Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per cessioni gratuite di farmaci contabilizzate come perdite? In questi casi, l’Ufficio presume che le cessioni gratuite non siano reali oppure che siano state registrate in modo improprio con l’obiettivo di ridurre il reddito imponibile. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni elevate e possibili rilievi anche di natura penale. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben documentata è possibile dimostrare la correttezza delle registrazioni o ridurre sensibilmente le sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta le cessioni gratuite di farmaci
– Se le cessioni non sono adeguatamente documentate con registri, verbali o comunicazioni ufficiali
– Se i quantitativi risultano sproporzionati rispetto alle giacenze e ai dati di magazzino
– Se emergono incongruenze tra i movimenti contabili e le dichiarazioni fiscali
– Se i farmaci ceduti gratuitamente non rispettano i requisiti previsti dalla normativa fiscale e sanitaria
– Se l’Ufficio presume che le perdite contabilizzate mascherino vendite non dichiarate
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione dei costi o delle perdite contabilizzate come cessioni gratuite
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Rettifica del bilancio e contestazioni sulla veridicità delle scritture contabili
– Nei casi più gravi, denuncia penale per dichiarazione infedele o false comunicazioni sociali
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale avvenuta cessione gratuita con documentazione fiscale e sanitaria
– Produrre registri di magazzino, comunicazioni alle autorità competenti e documenti di consegna
– Contestare la riqualificazione come “vendite occulte” se si tratta di effettive cessioni gratuite
– Evidenziare errori di calcolo, vizi di motivazione o carenze istruttorie dell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre l’impatto delle sanzioni
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione contabile e sanitaria relativa alle cessioni contestate
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta qualificazione delle operazioni
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere la società davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale degli amministratori da conseguenze sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della legittimità delle cessioni gratuite contabilizzate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: le cessioni gratuite di farmaci sono un ambito ad alto rischio di contestazione da parte del Fisco, che tende a verificare la correttezza sia fiscale che sanitaria delle operazioni. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare pesanti conseguenze economiche e legali.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per cessioni gratuite di farmaci contabilizzate come perdite e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.
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Introduzione
Le cessioni gratuite di farmaci contabilizzate come perdite rappresentano un tema delicato nel settore farmaceutico e fiscale italiano. Si tratta di quei casi in cui un farmacista titolare o un’impresa farmaceutica cede medicinali senza corrispettivo (ad esempio donazioni o smaltimento di farmaci scaduti) e registra tali uscite dal magazzino come perdite nei registri contabili. Queste operazioni, seppur spesso effettuate in buona fede per ragioni etiche (donazioni a fini solidali) o pratiche (distruzione di prodotti scaduti o difettosi), possono attrarre l’attenzione dell’amministrazione finanziaria e di altri organi di controllo. In assenza di una documentazione rigorosa, infatti, il Fisco potrebbe presumere che i beni mancanti siano stati in realtà venduti “in nero”, contestando al contribuente un’evasione di imposta.
Dal punto di vista giuridico-fiscale, il legislatore italiano ha previsto una presunzione legale relativa di cessione onerosa per i beni d’impresa che risultino mancanti dai luoghi di esercizio dell’attività. Tale presunzione è stabilita dall’art. 1 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441 (regolamento sulle presunzioni di cessione e di acquisto) e mira a contrastare possibili frodi ed evasioni IVA e imposte sui redditi. In sostanza, se durante un controllo fiscale si riscontra che alcuni farmaci acquistati o prodotti non si trovano in farmacia (né presso depositi o altri luoghi dichiarati), si presume che essi siano stati ceduti a titolo oneroso (venduti) senza dichiararne i corrispettivi . Questa presunzione può avere conseguenze onerose per il farmacista o l’imprenditore: comporta infatti la ricostruzione di ricavi non dichiarati (ai fini delle imposte dirette) e la ripresa a tassazione dell’IVA come se quei beni fossero stati regolarmente venduti.
Fortunatamente, trattandosi di una presunzione relativa (o “mista”), il contribuente ha la possibilità di fornire prova contraria per dimostrare che i farmaci mancanti non sono frutto di vendite in nero, ma di cessioni gratuite legittime o di altre cause ammissibili (distruzione, furto, uso interno, ecc.). La normativa e la giurisprudenza individuano con precisione quali mezzi di prova sono considerati validi a tal fine: documenti di trasporto (DDT), formulari di smaltimento rifiuti, verbali di distruzione, fatture di donazione, dichiarazioni di enti beneficiari, denunce di furto, ecc. – in generale, tutta la documentazione richiesta dalla legge per attestare la destinazione diversa dalla vendita .
Nella pratica, però, la difesa del contribuente non è sempre semplice. Organi come l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza tendono ad applicare rigorosamente le disposizioni, esigendo che ogni passaggio sia stato eseguito secondo le formalità previste. Inoltre, la materia ha visto negli ultimi anni numerosi aggiornamenti normativi (ad esempio la Legge “Antisprechi” n. 166/2016 e decreti durante l’emergenza Covid-19) e sentenze di legittimità che ne hanno chiarito la portata. È fondamentale, dunque, per un professionista del settore o per un consulente legale, conoscere le regole aggiornate ad agosto 2025 e le più recenti pronunce giurisprudenziali, al fine di predisporre un’adeguata strategia difensiva in caso di contestazione.
Quadro Normativo di Riferimento
Iniziamo delineando il quadro normativo che regola le cessioni gratuite di beni in generale e di farmaci in particolare, nonché le presunzioni fiscali ad esse collegate. Questo comprende sia norme tributarie (IVA e imposte sui redditi) sia disposizioni di settore (ad esempio la disciplina speciale per la donazione di farmaci per solidarietà sociale e lo smaltimento dei medicinali scaduti).
Presunzione di cessione onerosa (D.P.R. 441/1997)
Il cuore del problema risiede nell’art. 1 del D.P.R. 441/1997. Tale articolo, in vigore dal 1998, stabilisce che “si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti” . In altre parole, se dei prodotti risultano mancanti dal magazzino o dalla farmacia senza che vi sia traccia di una vendita fatturata, la legge fiscale presume che essi siano stati venduti senza dichiararlo.
Questa presunzione opera salvo prova contraria. Lo stesso art. 1, comma 2, DPR 441/97 elenca infatti alcune circostanze che, se dimostrate, disattivano la presunzione di cessione onerosa. In particolare, la presunzione non opera se è dimostrato che i beni:
a) sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti;
b) sono stati consegnati a terzi per finalità diverse dalla vendita (lavorazione, deposito, comodato, contratti estimatori, conto visione, trasporto, ecc.), cioè in base a titoli che non ne trasferiscono la proprietà .
Nel nostro contesto, la lettera (a) è cruciale: dimostrare che i farmaci sono stati distrutti (ad esempio perché scaduti o danneggiati) oppure perduti (furto, smarrimento, calamità) permette di evitare che la loro mancanza sia trattata come vendita evasa. Anche la lettera (b) può rilevare, ad esempio nel caso di campioni gratuiti consegnati a medici o strutture per prova, o di medicinali dati in conto deposito a una casa di cura: se ben documentati come comodato o deposito, non sono vendite.
L’art. 2 del DPR 441/97 dettaglia le modalità pratiche attraverso cui fornire questa prova contraria. In sintesi, per superare la presunzione di cessione il contribuente deve osservare specifici adempimenti documentali, differenti a seconda dei casi: predisporre registrazioni sui libri contabili, emettere documenti di trasporto con causali appropriate, inviare comunicazioni preventive al Fisco in caso di distruzione o donazione di beni, farsi rilasciare dichiarazioni da eventuali destinatari, ecc. Queste formalità – come vedremo – sono state oggetto di modifiche nel tempo per semplificare le procedure, soprattutto in ambito di cessioni benefiche.
È importante sottolineare che le presunzioni di cessione del DPR 441/97 hanno portata fiscale trasversale. Esse valgono sia ai fini IVA che ai fini delle imposte sui redditi. La Corte di Cassazione ha infatti chiarito che una differenza inventariale constatata può giustificare accertamenti per IVA, IRES e IRAP con il medesimo presupposto: beni usciti dal magazzino senza giustificazione . La presunzione legale è quindi utilizzabile dall’Amministrazione finanziaria per rettificare il fatturato IVA non dichiarato e, parallelamente, il reddito imponibile (recuperando i ricavi non contabilizzati). Ciò smentisce l’erronea idea – talvolta sostenuta nei gradi di merito – che servirebbero “ulteriori riscontri” oltre alla mera differenza di magazzino per colpire le imposte dirette: al contrario, la Cassazione ha ribadito che la presunzione di cessione è da sola sufficiente a fondare l’accertamento anche sul fronte dei redditi, salvo prova contraria del contribuente .
