Accertamento Fiscale A Organizzatori Di Eventi: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale come organizzatore di eventi? In questi casi, l’Agenzia delle Entrate presume spesso che parte dei compensi percepiti per matrimoni, fiere, congressi o spettacoli non sia stata dichiarata o sia stata registrata in maniera irregolare. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e, nei casi più pesanti, contestazioni penali per dichiarazione infedele. Tuttavia, non sempre l’accertamento è fondato: con una difesa ben preparata è possibile ridurre le pretese del Fisco o dimostrare la correttezza della propria posizione.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i redditi di un organizzatore di eventi
– Se vi sono incongruenze tra i contratti stipulati con i clienti e le fatture emesse
– Se i compensi dichiarati appaiono sproporzionati rispetto al numero e al valore degli eventi organizzati
– Se i flussi bancari non coincidono con quanto riportato nelle dichiarazioni fiscali
– Se l’Ufficio presume pagamenti “in nero” da parte di clienti o fornitori
– Se emergono scostamenti dagli indici ISA o da parametri statistici di settore

Conseguenze dell’accertamento fiscale
– Recupero a tassazione dei ricavi ritenuti occultati
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Possibile apertura di controlli incrociati anche sui fornitori coinvolti negli eventi
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o fraudolenta

Come difendersi dall’accertamento
– Dimostrare la corrispondenza tra i servizi resi, i contratti e le fatture emesse
– Produrre documentazione bancaria, ricevute e corrispondenza con i clienti
– Contestare le ricostruzioni presuntive dei ricavi effettuate dall’Agenzia
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione contabile e contrattuale relativa agli eventi contestati
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta imputazione dei ricavi
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali
– Difendere il professionista davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e aziendale da conseguenze fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della correttezza dei redditi dichiarati
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il settore degli eventi è considerato ad alto rischio dal Fisco, che spesso incrocia i dati di clienti e fornitori per individuare ricavi non dichiarati. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e documentata per evitare pesanti conseguenze economiche e legali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e penale tributario – spiega come difendersi in caso di accertamento fiscale a carico di organizzatori di eventi e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

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Introduzione

Organizzare eventi – siano essi concerti musicali, manifestazioni culturali, gare sportive o eventi aziendali – comporta una serie di obblighi fiscali complessi. Gli organizzatori di eventi (persone fisiche, imprese, associazioni) devono gestire correttamente incassi, pagamenti e adempimenti tributari per evitare di incorrere in pesanti sanzioni. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza riservano particolare attenzione a questo settore: i controlli fiscali durante e dopo gli eventi sono frequenti e mirati a scoprire evasioni, come mancata emissione di fatture o compensi in nero ai collaboratori. In questa guida – aggiornata a settembre 2025 – analizzeremo come funziona un accertamento fiscale a carico di organizzatori di eventi e soprattutto come difendersi efficacemente, sia nella fase pre-contenziosa (prima del processo) che in quella contenziosa (ricorso tributario). Il taglio sarà avanzato, adatto a professionisti (avvocati tributaristi, consulenti) ma anche a imprenditori e privati interessati, con un linguaggio giuridico chiaro e divulgativo.

Approfondiremo dapprima i principali profili fiscali legati agli eventi e le violazioni tipiche contestate dal Fisco (dall’IVA sugli incassi non dichiarati, ai compensi non tracciati ai collaboratori). Vedremo poi le procedure di accertamento previste dalla normativa italiana, i diritti del contribuente sottoposto a verifica e gli strumenti deflattivi (come il contraddittorio endoprocedimentale, l’accertamento con adesione, l’acquiescenza e l’autotutela). Successivamente affronteremo la fase contenziosa, illustrando come impostare un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie) e quali strategie difensive adottare in giudizio. Non mancheranno riferimenti a norme aggiornate, alle sentenze più recenti (con relative fonti autorevoli) e casi pratici con domande e risposte per chiarire i dubbi più comuni. Tabelle riassuntive e simulazioni concrete faciliteranno la comprensione dei concetti chiave.

Prospettiva del debitore: questa guida adotta il punto di vista del contribuente/organizzatore di eventi che si trova destinatario di un avviso di accertamento fiscale. L’obiettivo è fornire strumenti per comprendere le contestazioni del Fisco e mettere in atto una difesa efficace, valorizzando i propri diritti e sfruttando tutte le possibilità offerte dalla legge per ridurre o annullare le pretese fiscali indebite. È fondamentale agire con cognizione di causa sin dalle prime fasi (ad esempio durante un controllo fiscale in loco o al ricevimento di una comunicazione) per impostare al meglio la propria posizione difensiva.

N.B.: Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate nel testo saranno riportate integralmente in una sezione dedicata al termine della guida. Si raccomanda di consultarle per approfondimenti e verifica dei principi esposti.

Profili fiscali degli eventi e obblighi per gli organizzatori

Organizzare un evento comporta una molteplicità di obblighi fiscali e amministrativi. In linea generale, quando un evento è aperto al pubblico con pagamento di un biglietto o quota di ingresso, si configura un’attività di natura commerciale, soggetta a imposte sui redditi e IVA, salvo che ricorrano specifiche esenzioni previste dalla legge. Vediamo i profili fiscali essenziali e come possono variare a seconda della natura dell’organizzatore e del tipo di evento:

  • Imposte sui redditi (IRPEF/IRES): i proventi derivanti dall’organizzazione di eventi costituiscono reddito imponibile. Per le persone fisiche possono rientrare tra i redditi d’impresa o di lavoro autonomo occasionale a seconda della continuità e organizzazione dell’attività. Per le società commerciali, i ricavi degli eventi concorrono al reddito d’impresa tassato in IRES. Le associazioni ed enti non commerciali godono di una decommercializzazione di alcune entrate istituzionali (es. quote associative), ma i corrispettivi specifici pagati da non soci o per attività estranee alle finalità istituzionali sono imponibili. L’art. 148 TUIR stabilisce infatti che “non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni […] Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito” . Tuttavia, se un evento è rivolto non solo ai soci ma al pubblico indistinto (es. vendita di biglietti a chiunque voglia accedere), quei proventi sono considerati redditi commerciali tassabili, a meno che non rientrino in specifiche agevolazioni per enti associativi (si pensi alle associazioni sportive dilettantistiche in regime L.398/1991, di cui diremo a breve).
  • IVA (Imposta sul Valore Aggiunto): la vendita di biglietti, ingressi o la sponsorizzazione di eventi sono in linea di principio operazioni soggette a IVA. L’aliquota IVA varia a seconda della tipologia di spettacolo o intrattenimento: in molti casi è prevista l’aliquota IVA ridotta del 10% per gli spettacoli dal vivo (ad esempio concerti vocali e strumentali, rappresentazioni teatrali) , mentre resta l’aliquota ordinaria (22%) per altre prestazioni di intrattenimento o esecuzioni musicali non rientranti nelle agevolazioni . La normativa IVA per il settore spettacoli è particolare: l’art. 74-quater del DPR 633/1972 prevede un regime speciale per le attività spettacolistiche, e contestualmente il D.Lgs. 60/1999 ha istituito l’imposta sugli intrattenimenti limitatamente a specifiche attività (balli, giochi, eventi di divertimento attivo), distinguendole dagli spettacoli in senso stretto . Senza entrare in tecnicismi, per l’organizzatore è fondamentale sapere che: (a) in caso di eventi con vendita di biglietti, occorre emettere documenti fiscali (biglietti fiscalizzati SIAE o fatture/ricevute elettroniche) e applicare l’IVA corretta; (b) alcune manifestazioni hanno regime IVA forfettario o speciale (ad es. le attività di intrattenimento possono liquidare l’IVA con metodi forfettari ex art. 74, co.6 DPR 633/72, correlati all’imposta sugli intrattenimenti ); (c) gli enti non commerciali che svolgono solo attività istituzionale senza corrispettivi possono essere fuori campo IVA (attività non rilevante ai fini IVA), ma se incassano corrispettivi specifici per servizi, scatta l’assoggettamento a imposta. Va ricordato che alcune associazioni beneficiano temporaneamente (sino al 2025) di un regime di esclusione da IVA per le attività di interesse generale, in attesa dell’operatività della riforma del Terzo Settore .
  • Obblighi di certificazione dei corrispettivi: gli organizzatori di eventi che effettuano vendite di biglietti o ricevono pagamenti dal pubblico sono tenuti a certificare tali incassi. Ciò può avvenire mediante fattura elettronica (obbligatoria verso titolari di Partita IVA e su richiesta del cliente consumatore finale) oppure, più frequentemente nel settore spettacoli, tramite l’emissione di titoli di accesso fiscali (biglietti SIAE o sistemi di biglietteria automatizzata autorizzati). La SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori) svolge storicamente una funzione di controllo: i luoghi di spettacolo aperti al pubblico devono dotarsi di misuratori fiscali o biglietterie automatizzate omologate, che emettono titoli numerati e trasmettono i dati degli incassi all’Agenzia delle Entrate tramite SIAE . In pratica, chi organizza un concerto, un cinema all’aperto, una fiera con ticket d’ingresso, etc., è obbligato a: richiedere per tempo alla SIAE l’autorizzazione e i titoli (se usa il sistema SIAE tradizionale) oppure utilizzare sistemi certificati di biglietteria; contabilizzare gli incassi giornalieri tramite distinta riepilogativa e versare l’IVA e l’eventuale imposta sugli intrattenimenti dovuta. La mancata emissione di un titolo fiscale per ogni incasso costituisce violazione grave. Ne deriva che l’evasione nel settore eventi avviene spesso omettendo di contabilizzare parte dei biglietti venduti – ad esempio emettendo un numero inferiore di biglietti rispetto agli spettatori effettivi – oppure non installando sistemi fiscali per eventi teoricamente riservati ai soci ma di fatto aperti a tutti.
  • Regimi fiscali agevolati per associazioni: molti eventi sono organizzati da associazioni culturali, sportive dilettantistiche, Pro Loco, ONLUS/ETS e simili. Questi enti possono usufruire di agevolazioni, ma solo al rispetto di stringenti requisiti formali e sostanziali. Un caso tipico è la Legge 398/1991, che consente alle associazioni sportive dilettantistiche e ad altri enti senza scopo di lucro (che abbiano optato per tale regime e con proventi commerciali annui entro un certo limite, attualmente 400.000 euro) di determinare forfetariamente il reddito imponibile (applicando al 3% i proventi commerciali) e l’IVA dovuta (in misura del 50% sull’IVA delle fatture di vendita) . Questo regime riduce drasticamente il carico fiscale, ma comporta obblighi (ad esempio tenuta del rendiconto e rispetto di finalità statutarie). Se il Fisco ritiene che i requisiti non sussistano (perché l’ente opera di fatto come un’azienda commerciale), può revocare i benefici e tassare l’ente in via ordinaria, recuperando imposte e IVA piene. La Corte di Cassazione ha più volte affermato che l’ente ha l’onere di provare la natura non lucrativa effettiva, non bastando la mera regolarità formale dello statuto . Ad esempio, un’Associazione Sportiva Dilettantistica (ASD) che organizza eventi sportivi ma remunera in modo occulto i soci dirigenti o non tiene documentazione dei versamenti associativi può essere considerata un soggetto commerciale a tutti gli effetti, perdendo le agevolazioni . Principio chiave: le agevolazioni fiscali per gli enti non profit richiedono coerenza sostanziale con lo scopo non lucrativo; in caso contrario, l’Amministrazione finanziaria può disconoscerle e accertare le imposte evase .
  • Lavoro e compensi nell’ambito di eventi: altro profilo importante riguarda i compensi erogati a chi presta attività nell’evento (artisti, tecnici, personale di servizio, collaboratori vari). Dal punto di vista fiscale, i compensi corrisposti possono essere di vario tipo: lavoro dipendente, autonomo occasionale, compensi sportivi dilettantistici esenti fino a una soglia, rimborsi spese ai volontari, ecc. L’organizzatore ha l’obbligo di operare le ritenute fiscali previste (ad esempio la ritenuta IRPEF 20% sui compensi per prestazioni occasionali, o le ritenute da lavoro dipendente secondo gli scaglioni IRPEF) e di versarle allo Stato. Pagare in nero i collaboratori, senza contratti né ritenute, espone a conseguenze sia in ambito lavoristico-previdenziale (maxisanzioni per lavoro nero, obbligo di versare contributi omessi) sia in ambito fiscale: il Fisco infatti contesterà il mancato versamento delle ritenute e considererà indeducibili per l’organizzatore i relativi costi se non provati. Va evidenziato che, a certe condizioni, perfino i costi “in nero” sostenuti dal contribuente possono essere ammessi in deduzione se il contribuente fornisce elementi certi e precisi della loro esistenza . La Cassazione ha chiarito che i costi relativi a lavoro o acquisti non contabilizzati, ma di cui si abbia concreta contezza tramite altri elementi probatori, devono essere valutati ai fini fiscali: il legislatore, all’art. 109 comma 4 TUIR, consente infatti la deduzione di spese non registrate se risultanti da elementi certi e precisi . Questo principio può aiutare un organizzatore che, scoperto con lavoratori in nero, riesca a dimostrare l’esborso (ad es. tramite testimonianze o documenti extracontabili) in modo da ridurre il reddito imponibile accertato, fermo restando le sanzioni per l’irregolarità.
  • Altre imposte e adempimenti: a seconda del tipo di evento possono rilevare ulteriori tributi. Ad esempio, l’imposta sugli intrattenimenti (ISI) – istituita dal D.Lgs. 60/1999 – si applica a spettacoli di trattenimento (es. serate danzanti, giochi, attività ludiche) in alternativa all’IVA: chi organizza intrattenimenti è tenuto al pagamento di questa imposta calcolata sulla base degli incassi e al regime IVA speciale correlato . Spesso però l’ISI si considera assolta forfettariamente mediante il regime art. 74, co.6 DPR 633/72 per i soggetti che lo applicano . Inoltre, eventi di beneficenza organizzati da ONLUS o associazioni a fini solidaristici godono di esenzioni: le manifestazioni di intrattenimento svolte occasionamente da ONLUS o associazioni politiche, sindacali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale in concomitanza di celebrazioni o campagne di sensibilizzazione non scontano l’imposta sugli intrattenimenti (art. 23 D.Lgs. 460/1997) . In più, se l’evento è a scopo benefico, la legge prevede una riduzione del 50% dell’imposta sugli intrattenimenti, a condizione che l’iniziativa non superi 12 giornate annue e almeno due terzi dell’incasso netto siano devoluti in beneficenza . Queste agevolazioni non eliminano tuttavia gli obblighi di rendicontazione e preavviso alla SIAE , e rimangono dovuti i diritti d’autore eventualmente applicabili.

