Tutti I Rimedi E L’Assistenza Professionale Per Dichiarazione Redditi Esteri Infedele O Sbagliata

Hai presentato una dichiarazione dei redditi esteri infedele o sbagliata e ora rischi una contestazione dall’Agenzia delle Entrate? In questi casi, l’Ufficio presume che i redditi prodotti all’estero – come stipendi, dividendi, interessi, plusvalenze o affitti – non siano stati dichiarati correttamente in Italia, con conseguente evasione fiscale. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, sanzioni elevate, interessi e possibili contestazioni penali per dichiarazione infedele. Tuttavia, esistono rimedi per regolarizzare la posizione e strumenti difensivi per ridurre al minimo l’impatto economico e legale.

Quando si configura una dichiarazione dei redditi esteri infedele o sbagliata
– Se i redditi percepiti all’estero non sono stati dichiarati in Italia
– Se il quadro RW non è stato compilato correttamente per il monitoraggio delle attività finanziarie estere
– Se le convenzioni contro le doppie imposizioni non sono state applicate in modo corretto
– Se vi sono incongruenze tra accrediti bancari, certificazioni estere e dichiarazione italiana
– Se l’Ufficio presume che l’omissione sia stata volontaria e non un semplice errore

Conseguenze della dichiarazione infedele
– Recupero delle imposte non dichiarate in Italia
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme dovute
– Contestazione di violazioni sul monitoraggio fiscale (sanzioni fino al 30% delle attività non dichiarate)
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione

Come rimediare a una dichiarazione dei redditi esteri sbagliata
– Presentare una dichiarazione integrativa per correggere errori o omissioni
– Utilizzare l’istituto del ravvedimento operoso per ridurre sanzioni e interessi
– Dimostrare la corretta applicazione delle convenzioni internazionali per evitare doppia imposizione
– Documentare la natura e la provenienza dei redditi con certificazioni estere e report bancari
– Richiedere la rideterminazione delle imposte dovute con criteri più favorevoli
– In caso di contestazione già avviata, presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria

Il ruolo dell’avvocato nella difesa e nella regolarizzazione
– Analizzare la dichiarazione presentata e individuare gli errori o le omissioni
– Verificare la legittimità della contestazione e l’applicabilità delle convenzioni contro le doppie imposizioni
– Assistere il contribuente nella presentazione di dichiarazioni integrative e ravvedimenti operosi
– Predisporre un ricorso basato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere il cliente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale

Cosa puoi ottenere con una difesa e assistenza professionale efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni grazie al ravvedimento operoso o alla riqualificazione della violazione
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– La regolarizzazione della posizione fiscale con costi ridotti
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: i redditi esteri sono tra i più controllati dall’Agenzia delle Entrate grazie allo scambio automatico di informazioni tra Stati. È fondamentale correggere tempestivamente gli errori e predisporre una difesa tecnica ben documentata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscale internazionale – spiega tutti i rimedi e l’assistenza professionale disponibili in caso di dichiarazione dei redditi esteri infedele o sbagliata e come difendersi legalmente.

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Introduzione

Dichiarare correttamente i redditi esteri è un obbligo fondamentale per i contribuenti fiscalmente residenti in Italia, in virtù del principio della tassazione mondiale. Ciò significa che chi risiede in Italia è tenuto a dichiarare tutti i redditi ovunque prodotti (worldwide income), inclusi stipendi, pensioni, redditi finanziari o immobiliari percepiti all’estero . Tuttavia, può accadere che per errore, negligenza o scarsa conoscenza delle norme alcuni di questi redditi non vengano indicati nella dichiarazione dei redditi italiana, oppure che non vengano monitorate le attività finanziarie estere come richiesto (il cosiddetto Quadro RW). Una dichiarazione “infedele” o incompleta sui redditi esteri – o peggio, la totale omissione di tali redditi – espone il contribuente a conseguenze molto serie, sia sul piano amministrativo tributario (con recupero delle imposte evase, sanzioni pecuniarie elevate e interessi) sia, nei casi più gravi, sul piano penale (con l’eventuale configurazione di reati tributari come la dichiarazione infedele o l’omessa dichiarazione puniti con la reclusione) .

Dal punto di vista del contribuente (debitore) che si trova ad aver commesso un’irregolarità del genere, è fondamentale conoscere quali rimedi sono previsti dall’ordinamento per regolarizzare la propria posizione ed evitare il peggioramento delle sanzioni, e quale tipo di assistenza professionale (avvocati tributaristi, commercialisti esperti in fiscalità internazionale) può essere di aiuto nell’affrontare sia la regolarizzazione spontanea sia un eventuale accertamento fiscale o procedimento penale.

Struttura della guida: dapprima richiameremo brevemente gli obblighi dichiarativi sui redditi esteri e sul monitoraggio delle attività detenute all’estero, definendo cosa si intende per dichiarazione infedele od omissione. Seguirà l’analisi delle violazioni e relative sanzioni, distinguendo tra profili amministrativi (sanzioni pecuniarie tributarie) e penali (reati tributari). Verranno illustrate le opzioni di regolarizzazione volontaria, in primis il ravvedimento operoso, con i relativi benefici in termini di riduzione delle sanzioni e di non punibilità penale. Successivamente affronteremo il tema degli accertamenti fiscali in materia di redditi esteri non dichiarati – come si sviluppano, quali difese il contribuente può opporre e quali strumenti deflattivi (accordi, adesione, etc.) esistono – nonché le prospettive di contenzioso tributario qualora si arrivi davanti al giudice.

Verranno inserite tabelle riepilogative per confrontare le diverse misure sanzionatorie (ante e post riforma 2024; ravvedimento a seconda dei tempi; soglie penali, etc.) e forniremo alcune simulazioni pratiche su casi tipici (ad es. mancata dichiarazione di un conto estero, di un affitto di immobile estero, di dividendi esteri, ecc., e relative conseguenze e rimedi). Infine, una sezione in forma di domande e risposte (FAQ) affronterà i quesiti più comuni che privati, imprenditori e professionisti si pongono in questi frangenti – ad esempio: “Cosa rischio se mi accorgo di non aver dichiarato redditi esteri?”, “Come funziona il ravvedimento operoso nel concreto?”, “Posso evitare il carcere pagando le tasse dovute?”, “Devo dichiarare un conto estero su cui non maturano interessi?”, “Cosa fare se ricevo una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate?”, etc.

L’obiettivo è quello di fornire un quadro esaustivo e aggiornato di tutti i rimedi disponibili e delle strategie difensive, dal punto di vista del contribuente, per porre rimedio a una dichiarazione infedele o errata relativa a redditi esteri, minimizzando le sanzioni e gestendo al meglio i rapporti con il Fisco italiano. È bene sin da subito sottolineare che agire tempestivamente e proattivamente – ad esempio attraverso il ravvedimento operoso prima che inizino controlli – è quasi sempre la strada migliore per ridurre i danni, mentre l’inerzia o il tentativo di occultare ulteriormente la violazione può esporre a conseguenze ben più gravose . In ogni caso, affidarsi a professionisti esperti in diritto tributario internazionale è altamente consigliabile per valutare la situazione concreta, calcolare con esattezza imposte e sanzioni dovute e guidare il contribuente nell’intero percorso di regolarizzazione o difesa.

(Nelle sezioni seguenti faremo riferimento a norme del TUIR – DPR 917/1986, ai decreti legislativi sulle sanzioni tributarie D.Lgs. 471/1997 e sui reati tributari D.Lgs. 74/2000, alle circolari dell’Agenzia delle Entrate e alle sentenze di Cassazione. Tutte le fonti citate sono riportate per esteso nella sezione finale.)

Obblighi dichiarativi sui redditi esteri e monitoraggio fiscale

Principio della tassazione mondiale e obbligo di dichiarare i redditi esteri

In Italia vige il principio della tassazione sul reddito mondiale (worldwide taxation): ogni persona fisica o soggetto equiparato fiscalmente residente in Italia è tenuto a dichiarare al Fisco italiano tutti i redditi posseduti, ovunque prodotti nel mondo, salvo quanto eventualmente previsto dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni . La residenza fiscale, ai sensi dell’art. 2 del TUIR, ricorre per i soggetti che per la maggior parte dell’anno (almeno 183 giorni) risultano iscritti all’Anagrafe della popolazione residente oppure hanno in Italia il domicilio o la dimora abituale . Mantenere l’iscrizione anagrafica in Italia fa presumere la residenza fiscale italiana (presunzione legale relativa), il che implica che chi non si iscrive all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) dopo essersi trasferito fuori dal Paese sarà considerato residente fiscale in Italia, salvo prova contraria . Da inizio 2024 tale presunzione è stata ulteriormente rafforzata, rendendo l’iscrizione all’AIRE praticamente indispensabile per evitare contestazioni di residenza da parte del Fisco .

Per i soggetti considerati residenti in Italia, il reddito complessivo imponibile in Italia deve includere tutte le categorie di redditi, anche quelli prodotti oltreconfine. Ad esempio, un cittadino italiano residente che lavori alcuni mesi all’estero, senza trasferire la residenza fiscale, dovrà comunque dichiarare in Italia lo stipendio percepito in quel periodo all’estero ; parimenti, un imprenditore o investitore residente in Italia dovrà dichiarare utili o proventi generati da società estere controllate, i canoni di locazione di immobili situati all’estero, gli interessi maturati su conti bancari esteri, e così via . Questo principio è volto ad attuare l’art. 53 della Costituzione (capacità contributiva), evitando che chi vive in Italia sottragga al fisco i redditi solo perché ottenuti all’estero.

Naturalmente, per evitare la doppia imposizione internazionale (ossia che lo stesso reddito sia tassato due volte, sia dallo Stato estero della fonte sia dall’Italia in qualità di Stato di residenza), l’ordinamento prevede strumenti di sollievo. In primis, l’art. 165 TUIR riconosce un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo sui redditi anche tassati in Italia, fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa a quegli stessi redditi . Inoltre, l’Italia ha stipulato numerose Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (CDI), conformi al Modello OCSE, che stabiliscono criteri per ripartire la potestà impositiva tra Stati e meccanismi per eliminare la doppia tassazione . In genere, un reddito di fonte estera percepito da un residente italiano resta tassabile in Italia, ma al contribuente spetta il credito per le imposte eventualmente pagate all’estero (metodo del credito); in alcuni casi specifici, la Convenzione può prevedere il metodo dell’esenzione in Italia (ad es. spesso per i redditi immobiliari esteri, tassati solo nello Stato in cui l’immobile è situato, o per stipendi di lavoratori presenti temporaneamente all’estero) . È importante verificare la convenzione applicabile caso per caso: qualora un contribuente risulti residente in entrambi gli Stati secondo le rispettive leggi interne, intervengono le tie-breaker rules convenzionali per stabilire un’unica residenza fiscale. Una volta stabilito che il soggetto è residente in Italia (oppure in mancanza di convenzione), i redditi esteri di quel soggetto vanno dichiarati in Italia. Anche se la tassazione finale di un certo reddito spetta esclusivamente allo Stato estero, di regola il contribuente italiano deve comunque indicarlo nella propria dichiarazione (spesso in apposite sezioni dedicate ai redditi esteri), per poi ottenere in sede di calcolo delle imposte la detrazione o l’esenzione spettante .

Da notare che il diritto al credito per le imposte estere non viene necessariamente perso se inizialmente il reddito estero non è stato dichiarato: la legge interna (art. 165 comma 8 TUIR) afferma che la detrazione non spetta in caso di omessa dichiarazione o di omessa indicazione del reddito estero, ma la giurisprudenza e la prassi hanno mitigato questo rigore. In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che il credito d’imposta spetta comunque se il contribuente dimostra di aver pagato imposte all’estero su quel reddito, purché vi sia una Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore con lo Stato estero . In tal caso il principio pattizio di eliminazione della doppia imposizione prevale sulla decadenza prevista dal diritto interno . Ad esempio, la Cassazione (ord. n. 9725/2021) ha riconosciuto a un contribuente che aveva omesso di dichiarare redditi di lavoro dipendente prodotti in Germania il diritto al credito per l’imposta tedesca già pagata, annullando il diniego dell’Agenzia che si basava sull’art. 165 c.8 TUIR . Analogamente, pronunce più recenti hanno confermato che il credito per le imposte estere spetta anche in sede di accertamento o di regolarizzazione tardiva: l’importante è che il contribuente possa provare l’avvenuto versamento del tributo nello Stato estero, così da ottenere lo scomputo dall’imposta italiana ed evitare ogni doppia tassazione . Addirittura, l’Agenzia delle Entrate stessa, nella Circolare 9/E del 5 marzo 2015, ha chiarito che in caso di redditi esteri regolarizzati con ravvedimento operoso, spetta comunque il credito d’imposta estero: il contribuente non viene quindi penalizzato due volte perdendo il beneficio delle imposte già pagate all’estero (evenienza che invece si verificherebbe se il Fisco contestasse il reddito estero omesso e negasse il credito per tardiva indicazione) . Questo orientamento di favore – basato sia sulle convenzioni internazionali sia sul buon senso fiscale – garantisce che, pur sanzionando l’omissione dichiarativa, il contribuente non paghi due volte lo stesso reddito. In pratica, dunque, è sempre opportuno dichiarare anche i redditi esteri già tassati fuori Italia: si pagherà in Italia solo l’eventuale differenza, e se si regolarizza tardivamente si potrà ancora far valere il credito, nei limiti e alle condizioni di legge.

Riassumendo: un residente in Italia deve dichiarare annualmente i propri redditi esteri compilando il modello dichiarativo (Modello Redditi Persone Fisiche, Società di Persone, Società di Capitali, o il 730 se ammesso) nei quadri relativi alla categoria di reddito. Ad esempio, i redditi da lavoro dipendente estero andranno indicati nel quadro RC, i redditi da pensione estera pure nel quadro RC (con eventuali detrazioni convenzionali se previste), i redditi di fabbricati esteri nel quadro RB, i redditi d’impresa esteri nei quadri RF o RG, i redditi di capitale esteri nel quadro RL, i redditi diversi di fonte estera (come plusvalenze finanziarie realizzate all’estero) nei quadri RT/RM/RL a seconda dei casi, e così via . In molti casi i redditi esteri di persone fisiche sono tassati con regole analoghe a quelli italiani – ad esempio, gli interessi e dividendi percepiti all’estero da privati sono di norma soggetti a imposta sostitutiva del 26% in Italia, salvo eccezioni – e qualora su tali redditi sia già stata applicata un’imposta nello Stato estero, il contribuente potrà indicarla per ottenere il credito d’imposta fino a concorrenza dell’imposta italiana dovuta . È importante notare che per beneficiare del credito estero bisogna conservare la documentazione che attesta il pagamento dell’imposta straniera (certificati di imposta, buste paga estere, modelli fiscali esteri, ecc.), da esibire in caso di controlli.

