, con possibili conseguenze di responsabilità civile e penale per gli amministratori. Tali profili esulano dalla presente trattazione, ma è importante notare che spesso i “utili occulti” contestati dal Fisco non rispettano alcuna formalità civilistica – proprio perché non risultano affatto dalle scritture – e la loro ipotetica attribuzione ai soci avviene solo per presunzione fiscale (illegittima sul piano civilistico) .
- Art. 2729 c.c. (Presunzioni semplici) – Norma generale sulle presunzioni: gli indizi su cui si basa una presunzione semplice devono essere gravi, precisi e concordanti. Ciò significa che l’Amministrazione finanziaria non può fondare la tassazione su semplici sospetti labili: la presunzione di distribuzione di utili occulti dev’essere sorretta da elementi oggettivi consistenti (es. riscontri documentali, evidenze di movimenti finanziari), altrimenti può essere contestata perché carente dei requisiti richiesti dalla legge . Questo principio del codice civile viene spesso richiamato nei ricorsi dei contribuenti, sostenendo che la sola base ristretta non costituisce elemento indiziario sufficiente (vedremo oltre la giurisprudenza in merito).
- D.Lgs. 74/2000, art. 4 (Reato di dichiarazione infedele) – Sul piano penale, la omessa indicazione da parte del socio di utili extrabilancio può integrare reato tributario. In particolare l’art.4 punisce chi omette di dichiarare redditi imponibili sopra determinate soglie. La Cassazione penale ha recentemente affermato che il socio occulto che non dichiara utili extracontabili contestati al suo ente commette dichiarazione infedele . Ciò sulla base della medesima presunzione fiscale: se il Fisco considera quei redditi come percepiti dal socio, quest’ultimo – non dichiarandoli – risponde penalmente se i parametri del reato sono superati. È quindi fondamentale considerare anche il potenziale profilo penale di queste contestazioni (ad es. per grandi evasioni può scattare la denuncia). In ogni caso, la rilevanza penale richiede soglie elevate di imposta evasa (oltre €100.000 per l’infedele) e dolo specifico: non tutti gli accertamenti di utili occulti sfociano in procedimenti penali, ma va valutato caso per caso.
Società a base ristretta: definizione e presunzione
La nozione di “società a base ristretta” non è definita dalla legge ma nasce dalla giurisprudenza tributaria. In generale si intende una società di capitali con pochi soci, spesso legati da vincoli familiari o di stretta fiducia, che in pratica condividono la gestione dell’azienda. Tipicamente la Cassazione ha ritenuto “ristretta” una compagine formata da 2 soci (anche se coniugi o parenti stretti), ma anche di 4-5 soci al massimo, specialmente se tra essi vi sono legami personali o accordi di fatto . Ad esempio, è stata considerata base ristretta una S.r.l. con 5 soci di cui alcuni parenti . Inoltre, sono stati assimilati a base ristretta anche assetti societari con enti formalmente distinti ma strettamente collegati (partecipazioni incrociate, gruppi familiari attraverso più società) .
Un orientamento recente ha introdotto il concetto dei “soci tiranni”: la Cassazione (ord. 3 novembre 2022 n. 32451) ha affermato che, quando in una società formalmente vi sono più soci ma uno o alcuni di essi esercitano da soli il controllo effettivo, solo questi soggetti dominanti possono essere considerati destinatari della presunzione degli utili extracontabili . In altri termini, in presenza di soci puramente passivi o di facciata, la presunzione andrebbe limitata ai soci che effettivamente gestiscono e conoscono l’andamento societario. Questo concetto può rilevare in difesa di soci minoritari estranei alla gestione (come vedremo).
Secondo l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, il fatto noto su cui si fonda la presunzione non è semplicemente l’esistenza di utili in nero (che è appunto ciò che si vuole dimostrare), bensì la ristrettezza della base sociale unita a un vincolo di solidarietà e reciproco controllo tra i soci . Già Cass. 9519/2009 chiarì che non è l’utile occulto in sé a far presumere la distribuzione, ma il fatto che pochi soci coesi avrebbero interesse comune a spartirsi quei proventi non dichiarati . In altre parole, una piccola compagine sociale in cui tutti i soci partecipano alla gestione è l’elemento indiziario chiave: da ciò si inferisce, secondo le massime di comune esperienza, che eventuali utili extra-contabili vengano tenuti nascosti e suddivisi informalmente. Questo principio giurisprudenziale costituisce il fondamento della presunzione di distribuzione occulta di utili.
Va precisato che la mera ristrettezza numerica non basta di per sé in assoluto a giustificare la ripresa fiscale: ad esempio, se i soci sono pochi ma è provato che non agiscono d’accordo o che non tutti erano a conoscenza dei fatti, la presunzione può essere contestata. Ciò rientra nel concetto di “vincolo di complicità” tra soci: la Cassazione (es. Cass. 20078/2005, 15824/2016) ha spesso enfatizzato che deve esistere un vincolo di gestione condivisa o familiare perché operi l’automatismo . Tuttavia, nella prassi la presenza di pochi soci con rapporti stretti fa presumere tale complicità, salvo prova contraria. In definitiva, quando parliamo di società a base ristretta ci riferiamo in genere a S.r.l. (o anche S.p.A.) con non più di 3-5 soci fortemente collegati, scenario in cui il Fisco tende ad applicare la presunzione di utili occulti distribuiti ai soci.
Presunzione di utili extracontabili (distribuzione occulta)
Cos’è. L’accertamento per utili occulti ai soci è un accertamento induttivo (ex art. 39 D.P.R. 600/1973) basato su presunzioni . In pratica, quando l’Amministrazione finanziaria scopre che una società di capitali a base ristretta ha conseguito maggiori profitti non dichiarati – ad esempio ricavi “in nero” non fatturati, oppure utili celati tramite costi fittizi – presume che tali extra-profitti siano stati distribuiti pro quota ai suoi soci . Tipicamente l’iter è il seguente: l’Agenzia rettifica il reddito della società (recuperando a tassazione IRES il maggiore utile nascosto) e poi notifica a ciascun socio un avviso di accertamento personale, imputandogli un dividendo presunto pari alla sua percentuale di partecipazione su quell’utile occulto . Ad esempio, se Alfa S.r.l. (due soci al 50%) ha occultato €100.000 di ricavi, l’ufficio emetterà un avviso alla società per le imposte evase su €100.000 e due avvisi ai soci, ciascuno per €50.000 di utili occulti presunti (50%) da tassare come reddito personale del socio.
Effetti fiscali. La conseguenza immediata di tale operazione è la già menzionata doppia imposizione: l’utile extracontabile viene tassato una prima volta in capo alla società (aliquota IRES del 24% circa, più eventuale IRAP) e una seconda volta in capo ai soci, applicando sulle somme attribuite l’IRPEF (secondo aliquota marginale) oppure l’imposta sostitutiva sui dividendi (26%) a seconda dei casi, oltre alle relative sanzioni . In particolare, per soci persone fisiche non imprenditori si applica normalmente l’imposta sostitutiva del 26% sui dividendi occulti (equiparati a dividendi ordinari percepiti senza ritenuta); per soci persone giuridiche, teoricamente la quota di utile occulto dovrebbe concorrere al reddito imponibile come dividendo (non spettando l’esenzione 95% prevista per dividendi regolarmente deliberati, trattandosi di utili extra-bilancio non affrancati) e può essere contestata l’omessa applicazione delle ritenute a carico della società . In aggiunta, vengono irrogate sanzioni amministrative per omessa o infedele dichiarazione a carico dei soci (tipicamente il 90% della maggiore imposta, ridotto se si aderisce) e maturano gli interessi di mora. È importante sottolineare che queste pesanti conseguenze fiscali colpiscono il socio pur in assenza di qualsiasi atto formale di distribuzione utili (nessuna delibera assembleare, né pagamento tracciato): si basano unicamente sulla presunzione legale. Ciò fornisce al contribuente un chiaro motivo per impugnare l’accertamento: la difesa può infatti sostenere che, mancando riscontri oggettivi di effettiva percezione di quei redditi, la tassazione risulta indebita.
Fondamento giuridico della presunzione. Va evidenziato che non esiste una norma positiva specifica che imponga di tassare i soci in tali frangenti: la “distribuzione occulta di utili” è una costruzione giurisprudenziale fondata sull’applicazione analogica dei principi sulle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. . La Cassazione stessa la definisce una presunzione giurisprudenziale (o praesumptio hominis) basata sul fatto notorio che, in una piccola compagine sociale con stretti legami, i soci siano portati a spartirsi gli utili non dichiarati . In altri termini, la ristretta base sociale con legami interpersonali è il “fatto noto” da cui si deduce l’effettiva attribuzione ai soci dei maggiori profitti extracontabili . Ciò viene ritenuto conforme all’art. 2729 c.c. in quanto si utilizza un fatto noto indipendente (la struttura societaria e i rapporti tra soci) per inferire il fatto ignoto (la distribuzione degli utili occultati). Proprio su questo tema, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che non si viola il divieto di doppia presunzione: non si sta presupponendo un fatto ignoto (utile ai soci) da un altro fatto ignoto (utile occulto), bensì dallo stesso fatto noto rappresentato dal contesto di base ristretta e reciproco controllo . In pratica la sequenza logica non è “utile occulto → (presunzione) utili ai soci”, bensì “base sociale ristretta + utile occulto → (unica presunzione) utili ai soci”. Questa puntualizzazione teorica è importante perché la difesa spesso eccepisce la violazione del divieto di presunzioni di secondo grado (o “doppia presunzione”), ma la Cassazione respinge tale obiezione proprio sottolineando che la presunzione è unica e si basa sul fatto noto della struttura societaria (vedi ad es. Cass. 5925/2015 ).
Tempistica della presunzione. Si presume che la distribuzione occulta avvenga nel medesimo esercizio in cui l’utile non dichiarato è maturato e in proporzione alle quote di partecipazione dei soci . Dunque, se l’accertamento riguarda il periodo d’imposta 2022 in cui la società ha realizzato utili in nero, si ritiene che i soci abbiano percepito tali utili nel 2022 stesso (e debbano dichiararli in quell’anno). La Cassazione ha ribadito che gli utili extracontabili sono distribuiti tra i soci proporzionalmente alle quote, salvo prova contraria che i maggiori ricavi siano stati non realizzati oppure accantonati/reinvestiti . Ciò significa due cose molto importanti: (a) la presunzione “segue” l’anno d’imposta accertato – non si può difendere dicendo che gli utili forse saranno distribuiti in futuro, perché si presume avvenuto contestualmente; (b) spetta al socio dimostrare l’eventuale mancata distribuzione, ad esempio provando che quei proventi extra sono rimasti nella società (accantonati a riserva occulta, reinvestiti in cespiti aziendali) oppure che addirittura i ricavi in nero contestati non sono mai esistiti o non sono così elevati. Questo onere probatorio a carico del contribuente è centrale nella difesa, come vedremo dettagliatamente oltre.
Requisiti e presupposti dell’accertamento di utili occulti
L’Agenzia delle Entrate (o la Guardia di Finanza) può avviare un accertamento per utili occulti quando emergono elementi che fanno presumere l’esistenza di utili non dichiarati in una società di capitali a compagine ristretta. In pratica è necessario che sussistano due condizioni di base: (1) che la società abbia realizzato un maggior reddito imponibile occulto (ricavi non dichiarati, o utili nascosti tramite artifici contabili); (2) che la compagine societaria sia di tipo “ristretto” (pochi soci legati da stretta collaborazione). Il primo elemento deriva normalmente da una verifica fiscale o controllo incrociato – ad esempio verifiche bancarie, riscontri di fatture false o altri indizi di ricavi in nero. Il secondo elemento (base ristretta) spesso è automaticamente appurato quando la società ispezionata ha pochi soci (eventualmente familiari tra loro).
Gli indizi principali che tipicamente inducono il Fisco a contestare utili occulti ai soci, secondo la dottrina e la giurisprudenza, includono:
- Base sociale ristretta: presenza di pochi soci (tipicamente ≤ 5) spesso con legami familiari o fiduciari. Esempi: società con due fratelli come unici soci; S.r.l. unipersonale (in cui il socio unico è persona fisica che coincide con l’amministratore) . Questa circostanza fa ritenere probabile un accordo interno sui guadagni non ufficiali.
- Commistione patrimoniale: confusione tra il patrimonio/denaro della società e quello personale dei soci . Ad es. utilizzo dei conti correnti societari per spese personali dei soci, mancanza di separazione netta delle finanze, soci che prelevano liberamente dalle casse sociali.