Riassumendo, il DPR 441/97 configura una presunzione legale relativa (o mista): il Fisco deve provare solo l’ammanco di beni (ad esempio, dimostrando che certi farmaci acquistati non risultano in giacenza né venduti ufficialmente); a quel punto scatta per legge la presunzione di cessione non dichiarata, e l’onere della prova si sposta interamente sul contribuente . Quest’ultimo dovrà dimostrare, con mezzi appropriati, la legittima fuoriuscita dei beni dal circuito aziendale (distruzione effettiva, donazione regolare, furto denunciato, consumo interno, ecc.). La stessa Cassazione ha definito “particolarmente rigorosa” tale prova contraria, nel senso che “non è sufficiente una giustificazione generica, ma è necessario dimostrare la legittima destinazione dei beni attraverso le modalità tassativamente indicate dagli articoli 1 e 2 del D.P.R. 441/1997” . Avremo modo di approfondire più avanti cosa ciò significhi in concreto e quali documenti rientrino tra quelli tassativamente previsti.
Prima di passare alle norme speciali per farmaci, è utile ricordare che anche l’art. 53 del D.P.R. 633/1972 (istitutivo dell’IVA) conteneva una previsione analoga di presunzione di cessione, poi sostanzialmente confluita nel DPR 441/97. Tale articolo delegava a un decreto ministeriale l’individuazione delle modalità per considerare donazioni a enti di beneficenza e distruzioni di beni come eccezioni alla presunzione . In attuazione di ciò furono emanati, negli anni ’90, regolamenti e circolari che hanno costituito il nucleo della disciplina attuale.
Cessioni gratuite solidali: la normativa “anti-spreco” (Legge 166/2016 e successive modifiche)
Un aspetto particolare riguarda le cessioni gratuite di farmaci a fini di solidarietà sociale, cioè donazioni di medicinali a ONLUS, enti caritatevoli, organizzazioni non lucrative, il tutto volto a evitare sprechi e aiutare persone bisognose. In Italia questo tema è stato affrontato in maniera organica con la cosiddetta legge “antispreco” – Legge 19 agosto 2016, n. 166 – la quale ha dettato disposizioni sia per le eccedenze alimentari sia per i medicinali. L’obiettivo è incentivare le imprese a donare i prodotti invenduti e ancora utilizzabili, piuttosto che distruggerli, semplificando gli adempimenti fiscali e rimuovendo disincentivi.
La legge 166/2016 (art. 15 e 16) e la successiva Legge di Bilancio 2018 hanno modificato il regime fiscale delle cessioni gratuite a fini solidali in questo modo:
- IVA: le cessioni gratuite di farmaci (e di altri beni come alimenti) verso enti del Terzo Settore vengono assimilate a una distruzione agli effetti IVA, purché rispettino determinate condizioni. Ciò significa che l’operazione è considerata fuori campo IVA (o esente), evitando al donatore di dover emettere fattura con IVA sul valore normale. Più precisamente, l’art. 16 co.1 della L.166/2016 ha stabilito che la presunzione di cessione ex art.1 DPR 441/97 non opera per le cessioni gratuite di specifiche categorie di beni (alimenti, farmaci e altri prodotti individuati dal MEF) destinati a fini di solidarietà sociale, anche se tali beni non sono più commercializzabili o sono prossimi alla scadenza . In questi casi, i beni ceduti si considerano distrutti agli effetti dell’IVA, il che consente all’impresa di mantenere la detrazione dell’IVA a monte sugli acquisti originari senza doverla rettificare . In pratica, donare un farmaco a un ente benefico autorizzato non genera una cessione imponibile IVA (analogamente a come se il bene fosse stato eliminato).
- Imposte dirette (reddito d’impresa): parallelamente, la normativa prevede che tali cessioni gratuite non costituiscano ricavi tassabili per il donatore. Il comma 2 dell’art. 13 del D.Lgs. 460/1997 (richiamato e modificato da L.166/2016) dispone che le derrate alimentari e i prodotti farmaceutici ceduti gratuitamente alle ONLUS “non si considerano destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa” . Tradotto in termini di TUIR, significa che non si applica l’art. 85 comma 2 del TUIR: quest’ultimo in generale obbliga a conteggiare tra i ricavi il valore normale dei beni dell’impresa destinati a uso personale o a finalità estranee; ma per i beni donati in solidarietà, tale contabilizzazione non avviene . Dunque l’operazione è neutrale: l’impresa non deve imputare alcun ricavo (evitando tassazione) e può dedurre i costi di acquisto/produzione dei beni donati come normale costo d’esercizio. La ratio, come evidenziato anche dall’Agenzia delle Entrate, è di neutralizzare gli effetti fiscali di queste donazioni proprio per non disincentivare gli slanci solidaristici .
- Soggetti e beni ammessi: inizialmente (prima del 2018) l’agevolazione riguardava cessioni a ONLUS di alimenti e farmaci. La L.205/2017 (Bilancio 2018) ha esteso la platea sia dei beni cedibili sia dei beneficiari. Oggi possono fruire del regime anche altri prodotti (di cui il MEF può individuare la tipologia via decreto) e altri enti destinatari oltre alle ONLUS, purché abbiano finalità civiche e solidaristiche senza scopo di lucro (in pratica rientrano gli enti del Terzo settore non commerciali) . Ad esempio, un’azienda farmaceutica può donare farmaci non più destinati alla vendita (es. per prossimo termine di scadenza o difetti di confezionamento) non solo a ONLUS classiche, ma anche a enti pubblici o privati con finalità solidaristiche (come enti assistenziali, ONG, ecc.) riconosciuti dalla normativa . I farmaci interessati possono includere anche quelli non più commercializzabili per difetti di etichetta, errori di confezionamento o prossimità di scadenza, oltre ai prodotti sanitari e parafarmaceutici indicati dal legislatore . In pratica, la legge antispreco ha voluto coprire il maggior numero di situazioni in cui beni ancora utilizzabili rischiavano di essere sprecati.
- Adempimenti semplificati: la L.166/2016 ha anche semplificato alcuni adempimenti burocratici. Ad esempio, in passato l’ente beneficiario doveva rilasciare una dichiarazione per ogni donazione ricevuta, attestando l’uso conforme ai fini istituzionali; ora ciò è stato sostituito da una dichiarazione trimestrale cumulativa . Contestualmente, per il donatore resta l’obbligo di emettere per ogni cessione un documento di trasporto (DDT) o documento equipollente, con numerazione progressiva e indicazione dettagliata di data, cedente, cessionario, beni e quantità (adempimento che peraltro era già previsto dal DPR 441/97 art.2 per superare la presunzione di cessione onerosa ). Inoltre, la legge antispreco ha modificato le modalità di comunicazione preventiva al Fisco: prima, come vedremo meglio infra, era richiesto di inviare una comunicazione almeno 5 giorni prima di ogni cessione gratuita (salvo beni di modico valore); ora è prevista una comunicazione periodica mensile telematica riepilogativa. In particolare, dal 2016 la norma consente di inviare entro la fine di ogni mese un elenco delle cessioni gratuite effettuate nel mese, con indicazione di data, ora, luogo del trasporto, destinazione e valore complessivo calcolato sull’ultimo prezzo di vendita . Tale comunicazione non è necessaria se il valore di ogni singola cessione gratuita indicata non supera €15.000 (limite innalzato rispetto al precedente di circa €5.000 ), né per le cessioni di alimenti facilmente deperibili . Si tratta quindi di una notevole semplificazione rispetto al passato, che prevedeva comunicazioni plurime ex art.2 DPR 441.
Da quanto sopra emerge come il legislatore abbia bilanciato l’esigenza di controllo antifrode (presente nel DPR 441/97) con quella di favorire le donazioni. In pratica, se un farmacista o un’azienda segue le regole appena descritte – documentando con DDT, registrando tutto e comunicando nei tempi – potrà cedere gratuitamente farmaci in surplus ad enti benefici senza subire penalizzazioni fiscali. In caso di contestazioni, l’aver adempiuto a queste formalità costituirà una solida base difensiva.
Va notato che queste disposizioni sono state ulteriormente confermate e rafforzate in occasione dell’emergenza Covid-19. Con il D.L. 23/2020 (“Decreto Liquidità”), art.27, si è introdotto uno specifico regime di neutralità fiscale per le cessioni gratuite di farmaci destinati ai “programmi ad uso compassionevole”. Si tratta di quei farmaci sperimentali o non ancora in commercio, forniti gratis da aziende farmaceutiche a pazienti con gravi patologie, al di fuori delle normali indicazioni terapeutiche (previa autorizzazione AIFA) . Il Decreto Liquidità – convertito in L. 40/2020 – ha previsto che anche queste cessioni straordinarie “non incidano” né sull’IVA né sul reddito d’impresa , parificando di fatto i farmaci destinati a uso compassionevole ai beni distrutti (per l’IVA) e a beni non estranei all’impresa (per i redditi) . L’Agenzia delle Entrate, con Circolare 9/E del 13 aprile 2020, ha chiarito che il costo di tali farmaci è deducibile nel periodo d’imposta in cui avviene l’estromissione dal magazzino , anche se la ricerca e sviluppo fosse avvenuta in anni precedenti, e che il regime non ha scadenza limitata al 2020 (diversamente dalle erogazioni liberali generiche) . Queste precisazioni, pur riferite a un contesto molto specifico (farmaci sperimentali anti-Covid, ad esempio), confermano la linea generale: quando la cessione gratuita di medicinali è finalizzata a interessi meritevoli (solidarietà, emergenza sanitaria), il legislatore disattiva la tassazione di tali operazioni, a patto naturalmente che siano rispettate le condizioni normative previste.