Infine, va ricordato che la dichiarazione dei redditi annuale va presentata anche se si sono verificati redditi esteri in perdita o a tassazione nulla: ad esempio, se un immobile all’estero ha prodotto un reddito imponibile pari a zero (magari perché sfitti e con spese), oppure se si sono avuti solo redditi esenti o esclusi in base a convenzione, è comunque obbligatorio dichiarare quegli elementi (solitamente in appositi righi), al fine di consentire al Fisco il controllo incrociato e la verifica dell’eventuale spettanza di esenzioni. Omettere completamente la dichiarazione dei redditi quando dovuta costituisce di per sé un illecito tributario (omessa dichiarazione), mentre presentare la dichiarazione ma dimenticare di inserire uno o più redditi esteri integra la cosiddetta “dichiarazione infedele”. Approfondiremo tra poco la distinzione e le relative sanzioni. Prima, però, completiamo il quadro degli obblighi informativi introducendo il tema cruciale del monitoraggio fiscale delle attività finanziarie estere (il Quadro RW).

Monitoraggio fiscale delle attività estere: il Quadro RW (IVIE/IVAFE)

Oltre a dichiarare i redditi prodotti all’estero, i residenti fiscali in Italia hanno un ulteriore obbligo: dichiarare le attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero, indipendentemente dal fatto che tali attività generino o meno un reddito imponibile. Questo obbligo di monitoraggio fiscale, introdotto originariamente dall’art. 4 del D.L. 167/1990 (convertito in L. 227/1990) e ora confluito nell’art. 4 del TUIR, si attua mediante la compilazione del Quadro RW della dichiarazione annuale dei redditi . In pratica, ogni persona fisica residente in Italia (nonché società semplici ed enti non commerciali per i propri investimenti esteri) deve indicare nel Quadro RW gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero al 31 dicembre di ciascun anno, nonché gli eventuali trasferimenti di denaro da e verso l’estero effettuati nel corso dell’anno .

Cosa va indicato nel Quadro RW? L’obbligo è molto ampio: vanno monitorati conti correnti e depositi bancari esteri, immobili situati all’estero, partecipazioni in società estere, titoli azionari o obbligazionari esteri, fondi comuni esteri, polizze assicurative estere di investimento, metalli preziosi detenuti all’estero, criptovalute e valute virtuali custodite su exchange esteri, ecc. . In generale, qualsiasi attività estera di natura finanziaria o patrimoniale va indicata, a meno che non sia affidata in gestione a intermediari finanziari italiani che già svolgono l’obbligo di monitoraggio (in tal caso, se ad esempio i titoli esteri sono custoditi presso una banca italiana “con regime amministrato”, il Quadro RW non è richiesto per quei titoli). Sono previste alcune soglie di esonero: ad esempio, per i conti correnti esteri con giacenza media annua inferiore a 5.000 € non vi è obbligo di IVAFE (l’imposta sul valore dei conti esteri), e fino al 2019 un conto con saldo inferiore a 15.000 € a fine anno poteva non essere segnalato (soglia poi eliminata; attualmente anche conti di importo modesto vanno dichiarati se detenuti fuori da intermediari italiani). Le regole di dettaglio delle soglie sono tecniche e soggette a modifiche: è sempre prudente verificare le istruzioni ministeriali anno per anno. In ogni caso, detenere un conto corrente all’estero anche senza generare redditi può comportare obblighi dichiarativi – come ricordato anche da pubblicazioni specializzate, persino un conto sopra 15.000 € detenuto per pochi giorni in un anno deve essere monitorato in RW .

Finalità del monitoraggio fiscale: lo scopo è duplice. Da un lato, consentire al Fisco di conoscere l’esistenza di capitali all’estero nella disponibilità di residenti, per contrastare evasioni internazionali (capitali occultati oltre confine) ; dall’altro, fornire la base per applicare le imposte patrimoniali introdotte negli ultimi anni sui beni esteri, ovvero l’IVIE e l’IVAFE. L’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili Esteri) è dovuta sulle proprietà immobiliari detenute all’estero, normalmente in misura dello 0,76% annuo del valore catastale (o valore di mercato/purchase price, a seconda delle regole) dell’immobile . L’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie Estere) è dovuta sulle attività finanziarie estere (depositi, conti, titoli, partecipazioni etc.), in misura dello 0,2% annuo (cioè 2 per mille) sul valore medio di giacenza (per i conti) o sul valore di mercato (per investimenti), con un importo fisso di €34,20 per i soli conti correnti sotto €5.000 di saldo medio . Dal periodo d’imposta 2022 (dichiarazione 2023) è stata inoltre istituita una nuova imposta sulle cripto-attività estere (spesso denominata IVCA) sempre con aliquota 0,2%, anch’essa da indicare nel Quadro RW unitamente alle consistenze in criptovalute . Pertanto, la compilazione del Quadro RW serve al contribuente per autodichiarare sia il valore delle proprie attività estere soggette a monitoraggio, sia per calcolare e liquidare eventuali IVIE/IVAFE dovute. Le istruzioni ufficiali sottolineano che, ad esempio, per gli immobili esteri occorre indicare sia il valore ai fini IVIE sia gli eventuali redditi (affitti) già dichiarati altrove nel modello, e per i conti esteri occorre indicare le giacenze medie annue.

Un aspetto importante: l’obbligo RW sussiste anche se le attività estere sono possedute indirettamente o tramite interposta persona. Ciò significa che se il contribuente è il beneficiario effettivo di un’attività estera formalmente intestata a un soggetto terzo (es. un trust, una società fiduciaria estera, un prestanome), egli deve comunque dichiararla in RW . Ad esempio, se Tizio residente in Italia ha disponibilità di un conto in Svizzera formalmente intestato a una società offshore da lui controllata, oppure è beneficiario di un trust opaco estero che detiene investimenti finanziari, Tizio dovrà indicare “per interposta persona” tali attività estere nel proprio Quadro RW, in quanto titolare effettivo. La giurisprudenza tributaria e la prassi dell’Agenzia delle Entrate sono molto chiare nel ritenere che veicoli giuridici esteri come trust, fondazioni, società interposte non esimono il contribuente residente dagli obblighi dichiarativi, laddove si possa individuare un dominio o un vantaggio economico in capo a quest’ultimo . Ad esempio, un trust estero opaco (senza distribuzioni) è assimilato a una società estera ai fini fiscali italiani; se il trust è ritenuto fittiziamente interposto (cioè un mero schermo per occultare beni del disponente), la Cassazione ha stabilito che redditi e beni vadano imputati direttamente all’interponente residente, con obbligo per quest’ultimo di dichiarare i redditi come propri e di compilare il Quadro RW per gli investimenti formalmente intestati al trust . L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti su come individuare il beneficiario effettivo in casi complessi (si veda ad esempio la Circolare 34/E/2022 sui trust esteri) . Similmente, per le società estere controllate (Controlled Foreign Companies – CFC), oltre all’obbligo RW per la partecipazione, possono operare regole di tassazione per trasparenza: se un residente controlla al ≥50% una società estera localizzata in paradiso fiscale o a bassa fiscalità, i redditi di tale società (specie i redditi “passivi” come interessi, dividendi, royalties) vengono imputati pro quota al socio italiano e tassati in Italia come se fossero suoi utili (salvo esimenti) . Questo per sottolineare che il monitoraggio fiscale non è un adempimento meramente formale: è un pilastro dell’anti-evasione internazionale e un meccanismo che consente al Fisco sia di ricostruire materia imponibile altrimenti occulta (capitali all’estero che possono generare redditi non dichiarati) sia di applicare correttamente le imposte patrimoniali IVIE/IVAFE. Non a caso, come vedremo, la mancata compilazione del Quadro RW è sanzionata severamente e, secondo la Cassazione, costituisce di per sé una violazione “sostanziale” e non meramente formale, anche qualora dall’omissione non sia derivata evasione di imposta immediata .

Riassunto obblighi RW: ogni anno, nel Quadro RW del Modello Redditi, vanno indicati per ciascuna attività estera: gli estremi identificativi (nazione, tipo bene, eventualmente codice identificativo), il valore di fine anno o il valore medio annuo (per conti), gli ammontari dei trasferimenti da/verso l’estero relativi a tali attività, e l’ammontare delle IVIE/IVAFE dovute su di esse. Vanno dichiarate anche le movimentazioni di denaro fatte all’estero senza intermediario (es. trasferimento contanti oltre confine sopra soglia). Se il contribuente detiene più attività estere, il Quadro RW avrà più righi compilati. Nel caso di omessa compilazione del Quadro RW, il contribuente si espone a specifiche sanzioni amministrative (vedi oltre, generalmente dal 3% al 15% degli importi non dichiarati per anno, raddoppiate in alcuni casi) . È importante notare che tale sanzione per omesso monitoraggio si aggiunge ad eventuali altre sanzioni per omessa o infedele dichiarazione dei redditi generati da quegli asset esteri. Ad esempio, se un contribuente non dichiara un conto estero con 100.000 € e i relativi interessi maturati, potrà essere sanzionato sia per l’omessa indicazione del conto (percentuale sul valore) sia per l’omessa dichiarazione degli interessi (percentuale sull’imposta evasa).

Focus 2024: a partire dal periodo d’imposta 2023 (dichiarazione da presentare nel 2024) il legislatore ha unificato alcuni adempimenti: ora il monitoraggio tramite Quadro RW (o Quadro W del modello 730, introdotto di recente) comprende anche il calcolo dell’IVIE/IVAFE dovute su immobili e attività finanziarie estere, nonché – come detto – l’imposta sulle cripto-attività (introdotta dalla Legge 197/2022). Ciò rende ancora più importante la corretta compilazione, perché errori o omissioni possono comportare sia sanzioni per monitoraggio sia sanzioni per infedele liquidazione di queste imposte patrimoniali.

In sintesi, chi ha attività o investimenti all’estero deve prestare la massima attenzione a questi obblighi. Spesso le violazioni relative al quadro RW sono commesse per scarsa conoscenza (ad es. giovani espatriati che mantengono un conto nel paese estero ignorando di doverlo dichiarare una volta rientrati, pensionati che percepiscono una pensione estera su un conto locale, ecc.), ma purtroppo la legge non ammette ignoranza: l’omissione viene sanzionata anche se il contribuente pensava trattarsi di una formalità irrilevante. Come chiarito di recente dalla Cassazione, non dichiarare un asset estero è considerata una violazione sostanziale, perché compromette il controllo fiscale, e le sanzioni sono dovute pure se l’omissione non ha prodotto un immediato mancato gettito .

Nei capitoli successivi vedremo nel dettaglio quali sono le sanzioni previste per chi omette di dichiarare redditi esteri o attività estere (sanzioni amministrative tributarie e, se applicabili, sanzioni penali), e successivamente come è possibile porvi rimedio attraverso gli strumenti offerti dall’ordinamento (ravvedimento operoso, ecc.) o come difendersi in sede di accertamento.

Violazioni in materia di redditi esteri: infedele dichiarazione, omessa dichiarazione e mancato monitoraggio

In questa sezione distingueremo le diverse fattispecie di violazione riferibili a redditi esteri non dichiarati o dichiarati in modo inesatto, e ne analizzeremo le sanzioni previste. Le ipotesi fondamentali sono tre:

  • Omessa dichiarazione dei redditi: il contribuente non presenta affatto la dichiarazione annuale dei redditi pur essendovi obbligato, oppure la presenta con un ritardo superiore a 90 giorni (termine oltre il quale la dichiarazione si considera omessa per legge). Questa violazione è gravissima perché impedisce del tutto all’Erario di conoscere i redditi, e comporta sanzioni elevate e persino un reato tributario se l’imposta evasa supera una certa soglia.
  • Dichiarazione infedele dei redditi: il contribuente presenta sì la dichiarazione, ma indica elementi attivi inferiori al reale o indebite deduzioni/detrazioni, cosicché risulta un’imposta dovuta inferiore a quella realmente dovuta (oppure un rimborso o credito superiore al dovuto) . In sostanza è la dichiarazione “sbagliata” o incompleta, che non riporta integralmente il reddito imponibile. Nel nostro contesto, ciò tipicamente avviene perché alcuni redditi esteri non sono stati inclusi. Questa è la “dichiarazione infedele” in senso tecnico, anch’essa sanzionata pesantemente in via amministrativa e, oltre una certa entità, configurabile come reato.
  • Omessa indicazione di attività estere nel Quadro RW: come visto, è l’omissione dell’obbligo di monitoraggio. Questa è una violazione a sé stante, che viene contestata anche indipendentemente dall’eventuale presenza di redditi evasi. Ad esempio, un contribuente potrebbe aver dichiarato correttamente i redditi (es. gli interessi su un conto estero), ma aver dimenticato di compilare il RW per quel conto: in tal caso non c’è infedele sui redditi (nessuna imposta evasa), ma c’è comunque violazione del monitoraggio, sanzionata separatamente. Viceversa, se non si dichiara né il conto né gli interessi, si configureranno due violazioni: infedele dichiarazione per i redditi non dichiarati e omessa compilazione RW per l’asset estero. Come vedremo, le sanzioni in tal caso si cumulano (salvo eventuale applicazione del cumulo giuridico in presenza di più violazioni della stessa indole).

Procediamo con ordine, esaminando prima le sanzioni amministrative tributarie e poi i profili di sanzionabilità penale, con riferimento specifico ai redditi esteri.

Sanzioni amministrative tributarie (violazioni non penali)

Le sanzioni amministrative in materia fiscale sono previste dal D.Lgs. 471/1997 (violazioni tributarie in materia di imposte dirette, IVA, ecc.) e dal D.Lgs. 472/1997 (disposizioni generali sulle sanzioni). Esse consistono essenzialmente in multe pecuniarie, calcolate in misura proporzionale all’imposta evasa o, per il Quadro RW, al valore dell’attività non dichiarata. Tali sanzioni non sono di natura penale ma amministrativa, quindi non comportano precedenti penali; vengono irrogate dall’Agenzia delle Entrate (non dal giudice penale) con atti amministrativi impugnabili davanti al giudice tributario.