- Prelievi ingiustificati dai conti aziendali: movimenti di denaro in uscita dai conti societari non supportati da giustificativi contabili reali (es. bonifici a favore di soggetti inesistenti, prelievi di contante elevati senza spiegazione). Spesso tali somme vengono interpretate come utili prelevati “in nero” dai soci .
- Spese personali a carico della società: acquisti o spese sostenute dall’azienda ma di natura chiaramente personale per i soci (auto di lusso ad uso privato, viaggi, beni per la famiglia, polizze assicurative personali pagate dall’azienda, ecc.) . Ciò fa presumere che la società stia distribuendo ai soci dei vantaggi economici occulti sotto forma di costi dedotti.
- Incrementi patrimoniali dei soci: rilevante crescita del patrimonio personale di uno o più soci (acquisto di immobili, investimenti finanziari) non spiegabile coi redditi ufficialmente dichiarati, in concomitanza con utili extra emersi nella società . L’ipotesi è che tali arricchimenti derivino in realtà da utili sociali occultamente percepiti.
- Controllo gestionale accentrato: se uno o pochi soci esercitano in pratica il controllo esclusivo della società (amministratori di fatto), decidendo unilateralmente, ciò rafforza la presunzione che essi possano aver dirottato utili a proprio favore . (Vedi il concetto di “socio tiranno” già citato).
Questi elementi, singolarmente presi, non costituiscono prova diretta che i soci abbiano incassato dividendi in nero. Sono però indizi che rafforzano la presunzione iniziale basata sulla struttura societaria . In dottrina si parla della necessità di una “prova rafforzata” a carico dell’Ufficio: solo la concomitanza di più indizi gravi, precisi e concordanti rende solida la presunzione . Ad esempio: società con 2 soci fratelli (base ristretta) e ingenti prelievi di cassa non giustificati e acquisto di ville da parte dei soci quell’anno: l’insieme di questi fatti costruisce una presunzione molto forte. Viceversa, in assenza di elementi indiziari ulteriori, la sola base ristretta rimane un indizio debole e attaccabile . Per questo, l’Agenzia dovrebbe – in teoria – corredare l’accertamento con dati concreti che colleghino i maggiori utili ai soci (es. analisi dei conti bancari personali, e-mail o documenti che attestino la spartizione, ecc.) .
Da notare che alcune Commissioni Tributarie hanno recepito questa impostazione più rigorosa: ad esempio una recente sentenza di CTR (Commissione Tributaria Regionale) ha affermato che la presunzione non opera in modo meccanico: è onere dell’Ufficio fornire una “prova rafforzata” della ristretta base sociale e dell’effettiva distribuzione degli utili . In quel caso i soci, ricorrenti, avevano prodotto numerosi elementi a smentita della percezione di utili, e l’Amministrazione non era riuscita a confutarli; il giudice di appello annullò quindi l’avviso ai soci per carenza di prova . Si tratta di un orientamento favorevole al contribuente, sebbene non ancora maggioritario a livello di legittimità (la Cassazione, come vedremo, tende a ritenere sufficiente la presunzione semplice senza richiedere ulteriori riscontri ex ante all’Ufficio). Sta di fatto che, sul piano difensivo, evidenziare l’assenza di indizi ulteriori e l’automatismo dell’atto impositivo è una strategia importante, potendo fare breccia almeno nei giudici tributari più garantisti.
Onere della prova e orientamenti giurisprudenziali
Onere dell’Amministrazione finanziaria. In linea di principio, spetterebbe al Fisco dimostrare i presupposti per l’applicazione della presunzione, quindi provare (anche tramite presunzioni semplici) sia l’esistenza di utili extra-contabili nella società sia la circostanza della base ristretta e degli elementi che rendono plausibile la distribuzione . Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha consolidato un orientamento per cui è sufficiente, per l’Ufficio, provare la “ristrettezza” della compagine sociale, senza dover portare ulteriori riscontri della percezione degli utili da parte dei soci . In particolare, la Corte di Cassazione con ord. 9/05/2025 n. 12288 (data la vicinanza, presumibilmente la stessa indicata come n.2288/2025 in altri riferimenti) ha ribadito che all’Agenzia è richiesto unicamente di dimostrare che la società ha pochi soci per poter beneficiare della presunzione, non essendo necessario che l’avviso al socio si basi anche su prove dirette (es. movimenti bancari sui conti dei soci) della distribuzione . Questo significa che, secondo la Suprema Corte, una volta accertato un maggior reddito in capo alla società a base ristretta, si presume per legge che esso sia stato distribuito, e tocca semmai al contribuente fornire prova contraria.
Onere del socio contribuente (prova contraria). Dato quanto sopra, il peso principale della prova si sposta sui soci, che devono “vincere la presunzione” dimostrando che nella realtà dei fatti non hanno ricevuto quegli utili. Le possibili strategie probatorie per il socio sono state delineate dalla giurisprudenza: occorre dimostrare o che i ricavi in nero contestati non sono mai esistiti (ad esempio erano basati su errori, e infatti l’accertamento verso la società è infondato) oppure che quei ricavi extra non sono stati distribuiti ma trattenuti dalla società o reimpiegati . La mera estraneità del socio alla gestione sociale, da sola, non è sempre considerata sufficiente: Cass. 29/07/2024 n. 21158 ha chiarito che il socio non può limitarsi a dichiararsi estraneo, ma deve fornire evidenze che i ricavi in nero non sussistono o non sono stati spartiti . In altre pronunce, però, la Cassazione ha riconosciuto che l’estraneità totale del socio alla conduzione aziendale può costituire prova liberatoria, se adeguatamente dimostrata . Proprio su questo punto si è registrata nel 2025 una svolta significativa: con l’ordinanza 2/02/2025 n. 2464, la Cassazione ha affermato esplicitamente che il socio può superare la presunzione provando la propria assoluta estraneità alla gestione societaria . In altre parole, se un socio riesce a provare di non avere avuto alcun ruolo nella gestione e nelle decisioni sociali nell’anno oggetto di accertamento (ad es. era socio solo di capitale, senza deleghe né poteri, magari residente lontano, ecc.), allora si può ritenere che non fosse a conoscenza né potesse partecipare ad eventuali utili occulti – liberandolo quindi dalla tassazione. Tale orientamento, favorevole al contribuente, è stato confermato dalla Cassazione con un’altra pronuncia (Cass. 31/01/2025 n. 2288) . Queste novità giurisprudenziali del 2025 sembrano dunque aprire maggiori spazi difensivi ai soci di minoranza o di mero investimento.
Di contro, rimane fermo l’orientamento “classico” secondo cui, in mancanza di prova contraria, incombe sul socio l’onere di provare di non aver percepito nulla. Numerose sentenze recenti ribadiscono che la presunzione è valida e l’imposizione sui soci legittima finché il socio non dimostra concretamente il contrario . Ad esempio Cass. 19272/2024 e Cass. 24621/2024 hanno confermato l’automatismo della distribuzione pro-quota nelle S.r.l. a ristretta base, salvo prova contraria del contribuente . Ancora, Cass. 21593/2024 (31/07/2024) ha ribadito che è legittimo presumere la distribuzione ai soci degli utili extra, a meno che i soci provino che quei ricavi sono stati accantonati o reinvestiti dalla società . È interessante notare che la stessa ordinanza afferma non essere necessario, per il Fisco, cercare traccia di lussi o acquisti nei conti dei soci – rovesciando l’onere di giustificare la non percezione sul contribuente.
Sintesi degli orientamenti: il principio prevalente in Cassazione è dunque che base ristretta + utili non dichiarati = presunzione di distribuzione, e una volta che l’Ufficio prova questi due elementi, il socio deve attivarsi per confutarla . La prova contraria ammessa consiste principalmente in: (a) dimostrare che i maggiori utili contestati non sono stati effettivamente realizzati (ad esempio demolendo l’accertamento alla società, o ridimensionandolo); (b) dimostrare che gli utili extra sono rimasti nella società (es. usati per comprare macchinari, immobili intestati alla società, copertura di perdite, ecc.) ; (c) provare l’estraneità propria alla gestione, in modo da escludere che il socio fosse anche solo a conoscenza dell’utile occulto . Quest’ultimo punto, come detto, è stato oggetto di oscillazioni: alcune pronunce 2025 lo valorizzano, altre precedenti lo ritenevano insufficiente isolatamente. In pratica, è consigliabile che il socio fornisca tutte le evidenze possibili: sia documenti contabili che mostrano reinvestimenti o riserve occulte sia elementi che provano la propria non partecipazione alla gestione.
Da segnalare: un aspetto tecnico sollevato in passato riguardava l’aliquota di tassazione dei dividendi occulti. Prima delle riforme del 2017-2018, i dividendi percepiti da persone fisiche su partecipazioni qualificate erano imponibili solo al 49.72% (ex art. 59 TUIR previgente, ossia in sostanza tassati per il 50% circa) se provenienti da utili già tassati in capo alla società. Alcuni contribuenti hanno eccepito che, se proprio deve tassarsi il socio per utili non distribuiti, andrebbe applicata solo la tassazione parziale come per i dividendi normali già tassati a monte. La Cassazione ha escluso tale interpretazione: ha chiarito che gli utili extracontabili, non essendo stati tassati in capo alla società al momento del fatto (erano occultati), vanno tassati per intero in capo ai soci senza riduzioni . In pratica, viene meno ogni mitigazione: si tratta di redditi non dichiarati né tassati, dunque l’imposizione (sia sulla società che sui soci) è integrale su tutto l’ammontare. Questo aspetto rende ancora più onerosa la contestazione per il contribuente, che si vede tassato su 100% dell’utile, configurandosi di fatto – come spesso lamentato – una doppia tassazione completa.
Rapporto con il procedimento societario: un altro tema delicato riguarda la definitività dell’accertamento sulla società. Il socio potrebbe obiettare: “Se l’accertamento contro la società non è ancora definitivo (magari la società ha fatto ricorso), perché tassate me sui relativi utili?”. La Cassazione ha stabilito che non occorre attendere la definitività dell’accertamento societario per emettere quello ai soci . I due procedimenti possono viaggiare paralleli e autonomi. Ovviamente, se in giudizio l’accertamento verso la società viene annullato (perché magari quei ricavi occulti non esistevano), cade anche la base per tassare i soci – e in tal caso il contribuente può far valere tale esito per ottenere l’annullamento del proprio avviso (eventualmente anche in via di autotutela o con ricorso per revocazione, se i tempi sono trascorsi). Ma nel frattempo il socio deve comunque impugnare il proprio avviso nei termini: non può limitarsi ad aspettare l’esito della società, altrimenti la sua posizione diventa definitiva. Quindi, benché i due giudizi siano collegati, è indispensabile che il socio faccia valere le proprie ragioni tempestivamente, eventualmente chiedendo al giudice una sospensione del processo in attesa della definizione della causa della società (in alcuni casi può essere ottenuta per economia processuale). La giurisprudenza, tuttavia, conferma la legittimità dell’azione contestuale: Cass. ord. 18/06/2025 n. 16467 ha ribadito che l’Ufficio può procedere contro i soci senza attendere il giudizio sulla società, trattandosi di soggetti diversi, e che in caso di utili extracontabili l’imputazione avviene sull’intero importo senza attendere alcun eventuale recupero parziale .
Evoluzione recente: riassumendo le pronunce più significative citate: Cass. 2464/2025 (ord. 2/2/2025) – il socio può vincere la presunzione provando la totale estraneità alla gestione ; Cass. 2288/2025 (31/1/2025) – conferma l’orientamento favorevole al contribuente già espresso in Cass. 2464/2025 ; Cass. 15274/2025 (ord. 9/6/2025) – riafferma la validità della presunzione anche se i soci sono persone giuridiche (il “velo” della personalità giuridica non impedisce la presunzione) e che non vi è violazione del divieto di doppia presunzione perché il fatto noto è la compagine limitata ; Cass. 19272/2024 – presunzione confermata e onere della prova in capo al socio; Cass. 24621/2024 – idem, ribadisce la presunzione per le SRL a base ristretta salva prova contraria ; Cass. 5925/2015 – definisce i limiti del fatto noto per evitare la doppia presunzione ; Cass. 32451/2022 – introduce il concetto di soci tiranni (presunzione selettiva solo sui soci effettivamente gestori) ; CTR Campania 2024 n.3374 – richiede prova rafforzata all’Ufficio, presunzione non automatica . Si evidenzia infine la pronuncia Cass. penale 41579/2023 – in ambito penale, ha affermato che il socio occulto che non dichiara utili extra imputati all’ente risponde di dichiarazione infedele (con riflessi sul piano penale già detti).