Distruzione di farmaci invendibili e altri beni: procedure ordinarie
Oltre alle cessioni a terzi (clienti o enti benefici), l’altra grande categoria di “uscita” dei beni dal magazzino è la distruzione o eliminazione di beni divenuti invendibili. Per le farmacie e le aziende farmaceutiche, questo si verifica tipicamente con i farmaci scaduti, avariati o comunque non più utilizzabili per la vendita al pubblico. In tali casi non c’è un cessionario che riceve il bene, ma il bene viene eliminato come rifiuto. Anche qui la normativa fiscale prevede una procedura affinché la distruzione sia riconosciuta e non si applichi la presunzione di cessione.
La procedura generale per la distruzione di beni aziendali è delineata sempre dal DPR 441/97 (art. 2 comma 3) e dalla relativa prassi ministeriale (una importante Circolare Ministeriale 193/E del 1998 fornì istruzioni in merito). In sintesi, la prassi tradizionale distingueva due casi: beni di modesto valore complessivo e beni di valore significativo.
- Per beni eliminati di importo non rilevante (inizialmente fino a circa 5 milioni di lire, poi €5.164,57, oggi innalzato a €10.000 come vedremo), era consentito procedere alla distruzione con modalità semplificate, ad esempio tramite una dichiarazione sostitutiva di atto notorio redatta dal contribuente che attestasse l’operazione e l’elenco dei beni. In altre parole, per piccoli stock di merce obsoleta non era necessario chiamare un funzionario pubblico a verificare di persona, ma bastava un’autocertificazione, oltre alla documentazione di trasporto e smaltimento.
- Per beni di valore più elevato, era invece richiesto di preavvisare l’Amministrazione finanziaria (Agenzia Entrate e GdF competenti) comunicando data, ora e luogo della distruzione, in modo da consentire – se ritenuto opportuno – la presenza di un pubblico ufficiale durante le operazioni. Tradizionalmente questa comunicazione andava inviata almeno 5 giorni prima dell’inizio delle operazioni . Se i funzionari finanziari decidevano di presenziare, redigevano un verbale di constatazione della distruzione, che costituiva poi la prova ufficiale dell’avvenuto smaltimento . In caso di mancata presenza, il contribuente in genere faceva redigere un verbale da un notaio o da altra autorità, oppure conservava un verbale interno controfirmato dai testimoni aziendali e dall’eventuale ditta smaltitrice.
- In ogni caso, per qualunque distruzione di beni, vi è l’obbligo di documentare il trasferimento dei beni dal magazzino al luogo di distruzione tramite un documento di trasporto (DDT), indicante chiaramente che si tratta di merce destinata alla rottamazione/smaltimento, con descrizione dettagliata (natura, qualità e quantità) . Inoltre, dato che i beni diventano rifiuti, la normativa ambientale richiede di accompagnarli con il Formulario di Identificazione dei Rifiuti (FIR), un modulo ufficiale vidimato dalla Camera di Commercio che deve contenere i dati del produttore dei rifiuti (l’azienda), del trasportatore autorizzato, del destinatario finale (impianto di smaltimento) e la descrizione della tipologia e quantità di rifiuto . Per i farmaci scaduti, il rifiuto è classificato come rifiuto sanitario a gestione particolare (spesso pericoloso) e il FIR è obbligatorio. Questo formulario, come vedremo, è stato riconosciuto dalla giurisprudenza come prova fondamentale della distruzione quando è correttamente compilato .
Il legislatore è intervenuto di recente, con il D.Lgs. 5 agosto 2021 n. 118 (decreto di recepimento di direttive UE, noto come D.Lgs. 70/2021 in materia di semplificazioni fiscali), per aggiornare e snellire la procedura di distruzione dei beni. In particolare è stato elevato a €10.000 il limite entro cui è possibile procedere con modalità semplificate e senza necessità di presenza di pubblici ufficiali . Oggi distinguiamo quindi:
- Distruzione di beni con valore complessivo superiore a €10.000: permane l’obbligo di inviare la PEC preventiva ad Agenzia Entrate o GdF almeno 5 giorni prima , con indicazione di tutte le informazioni (luogo, data, ora, modalità di distruzione, natura e quantità dei beni, ammontare del costo) . Le autorità finanziarie possono decidere di assistere; in tal caso redigono il verbale di distruzione . In aggiunta, restano necessari i documenti aziendali: DDT di trasporto e FIR del rifiuto come già spiegato.
- Distruzione di beni con valore complessivo fino a €10.000: è prevista una procedura semplificata introdotta dal D.Lgs. 70/2021. Il contribuente deve comunque inviare la comunicazione preventiva al Fisco (non è stato abolito questo passaggio, che rimane per informare l’amministrazione) . Tuttavia non è più richiesta la redazione del verbale da parte di un pubblico ufficiale. In sua vece, l’azienda deve compilare una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (ai sensi del DPR 445/2000) in cui il legale rappresentante attesta che in tal giorno i beni indicati (con descrizione e quantità) sono stati effettivamente distrutti . In tale dichiarazione vanno riportati gli stessi dati essenziali: data, ora, luogo, natura e quantità dei beni distrutti e il costo totale relativo . Questo documento, firmato dal dichiarante, sostituisce il verbale ufficiale ai fini probatori. Ovviamente rimane necessario conservare anche i FIR e i DDT come evidenze dell’operazione, ma non serve più convocare un notaio o attendere la GdF per valori bassi. La ratio è semplificare la vita alle imprese riducendo i costi di distruzione di lotti di modesto valore.
In entrambi i casi, la comunicazione preventiva (o mensile, se rientra nella semplificazione introdotta dalla L.166/2016 per le donazioni) riveste un ruolo chiave anche ai fini IVA: infatti, i beni distrutti potranno considerarsi “distrutti agli effetti IVA” (quindi senza dover autofatturare) solo se si è ottemperato a tali comunicazioni . Questo per evitare che un’azienda possa distruggere beni fittiziamente solo su carta per recuperare l’IVA a credito: il controllo ex ante tutela da abusi.
Per completezza, va menzionato che la Corte di Cassazione ha affermato espressamente il carattere tassativo di queste prescrizioni. In una recente ordinanza (Cass. Sez. V, ord. 26223 del 28/09/2021), la Suprema Corte ha ribadito che, se i contribuenti affidano i beni da distruggere a soggetti autorizzati (smaltitori di rifiuti terzi), “l’avvio a distruzione è dimostrato mediante il formulario di identificazione rifiuti (FIR) […] contenente le indicazioni specifiche richieste dalle prescrizioni […] tassative” . Ciò significa che il FIR, compilato con tutti i dati previsti dalla normativa ambientale, costituisce la prova regolamentare della distruzione; se mancano quelle indicazioni (es. mancanza del peso, del tipo di rifiuto, dei dati del destinatario), la prova potrebbe essere ritenuta insufficiente. Tale ordinanza – come vedremo meglio nella parte giurisprudenziale – ha anche censurato i giudici di merito che avessero ignorato documenti prodotti dal contribuente a riprova della distruzione, sottolineando che ogni elemento di prova contraria va valutato analiticamente e non liquidato con motivazioni sommarie .
In sintesi, per un farmacista che deve smaltire farmaci scaduti, la legge prevede che lo faccia tramite aziende autorizzate allo smaltimento, compilando i relativi formulari di rifiuto, e – se l’entità economica è rilevante – informando prima l’Agenzia delle Entrate/GdF e facendosi assistere. Se tali passi vengono seguiti, la distruzione è fiscalmente riconosciuta: i farmaci eliminati non saranno presunti venduti e il relativo costo rimarrà deducibile, fermo restando l’obbligo di smaltimento conforme anche alle norme sanitarie (ad esempio il D.P.R. 254/2003 classifica i farmaci scaduti come rifiuti sanitari da incenerire ).