In sintesi, chi organizza un evento deve: (i) dichiarare i proventi conseguiti e assolvere le imposte sui redditi dovute; (ii) applicare l’IVA corretta sugli incassi e versarla; (iii) emettere biglietti fiscali o fatture per ogni entrata; (iv) tenere le scritture contabili obbligatorie (anche semplificate per enti in 398/1991); (v) gestire correttamente i compensi a collaboratori con contratti regolari e versamento di ritenute e contributi; (vi) conservare tutta la documentazione (contratti con fornitori, borderò SIAE, rendiconti) che possa servire a comprovare la veridicità di costi e ricavi. La violazione di uno qualsiasi di questi obblighi può innescare un accertamento fiscale. Nei paragrafi seguenti vedremo quali sono le contestazioni più comuni mosse dal Fisco agli organizzatori di eventi e come si sviluppa la procedura di accertamento.

Principali violazioni fiscali nel settore degli eventi

Le contestazioni tipiche che l’Amministrazione finanziaria muove agli organizzatori di eventi riguardano, nella maggior parte dei casi, omissioni o irregolarità che comportano evasione d’imposta. Elenchiamo le violazioni fiscali più frequenti nel settore, illustrandone la portata e le relative conseguenze sanzionatorie:

Mancata emissione di fatture, ricevute o biglietti fiscali

Descrizione: consiste nel non certificare, in tutto o in parte, i corrispettivi incassati per l’evento. Esempi: l’organizzatore non emette fattura al cliente sponsor; al botteghino vengono venduti biglietti non fiscali o si lasciano entrare persone senza biglietto; non si rilasciano ricevute per i servizi accessori (es. stand, merchandising). Questa è una forma diretta di evasione dell’IVA e occultamento di ricavi.

Obblighi violati: L’art. 22 del DPR 633/72 obbliga i soggetti IVA che effettuano operazioni verso privati consumatori (come la vendita di biglietti) a certificare i corrispettivi con scontrino/ricevuta fiscale (oggi documento commerciale elettronico) salvo esoneri. Nel settore spettacoli, l’obbligo è soddisfatto tramite i titoli di accesso fiscali (biglietti SIAE o sistemi equivalenti) . La mancata emissione del documento fiscale costituisce violazione dell’art. 6, comma 3 D.Lgs. 471/1997, punita con sanzione amministrativa pari al 100% dell’IVA relativa non documentata (minimo €500) . Inoltre, in caso di ripetute violazioni (almeno 4 in giorni diversi nell’arco di 5 anni), è prevista la sanzione accessoria della sospensione della licenza o attività per 3 giorni fino a 1 mese (art. 12, comma 2 D.Lgs. 471/97) .

Conseguenze dell’accertamento: Se durante un controllo viene constatata l’omessa emissione di un biglietto o ricevuta, l’ufficio può presumere che anche altri corrispettivi non siano stati dichiarati. La giurisprudenza riconosce la legittimità di un accertamento induttivo basato su tali riscontri: anche a fronte di contabilità apparentemente regolare, la scoperta di corrispettivi non registrati rende l’intera contabilità inattendibile, autorizzando il Fisco a determinare maggiori ricavi su base presuntiva . Ad esempio, la Cassazione ha affermato che un solo scontrino non emesso, se sintomo di un comportamento antieconomico o di irregolarità sistematica, può giustificare la ricostruzione induttiva dell’intero volume d’affari (purché fondata su presunzioni gravi, precise e concordanti) . In concreto, i verificatori potrebbero stimare gli spettatori totali di un evento (magari contando i presenti in sala o usando i dati SIAE sui biglietti vidimati) e confrontarli con i biglietti ufficialmente emessi, rettificando il fatturato e l’IVA dovuta sulla differenza. Anche incongruenze tra studio di settore/ISA e ricavi dichiarati, oppure incassi sproporzionatamente bassi rispetto ai costi dell’evento, possono essere indizi di corrispettivi non fatturati.

Difesa del contribuente: Di fronte a una contestazione di questo tipo, il contribuente può difendersi dimostrando che l’episodio di mancata emissione è isolato e non rappresentativo (tentando di evitare la proiezione induttiva su tutte le operazioni) . Ad esempio, fornendo la distinta SIAE ufficiale che attesta il numero esatto di biglietti emessi e sostenendo che eventuali persone in più erano addetti ai lavori o invitati a titolo gratuito. È utile esibire documenti che confermino i dati dichiarati: report di biglietteria, incassi registrati su registratore telematico, contratti con gli artisti (che possano giustificare un margine ridotto). Inoltre, vizi formali nella constatazione (come errori nel verbale) o il mancato contraddittorio (se dovuto) possono essere eccepiti, ma sul merito è spesso decisiva la capacità di scardinare le presunzioni dell’ufficio o quanto meno ridimensionarle (ad esempio mostrando che la capienza massima della sala era inferiore a quella ipotizzata dal Fisco, o che parte del pubblico non pagava perché membri dell’associazione). In sede pre-contenziosa, regolarizzare spontaneamente la posizione (emettendo fatture tardive e avvalendosi del ravvedimento operoso, se ancora possibile) può attenuare le sanzioni. Tuttavia, se l’accertamento è già avviato, sarà la fase contenziosa a decidere sull’ampiezza della ricostruzione dei ricavi occultati.

Omessa dichiarazione o sotto-dichiarazione dei ricavi dell’evento

Descrizione: è l’ipotesi in cui il contribuente non presenta affatto la dichiarazione dei redditi/IVA per l’anno in cui ha realizzato proventi da eventi (omessa dichiarazione), oppure la presenta indicando ricavi inferiori al reale (dichiarazione infedele). Nel contesto degli eventi, questo può accadere per piccoli organizzatori non in regola (es. una ditta individuale che organizza serate e non dichiara nulla) o per associazioni che credono – erroneamente – di non dover dichiarare i proventi.

Conseguenze e sanzioni: L’omessa dichiarazione di redditi è una violazione gravissima: consente al Fisco di procedere con accertamento d’ufficio (interamente induttivo) senza i limiti ordinari, e allunga i termini di accertamento a 7 anni (anziché i 5 ordinari) . Ad esempio, per un evento del 2020 con dichiarazione dei redditi omessa nel 2021, l’ufficio ha tempo fino al 31 dicembre 2027 per notificare l’accertamento (anziché il 2025 se la dichiarazione fosse stata presentata) . La sanzione amministrativa per omessa dichiarazione va dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250 (art. 1 D.Lgs. 471/97). Se però le imposte evase superano le soglie penalmente rilevanti (es. €50.000 per imposte dirette o IVA), scatta anche il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000), punito con la reclusione da 2 a 5 anni.

Nel caso delle associazioni in regime forfettario (L.398/91), non presentare la dichiarazione impedisce di fatto di applicare il regime agevolato, perché non si è dichiarato alcunché. La Cassazione ha stabilito che, in caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale, viene meno il regime fiscale agevolato e l’ente perde gli sconti previsti . In altri termini, un’ASD che non dichiara i proventi commerciali non può poi invocare le percentuali forfettarie di tassazione: le imposte saranno ricalcolate in base al regime ordinario, con aliquote piene . La Suprema Corte (ord. n. 9973 del 14/04/2023) ha confermato che spetta all’associazione dimostrare di possedere i requisiti per il regime agevolato, e l’omessa dichiarazione è incompatibile con tale onere probatorio .

La sotto-dichiarazione (dichiarazione infedele) comporta sanzioni dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/97), e anch’essa può avere rilevanza penale se l’imposta evasa supera €100.000 o i ricavi sottratti all’imponibile superano il 10% di quelli dichiarati e comunque €2 milioni (art. 4 D.Lgs. 74/2000).

Difesa del contribuente: Per l’omessa dichiarazione, in sede di accertamento è poco difendibile la violazione in sé (se vi erano ricavi andavano dichiarati). Le strategie possibili sono: evidenziare eventuali errori dell’ufficio nel calcolo dell’imposta (ad es. contestare il metodo con cui sono stati quantificati i ricavi occulti); dimostrare che alcuni proventi non avevano natura imponibile. Ad esempio, un’associazione potrebbe sostenere che parte delle somme incassate erano quote associative e non corrispettivi commerciali – ma deve fornire documentazione rigorosa, poiché in caso di omessa dichiarazione la prova dei requisiti agevolativi spetta interamente al contribuente . Onere della prova: in generale, la Cassazione ribadisce che è il contribuente a dover provare l’esistenza di condizioni che esentino o escludano tassazione, specialmente quando il Fisco procede induttivamente per contabilità inesistenti . Nel caso citato, l’ASD ricorrente non avendo dichiarato nulla, pretendeva che fosse il Fisco a dimostrare la natura commerciale di certe entrate, ma la Corte ha respinto questa tesi: è l’ente che deve distinguere e provare quali introiti fossero non tassabili . Pertanto, in difesa, l’associazione dovrebbe presentare magari verbali assembleari che attestino contributi straordinari dei soci, elenchi di tesserati, e qualsiasi elemento che avvalori la tesi che una parte dei fondi era istituzionale.

Un contribuente individuale che non ha dichiarato i redditi di un evento potrebbe sostenere che si trattava di attività occasionale molto circoscritta e magari rientrante sotto soglia di esenzione (ad esempio, se i proventi netti fossero stati così bassi da non superare la no tax area personale). Tuttavia, omettere la dichiarazione è sempre rischioso perché anche redditi minimi andrebbero dichiarati (potendo semmai risultare esenti). Se si tratta di errore formale (dichiarazione trasmessa ma scartata, o dimenticanza di un quadro), in giudizio si può chiedere il riconoscimento dell’errore scusabile con applicazione della sanzione minima.

Un’altra linea difensiva è verificare la correttezza formale dell’avviso: per atti emessi a seguito di omessa dichiarazione, l’ufficio è tenuto a indicare i motivi per cui è arrivato a certi imponibili (presunzioni, dati di terzi, ecc.). Anche se l’accertamento d’ufficio è ampio, non può essere arbitrario: la motivazione deve dar conto degli elementi utilizzati (es. movimenti bancari, confronto con eventi analoghi, ecc.). Se l’avviso fosse estremamente carente di motivazione, si può eccepirne l’annullabilità (art. 7 L. 212/2000).

Irregolarità nell’applicazione dell’IVA sugli incassi

Descrizione: riguarda errori o abusi relativi all’IVA. Ad esempio: dichiarare operazioni esenti o non imponibili quando invece l’IVA era dovuta; applicare un’aliquota ridotta non spettante; detrarre indebitamente l’IVA sugli acquisti per eventi esenti; omettere il versamento dell’IVA incassata sui biglietti. Nel campo degli eventi, situazioni tipiche sono: associazioni che si considerano completamente “fuori campo IVA” ma organizzano eventi aperti ai non soci (quindi con operazioni imponibili non dichiarate); organizzatori che applicano IVA 10% presentando l’evento come spettacolo culturale, mentre per il Fisco sarebbe un intrattenimento con IVA 22%; soggetti che non presentano la dichiarazione IVA annuale per nascondere l’imposta dovuta.

Conseguenze: L’Agenzia delle Entrate, spesso a seguito di controlli mirati o interpelli, individua questi casi e recupera l’IVA non versata, più interessi e sanzioni. Un esempio concreto: un’organizzazione ha realizzato un concerto multimediale e ha applicato l’IVA 10% qualificandolo come concerto musicale in auditorium (aliquota ridotta ex n.123 Tabella A, Parte III DPR 633/72). L’Agenzia, analizzando le caratteristiche, potrebbe contestare che si trattava in parte di “esecuzione musicale generica” soggetta a IVA ordinaria. In una risposta ufficiale del 2025, l’Agenzia ha precisato la distinzione: le esecuzioni musicali semplici scontano l’IVA al 22%, mentre i concerti vocali e strumentali in spazi dedicati godono del 10% . Dunque qualificare correttamente l’evento è fondamentale. Se l’ufficio ritenesse sbagliata l’aliquota applicata, emetterebbe un accertamento per IVA non versata (la differenza tra 22% e 10% degli incassi, in questo esempio), con sanzione del 30% dell’imposta non versata (art. 13 D.Lgs. 471/97) più interessi.

Un altro scenario: l’associazione culturale Alfa organizza una mostra aperta al pubblico con biglietto d’ingresso, ma non ha mai aperto partita IVA ritenendo l’evento come attività istituzionale. In realtà, la vendita di biglietti a terzi è attività commerciale rilevante IVA, per cui Alfa avrebbe dovuto emettere biglietti fiscali e versare l’imposta. L’Agenzia può recuperare l’IVA evasa su tutti gli incassi (oltre a riprendere a tassazione i ricavi ai fini redditi). Non di rado, poi, c’è confusione tra regime di esclusione da IVA ed esenzione IVA: attualmente talune associazioni che svolgono attività di interesse generale non pagano IVA sui relativi corrispettivi perché la legge (ancora transitoriamente, fino al 2024-2025) li considera fuori campo per mancanza di commercialità; ma in futuro molti di questi diverranno esenti IVA (dovendo dunque sempre più fare attenzione al perimetro delle esenzioni) . Se un ente applica un’esclusione non dovuta, l’IVA sarà accertata come omessa.

Difesa del contribuente: Le questioni IVA sono spesso tecniche. La difesa può consistere nel dimostrare che l’aliquota ridotta era effettivamente applicabile in base alla natura dell’evento. Documentazione utile può essere: programmi ufficiali, caratteristiche dello spettacolo, pareri ministeriali o interpelli precedenti. Ad esempio, se contestano ad un festival musicale l’aliquota del 10%, l’organizzatore può richiamare la normativa che elenca gli spettacoli ammessi (Tabella C allegata al DPR 633/72, n.4: include concerti, opere teatrali, ecc. ) e mostrare che il suo evento rientrava in tali categorie. Citare prassi ufficiali (come circolari o risoluzioni) è efficace: la Circolare 165/E/2000 del Ministero delle Finanze distingueva tra intrattenimento (partecipazione attiva del pubblico, soggetto a imposta intrattenimenti) e spettacolo (fruizione passiva di un’esibizione, soggetto a IVA con possibili aliquote ridotte) . Usare questi riferimenti può ribaltare la tesi del Fisco.