Strategie difensive e strumenti di tutela
Di fronte a un avviso di accertamento che contesta utili occulti ai soci, il contribuente dispone di diverse strategie difensive, sia in sede amministrativa (prima e dopo la notifica dell’atto) sia in sede contenziosa (Commissioni/CGT di primo e secondo grado, Cassazione). È fondamentale agire con tempestività e metodo: vediamo i principali strumenti di difesa a disposizione del socio e le argomentazioni da poter sviluppare.
1. Difesa nella fase pre-accertamento (contraddittorio endoprocedimentale). Se la contestazione di utili extracontabili emerge da un Processo Verbale di Constatazione (PVC) rilasciato dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia prima della notifica dell’accertamento, il contribuente ha diritto a presentare osservazioni e memorie difensive entro 60 giorni (art. 12, c.7 L. 212/2000) . È altamente consigliato sfruttare tale finestra: in questa memoria difensiva il socio (eventualmente insieme alla società verificata) può controbattere punto per punto i rilievi del PVC, allegando documenti, spiegazioni e prove a suo favore . Ad esempio, se il PVC ipotizza vendite in nero basate su calcoli presuntivi, il socio può produrre contratti o fatture che ridimensionano quelle stime. L’Ufficio è tenuto a valutare tali osservazioni e, se emergono elementi convincenti, potrebbe persino archiviare in autotutela o ridurre la pretesa (evenienza rara ma non impossibile). In ogni caso, presentare una memoria prima dell’atto serve anche a dimostrare collaborazione: se poi si va in giudizio, il fatto di aver già sollevato certe eccezioni e fornito chiarimenti al Fisco può mettere in luce l’eventuale trascuratezza dell’ufficio nel non averli considerati . Dunque, prima mossa difensiva: entro 60 giorni dal PVC inviare alla Direzione locale dell’Agenzia una memoria difensiva scritta (via PEC o raccomandata) con tutte le proprie ragioni e prove. Questa è una sorta di “istanza di revisione anticipata” che talvolta porta l’ufficio a soprassedere o a qualificare diversamente i fatti.
2. Valutare un accordo con l’ufficio (accertamento con adesione). Dopo la notifica dell’avviso di accertamento, prima di fare ricorso il contribuente può valutare di attivare un procedimento di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) presentando apposita istanza entro 60 giorni. L’adesione comporta un incontro con l’Agenzia durante il quale si discute la pretesa e si può giungere a un accordo transattivo: il contribuente di solito ottiene una riduzione delle sanzioni (per legge, al 1/3 del minimo) e talvolta una riduzione del reddito accertato . Pro: si evitano i tempi e i costi del giudizio, si paga meno di sanzioni e magari si spunta un abbattimento del maggior utile contestato . Contro: si deve rinunciare a contestare nel merito la pretesa (l’adesione implica accettazione, seppur parziale). Nel contesto di utili occulti ai soci, l’adesione può servire a negoziare il quantum: ad esempio convincere l’ufficio a riconoscere alcuni costi deducibili in più, riducendo i ricavi non dichiarati accertati . A volte si è visto (informalmente) che l’ufficio potrebbe rinunciare alle sanzioni ai soci o agli avvisi ai soci se la società accetta di pagare tutto: non è una regola scritta, ma nella pratica può accadere che, pur di chiudere la vicenda, si concordi che la tassazione resti in capo alla società e gli avvisi ai soci vengano annullati (specie se i soci sono persone senza grande capacità finanziaria e la società invece può pagare) . Attenzione: formalmente, una cosa del genere non è prevista dalla legge, ma in sede di adesione qualche margine di creatività esiste; è comunque a discrezione dei funzionari. In generale, l’adesione conviene quando le prove a carico del contribuente non sono solide (quindi le chance di vittoria in giudizio sono scarse) e si vuole limitare il danno economico, oppure quando l’ufficio mostra apertura a ridurre sensibilmente la pretesa . Viceversa, se si ritiene di avere un caso forte per annullare l’atto in giudizio (vizi formali evidenti, mancanza totale di prove), può essere meglio andare direttamente in contenzioso.
3. Presentare istanza di autotutela in caso di errori evidenti. L’autotutela è lo strumento con cui l’Amministrazione può annullare o correggere i propri atti senza bisogno di giudice, quando riconosca un errore. In materia di accertamenti complessi basati su presunzioni l’Agenzia è raramente incline ad ammettere errori, a meno di casi clamorosi (es.: palese errore di persona, socio che non era tale nell’anno, doppia tassazione già avvenuta, ecc.). Tuttavia, se nell’avviso vi è un errore oggettivo (ad esempio imputano l’utile occulto a un soggetto che non era socio in quell’anno, o hanno già tassato quell’importo altrove) conviene chiedere subito l’annullamento in autotutela presentando un’istanza motivata all’ufficio competente . L’istanza di autotutela non sospende i termini di ricorso, quindi va eventualmente fatta in aggiunta al ricorso (non in sostituzione). In ogni caso tentar non nuoce: se l’errore è palese, l’Agenzia a volte riconosce e annulla o rettifica l’atto prima di finire in giudizio. Più spesso l’autotutela viene ignorata, ma la sua presentazione può comunque essere utile per documentare la buona fede e l’atteggiamento collaborativo del contribuente.
4. Impugnare l’avviso in Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria). Se non si trova un accordo soddisfacente e l’atto risulta infondato o eccessivo, è necessario procedere con il ricorso tributario entro 60 giorni dalla notifica (estesi di ulteriori 90 giorni se è stata presentata prima istanza di adesione che non si conclude) . Il ricorso va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione dal 2023 delle Commissioni Tributarie Provinciali) competente per territorio. Nel ricorso il socio può far valere tutti i motivi di illegittimità dell’atto, sia di forma che di sostanza. È opportuno articolare più motivi alternativi o subordinati. Vediamo i principali argomenti difensivi possibili:
- Vizi formali e procedurali: verificare sempre se l’avviso di accertamento è motivato correttamente e se sono stati allegati tutti gli atti richiamati. L’art. 7 dello Statuto del Contribuente e l’art. 42 DPR 600/73 impongono che, se l’atto fa riferimento a un altro atto (es. il PVC o l’avviso alla società), questo debba essere allegato o riprodotto nel contenuto essenziale . La Cassazione ha annullato avvisi ai soci quando mancava l’allegazione dell’atto presupposto non conosciuto dal contribuente . Dunque, se all’avviso al socio non è stato allegato (né riprodotto adeguatamente) l’avviso di accertamento della società, si può eccepire la nullità per difetto di motivazione. Altri vizi da cercare: notifica irregolare; mancata indicazione del responsabile del procedimento; omessa indicazione degli esiti del contraddittorio se c’era PVC; eventuale carenza di firma del dirigente legittimato, ecc. Anche l’errore sul soggetto passivo è rilevante: ad es., se l’avviso è intestato a un socio che in quell’anno non era più nella compagine, o con una percentuale diversa, questo va contestato (l’utile occulto va imputato solo a chi era socio nell’anno di produzione – Cass. 30598/2024 ha confermato che gli utili vanno attribuiti a chi è socio al 31/12 di quell’anno ). Un’ulteriore eccezione formale che talvolta si pone è la mancata attesa di 60 giorni dopo il PVC: se non c’era urgenza, l’ufficio deve aspettare 60 giorni prima di emettere l’atto, pena nullità (art. 12 c.7 L.212/2000). Nel caso di utili occulti spesso non c’è particolare urgenza, quindi verificare la data del PVC e dell’avviso.
- Eccezione di “doppia presunzione”: argomentare che l’Agenzia basa la tassazione dei soci su una concatenazione di presunzioni (utile extra presunto e distribuzione presunta) in violazione dell’art. 2729 c.c. Il fatto noto utilizzato non può essere l’utile occulto stesso (che è presunto) – come chiarito da Cass. 5925/2015 . Occorre insistere che, nel caso specifico, manca un fatto noto certo e indipendente che supporti la presunzione di attribuzione ai soci. Se, ad esempio, la ristretta base sociale è l’unico indizio addotto, si può sostenere che sia un elemento insufficiente e che l’Ufficio stia illegittimamente deducendo una presunzione (utili ai soci) da un’altra presunzione (utili occulti societari). Questo motivo mira a far dichiarare nulla la presunzione applicata perché priva di fondamento logico-legale .
- Mancanza di “prova rafforzata” da parte del Fisco: collegato al precedente, si può eccepire che l’Ufficio non ha fornito alcun elemento grave, preciso e concordante ulteriore rispetto alla mera esistenza di utili non dichiarati . Si può citare giurisprudenza di merito (sentenze CTR) che affermano come servano indizi ulteriori (ad es. spese dei soci non giustificate, movimentazioni finanziarie anomale) per giustificare la distribuzione. Se nell’avviso al socio non sono indicati concrete circostanze che provino la percezione (se non la percentuale di possesso azionario), si può sostenere che la motivazione è carente e la presunzione “non ha gambe”. Esempio di formula: “L’Agenzia si è limitata ad affermare che la società ha pochi soci e ha occultato utili, senza tuttavia indicare alcun riscontro concreto di effettiva attribuzione di utili ai ricorrenti (come movimenti bancari personali, incrementi patrimoniali, ecc.). Pertanto manca la gravità, precisione e concordanza degli indizi richiesta dall’art. 2729 c.c., rendendo l’atto impositivo illegittimo.”. Questo argomento punta a convincere il giudice che l’Amministrazione ha agito in modo troppo automatico, violando il principio che le presunzioni semplici devono avere un minimo di supporto probatorio . Si può rafforzare il punto citando la nuova formulazione dell’art. 7 c.5-bis D.Lgs. 546/92 (introdotto nel 2022), che pone a carico dell’ente impositore l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate; anche se la Cassazione ha detto che ciò non abroga le presunzioni legali preesistenti, il giudice potrebbe comunque ritenerla un’ulteriore indicazione del legislatore verso la necessità di prove concrete .
- Difetto di effettiva percezione – estraneità del socio: il socio può allegare di non aver mai ricevuto alcuna somma degli utili extracontabili e fornire prove negative (es. estratti conto bancari personali che non mostrano accrediti sospetti, dichiarazioni dei redditi dove non compaiono redditi extra, ecc.). Se il socio aveva un ruolo marginale, evidenziarlo: “socio non amministratore, nessun potere di firma, residente all’estero per gran parte dell’anno, ecc.”. Questo va inquadrato come prova contraria che esclude la percezione. Nel ricorso, conviene citare le pronunce recenti che ammettono l’estraneità quale prova liberatoria (es. Cass. 2464/2025) . Ad esempio: “Si richiama Cass. 2464/2025, che ha riconosciuto come il socio possa vincere la presunzione dimostrando la propria totale estraneità alla gestione: nel caso di specie il ricorrente rivestiva la sola qualifica di socio di capitale, senza alcun ruolo amministrativo o operativo, come da visura camerale e verbali assembleari prodotti, risultando dunque inverosimile una sua partecipazione a utili occulti.”. Se nella stessa società vi sono più soci, e solo alcuni sono attivi, si può provare a ottenere l’esclusione almeno per i soci realmente inattivi (sulla scia del concetto di “socio tiranno” – solo chi controlla deve rispondere). In concreto, questo motivo mira a ottenere l’annullamento dell’avviso per quei soci che dimostrano di non aver avuto nulla a che fare con la gestione societaria e quindi di non poter aver percepito utili (o al minimo, a ottenere l’esclusione della loro quota).
- Errore nel calcolo o duplicazione d’imposta: esaminare attentamente come è stato calcolato l’importo attribuito al socio. Ad esempio, se l’utile occulto accertato alla società era €100.000 e al socio al 50% è stato imputato €50.000, verificare che l’Agenzia non abbia anche applicato erroneamente un’ulteriore tassazione sulla società per distribuzione di utili (talvolta notificano atti per ritenute non operate). Oppure, se il socio aveva già versato imposte su quei redditi in altra forma (casi particolari), farlo presente. In generale, argomentare che la pretesa comporta una duplicazione d’imposta (socio e società tassati sul medesimo reddito) senza base legale, violando il principio di capacità contributiva. Anche se la giurisprudenza consente questa doppia imposizione, evidenziare la iniquità del risultato può sensibilizzare il giudice a un’interpretazione restrittiva della presunzione. Inoltre, se vi sono errori aritmetici o travisamenti (es.: percentuale quota sbagliata, anno errato, importi discordanti), inserirli come motivi aggiuntivi di annullamento.