Va aggiunto che per alcune categorie speciali di farmaci, come gli stupefacenti e psicotropi, esistono procedure di distruzione specifiche (artt. 30-45 del D.P.R. 309/1990). In genere, tali medicinali (morfina, oppiacei, ansiolitici in tabella, ecc.) devono essere distrutti alla presenza di una commissione o dell’ASL e delle Forze dell’Ordine, che redigono apposito verbale . Il farmacista è tenuto a seguire queste disposizioni particolari per i farmaci stupefacenti scaduti o inutilizzabili, annotandone la distruzione nel registro degli stupefacenti. Sebbene queste norme riguardino più la disciplina sanitaria/penale che quella tributaria, la loro osservanza fornisce un’ulteriore prova formale in caso di contestazioni (il verbale di distruzione dell’ASL per stupefacenti può essere esibito per giustificare l’assenza di quei farmaci dal magazzino, evitando contestazioni sia fiscali che penali).
Riepilogo normativo e fonti essenziali
Per meglio orientarsi, presentiamo di seguito una tabella riassuntiva delle principali disposizioni normative e prassi applicabili al tema in esame, con indicazione dell’oggetto e della rilevanza:
Riferimento normativo/prassi | Oggetto | Contenuto rilevante |
---|---|---|
D.P.R. 441/1997 art.1 e 2 | Presunzione di cessione e prova contraria | Presunzione di vendita per beni non reperiti nei luoghi aziendali. Prova contraria ammessa se beni impiegati in produzione, distrutti, perduti o ceduti a terzi senza trasferimento di proprietà. Richiesti adempimenti documentali (DDT, registrazioni, comunicazioni) per superare la presunzione. |
D.Lgs. 460/1997 art.13 (come modificato da L.166/2016) | Cessioni gratuite a ONLUS ed enti caritatevoli | Beni alimentari e farmaceutici ceduti a ONLUS/enti assistenziali non considerati destinati a fini estranei all’impresa: niente ricavo imponibile (esenzione art.85 c.2 TUIR) . Ai fini IVA considerati beni distrutti (mantenuta detrazione IVA a monte) . Necessari DDT e dichiarazioni ente ricevente . |
Legge 166/2016 (antispreco) art.15-16 | Donazione eccedenze alimentari e farmaci | Estensione benefici fiscali a più prodotti (anche farmaci prossimi a scadenza) e enti destinatari . Semplificazione adempimenti: comunicazione mensile telematica (non più 5 gg prima per ciascuna donazione) ; dichiarazione trimestrale dell’ente beneficiario (non più per ogni atto) . |
Circolare AE n. 20/E del 18.5.2016 | Chiarimenti su Finanziaria 2016 (donazioni) | Conferma innalzamento limite comunicazione preventiva a €15.000 e facoltatività comunicazioni per beni deperibili di qualsiasi valore . |
Decreto “Liquidità” (DL 23/2020) art.27 | Cessioni gratuite farmaci per uso compassionevole (Covid) | Neutralizzazione fiscale: cessioni gratuite in programmi uso compassionevole = fuori campo IVA e non generano ricavi . Svincolo da limiti temporali (disciplina a regime) . Chiarimenti AE in circ. 9/E/2020: costo scaricato deducibile nel periodo di cessione . |
D.Lgs. 70/2021 (semplificazioni fiscali) | Distruzione beni obsoleti (modifiche a DPR 441) | Procedura semplificata per distruzione di beni <= €10.000: niente verbale di pubblici ufficiali, autocertificazione dell’azienda . Comunicazione al Fisco resta obbligatoria . Per beni > €10.000 confermata procedura ordinaria (PEC 5gg prima, eventuale verbale GdF) . |
Codice Penale art. 443 (farmaci guasti) | Reato di commercio o distribuzione di farmaci guasti/scaduti | Vietata detenzione per il commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti. Cassazione 2020: la semplice detenzione di farmaci scaduti non integra reato se non destinati alla vendita , ma se mescolati a quelli in vendita può configurare reato colposo. (Rileva per il farmacista in termini di vigilanza: farmaci scaduti vanno subito rimossi e smaltiti). |
D.P.R. 309/1990 art.34-45 | Distruzione stupefacenti e psicotropi | Prevede che farmaci in tabella (stupefacenti) scaduti o inutilizzabili siano distrutti su autorizzazione prefettizia o in presenza commissione ASL/Forze dell’Ordine, con relativo verbale ufficiale . Fornisce prova legale di distruzione per questi farmaci particolari. |
(Le fonti sopra elencate rappresentano le principali disposizioni; ulteriori circolari e risoluzioni possono integrare casi specifici.)
Profili fiscali: IVA, imposte sui redditi e rilevanza delle cessioni gratuite
Dal quadro normativo emergono chiaramente i risvolti fiscali delle cessioni gratuite di farmaci. È utile ricapitolare come tali operazioni vengono trattate sia agli effetti dell’IVA sia ai fini delle imposte dirette (IRES/IRPEF e IRAP), poiché l’una e l’altra sfera, pur distinte, sono entrambe coinvolte nelle contestazioni.
Trattamento IVA delle cessioni gratuite di farmaci
In linea generale, la disciplina IVA italiana (DPR 633/1972) considera imponibili le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso (cioè dietro pagamento). Le cessioni a titolo gratuito, in teoria, non costituirebbero operazioni rilevanti (mancando un corrispettivo). Tuttavia, il legislatore IVA ha introdotto specifiche norme che equiparano certe cessioni gratuite a operazioni imponibili, al fine di evitare abusi. Ad esempio, l’art. 2 comma 2 n.4) DPR 633/72 prevede che costituisce cessione di beni anche la destinazione di beni a finalità estranee all’impresa (autoconsumo, regali, ecc.), salvo oggetti di modico valore o campioni gratuiti contrassegnati. In pratica: regalare beni dell’impresa può far scattare l’obbligo di pagare l’IVA sul valore normale di quei beni, perché si presume che l’IVA a monte sia stata detratta e quindi l’operazione finale deve essere tassata (a meno sia nei limiti di legge).
Farmaci ceduti gratis a clienti privati: se un farmacista volesse regalare un farmaco a un paziente (cosa rara, ma ipotizziamo un caso di gesto commerciale o benefico individuale), dal punto di vista IVA ciò configurerebbe un’autoconsumo esterno. Salvo il farmaco abbia un valore molto basso, il farmacista dovrebbe emettere un’autofattura calcolando l’IVA sul valore normale del medicinale (prezzo di vendita al pubblico), in quanto l’art. 2 comma 2 DPR 633 lo richiede. Un’eccezione può essere se il farmaco è campione gratuito di modico valore contrassegnato: l’art. 2 comma 3 lett. d) DPR 633/72 esclude infatti dall’imponibilità i campioni gratuiti appositamente contrassegnati e di modico valore . Ma nel contesto farmacie al dettaglio, i campioni gratuiti riguardano semmai prodotti inviati dalle aziende (es. campioncini di creme, integratori), non farmaci del normale assortimento ceduti gratis.
Farmaci donati ad enti benefici (ONLUS, ecc.): come già detto, grazie alla legge 166/2016, tali cessioni non scontano l’IVA. Più precisamente, l’operazione rientra nelle ipotesi in cui la presunzione di cessione non opera, considerandosi il bene come “distrutto” ai fini IVA . Tecnicamente, spesso si emette una fattura non imponibile (o esente) art. 10 DPR 633 per documentare la cessione all’ente benefico, oppure un DDT e un registro specifico. L’importante è che vi sia traccia documentale per ricondurre la cessione alla fattispecie agevolata. Cassazione e prassi hanno confermato che l’assenza di alcuni adempimenti formali non preclude l’esenzione IVA, se si prova che la donazione è reale e priva di frode . Ad esempio, la Cass. n.10991/2016 ha ritenuto sufficiente, in un caso di farmaci ceduti a enti caritatevoli, esibire la fattura accompagnatoria firmata dal destinatario come prova dell’operazione, pur se non era stata inviata la comunicazione preventiva ex art.2 DPR 441 . Questo orientamento pragmatico è positivo: il Fisco non può pretendere l’IVA se è dimostrato chiaramente che i medicinali sono stati regalati a un ente che li utilizza per assistenza, perché in tal caso non c’è cessione commerciale ma una finalità solidaristica (e la presunzione antifrode viene superata dall’evidenza della destinazione benefica).
Farmaci distrutti (smaltiti come rifiuti): in tal caso parliamo di beni che cessano di esistere come tali. L’IVA in capo al farmacista è stata detratta al momento dell’acquisto; se ora il bene viene distrutto, il sistema IVA di norma richiederebbe una rettifica della detrazione (perché quel bene non è stato usato per operazioni imponibili). Però l’art. 13 del D.Lgs. 460/97 e l’art. 6 comma 15 L. 133/1999 (oltre alle modifiche del 2016) prevedono che, in presenza delle condizioni e comunicazioni di legge, i beni eliminati si considerano “distrutti” anche ai fini IVA . Ciò vuol dire che non si deve assoggettare ad IVA la loro uscita dal magazzino. In pratica, se un farmacista segue la procedura (es. invia la comunicazione ad AE/GdF per distruzione di un lotto di farmaci scaduti, compila il verbale o l’autocertificazione etc.), quei farmaci sono trattati come rifiuti e non generano obbligo di fatturazione. L’IVA a credito originaria resta legittimamente detratta e non va restituita. Se, viceversa, non venisse rispettata la procedura, l’ufficio potrebbe contestare che l’IVA detratta è divenuta in tutto o in parte indetraibile perché il bene non è andato a operazioni imponibili: in sostanza, potrebbe chiedere una rettifica della detrazione IVA equivalente all’IVA sugli acquisti dei farmaci eliminati. Questo nell’ipotesi “benigna” in cui riconosca che sono stati distrutti; nell’ipotesi “maligna”, contesterebbe invece la vendita in nero e quindi l’IVA intera sulle vendite non fatturate.