Nel caso di un ente non profit che ha omesso di considerarsi soggetto IVA, la difesa è complicata: a meno di rientrare in normative speciali (es. proventi inferiori a 65.000 euro che potevano essere in regime forfettario legge 398 con iva forfettizzata), c’è poco margine. Tuttavia, un punto da verificare è la tempestività dell’accertamento: per l’IVA vi sono termini analoghi ai redditi (5 o 7 anni). Se il controllo arriva tardivo oltre la decadenza, il contribuente può far valere la prescrizione.

Inoltre, in sede contenziosa, se l’ufficio recupera IVA su entrate che il contribuente ha trattato come istituzionali, quest’ultimo può chiedere l’applicazione del principio di neutralità: in pratica sostenere che l’IVA ora pretesa non era stata addebitata ai clienti, e che sarebbe un costo secco per l’ente. Non è una difesa per evitare il tributo (che oggettivamente era dovuto), ma può servire a mitigare le sanzioni invocando la buona fede o l’incertezza normativa oggettiva (se c’era confusione interpretativa sul punto, ex art. 10 L.212/2000 niente sanzioni). Ad esempio, per il trattamento IVA di certi servizi culturali degli enti del Terzo Settore, la disciplina è in evoluzione e complessa : un errore potrebbe essere scusabile.

Uso improprio di regimi agevolati o qualifiche “non profit”

Descrizione: il Fisco contesta che l’organizzatore si sia avvalso indebitamente di un regime fiscale di favore. I casi più comuni: decadenza dal regime L.398/1991 per superamento dei limiti o violazione requisiti; sindrome della falsa associazione – un ente dichiara di essere associazione senza scopo di lucro ma in realtà distribuisce utili o opera come impresa; abuso delle norme di decommercializzazione (art. 148 TUIR) per attività che invece sono commerciali. Un esempio è la “finta ASD” che gestisce di fatto una palestra o organizza eventi a pagamento per tutti: formalmente associazione sportiva dilettantistica, di fatto business. In tali situazioni, l’Agenzia disconosce la natura non commerciale dell’ente e ricalcola le imposte come per un soggetto profit.

Conseguenze: La revoca delle agevolazioni comporta richieste retroattive di imposte, IVA e spesso IRAP, con sanzioni e interessi. Nella citata vicenda dell’ASD, la Cassazione (ordinanza n.19775/2025) ha confermato che la semplice presenza di uno statuto “a norma” non salva l’ente se la gestione concreta rivela scopi di lucro . In quel caso specifico, emersero vari elementi: gestione familistica, utili occultati, compensi ai soci, mancanza di tracciabilità delle quote associative . Tutti fattori che hanno convinto i giudici a confermare l’accertamento e la perdita del regime agevolato. Il principio ribadito è che l’onere della prova dei requisiti non profit spetta all’associazione : deve provare con dati contabili e fatti concreti di essere davvero non lucrativa. Se non ci riesce, il Fisco vince. Un altro scenario: un’associazione culturale che, sfruttando l’art. 148 TUIR, non tassava i corrispettivi specifici dei soci, viene scoperta ad avere migliaia di “soci” tesserati solo per partecipare a eventi, senza vera vita associativa. Questo è un abuso diffuso (es. discoteche mascherate da circoli privati): la legge richiede che l’attività verso soci sia in diretta attuazione degli scopi istituzionali e che l’ente rispetti clausole statutarie anti-lucro. Se i soci sono meri clienti tesserati sul momento e l’attività è identica a un esercizio pubblico, le entrate diventano imponibili. Il Fisco può quindi riliquidare IVA e redditi come se fosse un normale esercizio commerciale aperto al pubblico. Numerose sentenze di merito e di Cassazione hanno dato ragione all’Amministrazione in questi casi, richiamando la necessità di guardare alla sostanza economica e non alla forma.

Difesa del contribuente: Per contrastare tali contestazioni, l’ente deve predisporre un dossier probatorio della propria “non lucratività”. Ad esempio: libri verbali che mostrano la democraticità interna, bilanci che evidenziano l’assenza di utili (o il loro reinvestimento), contratti che attestano pagamenti conformi alle norme (rimborsi spesa documentati e non compensi occulti). Nel caso dell’ASD di cui sopra, la difesa aveva provato a sostenere di aver rispettato le norme statutarie, ma ciò è stato considerato insufficiente a fronte delle evidenze contrarie . Dunque l’attenzione va posta nel confutare analiticamente ogni elemento contestato: se l’Agenzia elenca sei elementi a carico (come nell’esempio: immagine esterna commerciale, utili non dichiarati, ecc.), l’associazione dovrebbe rispondere a ciascuno con controdeduzioni e prove. Tralasciarne alcuni (come avvenuto, dove l’ente ignorò varie accuse concentrandosi solo sul nome usato esternamente) indebolisce molto la difesa . Best practice per associazioni sotto accertamento: dimostrare le entrate istituzionali (es. quote sociali) con ricevute e registri soci, provare che eventuali utili sono stati spesi per finalità istituzionali (presentando documenti di spesa, contratti per servizi ai soci, ecc.), giustificare le remunerazioni erogate (es. compensi sportivi nei limiti di legge o rimborsi spesa con pezze giustificative). Inoltre, verificare se l’ufficio ha rispettato le procedure: ad esempio, per revocare il regime 398/91 occorreva contestare il venir meno dei requisiti soggettivi/oggettivi; assicurarsi che tale contestazione sia formalmente motivata nell’atto. Un cavillo potrebbe essere il termine di decadenza: se l’ufficio recupera IVA di anni remoti basandosi su presunta decadenza dal regime, bisogna controllare ogni annualità (magari alcune annualità più vecchie sono ormai decadute e si possono espungere dal conteggio).

Va aggiunto che dal 2024-2025 entrerà a regime la Riforma del Terzo Settore: molte associazioni dovranno adeguarsi a nuovi schemi fiscali. In questa fase transitoria, qualche incertezza interpretativa c’è stata (ad esempio su quali proventi rimangono decommercializzati fino al via del Runts e quali no). Se l’accertamento verte su annualità di “passaggio” normativo, l’ente potrebbe invocare l’obiettiva incertezza come esimente sanzionatoria. Ad ogni modo, la difesa migliore è quella preventiva: mantenere la contabilità separata per attività istituzionale e commerciale, in modo da poter dimostrare in accertamento la distinzione (art. 144 TUIR impone contabilità separata agli enti non commerciali che fanno anche attività commerciale).

Compensi “in nero” a collaboratori e personale

Descrizione: gli organizzatori di eventi spesso si avvalgono di numerose figure (musicisti, tecnici audio, camerieri per catering, hostess, istruttori sportivi, etc.). Talvolta, per risparmiare, vengono retribuite fuori busta e senza formalizzare i rapporti. Questo implica due aspetti fiscali: (a) l’organizzatore non ha operato le ritenute fiscali dovute su tali compensi, violando gli obblighi da sostituto d’imposta; (b) i costi relativi non sono stati registrati in contabilità (o sono stati celati), per cui da un lato l’ufficio potrebbe contestare l’indebita deduzione di costi non documentati, dall’altro, paradossalmente, il contribuente potrebbe non aver neppure dedotto nulla (se i pagamenti in nero erano alimentati da ricavi in nero). In sostanza, i pagamenti in nero emergono solitamente a seguito di verifiche sul personale durante l’evento (es. la Guardia di Finanza identifica personale non contrattualizzato durante un controllo) oppure tramite testimonianze/denunce di ex collaboratori.

Conseguenze: Sul piano fiscale, il datore di lavoro che non ha operato ritenute d’acconto sui compensi dovrà versare le ritenute omesse, generalmente pari all’IRPEF non trattenuta al collaboratore, con sanzione del 20% di tali importi (art. 14 D.Lgs. 471/97) oltre interessi. Se il collaboratore non ha a sua volta dichiarato il compenso (cosa probabile, essendo in nero), il Fisco recupererà imposta sia presso il collaboratore che, in solido, presso il sostituto d’imposta inadempiente. Inoltre, l’organizzatore potrebbe vedersi contestare l’indeducibilità di quei costi: in principio, un costo non documentato non è deducibile dal reddito d’impresa. Tuttavia, come visto, se si arriva a determinare induttivamente i ricavi, la Cassazione riconosce che bisogna tener conto anche dei relativi costi “occulti” se provati . Ad esempio, in un accertamento induttivo a una società, la Corte ha affermato che le retribuzioni pagate in nero ai dipendenti devono essere dedotte qualora ne risulti prova certa, altrimenti si tasserebbe un reddito maggiore di quello effettivo . Dunque il Fisco non può ignorare i costi del lavoro nero se essi emergono chiaramente. In pratica, l’ufficio potrebbe: ricostruire i maggiori ricavi non dichiarati dall’evento (supponiamo 100) e rilevare pagamenti in nero per compensi pari a 30; a quel punto, se i 30 sono provati, dovrà tassare un utile netto di 70 (100-30) ai fini delle imposte sui redditi, pur sanzionando la mancata documentazione. Questo equilibrio è frutto di pronunce come Cass. n. 24957/2018 e altre, che hanno portato il legislatore a modificare il TUIR in tal senso.

Oltre alle imposte dirette, c’è l’IVA: se i compensi in nero erano, poniamo, prestazioni di lavoro autonomo occasionale, non c’è IVA su di essi; se erano invece forniture di servizi da parte di un soggetto che avrebbe dovuto emettere fattura con IVA, allora c’è anche IVA evasa (ma spesso il lavoratore in nero è una persona fisica senza Partita IVA, quindi l’IVA non c’entra). Non dimentichiamo poi il profilo previdenziale: l’INPS può esigere i contributi non versati per quei lavoratori, e l’Ispettorato del Lavoro applicare sanzioni molto salate per lavoro sommerso. Tali questioni esulano dal contenzioso tributario stretto, ma fanno parte del rischio complessivo.

Difesa del contribuente: Se l’accertamento fiscale include rilievi sui lavoratori in nero, il contribuente dovrà tenere distinte le due battaglie: una per le ritenute e l’indeducibilità, l’altra (eventuale) in ambito lavoristico. Sul fronte tributario, conviene, se possibile, regolarizzare retroattivamente i compensi: ad esempio, prima che arrivi l’atto finale, si potrebbero predisporre certificazioni uniche tardive e versare (ravvedendo) le ritenute non fatte, per mostrare collaborazione e ridurre le sanzioni. In giudizio, una linea difensiva è contestare l’entità dei compensi attribuiti in nero: spesso l’ufficio si basa su dichiarazioni o appunti senza riscontri oggettivi. Il contribuente può eccepire la carenza di prova certa su quegli importi. Se un collaboratore asserisce di aver ricevuto €5.000 in contanti ma non ci sono documenti né risorse finanziarie tracciate a supporto, si può sostenere che la cifra sia gonfiata o indimostrata. Anche qui, l’assenza di contraddittorio endoprocedimentale può essere invocata: ad esempio, se l’ufficio non ha mai condiviso col contribuente le dichiarazioni dei lavoratori per permettergli di replicare, c’è una violazione del diritto di difesa.

Un’altra difesa è sul piano penale-tributario: se il Fisco qualifica i pagamenti in nero come “dichiarazione fraudolenta mediante documenti falsi” o altre ipotesi penali (può capitare se hanno usato fatture false per creare fondi neri), l’esito penale potrebbe influenzare la pretesa tributaria. Ma in contenzioso tributario normalmente ci si limita agli aspetti amministrativi.

Infine, per mitigare le conseguenze economiche, il contribuente dovrà far leva proprio su quel principio di deducibilità dei costi in nero. Portare in Commissione Tributaria elementi certi (es. chat, email, elenchi di personale, testimonianze scritte dei lavoratori stessi che confermano di aver ricevuto X euro) può convincere i giudici a riconoscere in deduzione tali importi, riducendo il reddito imponibile accertato . Questo non evita la sanzione per violazione formale (costo non documentato), ma evita la “tassazione sul lordo” che sarebbe iniqua.

Altre irregolarità e violazioni comuni

Oltre a quelle elencate, si possono citare altre contestazioni che, pur meno frequenti, compaiono negli accertamenti collegati a eventi:

  • Indebita detrazione IVA su costi evento personali: se l’organizzatore è un’azienda, potrebbe aver portato in detrazione IVA e dedotto costi relativi a eventi che in realtà avevano una finalità personale o di rappresentanza non ammessa. Esempio: un imprenditore scarica le spese per il matrimonio del figlio spacciandolo per evento aziendale promozionale. Il Fisco rettificherà l’IVA detratta (sanzione 90% dell’IVA indebitamente detratta, art. 6 co.6 D.Lgs. 471/97) e contesterà la non inerenza dei costi ai fini reddituali (costi esclusi con sanzione 10% per dichiarazione infedele). La difesa qui consiste nel dimostrare l’inerenza dell’evento all’attività d’impresa o, se ciò è impossibile, cercare un accordo in adesione per ridurre le sanzioni.
  • Compensi agli artisti esteri non soggetti a ritenuta: se si pagano artisti stranieri per performance in Italia, bisogna applicare la ritenuta fiscale sui compensi lordi (salvo convenzioni internazionali). Omettere tale ritenuta è un’infrazione (simile al lavoro nero locale). L’Agenzia, in sede di verifica, può chiedere conto anche delle posizioni estere. La difesa potrebbe invocare convenzioni contro le doppie imposizioni (magari l’artista già tassato nel suo Paese) e l’ignoranza scusabile se la norma era poco nota, cercando almeno di evitare la sanzione.
  • Omessa installazione misuratori fiscali e registro dei corrispettivi: se l’evento rientrava tra quelli con obbligo di biglietteria automatizzata e l’organizzatore non l’ha fatto, oltre alle sanzioni su singoli corrispettivi c’è una violazione dell’obbligo strumentale. La sanzione è prevista dall’art. 11 D.Lgs. 471/97 (violazioni formali che incidono su obblighi contabili) e può essere contestata cumulativamente. Difendersi è difficile perché l’omissione è oggettiva; tuttavia, se l’evento era di piccola portata o l’obbligo non chiaro, si può chiedere clemenza (magari invocando l’art. 12 D.Lgs. 472/97 per unificare più violazioni in continuazione).
  • Violazioni relative agli sponsor e barter: negli eventi sponsorizzati, talvolta parte dei pagamenti avviene con permute (barter) o con prestazioni in natura. Se non gestite bene, l’ufficio potrebbe contestare la mancata fatturazione di prestazioni di sponsorizzazione. Ad esempio, se un’azienda fornisce materiale in cambio di visibilità all’evento, andrebbe emessa fattura da entrambe le parti per il valore normale dello scambio. Spesso ciò non avviene e l’Agenzia rileva ricavi in nero (il valore della sponsorizzazione non fatturata). La difesa consisterà nel sostenere che non c’era un obbligo sinallagmatico di eguale valore (dimostrando che il materiale fornito era una liberalità, oppure valutando il valore della controprestazione pubblicitaria in misura minore).