Vediamo le principali sanzioni rilevanti:

  • Omessa presentazione della dichiarazione dei redditi (art. 1 D.Lgs. 471/1997): in caso di omessa dichiarazione annuale (o presentata con oltre 90 giorni di ritardo), la sanzione ordinaria è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di 250 euro . In altre parole, se un contribuente avrebbe dovuto pagare, poniamo, €10.000 di IRPEF ma non presenta la dichiarazione, potrà essere sanzionato tra €12.000 e €24.000 (oltre ovviamente al recupero dell’imposta e interessi). Se non vi erano imposte dovute (dichiarazione a zero), si applica una sanzione fissa da €250 a €1.000 . Attenzione: se la dichiarazione, ancorché omessa, viene presentata spontaneamente entro il termine per l’accertamento (ossia entro 5 anni) e comunque prima che il Fisco avvii controlli, la sanzione è ridotta al 75% dell’imposta dovuta . Questa è una previsione favorevole introdotta per incentivare la regolarizzazione tardiva (dichiarazione tardiva entro l’anno successivo o dichiarazione “ravveduta” prima di accertamento).
  • Dichiarazione infedele dei redditi (art. 1 comma 2 D.Lgs. 471/1997): consiste nell’indicare redditi inferiori al vero o indebite detrazioni/crediti, determinando un’imposta inferiore. La sanzione ordinaria è dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta o della differenza di credito indebitamente esposto . Ad esempio, se non sono stati dichiarati redditi esteri che comportavano €5.000 di IRPEF in più, la multa base sarà tra €4.500 e €9.000. Importo minimo: €250 (elevato da €200 recentemente) qualora la percentuale applicata dia un risultato inferiore. Questa forchetta 90-180% era in vigore fino al 31/08/2024. A seguito della riforma sanzionatoria del 2024, per violazioni commesse dal 1° settembre 2024 in poi la sanzione per infedele dichiarazione è fissata in misura proporzionale fissa pari al 70% dell’imposta non versata (con minimo €150, o €250 nel caso di dichiarazione del sostituto d’imposta). Dunque dal 2024 lo spettro 90-180% è stato rimpiazzato da un valore unico (70%), in generale più mite, in linea con un approccio di maggior proporzionalità. Va però sottolineato che, secondo la norma transitoria, queste nuove sanzioni più favorevoli non si applicano retroattivamente (derogando al principio del favor rei): contano la data di commissione della violazione . Pertanto, un’infedeltà riferita a redditi 2023 (violazione commessa nella dichiarazione presentata nel 2024) sarà ancora sanzionata col vecchio regime 90-180%, mentre un’infedeltà sui redditi 2024 (dich. 2025) ricadrà nel nuovo regime al 70%.
    • Caso particolare: redditi esteri non dichiarati – Prima della riforma 2024 era previsto un aggravio specifico: se la maggiore imposta evasa derivava da redditi prodotti all’estero, la sanzione del 90-180% veniva aumentata di 1/3 . In pratica la forchetta diventava dal 120% al 240% dell’imposta evasa su redditi esteri. Questo aggravio intendeva sanzionare più severamente l’evasione internazionale (ritenuta più insidiosa). Dal 2024 tale aumento è stato abolito: il nuovo regime prevede la stessa sanzione del 70% anche se l’infedeltà riguarda redditi esteri, senza più incrementi . Dunque c’è stato un alleggerimento: attualmente omettere €10.000 di imposte su redditi esteri comporta (per violazioni post-2024) una multa pari a €7.000, mentre prima poteva arrivare fino a €18.000. Resta inteso che per violazioni pregresse (fino al 2023) l’Agenzia applicherà ancora il vecchio 90-180%+1/3 (quindi fino al 240%).
    • Dichiarazione infedele “fraudolenta” – In ambito amministrativo si distingue il caso di infedele con utilizzo di documentazione falsa o altri comportamenti fraudolenti (es. fatture false): in tal caso la sanzione era aggravata al 135%-270% dell’imposta , ridotta anch’essa con la riforma a 105%-140% . Questo però esula dal nostro tema principale (si tratta di condotte più vicine alla frode, spesso penalmente rilevanti ex art. 2 o 3 D.Lgs. 74/2000).
    • Riduzione in caso di integrativa spontanea: se il contribuente corregge la dichiarazione infedele presentando una dichiarazione integrativa prima che l’Amministrazione finanziaria avvii controlli (accessi, verifiche) e comunque entro i termini di decadenza dell’azione accertativa, la sanzione amministrativa dovuta è ridotta. Con la riforma 2024 è stato stabilito che in tal caso si applica il 50% dell’imposta dovuta a titolo di sanzione . In altri termini, se l’infedeltà viene sanata autonomamente entro i termini (che di fatto corrispondono al ravvedimento operoso prima dell’accertamento), la sanzione base è dimezzata rispetto al 70% ordinario. Questa previsione codifica un trattamento di favore per chi regolarizza, che in parte già esisteva col ravvedimento (vedi oltre).
  • Omessa compilazione del Quadro RW (monitoraggio): la violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale sulle attività estere è punita dall’art. 5 del D.L. 167/1990 (come modificato in seguito). Attualmente, la sanzione amministrativa è pari al 3% – 15% degli importi non dichiarati (cioè del valore degli investimenti o attività finanziarie non monitorati) per ogni anno di violazione . Se le attività estere sono detenute in Paesi a fiscalità privilegiata (cosiddetti “black list”, individuati da DM 4.5.1999 e succ. mod.) la sanzione raddoppia al 6% – 30% . Ad esempio, se un soggetto non dichiara di possedere €200.000 su un conto estero in Svizzera, rischia una multa tra €6.000 e €30.000 per ogni anno in cui l’obbligo RW è stato violato; se il conto era in un paradiso fiscale senza accordi, la multa va da €12.000 a €60.000 annui. Va evidenziato che questa sanzione è dovuta a prescindere dal fatto che quei capitali abbiano prodotto redditi imponibili o meno. Infatti la Cassazione ha ribadito che l’obbligo di monitoraggio ha finalità autonoma rispetto alla riscossione di imposte, mirata alla trasparenza sui flussi finanziari, quindi anche se l’omissione RW non ha causato evasione d’imposta, resta un illecito sanzionabile . In passato si discuteva se fosse un’“irregolarità formale” in assenza di redditi evasi, ma la Suprema Corte (sent. n. 28077/2024) ha chiarito che non è una semplice formalità, bensì un comportamento che lede il sistema di controllo fiscale, quindi punibile indipendentemente dal danno erariale . L’unico caso in cui si può parlare di mera violazione formale (senza sanzione percentuale pesante) è se l’omissione RW viene sanata entro 90 giorni: in tal caso la legge prevede una sanzione fissa minima di €258 .

Va notato che la normativa italiana sulle sanzioni RW è stata oggetto di confronto con il diritto UE: la Corte di Giustizia UE nel 2022 ha condannato la Spagna per le sanzioni eccessive sul suo modello analogo (il “Modelo 720”), ritenendole sproporzionate e contrarie alla libera circolazione di capitali. Nel caso italiano, la Cassazione 28077/2024 ha ritenuto che le sanzioni 3-15% siano proporzionate, soprattutto perché modulabili e con un tetto, distinguendole dal regime spagnolo che prevedeva addirittura sanzioni pari al 150% del valore e imprescrittibilità . Dunque, al momento, il sistema italiano è ritenuto compatibile coi principi comunitari, sebbene resti piuttosto severo.

Sintesi sanzioni amministrative principali: nella Tabella 1 sottostante riepiloghiamo le sanzioni edittali (in vigore ante e post-riforma 2024) per le violazioni di omessa e infedele dichiarazione, includendo il caso particolare di redditi esteri, e la sanzione per omessa dichiarazione RW. Le percentuali si applicano sull’imposta evasa (per omessa/infedele) o sull’importo non monitorato (per RW). Si riportano anche eventuali minimi fissi dove previsti.

Tabella 1 – Sanzioni amministrative tributarie per dichiarazione infedele/omessa (reddituale) e omissione Quadro RW

ViolazioneNorma di riferimentoSanzione per violazioni fino al 31/08/2024Sanzione per violazioni dal 01/09/2024 (riforma)
Omessa dichiarazione dei redditiArt. 1 co.1 D.Lgs. 471/1997120% – 240% imposta dovuta (min €250) . Se nessuna imposta: €250–1000 (redditi) .<br>Caso particolare: se dichiarazione presentata entro accertamento e prima di controlli: sanzione = 75% imposta .120% fisso imposta dovuta (min €250) .<br>(Invariati i minimi fissi per dichiarazioni senza imposta dovuta)
Dichiarazione infedele (generale)Art. 1 co.2 D.Lgs. 471/199790% – 180% imposta evasa (min €200) .70% fisso imposta evasa (min €150) .
Dichiarazione infedele su redditi esteriArt. 1 co.2 e co.8 D.Lgs. 471/199790% – 180% imposta evasa, aumentata di 1/3 = 120% – 240% .70% fisso imposta evasa (nessun aumento) .
Dichiarazione infedele con fattispecie fraudolente (es. fatture false)Art. 1 co.3 D.Lgs. 471/1997135% – 270% imposta evasa (+1/2 se uso fatture false).105% – 140% imposta evasa .
Omessa indicazione attività estere (Quadro RW)Art. 5 D.L. 167/1990 (richiamato da art. 4 TUIR)3% – 15% importi non dichiarati (annuo) ; 6% – 30% se Paese black-list . Minimo €258 se sanato entro 90gg .(Nessuna modifica dalla riforma 2024: rimangono 3%–15% ordinario, 6%–30% paradisi fiscali, minimi invariati) .*

(Fonte: elaborazione su D.Lgs. 471/1997 e succ. mod., D.L. 167/90 art. 5; cfr. modifiche introdotte da D.Lgs. 87/2024.)*

Come si nota, omessa e infedele dichiarazione sono sanzionate in modo simile, ma l’omessa ha un range più alto (120-240%) poiché più grave. L’ordinamento tende comunque a punire severamente anche la dichiarazione infedele (90-180%). L’aggravante per redditi esteri portava il tetto dell’infedele fino al 240%, equiparandola di fatto all’omessa; oggi quell’aggravante non c’è più per il futuro, segno di un cambio di filosofia verso sanzioni più uniformi e proporzionate. In ogni caso, per gli anni passati permane la possibilità che l’Agenzia applichi l’aumento del 1/3 se la violazione è precedente alla riforma.

Cumulo di sanzioni: se un medesimo comportamento configura più violazioni (ad esempio, l’omessa dichiarazione di un reddito estero congiuntamente all’omessa compilazione del RW per il relativo asset), in teoria potrebbero sommarsi sanzione per infedele + sanzione RW. Il sistema prevede il cumulo giuridico (art. 12 D.Lgs. 472/1997) quando vi sono più violazioni commesse con una azione od omissione unica o comunque connesse. Nel caso di omessa indicazione di redditi esteri e del relativo quadro RW, la giurisprudenza ha oscillato sull’applicabilità del cumulo giuridico: alcune Commissioni Tributarie avevano ritenuto che la violazione RW fosse assorbita se gli stessi importi erano serviti per l’accertamento reddituale (in pratica “nessun doppio cumulo sanzionatorio”), ma Cassazione 11849/2023 ha chiarito che l’omessa compilazione RW costituisce violazione distinta, da sanzionare autonomamente, salvo applicare eventualmente il cumulo giuridico (ossia comminare la sanzione più grave aumentata) . In sostanza, la tendenza è a non lasciare impunito l’aspetto del monitoraggio: le sanzioni RW e redditi si possono “coordinare” ma non eliminare a vicenda. Da settembre 2024, con la riforma, è stato esteso l’istituto del cumulo giuridico anche al ravvedimento operoso (prima non previsto): significa che se un contribuente deve ravvedere più violazioni omogenee (es. più anni di RW omessi), potrà calcolare una sanzione unica “per cumulo” invece di sommare aritmeticamente le multe di ogni anno . Ciò può ridurre sensibilmente l’importo complessivo in caso di pluriennalità, perché si applica la sanzione per la violazione più grave aumentata (in genere fino al doppio). Su questo aspetto, però, è sempre opportuno farsi assistere da un professionista per il calcolo, dato che le regole di cumulo e continuazione sono tecniche.

Responsabilità penale: reati tributari per infedele o omessa dichiarazione

Oltre alle sanzioni amministrative pecuniarie, il nostro ordinamento prevede che le condotte più gravi di evasione fiscale integrino reati tributari, puniti con sanzioni penali (reclusione). I reati principali di interesse in materia di dichiarazione dei redditi sono disciplinati dal D.Lgs. 74/2000 (come modificato da vari interventi, ad es. L. 158/2015 e D.Lgs. 75/2020). Nel contesto dei redditi esteri non dichiarati, possono venire in rilievo essenzialmente due fattispecie:

  • Dichiarazione infedele (reato) – art. 4 D.Lgs. 74/2000.
  • Omessa dichiarazione (reato) – art. 5 D.Lgs. 74/2000.

Vi sono anche reati più gravi (come la dichiarazione fraudolenta ex art. 2 e 3, che richiede l’uso di fatture false o artifici fraudolenti, punita più severamente) e altri (es. emissione di fatture false, occultamento di documenti, omessi versamenti di IVA o ritenute) che però esulano dal caso tipico del “reddito estero non dichiarato” a meno di condotte molto specifiche. Ci concentreremo quindi su infedele e omessa dichiarazione, dando cenni sulle soglie e pene.

Importante: i reati tributari scattano solo al superamento di determinate soglie di evasione, e richiedono il dolo specifico di evasione. Ciò significa che non ogni omissione di redditi è un reato: se gli importi sono modesti o l’errore è frutto di colposa negligenza senza volontà fraudolenta, si rimane nell’illecito amministrativo (sanzioni pecuniarie) . La rilevanza penale richiede non solo il quantum significativo ma anche la prova che il contribuente abbia consapevolmente voluto evadere (occultando redditi o indicandone meno del vero). Un errore di calcolo, un’interpretazione controversa o l’affidamento errato sul proprio consulente possono essere cause che escludono il dolo, declassando il fatto a violazione amministrativa. Tuttavia, sarà eventualmente in sede di processo che tali aspetti soggettivi verranno valutati; intanto la legge fissa parametri oggettivi: le soglie di punibilità.