- Violazione del diritto di difesa (contraddittorio): se l’accertamento è scaturito da verifiche senza contraddittorio o l’ufficio non ha dato modo al socio di replicare alle risultanze, si può lamentare la violazione dei principi di leale collaborazione ex art. 10 L.212/2000 e del contraddittorio endoprocedimentale . Ad esempio: “L’Ufficio ha notificato direttamente l’avviso al socio senza mai convocarlo prima, né comunicargli i motivi ostativi, impedendogli di far valere preventivamente le proprie ragioni, in violazione dei principi espressi dallo Statuto del Contribuente e dalla giurisprudenza UE sul contraddittorio”. Anche se non sempre tale eccezione porta all’annullamento, è utile a completare il quadro difensivo.
Una volta presentato il ricorso, si può chiedere la sospensione dell’atto se l’importo richiesto è elevato e si rischia la riscossione durante il processo. Infatti gli avvisi di accertamento oggi sono esecutivi: trascorsi 60 giorni, l’Agenzia può già iscrivere a ruolo un terzo delle imposte accertate, anche se pende ricorso . Il contribuente dunque dovrebbe pagare quella parte a meno che la Corte Tributaria conceda la sospensiva. Quindi, contestualmente al ricorso, si dovrebbe presentare un’istanza motivata di sospensione, evidenziando sia il fumus boni iuris (i motivi di ricorso paiono fondati, es. atto palesemente viziato) sia il periculum in mora (pagare subito arrecherebbe un danno grave, es. rischio fallimento, rovina economica) . Nella prassi, le Corti spesso concedono la sospensione in casi di importi notevoli e motivi seri. Ottenuta la sospensione, la riscossione è congelata fino alla sentenza di primo grado.
Durante il giudizio di primo grado, è possibile depositare memorie aggiuntive e documenti (entro i termini di legge) per rafforzare la difesa. È bene sfruttare questa opportunità, ad esempio producendo eventuali testimonianze scritte (dichiarazioni sostitutive di atto notorio di terzi, dato che nel processo tributario la testimonianza orale non è ammessa) che confermino la non distribuzione degli utili, perizie di parte sul bilancio, ecc.
Se il giudizio di primo grado è sfavorevole, si può appellare in Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR). In appello si possono riproporre i motivi e aggiungerne di nuovi sopravvenuti. Spesso la battaglia continua lì. Infine, dopo l’appello, rimane la Corte di Cassazione per motivi di diritto. In Cassazione ci si potrà focalizzare sull’eventuale contrasto giurisprudenziale o errore di diritto commesso dai giudici di merito (ad es. errata interpretazione di una norma o mancato esame di prove decisive). Ad esempio, se la CTR ignorasse del tutto la pronuncia Cass. 2464/2025 sull’estraneità del socio, in sede di legittimità si potrebbe censurare tale omissione.
5. Regolarizzare (in parte) la posizione fiscale: in parallelo alle contestazioni, un socio può valutare se regolarizzare spontaneamente alcuni aspetti per mitigare le conseguenze. Ad esempio, potrebbe presentare una dichiarazione integrativa per includere quei redditi e beneficiare del ravvedimento operoso su sanzioni (anche se dopo notifica dell’accertamento il ravvedimento non è più utilizzabile per evitare l’atto, può tuttavia servire a ridurre sanzioni penali). Oppure, se c’è il rischio penale, potrebbe versare il dovuto prima della sentenza per evitare la condanna (il pagamento integrale del debito tributario estingue il reato di infedele dichiarazione, ex art. 13 D.Lgs.74/2000, se fatto prima del giudizio penale). In ambito strettamente tributario, vanno tenute d’occhio eventuali definizioni agevolate offerte dal legislatore (come “rottamazioni” delle cartelle, conciliazioni agevolate in appello, etc.), che potrebbero presentarsi durante il contenzioso e offrire una via di uscita con sconti su sanzioni e interessi.
In conclusione, la linea difensiva va personalizzata sul caso concreto combinando più argomenti: errori formali, carenze di prova dell’Ufficio, prova contraria del socio, questioni procedurali. È opportuno supportare il tutto con riferimenti puntuali a norme (es. artt. 7 e 12 Statuto, art. 2729 c.c.) e alle più recenti sentenze di Cassazione favorevoli (che vanno citate testualmente ove possibile) . Una difesa ben articolata e documentata ha buone possibilità di convincere almeno il giudice di primo grado, posto che la materia – come abbiamo visto – presenta margini interpretativi e orientamenti in evoluzione.
Domande e risposte (FAQ)
Di seguito affrontiamo alcuni quesiti frequenti, sotto forma di domanda e risposta, per chiarire i principali dubbi dal punto di vista del socio contribuente.
- Domanda: Che cosa si intende per “distribuzione occulta di utili” a soci di S.r.l.?
Risposta: Si tratta della presunzione fiscale in base alla quale, se una società di capitali a base ristretta realizza utili non dichiarati (in nero), tali utili si considerano automaticamente attribuiti ai soci come reddito di capitale. In pratica, il Fisco assume che i soci si siano spartiti quei profitti extra senza dichiararli. È una costruzione giurisprudenziale basata sull’art. 2729 c.c. e sulla “massima d’esperienza” che pochi soci di una S.r.l. tendono a dividere tra loro i guadagni occulti . Non vi è una norma specifica di legge che lo preveda, ma la Cassazione la considera una presunzione semplice (praesumptio hominis) legittima, salvo prova contraria del contribuente. - Domanda: Quando si applica concretamente questa presunzione?
Risposta: Nei casi in cui una verifica fiscale accerta maggiori utili non dichiarati in una società di capitali con pochi soci. Ad esempio, se da un controllo emerge che Alfa Srl (2 soci) ha nascosto ricavi per €50.000, l’Agenzia emetterà un avviso di accertamento alla società per le imposte evase su quei €50.000 e, contestualmente, avvisi ai due soci imputando loro un dividendo occulto 50%-50% . La presunzione si applica dunque alle società “a ristretta base proprietaria” (pochi soci spesso legati) e non alle società con molti soci o alle società di persone. Infatti, nelle società di persone non c’è bisogno di presumere nulla perché il reddito è già per legge imputato ai soci (trasparenza art.5 TUIR) . Invece, nelle società con azionariato diffuso (p.e. S.p.A. quotate o con decine di soci) la presunzione di norma non opera, perché manca quel vincolo di complicità necessario . - Domanda: È possibile per il socio evitare la tassazione dimostrando che in realtà non ha ricevuto nulla?
Risposta: Sì, la legge consente al socio di fornire prova contraria. In particolare, il socio può difendersi provando che i maggiori utili contestati non sono stati affatto distribuiti, ma ad esempio accantonati o reinvestiti dalla società . Se riesce a dimostrarlo con documenti (bilanci, fatture di acquisto di beni aziendali con quei fondi, movimenti finanziari rimasti su conti sociali, verbali societari che destinano gli utili a riserva, ecc.), il giudice tributario può annullare l’avviso al socio proprio perché cade la base della presunzione. Un’altra linea di difesa ammessa è dimostrare che quei ricavi extra in realtà non esistono o sono inferiori: ad esempio, se l’accertamento alla società era infondato o gonfiato, il socio può giovarsi dell’esito favorevole alla società (se la società vince il ricorso, anche l’avviso al socio verrà meno). Infine, come emerso in recenti sentenze, il socio può provare la propria estraneità totale alla gestione: se realmente non partecipava agli affari sociali, era all’oscuro di tutto e non ha beneficiato di utili (ad es. socio solo di nome), ciò può bastare a fargli avere ragione . Naturalmente, queste affermazioni vanno dimostrate con prove concrete; altrimenti resterebbero mere dichiarazioni di parte. - Domanda: Cosa si intende per “estraneità alla gestione” come prova liberatoria?
Risposta: Significa che il socio può difendersi provando di non aver avuto alcun ruolo attivo nell’azienda e di non aver potuto influire né conoscere gli utili in nero. Ad esempio, un socio che era puramente finanziatore, senza cariche amministrative, che magari vive lontano e non seguiva la società operativamente, può portare elementi (corrispondenza, deleghe a terzi, mancanza di sue firme sui documenti aziendali) per dimostrare che anche se la società ha evaso, lui non ne sapeva nulla e non ha ricevuto niente. La Cassazione nel 2025 ha riconosciuto esplicitamente questa possibilità: l’ordinanza n. 2464/2025 ha stabilito che il socio può vincere la presunzione provando la sua assoluta estraneità alla gestione . Tuttavia attenzione: in altre sentenze (es. Cass. 21158/2024) si è detto che l’estraneità da sola non basta, se non accompagnata dalla prova che i ricavi extra non siano stati distribuiti . Quindi, per massima prudenza, è bene che il socio inattivo provi sia la sua estraneità sia che i soldi sono rimasti in azienda. Se ci riesce, l’accertamento nei suoi confronti dovrebbe essere annullato. - Domanda: Come può un socio provare che gli utili occulti sono rimasti nella società?
Risposta: Ad esempio mostrando che con quei fondi sono stati acquistati beni aziendali. Se l’azienda ha reinvestito gli utili in nero per comprare macchinari, immobili intestati alla società, scorte, o per coprire perdite pregresse, questi fatti possono essere documentati (fatture d’acquisto, contratti, movimentazione di cassa) e dimostrano che nessuna somma è “uscita” verso i soci. Un altro modo è mostrare che l’utile occulto è ancora nelle casse sociali, ad esempio come liquidità non dichiarata: se il Fisco trova €100k di nero e il socio riesce a dimostrare che quei €100k sono ancora nella disponibilità aziendale (magari depositati su un conto estero intestato alla società, o tenuti in una cassetta di sicurezza sociale, ecc.), allora non c’è stata distribuzione ai soci. In pratica si deve tracciare la destinazione dei soldi: se sono rimasti nell’alveo societario, non c’è motivo di tassarli come reddito personale dei soci. Questa è un’ottima difesa perché va dritta al punto (nessun arricchimento del socio). Il problema è che spesso i soldi in nero hanno vie opache, quindi serve un forte sforzo probatorio. - Domanda: La presunzione si applica anche se i soci della S.r.l. sono essi stessi altre società?
Risposta: Sì, la Cassazione ha esteso la presunzione anche a soci “persone giuridiche”. Ad esempio, se una S.r.l. ha due soci che sono a loro volta due S.r.l., e tutte fanno capo allo stesso gruppo familiare, siamo sempre in una “base ristretta” (poche società riconducibili a un medesimo gruppo). La Corte ha chiarito che lo “schermo” della personalità giuridica non neutralizza la presunzione : conta la realtà sostanziale dei rapporti. In tal caso la tassazione avverrà in capo ai soci società: concretamente, per i soci società di capitali i dividendi occulti ricevuti confluiranno nei loro redditi imponibili (con le regole proprie, ad es. se la società socia è soggetta IRES potrebbe reclamare la partecipation exemption al 95% solo se dimostra che quegli utili sono stati tassati a monte, il che nei casi di occultamento non è, quindi si tassano quasi per intero). Inoltre, viene contestata alla società partecipata l’omessa applicazione di ritenuta del 26% su dividendi verso soci (se dovuta). Insomma, la catena societaria non salva: la presunzione sale di livello fino ai soci ultimi (persone fisiche) del gruppo. Dunque, anche in strutture interposte la difesa resta la stessa: dimostrare che i fondi non sono usciti a beneficio personale di qualcuno. - Domanda: La presunzione si applica alle società di persone o alle ditte individuali?
Risposta: No, in quei casi non ce n’è bisogno. Nelle società di persone (snc, sas) vige la trasparenza fiscale per cui tutti i redditi (anche quelli occulti) sono automaticamente imputati ai soci per legge . Quindi non c’è una “doppia imposizione”: se Beta SNC nasconde utili, l’accertamento fiscale rettificherà il reddito della società e i soci pagheranno le imposte sui redditi societari come da art.5 TUIR – ma questo avviene comunque, anche senza presunzioni. Pertanto l’Agenzia non emette avvisi separati ai soci per utili occulti di società di persone, perché sarebbe una duplicazione. Allo stesso modo, nelle ditte individuali (imprenditori individuali) non ci sono soci, quindi non si pone il tema: l’utile occulto viene imputato alla stessa persona fisica titolare e tassato come suo reddito d’impresa. In definitiva la presunzione di distribuzione riguarda solo società a fiscalità separata (Srl, Spa) a compagine ristretta . - Domanda: Cosa succede se un socio cede le quote o esce dalla società prima che gli utili vengano accertati?