Abbiamo così passato in rassegna le violazioni più comuni. Nel prossimo capitolo analizzeremo come si svolge la procedura di accertamento fiscale, ovvero quali sono i passi che portano da un controllo su un evento all’emissione di un avviso di accertamento, e quali diritti spettano al contribuente in questa fase cruciale.

Procedura di accertamento fiscale per gli eventi

Quando l’Amministrazione finanziaria mette nel mirino un evento o un organizzatore, l’attività di controllo può prendere diverse forme. Comprendere come si svolge l’accertamento è essenziale per potersi difendere: ogni fase ha le sue regole e tempistiche, e conoscerle permette di far valere i propri diritti (ad esempio chiedere un contraddittorio, produrre documenti, ecc.).

In generale, possiamo distinguere due macro-tipologie di accertamento fiscale:

  • Accertamento “a tavolino”: l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate effettua controlli incrociati o riceve segnalazioni (ad es. dati SIAE, denunce, anomalie dai modelli ISA) e, senza una verifica fisica sul posto, emette questionari o direttamente un avviso di accertamento. Questo capita, ad esempio, se la SIAE comunica che per un dato concerto sono stati emessi 5.000 biglietti da €20, ma l’organizzatore in dichiarazione ha indicato incassi per soli €50.000 (invece di €100.000). L’ufficio in tal caso ha già evidenze documentali per agire.
  • Accesso, ispezione e verifica (accertamento “sul campo”): la Guardia di Finanza o funzionari AE si recano durante l’evento o presso la sede dell’organizzatore per svolgere un controllo approfondito. Possono ispezionare i luoghi, identificare il personale, contare gli incassi, acquisire documenti contabili. Spesso, per eventi di una certa rilevanza, la GdF invia militari in borghese tra il pubblico per verificare se i biglietti vengono staccati regolarmente, oppure effettua controlli al botteghino. Se emergono irregolarità sostanziali, al termine dell’accesso viene redatto un Processo Verbale di Constatazione (PVC), che riepiloga i fatti accertati e le norme violate.

Vediamo le fasi salienti di un accertamento fiscale tipico:

Accesso e verifica fiscale durante l’evento

Quando la Guardia di Finanza interviene su un evento in corso, agisce in base all’art. 52 DPR 633/72 (poteri di accesso per IVA) e analoghe norme per imposte dirette. Possono accedere a locali aperti al pubblico liberamente (un concerto, una fiera), e chiedere esibizione di documenti al responsabile. Ad esempio, i militari possono chiedere di vedere la stampa del misuratore fiscale con il totale biglietti emessi fino a quel momento, oppure il registro degli operatori presenti. È importante sapere che, in questa fase, il contribuente ha alcuni diritti tutelati dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000): se l’accesso è presso la sede del contribuente (ad es. l’ufficio dell’organizzatore o il magazzino dove sono custoditi i biglietti), i funzionari devono esibire autorizzazione e rispettare orari di accesso (non possono iniziare prima delle 7 né protrarre la permanenza oltre l’orario di chiusura, salvo casi urgenti); inoltre, a fine accesso, hanno l’obbligo di redigere un verbale di giornata da far sottoscrivere al contribuente.

Durante la verifica, il contribuente (o il suo rappresentante) deve collaborare, ma anche può far mettere a verbale dichiarazioni a suo favore. Ad esempio, se i verificatori riscontrano 10 addetti senza contratto, il rappresentante potrebbe dichiarare che si trattava di volontari non retribuiti e che fornirà successivamente prova dei rimborsi spese. Tali dichiarazioni saranno utili poi.

Processo Verbale di Constatazione (PVC)

Nelle verifiche approfondite, specialmente se svolte dalla Guardia di Finanza, al termine dell’attività ispettiva viene rilasciato un PVC. Questo documento elenca in dettaglio le violazioni constatate: per ogni rilievo riporta i fatti (es. “Tizio e Caio svolgevano mansioni di steward senza contratto, come da loro ammissione”) e le norme fiscali violate (es. “art. 2 DPR 600/73 – imposta sul reddito non dichiarata per lavoro dipendente; art. 25 DPR 600/73 – omessa effettuazione ritenute”). È cruciale leggere attentamente il PVC: esso costituisce la base dell’avviso di accertamento che seguirà. Il contribuente ha 60 giorni di tempo dalla notifica del PVC per presentare osservazioni e richieste (art. 12, c.7 L. 212/2000) prima che l’ufficio emetta l’atto impositivo . Questo termine dilatorio è previsto dallo Statuto del Contribuente per garantire il contraddittorio: in pratica, l’Agenzia delle Entrate (diversa dalla GdF che ha redatto il PVC) dovrebbe valutare le memorie difensive del contribuente e, se fondate, modificare o archiviare le contestazioni. Importante: l’ufficio non può emettere l’avviso di accertamento prima che siano trascorsi 60 giorni dalla consegna del PVC, a meno che vi sia particolari urgenze (ad esempio pericolo per la riscossione). Un avviso emesso prematuramente è nullo per violazione del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio. Questo principio, dapprima elaborato dalla giurisprudenza, è oggi normato e pacifico .

Nella prassi attuale, l’Agenzia delle Entrate, ricevuto il PVC, di solito invita il contribuente a comparire per un “contraddittorio” (può farlo informalmente o tramite invito ex art. 5-ter D.Lgs. 218/97, di cui parliamo sotto) durante quei 60 giorni, per discutere i rilievi. Se il contribuente invia memorie scritte, l’ufficio è tenuto a valutarle e a dar conto, nell’eventuale avviso, delle ragioni per cui le ha respinte (o accolte in parte). Ad esempio, se nel PVC c’erano 5 rilievi e il contribuente ne ha confutati 2 con prove, l’avviso potrebbe uscire con soli 3 rilievi residui – oppure contenere una motivazione dettagliata sul perché le prove fornite non sono state ritenute idonee.

Invito al contraddittorio obbligatorio (art. 5-ter D.Lgs. 218/97)

Dal 1° luglio 2020, la normativa ha introdotto in via generale l’obbligo per l’Agenzia delle Entrate di invitare il contribuente a un contraddittorio prima di emettere l’avviso di accertamento, per la generalità dei tributi erariali . In altre parole, anche al di fuori dei casi di PVC della Guardia di Finanza, se l’ufficio intende emettere un avviso per IRPEF, IRES, IVA, IRAP, ecc., deve prima mandare un “invito a comparire” al contribuente, avvisandolo delle maggiori imposte che pensa di accertare e dandogli possibilità di discussione. Fanno eccezione solo alcune ipotesi: gli accertamenti parziali (cioè atti parziali su singole questioni, spesso emessi d’urgenza), gli accertamenti derivanti da adesione a tutoraggi o da ruling e i casi di particolare urgenza motivata (ad esempio rischio di fuga del contribuente) . Se l’ufficio non formula l’invito quando avrebbe dovuto, l’avviso successivo è affetto da un vizio che la legge definisce annullabile su eccezione del contribuente, a condizione che questi dimostri in giudizio la concreta lesione del diritto di difesa (la cosiddetta “prova di resistenza”) . In pratica, il contribuente che impugna un avviso emesso senza contraddittorio dovuto deve anche indicare quali argomenti avrebbe potuto far valere se fosse stato sentito, altrimenti la nullità potrebbe non essere accolta. Comunque, la tendenza è di considerare l’omesso invito un vizio grave. Sul punto, ricordiamo che prima del 2020 la Cassazione aveva stabilito l’obbligo di contraddittorio preventivo solo per i tributi armonizzati (IVA) per effetto del diritto UE, mentre per gli altri tributi valeva solo se espressamente previsto . Con la norma del 2020, l’obbligo è stato generalizzato internamente.

Nel contesto pratico: se l’associazione Beta riceve un invito al contraddittorio il 1 marzo 2025 con cui l’Agenzia le contesta €30.000 di IVA evasa e €20.000 di IRES, Beta ha di norma 15 giorni (il termine è indicato nell’invito) per presentarsi o inviare memorie. Durante l’incontro (che è facoltativo per Beta, ma fortemente consigliato), potrà fornire chiarimenti, produrre documenti e magari cercare un accordo. Se la questione è semplice, l’ufficio potrebbe concludere lì stesso un accordo di adesione rideterminando l’imponibile (vedi infra accertamento con adesione). Se non si trova accordo, l’ufficio trascorsi i 60 giorni dall’invito (questo termine specifico non è fisso come per il PVC, ma in genere l’ufficio aspetta un tempo congruo o la data fissata per l’incontro) emetterà l’avviso di accertamento. Nell’avviso dovrà dare conto dell’esito del contraddittorio: ad esempio “il contribuente non si è presentato” oppure “a seguito del contraddittorio, si ridetermina l’IVA evasa in €25.000 tenuto conto delle fatture esibite” . La presenza di questo passaggio procedimentale è oggi un diritto del contribuente e uno strumento deflattivo (cioè volto a evitare il contenzioso). L’Agenzia stessa, in una circolare del 2020, ha evidenziato che l’esito del contraddittorio deve confluire nella motivazione dell’atto impositivo .

Per collegare questo istituto al nostro tema: immaginiamo che dall’analisi dei movimenti bancari l’AE sospetti che in un evento siano stati incassati più soldi di quelli registrati. Prima di lanciare un’accusa diretta, manda un invito al contribuente per spiegare le anomalie. Il contribuente a quel punto può anticipare chiarimenti (es. “Quei versamenti in conto non erano incassi di biglietti, ma donazioni di sponsor già tassate separatamente” mostrando prove). Spesso questo stadio consente di ridurre drasticamente l’entità dell’accertamento futuro. Non ignorare mai un invito al contraddittorio: l’assenza ingiustificata viene vista male dall’ufficio e poi anche dal giudice, e fa perdere l’occasione di risolvere prima.

Notifica dell’Avviso di Accertamento

Superate le fasi preparatorie (PVC e/o invito), l’Agenzia delle Entrate adotta l’Avviso di Accertamento, un atto formale scritto che contiene: i dati del contribuente, le imposte e sanzioni richieste, la motivazione (cioè i fatti contestati e le norme applicate) e l’“intimazione ad adempiere”. Dal 2011 infatti l’avviso di accertamento emesso dall’AE è divenuto esecutivo: ciò significa che non è solo un accertamento di imposta, ma anche un titolo esecutivo per la riscossione coattiva. In concreto, l’atto ingiunge al contribuente di pagare le somme entro il termine per presentare ricorso (60 giorni), decorsi i quali, anche se si fa ricorso, l’Ente può attivare la riscossione di una parte delle somme. Più precisamente, se il contribuente non paga né impugna entro 60 giorni, l’accertamento diventa definitivo ed Equitalia (ora Agenzia Entrate Riscossione) procede con cartella o attività di recupero. Se invece il contribuente propone ricorso, l’accertamento diventa comunque esecutivo per un terzo delle imposte accertate (al netto di interessi e senza considerare le sanzioni in questa fase) . Dunque, pendente il giudizio di primo grado, l’Agenzia può riscuotere il 33% circa del tributo. Se poi il Fisco vince in primo grado, può riscuotere altri due terzi della parte contestata (arrivando quindi a 100% del tributo, mentre le sanzioni restano sospese fino a giudizio definitivo). Se invece il contribuente vince, ovviamente la riscossione viene sospesa e quello già pagato va eventualmente restituito.

Questi meccanismi implicano che l’avviso di accertamento deve chiaramente indicare le somme dovute e la loro ripartizione. È prassi che l’atto includa un prospetto con imposte, sanzioni, interessi e importi da pagare in via provvisoria. Ad esempio: “Totale accertato: imposta €10.000, sanzioni €6.000, interessi €500 – Importo da versare entro 60 giorni per definizione agevolata €12.000 (pari a imposta + sanzione ridotta a 1/3); importo da versare in caso di ricorso €3.333 (pari ad un terzo dell’imposta)”.

La notifica dell’avviso deve avvenire con le forme degli atti tributari (di solito via PEC per i soggetti con domicilio digitale, o tramite raccomandata/ufficiale giudiziario). Se l’organizzatore è una società, arriverà alla PEC aziendale; se è un privato/associazione, alla PEC se nota oppure cartacea al domicilio fiscale. La data di notifica è cruciale perché da lì decorrono i 60 giorni per il ricorso.

Diritti del contribuente sull’avviso: ha diritto a ricevere un atto motivato e chiaro. Se mancano gli elementi essenziali (ad esempio non c’è spiegazione del perché deve quella cifra, oppure l’atto non è sottoscritto da funzionario competente), potrà impugnarlo per vizi formali. Inoltre, l’avviso deve rispettare i termini di decadenza (5 o 7 anni come detto): riceverlo oltre tale termine è motivo di nullità. Il contribuente ha anche diritto, su richiesta, di accedere agli atti dell’ufficio che hanno portato all’accertamento (ad es. verbali interni, documenti terzi): questo aiuta a preparare la difesa.

Una volta notificato l’atto, entriamo nella fase pre-contenziosa vera e propria: il contribuente può decidere se pagare (totalmente o parzialmente sfruttando qualche definizione agevolata) oppure se attivare strumenti di definizione pre-contenziosa (adesione) o infine se presentare ricorso. Nel prossimo capitolo tratteremo proprio gli strumenti a disposizione prima del processo per ridurre o evitare la lite, e successivamente affronteremo il contenzioso vero e proprio.

Difesa nella fase pre-contenziosa

La fase pre-contenziosa è quella che va dalla notifica (o dalla conoscenza) delle contestazioni fiscali fino all’eventuale proposizione del ricorso in Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). In questo periodo, il contribuente ha diverse opzioni difensive e di definizione da valutare, che possono evitargli un lungo processo o quantomeno ridurre il costo delle sanzioni. Esaminiamo i principali strumenti di difesa “anticipata” dal punto di vista del contribuente/organizzatore di eventi:

Contraddittorio endoprocedimentale e memorie difensive

Come già accennato, uno dei primi terreni di difesa è il contraddittorio prima dell’emissione dell’atto. Se c’è stato un PVC della Guardia di Finanza, è fondamentale inviare entro 60 giorni all’ufficio osservazioni scritte punto per punto . Queste memorie possono essere redatte anche con l’ausilio di un professionista (avvocato tributarista, commercialista) e dovrebbero allegare eventuali prove sopraggiunte. Ad esempio, se nel PVC viene contestato un maggiore incasso stimato perché “mancano riscontri dei biglietti omaggio”, nelle osservazioni si potrebbe allegare un elenco nominativo degli invitati gratuiti con le relative dichiarazioni. L’ufficio ha il dovere di esaminarle e, se decide di non accoglierle, ciò dovrà risultare nell’avviso (che quindi non potrà essere una copia pedissequa del PVC senza considerazione delle difese, pena difetto di motivazione).