Vediamo le due fattispecie:

  • Reato di Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): si configura quando fuori dei casi di frode più grave (artt. 2 e 3) un contribuente, al fine di evadere le imposte, indica nella dichiarazione annuale elementi attivi inferiori al reale o elementi passivi fittizi, superando le soglie previste . Le soglie attualmente vigenti (art. 4, co.1-bis) sono: imposta evasa > €100.000 e elementi attivi sottratti > 10% dei ricavi dichiarati o comunque > €2 milioni . In altre parole, perché l’infedeltà sia penalmente rilevante occorre che il “buco” nella base imponibile sia significativo sia in termini relativi (>10% del dichiarato) sia in termini assoluti (>2 milioni di imponibile non dichiarato, corrispondente grossomodo a 100k di imposta evasa con aliquota 50%), e che il mancato pagamento d’imposta ecceda i 100mila euro. Pena prevista: reclusione da 2 anni a 4 anni e 6 mesi . Esempio: un imprenditore che omette di dichiarare ricavi per €2,5 milioni, evadendo €130.000 di imposte, ricade nel reato di dichiarazione infedele . Se invece omette “solo” €700.000 di ricavi con imposta evasa di €80.000, non integra il reato (sanzione amministrativa soltanto) . Va evidenziato che l’art. 4 punisce anche l’indicazione di elementi passivi fittizi (costi falsi), ma nel nostro scenario di redditi esteri di solito il problema è l’omissione di ricavi/proventi. Attenzione: i redditi esteri non dichiarati contribuiscono pienamente a queste soglie – anzi, spesso i casi di infedele derivano proprio da capitali esteri non dichiarati per importi ingenti. Se un contribuente nasconde interessi esteri per 3 milioni di euro e non dichiara €150.000 di imposte dovute, commette reato ex art.4.
  • Reato di Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): scatta quando un contribuente, con dolo di evasione, non presenta affatto la dichiarazione annuale pur obbligato, e l’imposta evasa supera €50.000 . La pena è la reclusione da 2 a 5 anni . La soglia è dunque più bassa (50k) e non c’è un requisito sugli “elementi attivi sottratti” (essendo omissione totale). Ad esempio, se un residente non presenta la dichiarazione e occulta redditi esteri per €200.000 che avrebbero comportato €60.000 di IRPEF, risponde di omessa dichiarazione (reato). Se l’imposta evasa fosse stata €30.000, resterebbe un illecito amministrativo (sanzione 120-240% ma niente penale). La norma specifica che non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 giorni dal termine (quella è considerata tardiva, sanzionata amministrativamente ma non penalmente). Inoltre, l’omessa dichiarazione comprende anche l’omessa dichiarazione da sostituto d’imposta (es. un datore di lavoro che non presenta il 770, con ritenute non versate >50k) , ma questo esula dal caso di redditi esteri personali.

In sintesi, solo i casi di evasione più marcata e volontaria sfociano nel penale. Nella Tabella 2 seguente riepiloghiamo le soglie e le pene dei reati dichiarativi rilevanti:

Tabella 2 – Reati tributari dichiarativi: infedele e omessa dichiarazione (artt. 4 e 5 D.Lgs. 74/2000)

Reato (D.Lgs. 74/2000)Condotta e soglie di punibilitàPena prevista
Dichiarazione infedele (art. 4)Indicazione in dichiarazione di elementi attivi inferiori al dovuto o elementi passivi fittizi, con dolo di evasione, e superamento congiunto di:<br>– €100.000 di imposta evasa;<br>– >10% degli elementi attivi dichiarati oppure > €2.000.000 di elementi attivi non dichiarati .Reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi .
Omessa dichiarazione (art. 5)Mancata presentazione della dichiarazione annuale (oltre 90gg di ritardo), con dolo, con imposta evasa > €50.000 .<br>Nota: include omessa dichiarazione dei redditi e omessa dichiarazione del sostituto d’imposta (ritenute > 50k) .Reclusione da 2 a 5 anni .

(Si omettono qui i reati di dichiarazione fraudolenta ex art.2 e 3, puniti con reclusione 3–8 anni, poiché richiedono l’uso di mezzi fraudolenti – es. fatture false – non tipicamente ricorrenti nel caso di redditi esteri semplicemente non dichiarati.)

È importante sottolineare due aspetti ulteriori relativi ai reati tributari:

1. Soggetto attivo del reato: trattandosi di reati propri, ne risponde chi aveva l’obbligo di presentare la dichiarazione. Per una persona fisica è ovviamente egli stesso. Nel caso di una società, i reati dichiarativi sono in capo a chi legalmente rappresenta la società (amministratore) che materialmente “presenta o omette la dichiarazione”. Ad esempio, se una SRL non dichiara redditi esteri imponibili, verrà indagato l’amministratore per il reato di omessa o infedele dichiarazione (la società in sé non è soggetto imputabile penalmente per questi reati, poiché i reati tributari attualmente non rientrano nella responsabilità “231” dell’ente, salvo modifiche future). Tuttavia, l’amministratore potrà eventualmente andare esente da colpa se prova, ad esempio, di aver delegato la gestione fiscale a un professionista e di non essere stato a conoscenza di nulla – circostanza difficile, ma talvolta invocata. In generale, la buona fede o ignoranza non scusano penalmente se c’è stata volontà di occultare i redditi; viceversa, se l’errore è attribuibile esclusivamente al commercialista, senza dolo del contribuente, ciò può escludere il reato per difetto dell’elemento soggettivo (non c’è dolo). Sono questioni delicate da valutare caso per caso.

2. Rapporti col procedimento tributario e “non punibilità” per adempimento spontaneo: la legge incoraggia il contribuente a regolarizzare la propria posizione prima che intervenga il penale, prevedendo una causa di non punibilità se si paga il dovuto. L’art. 13 D.Lgs. 74/2000 (come modificato dalla L. 158/2015) stabilisce che per i reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 (fraudolenti, infedele, omessa) non è punibile chi esegue il pagamento integrale del debito tributario, comprese sanzioni e interessi, prima che abbia formale conoscenza di un’attività di accertamento o di procedimenti penali . In particolare, per i reati dichiarativi (artt. 4 e 5) la non punibilità opera se il pagamento (anche mediante ravvedimento operoso) avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo , e comunque prima che l’autore abbia conoscenza di verifiche o indagini in corso . Ciò significa che, ad esempio, se Tizio omette dei redditi esteri nel 2024 (dichiarazione presentata nel 2025 infedele) e realizza di aver commesso un reato, potrà evitare il penale se entro il termine di presentazione della dichiarazione 2025 (dichiarazione 2026) presenta integrativa e paga tutte le imposte, sanzioni e interessi dovuti per il 2024, senza essere stato ancora scoperto. Questo equivale a un ravvedimento operoso “tempestivo”: di fatto il ravvedimento entro l’anno successivo estingue il reato. Anche un ravvedimento leggermente più tardivo può giovare: l’importante è che avvenga prima di ispezioni o procedimenti penali iniziati.

Va evidenziato che per altri reati come gli omessi versamenti IVA/ritenute (artt. 10-bis e 10-ter) la causa di non punibilità richiede il pagamento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (quindi anche più tardi) , ma per infedele/omessa dichiarazione il termine è più stringente (dichiarazione dell’anno dopo, ovvero ravvedimento nei termini lunghi). In ogni caso, il ravvedimento operoso è lo strumento chiave: un contribuente che spontaneamente regolarizza e paga tutto non solo beneficia di sanzioni amministrative ridotte, ma evita anche il processo penale . Se invece il pagamento integrale avviene dopo l’inizio dei controlli (ad esempio dopo un processo verbale), la non punibilità piena non si applica, ma il pagamento costituirà una circostanza attenuante che potrà ridurre la pena in caso di condanna (spesso portando la reclusione entro limiti sospendibili, o favorendo soluzioni come patteggiamento con pena mite) . Inoltre, con interventi normativi recenti (DL 34/2023) sono state previste anche cause speciali di non punibilità legate a definizioni agevolate: ad esempio, chi ha aderito alla tregua fiscale 2023 definendo gli avvisi bonari o accertamenti con adesione agevolata, è stato esonerato dal penale se ha pagato quanto dovuto . Ma si tratta di misure temporanee e specifiche. La regola generale resta: pagare il debito tributario il prima possibile conviene sempre anche sul piano penale.

Procedimento penale in pratica: se la violazione viene scoperta dal Fisco e supera le soglie penali, l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di effettuare una denuncia alla Procura della Repubblica (notizia di reato). Tipicamente, questo avviene parallelamente all’accertamento tributario. La Procura aprirà un procedimento penale a carico del contribuente (o legale rappresentante, se società). Nella fase delle indagini il PM può disporre perquisizioni e sequestri, spesso viene chiesto il sequestro preventivo per equivalente dei beni dell’indagato fino a concorrenza dell’imposta evasa (per garantire le somme in caso di confisca). La Cassazione ha però chiarito che non è lecito sequestrare somme solo sulla base della sanzione RW senza un’effettiva imposta evasa quantificata – segno che l’omessa indicazione di capitali all’estero da sola non basta, occorre l’evasione di imposta per giustificare misure cautelari penali . In altre parole, l’esistenza di attività estere non dichiarate può far scattare indagini, ma per il sequestro e, in definitiva, per la condanna serve provare il mancato pagamento di imposte. La distinzione tra violazione formale e sostanziale in ambito penale è cruciale: il reato scatta solo se c’è un’imposta evasa sopra soglia .

Se si arriva al rinvio a giudizio, si celebra un processo penale. L’imputato potrà difendersi contestando la sussistenza delle soglie (ad esempio dimostrando che il Fisco ha calcolato imposte maggiori del reale, magari non considerando un credito estero spettante) o la mancanza di dolo (es. errore scusabile). Può anche scegliere strategie deflattive: ad esempio, patteggiare una pena ridotta (specie se ha già versato il tributo, mostrando pentimento) o chiedere la messa alla prova se ne ricorrono i presupposti. Spesso, per incensurati, anche in caso di condanna la pena detentiva viene sospesa condizionalmente (soprattutto se è stata contenuta entro 2 anni grazie alle attenuanti del caso). Va però evidenziato che i reati tributari, specie quando collegati a evasione internazionale, sono guardati con severità negli ultimi anni, quindi fare affidamento su un esito indulgente non è prudente. Molto meglio è prevenire il penale agendo in anticipo, come già ribadito.

Conseguenze penali indirette: una condanna per reati tributari comporta anche delle pene accessorie (es. interdizione dagli uffici direttivi di persone giuridiche, dalle cariche societarie, ecc., per una certa durata) e la confisca obbligatoria del profitto del reato (equivalente all’imposta evasa non versata). Ciò significa che, a fine processo, lo Stato confischerà denaro o beni dell’imputato per un valore corrispondente all’imposta evasa (al netto di quanto eventualmente già pagato successivamente). Per questo conviene pagare il dovuto quanto prima: se l’imposta viene versata, non c’è più profitto confiscabile e, come visto, il reato può persino estinguersi.

In chiusura di questa parte, è chiaro che le ripercussioni di una dichiarazione infedele/omessa sui redditi esteri possono essere assai gravi: non solo sanzioni pecuniarie che facilmente raggiungono somme elevate, ma anche il rischio concreto di procedimenti penali con tutte le conseguenze (costi legali, stress, eventuale macchia penale). Fortunatamente, il nostro ordinamento offre la possibilità di rimediare spontaneamente prima che la situazione degeneri: è l’istituto del ravvedimento operoso, di cui ci occupiamo nella sezione seguente, insieme agli altri strumenti di definizione bonaria.

Rimedi e regolarizzazione volontaria: ravvedimento operoso, definizioni agevolate, ecc.

Fino a questo punto abbiamo delineato il “quadro punitivo” che attende chi non dichiara redditi esteri: non certo roseo, tra maxi-multe e potenziali incriminazioni. Ma il sistema tributario prevede fortunatamente degli strumenti che consentono al contribuente di regolarizzare volontariamente la propria posizione, con benefici importanti. Il principale è senza dubbio il ravvedimento operoso, ma vanno menzionati anche istituti come l’adesione agli inviti o accertamenti e le definizioni agevolate (quando previste da leggi speciali). In passato ci sono state anche due edizioni della “voluntary disclosure” (collaborazione volontaria per attività estere, nel 2015 e 2017) che hanno permesso a molti contribuenti di far emergere capitali esteri non dichiarati con sanzioni ridotte e scudo penale. Oggi quelle finestre straordinarie sono chiuse; l’unica via ordinaria per mettersi in regola spontaneamente è appunto il ravvedimento operoso, eventualmente affiancato dalla presentazione di dichiarazioni integrative per le annualità pregresse.

Vediamo dunque in dettaglio come funziona il ravvedimento operoso nel caso di redditi esteri non dichiarati o di Quadro RW omesso, quali sono i termini e le riduzioni di sanzioni applicabili, e quali altri strumenti possono essere utilizzati in alternativa o aggiunta.

Il Ravvedimento Operoso: regolarizzazione spontanea con sanzioni ridotte

Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997) è un istituto che consente al contribuente di sanare volontariamente violazioni tributarie commesse, beneficiando di una riduzione delle sanzioni proporzionale alla tempestività del ravvedimento. In sostanza, chi si “ravvede” paga spontaneamente l’imposta dovuta non versata, gli interessi legali maturati e una sanzione in misura ridotta (anziché quella piena) commisurata al ritardo e al tipo di violazione. Il ravvedimento è possibile a condizione che la violazione non sia già stata constatata o non siano già iniziati accessi/ispezioni/verifiche a conoscenza del contribuente . In altre parole, bisogna ravvedersi prima di essere “colti” dal Fisco. Se arriva prima l’avviso di accertamento o comunque se sono iniziati controlli formali, il ravvedimento non è più ammesso e si dovrà affrontare la contestazione con le vie ordinarie .

Ravvedimento per redditi non dichiarati: è applicabile sia in caso di omessa dichiarazione (se ci si ravvede entro 90 giorni la dichiarazione è considerata validamente presentata seppur tardiva) sia in caso di dichiarazione infedele (dichiarazione già inviata ma incompleta). In pratica, si presenta una dichiarazione integrativa per l’anno in questione, includendo i redditi esteri o correggendo gli errori, e si versa quanto dovuto. Come evidenziato in precedenza, ravvedersi prontamente riduce la sanzione amministrativa e in molti casi evita anche il reato.

Tempistiche e riduzioni sanzioni: il regime del ravvedimento è stato ampliato nel tempo. Attualmente (salvo la modifica per violazioni dal 1/9/2024 di cui diremo a breve) le riduzioni delle sanzioni amministrative sono le seguenti :

  • Ravvedimento Sprint: entro 14 giorni dalla violazione (vale tipicamente per omessi versamenti, non rilevante per dichiarazioni annuali) – sanzione ridotta a 1/15 del minimo per giorno di ritardo (0,1% al giorno per i primi 14 giorni di ritardo nel versamento).
  • Entro 30 giorni: (per versamenti omessi) sanzione ridotta a 1/10 del minimo. Questo riguarda errori di pagamento più che dichiarazioni.
  • Entro 90 giorni dalla scadenza (o entro 90 giorni dalla scadenza di presentazione della dichiarazione, se la violazione è dichiarativa): sanzione ridotta a 1/9 del minimo . Ad esempio, per un infedele con sanzione minima 90%, 1/9 di 90% = 10% dell’imposta evasa . In soldoni, entro 90 giorni la sanzione amministrativa scende circa all’11% dell’imposta (anziché 90%).
  • Oltre 90 giorni ma entro 1 anno dalla violazione: sanzione ridotta a 1/8 del minimo , cioè ad esempio ~12,5% dell’imposta (se minimo 90%).
  • Entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo: (che spesso coincide col punto precedente) sanzione a 1/8.
  • Entro 2 anni dall’omissione/infedeltà: sanzione ridotta a 1/7 del minimo.
  • Oltre 2 anni: sanzione ridotta a 1/6 del minimo (questo era il regime fino a fine agosto 2024) .
  • Dopo ricevuta una comunicazione formale di irregolarità (avviso bonario) o un processo verbale: fino ad agosto 2024 non era più possibile ravvedersi dopo un PVC o un invito. Dal 1/9/2024 invece è stata introdotta la possibilità di ravvedersi anche dopo l’avvio del contraddittorio pre-accertamento, con riduzioni minori: ad es. 1/6 del minimo se si ravvede dopo aver ricevuto lo schema di atto (avviso) per il contraddittorio, 1/5 dopo un PVC ma prima dell’atto, 1/4 dopo atto in contraddittorio preceduto da PVC . Sono casistiche più tecniche che indicano: anche a controllo avviato, prima che l’accertamento diventi definitivo, si può ancora rimediare pagando con sanzione ridotta, seppur meno ridotta di prima.