Risposta: Se il socio non era presente nell’anno oggetto di accertamento, non può essergli imputato alcun utile di quell’anno. Ad esempio: Tizio cede le sue quote nel 2020 ed esce dalla Srl; poi viene accertato un utile occulto sul 2021 – Tizio non può essere tassato perché nel 2021 non era più socio. Viceversa Caio, che ha comprato le quote da Tizio nel 2020 ed è socio nel 2021, potrà essere chiamato in causa per la quota di utili 2021, anche se non era socio nell’anno in cui quei utili si sono formati (questo dettaglio è discusso: di norma si imputa a chi era socio al 31/12 di quell’esercizio ). In pratica l’Agenzia guarda la compagine dell’anno accertato. Se ci sono stati passaggi infrannuali, spesso presume comunque che chi era socio a fine anno abbia beneficiato pro-quota di tutto l’utile occulto dell’anno (cosa contestabile, ma è il loro approccio). È importante in ricorso far presente eventuali errori temporali: se all’atto risulta tassato un socio per un periodo in cui non aveva quote, si chiede l’annullamento parziale. All’opposto, attenzione: se la società viene cancellata dal registro imprese, gli accertamenti possono comunque essere notificati ai soci entro 5 anni (art. 28 c.4 D.Lgs. 175/2014) e i soci rispondono dei debiti tributari sociali entro il limite di quanto ricevuto in sede di liquidazione . Quindi uscire dalla società o chiuderla non mette al riparo: il Fisco seguirà i soci post liquidazione almeno entro certi limiti. - Domanda: Un’accusa penale per infedele dichiarazione (utili occulti non dichiarati) viene automaticamente meno se il contribuente vince il ricorso tributario?
Risposta: Non automaticamente. Il giudizio penale è autonomo da quello tributario: un’assoluzione penale perché “il fatto non costituisce reato” o per insufficienza di prove non equivale a dire che non ci sia obbligo di pagare le imposte. Può capitare che un contribuente venga assolto in sede penale (perché la prova “oltre ogni ragionevole dubbio” non c’è) ma debba comunque pagare in sede tributaria dove vige la regola della prevalenza delle presunzioni . La Cassazione ha chiarito che le presunzioni tributarie, pur non bastando magari per condannare penalmente, possono essere sufficienti per legittimare l’accertamento fiscale . Dunque, se vinci il ricorso tributario (atto annullato) è molto probabile che anche il penale venga meno per assenza di debito, ma non è detto viceversa. Attenzione però: se in sede penale si accerta con sentenza definitiva che non vi fu alcun ricavo occulto (fatto insussistente), quel giudicato potrebbe essere usato nel tributario per chiedere la cessazione della materia del contendere; ma sono casi rari e complessi. In sintesi: meglio non fare affidamento sull’automatismo tra i due giudizi. - Domanda: Se la società ha già pagato le imposte sugli utili extrabilancio accertati, perché devo pagarle di nuovo io come socio?
Risposta: Questa è proprio la criticità della doppia imposizione: formalmente, società e socio sono due soggetti diversi, ognuno con la sua obbligazione tributaria. La società paga IRES sull’utile occulto recuperato, e i soci pagano IRPEF sui dividendi occulti: sono due tributi diversi, anche se afferenti alla stessa ricchezza prodotta. Non c’è nel nostro ordinamento un divieto esplicito di questa “doppia tassazione economica”. Il risultato può apparire ingiusto (e infatti lo è sostanzialmente, specie se l’utile non è mai uscito davvero), ma per la Cassazione è una conseguenza della scelta dei soci di operare tramite società di capitali: se evadono a livello societario, poi scontano le conseguenze anche a livello personale. Ovviamente il socio può far presente questa iniquità al giudice per spingerlo a un’interpretazione restrittiva, ma in diritto non è un vero motivo di nullità. La via più pragmatica è cercare semmai di evitare la doppia imposizione in sede di adesione: come detto, talvolta l’Agenzia accetta, nell’ambito di un accordo, di far pagare tutto alla società e lasciar stare i soci, proprio per evitare un cumulo esagerato. In giudizio, però, ottenere ciò non è garantito. - Domanda: In caso di accertamento di utili occulti, devo aspettarmi conseguenze anche come amministratore della società?
Risposta: Dipende. Sul piano amministrativo-fiscale, l’accertamento colpisce la società (maggiori imposte e sanzioni a carico dell’ente) e i soci (tassazione dividendi occulti). L’amministratore in quanto tale non è destinatario di atti impositivi, a meno che sia anche socio. Tuttavia, se le somme occultate sono state distratte, l’Agenzia potrebbe contestare all’amministratore una responsabilità solidale nelle sanzioni (in casi di dolo grave, art. 11 D.Lgs. 472/97) o addirittura promuovere un’azione di responsabilità per danno erariale in casi estremi. Inoltre, se c’è un reato tributario, l’amministratore (legale rappresentante) ne risponde penalmente in prima persona. Quindi il legale rappresentante deve preoccuparsi del penale più che del tributario (salvo sia anch’egli socio). In alcuni contesti, l’amministratore può anche essere destinatario di ingiunzioni di pagamento se la società non paga, ma sono ipotesi legate a ruoli di garante o coobbligato che esulano dal caso standard. - Domanda: Quali sono le sentenze più recenti da citare a mio favore in un caso del genere?
Risposta: Nel 2024-2025 sono uscite varie pronunce importanti. In particolare: Cass. 2464/2025 (presunzione superabile con prova di estraneità del socio) ; Cass. 2288/2025 (conferma di quanto sopra, orientamento più favorevole ai contribuenti) ; Cass. 15274/2025 (ha ribadito la legittimità della presunzione anche con soci che sono società, no doppia presunzione) – questa è stata molto citata anche da Fiscooggi, organo dell’Agenzia . Altre utili: Cass. 19272/2024, Cass. 24621/2024 (ribadiscono la presunzione ma sempre salva prova contraria del socio) . E ancora Cass. 32451/2022 (soci tiranni, utile per soci minoritari che vogliono distinguere la loro posizione) . Consiglio di citare anche Cass. 5925/2015 riguardo al divieto di doppia presunzione . Infine, se pertinente, Cass. pen. 41579/2023 sul reato di dichiarazione infedele del socio occulto (utile se si vuole far notare al giudice tributario la gravità di considerare “pienamente” quei redditi in capo al socio). Ovviamente, vanno scelte in base ai punti di difesa: se sostieni la mancanza di indizi, cita quelle che parlano di prova rafforzata; se sostieni l’estraneità, cita Cass. 2464/2025; se parli di doppia presunzione, cita Cass. 5925/2015, ecc. Nella tabella 3 più avanti troverai un riepilogo di molte di queste sentenze e del loro contenuto. - Domanda: Conviene pagare subito quanto richiesto per evitare guai peggiori?
Risposta: Pagare subito significa rinunciare al ricorso (o pagare e poi ricorrere per rimborso, strada poco battuta). Se pensi che l’accertamento sia fondato e vuoi usufruire di sconti sanzioni, puoi valutare la definizione agevolata dell’atto (in acquiescenza, pagando entro 60 gg con riduzione sanzioni ad 1/3) o un’adesione. Questo però comporta accettare la ripresa fiscale. Se invece ritieni di avere buone possibilità di vittoria, è meglio non pagare e impugnare, magari chiedendo la sospensiva per non versare nelle more. Attenzione: pagare dopo 60 giorni non evita comunque sanzioni penali se i limiti sono superati (occorre il pagamento integrale per estinguere il reato, ma va fatto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento). In sintesi, valuta col tuo avvocato: se la documentazione a tuo favore è scarsa e rischi di perdere, forse una negoziazione (adesione) riducendo i danni è opzione sensata. Se invece hai elementi solidi, combatti. - Domanda: Cosa rischio in concreto se perdo il ricorso?
Risposta: Se la vicenda va male, dovrai pagare l’imposta aggiuntiva sui dividendi occulti (aliquota 26% o aliquota marginale IRPEF, a seconda dei casi, sull’importo presunto) più interessi (circa 3-4% annuo semplice) e sanzioni (in genere 90% dell’imposta, ridotte a 1/3 se definisci). Ad esempio, su €50.000 di utili occulti potresti avere ~€13.000 di imposta, + €11.700 di sanzione (90%), + interessi. Inoltre, se hai fatto ricorso e perso, potresti dover pagare le spese di giudizio. Se c’è un processo penale collegato, una sentenza definitiva tributaria sfavorevole di solito rafforza l’accusa in sede penale (prova che hai evaso). In termini di tempi, se arrivi in Cassazione potresti tirare avanti qualche anno, ma con il rischio di accumulare anche oneri di riscossione (fermo restando le percentuali esecutive già esigibili durante il processo). Quindi lo scenario peggiore è: paghi tutto, magari a rate se ottieni dilazione, e in più affronti le conseguenze penali (multa, condanna sospesa o patteggiamento con obbligo pagamento). Sono situazioni gestibili, ma ovviamente da evitare se possibile vincendo almeno parzialmente.
Tabelle riepilogative
Tabella 1 – Soggetti e regime di tassazione degli utili non distribuiti
Soggetto | Applicabilità presunzione utili occulti | Riferimenti normativi | Osservazioni |
---|---|---|---|
Persona fisica (ditta individuale) | Non applicabile | IRPEF (TUIR Titolo I) | Non ci sono soci: l’utile occulto è tassato direttamente come reddito d’impresa del titolare. |
Società di persone (snc, sas) | Non applicabile (trasparenza) | Art. 5 TUIR (trasparenza fiscale) | I redditi societari, anche occulti, sono già imputati per legge ai soci. Niente doppia tassazione nè presunzione aggiuntiva. |
Società di capitali – base non ristretta | Non applicabile (o molto debole) | Art. 44 e 47 TUIR; art. 2729 c.c. | Con molti soci estranei tra loro (es. società diffusa), manca il vincolo di complicità: difficile presumere distribuzioni occulte. Eventuali utili extra restano in capo alla società (tassati solo IRES). |
Società di capitali – base ristretta | Applicabile (salvo prova contraria) | Art. 47 co.4 DPR 600/73 (in analogia); Art. 2729 c.c. | Numerose Cassazioni confermano la presunzione se pochi soci legati da vincoli. Il socio può però fornire prova contraria (no distribuzione o estraneità). |
Società unipersonale (socio unico) | Tecnicamente non automatica | Art. 47 DPR 600/73; opz. trasparenza ex art.116 TUIR | Caso particolare: se socio unico persona fisica, di fatto l’utile occulto confluisce comunque nella sua sfera (la società può optare per trasparenza). In pratica il socio unico paga le imposte su tutti i redditi sociali comunque. |
Nota: nelle società unipersonali di capitali, pur non essendovi una “distribuzione tra soci” (c’è un solo socio), l’Agenzia tende comunque a tassare l’unico socio sui maggiori utili come dividendi occulti. Quindi, pur mancando una pluralità di persone, il meccanismo si applica (con l’ovvia particolarità che il 100% dell’utile occulto è attribuito a lui).