Allo stesso modo, se si è ricevuto un invito al contraddittorio ex art.5-ter, partecipare attivamente è un modo di difendersi: si può convincere l’ufficio a rimodulare l’accertamento. In certi casi l’invito può sfociare in un vero e proprio accordo di adesione (vedi oltre). Anche senza accordo, le deduzioni presentate restano agli atti e potranno essere valorizzate in un successivo ricorso se ignorate.

In sintesi: non rimanere inerti in fase pre-accertativa. Il silenzio del contribuente di fronte alle contestazioni preliminari raramente giova; al contrario, fornire spiegazioni già allora può evitare errori grossolani (ad es. l’ufficio potrebbe eliminare un rilievo se capisce di aver interpretato male un dato). Inoltre, il contribuente collaborativo può in sede contenziosa dimostrare di aver tenuto un comportamento leale, il che talora influisce nella valutazione delle spese di giudizio o nell’applicazione di riduzioni sanzionatorie.

Accertamento con adesione (definizione concordata)

L’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) è uno strumento che consente al contribuente e all’ufficio di “negoziare” il contenuto dell’accertamento, evitando la lite in tribunale. Può avvenire su iniziativa dell’ufficio (invito all’adesione) oppure, più comunemente, su istanza del contribuente dopo aver ricevuto un avviso di accertamento. In quest’ultimo caso, il contribuente presenta un’istanza di accertamento con adesione entro il termine per ricorrere (60 giorni), la quale comporta la sospensione automatica di detto termine per 90 giorni . Durante questi 90 giorni, si svolge il contraddittorio con l’ufficio per cercare un accordo.

Vantaggi dell’adesione: Se si raggiunge l’accordo (formalizzato in un atto di adesione), le sanzioni sono ridotte a 1/3 del minimo previsto . Ciò significa un abbattimento di due terzi delle sanzioni. Inoltre, di norma l’ufficio tende a venire incontro su alcuni numeri (talvolta taglia gli imponibili contestati in cambio della definizione). Il contribuente può anche ottenere un piano di rateazione delle somme dovute in adesione (fino a 8 rate trimestrali, 16 se importo elevato). L’adesione evita il contenzioso e cristallizza la pretesa nei termini concordati, precludendo futuri ripensamenti dell’ufficio sugli stessi periodi e materie.

Svantaggi e attenzione: Firmando l’adesione, il contribuente rinuncia al ricorso e concorda di pagare quanto pattuito. Se poi non paga, quelle somme diventano immediatamente riscuotibili e difficilmente contestabili. Quindi, aderire ha senso quando: si riconosce almeno in parte il debito fiscale e si vuole ottenere uno sconto sanzioni; oppure quando il rischio in giudizio è percepito come troppo alto e conviene chiudere.

Nel caso di un organizzatore di eventi, l’adesione potrebbe essere l’occasione per ridurre alcune voci contestate. Ad esempio, a seguito di discussione, l’ufficio potrebbe riconoscere alcuni costi in più (riducendo il reddito accertato) o riclassificare una parte di incasso come non imponibile. Anche per questioni giuridiche l’adesione può servire: se c’è dubbio su un’aliquota IVA applicabile, si può trovare un compromesso (p.es. l’ufficio rinuncia alle sanzioni se il contribuente versa la differenza d’imposta contestata).

Procedura pratica: una volta ricevuto l’avviso di accertamento, il contribuente invia l’istanza di adesione all’ufficio competente (indicando eventualmente già quali aspetti intende discutere). L’ufficio lo convocherà (di solito entro 1-2 mesi) per un incontro. Possono esserci più incontri o scambi scritti. Se ci si accorda, viene redatto un atto di adesione con i nuovi importi dovuti e la firma di entrambe le parti. Da quella firma decorrono 20 giorni per pagare la prima rata o l’intero dovuto. Se non si paga, l’adesione perde efficacia e l’originario avviso (con le sue sanzioni più alte) torna valido. Quindi va affrontata con la seria intenzione di rispettarla.

Nel contesto pre-contenzioso tributario attuale, l’adesione è molto utilizzata. Si consideri che, venendo meno dal 2024 la mediazione obbligatoria per le liti minori, il legislatore punta a rafforzare strumenti come l’adesione e la conciliazione . In effetti, l’adesione rappresenta la sede naturale per risolvere le liti di piccola-media entità prima del giudizio.

Acquiescenza e definizione agevolata dell’atto

L’acquiescenza è un’altra opzione: consiste nel non impugnare l’avviso di accertamento e pagare le somme entro 60 giorni, beneficiando così di una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (un terzo) . In pratica è simile all’adesione come effetto sanzionatorio, ma senza contrattazione: il contribuente accetta integralmente l’atto. Conviene utilizzarla quando l’accertamento è chiaramente fondato e non c’è margine di trattativa, oppure quando l’ufficio ha già applicato sanzioni minime e non è disposto a sconti ulteriori. Ad esempio, se l’avviso conteneva una sanzione di €1.500 (minimo edittale) e le prove del Fisco sono schiaccianti, fare ricorso porterebbe solo ulteriori spese: con acquiescenza si pagherebbe solo €500 di sanzione (un terzo) oltre all’imposta.

Per fruire dell’acquiescenza il pagamento (o la prima rata) dev’essere effettuato entro i 60 giorni dalla notifica dell’atto, e in caso di rateazione non sono ammesse più di 8 rate. È importante che non sia già stato presentato ricorso. Se si presenta ricorso, l’acquiescenza non è più ammessa.

Nel 2023-2024 vi sono state alcune definizioni agevolate speciali (c.d. “tregua fiscale”) previste dal legislatore: ad esempio, la possibilità di definire gli avvisi di accertamento pendenti al 1° gennaio 2023 con sanzioni ridotte al 3% (un’adesione agevolata straordinaria) e la possibilità di definire le liti fiscali pendenti con lo Stato mediante pagamento ridotto. Queste misure eccezionali, se disponibili, vanno valutate caso per caso. Nell’ambito del nostro discorso, supponiamo che per un accertamento su un evento ricevuto nel 2025 non vi sia una norma speciale “di condono” (essendo misure una tantum). Tuttavia, è bene che il contribuente tenga sempre d’occhio eventuali opportunità normative: se il legislatore offre la chance di chiudere il debito con una frazione delle sanzioni o degli importi, potrebbe essere conveniente approfittarne, specie quando la difesa nel merito è debole.

Autotutela

L’autotutela è il potere/dovere della Pubblica Amministrazione di correggere o annullare i propri atti errati, anche al di fuori del contenzioso. Dal lato pratico, per il contribuente significa: può presentare in qualsiasi momento (anche dopo i 60 giorni, anche dopo aver pagato) un’istanza all’ufficio chiedendo l’annullamento totale o parziale dell’accertamento, indicando gli errori rilevati. Ad esempio: “Chiedo annullamento in autotutela dell’avviso X perché risulta un evidente errore di calcolo – l’IVA dovuta era €1.000, ma è stata indicata come €10.000 per un refuso.” Oppure: “perché è stata applicata due volte la stessa sanzione”. L’ufficio non è obbligato ad accogliere l’autotutela, e il rigetto (anche tacito) non è impugnabile dal contribuente. Dunque, l’autotutela non è una via di difesa “garantita”, ma in casi di errore palese può risolvere il problema rapidamente. Spesso si usa l’autotutela combinata con altri percorsi: ad esempio, se si fa ricorso, si può comunque chiedere in autotutela all’ufficio di rivedere la propria posizione, magari alla luce di nuovi documenti emersi.

Nei contenziosi su eventi, l’autotutela è stata utilizzata per esempio quando il Fisco attribuiva all’ente l’organizzazione di un evento in realtà svolto da un soggetto diverso (scambio di codice fiscale), oppure quando l’ufficio non era a conoscenza di un provvedimento di esenzione ottenuto dall’organizzatore. Presentando tali evidenze, l’ufficio potrebbe riconoscere l’errore e annullare l’atto, evitando la causa.

Bisogna segnalare che dal 2022 è stato istituito il “Tutore del Contribuente” (figura potenziata rispetto al vecchio Garante): questo organo può intervenire su istanza del contribuente per sollecitare l’autotutela in caso di atti chiaramente illegittimi o errori dell’Agenzia. È un ulteriore canale, sebbene anch’esso non vincolante.

Sospensione della riscossione

Un aspetto pre-contenzioso cruciale, dal punto di vista del debitore, è evitare di dover pagare somme contestate prima della fine del processo. Abbiamo visto che l’avviso esecutivo permette all’AE Riscossione di chiedere 1/3 del tributo dopo 60 giorni. Se il contribuente non vuole (o non può) pagarlo, e ritiene di avere ragione nel merito, deve chiedere una sospensione. Ci sono due tipi:

  • Sospensione amministrativa (in autotutela): può chiederla all’ente impositore (Agenzia Entrate) motivando che la pretesa è erronea e causerebbe un danno grave a pagare subito. L’Agenzia raramente la concede, se non in casi di errori evidenti o su invito del giudice tributario.
  • Sospensione giudiziale: dopo aver depositato ricorso in Commissione Tributaria, il contribuente può presentare un’istanza di sospensione al Presidente della sezione, dimostrando il fumus boni iuris (cioè che il ricorso non è pretestuoso ma ha fondamento) e il periculum in mora (cioè che l’esecuzione dell’atto gli causerebbe un danno grave e irreparabile, ad esempio difficoltà economica severa). La Corte di Giustizia Tributaria fissa in tempi brevi (15-30 giorni) un’udienza camerale per decidere sulla sospensiva. Se la concede, la riscossione è bloccata fino alla decisione di merito in primo grado. Se la nega, il Fisco può procedere.

Per un organizzatore di eventi, la sospensiva può essere vitale: si pensi a un’associazione piccola a cui vengono chiesti 50.000€ – pagarli subito la porterebbe al fallimento. In istanza si allegheranno bilanci, situazione finanziaria, e magari l’assenza di patrimoni aggredibili (così da convincere che l’esecuzione forzata sarebbe inutile crudeltà). Il fumus va argomentato in base alle ragioni del ricorso (che vedremo nel prossimo capitolo, relativo al contenzioso).

Riassumendo la fase pre-contenziosa: il contribuente ha un ventaglio di possibilità – contestare nel merito le pretese già in sede di contraddittorio, cercare un accordo tramite adesione, accettare e pagare con sconto, oppure prepararsi alla battaglia legale chiedendo intanto di congelare la riscossione. Non esiste una risposta valida per tutti: dipende dalla bontà delle proprie ragioni, dall’ammontare in gioco e dalla capacità finanziaria. Un principio però è chiaro: prima si interviene, meglio è. È preferibile risolvere un accertamento in sede amministrativa che trascinarsi per anni in tribunale, se ciò è possibile a condizioni eque.

Nel prossimo capitolo entreremo nella fase contenziosa, ovvero come impostare il ricorso e affrontare il processo tributario qualora non si sia chiusa la partita prima.

Il contenzioso tributario: ricorso contro l’accertamento

Quando la definizione bonaria non è possibile o non soddisfa il contribuente, l’ultima via di difesa è il ricorso al giudice tributario. In Italia la giustizia tributaria si articola su due gradi di merito (primo e secondo grado) più l’eventuale ricorso per Cassazione sulla legittimità. Dal 2023, per effetto della riforma (L. 130/2022), le Commissioni Tributarie sono state rinominate Corti di Giustizia Tributaria: di primo grado (ex CTP) e di secondo grado (ex CTR). Il funzionamento, però, rimane simile al passato con alcune importanti novità che vedremo.

Di seguito spieghiamo i punti essenziali per un organizzatore di eventi che voglia impugnare un avviso di accertamento.

Termini e modalità per presentare ricorso

Il ricorso va notificato all’ente impositore (Agenzia Entrate) entro 60 giorni dalla data di notifica dell’atto impugnato (accertamento, provvedimento di diniego, ecc.). Attenzione: se si è presentata istanza di adesione, i 60 giorni sono sospesi e riprendono a decorrere dopo i 90 giorni (o dalla data di chiusura anticipata negativa dell’adesione). Quindi in quel caso si avrà più tempo. Dal 2024, con l’abrogazione del reclamo-mediazione , non è più necessario per le controversie di valore fino a €50.000 presentare prima un reclamo e attendere 90 giorni: si può proporre subito ricorso. Ciò semplifica e unifica la procedura.

Il ricorso si predispone per iscritto, a firma del contribuente o del suo difensore abilitato (per valori oltre €3.000 è necessario il difensore tecnico – solitamente avvocato o commercialista abilitato). Nel ricorso devono essere indicati: l’atto impugnato, l’ufficio che lo ha emesso, i motivi di fatto e di diritto per cui si chiede l’annullamento (o riforma) dell’atto, l’eventuale richiesta di sospensione, e infine il petitum (es. “annullare l’avviso, in via subordinata ridurre le sanzioni…”).

Dal 1° luglio 2019 il processo tributario è telematico: il ricorso si notifica preferibilmente via PEC all’indirizzo PEC ufficiale dell’AE (indicata sull’atto). In mancanza, si può consegnare a mano o spedire per raccomandata alla Direzione provinciale. Dopo la notifica, entro 30 giorni il ricorso va depositato (sempre telematicamente, sul portale della Giustizia Tributaria) assieme alla ricevuta di avvenuta notifica. Contestualmente o prima, va pagato il contributo unificato previsto (variabile secondo il valore della lite).

Per i soggetti non dotati di PEC, dal 2023 è stata introdotta la possibilità di fare il ricorso direttamente tramite un portale internet (“Giustizia Tributaria online”) senza necessità di notifica a mezzo PEC: ma si tratta di tecnicismi oltre lo scopo di questa guida. Diciamo in generale che chi è assistito da un difensore userà senz’altro il canale telematico classico.