Omaggi di modico valore e campioni: giova ricordare che fuori dal settore specifico delle ONLUS o distruzioni, la normativa IVA consente comunque di fare omaggi di modico valore senza pagare l’IVA, se il costo unitario del bene è sotto una certa soglia (attualmente €50) e se trattasi di beni non oggetto dell’attività. Per le farmacie, ciò potrebbe applicarsi a gadget o prodotti diversi (es: regalare un misuratore glicemia come promozione) ma difficilmente a farmaci vendibili. Le case farmaceutiche invece utilizzano l’esenzione per campioni gratuiti contrassegnati: ad esempio, un’azienda può dare ai medici campioni di un farmaco nuovo, apponendo la dicitura “campione gratuito – vietata la vendita” sulla confezione, e in tal caso la cessione è fuori campo IVA per espressa previsione (purché di modico valore) . L’Agenzia Entrate in una risposta del 2023 ha negato che vendere un farmaco a prezzo simbolico di 1 euro equivalga a un campione gratuito, proprio perché mancava la dicitura e seguiva canali commerciali normali . Quindi attenzione: un prezzo irrisorio non salva dall’IVA se la transazione è formalmente una vendita; anzi, in quel caso l’AdE potrebbe riqualificarla come cessione gratuita soggetta a IVA sul valore normale . Dunque, o è un vero campione gratuito (con le formalità del caso) o se c’è un corrispettivo solo simbolico l’operazione rischia di essere considerata gratuita sostanziale e tassata comunque.
In definitiva, dal lato IVA per difendersi occorre mostrare di rientrare in una delle situazioni esonerative previste dalla legge: donazione a enti benefici autorizzati, distruzione con prova formale, campione gratuito conforme. Se si dimostra questo, l’ufficio non potrà esigere IVA aggiuntiva. Le contestazioni sorgono appunto quando il fisco dubita che quelle condizioni sussistano (ad esempio: “non hai fatto la comunicazione, quindi per me non è distruzione valida, ergo è cessione imponibile”). In tali casi sarà vitale portare eventuali altre evidenze (FIR, documenti smaltitore, ricevute enti beneficiari, ecc.) per convincere che non c’è stata cessione commerciale.
Trattamento delle imposte dirette (reddito d’impresa e IRAP)
Sul fronte delle imposte sui redditi, l’effetto delle cessioni gratuite non conformi potrebbe essere duplice:
- Indeducibilità del costo dei beni ceduti o distrutti: se un bene acquistato era stato portato nei costi (ad esempio come rimanenza finale diminuita, quindi maggior costo del venduto), ma l’ufficio lo considera in realtà venduto, allora recupererà a tassazione il corrispondente maggior utile. In pratica, considererà quei farmaci come venduti in nero, quindi con un ricavo non dichiarato. Il ricavo aggiunto farà aumentare il reddito imponibile, neutralizzando l’effetto deduttivo del costo. Alternativamente, potrebbe contestare che il costo non è deducibile perché il bene sarebbe stato destinato a finalità estranee (se volesse inquadrare la cessione gratuita come atto di liberalità non inerente). Nella sostanza, comunque, ciò che il fisco mira a tassare è il valore normale dei beni usciti.
- Maggior IRAP dovuta: essendo questi ricavi in nero anche base imponibile IRAP, l’accertamento recupererà imposta pure sul versante regionale.
La difesa, anche qui, si gioca sul dimostrare che i beni sono usciti legittimamente senza produrre ricavi. Grazie alle norme speciali viste, se la donazione è a ONLUS/documentata o la distruzione è provata, si applica la disposizione che esclude il valore normale dai ricavi d’impresa . Ciò significa che il reddito imponibile rimane inferiore rispetto a considerare quei beni venduti. Ad esempio, se una farmacia ha eliminato farmaci per costo 1.000 €, e lo prova regolarmente, quei 1.000 € resteranno costi deducibili che abbattono il reddito. Se invece non lo prova, il fisco potrà imputare un ricavo di magari 1.500 € (ipotetico prezzo di vendita) – trasformando la situazione da una perdita dedotta a un utile tassato.
Va ricordato che l’art. 85 comma 2 TUIR (destinazione a finalità estranee) in origine colpiva proprio il caso di beni dell’impresa gratuitamente destinati altrove: il valore normale diventava ricavo. L’eccezione per ONLUS e assimilati ha rimosso questo onere in quei casi specifici . Dunque, in sede di difesa, citare tale norma ed evidenziare che la cessione rientrava in quelle agevolate è fondamentale per contestare l’eventuale ripresa a tassazione dei ricavi.
Un altro scenario: se l’azienda o la farmacia ha registrato a conto economico una perdita su beni (ad esempio, scrivendo a perdita l’intero stock scaduto), l’ufficio potrebbe disconoscere quella perdita come deduzione se non c’è evidenza della distruzione. Tuttavia, la Cassazione ha affermato che i giudici devono valutare nel merito qualunque documentazione il contribuente produca per dimostrare la perdita effettiva (come documenti di smaltimento) e non possono limitarsi a dire “non c’è la prova, quindi la perdita non è deducibile” senza spiegare perché le prove fornite sarebbero inidonee . Questa è una tutela importante per il contribuente: in contenzioso tributario, se il contribuente ha comunque elementi che mostrano la sorte dei beni, il giudice deve considerarli attentamente.
Infine, un cenno sull’IRAP: la legge antispreco 2016 originaria, per le erogazioni liberali 2020 (art.66 DL 18/2020), prevedeva espressamente la deducibilità IRAP delle cessioni gratuite. Per le cessioni ad uso compassionevole (DL 23/2020) invece non c’era indicazione esplicita. Questo aveva fatto sorgere dubbi se il costo dei farmaci donati fosse deducibile ai fini IRAP. Un articolo su NT+ Fisco argomentava che, stante la finalità e l’inerenza di tali operazioni, si dovesse riconoscere comunque la deducibilità anche IRAP per analogia . In pratica, oggi si tende a ritenere che se un costo di beni è deducibile ai fini IRES perché la cessione gratuita è istituzionale (e quindi inerente), lo sia anche per IRAP, purché quel costo rientri tra quelli rilevanti (nel caso dei farmaci ceduti, trattandosi di costo per materie o merci, rientra nella voce B6 o B11 del conto economico, quindi deducibile in base al principio di derivazione). In altri termini, il costo dei farmaci ceduti gratuitamente e regolarmente documentati rimane un costo deducibile come qualsiasi altro costo del venduto. L’elemento che cambia è solo che non c’è un ricavo corrispondente, ma ciò è consentito dalla norma specializzante.
Dunque, se il farmacista riesce a far riconoscere che la cessione è avvenuta secondo legge (come donazione o distruzione autorizzata), non subirà aggravi sulle imposte dirette: né recupero di ricavi, né indeducibilità di costi. Viceversa, se non ci riesce, la contestazione tipica sarà un avviso di accertamento che incrementa i ricavi non dichiarati dell’anno X di un certo importo (il valore stimato dei farmaci “spariti”), con conseguente maggior imponibile IRES/IRPEF e IRAP, più sanzioni.
Nota sulle sanzioni amministrative: in caso di contestazioni del genere, si applicano normalmente le sanzioni per dichiarazione infedele sui redditi (pari al 90% dell’imposta evasa, art.1 D.Lgs. 471/97) e per omessa o infedele fatturazione IVA (dal 90% al 180% dell’IVA non versata, art.6 D.Lgs.471/97). Se però il contribuente riesce a dimostrare che non c’era intento evasivo ma solo, ad esempio, errore formale (dimenticanza di comunicazione), potrebbe cercare una riduzione delle sanzioni per obiettiva incertezza o altre circostanze attenuanti. In casi di omessa comunicazione ma prova sostanziale esistente (come nella Cass.10991/2016 sulle ONLUS), l’ufficio potrebbe limitarsi a una sanzione formale minore per violazione degli obblighi di documentazione, anziché la sanzione piena sull’imposta (ma non è garantito: dipende dall’approccio).