Tabella 2 – Indizi utilizzati dall’Amministrazione vs possibili controdeduzioni del contribuente
Indizi addotti dall’Agenzia | Possibili linee di difesa del socio |
---|---|
Base societaria ristretta (pochi soci, spesso familiari). | Provare l’assenza di collusione: ad es. esistenza di altri soggetti estranei nella gestione (amministratori indipendenti, soci di minoranza non coinvolti), dimostrare che i rapporti tra soci non implicano automaticamente complicità (es. soci in conflitto tra loro). |
Operazioni “in nero” accertate (ricavi non dichiarati, costi fittizi). | Contestare nel merito l’esistenza degli utili extra: provare che le transazioni contestate erano in realtà reali e contabilmente corrette (esibire documenti che smentiscono le fatture false) , oppure che i ricavi “occulti” sono stati sovrastimati. Ridimensionare l’accertamento societario riduce o elimina la base per i dividendi presunti. |
Spese personali poste a carico della società (auto, viaggi, ecc.). | Dimostrare che non erano spese personali ma spese aziendali legittime: es. l’auto di lusso era strumentale all’attività (autonoleggio, rappresentanza), i viaggi erano per lavoro (presentare relazioni, agenda appuntamenti) . Oppure provare che il socio ha rimborsato quelle spese alla società (esibire bonifici di rimborso). |
Prelievi anomali di denaro dai conti aziendali. | Fornire giustificazioni documentali per quei prelievi : ad es. erano finanziamenti a terzi, restituzione di capitali, anticipazioni per investimenti aziendali, pagamento dividendi dichiarati di esercizi precedenti, ecc. Se c’è tracciabilità, mostrarla. |
Incrementi di patrimonio dei soci coincidenti con utili extra accertati. | Dimostrare che quegli incrementi patrimoniali hanno origini diverse : ad es. il socio ha comprato casa con un mutuo (presentare contratto di mutuo), oppure con soldi derivanti da vendita di altri beni, o da un’eredità. In sostanza scollegare l’aumento di ricchezza personale dalle vicende della società. |
Socio presente nella gestione (amministratore, deleghe operative). | Evidenziare che, nonostante la carica, il socio non ha ricevuto utili personali: ad es. mostrare che l’attività era svolta con regole ferree (verbali assembleari che destinano tutti gli utili a riserva, clausole statutarie di dividend lock-up, ecc.) e che il socio-amministratore percepiva solo il compenso dichiarato. Inoltre provare che le eventuali decisioni sugli utili spettavano ad altri organi o che c’erano controlli esterni (collegio sindacale, soci terzi) che rendono improbabile appropriazioni occulte. |
Necessità apparente di utili ulteriori (redditività anomala della società). | Far redigere una perizia contabile o esibire analisi di bilancio che dimostrino che i margini e risultati della società, seppur bassi, sono giustificati da ragioni oggettive (settore in crisi, investimenti effettuati, politiche di prezzo aggressive, etc.). Ciò per confutare l’assunto che ci dovessero essere per forza utili non dichiarati. |
Nota: le difese sopra elencate sono esempi generici. In ogni caso, per vincere la presunzione il socio deve fornire prove solide e specifiche che contrastino gli indizi del Fisco (documenti contabili, perizie, testimonianze, ecc.). Se tali prove risultano convincenti e coerenti, il giudice tributario può ritenere superata la presunzione e annullare l’avviso .
Tabella 3 – Norme e giurisprudenza principali citate
Riferimento | Contenuto (sintesi) |
---|---|
DPR 600/1973, art. 47 co.4 | Previsto (in combinato col TUIR art.47) che gli utili non formalmente distribuiti possano essere imputati ai soci come redditi di capitale . Base legale (analogica) per tassare i soci su utili extracontabili. |
TUIR art. 5 (società di persone) | Regime di trasparenza fiscale: i redditi delle società di persone sono imputati pro quota ai soci indipendentemente da distribuzione . Esclude la presunzione nelle società di persone (già tassati i soci). |
TUIR art. 44, 47, 89 | Definizione di utili da partecipazione come redditi di capitale (art.44). Art.47: regime di tassazione dei dividendi (periodo di imputazione, utili in natura, ecc.). Art.89: imponibilità delle riserve di utili e dividendi per società. In caso di utili occulti, si applicano integralmente le imposte sia societarie che sui soci, senza esenzioni. |
Art. 27 DPR 600/1973 | Prevede le ritenute alla fonte sui dividendi distribuiti (attualmente 26%). Nei dividendi occulti ai soci, l’ufficio contesta spesso anche l’omessa ritenuta a carico della società. |
Codice Civ. artt. 2433 e ss. | Norme civilistiche sulla distribuzione utili: delibera assembleare necessaria, utili distribuibili solo se bilancio con utile e riserve sufficienti, ecc. La distribuzione occulta viola queste norme (illecita civilmente), ma rileva qui solo come circostanza di fatto (mancata delibera = indizio di occultamento). |
Codice Civ. art. 2729 (Presunzioni semplici) | Richiede indizi gravi, precisi e concordanti per dedurre un fatto ignoto . Base normativa per contestare presunzioni fiscali deboli. La giurisprudenza sulla distribuzione occulta ne afferma la compatibilità perché il fatto noto utilizzato è la base ristretta e il vincolo tra soci, non l’utile stesso . |
Cass. Sez. Trib., ord. 02/02/2025 n. 2464 | Principio: Il socio può vincere la presunzione di utili occulti dimostrando la propria assoluta estraneità alla gestione . (Orientamento innovativo, pro-contribuente). |
Cass. 31/01/2025 n. 2288 | Conferma l’orientamento di Cass. 2464/2025 sul valore dell’estraneità del socio . Ribadisce onere del socio di provare non distribuzione o non partecipazione. |
Cass. 09/05/2025 n. 12288 (== 2288?) | Ordinanza (data 9 maggio 2025) che sottolinea come all’Ufficio basti provare la base ristretta, e onere del socio provare che i ricavi non furono distribuiti ma accantonati/reinvestiti o che egli ne era estraneo . Mantiene un approccio rigido pro-Fisco. |
Cass. 12/07/2024 n. 19272 | Conferma la presunzione di distribuzione nelle società a ristretta base e ribadisce l’onere della prova in capo al socio (prova contraria) . |
Cass. 13/09/2024 n. 24621 (e 24688) | Sentenze gemelle 2024 che ribadiscono il principio: in presenza di pochi soci c’è presunzione di utili extracontabili distribuiti, salvo prova contraria del contribuente . |
Cass. 3/11/2022 n. 32451 | Introduce la figura del “socio tiranno”: se uno o pochi soci esercitano di fatto il controllo, la presunzione può riguardare solo loro e non eventuali altri soci puri investitori . Orientamento a tutela dei soci minoritari non coinvolti. |
Cass. 29/07/2016 n. 15824 <br> Cass. 17/10/2005 n. 20078 | Sviluppano il concetto di vincolo di parentela/familiare e solidarietà di interessi nelle società a base ristretta: la stretta parentela tra soci è considerata indizio forte di condivisione degli utili in nero . |
Cass. 02/03/2015 n. 5925 | Principio sul divieto di doppia presunzione: chiarisce che il fatto noto deve essere la compagine ristretta, non l’utile occulto stesso . Vieta di dedurre una presunzione (utile ai soci) da un’altra presunzione (utile non dichiarato) se non c’è un fatto noto indipendente. Spesso citata nelle difese. |
CTR Campania (Caserta) 27/03/2024 n. 3374 | Esempio di pronuncia di merito: ha annullato un avviso ai soci ritenendo che la presunzione non sia automatica e che l’Ufficio debba fornire una prova rafforzata dell’effettiva distribuzione . Mostra apertura dei giudici di merito a tesi più garantiste. |
Cass. Pen. 02/11/2023 n. 41579 | Ambito penale: il socio occulto che non dichiara utili extracontabili (attribuiti in base alla presunzione) commette reato di dichiarazione infedele , se supera le soglie. Evidenzia intersezione tra presunzione fiscale e responsabilità penale personale del socio. |
Cass. 22/04/2009 n. 9519 <br> Cass. 19/07/2012 n. 12576 | Vecchie pronunce che costituiscono i precedenti cardine: affermano che il vincolo di solidarietà e reciproco controllo tra pochi soci è il fondamento della presunzione . Consolidano la prassi a favore del Fisco (onere al socio di provare contrario). |
Circolari di prassi (GdF n.1/2018, etc.) | La Guardia di Finanza nel proprio manuale operativo 2018 sottolinea di usare con cautela le presunzioni fiscali: non sono di per sé prova piena in sede penale, ma costituiscono indizi utilizzabili . Indica di cercare sempre riscontri concreti a supporto. L’Agenzia Entrate (circolari varie) pure invita a considerare il contesto complessivo prima di applicare l’automatismo sui soci. |
Esempi di casi pratici (Italia)
Vediamo ora tre casi pratici ipotetici che illustrano l’applicazione di questi principi e le possibili difese:
- Caso 1 – Società di capitali a due soci (coniuge e marito): La Alfa S.r.l. ha due soci al 50% (marito e moglie). Nel 2022 la società occulta ricavi per €100.000, non risultanti in contabilità. A seguito di verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate accerta un utile extracontabile di €100.000 e notifica un avviso di accertamento alla società (recuperando ~€24.000 di IRES evasa, più sanzioni e IRAP) e contestualmente invia avvisi ai due soci, imputando a ciascuno un dividendo occulto di €50.000 . Su ciascun €50.000 il Fisco calcola l’IRPEF dovuta (o la tassazione sostitutiva del 26%) più la sanzione per omessa dichiarazione . Supponiamo che per ogni socio ne risultino €13.000 di imposte aggiuntive dovute, oltre interessi e penalità. Difesa possibile: I soci, per evitare questa doppia tassazione, raccolgono prove che nessun dividendo è stato erogato: in particolare dimostrano che quei €100.000 non dichiarati sono stati interamente reinvestiti dalla società nell’acquisto di un immobile strumentale (presentando il rogito e le fatture di ristrutturazione pagate con quei fondi) . In subordine, evidenziano che solo il marito gestiva effettivamente l’azienda (era amministratore), mentre la moglie era estranea alla gestione. La moglie potrà quindi far valere la propria estraneità per ottenere l’annullamento del suo avviso, citando Cass. 2464/2025 . Il marito invece punterà sulla prova del reinvestimento aziendale per sostenere che nessuna somma è uscita a suo favore. Se tali prove vengono ritenute valide dal giudice, l’accertamento ai soci può essere annullato (in tutto o in parte).
- Caso 2 – Società di persone (S.n.c.) con utili in nero: La Beta S.n.c. (due soci al 50%) nel 2021 omette di fatturare corrispettivi per €50.000. Durante un controllo, emergono queste vendite non dichiarate. Esito fiscale: essendo una società di persone, non scatta alcuna presunzione di distribuzione occulta – semplicemente l’Agenzia rettificherà il reddito della società aggiungendo i €50.000 e i due soci verranno automaticamente tassati pro quota nelle loro dichiarazioni (per trasparenza) . Non vengono emessi avvisi separati per “dividendi occulti” ai soci, perché nella SNC i soci già dichiarano (per obbligo) tutti i redditi sociali. In un eventuale ricorso contro l’accertamento societario, si potrà semmai eccepire che l’uso di presunzioni sui soci di una società di persone è giuridicamente infondato (ridondante), ma di norma l’ufficio nemmeno tenta questa strada. La differenza rispetto al caso 1 è evidente: nei soggetti “trasparenti” non c’è doppia imposizione, ma comunque i soci pagano su qualunque utile, dichiarato o occulto che sia, perché confluisce nel loro reddito personale comunque.
- Caso 3 – Società di capitali con utile occulto reinvestito: La Gamma S.p.A. ha 3 soci (quote 40%, 30%, 30%). Nel 2021 la società non dichiara utili per €30.000 (scoperti poi dalla GdF). Tali €30.000 tuttavia sono stati reinvestiti in attrezzature aziendali lo stesso anno (acquisti “in nero” di macchinari). Il Fisco accerta comunque il maggior utile di €30.000, richiedendo le imposte IRES corrispondenti, e presume la distribuzione ai soci: invia quindi avvisi ai soci per utili occulti di €12.000 (al socio 40%) e €9.000 ciascuno (agli altri due soci 30%) . Difesa possibile: La società e i soci evidenziano che quei macchinari acquistati sono iscritti nei cespiti (magari poi autofatturati a seguito di ravvedimento) e dunque l’utile non è uscito dall’impresa ma è rimasto investito. Producono le ricevute d’acquisto, fotografie dei macchinari, e verbali interni che attestano la volontà di reinvestire gli utili nell’attività. In giudizio, i soci potranno sostenere: “anche ammettendo l’utile non dichiarato, esso è stato completamente impiegato nell’acquisto di beni aziendali: non vi è stata alcuna distribuzione di denaro o utili ai soci”. Se il giudice accerta ciò, la presunzione viene vinta e gli avvisi ai soci devono essere annullati, restando eventualmente solo la rettifica a carico della società (che però a quel punto potrebbe anche ottenere il riconoscimento dei costi capitalizzati, riducendo l’utile accertato netto).
Questi esempi mostrano come, nei casi concreti, la chiave per il socio sia dimostrare la diversa destinazione dei fondi (reinvestiti, non percepiti) o la propria non partecipazione soggettiva al godimento degli utili. Ogni caso ha le sue peculiarità: è essenziale raccogliere quante più prove possibili e costruire una narrativa credibile su cosa sia realmente successo a quei soldi.
Modelli di atti difensivi
Passiamo ora a degli schemi esemplificativi di atti difensivi che un contribuente (o il suo legale) può predisporre in queste situazioni. Di seguito troverai un modello di memoria difensiva da presentare all’Agenzia Entrate dopo il PVC, un’istanza di autotutela e un ricorso in Commissione Tributaria di primo grado. Si tratta di testi di esempio a solo scopo illustrativo, che andrebbero adattati al caso specifico.
Esempio di memoria difensiva (osservazioni al PVC prima dell’accertamento)
(Segue un fac-simile di memoria difensiva da inviare all’Ufficio, contenente osservazioni al verbale di constatazione).