Con la riforma attuata dal D.Lgs. 87/2024, come anticipato, è stata eliminata la riduzione a 1/6: ora anche se ci si ravvede dopo 2 anni, rimane la riduzione a 1/7 . In pratica, dal 2024 c’è una riduzione “fissa” massima a 1/7 finché non scatta il contraddittorio. Poi, come visto, si può persino ravvedersi dopo la ricezione di atti per evitare il peggio, con aliquote 1/6, 1/5, 1/4 a seconda dello stadio . Inoltre, è stato previsto espressamente il cumulo giuridico nel ravvedimento, utile ad esempio se uno non ha dichiarato redditi esteri per più anni: invece di pagare sanzione anno per anno, si può applicare la regola del cumulo (sanzione base della violazione più grave + aumenti) prima di ridurre . L’Agenzia si è impegnata a fornire un software di calcolo ad hoc per questi nuovi ravvedimenti complessi .

Per semplicità, la Tabella 3 riepiloga le riduzioni del ravvedimento operoso ante e post riforma:

Tabella 3 – Ravvedimento operoso: misure di riduzione sanzioni

Momento del ravvedimento (dalla violazione)Riduzione sanzione per violazioni commesse fino al 31/8/2024Riduzione sanzione per violazioni dal 1/9/2024 (nuova disciplina)
Entro 90 giorni dalla scadenza (es. entro 90 gg dal termine di presentazione della dichiarazione)1/9 del minimo (circa 11,1% della sanzione piena)Invariato: 1/9 del minimo (es. infedele: ~10% dell’imposta evasa)
Entro 1 anno (ossia entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva)1/8 del minimo (12,5% della sanzione base)Invariato: 1/8 del minimo
Entro 2 anni dalla violazione1/7 del minimo (14,3% della sanzione base)Invariato: 1/7 del minimo
Oltre 2 anni (prima di accertamento)1/6 del minimo (16,7% della sanzione base)(Eliminata) – per violazioni post-riforma non esiste più 1/6, rimane 1/7 anche oltre 2 anni .
Dopo avvio procedimento accertativo (contraddittorio)Novità(Non previsto, ravvedimento precluso se iniziati controlli)Possibile ravvedersi dopo notifica schema di atto: sanzione a 1/6 del minimo ; dopo PVC (processo verbale) ma prima di atto: 1/5 del minimo ; dopo atto preceduto da PVC: 1/4 del minimo . (Sempre prima che l’accertamento diventi definitivo)

(Fonte: art. 13 D.Lgs. 472/97, come mod. da D.Lgs. 87/2024.)

In pratica, per redditi esteri non dichiarati, il ravvedimento consente di pagare la sanzione amministrativa in misura ridotta di molto. Ad esempio, se si ravvede entro l’anno successivo, la sanzione per infedele (90%) scende a 1/8, cioè ~11,25%. Se si ravvede tardivamente (oltre 2 anni, ma prima di accertamento) oggi si applicherebbe comunque 1/7 (~12,86%). Quindi in ogni caso molto inferiore al 90% o 120% potenzialmente applicabili se scoperto dal Fisco. In aggiunta, come visto nel paragrafo penale, il ravvedimento tempestivo evita il reato. Dunque è di importanza cruciale. L’Agenzia delle Entrate stessa nei suoi documenti incoraggia chi riceve segnalazioni di potenziali redditi esteri non dichiarati (le cosiddette “lettere di compliance”) a utilizzare il ravvedimento per sistemare la situazione .

Come effettuare concretamente il ravvedimento per redditi esteri: bisogna:

  1. Predisporre una dichiarazione integrativa per l’anno o gli anni interessati, indicando i redditi esteri precedentemente omessi nei relativi quadri (es. quadro RL per interessi, RC per pensioni estere, etc.) e/o compilando il Quadro RW per gli investimenti corrispondenti. La dichiarazione integrativa “a favore del Fisco” può essere presentata entro i termini di decadenza dell’accertamento (di regola entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione originaria). Ad esempio, nel 2025 si possono ancora integrare le dichiarazioni dal 2020 (redditi 2019) in poi. Oltre tali termini non è possibile presentare dichiarazioni integrative, ma eventuali violazioni molto datate potrebbero essere prescritte e non accertabili (salvo in passato c’era il raddoppio termini per attività estere, eliminato dal 2015).
  2. Calcolare le maggiori imposte dovute su quei redditi esteri non dichiarati. Spesso si tratterà di IRPEF e relative addizionali su redditi prodotti all’estero, o IVIE/IVAFE non versate. Nel calcolo occorre tenere conto di eventuali crediti d’imposta spettanti per le ritenute estere: come detto, anche se non furono indicati in origine, si possono ora riportare per abbattere l’imposta dovuta . L’integrativa infatti permetterà di far emergere sia il reddito lordo estero sia l’imposta estera pagata, così da ottenere la detrazione. In alcune situazioni (es. affitti esteri) potrebbero spettare deduzioni forfettarie o altri abbattimenti: occorre applicare la normativa come se si fosse dichiarato regolarmente.
  3. Calcolare le sanzioni amministrative in misura ridotta secondo il ravvedimento. Per ogni anno e tipo di violazione ci sarà una sanzione base (omessa/infedele, oppure omessa RW). Su quella si applica la riduzione pertinente (1/8, 1/7, etc.). Ad esempio, supponiamo un contribuente non abbia dichiarato nel 2021 interessi esteri con €1.000 di IRPEF evasa, e non abbia compilato RW per un conto di €50.000. La sanzione base infedele per €1.000 evasi è €900 (90%), ridotta a, poniamo, 1/8 = €112 se ravvede nel 2023. La sanzione base RW per €50.000 non monitorati può essere 3% = €1.500, ridotta a 1/8 = €187. Quindi pagherà €112 + €187 circa, anziché (se scoperto) €900 + €1.500 = €2.400, oltre a rischi penali se la cifra fosse grande. Questo esempio mostra il risparmio notevole col ravvedimento .
  4. Calcolare gli interessi legali dovuti sulle imposte pagate in ritardo. Il tasso di interesse legale in Italia è variato di anno in anno (ad esempio 0.05% nel 2020, 1.25% nel 2022, 5% nel 2023 e 2024 in aumento). Si applicano interessi giornalieri dalla data in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata (generalmente il 30 giugno dell’anno di dichiarazione) fino al giorno del pagamento ravvedimento.
  5. Effettuare i versamenti dovuti tramite modello F24, usando i codici tributo appropriati: uno per l’imposta, uno per interessi e uno per la sanzione ridotta. L’Agenzia fornisce istruzioni e codici (ad es. codice tributo 8901 per sanzioni da infedele IRPEF, ecc.). Occorre fare un F24 per ciascun anno e tributo.
  6. Presentare telematicamente la dichiarazione integrativa (redditi PF, SP, SC a seconda dei casi) barrando l’apposita casella di integrativa e indicando i nuovi dati. Nel frontespizio va indicato l’anno d’imposta di riferimento e che è una “Dichiarazione integrativa”.

Dopo ciò, la posizione è regolarizzata. L’Agenzia in genere non invia conferme formali (fa fede la ricevuta telematica dell’invio e il buon esito dei pagamenti F24). Si consiglia di conservare la documentazione (es. dettaglio calcoli, prove del pagamento imposte estere per giustificare l’eventuale credito richiesto).

Ravvedimento del Quadro RW: merita un accenno particolare. Ravvedersi per un’omissione RW significa versare la sanzione dovuta (ridotta) calcolata sul valore non dichiarato e, se dovute, eventuali IVIE/IVAFE omesse. Per la sola omissione RW, la sanzione come detto è 3-15% annuo. Con il ravvedimento la si riduce (1/8 se entro anno, etc.). Spesso essendo sanzioni molto elevate in cifra assoluta, il risparmio dell’85% (riduzione a 1/8 equivale al 12.5% della sanzione) è determinante . Ad esempio, mancato RW su €200.000 per 5 anni: sanzione base potenziale 15%*5=75% del valore = €150.000. Ravvedendosi dopo 5 anni (dunque 1/7 ora), potrebbe scendere intorno al 10.7% del valore = €21.400. Certo, resta una cifra notevole, ma molto inferiore a 150k. In più, il ravvedimento blocca l’ulteriore conteggio di interessi e soprattutto evita possibili aggravamenti (in passato c’era il raddoppio delle sanzioni RW se l’accertamento avveniva oltre i termini, oggi eliminato). Anche per il RW, comunque, se l’omissione non ha prodotto imposte evase, non vi è reato (è solo amministrativo), ma ravvedersi evita un contenzioso costoso.

Limiti al ravvedimento: come già ribadito, se il contribuente ha già ricevuto un processo verbale di constatazione (PVC) dall’Agenzia o Guardia di Finanza relativo a quella violazione, dalla vecchia norma non poteva ravvedersi. La riforma del 2024 invece consente ravvedimento anche dopo PVC, entro certi limiti (con sanzione 1/5 o 1/4 del minimo) . Bisognerà però vedere come si concilia ciò col fatto che di solito dopo un PVC l’ufficio vuole procedere con l’accertamento; sarà un ravvedimento “concordato” probabilmente. Se invece è già arrivato un avviso di accertamento, il ravvedimento non è più ammesso perché la violazione è ormai contestata ufficialmente; a quel punto si potrà solo cercare accordi con l’ufficio (accertamento con adesione, vedi dopo) o fare ricorso. Dunque il ravvedimento resta uno strumento preventivo, da usare finché il Fisco non “batte un colpo”. Per questo l’Agenzia invia spesso prima delle lettere “bonarie” (compliance) ai contribuenti con possibili redditi esteri non dichiarati (v. scambio dati), proprio per stimolare il ravvedimento invece di passare subito all’accertamento .

Ravvedimento speciale 2023: si segnala per completezza che la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) aveva introdotto un ravvedimento operoso speciale per violazioni dichiarative fino all’anno d’imposta 2021. Pagando 1/18 del minimo della sanzione edittale e rimuovendo la violazione (con integrativa) entro il 31/10/2023, si regolarizzava la posizione senza sanzioni piene. Questo ravvedimento speciale è stato una tantum e ormai il termine è scaduto. Chi ne ha usufruito avrà definito in maniera agevolata anche omissioni su redditi esteri. Chi non lo ha fatto, rientra nel regime ordinario di ravvedimento ora descritto.

Altre forme di definizione e difesa in fase di accertamento

Se il contribuente non ha provveduto a ravvedersi per tempo e l’Agenzia delle Entrate ha già avviato il controllo o emesso rilievi, restano comunque alcuni strumenti per attenuare le sanzioni o trovare un accordo senza arrivare per forza al giudizio:

  • Compliance spontanea su segnalazione: come accennato, l’Agenzia invia spesso lettere di compliance quando riceve informazioni su attività estere (ad es. dati del Common Reporting Standard sulle giacenze su conti esteri) incongruenti con le dichiarazioni presentate. La lettera invita il contribuente a verificare e spiegare eventuali difformità, prima di procedere con un accertamento formale. In questa fase, se il contribuente si attiva presentando le integrative e pagando col ravvedimento, può ancora beneficiare delle sanzioni ridotte . Conviene assolutamente aderire alla “moral suasion” in questi casi, perché ignorare la lettera porterà quasi certamente a un accertamento più oneroso. Non è necessario rispondere alla lettera formalmente: l’adesione si concretizza col presentare integrative e pagare. Talvolta la lettera stessa fornisce indicazioni sui periodi d’imposta e conti non dichiarati, aiutando a regolarizzare.
  • Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): se è stato notificato un avviso di accertamento per redditi esteri non dichiarati, il contribuente può chiedere entro 60 giorni l’adesione, cioè una procedura di tipo “conciliativo”: si avvia un contraddittorio con l’ufficio cercando un accordo sulle somme dovute. Vantaggi: durante l’adesione i termini sono sospesi; se si raggiunge un accordo, le sanzioni amministrative vengono ridotte a 1/3 del minimo previsto per legge . Ad esempio, un’infedeltà normalmente sanzionata al 90% risulterà sanzionata al 30%. Inoltre, si evita il contenzioso e si può pagare in rate fino a 8 (se importi alti). Per il Quadro RW, solitamente l’ufficio applica il cumulo giuridico per più anni e può essere discorsivo su eventuali duplicazioni. L’adesione conviene se l’Agenzia ha fondamento nei dati: consente di negoziare eventuali punti dubbi (es. quantificazione di imponibile estero, applicazione di crediti d’imposta) e di ottenere la citata riduzione di 1/3 sulle sanzioni. Se c’è anche un profilo penale, la chiusura dell’adesione e pagamento integrale potranno essere valutati positivamente in sede penale (ma non estinguono di per sé il reato, a meno che rientri nei termini di non punibilità visti).
  • Acquiescenza all’accertamento: se l’accertamento viene notificato e il contribuente decide di non impugnarlo né chiede adesione, può optare per l’acquiescenza entro 60 giorni pagando quanto richiesto: in tal caso ha diritto a una riduzione delle sanzioni a 1/3 (simile all’adesione) . È sostanzialmente accettare l’accertamento con lo sconto. Utile quando il Fisco ha ragione piena e non ci sono margini di contestazione.
  • Definizione agevolata delle sanzioni e liti pendenti: sporadicamente il legislatore propone sanatorie o definizioni agevolate. Ad esempio, nel 2023 è stata offerta la definizione agevolata delle liti pendenti (cause in corso) con sanzioni azzerate o ridotte. Se un contribuente con redditi esteri non dichiarati aveva fatto ricorso, poteva valutare di chiudere la lite pagando solo il tributo. Questo chiaramente dipende dalle norme tempo per tempo.
  • Ricorso tributario e contenzioso: se non si arriva a un accordo, il contribuente può sempre ricorrere al giudice tributario (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni dall’accertamento. In giudizio potrà far valere ogni difesa: ad esempio, contestare la residenza fiscale (sostenendo magari di essere residente all’estero in buona fede, se vi sono elementi), invocare una convenzione internazionale che magari esenta quel reddito in Italia (ci sono casi particolari: es. alcuni redditi da lavoro di breve durata all’estero possono essere tassati solo fuori per convenzione), far valere il credito per imposte estere pagate qualora l’Agenzia non lo abbia riconosciuto, eccepire vizi procedurali (come la mancata notifica di un PVC, o la decadenza dei termini – anche se per estero i termini erano raddoppiati fino al 2015), chiedere la disapplicazione di sanzioni per obiettiva incertezza normativa, etc. Ad esempio, in passato sono state contestate la proporzionalità delle sanzioni RW e il raddoppio dei termini: su quest’ultimo la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il raddoppio a posteriori in assenza di denuncia penale entro i termini ordinari (sent. 2015 n. 247), ma poi il legislatore ha eliminato la norma di raddoppio per atti successivi al 2015. Se la controversia presenta buoni argomenti, il giudice potrebbe annullare in tutto o parte l’atto. Ad esempio, potrebbe riconoscere il credito d’imposta estero anche se l’ufficio lo ha negato (alla luce delle pronunce Cassazione pro contribuente citate prima) , riducendo così l’imposta evasa e di riflesso sanzioni e magari facendo scendere la cosa sotto soglia penale. Oppure, potrebbe riqualificare talune entrate come non imponibili in Italia (es. nel caso di trust, stabilire che i redditi non erano imputabili al beneficiario se non incassati, ecc.). Il contenzioso però è costoso, lungo e incerto. Spesso vale la pena solo se ci sono questioni di principio importanti o importi altissimi su cui l’Agenzia è inflessibile.
  • Assistenza professionale: in tutte queste fasi – ravvedimento, adesione, ricorso – il ruolo di professionisti qualificati è fondamentale. Commercialisti esperti in fiscalità internazionale possono calcolare correttamente il dovuto (non è banale tra tasse estere, crediti, sanzioni), preparare le dichiarazioni integrative e predisporre memorie per spiegare l’origine dei fondi, minimizzando il rischio di contestazioni ulteriori (es. rischio di contestazione di riciclaggio in casi estremi di fondi neri esteri). Avvocati tributaristi possono assistere nell’adesione e soprattutto nel contenzioso, sapendo quali argomenti giuridici sollevare. Se c’è un parallelo procedimento penale, è imprescindibile avere un avvocato penalista tributario coordinato con il fiscalista: a volte ammettere in sede tributaria certi fatti può avere riflessi penali, quindi la strategia deve essere integrata. Ad esempio, se la cifra è penalmente rilevante, potrebbe convenire pagare tutto subito e cercare un patteggiamento in penale con causa di non punibilità, piuttosto che fare ricorso tributario negando l’evidenza (che rischierebbe di peggiorare la posizione penale).

In conclusione di questa sezione, il miglior rimedio resta la prevenzione: se sai di avere dichiarato in modo infedele (o dimenticato) redditi esteri, non aspettare la contestazione: valuta subito un ravvedimento operoso, possibilmente con l’aiuto di un esperto. Abbiamo visto che così facendo potrai:

  • Pagare meno sanzioni (ridotte anche dell’80-90% rispetto al dovuto in caso di accertamento) .
  • Evitare guai penali, perché ravvedendoti in tempo il reato non viene nemmeno contestato .
  • Risolvere la situazione in modo riservato (il ravvedimento è un atto del tutto spontaneo, non pubblicizzato).

Se invece il Fisco ti ha già scoperto, non perdere le speranze: esistono comunque procedure di accordo e se necessario le vie giudiziarie, dove far valere i tuoi diritti (ad es. il diritto di credito per le tasse estere pagate, che a volte l’ufficio tende a ignorare ma i giudici riconoscono in base alle convenzioni) . L’importante è farsi affiancare da professionisti competenti e muoversi tempestivamente.

Simulazioni pratiche e casi esemplificativi

Per rendere più concreti i principi esposti, presentiamo alcune simulazioni pratiche di casi frequenti di redditi esteri non dichiarati, illustrando quali rimedi si possono adottare e quali sarebbero invece le conseguenze in caso di inerzia e accertamento fiscale. Questi esempi, pur semplificati, aiutano a capire la differenza tra una regolarizzazione spontanea e uno scenario “punitivo” post-contestazione.

Caso 1: Conto corrente estero con interessi non dichiarati
Situazione: Il signor Rossi, residente in Italia, detiene un conto corrente in Svizzera su cui nel 2022 ha maturato €5.000 di interessi bancari. Non sapendo di doverli dichiarare (magari perché tassati alla fonte in Svizzera con una ritenuta del 35%), Rossi non li indica nella dichiarazione dei redditi 2023 e non compila il Quadro RW per il conto (saldo medio €100.000). Nel 2024 riceve una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate, che tramite lo scambio di informazioni CRS conosce l’esistenza del conto e degli interessi. Cosa può fare Rossi?

  • Opzione A – Ravvedimento operoso (regolarizzazione spontanea): Rossi, resosi conto dell’obbligo, decide di ravvedersi subito (prima che parta un accertamento formale). Presenta nel 2024 una dichiarazione integrativa per l’anno d’imposta 2022, dichiarando i €5.000 di interessi esteri. Calcola l’IRPEF dovuta su tali interessi: essendo redditi di capitale esteri per una persona fisica, l’aliquota è quella sostitutiva del 26%. Quindi l’imposta italiana sarebbe €1.300. Tuttavia, Rossi ha diritto al credito d’imposta per l’eventuale ritenuta svizzera subita. Ipotizziamo che la Svizzera abbia prelevato €1.750 (il 35%). In base alla convenzione Italia-Svizzera, Rossi può recuperare il 20% (di solito il 35% era composto di un 15% rimborsabile e un 20% definitivo; semplifichiamo e diciamo che può portare credito di €1.000, il 20% sui 5.000). Rossi dunque dovrebbe in teoria pagare solo la differenza: €1.300 (imposta italiana) – €1.000 (credito) = €300 di imposta netta. Inserisce questi dati nell’integrativa. Inoltre, compila il Quadro RW indicando il conto da €100.000. Sanzioni ravvedimento: per l’infedeltà dichiarativa su €300 di imposta evasa (perché inizialmente non aveva pagato nulla di quei 300), la sanzione base sarebbe 90% = €270. Poiché ravvede entro un anno, la riduce a 1/8 ≈ €33.75. Per l’omessa dichiarazione RW su €100.000, la sanzione base è 3% = €3.000; ridotta a 1/8 diventa €375. Gli interessi legali su €300 di imposta per un anno circa sono trascurabili (5% di 300 = €15, diciamo ~€15). Rossi versa dunque: imposta €300 + interessi €15 + sanzioni €33.75 + €375 ≈ €723 in totale. Dopo ciò è in regola e l’Agenzia chiuderà la segnalazione. Nessuna conseguenza penale (l’imposta evasa è sotto soglia e comunque il ravvedimento estingue il reato). Il costo maggiore per lui è stato l’IVAFE eventualmente dovuta sul conto (€200 di IVAFE sul 100k, anch’essa da ravvedere se non l’aveva pagata, con sanzione e interessi: ma anche qui credito Svizzera? In realtà per conti esteri c’è l’imposta fissa €34.20 se <5k, non il nostro caso, quindi IVAFE 0,2% = €200; sanzione omesso versamento IVAFE 30% = 60, ravveduta a 1/8 = €7.5; dettagli che porterebbero a qualche decina di euro in più). In sintesi, Rossi con meno di €800 sistema tutto.
  • Opzione B – Inerzia, controllo e accertamento: supponiamo invece che Rossi ignori la lettera di compliance. L’Agenzia a questo punto procede. Nel 2025 notifica un avviso di accertamento: contesta i €5.000 di interessi non dichiarati nel 2022, chiedendo IRPEF 26% = €1.300, negando il credito (magari perché Rossi non ha documentato la ritenuta estera, o perché formalisticamente l’art.165 c.8 TUIR lo esclude; Rossi potrà farlo valere solo in contestazione). Inoltre, contesta l’omessa indicazione del conto per €100k. Sanzioni: applica infedele su €1.300 evasi al 120% (aggravante estero) = €1.560 di multa . Più sanzione RW 15% = €15.000 (magari ridotta a 5% minimo = €5.000? ma in genere applicano dal 3 al 15; se applicano il minimo 3% allora 3k per quell’anno; su più anni potrebbe esser di più). Diciamo €3.000 per RW 2022. Totale sanzioni ~€4.560. Quindi il conto salato per Rossi sarebbe: imposta €1.300 + sanzioni ~€4.560 + interessi su imposta ~€100 = circa €5.960. In più, Rossi dovrà pagare l’IVAFE evasa (€200) con sanzione 30% = €60. Totale oltre €6.000. Inoltre, penalmente la cosa è irrilevante (imposta evasa 1.300 < 100k), quindi niente reato, ma Rossi avrà perso quasi 10 volte rispetto al ravvedimento. Potrebbe fare ricorso per farsi riconoscere il credito d’imposta di €1.000 pagati in Svizzera: se vince su quello, imposta scenderebbe a €300 e anche la sanzione infedele verrebbe riquantificata (90% di 300 = €270). Il giudice probabilmente glielo darebbe (visto il principio Cassazione) , ma intanto spese legali, tempo, e rimarrebbe la sanzione RW di €3.000 intatta (la formalità non è scusabile) . Dunque, comunque molto peggio che ravvedersi.

Caso 2: Immobile estero non dichiarato e affitti omessi
Situazione: La sig.ra Bianchi, residente in Italia, possiede una casa a Parigi. Nel 2019 l’ha affittata percependo €10.000 di canoni, e nel 2020 l’ha venduta realizzando una plusvalenza di €50.000. Non sapeva di dover dichiarare questi redditi in Italia (pensava bastasse tassazione in Francia). Non ha compilato nulla né RW. Nel 2021-2022 non presenta nulla. Nel 2023 l’Agenzia, grazie allo scambio info con la Francia, viene a conoscenza di questi dati e avvia un controllo.

  • Regolarizzazione tardiva: Bianchi a fine 2022 ormai è oltre i termini di ravvedimento breve, ma potrebbe ancora fare integrative per 2019 e 2020 (entro fine 2025 sarebbero nei 5 anni). Decide nel 2023, vedendo segnali, di ravvedere: presenta integrativa 2020 (redditi 2019) indicando €10.000 di reddito fondiario estero. La tassazione italiana sugli affitti esteri segue le regole generali IRPEF (no cedolare secco perché estero): imponibile al netto 5% forfettario spese (immobili esteri non hanno abbattimento 30% prima casa perché estero e locato). Diciamo imponibile €9.500, IRPEF €3.000 circa. In Francia avrà pagato tasse su affitto 2019 (ipotizziamo €2.000). Credito d’imposta spetta per convenzione fino concorrenza imposta italiana. Quindi paga differenza €1.000 circa. Sanzione infedele su €1.000 evasi = 90% = €900, ridotto ravv essendo oltre 2 anni presumibilmente 1/7 (nuovo regime) ~€128. Sanzione RW per immobile (valore poniamo €200.000) anno 2019: 3% = €6.000, ravv 1/7 = ~€857. Più IVIE non pagata sul 2019: valore €200k, IVIE 0,76% = €1.520, credito per impôt fonciere francese se c’era? lasciamo stare, sanzione omesso vers IVIE 30% = 456 ridotta a 1/7 = €65. Totali ravv 2019: imposta netta 1.000 + IVIE 1.520 + sanzioni ~128+857+65 + interessi = circa €3.600. Integrativa 2021 (redditi 2020) per plusvalenza €50.000: in Italia la plusvalenza immobiliare estera (ceduto entro 5 anni dall’acquisto come immobile non prima casa) è imponibile IRPEF. Diciamo IRPEF ~€15.000. Tassata in Francia magari al 19% + contributi, supponiamo €10.000 pagati. Credito €10k, imposta residua ita €5.000. Sanzione evasa 90% = €4.500, ravv 1/7 = ~€643. Sanzione RW 2020 stesso immobile: 3% €6.000 ravv ~€857. IVIE 2020 (solo per parte anno possesso fino a vendita) diciamo €760, sanzone 30% 228 ravv ~€33. Somme ravv 2020: imposta €5.000 + IVIE 760 + sanzioni ~643+857+33 = ~€7.293. Totale ravv pagato ~€10.900. Nessun penale (imposta evasa maxi 5k, sotto soglia).

Se non avesse fatto nulla e il Fisco accerta: su 2019 recupera imposta €1.000 e IVIE €1.520, sanzione infedele aggravata 120% €1.200, sanz RW 15% €30.000 (immobile black list? no Francia no black list, 3-15% decideranno magari 5% = €10.000), sanz omesso IVIE 30% 456. Totale atto 2019 ~€13.000. Su 2020: imposta €5.000, IVIE 760, sanz infedele 120% €6.000, sanz RW €10.000, sanz IVIE 228. Totale ~€22.000. Complessivo sui due anni ~€35.000. In più c’è reato infedele perché imposta evasa 5.000 + 1.000 = €6.000, soglia 100k no, quindi no reato ancora (bene per lei). Ma 35k vs 11k ravv è un’enorme differenza. Inoltre, ravvedendosi avrebbe potuto modulare i crediti imposta, in accertamento magari glieli riconoscono in parte (ma se non li aveva chiesti, inizialmente no, poi in contenzioso può farli valere).

Caso 3: Società estera non dichiarata (CFC) – caso complesso
Situazione: Un imprenditore italiano, Tizio, detiene il 100% di una società in Panama (paradiso fiscale) che dal 2018 al 2021 ha prodotto utili mai distribuiti per €500.000, provenienti principalmente da investimenti finanziari (interessi, dividendi). Tizio non ha mai indicato nulla (né RW per la partecipazione, né gli utili come CFC). Nel 2022 Tizio teme controlli (l’Italia ha accordi di scambio anche con Panama dal 2019) e decide di “rimpatriare” i soldi chiudendo la società. Sa però di essere esposto a contestazioni pregresse.