Nota sul penale tributario: se il valore dei ricavi non dichiarati supera le soglie di punibilità (oggi €100.000 di imposta evasa per dichiarazione infedele, art.4 D.Lgs. 74/2000, oppure €50.000 IVA evasa, art.5), il caso potrebbe assumere rilievo penale. Ad esempio, un’azienda farmaceutica che non dichiara la cessione di un grosso stock di farmaci costoso potrebbe teoricamente incorrere nel reato di dichiarazione infedele se l’imposta evasa supera i limiti. Tuttavia, se c’è prova di distruzione o donazione, tale scenario penale viene meno, in quanto verrebbe meno l’evasione. Da notare che se la contestazione riguarda farmaci dispensati dal SSN (fascia A) ottenendo indebitamente rimborsi, possono configurarsi reati come truffa ai danni dello Stato oltre al danno erariale, come evidenziato dalla Corte dei Conti (vedi infra).
Riassumeremo qui, con un’altra tabella, le differenze di trattamento fiscale in base al corretto o mancato assolvimento degli obblighi, per avere un colpo d’occhio sulle conseguenze:
Tipo di cessione gratuita di farmaci | Obblighi / Documenti richiesti | Trattamento Fiscale (IVA e Redditi) | Note |
---|---|---|---|
Donazione a ONLUS/enti solidali | DDT con causale donazione; dichiarazione trimestrale del destinatario; comunicazione AdE/GdF fine mese se >€15.000 (non richiesta se ≤€15.000) . | IVA: non imponibile (bene considerato distrutto ai fini IVA) , nessuna autofattura né uscita di magazzino imponibile. Redditi: il valore normale non forma ricavo (escluso ex art.85 c.2 TUIR) ; il costo resta deducibile integralmente. | Regime di favore introdotto da L. 166/2016 e L. 205/2017. Necessaria destinazione a enti qualificati; la finalità solidale deve risultare da documenti. La Cassazione ammette prova anche con documentazione “light” (es. fattura firmata dall’ente) se assenza di frode . |
Distruzione beni (valore > €10.000) | Comunicazione PEC ad AdE/GdF almeno 5 gg prima ; DDT verso distruttore; Formulario rifiuti (FIR) vidimato ; presenza di pubblico ufficiale (AE/GdF) e relativo verbale di distruzione . | IVA: non dovuta (beni considerati “distrutti” se procedure rispettate, detrazione a monte non rettificata). Redditi: nessun ricavo imputato (art.1 c.2 lett. a DPR 441 soddisfatto) e costo deducibile come perdita su magazzino. | Procedura classica ex DPR 441/97. Il verbale ufficiale costituisce prova regina. In mancanza di comunicazione, l’AE può presumere cessione imponibile; tuttavia un FIR regolare può ancora provare la distruzione . Dal 2021 è possibile optare per più autocertificazioni frammentate se ogni lotto <€10.000. |
Distruzione beni (valore ≤ €10.000) | Comunicazione PEC ad AdE/GdF (obbligatoria anche se semplificata) ; DDT e FIR come sopra; Dichiarazione sostitutiva di atto notorio sull’avvenuta distruzione (sostituisce il verbale pubblico) . | IVA: non dovuta, medesimo regime di bene distrutto (purché la documentazione sia conservata a prova). Redditi: come sopra, nessuna rilevanza a ricavi, costo deducibile. | Procedura semplificata introdotta da D.Lgs. 70/2021. Riduce oneri per l’azienda, ma la comunicazione preventiva rimane cruciale. La dichiarazione va compilata con attenzione ai dati (data, luogo, quantità, valore) per essere credibile. |
Furto o smarrimento (perdita involontaria) | Denuncia dettagliata alle autorità (Polizia/CC) appena scoperto l’ammanco; eventuale documentazione assicurativa di sinistro. | IVA: non dovuta (considerato evento non legato a cessione; l’AE accetta la perdita se c’è denuncia, assimilabile a “bene perduto”). Redditi: nessun ricavo, ma il costo residuo può essere dedotto come perdita emergente. | Il furto rientra tra i casi di “perdita” ex art.1 c.2 lett. a) DPR 441. La prova è la denuncia: senza querela ai Carabinieri, difficile far credere al fisco che vi sia stato realmente un furto. Occorre denunciare indicando lotto e valore dei farmaci rubati. |
Campioni gratuiti (aziende farmaceutiche) | Documentazione di produzione di campioni (registro specifico); contrassegno obbligatorio “campione gratuito – vietata la vendita” su ogni confezione; eventuale fattura pro-forma di trasferimento. | IVA: esclusi da imposizione se di modico valore e contrassegnati (art.2 co.3 DPR 633). Redditi: costo deducibile come spesa di pubblicità (nei limiti di legge, art.108 TUIR, generalmente pienamente deducibile se entro il 1.5% dei ricavi annui altrimenti trattato come spesa di rappresentanza). | Valido solo per produttori o grossisti che distribuiscono campioni a medici o farmacisti. Un farmacista dettagliante di regola non può apporre contrassegni su specialità medicinali confezionate. I campioni omaggio non devono essere venduti né usati per altri scopi. |
Autoconsumo o cessione ai soci (beni prelevati dall’imprenditore o assegnati a soci) | Fattura di vendita o autofattura al valore normale; annotazione nei registri IVA; nel caso di assegnazione a soci, delibera assembleare e indicazione in bilancio. | IVA: dovuta sul valore normale (autoconsumo imponibile, art.2 c.2 n.5 DPR 633, salvo eccezioni). Redditi: il valore normale costituisce ricavo tassabile (art.85 c.2 TUIR) e l’eventuale differenza tra valore normale e costo origina utile (tassato) o minusvalenza. | Se un farmacista trattiene farmaci per uso personale o li assegna gratuitamente a un socio, per il fisco è come una vendita a valore di mercato. Prezzi simbolici possono essere riqualificati come gratuità con conseguente recupero imposte . Caso particolare: farmaci ceduti a prezzo simbolico a strutture (Cass. 2023: 1 € poteva essere considerato corrispettivo non serio quindi cessione gratuita sostanziale) . |
Legenda: AdE = Agenzia delle Entrate; GdF = Guardia di Finanza; DDT = Documento di trasporto; FIR = Formulario identificazione rifiuti.
(La tabella sopra riassume scenari tipici. Altri casi specifici possono esistere, ad esempio cessione a prezzo simbolico a enti pubblici con sponsorizzazione, resi a fornitore, ecc., ognuno con trattamento proprio. Qui ci si concentra sulle ipotesi più comuni per farmacie e imprese farmaceutiche.)
Contestazioni tipiche e organi coinvolti
Nel contesto delle cessioni gratuite di farmaci contabilizzate come perdite, diversi organi di controllo possono intervenire, ciascuno con prospettive leggermente diverse:
- Agenzia delle Entrate (uffici fiscali): è l’ente che emette eventualmente l’avviso di accertamento tributario. Spesso l’Agenzia agisce a seguito di verifiche o segnalazioni della Guardia di Finanza, ma può anche rilevare incongruenze nelle dichiarazioni (es. rimanenze finali che calano drasticamente) e avviare controlli. L’Agenzia delle Entrate mira essenzialmente a recuperare imposte evase (IVA, IRES, IRAP) e irrogare sanzioni. Nel caso specifico, contesterà che la voce di costo relativa a farmaci “persi” non sia valida e che vada invece inserito un ricavo non dichiarato per vendite occulte. Può agire sia in ambito di imposte dirette che IVA, e spesso lo fa con un unico atto (accertamento induttivo o analitico-induttivo).
- Guardia di Finanza (polizia tributaria): la GdF svolge un ruolo investigativo e di verifica in loco. Nelle farmacie, la GdF può effettuare ispezioni fiscali in cui conta le giacenze, controlla le fatture d’acquisto di farmaci e le vendite registrate (scontrini, fatture SSN), e verifica se c’è discrepanza. Ad esempio, possono analizzare un periodo d’imposta e fare il confronto tra acquisti e vendite: se risultano acquistati 10.000 € di farmaci e venduti (scontrinati) solo 8.000 €, e non ci sono rimanenze finali, segnaleranno 2.000 € di beni mancanti presumibilmente venduti in nero . La GdF redige un Processo Verbale di Constatazione (PVC) in cui annota le irregolarità (per esempio “mancata indicazione di rimanenze finali, presunzione di cessione per differenza inventariale di X euro”) . Tale PVC viene poi trasmesso all’Agenzia Entrate per gli atti consequenziali. La GdF può anche sequestrare documenti, fare riscontri incrociati e, se del caso, informare la magistratura per aspetti penali (ad es. reati tributari o, se emergesse, distribuzione di farmaci scaduti a clienti che può configurare ipotesi di reato sanitario).