Destinatario: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di [Città]
Ufficio Controlli – Sezione Verifiche e Accertamento
Oggetto: Osservazioni del contribuente al P.V.C. n. [___] del [data], relativo a contestazione di utili extracontabili in [Nome Società] S.r.l.
Il sottoscritto [Nome Cognome], nato a __ il __, codice fiscale ___, in qualità di socio (al __%) della [Nome Società] S.r.l., intende esercitare il diritto di cui all’art. 12 c.7 L.212/2000 presentando le seguenti osservazioni e richieste in relazione al Processo Verbale di Constatazione in oggetto, redatto dalla Guardia di Finanza in data [___] e consegnato alla società in pari data.
**1. Sintesi della contestazione nel P.V.C.**
Nel verbale si ipotizza che la [Nome Società] S.r.l. abbia omesso di dichiarare ricavi per €[___] nell’anno [____], e che – stante la ristretta base societaria (n. __ soci) – tali utili extracontabili sarebbero stati “occultamente distribuiti” ai soci. Detta presunzione viene avanzata a pag. __ del PVC, senza però indicare elementi specifici di riscontro circa l’avvenuta percezione di utili da parte dei sottoscritti soci.
**2. Assenza di distribuzione di utili – Documentazione a supporto**
Si contesta sin d’ora l’assunto secondo cui l’utile extracontabile di €[___] sarebbe stato ripartito tra i soci. Al contrario, **tale somma è rimasta nella disponibilità della società**, come risulta dalla seguente documentazione allegata:
– Estratti conto bancari aziendali dall’1/1/__ al 31/12/__ che evidenziano come l’importo di €[___] sia confluito sul conto della società (vedi accredito del __/__/__) e non sia stato prelevato né bonificato ai soci nei mesi successivi. Il saldo di cassa a fine esercizio risulta incrementato di pari importo.
– Fatture di acquisto n. __ e __, entrambe datate __/__/__, intestate alla società, per un totale di €[___] + IVA, relative all’acquisto di [beni strumentali]. Tali acquisti sono stati pagati in contanti (come da quietanze allegate) utilizzando l’utile extra in parola. Ciò prova che i fondi in questione **sono stati reinvestiti nell’attività** e non distribuiti.
– Verbale dell’Assemblea dei Soci del __/__/__, nel quale si dà atto della volontà unanime di reinvestire gli utili aziendali in attrezzature senza procedere ad alcuna distribuzione, stante la necessità di consolidare la struttura produttiva.
Dalla suddetta documentazione risulta evidente che **nessun importo è uscito a beneficio personale dei soci**. Pertanto, chiediamo che l’Ufficio **prenda atto dell’assenza di distribuzione di utili** e, di conseguenza, voglia non emettere alcun accertamento a carico dei soci.
**3. Ristretta base sociale: precisazioni**
È vero che la società ha pochi soci (__ persone), ma precisiamo che uno dei soci, il Sig. [XY], detiene solo il __% ed è un investitore esterno, **privo di deleghe gestionali**. In allegato forniamo copia della Visura Camerale aggiornata e dello Statuto, da cui risulta che l’amministrazione è affidata esclusivamente all’altro socio (Sig. [Nome]). Il Sig. [XY] non ha accesso ai conti correnti aziendali (come dichiarato anche nel PVC, par. __) e non ricopre alcuna carica se non quella di socio di minoranza. Tale elemento andrebbe considerato: almeno per quella quota, la presunzione di distribuzione appare quanto meno **confutata dall’estraneità** del socio [XY] alla gestione (cfr. Cass. 2464/2025 sul punto).
**4. Ulteriori osservazioni sulla determinazione dei ricavi**
Pur non essendo oggetto diretto di queste osservazioni (che attengono ai profili personali dei soci), si segnala che il calcolo dei ricavi non dichiarati – pari a €[___] – appare eccessivo e basato su presunzioni semplici (coefficiente di ricarico applicato a consumi di materie prime) non pienamente aderenti alla realtà aziendale. La società sta predisponendo, nelle proprie controdeduzioni, un’analisi di congruità che porta a stimare in €[___] l’eventuale maggior ricavo, ovvero molto inferiore a quanto contestato. Tale riduzione avrebbe riflessi diretti sull’asserito utile extracontabile e dunque sulle somme ipoteticamente attribuite ai soci. Si invita l’Ufficio a valutare con attenzione anche questo aspetto prima di emettere avvisi.
**5. Conclusioni e istanze**
Alla luce di quanto esposto, il sottoscritto **richiede che non vengano emessi avvisi di accertamento a suo carico** per distribuzione di utili occulti, poiché:
– non vi è stata alcuna distribuzione, come documentato;
– in subordine, qualora l’Ufficio ritenesse comunque di procedere, si chiede che venga tenuta in considerazione l’effettiva destinazione interna degli utili e la posizione del socio di minoranza estraneo, valutando l’eventuale archiviazione in autotutela dell’atto nei suoi confronti.
Si resta a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti o integrazioni e si confida che l’Ill.mo Ufficio voglia accogliere le presenti osservazioni, in ossequio ai principi di collaborazione e buona fede.
Distinti saluti.
[Luogo], [Data]
Firma: ________________ (Socio [Nome Cognome])
(Fine della memoria difensiva di esempio)
Esempio di istanza di autotutela (annullamento/revoca di avviso di accertamento)
(Segue un fac-simile di istanza di autotutela da presentare dopo la notifica dell’avviso, per chiederne l’annullamento per errori palesi.)
Alla cortese attenzione del
Direttore dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio Provinciale di [___]
Oggetto: Istanza di annullamento in autotutela dell’avviso di accertamento n. __/__ emesso il [data] a carico del sig. [Nome Cognome] – Redditi di partecipazione (utili occulti) anno d’imposta [____].
Il sottoscritto [Nome Cognome] (C.F. ____), residente in ____, nella qualità di destinatario dell’avviso indicato in oggetto, espone quanto segue ai fini di un riesame in autotutela dell’atto:
– In data [data notifica] gli è stato notificato l’avviso di accertamento n.__/__, con il quale si rettifica il suo reddito imponibile IRPEF per l’anno [____] di €[importo] a titolo di “utili extracontabili distribuiti quale socio della [Società] S.r.l.”.
– Tale avviso origina da un accertamento verso la [Società] S.r.l. (atto n.__) per utili non dichiarati dalla società medesima, che si presume siano stati ripartiti tra i soci pro quota (il sottoscritto detiene il __%). L’importo aggiunto al reddito del sottoscritto è pari a €[___].
**Motivi dell’istanza – Errori rilevati:**
1) **Errore sull’individuazione del soggetto passivo:** il sottoscritto **non era socio della [Società] S.r.l. nell’anno [____]** oggetto di accertamento. Come risulta dalla visura camerale allegata, egli ha ceduto le proprie quote in data __/__/____ (prima della chiusura dell’esercizio [____]). Pertanto imputargli utili extracontabili relativi all’anno [____] è un evidente errore di persona. La normativa (art. 47 co.4 TUIR) prevede semmai di tassare i soci che detenevano la partecipazione al momento in cui gli utili sono sorti, non chi era già uscito. Dunque l’avviso è stato indirizzato a soggetto non legittimato.
2) **Duplicazione di tassazione già effettuata:** dall’analisi dell’atto risulta che l’Ufficio ha tassato il sottoscritto per €[___] di utili occulti come reddito di capitale, **sebbene tale importo risulti già ricompreso** – come riserva occulta di utili – nella base imponibile IRES oggetto di separato accertamento verso la società. In buona sostanza la medesima somma è stata assoggettata a tassazione due volte (prima in capo alla società, poi in capo al socio) senza alcun meccanismo di credito d’imposta o esclusione parziale. Ciò appare frutto di un’impostazione automatica non ponderata: qualora l’Ufficio avesse verificato la posizione, avrebbe notato che il sottoscritto non ha di fatto percepito alcun dividendo (mancando delibere, come riconosciuto nell’atto stesso). Si configura quindi un caso di **errore manifesta valutazione**, in cui l’applicazione meccanica della presunzione conduce a un risultato iniquo e probabilmente non voluto (doppia imposizione integrale).
3) **Mancata considerazione di prove a discarico già fornite:** si evidenzia che in sede di contraddittorio (memoria presentata in data __/__/___, prot. ___, allegata alla presente) il sottoscritto aveva già fornito all’Ufficio una serie di documenti comprovanti che i presunti utili non sono stati distribuiti, bensì reinvestiti dalla società. Tali documenti sembrano non essere stati considerati affatto nell’atto impugnato, il quale non ne fa menzione. L’aver ignorato elementi decisivi configura un errore di fatto nell’istruttoria, che sarebbe opportuno correggere in autotutela.
**Richiesta:**
Alla luce di quanto sopra esposto, **si chiede cortesemente l’annullamento totale** (o in subordine la rettifica parziale) **dell’avviso di accertamento n.__** in oggetto, trattandosi di provvedimento viziato da errore sul presupposto (individuazione soggetto non più socio) e da evidente eccesso di imposizione per inesistenza di reale distribuzione di utili. Tali errori emergono ictu oculi dalla documentazione ufficiale allegata (visura camerale; copia memoria difensiva con protocolli).
Si confida che codesto Ufficio voglia riesaminare la pratica nell’ottica di evitare un contenzioso inutile, adottando gli opportuni provvedimenti in autotutela. In caso contrario, il sottoscritto si vedrà costretto a tutelare le proprie ragioni in sede giudiziaria.
Restando in attesa di riscontro, si porgono distinti saluti.
[Luogo], [Data]
Firma del Richiedente: ________________
**Allegati:** Visura Camerale [Società]; Copia memoria difensiva datata __/__/__; Documentazione varia (estratti conto, ecc.).
(Fine dell’istanza di autotutela di esempio)
Esempio di ricorso in Commissione Tributaria Provinciale
(Il seguente testo costituisce un modello esemplificativo di ricorso introduttivo in primo grado, da adattare a seconda dei casi.)
Corte di Giustizia Tributaria di I° grado di [Regione/Provincia]
Ricorso N. ____/20__ R.G.
**Ricorrente:**
Sig. XYZ, nato a ___ il ___, C.F. ______, domiciliato in ___, rappresentato e difeso ai sensi di legge dall’Avv. ___ (C.F. ___) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ___, come da procura in calce; – **Ricorrente**
**Resistente:**
Agenzia delle Entrate – Ufficio di ______ (codice ufficio ___), in persona del Direttore pro tempore, con sede in ______; – **Resistente**
**Oggetto:** Impugnazione avviso di accertamento n. ___ notificato in data ___, anno d’imposta ____ – Redditi di partecipazione (utili extracontabili) presunti ai soci di [Società] S.r.l.
**Fatto:**
– Il Sig. XYZ era socio al __% della [Società] S.r.l., società a responsabilità limitata con sede in ___, esercente attività di ___. La compagine sociale nell’anno ____ era composta da n. __ soci (il ricorrente e ___).
– In data ___ la Guardia di Finanza ha notificato alla società un Processo Verbale di Constatazione contestando ricavi non dichiarati per €___ nell’anno ____. Successivamente, l’Agenzia delle Entrate – sulla scorta di tale PVC – ha emesso avviso di accertamento verso la [Società] S.r.l. (atto presupposto) determinando un maggior reddito imponibile di €___ per l’anno ____.
– Contestualmente, l’Ufficio ha notificato al Sig. XYZ (ricorrente) l’avviso di accertamento qui impugnato, con il quale assume che “in base alla presunzione di distribuzione utili ai soci di società a ristretta base” il maggior utile non dichiarato di €___ (accertato in capo alla società) sia stato percepito dal socio al __%, pari a €___, importo aggiunto al reddito IRPEF del medesimo per l’anno ____ come “utile extra bilancio distribuito”. Viene richiesta la relativa IRPEF (€___) oltre sanzione del 90% e interessi.
– Il ricorrente ritiene tale atto **infondato e illegittimo**, per più motivi di seguito specificati, e ne chiede l’annullamento.