In un caso così complesso, Tizio deve consultare professionisti. Probabilmente gli verrà consigliato di procedere con un ravvedimento operoso pluriennale per dichiarare i redditi della CFC per trasparenza. Per ogni anno 2018-2021 dovrebbe dichiarare come redditi da partecipazione la sua quota di utili (€125k anno se lineare) e pagare IRPEF relativa (~43% su 125k = 53.750 € per anno). Totale imposte quattro anni ~€215.000. Le sanzioni per infedele (90-180%) sarebbero colossali se accertate (fino a ~€387.000 per anno!). Ravvedendosi, può ridurle a 1/7 di 90% = ~12.86%, quindi circa €27.500 a anno, tot ~€110.000 sanzioni. Sanzioni RW per la partecipazione estera: valore magari €500k, 15% annuo = 75k anno, ravv 1/7 ~10.7k, su 4 anni ~€42.8k. Totale ravv versato: imposte €215k + sanzioni €152.8k + interessi, diciamo ~€370.000. Una cifra enorme, ma pensiamo all’alternativa: se scoperto, Tizio avrebbe:

  • Reato tributario: imposta evasa per oltre €200k > soglia 100k, sì reato di infedele dichiarazione (dolo specifico quasi certo) con pena 2-4.5 anni .
  • In sede tributaria: imposte €215k + sanzioni infedele aggravate (paradiso fiscale) 240% = €516k x4 = ~€2.064.000 (!!) + sanzioni RW 30% di 500k = 150k x4 = €600k. Totale teorico oltre €2.8 milioni (quasi pari ai capitali).
  • Il Fisco in adesione potrebbe ridurre sanzioni a 1/3 (still ~€800k).

Tizio ravvedendosi paga 370k e niente penale (perché ravvedimento prima di controlli -> non punibilità ex art.13) . Anche qui, la differenza è tra perdere una parte e rischiare di perdere tutto e subire condanna.

Da questi esempi, si può trarre la morale: prima si agisce, meglio è. È chiaro che gli importi e percentuali reali possono variare, ma il rapporto tra “rimedio spontaneo” e “accertamento subito” è sempre a netto vantaggio del primo, sia economicamente sia per tranquillità legale.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Ho scoperto di non aver dichiarato alcuni redditi esteri negli anni scorsi. Cosa devo fare immediatamente?
R: La cosa migliore da fare è attivarsi subito con un ravvedimento operoso. Ciò significa presentare dichiarazioni integrative per gli anni coinvolti e pagare spontaneamente le imposte dovute sui redditi esteri non dichiarati, con sanzioni ridotte e interessi. Finché non hai ricevuto notifiche di accertamento o avvisi di verifica, il ravvedimento è ammesso e ti consente di sanare la situazione con esborsi molto minori rispetto a un accertamento e soprattutto di evitare eventuali conseguenze penali . È consigliabile farsi assistere da un fiscalista per calcolare correttamente imposte e sanzioni e per presentare le pratiche integrative.

D: Cosa rischio se non mi ravvedo e l’Agenzia delle Entrate scopre l’evasione di redditi esteri?
R: Rischi un avviso di accertamento con il recupero di tutte le imposte italiane non pagate, maggiorate di interessi e soprattutto di pesanti sanzioni amministrative, che per infedele dichiarazione vanno normalmente dal 90% al 180% dell’imposta evasa (fino al 240% se redditi esteri, per violazioni passate) . Ad esempio, €10.000 di IRPEF evasa possono portare €9.000–18.000 di multa. In più, se l’imposta evasa supera le soglie penali (es. >100.000 €) potresti subire un procedimento penale per reato tributario, con rischio di condanna alla reclusione (nel caso di dichiarazione infedele dolosa, fino a 4 anni e 6 mesi) . Anche se sotto soglia, l’Agenzia può segnalare la cosa in Anagrafe Tributaria e incidere sul tuo rischio fiscale futuro. Inoltre, se hai attività finanziarie estere non dichiarate (Quadro RW), ti verrà irrogata un’ulteriore sanzione dal 3% al 15% del valore degli asset (annua) . Il cumulo di queste sanzioni può raggiungere importi molto elevati, erodendo gran parte del capitale non dichiarato. In sintesi, rischi di pagare molto di più e di avere grattacapi legali seri.

D: In quali casi scatta il reato tributario per i redditi esteri non dichiarati?
R: Il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) scatta se hai evaso più di €100.000 di imposte in un periodo d’imposta e hai omesso più del 10% del reddito o comunque oltre €2 milioni di imponibile . Ad esempio, se hai occultato redditi esteri per €3 milioni evitando €150.000 di IRPEF, è reato; se ne hai occultati €100.000 evitando €30.000 di imposte, non è reato (ma resta illecito amministrativo). Il reato di omessa dichiarazione (art. 5) scatta se proprio non presenti la dichiarazione e l’imposta evasa supera €50.000 . Quindi, per piccoli importi, niente penale. Va però considerato che spesso i redditi esteri non dichiarati si accumulano su più anni: la soglia va valutata anno per anno, non cumulata. Inoltre serve il dolo, ossia la volontà di evadere. Se è stato un errore genuino e l’imposta è sotto soglia, non avrai conseguenze penali, solo sanzioni amministrative.

D: Come posso dimostrare che è stato un errore del mio commercialista e non volontà di evadere?
R: In sede penale puoi certamente portare elementi a tua difesa per sostenere l’assenza di dolo (es. email in cui fornisci i dati al commercialista e lui omette di inserirli, parere errato ricevuto, ecc.). Se il giudice crede che tu non avessi consapevolezza né volontà di evadere, potresti essere assolto perché manca l’elemento soggettivo (errore inconsapevole). Tuttavia, devi sapere che affidarsi al commercialista non esonera totalmente dalle responsabilità: la giurisprudenza penale tributaria è abbastanza rigorosa nel ritenere il contribuente responsabile delle dichiarazioni firmate, a meno di prove molto forti di una sua totale estraneità alla gestione fiscale . In ambito amministrativo, purtroppo l’errore del consulente non esime dalle sanzioni tributarie (al più può essere un elemento per chiedere la non applicazione di sanzioni per obiettiva incertezza se la norma era complicata, ma sono casi rari). Quindi potresti rivalerti civilmente sul commercialista, ma intanto con il Fisco devi regolare tu. Conviene comunque ravvedersi o sistemare le cose, e poi eventualmente valutare azioni verso il professionista se c’è stata negligenza grave.

D: Ho ricevuto una “lettera di compliance” dall’Agenzia che mi segnala redditi o investimenti esteri non dichiarati. È una cosa grave? Cosa devo fare?
R: La lettera di compliance non è un atto sanzionatorio, ma un avviso bonario: l’Agenzia ti sta dicendo che, dai dati che ha (di solito scambi internazionali, o controlli incrociati), risultano certe attività estere a tuo nome che non trovano riscontro nella tua dichiarazione. Ad esempio, potresti aver ricevuto una lettera perché risulta un conto all’estero con saldo X o un dividendo dall’estero non dichiarato . Non è il caso di spaventarsi, ma neanche da ignorare: di solito dopo la lettera, se non fai nulla, parte un accertamento vero e proprio. Quindi considera la lettera come un’opportunità per rimediare spontaneamente senza sanzioni piene. Devi verificare le informazioni segnalate e, se effettivamente hai omesso qualcosa, procedere con la regolarizzazione (ravvedimento). Nella lettera spesso è indicato come comunicare eventuali chiarimenti: se ad esempio ritieni che i redditi fossero esenti o già tassati correttamente, puoi farlo presente rispondendo all’indirizzo indicato (o tramite CIVIS/Fisconline). Ma se riconosci l’errore, non serve rispondere: ravvediti (dichiarazione integrativa e pagamento). L’Agenzia riceverà la tua integrativa e, se tutto torna, non procederà oltre. La lettera in sé non ti applica sanzioni, ti offre la chance di pagarle ridotte. Quindi sì, prendila sul serio e agisci entro il termine indicato (di solito 30 giorni o 90 giorni per ravvedersi).

D: Ho già pagato le tasse all’estero su quei redditi (es. imposta estera su pensione, affitti, dividendi). Devo pagare di nuovo in Italia?
R: Dipende dalle norme interne e dal trattato: in linea generale, l’Italia ti sottopone a tassazione sul reddito mondiale anche se hai pagato all’estero, ma evita la doppia imposizione dandoti un credito d’imposta per quanto hai pagato fuori (nei limiti dell’imposta italiana). Quindi normalmente non pagherai due volte: pagherai l’eventuale differenza se l’aliquota italiana è più alta, oppure nulla se l’imposta estera copre quella italiana. Ad esempio, su una pensione estera su cui hai già pagato il 25% all’estero, in Italia (aliquota magari 30%) pagherai solo il 5% differenziale, grazie al credito. Il problema è che, se non dichiari nulla, non puoi chiedere il credito in dichiarazione e formalmente lo perdi secondo la legge interna . Però la Cassazione ha stabilito che se esiste una convenzione, il diritto alla detrazione dell’imposta estera non svanisce solo perché non l’hai indicata subito: puoi farlo valere anche tardivamente . In sede di accertamento o ravvedimento, ti riconosceranno il credito per evitare doppie tasse . Quindi, dichiarando correttamente anche se in ritardo, pagherai al netto delle imposte estere. Attenzione: devi poter documentare l’imposta pagata all’estero (certificati fiscali esteri, modelli, ricevute) e l’esistenza di un trattato che prevede il credito (la maggior parte dei Paesi lo ha con l’Italia). Se hai già pagato tutto all’estero e l’Italia per convenzione non dovrebbe tassare (es. caso di alcuni redditi esenti in Italia per trattato), allora comunque devi dichiarare il reddito in Italia ma poi non pagherai nulla – per alcuni redditi immobiliari vige l’esenzione in Italia, ma l’obbligo di monitoraggio RW rimane! In sintesi: dichiara sempre i redditi esteri, indicando anche le imposte pagate fuori; in questo modo eviti la doppia imposizione e sei in regola.

D: Devo dichiarare anche un conto estero su cui non percepisco interessi o se all’estero ho solo un patrimonio ma nessun reddito?
R: Sì. Il Quadro RW va compilato per il semplice fatto di detenere attività finanziarie o patrimoniali all’estero, indipendentemente dal reddito. Ad esempio, un conto corrente estero su cui tieni risparmi (anche se non frutta interessi) deve essere monitorato . Un immobile all’estero tenuto a disposizione (non affittato) va indicato (e paghi l’IVIE se dovuta, salvo esenzioni). Molti pensano che se non c’è reddito non occorra dichiarare: sbagliato. L’obbligo RW è autonomo. La Cassazione ha detto chiaramente che non dichiarare un asset estero è una violazione sostanziale, non una formalità, e comporta sanzione anche se quell’asset non produce reddito . Esempio: hai €50.000 su un conto all’estero che non ti dà interessi? Devi comunque inserirlo in RW, se no multa 3-15% sul 50k (ovvero €1.500–7.500). Quindi la risposta è sì, devi sempre monitorare. Solo se i beni esteri sono già fiscalmente intermediati da un soggetto italiano (tipo un conto presso filiale italiana di banca estera) allora quell’attività non va in RW. Ma altrimenti, anche zero interessi = obbligo RW. Ovviamente, se davvero non c’era reddito, non avrai imposte da pagare, solo l’eventuale IVAFE/IVIE sul valore.

D: Se faccio ravvedimento operoso, devo pagare subito tutto in un’unica soluzione? E posso ancora rateizzare?
R: Il ravvedimento richiede che gli importi dovuti vengano versati. In teoria, per il perfezionamento, tutti i pagamenti (imposta, interessi, sanzione ridotta) vanno eseguiti entro la data di ravvedimento. Non esiste una rateazione “automatica” del ravvedimento come invece c’è per gli avvisi di accertamento. Tuttavia, nulla vieta di ravvedere anno per anno in momenti diversi (prioritizzando i più vecchi in scadenza) o di versare a scaglioni, con l’accortezza che fino a quando non hai versato tutto, la violazione non si considera completamente sanata. In pratica, è bene fare in modo di chiudere l’intera posizione di un anno entro breve tempo. Se le somme sono ingenti e non riesci in unica soluzione, puoi versare la parte principale e poi il resto poco dopo, ma c’è un piccolo rischio: se l’Agenzia ti notifica qualcosa nel frattempo, i versamenti parziali potrebbero non evitare la contestazione (verrebbero semmai detratti). Insomma, l’ideale è avere liquidità o procurarsela (anche con prestito) per sanare in una volta. Considera che le sanzioni ridotte convengono moltissimo, quindi può valere la pena fare uno sforzo economico ora per evitare importi doppi o tripli dopo. Se proprio non puoi pagare tutto, una strategia è: ravvedi gli anni più lontani subito (perché stanno per prescriversi), così blocchi possibili contestazioni su quelli, e poi via via gli altri. Ricorda anche che l’accertamento consente al massimo 8 rate trimestrali se attivi la rateazione; il ravvedimento non ha formalmente rate, ma in caso di definizione agevolata nel 2023 era previsto di pagare in 8 rate. Verifica se normative recenti (es. DL 34/2023 art. 23) prevedono piani di pagamento: per alcune sanatorie sì, per ravvedimento ordinario no. In sintesi, preferibilmente paga in un’unica soluzione. Se hai difficoltà, meglio consultare il Fisco o un esperto per studiare alternative (ad esempio presentare dichiarazioni integrative e chiedere compensazione con eventuali crediti fiscali se ne hai, o valutare la definizione con adesione per avere più tempo).

D: Ho trasferito la mia residenza all’estero qualche anno fa, ma non mi sono iscritto all’AIRE e l’Italia mi considera ancora residente. Possono contestarmi redditi esteri?
R: Sì, se non risulti formalmente non residente, per l’Italia sei soggetto a tassazione su tutti i redditi mondiali. L’iscrizione all’AIRE è fondamentale per essere riconosciuti come non residenti ai fini fiscali . Anche con iscrizione AIRE, il Fisco può contestare la fittizietà della residenza estera (il fenomeno dell’esterovestizione) se emergono elementi che dimostrano che in realtà vivevi e avevi interessi in Italia. Ci sono stati vari casi (es. sportivi, imprenditori) dove la Cassazione ha confermato la residenza italiana nonostante iscrizione AIRE, perché la vita personale ed economica era centrata in Italia (art. 2 TUIR criteri domicilio, dimora) . Nel tuo caso, non essendo neppure AIRE, c’è una presunzione legale che tu sia rimasto residente in Italia fino a prova contraria . Quindi l’Agenzia Entrate potrebbe benissimo chiederti conto di redditi esteri di quel periodo. Potrai difenderti cercando di provare di aver avuto all’estero il centro dei tuoi interessi (contratti di lavoro, famiglia, casa in affitto, etc.). Ma è una battaglia in salita. Se nel frattempo hai regolarizzato l’iscrizione AIRE tardiva, fallo presente. E valuta di sanare col ravvedimento i redditi esteri di quei periodi, magari facendo presente (in adesione eventualmente) che erano redditi maturati mentre tu ritenevi di essere residente fuori (chissà, forse si può ottenere una riduzione sanzioni per incertezza, ma non contarci troppo). In ogni caso, meglio prevenire: se oggi sei ancora formalmente residente e hai redditi esteri, dichiara tutto. Se pensi di dover essere considerato non residente, puoi presentare istanza di interpello sui requisiti o comunque prepararti a dimostrare il tuo status.