- Nuclei NAS dei Carabinieri o ASL (ispettori sanitari): questi soggetti possono effettuare controlli nelle farmacie mirati alla corretta gestione dei medicinali (validità, conservazione, smaltimento). Se trovano farmaci scaduti mischiati a quelli in vendita, scatta una violazione amministrativa o addirittura penale (art. 443 c.p. per commercio di medicinali guasti) . Tali controlli non hanno fine fiscale diretto, ma i verbali possono finire per segnalazione alla GdF se si sospetta qualcosa di anomalo nel magazzino. Ad esempio, se in farmacia si trovano 150 confezioni scadute in magazzino e altre 32 confezioni prive di fustella SSN (come in un caso in Toscana del 2016) , oltre alle sanzioni sanitarie, i Carabinieri potrebbero allertare la finanza per capire perché c’erano così tante scatole non vendute né rese.
- Corte dei Conti: entra in gioco se c’è un danno erariale a enti pubblici. Nel settore farmaceutico ciò può avvenire in due modi: (1) se la contestazione riguarda farmaci rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale indebitamente, la ASL (ente pubblico) ha rimborsato soldi non dovuti e la Corte dei Conti può chiedere al farmacista di risarcirli; (2) se si tratta di una struttura pubblica (es. ospedale, azienda sanitaria) che ha lasciato scadere farmaci in magazzino causando spreco di denaro pubblico, i dirigenti responsabili possono essere citati per danno erariale dovuto a mala gestio. Un esempio concreto del primo tipo: un farmacista che, in combutta con un medico, aveva presentato ricette SSN false con fustelle di farmaci mai dispensati è stato condannato dalla Corte dei Conti a rifondere all’ASL il costo di quei farmaci (circa 983 €) in quanto danno erariale derivante da rimborso indebito . Nel verbale ispettivo erano state trovate decine di confezioni di fascia A senza fustella, segno che erano state staccate per ottenere il rimborso senza dare i farmaci ai pazienti . La Corte dei Conti ha ravvisato un illecito arricchimento per il farmacista e un corrispondente danno alle casse pubbliche, condannandolo al pagamento. Questo tipo di situazione, sebbene riguardi frodi deliberate più che cessioni gratuite, dimostra come la presenza di farmaci senza riscontro (es. prive di fustella) possa avere conseguenze anche fuori dall’ambito strettamente tributario, specie quando c’è di mezzo il SSN. Riguardo al secondo tipo (ospedali pubblici), casi giurisprudenziali indicano che la dispersione di scorte farmaceutiche oltre la data di scadenza può essere contestata ai dirigenti come danno (per il costo dei farmaci buttati). Per esempio, la Corte dei Conti Lombardia in un caso ha ravvisato responsabilità amministrativa per grandi quantità di farmaci scaduti nei magazzini di un’ASST, quantificando il danno nel valore d’acquisto sprecato (salvo giustificazioni). Dunque, se si assiste giuridicamente una struttura pubblica accusata di ciò, la difesa dovrà vertere su dimostrare che lo smaltimento era inevitabile (es. farmaci donati ma non utilizzati per calo di pazienti, quindi non per negligenza) e che magari si è tentato di redistribuire prima della scadenza (esistono reti di solidarietà tra ospedali per usare medicinali in eccedenza, la cui attivazione può escludere la colpa grave del dirigente).
- Privati cittadini: raramente soggetti a contestazioni fiscali su farmaci, perché i privati non deducono costi né vendono farmaci. Tuttavia, è possibile che un privato (non farmacista) importi o acquisti grandi quantità di farmaci e li distribuisca gratuitamente (magari per volontariato). In tal caso potrebbe incorrere in problemi regolatori (es. commercio parallelo di farmaci non autorizzato) ma non tanto fiscali. Se il quesito include “anche a privati”, probabilmente si intende che taluni aspetti (es. donare medicine a conoscenti, raccogliere farmaci tra privati per beneficenza) non rientrano in attività d’impresa e hanno altre regole (ad esempio, molte associazioni raccolgono farmaci validi donati da privati e li cedono a enti caritativi; ciò è lecito se i farmaci sono integri e con almeno 8 mesi di validità, come da linee guida Banco Farmaceutico). Tali attività però esulano dal campo fiscale trattato qui.
Contestazioni tipiche: vediamo ora come concretamente si presentano le contestazioni più comuni:
- Differenze inventariali in farmacia: Questo è un caso classico. La Guardia di Finanza, durante un controllo, chiede al farmacista le giacenze di inizio e fine anno e confronta con acquisti e vendite. Se il farmacista non tiene un registro di magazzino formale (molti non sono obbligati, essendo imprese minori), la GdF ricostruisce induttivamente la rimanenza finale. Spesso le farmacie, nei documenti di dichiarazione dei redditi, omettono di indicare le rimanenze finali se di modesto importo o per semplicità. Ma se hanno acquistato molto più di quanto venduto, l’assenza di rimanenze appare sospetta. Ad esempio, nell’esperienza citata dal portale LexCED, un imprenditore non aveva indicato rimanenze finali per tre anni consecutivi; la GdF ha dedotto che tutta la merce acquistata e non risultante venduta fosse stata in realtà ceduta irregolarmente . La contestazione, arrivata in accertamento, è stata di mancata fatturazione di vendite pari al differenziale (beni acquistati – beni venduti ufficialmente) . In casi così, la difesa deve dimostrare che la differenza non è dovuta a vendite occulte ma, ad esempio, a distruzione di farmaci scaduti o donazioni. Se però il farmacista non ha tenuto traccia di nulla, la situazione è critica. Una possibile linea difensiva è attaccare la base del calcolo: “I verificatori non hanno considerato che parte degli acquisti erano per rifornire il magazzino, e infatti la mia farmacia aveva rimanenze finali che però io non ho indicato in dichiarazione per errore”. In effetti, la presunzione di cessione opera solo se i beni non si trovano nei luoghi di attività ; quindi se in realtà i beni c’erano ancora (cioè c’era magazzino non venduto), allora non scatta la presunzione. Far valere ex post un’inventario finale non dichiarato è difficile ma non impossibile, specie se ci sono elementi (tipo fatture di acquisto a fine anno di farmaci poi venduti l’anno dopo, ecc.). Di sicuro, una contestazione basata su differenze di magazzino punta sulla mancata prova contraria. Se il contribuente poi presenta in appello foto di prodotti scaduti o liste di distruzione tardive, rischia di non essere creduto a meno che siano documenti ufficiali datati.
- Cessioni gratuite a prezzo simbolico: può capitare che un’azienda farmaceutica decida di vendere un lotto a prezzo simbolico (come nell’interpello 182/2023 citato su NT+ Fisco, un farmaco innovativo venduto a €1 per spingere le strutture a testarlo) . L’Agenzia può contestare che il prezzo simbolico sia fittizio e che l’operazione vada trattata come gratuita (quindi assoggettare l’intero valore normale ad IVA). L’orientamento recente della Cassazione è ambiguo: da un lato ha detto che un corrispettivo simbolico può esser considerato inesistente se meramente apparente ; dall’altro, altra giurisprudenza ammette anche un prezzo irrisorio purché vi sia un interesse meritevole (es. diffondere il farmaco) . Nel caso concreto l’AdE ha avvisato che potrebbe qualificare la cessione come gratuita sostanziale e quindi applicare l’IVA sul valore di mercato . Questo tipo di contestazione è più raro e riguarda grandi aziende; la difesa in tal caso consiste nel dimostrare che il prezzo, pur basso, era vero corrispettivo (pagato e voluto dalle parti) e non copriva un’intesa simulata. Ma se l’AdE trova elementi (accordi collaterali) per dire che era regalato, vincerà la tesi della cessione gratuita.
- Sprechi in strutture pubbliche: come detto, se un ente pubblico (es. ospedale) non adotta misure per evitare che scadano grandi quantitativi di farmaci, la Procura regionale della Corte dei Conti può citarne i responsabili per danno. La contestazione tipica: “avete lasciato scadere farmaci per €X, dunque avete arrecato un danno erariale pari a €X, dovete risarcirlo”. La difesa dovrà mostrare cause di forza maggiore (ad es. improvvisa diminuzione di pazienti per quel farmaco, impossibilità di trasferire i farmaci in eccesso altrove, normative che vietano la redistribuzione oltre certe soglie, ecc.) e che non c’è colpa grave (magari i dirigenti avevano predisposto controlli di scadenza ma il fornitore ha consegnato quantitativi minimi oltre il fabbisogno). Inoltre, se parte dei farmaci scaduti è stata donata per usi veterinari o di ricerca (a volte si fa), si può ridurre l’importo effettivamente sprecato.