Una novità della riforma è che le controversie di modico valore possono essere decise da un giudice monocratico invece che da un collegio. Dal 2023 la soglia era €3.000, poi elevata a €5.000 per i ricorsi notificati dal 1° luglio 2023 . Ciò significa che, per esempio, se l’accertamento contesta €4.000 complessivi, il processo in primo grado potrebbe vedere un unico giudice decidere, con procedure più snelle. Questo però non incide sulle azioni da intraprendere dal lato del contribuente, se non per il fatto che le sentenze monocratiche di primo grado non sono appellabili sulle sole questioni di fatto (si può solo ricorrere in Cassazione per violazioni di diritto). Ma questo è un tecnicismo: per importi così piccoli spesso conviene valutare se fare ricorso o definire prima.

Svolgimento del giudizio di primo grado

Presentato il ricorso, l’Agenzia delle Entrate costituisce il proprio difensore (interno) depositando controdeduzioni scritte. Successivamente il processo può avere una fase di trattativa anche in giudizio (vedi conciliazione più avanti) oppure andare a sentenza. Nel contenzioso tributario vige il principio dispositivo con il limite delle prove legali: significa che le parti portano le prove, ma alcune prove sono pre-costituite per legge (ad esempio, i verbali della GdF fanno fede fino a querela di falso per i fatti constatati direttamente). Fino al 2022 c’era un limite forte: non era ammessa la prova testimoniale. La riforma del 2022 ha parzialmente rimosso questo divieto, introducendo la possibilità di una testimonianza scritta su autorizzazione del giudice . In sostanza, ora il contribuente può chiedere al giudice di ammettere dichiarazioni testimonali rese per iscritto da terzi, se ritiene di non poter provare altrimenti certi fatti. Questo è rilevante in casi come i nostri, dove spesso le uniche prove di un fatto (es: “quei 50 ingressi erano invitati non paganti”) sono testimonianze. Prima non c’era modo di farle valere se non portando i testimoni in penale; ora c’è uno spiraglio per valorizzarle anche nel processo tributario . La testimonianza orale diretta in udienza rimane tendenzialmente esclusa, tranne casi eccezionali, ma la versione scritta giurata è permessa. Va detto che questa norma è nuova e i giudici la applicano con prudenza: serve dimostrare che senza quella testimonianza non si può decidere con equità.

Durante il giudizio, se emergono possibilità di accordo, si può attivare la conciliazione giudiziale: fino a pochi anni fa era su istanza di parte, ora anche il giudice può farsi promotore di una proposta conciliativa . La conciliazione in primo grado comporta sanzioni ridotte al 40% del minimo (ancor più favorevole dell’adesione amministrativa) e spese processuali ridotte. Nel nostro contesto: se durante il processo l’AE riconosce che aveva esagerato e il contribuente è disposto a pagare qualcosa, il giudice può proporre di chiudere lì la lite, ad esempio dimezzando le sanzioni. Con D.Lgs. 130/2022 è stato incentivato l’uso di questo strumento, che rimane però volontario.

Infine, si giunge alla sentenza di primo grado. Il giudice decide confermando l’atto, annullandolo (in tutto o in parte) o ricalcolando diversamente. Ad esempio, potrebbe annullare per vizi procedurali (omessa motivazione, mancato contraddittorio) – il che risolve la lite per quell’atto, ma l’ufficio potrebbe eventualmente reiterare l’accertamento sanando i vizi se i termini lo consentono. Oppure il giudice entra nel merito e accerta che, poniamo, i ricavi evasi furono 50 e non 100, quindi riduce imposta e sanzioni proporzionalmente. La sentenza è esecutiva: ciò significa che se c’è da pagare, va pagato (salvo chiedere eventualmente in appello un’altra sospensiva).

Appello in secondo grado

Se il contribuente (o l’ufficio) soccombe in primo grado, può presentare appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado). L’appello è un riesame completo del merito, salvo le limitazioni su quelle monocratiche piccole. In appello, la legge 130/2022 prevede che il giudice sia sempre collegiale (3 giudici) e consente la conciliazione con sanzioni ridotte al 50% del minimo . Non entriamo oltre nei dettagli del secondo grado, se non per dire che – dal punto di vista del contribuente – conviene vincere in primo grado, perché in appello se vinci in primo grado l’ufficio per appellare deve versare un “fuoriuscita” pari al 50% delle imposte contestate (una sorta di deposito cauzionale). Viceversa, se si perde in primo grado e si fa appello, si deve pagare comunque quanto dovuto salvo chiederne la sospensione al giudice d’appello (è possibile, ma serve convincere che si ribalterà il risultato).

Ricorso per Cassazione

Dopo l’appello, l’ultima possibilità è la Corte di Cassazione, se ci sono motivi di legittimità (errori di diritto o vizi di motivazione gravi). In Cassazione non si rivedono i fatti, quindi se la questione è se Tizio avesse incassato 10 o 20, quello finisce in appello. In Cassazione magari ci va la questione giuridica: ad esempio “il giudice di appello non ha considerato che l’atto era nullo per difetto di motivazione”, oppure “ha male applicato l’art. 148 TUIR”. La Cassazione in materia tributaria è molto attiva e ha prodotto negli anni principi importanti (molti citati in questa guida). Tuttavia, è bene essere consapevoli che arrivare in Cassazione significa spesso attendere molti anni e spendere molto in onorari e contributi unificati più alti. Per importi modesti conviene chiudere prima.

Strategie difensive in giudizio

Nella predisposizione del ricorso e durante il processo, l’organizzatore di eventi dovrà adottare strategie su due fronti: vizi formali/procedurali e contestazione nel merito.

Sul fronte dei vizi formali (o vizi di legittimità dell’atto) si annoverano: difetto di motivazione (se l’atto non spiega adeguatamente l’origine della pretesa), violazione del contraddittorio (come detto, omesso contraddittorio obbligatorio rende l’atto annullabile ), notifica invalida (se l’atto non è stato notificato correttamente, es. a soggetto non legittimato), incompetenza dell’ufficio (rara, ma se un ufficio territoriale ha emesso atto fuori zona). Questi motivi “procedurali” talvolta consentono di vincere senza entrare nel merito della questione fiscale. Ad esempio, Cassazione n. 12268/2021 ha affermato la nullità di un accertamento IVA a tavolino emesso senza contraddittorio, sancendo che l’assenza di invito partecipativo quando dovuto non è sanata nemmeno dalla partecipazione al successivo giudizio . Anche sul piano della motivazione, la Corte richiede che l’avviso dia conto delle ragioni e non si limiti a copiaincollare il PVC: se le deduzioni del contribuente in sede precontenziosa non sono minimamente considerate nell’atto, ciò può costituire un vizio.

È importante sottolineare: non tutti i vizi formali portano ad annullamento totale. Ad esempio, la mancata redazione del PVC giornaliero (art. 12 Statuto) durante un accesso non sempre invalida l’atto finale se non c’è prova di lesione. Viceversa, la Cassazione ha stabilito che la violazione del termine di 60 giorni post-PVC comporta annullamento dell’atto, ma solo se il contribuente ha effettivamente inviato osservazioni entro quel termine (cioè ha utilizzato quel tempo per difendersi) . Se è rimasto inerte, alcuni giudici potrebbero considerarlo un vizio sanabile.

Sul fronte del merito, la difesa consisterà nel smontare le presunzioni e ricostruzioni dell’ufficio e nel presentare una diversa ricostruzione più aderente al vero. Ciò può richiedere consulenze tecniche (ad es. una perizia contabile che rifaccia i conti degli incassi in base ai documenti), testimonianze come visto, documenti terzi (ad es. estratti conto bancari per dimostrare che certi versamenti non erano ricavi ma girofondi). Nel merito, i principi spesso richiamati sono: onere della prova e gravità-concordanza delle presunzioni. Il contribuente ribadirà che l’ufficio non ha offerto prove sufficienti, oppure che egli ha fornito controprove non confutate. Esempio: se contestano 100 ingressi fantasma basandosi sulla capienza del locale, il contribuente può portare il registro sicurezza che mostra che mai più di 300 persone erano presenti contemporaneamente, quindi l’assunto del tutto esaurito è infondato. Se contestano compensi in nero perché Tizio lo ha dichiarato, il contribuente potrebbe portare Caio e Sempronio che negano di aver ricevuto pagamenti analoghi, mettendo in dubbio l’attendibilità della sola testimonianza isolata di Tizio (si valutano indizi concordanti, appunto). La Commissione valuterà secondo il libero convincimento del giudice, e in questo la qualità e coerenza dei documenti presentati è essenziale.

Una strategia difensiva specifica per eventi è quella di evidenziare l’esistenza di pratiche diffuse e tollerate, non per giustificare l’evasione ma per mitigare le sanzioni. Per esempio, se un’associazione è caduta in errore su un adempimento complesso (diciamo, l’IVA per un’attività secondaria di intrattenimento), si potrà sostenere che la normativa era incerta e che l’ente si è attenuto a interpretazioni di categoria (magari esibendo circolari associative o pareri). L’obiettivo qui è ottenere almeno la non applicazione di sanzioni per obiettiva incertezza normativa . Tale esimente non è facile da far valere, ma se la questione fiscale era dubbia anche tra addetti ai lavori, può riuscire.

Infine, il difensore valuterà se sollevare questioni di legittimità costituzionale o eccezioni di diritto UE. Ad esempio, anni fa alcune difese eccepirono l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 c.2 D.Lgs. 471/97 (sospensione licenza per mancati scontrini) per violazione di libertà di iniziativa economica; oppure la contrarietà al diritto UE di certe sanzioni IVA. Nello specifico del nostro tema, non paiono emergere profili fortemente incostituzionali nelle norme applicate (a parte il passato obbligo di mediazione, già dichiarato incostituzionale nel 2014 ). Comunque, è un’arma che i legali tengono in riserva per casi estremi.

In conclusione, la fase contenziosa è tecnica e impegnativa, ma spesso – soprattutto per contestazioni di importo elevato o principi importanti – è l’unica via per ottenere giustizia. Molte volte gli uffici, sapendo di dover difendere la propria tesi davanti a giudici terzi, diventano più ragionevoli e si arriva a soluzioni di compromesso (conciliazione). L’importante per il contribuente è arrivare preparato, con tutta la documentazione in ordine, una linea argomentativa coerente e supportata da riferimenti normativi e giurisprudenziali. La presenza di precedenti giurisprudenziali simili vinti dal contribuente può essere decisiva: ad esempio citare una Cassazione che ha annullato un accertamento per situazione analoga dà autorevolezza alle tesi difensive (pur non essendo vincolante formalmente per il giudice di merito). In questa guida ne abbiamo richiamate diverse che, all’occorrenza, potranno essere utilizzate in casi pratici.

Passiamo ora a qualche simulazione pratica e a una sezione di domande e risposte, per fissare gli aspetti più operativi dal punto di vista del contribuente.

Esempi pratici e simulazioni

Per comprendere meglio come applicare i concetti esposti, esaminiamo alcuni scenari ipotetici di accertamenti fiscali nel mondo degli eventi, con indicazione di possibili difese:

Esempio 1: Concerto musicale di un’associazione culturale

  • Scenario: L’Associazione “MusicArte” (ente culturale senza scopo di lucro) organizza un concerto aperto al pubblico. Incassa €50.000 da vendita di biglietti. Non avendo partita IVA, tratta l’evento come istituzionale e non versa IVA, ritenendo i proventi decommercializzati. Successivamente riceve un accertamento: l’Agenzia contesta IVA evasa al 22% sui €50.000 (ritenendo non applicabile il 10% perché secondo l’ufficio non era un concerto ma “intrattenimento”) e requalifica i €50.000 come redditi commerciali dell’associazione tassandoli (IRES e IRAP). Sanzioni per omessa dichiarazione e omesso versamento IVA oltre €20.000.
  • Difesa: L’Associazione potrà sostenere che si trattava effettivamente di concerto dal vivo con caratteristiche culturali quindi l’IVA semmai dovuta sarebbe stata al 10%, non al 22%. Presenterà il programma dell’evento, dal quale risulta che erano concerti vocali e strumentali in auditorium, rientranti nel n.123 Tab.A Parte III DPR 633/72 . Inoltre, cercherà di dimostrare la natura istituzionale dell’evento: ad esempio che il concerto rientrava nelle finalità statutarie (promozione della musica classica), che molti spettatori erano soci o invitati, e che eventuali utili sono stati reinvestiti in attività culturali. Porterà verbali e bilanci a riprova. In subordine, se la pretesa IVA appare fondata (evento aperto indiscriminatamente), potrà chiedere l’adesione per ridurre le sanzioni e negoziare l’importo: magari concordando l’IVA al 10% su base imponibile ridotta (ipotizzando alcuni ingressi gratuiti documentati). Sul piano formale, verificherà se l’ufficio ha inviato l’invito al contraddittorio: se mancato, eccepirà la nullità dell’atto . L’associazione punterà molto sull’assenza di dolo: dichiarerà di aver agito convinta (erroneamente) dell’esclusione IVA grazie ad un parere ricevuto (se lo ha) o comunque per incertezza normativa. Ciò per chiedere clemenza sulle sanzioni.
  • Esito ipotetico: In adesione, l’ufficio potrebbe accettare l’aliquota 10% (IVA dovuta €5.000) e magari ridurre il reddito imponibile a €40.000 (riconoscendo €10k di costi organizzativi anche se non documentati), con sanzioni ridotte ad 1/3. L’associazione pagherebbe così, ad esempio, €5.000 IVA + €2.000 IRES + €(sanzioni ridotte) e si chiuderebbe la questione, tornando in regola per il futuro aprendo posizione IVA.