D: Le criptovalute detenute su exchange esteri vanno dichiarate? Anche se non le ho vendute e quindi non ho “reddito”?
R: Sì, dal periodo d’imposta 2022 è in vigore una normativa specifica: le cripto-attività vanno indicate nel Quadro RW (e soggette a imposta IVCA dello 0,2% sul valore al 31/12, salvo esenzione se inferiore a €51.645 per almeno 7 giorni, norma che ricalca vecchie soglie valutarie) . Anche prima del 2022 molti fiscalisti suggerivano di indicarle comunque in RW per prudenza (come “altri asset esteri”). Ora è obbligatorio. Quindi sì, vanno monitorate, anche se non generano plusvalenze. Peraltro la legge 2022 ha previsto la possibilità di sanare il passato pagando una sanzione forfettaria (una sorta di “voluntary” per cripto) entro novembre 2023: se te la sei persa, si torna alle regole generali. Le plusvalenze da trading di criptovalute sono tassabili dal 2023 con imposta 26% se superano €2.000 annui, ma questo è altro discorso. In sintesi: se hai crypto su exchange estero (Binance, Coinbase ecc.), devi compilare RW con il controvalore in € e versare l’imposta IVCA dello 0,2% se dovuta. Se non lo hai fatto, ravvediti, perché l’Agenzia sta iniziando a ricevere dati anche su questi (soprattutto se hai fatto cash-out su conti).

D: Quanto tempo ha l’Agenzia per contestarmi i redditi esteri non dichiarati? C’è una prescrizione?
R: Sì, c’è un termine di decadenza per gli accertamenti fiscali: in generale l’Agenzia può notificare un avviso di accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione (se presentata) oppure del settimo anno se la dichiarazione è omessa. Ad esempio, per redditi 2019 (dichiarazione 2020 non infedele) il termine ordinario è fine 2025; se omessa dichiarazione, fine 2027 . In passato era previsto il raddoppio dei termini in caso di redditi esteri non monitorati, il che estendeva la decadenza a 10 anni, ma tale automatismo è stato abrogato dal 2015 e la Corte Cost. l’ha bocciato retroattivamente in alcune situazioni. Oggi, il raddoppio dei termini opera solo se vi è una denuncia penale per reati tributari (infedele, omessa) presentata entro il termine ordinario: in tal caso i termini raddoppiano per quell’anno. Ad esempio, se nel 2025 scoprono un reato sul 2019 e denunciano entro fine 2025, il termine diventa fine 2030 per accertare. Quindi attenzione: se c’è penalità di mezzo, di fatto il Fisco può avere più tempo. Per il Quadro RW in sé, la violazione accompagna quella reddituale di solito, ma se c’è solo omessa RW senza imposte evase, l’orientamento attuale è che valga il termine breve di 5 anni perché è “violazione non costituente reato”. Ma su questo c’è stata confusione in passato. In pratica: direi che l’Agenzia certamente può controllare gli ultimi 5 anni, e se c’è di mezzo reato, può estendere a 8 (oggi forse 7+2, ma semplifichiamo 8). Nel dubbio, ravvedimento operoso è possibile finché l’anno non è decaduto, quindi entro i 5 anni. Se sono passati oltre 5 anni, sei “al sicuro” da nuovi accertamenti su quell’anno (salvo appunto casi di denuncia in extremis). Ad esempio, redditi 2015 (dich. 2016) decaduti a fine 2021, ora non più accertabili. Se però quell’anno emerge come penalmente rilevante in un fascicolo, il discorso si complica, ma direi casi rari.

D: La mia società estera (o trust estero) non l’ho dichiarata per ignoranza. Posso regolarizzare solo pagando le tasse sugli utili quando li ho rimpatriati?
R: Purtroppo no, se eri tenuto alle regole CFC o di trust interposti. L’Italia tassa i soci di controllo di società estere in paradisi fiscali anno per anno sugli utili generati dalla società (anche se non distribuiti) . Quindi avresti dovuto dichiarare ogni anno la quota di reddito della società (con credito per eventuali imposte estere pagate). Rimpatriare gli utili dopo senza averli dichiarati prima non sana il passato; anzi, se fai un trasferimento ingente ora, attiri l’attenzione e possono ricostruire che avevi capitale non dichiarato. La via corretta è fare un ravvedimento per gli anni pregressi come visto nel Caso 3. Pagherai le imposte italiane su quegli utili (che comunque avresti dovuto pagare se dichiaravi), e poi potrai far rientrare i soldi senza timore di indagini per riciclaggio. Aggiungo che, se non eri in paradiso fiscale (cioè paese non black list), la tassazione per trasparenza CFC non si applicava, però avresti dovuto monitorare la partecipazione in RW e dichiarare eventuali utili effettivamente distribuiti. Se ora stai chiudendo la società e distribuendo dividendi, quei dividendi vanno dichiarati e tassati (in base alle regole da partecipation exemption o 26% se persona fisica). Il Fisco potrebbe comunque domandare: ma come hai costituito capitale all’estero non dichiarato? Potrebbe sospettare redditi sottratti a monte. Insomma, la regolarizzazione di situazioni complesse (società offshore, trust) va studiata con esperti, talvolta anche valutando adesione a procedure di collaborazione volontaria se riproposte in futuro. Negli anni passati la voluntary disclosure permetteva di far emergere questi asset pagando il dovuto senza punibilità penale; oggi quell’opportunità non c’è, quindi l’unico modo è ravvedersi. Preparati a pagare importi significativi, ma è preferibile a incorrere in sanzioni quadruple e possibili denunce.

D: Ho aderito alla Voluntary Disclosure nel 2015 (o 2017) per regolarizzare alcuni capitali esteri. Ora mi sono accorto che per anni successivi ho di nuovo omesso qualcosa (es. investimenti nati dopo). Posso fare una seconda “voluntary” o devo usare ravvedimento?
R: Al momento non c’è una nuova edizione della Voluntary Disclosure. Quelle del 2015 e 2017 sono state straordinarie e chiuse. Quindi, se hai nuove omissioni, devi procedere con il ravvedimento ordinario. In alcuni casi (ad esempio la VD 2015 copriva fino al 2013) c’è chi ha dimenticato di monitorare negli anni dopo pensando erroneamente che la VD li “immunizzasse” a vita: non è così, ovviamente bisognava continuare a dichiarare. Quindi per sanare 2014-2021 rimasti fuori, devi ravvederti. La buona notizia è che, successivamente alla VD, l’Italia ha ridotto le sanzioni RW e semplificato ravvedimenti, quindi non sarà terribile (sanzione 3-15% ravvedibile a 0,375%-1,875% per ogni anno se dentro 90gg, ecc.). E – importante – non verrai considerato recidivo penalmente: se avevi commesso reati, la VD ti ha esonerato per quelli fino a 2013; per eventuali infedeltà successive, se del caso, sarebbero nuovi reati, ma di solito importi minori. In sintesi, niente panico: ravvediti per le nuove irregolarità. Non c’è al momento un condono generale, a parte le misure della “tregua fiscale 2023” che però riguardavano più errori formali o avvisi bonari. Se hai incluso tutto in VD e hai continuato regolare, bene; se no, ravvedimento.

D: Le sanzioni calcolate dall’Agenzia nel mio caso mi sembrano sproporzionate e ingiuste (ad es. sanzione RW altissima anche se nessun reddito evaso). Posso fare qualcosa?
R: Puoi certamente contestare in sede di ricorso la proporzionalità della sanzione, invocando magari principi costituzionali o UE. Ad esempio, la sproporzione di una sanzione potrebbe essere tema di giudizio: la Corte di Giustizia UE nel 2022 ha ritenuto illegittime certe sanzioni spagnole analoghe al RW . La Cassazione però, nel caso italiano, ha detto che le nostre sanzioni sono proporzionate e non punitive oltremisura . Non è facile quindi ottenere l’annullamento per sproporzione. Talvolta i giudici tributari, in equità, rideterminano la sanzione al minimo se ritengono che l’ufficio abbia usato il massimo senza motivo. Ad esempio, se ti hanno dato il 15% sul RW ma non c’era volontà evasiva né recidiva, potresti far valere che andava applicato il minimo del 3% . Puoi anche chiedere l’applicazione del cumulo giuridico se l’ufficio non l’ha concesso: cioè se hai 5 anni di RW omessi, la legge prevede in realtà che la sanzione massima non superi il doppio del massimo per la violazione più grave , quindi potresti ottenere una riduzione. Insomma, margini di difesa sulle sanzioni ci sono, ma eliminare del tutto la multa è improbabile. Devi convincere che la violazione era meramente formale e senza danno, ma la Cassazione su RW dice il contrario. Un’ultima chance: l’art. 7 D.Lgs. 472/97 consente di non applicare sanzioni in caso di obiettiva incertezza normativa o di errore incolpevole. Se ad esempio c’era confusione interpretativa su un obbligo (alcune persone hanno sostenuto che fino al 2017 la tenuta di criptovalute non fosse soggetta a RW per vuoto normativo, etc.), potresti tentare questa carta. Spesso però gli organi di giustizia tributaria sono restii a riconoscere l’esimente. Vale la pena tentare se l’importo è molto alto e hai argomenti, ma preparati eventualmente a transigere (con conciliazione giudiziale) o a patteggiare un po’. In ogni caso, non ignorare l’atto confidando che la sanzione sia inesigibile: se c’è un provvedimento, devi impugnarlo nei termini.

D: Dopo aver sistemato tutto (pagato tasse, sanzioni, ecc.), posso dormire sonni tranquilli?
R: Sì, se hai regolarizzato correttamente, la vicenda si chiude sotto il profilo tributario. Conserva la documentazione per qualche anno per sicurezza (ricevute integrative, F24 pagati). L’Agenzia potrebbe, per scrupolo, venire a fare un controllo formale ma di solito se è tutto pagato non succede nulla. Anzi, avendo tu mostrato compliance, è probabile che tu esca dai loro radar (le liste selettive spesso tolgono chi si è ravveduto spontaneamente). In ambito penale, se hai ravveduto prima di accertamenti, non avrai nemmeno notizie di reato; se hai pagato tutto dopo essere stato imputato, dovresti usufruire della non punibilità (da formalizzare in sede processuale con richiesta di archiviazione o proscioglimento). Certo, è bene in quest’ultimo caso seguire l’iter con il tuo avvocato per assicurarti che il giudice riconosca la causa estintiva (art. 13). Ma, una volta definito il tutto, potrai stare sereno che non vi saranno strascichi. D’ora in poi, però, mantieni una rigorosa compliance: dichiara ogni anno i tuoi eventuali redditi esteri e compila il Quadro RW. Farlo è diventato più semplice anche grazie ai servizi telematici e alla maggiore cooperazione tra Stati (ad esempio ora molti redditi esteri arrivano precompilati o sono comunque noti al Fisco tramite scambi: conviene anticiparli tu in dichiarazione). In caso di dubbi (es. nuova attività all’estero, trasferimento, ecc.), consulta un esperto per capire come dichiarare correttamente. Così eviterai di ripetere l’esperienza spiacevole.

Hai presentato una dichiarazione dei redditi in cui i redditi esteri sono stati indicati in modo errato o incompleto? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai presentato una dichiarazione dei redditi in cui i redditi esteri sono stati indicati in modo errato o incompleto?
Hai omesso il quadro RW, non hai riportato dividendi, interessi o immobili all’estero?
Vuoi sapere come rimediare e come difenderti dalle possibili contestazioni dell’Agenzia delle Entrate?

👉 Prima regola: intervieni subito, perché esistono rimedi che permettono di regolarizzare la posizione e ridurre sanzioni e interessi.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Omissione totale dei redditi prodotti all’estero (dividendi, interessi, plusvalenze, immobili);
  • Errata compilazione del quadro RW (monitoraggio fiscale) su conti correnti, partecipazioni o investimenti esteri;
  • Utilizzo scorretto delle convenzioni contro le doppie imposizioni;
  • Mancata richiesta del credito d’imposta per le tasse già pagate all’estero;
  • Errori materiali o formali nelle dichiarazioni presentate.

📌 Conseguenze della dichiarazione infedele o sbagliata

  • Recupero delle imposte dovute in Italia;
  • Sanzioni per infedele dichiarazione (fino al 90% della maggiore imposta) e per omesso monitoraggio nel quadro RW;
  • Interessi di mora sulle somme non versate;
  • Rischio di contestazioni penali in caso di importi elevati e condotte considerate fraudolente;
  • Maggiori controlli sulle dichiarazioni future.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • I redditi esteri erano effettivamente imponibili in Italia o già tassati correttamente all’estero?
  • Le convenzioni internazionali prevedono un’esenzione o un credito d’imposta?
  • L’errore era formale (dati mancanti, errori di compilazione) o sostanziale (redditi omessi)?
  • L’Agenzia delle Entrate ha fondato la contestazione su prove concrete o solo su presunzioni?
  • I termini di accertamento sono ancora aperti?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Copia della dichiarazione dei redditi presentata;
  • Certificazioni estere di dividendi, interessi e imposte trattenute;
  • Estratti conto e documentazione bancaria estera;
  • Contratti di compravendita o locazione di immobili all’estero;
  • Normativa e convenzioni contro le doppie imposizioni applicabili.

🛠️ Strategie e rimedi pratici

  • Ravvedimento operoso: correzione spontanea della dichiarazione con pagamento ridotto di sanzioni e interessi;
  • Integrativa a favore: per recuperare crediti d’imposta non richiesti;
  • Contestare la riqualificazione dei redditi se non imponibili in Italia;
  • Dimostrare la buona fede e l’affidamento nella normativa complessa;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni se l’accertamento è infondato;
  • Difesa penale mirata in caso di contestazioni per dichiarazione fraudolenta o omessa dichiarazione.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la dichiarazione presentata e i redditi esteri contestati;
📌 Valuta la legittimità della contestazione e i possibili rimedi;
✍️ Predispone integrative, memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una corretta dichiarazione dei redditi esteri negli anni futuri.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su redditi e investimenti esteri;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate su dichiarazioni di redditi esteri infedeli o sbagliate non sempre sono fondate: spesso derivano da errori formali o da una scorretta interpretazione delle convenzioni internazionali.
Con una difesa mirata puoi correggere la dichiarazione, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare conseguenze penali.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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