**Motivi di Diritto:**
1) **Violazione del principio di cui all’art. 2729 c.c. – Divieto di doppia presunzione.**
L’accertamento impugnato si fonda esclusivamente su un ragionamento presuntivo duplice: *prima* presume un maggior utile in capo alla società (in base a indizi tutti da verificare), *poi* presume che tale utile sia stato distribuito al socio. Così facendo, l’Ufficio **deduce una presunzione (utili al socio) da un’altra presunzione (utili aziendali extracontabili)**, in violazione del consolidato divieto di “praesumptio de praesumpto” . La Cassazione ha più volte affermato che *“il fatto noto che sorregge la presunzione di distribuzione non è costituito dalla sussistenza degli utili occulti, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di reciproco controllo”* (Cass. 9519/2009) . Nel caso di specie, il provvedimento non individua alcun fatto noto concreto distinto dall’utile presunto stesso: si limita a richiamare la base ristretta come automatismo. **Manca quindi un fondamento presuntivo valido**, poiché l’unico “fatto noto” utilizzato (i maggiori ricavi accertati) non è un fatto certo ma un’altra presunzione. L’atto è pertanto viziato da carenza di presupposto logico-legale e va annullato ex art. 2729 c.c. e principi generali.
2) **Carente motivazione e assenza di prova concreta di distribuzione – violazione art. 7 L.212/2000.**
L’avviso impugnato adduce come unica motivazione la frase: *“accertata la ristretta base sociale della [Società] Srl, si presume che l’utile extracontabile di €___ sia stato distribuito pro-quota al Sig. XYZ (socio al __%)”*. **Non vengono indicati elementi ulteriori** a supporto di tale affermazione. L’Ufficio **non ha prodotto alcun riscontro fattuale** (es. versamenti al socio, acquisti personali non giustificati, ammissioni) circa l’effettiva percezione di tali utili da parte del ricorrente. Questa motivazione per relationem risulta del tutto generica e inidonea: manca l’allegazione dell’atto presupposto (avviso alla società) e manca la descrizione degli elementi gravi, precisi e concordanti richiesti da art. 2729 c.c. . Si configura quindi violazione dell’art.7 dello Statuto del Contribuente, non avendo l’Ufficio fornito al contribuente contezza completa dei presupposti dell’accertamento. Giurisprudenza di merito ha affermato che *“la presunzione non opera meccanicamente: è onere dell’Ufficio fornire prova rafforzata della effettiva distribuzione”* (CTR Campania 3374/2024). Nel caso in esame, l’Amministrazione **si è limitata all’automatismo**, rendendo l’atto ingiustificato e illegittimo.
3) **Insussistenza della percezione – Estraneità del socio alla gestione (Cass. 2464/2025).**
In via gradata, anche volendo ritenere applicabile la presunzione, il ricorrente offre **prova contraria** che la distribuzione non si è verificata. Si evidenzia che il Sig. XYZ **era totalmente estraneo alla gestione** della società. Egli non rivestiva cariche amministrative (era semplice socio di capitale) e risiedeva all’estero per gran parte dell’anno ____, senza alcun coinvolgimento nelle operazioni aziendali (cfr. documenti allegati: biglietti aerei, contratti di lavoro all’estero nel periodo). La Suprema Corte, con ord. n. 2464/2025, ha stabilito che *il socio può superare la presunzione dimostrando la propria assoluta estraneità alla gestione* . Nel caso di specie, il ricorrente rientra pienamente in tale situazione: era un socio investitore, privo di deleghe operative (come da visura camerale) e di fatto non ha mai partecipato alla conduzione societaria (allegati verbali assembleari mostrano che non era nemmeno presente alle riunioni). Pertanto **non può presumersi** che egli abbia ricevuto utili occulti, non avendo egli contribuito né potuto decidere di eventuali occultamenti. L’atto impugnato, ignorando questa circostanza decisiva, applica la presunzione in modo indiscriminato anche a chi non doveva esserne destinatario. Si chiede pertanto l’annullamento dell’avviso quantomeno limitatamente alla posizione del ricorrente, in quanto soggetto estraneo ai fatti generatori dell’utile occulto.
4) **Erronea imputazione temporale e soggettiva – difetto dei presupposti.**
L’atto imputa al ricorrente utili extracontabili dell’anno ____, ma si rileva che **il ricorrente ha ceduto le proprie quote in data __/__/____**, come da atto notarile allegato (Doc. __). Dunque egli non era socio al 31/12/____. Cassazione (es. Cass. 30598/2024) ha chiarito che gli utili devono essere attribuiti a chi rivestiva la qualità di socio nell’esercizio di produzione . L’Ufficio ha ignorato questo aspetto, tassando il ricorrente per un periodo in cui non era più socio (o comunque per l’intero anno anziché pro-rata fino alla cessione). Ciò configura un ulteriore vizio dell’atto. Inoltre, come già indicato in autotutela (istanza del __/__/__ rimasta senza esito, Doc. __), l’altro socio (Sig. __) deteneva il __% ed era amministratore unico: se vi fu utile occulto, semmai costui – e solo costui – avrebbe potuto percepirlo. Tassare il ricorrente, che nel periodo era uscito (o comunque passivo), appare un palese **errore di individuazione del soggetto passivo**, che impone l’annullamento dell’atto verso di lui.
5) **Violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale.**
Infine, si rileva che l’Ufficio non ha mai attivato un contraddittorio con il ricorrente prima di emettere l’atto. Il PVC GdF è stato chiuso il __/__/__, ma l’avviso al socio è stato emesso immediatamente il __/__/__, senza attendere i 60 giorni previsti dall’art. 12 c.7 L.212/2000. Non risultano circostanze di particolare urgenza giustificative. Ciò ha impedito al ricorrente di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa prima dell’emissione dell’atto, in violazione dei principi di collaborazione e buona fede. La giurisprudenza comunitaria e nazionale riconosce valore al contraddittorio anticipato, la cui omissione inficia l’atto se l’apporto difensivo del contribuente avrebbe potuto comportare un risultato diverso. Nel caso de quo, il ricorrente avrebbe potuto fornire sin da subito le prove (ora prodotte in giudizio) dell’assenza di distribuzione; l’ufficio, ignorandole, ha emesso un atto viziato anche sotto tale profilo.
**Prove:**
Si deposita sin d’ora la seguente documentazione a supporto:
– Doc.1: Copia avviso di accertamento impugnato (n. ___).
– Doc.2: Copia avviso di accertamento emesso verso [Società] S.r.l. (atto presupposto richiamato, non notificato al ricorrente).
– Doc.3: Visura Camerale [Società] S.r.l. aggiornata al __ (composizione sociale e cariche).
– Doc.4: Atto di cessione quote del __/__/____ del Sig. XYZ (uscita dalla compagine).
– Doc.5: Estratti conto bancari [Società] S.r.l. anno ____ (assenza movimenti verso soci).
– Doc.6: Fatture/pezze giustificative utilizzo utili (€___ investiti in macchinari).
– Doc.7: Verbali assembleari anno ____ (assenza delibere di distribuzione, presenza ricorrente).
– Doc.8: Procura alle liti e copia documento identità del ricorrente.
**Conclusioni:**
Alla luce di tutto quanto esposto, il Sig. XYZ, come in epigrafe rappresentato e difeso, **chiede** che codesta Ill.ma Corte voglia:
– **In primis**, annullare totalmente l’avviso di accertamento n.___/___ emesso dall’Agenzia delle Entrate di ___ per l’anno ____ in relazione a utili extracontabili presuntivamente distribuiti al ricorrente, per i motivi sopra illustrati;
– In via subordinata, annullare parzialmente tale atto limitatamente alla posizione del Sig. XYZ (escludendo l’imputazione di redditi di partecipazione in capo allo stesso), stante la mancanza dei presupposti soggettivi e oggettivi nei suoi confronti;
– In ogni caso, con vittoria di **spese di lite** a carico dell’Amministrazione resistente.
Ai fini del contributo unificato si dichiara che il valore della causa è pari a €[importo impugnato] (imposte accertate €___).
Luogo, Data
Firma Avvocato ____________ Firma Contribuente ____________
(Fine del ricorso di esempio)
Conclusioni
La materia della “distribuzione occulta di utili” è complessa e in continua evoluzione. Fino a qualche anno fa, era prassi dell’Amministrazione tassare quasi automaticamente i soci di società a base ristretta ogniqualvolta venissero accertati utili extracontabili, anche in assenza di qualsiasi riscontro effettivo di ripartizione. Oggi, invece, la Cassazione richiede un approccio più equilibrato, riconoscendo al socio la possibilità di far valere la propria totale estraneità alla gestione o di dimostrare con fatti concreti che l’utile è rimasto in azienda (accantonamento o reinvestimento) . In ogni caso, il contribuente deve essere proattivo: l’avviso di accertamento – per quanto possa apparire ingiusto – non si annullerà da solo, ma occorre un’azione difensiva puntuale.
Questa guida ha illustrato i principali strumenti e argomentazioni per difendersi da un accertamento di utili occulti ai soci, richiamando le norme (TUIR, DPR 600/73, c.c.), la prassi e soprattutto la giurisprudenza aggiornata di Cassazione e delle Corti tributarie . I numerosi richiami a sentenze recenti evidenziano i punti chiave: ad esempio, un difensore che si limitasse a sostenere genericamente “i soci non hanno ricevuto nulla” senza portare prove, difficilmente vincerebbe; viceversa, una difesa strutturata con documenti, testimoni, perizie e una solida base giuridica può convincere il giudice tributario che in concreto non vi fu distribuzione o che il socio non deve risponderne .
In definitiva, dal punto di vista del contribuente, vanno tenuti presenti alcuni concetti fondamentali: (a) la base sociale ristretta è solo un punto di partenza per l’accertamento induttivo, ma non prova nulla da sola; (b) l’Agenzia – anche dopo la riforma del 2022 sul processo tributario – deve comunque raccogliere indizi concreti e coerenti prima di presumere redditi non dichiarati ; (c) il socio ha diritto di opporsi con ogni prova contraria specifica, potendo far leva sia su evidenze oggettive (mancata distribuzione, soldi rimasti in azienda) sia su elementi soggettivi (sua non partecipazione agli utili); (d) non esiste in Italia una legge che imponga di per sé la doppia tassazione dei soci: è una costruzione giurisprudenziale, e proprio per questo deve essere applicata con discernimento. In caso di contenzioso, è buona prassi citare sempre le ultime pronunce (come quelle del 2024-25) a sostegno delle proprie tesi e dimostrare che nel caso concreto mancano i requisiti per applicare la presunzione.
Con le strategie giuste e un’attenta preparazione documentale, un contribuente può ottenere ragione nel contestare un accertamento da utili occulti. Tuttavia, ogni caso va valutato con scrupolo: è importante non sottovalutare l’atto (ignorarlo comporta la definitività) e agire tempestivamente, affidandosi a professionisti competenti. La posta in gioco non è solo economica ma anche di principio: far valere le proprie ragioni contro automatismi fiscali indebitamente applicati è possibile, e la recente giurisprudenza lo conferma.
Fonti e riferimenti utilizzati: questa trattazione si basa sulle normative vigenti (TUIR, DPR 600/73, L.212/2000, c.c.), sulle circolari di prassi dell’Agenzia e soprattutto sulla giurisprudenza più aggiornata (Cassazione 2023-2025, Corti di Giustizia Tributarie) in materia.
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⚖️ Quando scattano le contestazioni
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- Utilizzo personale di beni aziendali (auto, immobili, carte di credito) senza adeguata tassazione;
- Assegnazioni di utili non deliberate dall’assemblea;
- Compensi percepiti senza contratto o delibera di incarico;
- Differenze tra la situazione patrimoniale della società e le dichiarazioni dei soci.
📌 Conseguenze della contestazione
- Tassazione come redditi occulti in capo ai soci;
- Indeducibilità dei costi per la società;
- Sanzioni per dichiarazione infedele;
- Interessi di mora sulle somme recuperate;
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🔍 Cosa verificare per difendersi
- Le somme contestate erano effettivamente compensi ai soci o altre operazioni (prestiti, rimborsi spese, restituzioni)?
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🧾 Documenti utili alla difesa
- Estratti conto bancari della società e dei soci;
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- Documentazione contabile su prestiti soci e rimborsi spese;
- Bilanci e dichiarazioni fiscali degli anni contestati.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la natura reale delle somme contestate (finanziamenti, rimborsi, restituzioni e non compensi occulti);
- Contestare la riqualificazione come compensi non dichiarati;
- Evidenziare la buona fede e la regolarità formale della gestione societaria;
- Eccepire vizi di motivazione o errori di calcolo nell’accertamento;
- Richiedere annullamento in autotutela se i documenti erano già agli atti;
- Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
- Difesa penale mirata in caso di accuse di distribuzione occulta di utili o frode fiscale.
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🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e societario;
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Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui compensi occulti a soci di Srl non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni, errori di qualificazione o irregolarità formali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta natura delle somme, evitare la riqualificazione come redditi occulti e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
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