Esempio 2: Evento sportivo con compensi in nero

  • Scenario: Un ASD sportiva organizza un torneo di calcetto amatoriale a pagamento. Incasso quote iscrizione: €15.000. Per gestire l’evento si avvale di 5 arbitri e 3 addetti, pagati in contanti (compensi totali €4.000, ciascuno sotto i €1.000). L’ASD in dichiarazione (regime 398) dichiara i €15.000 come proventi commerciali forfettariamente tassati, ma non menziona i pagamenti ai collaboratori (che considera “rimborsi spese”). Dopo un controllo, emergono testimonianze di un arbitro scontento che mostra una ricevuta firmata “per compenso €800”. L’AE contesta: lavoro nero, omessa ritenuta su €4.000, indeducibilità del costo e inoltre ipotizza che l’ASD, pagando arbitri, abbia distribuito utili (violazione scopo non lucrativo) per cui avvia revoca benefici legge 398 e tassazione ordinaria.
  • Difesa: L’ASD innanzitutto evidenzierà che i compensi arbitrali sportivi dilettantistici fino a €10.000 annui per percipiente sono esenti da IRPEF (art. 67, co.1, lett.m TUIR). Quindi non c’era intento evasivo: gli arbitri erano nei limiti, tant’è che lo stesso arbitro non avrebbe dovuto pagare tasse su €800. Al più, l’ASD ha commesso irregolarità formali nel non emettere ricevute e non comunicare quei compensi. Si offre di regolarizzare con certificazioni. Sul piano della revoca regime 398: l’ASD difende che pagare arbitri non è distribuzione utili ai soci, ma spesa inerente all’evento (arbitri non soci). Mostrerà che, al netto di quei costi, non vi è utile ingiustificato. Proverà pure che i dirigenti non hanno percepito nulla. Insomma, contesterà fermamente l’idea di natura commerciale per questo. L’ASD ammetterà di non aver formalizzato i rapporti di collaborazione, impegnandosi a farlo in futuro, e potrebbe proporre in adesione il pagamento di una sanzione minima per le ritenute non operate (pur tecnicamente non dovute per esenzione) per chiudere la parte ritenute, chiedendo di non toccare il regime agevolato. Alternativamente, se l’ufficio è rigido, l’ASD in contenzioso punterà su onere della prova: l’AE deve provare che l’associazione perseguiva scopi di lucro; un singolo episodio di compenso in nero non può automaticamente implicare scopo di lucro, specie se modesto e speso per l’evento. Richiamerà giurisprudenza sulla necessità di pluralità di indizi gravi per revocare lo status (vedi Cass. 19775/2025). Farà testimoniare (per iscritto) i partecipanti su come i fondi siano stati usati (premi, rimborso campi, arbitri) e niente sia finito ai soci.
  • Esito ipotetico: L’ufficio potrebbe, fiutando la difficoltà di far decadere il regime per così poco, accettare una conciliazione: l’ASD versa magari €500 di sanzioni per le ritenute e riconosce il costo dei compensi (quindi nessun maggiore reddito tassato), l’IVA non essendo in gioco in regime 398 (o se in gioco, trascurabile). Regime 398 confermato. L’ASD esce con ammonimento a essere più regolare in futuro.

Esempio 3: Società di event planning e fatture omesse

  • Scenario: La Eventi Srl organizza matrimoni ed eventi aziendali. In un anno realizza 10 grandi eventi. Da un controllo bancario, l’Agenzia scopre che per 2 di questi la Srl ha ricevuto pagamenti extra (fuori fattura) dai clienti per un totale di €30.000. Inoltre, trova che la Srl ha dedotto costi con fatture per servizi di catering inesistenti (fornitore fittizio) per €15.000, allo scopo di abbattere l’utile. L’accertamento contesta quindi: ricavi non dichiarati €30.000 + costi indeducibili €15.000 = maggior reddito €45.000, con IVA evasa sui €30.000. Sanzioni per infedele dichiarazione (90%) e per detrazione IVA su fatture false (punita col 90% dell’IVA indebita). Possibile notizia di reato per utilizzo di fatture false.
  • Difesa: La Srl, colta in fallo grave (fatture false sono difficilmente giustificabili), punterà magari a limitare i danni. Se ha elementi per contestare qualcuno dei rilievi, lo farà: ad es. su €30.000 non fatturati, se ha la possibilità di dire che una parte era finanziamento soci e non ricavo, lo tenterà con documenti. Ma ipotizziamo siano effettivamente ricavi in nero. Sul costo fittizio, la Srl potrebbe “cedere” ammettendo quel punto e concentrarsi sui ricavi: magari sostenendo che quei €30.000 non erano tutti ricavi soggetti a IVA (es. un cliente estero che pagò extra non per servizio ma come rimborso spese anticipate dall’agenzia, quindi non imponibile). Si cercherà insomma di riclassificare alcune voci per ridurre IVA dovuta. Inoltre, verrà fatto notare che la Srl ha comunque sostenuto costi in nero (per realizzare quegli extra servizi) e quindi, per il principio dei costi certi anche se non contabilizzati , si dovrebbero dedurre. Se la GdF ha trovato evidenza di pagamenti a personale extra per quei eventi, li quantificherà e la Srl li rivendicherà a riduzione del nero.

Dal punto di vista procedurale, la Srl guarderà alla possibilità di patteggiare: potrebbe proporre un accordo di adesione prima che scatti la denuncia penale (sul penale: se l’imposta evasa > 100k, c’è reato; diciamo che €30k IVA e imposte dirette su €45k reddito potrebbero stare sotto soglia penale, quindi forse reato solo per uso fatture false). L’adesione anche parziale può essere argomento in sede penale per mostrare ravvedimento. La Srl calcola anche che in giudizio difficilmente potrebbe vincere su elementi così concreti (movimenti bancari e false fatture sono prove solide). Quindi la strategia è transattiva: sfruttare l’adesione per avere sanzioni 1/3 e rateazione. Eventualmente aderire su tutto per chiudere.

  • Esito ipotetico: L’Agenzia accetta adesione chiedendo tutto il maggior imponibile €45k tassato, IVA sui €30k, ma scontando sanzioni al minimo 1/3. La Srl paga (magari in 8 rate) e parallelamente spera in un uso procedura penale di estinzione del reato tributario (se dovuto). Il contenzioso viene evitato, visto il caso sfavorevole.

Ogni caso reale avrà le sue peculiarità, ma questi esempi mostrano come l’analisi accurata delle circostanze e l’utilizzo dei vari istituti (adesione, conciliazione, ecc.) possano portare a esiti meno traumatici anche quando le violazioni ci sono state. Naturalmente, il risultato ideale è prevenire tali situazioni con una gestione fiscale corretta sin dall’inizio. Nell’ultima sezione affronteremo alcune domande frequenti per riepilogare i punti chiave in forma di Q&A.

Domande frequenti (FAQ)

  • D: Cosa si intende esattamente per “accertamento fiscale” a carico di un organizzatore di eventi?
    R: L’accertamento fiscale è il procedimento attraverso cui l’Amministrazione finanziaria (Agenzia Entrate e Guardia di Finanza) verifica la corretta dichiarazione e il corretto pagamento delle imposte. Nel contesto di eventi, significa che il Fisco controlla i ricavi derivanti dall’evento (biglietti, sponsor, contributi) e i costi dichiarati, per assicurarsi che l’organizzatore abbia emesso documenti fiscali per gli incassi e dichiarato il reddito imponibile conseguente, versando IVA, imposte sui redditi e ritenute dovute. Se riscontra irregolarità (es. ricavi non dichiarati, IVA evasa, lavoratori in nero, ecc.), l’ufficio emette un avviso di accertamento, che è l’atto formale con cui richiede le maggiori imposte, sanzioni e interessi. In sintesi, l’accertamento è la “contestazione ufficiale” di evasione o violazioni fiscali relative all’evento, che può nascere a seguito di un controllo sul campo o di verifiche a tavolino.
  • D: Quali sono le violazioni fiscali più comuni riscontrate negli eventi e come il Fisco le scopre?
    R: Le violazioni più comuni sono: mancata emissione di fatture/ricevute (non vengono documentati tutti gli incassi, così da occultare ricavi e IVA); omessa dichiarazione di parte dei ricavi (dichiarazioni dei redditi infedeli, sottostimando gli introiti dell’evento); errata applicazione dell’IVA (es. eventi trattati come esenti o con IVA minore quando non spettava); utilizzo indebito di agevolazioni associative (associazione che di fatto fa attività commerciale approfittando del regime non profit); pagamento in nero di collaboratori (senza ritenute né contributi). Il Fisco scopre queste violazioni incrociando dati e con controlli diretti. Ad esempio, può inviare verificatori all’evento (Guardia di Finanza in borghese) che verificano se ogni spettatore ha il biglietto fiscale; oppure, a posteriori, confrontare i dati SIAE sui biglietti emessi con quanto dichiarato ai fini IVA . Spesso utilizza anche le indagini finanziarie: analizza i conti correnti dell’organizzatore per trovare versamenti non giustificati o pagamenti a collaboratori non registrati. Anche le segnalazioni anonime o di ex collaboratori possono far partire l’accertamento. Un altro strumento sono gli indici di affidabilità (ISA): se un’impresa di eventi dichiara redditi troppo bassi rispetto allo standard del settore, può scattare un controllo. In sintesi, incassi non fatturati e lavoro irregolare tendono a lasciare tracce (disallineamenti contabili, movimenti bancari anomali, foto o notizie sull’affluenza all’evento non coerenti con gli incassi dichiarati) che mettono il Fisco in allarme.
  • D: Un’associazione culturale o sportiva che organizza eventi può davvero essere tassata come un’azienda commerciale? In quali casi succede?
    R: Sì, se l’associazione non rispetta i limiti imposti per restare “ente non commerciale”, il Fisco può riqualificarla come soggetto commerciale (anche solo per singole attività). I casi tipici sono: quando l’associazione svolge attività verso non soci in modo continuativo e prevalente (es. apre al pubblico eventi dietro pagamento, di fatto operando come impresa di spettacoli); quando distribuisce utili ai soci o amministratori, anche indirettamente (compensi ingiustificati, rimborsi spese esagerati, ecc.); quando manca totalmente la vita associativa interna (assemblee, democraticità) ed è gestita come un’azienda di famiglia . La Cassazione ha confermato che non basta avere uno statuto “perfetto” se poi l’operatività è lucrativa . In pratica, se un’associazione presenta le stesse caratteristiche di un’attività profit – ad esempio una finta ASD che gestisce eventi sportivi aperti a tutti e remunera i soci come fossero imprenditori – l’Agenzia delle Entrate può: negarle le agevolazioni fiscali (decommercializzazione, forfetari) e tassare tutti i proventi al pari di un’impresa (IVA sulle quote pagate dai finti soci-clienti, IRES sui profitti, ecc.) . Non è automatico: serve che il Fisco provi elementi concreti di scopo di lucro. Tuttavia, negli ultimi anni i controlli su associazioni e ASD “mascherate” sono aumentati e le Corti spesso hanno dato ragione al Fisco quando emergeva un uso strumentale della veste associativa . Per contro, un’associazione che mantiene effettivamente natura non lucrativa (attività principalmente verso soci, niente utili a privati) non verrà tassata come azienda, pur potendo subire accertamenti su singole irregolarità (es. errore IVA su un evento aperto a terzi, limitatamente a quel fatto).
  • D: Durante un controllo fiscale, quali diritti ha il contribuente (organizzatore)?
    R: Il contribuente ha una serie di diritti sanciti dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) e dalle leggi di procedura. In fase di verifica sul posto, ad esempio, ha diritto a ricevere copia del verbale di accesso e a inserire proprie osservazioni o dichiarazioni a verbale. Se la verifica si protrae, ha diritto che non interferisca indebitamente con l’attività (i controlli vanno fatti entro certi orari, e se durano oltre 30 giorni devono essere motivati e autorizzati in estensione). Dopo la conclusione delle operazioni, ha diritto a 60 giorni per presentare memorie prima dell’accertamento (tranne urgenze). Soprattutto, oggi ha diritto quasi sempre ad essere invitato a un contraddittorio prima dell’emissione di un avviso di accertamento . Ha diritto di accesso agli atti amministrativi (può richiedere copia dei documenti raccolti dal Fisco che lo riguardano). Ha diritto a una motivazione chiara dell’eventuale avviso: l’atto deve spiegare su quali basi l’ufficio chiede più tasse (se ad esempio c’è un PVC, dev’essere allegato o richiamato). Inoltre, c’è il diritto alla tutela della riservatezza durante le verifiche: i verificatori non possono divulgare a terzi estranei le informazioni raccolte sull’attività del contribuente. Infine, in caso di controversia giudiziale, il contribuente ha diritto a non subire il pagamento integrale delle somme finché la causa non è finita: in prima battuta paga un terzo del tributo , e se ottiene la sospensione neanche quello, fino alla sentenza. Se vince, ha diritto al rimborso di quanto eventualmente versato in più e, di regola, al rimborso delle spese legali (salvo compensazione decisa dal giudice). Tutti questi diritti, se violati, possono costituire argomento di difesa (ad esempio la violazione del contraddittorio può portare ad annullare l’atto , così come la mancanza di motivazione).
  • D: Conviene aderire a un accertamento con adesione o fare ricorso?
    R: Dipende dal caso. L’accertamento con adesione conviene se il contribuente riconosce che almeno in parte il Fisco ha ragione e vuole limitare i danni (ottenendo sanzioni ridotte e magari limando qualche cifra). È utile anche quando si vuole evitare i costi e i tempi di un processo incerti. Ad esempio, se l’accertamento contesta €100k di imponibile e il contribuente stima che realisticamente potrebbe ridurli a €70k in giudizio, ma non è sicuro, potrebbe preferire un’adesione magari a €60-70k subito con sanzioni ridotte a 1/3 , chiudendo la vicenda. Il ricorso conviene quando si ritiene di avere validi motivi di difesa che l’ufficio non ha accolto e si confida di ottenere un annullamento o una forte riduzione dall’organo giudicante. Conviene anche quando in gioco c’è un principio importante o somme molto elevate dove vale la pena tentare tutte le carte. Va considerato che col ricorso si pagano comunque (salvo sospensioni) un terzo delle imposte subito e si affrontano spese legali; inoltre il processo può durare anni. Se l’accertamento presenta evidenti errori o arbitrii, il ricorso quasi certamente è la via da percorrere (difficilmente l’ufficio in adesione annullerà tutto a zero). In alcuni casi si può fare entrambe le cose sequenzialmente: ad esempio presentare ricorso (per bloccare termini) e nel frattempo trattare con conciliazione in primo grado – il che porta a un risultato simile all’adesione ma già in fase giudiziale, con sanzioni ridotte al 40% . In sintesi: adesione se vuoi patteggiare a condizioni favorevoli, ricorso se punti a far valere le tue ragioni fino in fondo. È sempre consigliabile farsi assistere da un esperto che valuti le probabilità di vittoria in giudizio rispetto alla proposta dell’ufficio: se l’ufficio, vedendo la tua difesa solida, propone un forte sconto in adesione, può essere segno che anche loro sanno che in giudizio potrebbero perdere, ma spetta a te soppesare il rischio.
  • D: Devo pagare subito le somme accertate? Cosa succede se non pago?
    R: Dopo la notifica dell’avviso di accertamento, hai 60 giorni per pagare spontaneamente. Se paghi entro 60 giorni senza fare ricorso, fruisci dell’acquiescenza con sanzioni ridotte a un terzo . Se non paghi entro 60 giorni né presenti ricorso, l’atto diventa definitivo: l’Agenzia Entrate invierà il carico ad Agenzia Riscossione, che potrà emettere una cartella o direttamente atti esecutivi (pignoramenti) per recuperare tutto il dovuto. Se presenti ricorso, il pagamento immediato non è dovuto interamente, ma la legge prevede che diventi esigibile intanto un importo pari al 1/3 delle imposte accertate (senza sanzioni) decorso il termine dei 60 giorni . In pratica, l’Agenzia Entrate Riscossione potrebbe richiederti quel 33% durante la pendenza del giudizio (ti arriverà una cartella di pagamento “provvisoria”). Tuttavia, puoi evitare di pagare chiedendo al giudice tributario la sospensione della riscossione: se la ottieni, nessuna somma sarà dovuta finché non arriva la sentenza di primo grado. Se non la chiedi o non viene concessa, rischi che inizino azioni di recupero per quel terzo (pignoramento di conti, fermi auto, etc.). Dopo la sentenza di primo grado, se ancora la controversia continua, le somme esigibili aumentano: in caso di condanna del contribuente, diventa dovuto circa il 50-66% (dipende) del tributo complessivo. In caso di vittoria del contribuente, tutto sospeso (e se aveva pagato il terzo, glielo devono restituire). Quindi, riassumendo: pagare subito conviene solo se si accetta l’atto (magari per sanzioni ridotte); se si fa ricorso, c’è comunque da gestire il pagamento provvisorio di 1/3, richiedendo la sospensiva se pagarlo creerebbe danno. Se non paghi neanche il terzo e niente sospensiva, l’Esattore può procedere forzosamente, ma non può aggredire più di quel limite mentre pende il giudizio (il resto è “congelato” fino a esito). Attenzione però: interessi e aggio maturano sulle somme sospese se poi dovute, quindi a volte pagare e poi eventualmente farsi restituire può essere meno oneroso che attendere con interessi.
  • D: Quali sanzioni rischia un organizzatore se non emette fattura o non dichiara i compensi?
    R: Le sanzioni amministrative principali sono: per omessa fatturazione/certificazione dei corrispettivi – multa dal 90% al 180% dell’imposta (IVA) relativa all’importo non documentato, con minimo €500 per ciascuna operazione (art. 6 D.Lgs. 471/97) . Quindi, se non fatturi €10.000 + IVA, rischi €2.200 (22% IVA) * 100% = €2.200 di sanzione per l’IVA evasa (più ovviamente devi versare l’IVA stessa). Se non dichiari ricavi ai fini delle imposte sui redditi: sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta evasa (art. 1, c.2) e se ometti proprio la dichiarazione la forchetta sale al 120%-240% dell’imposta dovuta (art. 1, c.1) oltre a €250 minimo. Ci sono poi le sanzioni per violazioni specifiche: omessa presentazione della dichiarazione IVA – 120% dell’IVA dovuta (min €500). Omesso versamento di ritenute – 20% di quanto non trattenuto o versato (art. 14). Detrazione IVA su fatture false – 90% dell’IVA indebita (art. 6, co.6). Oltre alle sanzioni “pecuniarie”, ci sono sanzioni accessorie: ad esempio, se ometti lo scontrino 4 volte in 5 anni, rischi la chiusura temporanea dell’attività da 3 giorni a 1 mese . In casi gravi può arrivare a 2 mesi. E poi c’è il capitolo penale: se l’IVA evasa > €50.000 o l’imposta sui redditi evasa > €100.000, scatta il reato di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione con possibili condanne (fino a 3 anni infedele, fino a 5 anni omessa). Se si usano fatture false o si tengono doppie scritture per evadere, sono reati più gravi (fino a 6-8 anni). Quindi i rischi vanno dalla multa finanziaria significativa alla chiusura dell’attività fino, nei casi estremi, a procedimenti penali. Per gli enti non profit, la “sanzione” indiretta è perdere le agevolazioni e dover pagare tasse come una società, cosa che può mettere in crisi l’ente. Va detto che esistono possibilità di attenuazione: pagando spontaneamente (ravvedimento) le sanzioni si riducono molto; definendo in adesione o conciliazione si riducono a 1/3 o 40%; se l’errore è scusabile e non c’è danno erariale (ad es. versamento IVA tardivo di poco) alcune sanzioni possono essere ridotte o annullate. Ma nei casi di evasione volontaria consistente, si va incontro a quanto sopra.
  • D: Ci sono differenze nella difesa se l’organizzatore è una persona fisica, una società o un’associazione?
    R: Le regole procedurali di accertamento e ricorso valgono per tutti. Le differenze sono più che altro nei profili sostanziali: una persona fisica può al limite sostenere che l’evento era attività occasionale (se sporadico) e quindi alcuni oneri fiscali (tipo aprire IVA) non erano dovuti, cosa che per una società non avrebbe senso (la società per definizione svolge attività d’impresa). Le società di capitali rispondono col proprio patrimonio, ma se l’evasione è frutto di dolo amministratori potrebbero avere responsabilità (anche penale). Per le associazioni, come visto, c’è la peculiarità di dover provare la non commercialità per mantenere le agevolazioni . Proceduralmente, un’associazione non riconosciuta è assimilata a persona fisica (il legale rappresentante la rappresenta, ma l’atto è intestato all’associazione come ente). La persona fisica imprenditore (ditta individuale) e la società hanno anche l’IRAP (imposta regionale) se svolgono attività autonoma organizzata: quindi l’accertamento può comprendere IRAP, mentre un’associazione pure potrebbe vedersi accertare IRAP se attività commerciale abituale. La difesa in giudizio per le società di capitali va affidata a un professionista (sempre necessario oltre €3.000). Per le persone fisiche e associazioni sotto €3.000, teoricamente si può stare senza difensore. Ma in cause complesse come queste, è fortemente consigliato averne uno chiunque sia il soggetto. In sintesi: la strategia di difesa (negare i fatti vs. mediare vs. eccepire vizi) non dipende molto dalla forma giuridica, quanto dai contenuti. Un’associazione però avrà l’ulteriore carta della “mission” istituzionale da mettere avanti; una società punterà magari su argomenti più tecnico-contabili (costi, inerenza, bilanci), e una persona fisica sul carattere eventualmente non professionale dell’evento (se è una tantum, potrebbe dire che non era obbligato ad aprire P.IVA e l’attività non era d’impresa).
  • D: Un collaboratore pagato “in nero” durante l’evento può causare problemi fiscali all’organizzatore?
    R: Sì. Se viene accertato che un collaboratore (es. cameriere, tecnico audio, artista) è stato pagato in nero, l’organizzatore subisce almeno due contestazioni: (1) omesso versamento di ritenute fiscali su quel compenso (perché il datore di lavoro doveva trattenergli l’IRPEF, salvo fosse esente, e versarla); (2) indebita deduzione del costo relativo, se l’organizzatore ha comunque sottratto dal reddito quell’importo pur non avendolo documentato (oppure se è emerso come costo occulto in sede di verifica induttiva). Inoltre, come accennato, se sono presenti più lavoratori in nero, c’è una maxi-sanzione amministrativa in ambito lavoro e obbligo di regolarizzazione (che non è tema tributario ma comunque un guaio). Dal punto di vista fiscale stretto: il Fisco quando scopre lavoro nero spesso presume che gli stipendi siano stati pagati con incassi in nero non dichiarati. Quindi il rischio è un effetto domino: scoperto 1.000 € pagato al lavoratore X, l’Agenzia ipotizza che quell’1.000 provenisse da ricavi non registrati, aumentando il reddito accertato. Oppure, come già detto, se in un accertamento sulle vendite l’organizzatore dice “sì non ho scontrinato 10.000 però 4.000 li ho dati ai lavoratori”, il Fisco inizialmente non li considera perché senza pezze giustificative, ma il contribuente deve insistere affinché siano dedotti (esibendo ogni possibile elemento di prova) . In ogni caso, la presenza di lavoro nero complica la difesa: occorre convincere che quei lavoratori magari rientravano in categorie esenti (sportivi dilettanti con compensi sotto soglia, volontari con solo rimborsi spese) per evitare le imposte sulle ritenute. Se non ci si riesce, l’organizzatore pagherà l’IRPEF non ritenuta come fosse sua, con sanzione 20%. E non potrà certo dedurre il costo ai fini IVA (non c’è fattura) né ai fini redditi salvo appunto la via delle presunzioni. Dunque sì, anche un singolo collaboratore in nero è fonte di problemi: tra l’altro potrebbe denunciare la cosa (specie se nascono contenziosi di lavoro), alimentando l’accertamento. Prevenire pagando tutto in modo tracciato e regolare è l’unica soluzione sicura.
  • D: Quali documenti e prove è bene conservare per difendersi in caso di controllo fiscale su un evento?
    R: È consigliabile conservare: la documentazione fiscale degli incassi (blocchetti di biglietti fiscali SIAE utilizzati, report del sistema di biglietteria, ricevute emesse, fatture emesse a sponsor o standisti). Questi servono a dimostrare quanti ingressi/pagamenti sono stati regolarmente dichiarati. Elenco dettagliato delle presenze all’evento, se possibile (numero di partecipanti paganti, eventuali ingressi gratuiti con nominativi o inviti stampati): tornano utili per giustificare eventuali differenze tra capienza e incassi (dimostrare che c’erano X invitati omaggio, ecc.). Contratti e corrispondenza con fornitori e sponsor: attestano i ricavi e i costi pattuiti. Ad esempio, un contratto di sponsorizzazione per €5.000 e la relativa fattura mostrano che nulla è stato pagato di più in nero. Quietanze di pagamento e movimenti bancari: tenere traccia dei pagamenti ricevuti (bonifici con causale evento) e di quelli effettuati ai fornitori/collaboratori. Se un pagamento avviene in contanti, far firmare una ricevuta al ricevente (specie collaboratore occasionale, usare moduli di ricevuta per prestazione occasionale con ritenuta se dovuta). Libro soci, verbali assemblee e bilanci (per associazioni): dimostrano la trasparenza gestionale e come sono state impiegate le somme incassate. Ad esempio un rendiconto dell’evento approvato dal direttivo con entrate e uscite. Materiale promozionale e logistico dell’evento (volantini, foto del pubblico, registro delle autorizzazioni di sicurezza, SIAE permessi): può sembrare strano, ma sapere esattamente quant’era la capienza autorizzata, quante sedie c’erano, aiuta a contestare eventuali presunzioni esagerate del Fisco. Pareri o interpelli: se ci si è avvalsi di consulenze o interpello all’Agenzia prima dell’evento su un trattamento fiscale (ad es. “questo evento rientra in esenzione?”) e la risposta è stata favorevole, conservarla è cruciale per opporla in caso di contestazione (fa prova di buona fede e tutela dall’applicazione di sanzioni, art. 10 Statuto Contribuente). In pratica, più documentazione c’è, meno margine ha il Fisco per presunzioni arbitrarie. Bisogna ragionare come un verificatore: cosa vorrei vedere per convincermi che tutto combacia? Ecco, avere già pronta quella documentazione è metà della difesa.

Conclusione: Accertamento fiscale a organizzatori di eventi: come difendersi è un tema complesso che richiede attenzione sia preventiva (compliance fiscale, corretta tenuta documenti) sia reattiva (uso accorto degli strumenti difensivi). Dal punto di vista del “debitore” contribuente, è fondamentale conoscere i propri diritti, saper leggere le mosse del Fisco e farsi assistere da consulenti esperti. Difendersi è possibile e spesso porta a ridurre sensibilmente l’onere, ma meglio ancora è evitare le violazioni: adottare la massima trasparenza nella gestione economica dell’evento, usare sistemi di biglietteria certificati, formalizzare i rapporti di lavoro e chiedere consulenza su inquadramenti fiscali dubbi. In tal modo, si potrà svolgere l’attività di organizzazione eventi con minori rischi e, in caso di controllo, si affronterà con la serenità di chi ha poco da nascondere e molto da dimostrare.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché, come organizzatore di eventi, ti vengono contestati ricavi non dichiarati o irregolarità fiscali? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché, come organizzatore di eventi, ti vengono contestati ricavi non dichiarati o irregolarità fiscali?
Vuoi sapere cosa rischi e come difenderti?

👉 Prima regola: dimostra la trasparenza dei contratti, la tracciabilità dei pagamenti e la regolarità della contabilità legata agli eventi organizzati.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Compensi incassati senza emissione di fattura o ricevuta;
  • Pagamenti in contanti non registrati;
  • Differenze tra i preventivi sottoscritti dai clienti e i ricavi dichiarati;
  • Costi per fornitori (location, catering, service audio-video, artisti) non documentati o ritenuti fittizi;
  • Presunzioni basate su foto, pubblicità o report di eventi che dimostrerebbero compensi maggiori di quelli dichiarati.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero a tassazione dei ricavi non dichiarati;
  • Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele;
  • Interessi di mora sulle somme accertate;
  • Rischio di contestazioni penali per occultamento di ricavi o utilizzo di fatture false;
  • Possibili segnalazioni alle autorità per violazioni legate al lavoro nero o alla sicurezza sul lavoro.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Tutti i contratti e i servizi offerti ai clienti erano regolarmente fatturati?
  • I pagamenti sono tracciati (bonifici, POS, assegni) o contestati perché in contanti?
  • Le differenze tra preventivi e incassi derivano da sconti, omaggi o rinunce?
  • I costi sostenuti per l’evento sono documentati e inerenti?
  • L’accertamento è fondato su prove certe o solo su presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti e preventivi firmati dai clienti;
  • Fatture emesse e ricevute dai fornitori;
  • Estratti conto bancari e movimenti tracciati;
  • Documentazione fotografica, programmi e materiali promozionali;
  • Dichiarazioni fiscali e bilanci.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la corretta emissione delle fatture e la tracciabilità dei pagamenti;
  • Contestare le presunzioni di ricavi occulti con prove documentali;
  • Evidenziare che eventuali differenze derivano da riduzioni di prezzo o costi effettivi;
  • Eccepire errori di calcolo o vizi di notifica dell’accertamento;
  • Richiedere annullamento in autotutela o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
  • Difesa penale mirata in caso di accuse di frode fiscale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la contabilità e i contratti legati agli eventi organizzati;
📌 Verifica la legittimità della contestazione e individua i punti deboli dell’accertamento;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei procedimenti davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione fiscale sicura e trasparente dell’attività di event planning.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e fiscalità di imprese e professionisti;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni di ricavi non dichiarati nel settore eventi;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Gli accertamenti fiscali agli organizzatori di eventi non sempre sono fondati: spesso si basano su presunzioni, errori di ricostruzione o incongruenze documentali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza della tua contabilità, evitare la riqualificazione come ricavi occulti e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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