- Farmaci senza fustella in farmacia: questo scenario, come visto nel caso toscano del 2016 , insospettisce moltissimo i verificatori. Trovare farmaci di fascia A privi del bollino significa che la fustella è stata tolta (o perché spedita su ricetta SSN, oppure staccata per altro motivo). Se la confezione è ancora lì, vuol dire che il farmaco non è stato consegnato al paziente nonostante la fustella risulti usata. Questo configura probabilmente una frode al SSN (ricetta fittizia). La GdF segnalerà la cosa alla ASL e probabilmente all’Autorità Giudiziaria. Difendersi è arduo: si dovrebbe dimostrare, ad esempio, che quelle fustelle erano state staccate per errore e poi i farmaci, non potendo più essere erogati, sono stati tenuti da parte per la distruzione. In teoria, se un farmacista commette l’errore di staccare la fustella sbagliata, deve redigere un verbale di errore e conservare la scatola per rimborso o ispezione. Se ciò fosse documentato, potrebbe salvarsi dall’accusa di dolo. Ma senza nulla, la presunzione è di comportamento fraudolento. Fiscalmente, in quel caso, più che ricavi in nero, si ha un indebito incasso dal SSN (che se scoperto viene recuperato con interessi e sanzioni amministrative e appunto danno erariale). La difesa in ambito Corte dei Conti può consistere nel dimostrare che l’importo contestato è già stato recuperato dall’ASL o che la condotta è frutto di negligenza e non dolo (per cercare al limite una riduzione di responsabilità).
In generale, la chiave per affrontare le contestazioni è capire quale presunzione o accusa specifica viene mossa (evasione IVA? Occultamento di ricavi? Danno erariale? Violazione sanitaria?) e agire su quel fronte con le prove e argomentazioni pertinenti. Nel prossimo paragrafo analizziamo l’orientamento della giurisprudenza (soprattutto tributaria) in materia, che fornirà spunti su come i giudici valutano questi casi e quali elementi fanno pendere la bilancia a favore del contribuente.
Giurisprudenza recente in materia di cessioni gratuite e onere della prova
La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi più volte sulle presunzioni di cessione e sulle prove contrarie fornite dai contribuenti. Esamineremo alcune sentenze chiave aggiornate che riguardano da vicino il nostro argomento, in modo da trarre principi utili per la difesa.
Cassazione: presunzioni fiscali e mezzi di prova tassativi
Come già anticipato, la Corte di Cassazione ha assunto un orientamento piuttosto severo circa la necessità di aderire ai mezzi di prova previsti dalla legge per vincere la presunzione di cessione. Una sentenza di riferimento è la Cass. n. 13979/2016, in cui la Suprema Corte ha affermato che “le presunzioni di cessione e di acquisto ex DPR 441/97 sono presunzioni legali che consentono prova contraria solo entro i limiti fissati dalla legge”. In quel caso, fu respinta la tesi di un’azienda che voleva dimostrare l’assenza di vendite occulte con argomentazioni generiche; la Cassazione ribadì che la prova può essere data solo nei modi espressamente contemplati** (ad esempio documenti contabili, DDT, verbali) .
Questo rigore è stato recentemente confermato dalla Cassazione V sez., Ordinanza n. 20764 del 14 luglio 2025 (come risulta da un’analisi pubblicata nell’agosto 2025) . In tale pronuncia, relativa a un’impresa edile con ammanchi di magazzino, la Cassazione ha cassato la sentenza di merito che aveva assolto il contribuente: la CTR infatti aveva ritenuto che la presunzione di cessione, da sola, non bastasse per rettificare i redditi senza altri riscontri. La Cassazione ha giudicato ciò un errore di diritto, chiarendo che:
- La presunzione di cui al DPR 441/97 è pienamente efficace sia per IVA che per imposte sui redditi .
- Una volta constatata la differenza inventariale, l’Ufficio può procedere ad accertare maggiori ricavi basandosi su di essa, senza necessità di ulteriori prove, spettando semmai al contribuente giustificare l’ammanco .
- La prova contraria del contribuente deve essere “rigorosa e specifica”, nel senso che deve dimostrare la legittima fuoriuscita dei beni dal circuito aziendale attraverso i canali previsti: es. attestando la distruzione, il furto, la consegna a terzi in lavorazione, ecc., con i documenti appropriati .
- Non è sufficiente una spiegazione di massima (“forse erano scaduti”, “li ho buttati via ma non ho avvisato nessuno”): servono pezze giustificative concrete.
Questa posizione rende chiaro che il contribuente che non ha seguito le procedure standard parte in svantaggio e dovrà faticare per convincere i giudici. Tuttavia, le stesse pronunce lasciano intendere che se il contribuente ha fornito documenti idonei (anche successivamente, in giudizio) allora la CTR ha il dovere di valutarli in modo approfondito. Proprio su questo punto si inserisce la già menzionata Cass. ord. 26223/2021. In tale decisione, la Cassazione ha affermato un principio favorevole al contribuente per quanto riguarda la valutazione delle prove:
“In presenza di presunzioni di legge che onerano il contribuente della prova contraria, ove quest’ultimo abbia prodotto documentazione (nel caso di specie, astrattamente idonea a dimostrare l’avviamento a distruzione dei beni), il giudice non può genericamente ritenere non assolto l’onere probatorio, ma deve specificamente chiarire i motivi per cui gli elementi prodotti non siano sufficienti a dimostrare i fatti dedotti” .
La Cassazione in pratica ha detto: se il contribuente, pur non avendo fatto tutto a regola d’arte prima, porta in causa delle prove (ad es. formulari rifiuti, certificati di smaltimento), il giudice tributario deve esaminarli in dettaglio; non può respingerli con motivazione stereotipa tipo “mancano i documenti previsti dal DPR 441, quindi ciccia”. Nel caso concreto (riguardante pezzi di ricambio d’auto distrutti), il contribuente aveva prodotto dei documenti di avvenuto smaltimento, che la CTR aveva ignorato limitandosi a dire “distruzione non documentata”. La Cassazione ha cassato la sentenza e rinviato, proprio perché quei documenti dovevano essere valutati nel merito . Questo è un messaggio importante: anche se la legge indica mezzi “tipici” di prova, la loro mancanza non significa che ogni altra prova sia automaticamente inutilizzabile. Il giudice deve comunque apprezzare la sostanza: un formulario rifiuti vidimato e completo, pur se non è stato inviato con raccomandata 5 giorni prima, rimane una prova concreta che quei beni sono stati distrutti realmente . La differenza sta nel fatto che l’onere di convincimento è più gravoso (il contribuente potrebbe dover spiegare perché non ha fatto la comunicazione preventiva, ad esempio), ma se la buona fede è palese e la distruzione acclarata, ignorare del tutto la prova sarebbe ingiusto.
D’altra parte, la Cassazione ha anche distinto le situazioni: nel caso di donazioni a ONLUS, come visto, è stata più permissiva nel consentire mezzi alternativi per provare l’assenza di intenti fraudolenti . Si può citare la Cass. n. 10991/2016 (richiamata nell’articolo di Eutekne) in cui i giudici hanno definito le presunzioni di cessione “miste”, che ammettono prova contraria anche con altri mezzi, purché volti a dimostrare “l’assenza di frodi”. In quel caso l’azienda aveva saltato la comunicazione formale, ma aveva la fattura accompagnatoria firmata dall’ente caritatevole a cui aveva donato i beni; la Cassazione ha ritenuto ciò sufficiente a provare che la cessione era realmente gratuita e benefica, dunque niente IVA da pretendersi . Questo orientamento equilibrato suggerisce che, soprattutto quando è evidente che non c’è un arricchimento per il contribuente (anzi, ha regalato la merce) e che la destinazione è lecita, non ha senso punirlo per un difetto burocratico. Quindi si può affermare che la giurisprudenza di legittimità tende a far salva la sostanza sull’IVA in caso di finalità benefiche reali, mentre è più stringente in casi dove potrebbe annidarsi facilmente l’evasione (distruzioni “opache” o autoconsumi non dichiarati).
Riassumendo i principi giurisprudenziali utili per la difesa: – La presunzione di cessione si applica a tutte le imposte, quindi non si può argomentare che “vale solo per l’IVA e non per i redditi” – tale tesi è stata espressamente bocciata dalla Cassazione . – Il contribuente deve preferibilmente ottemperare ai requisiti formali (comunicazioni, verbali, ecc.). In mancanza, può ancora vincere la presunzione ma solo se fornisce prove documentali alternative solide. – I documenti tipici di prova (DDT, FIR, verbali, fatture a ONLUS) hanno un grande peso. Un FIR regolare, come sancito da Cass. 26223/21, è il documento previsto dalla legge ambientale e se coincide con i beni mancanti, è difficile per il Fisco ignorarlo . – In caso di donazioni solidaristiche, la giurisprudenza ha aperto alla sufficienza di documenti controfirmati dai beneficiari come prova di buona fede . – Il giudice che rigetta la prova contraria deve motivare il perché essa non prova quanto sostiene il contribuente, non basta dire “non c’è la raccomandata quindi ha torto” . – Se il contribuente non fornisce alcuna prova, la presunzione rimane intatta e l’accertamento verrà confermato. Ad esempio Cass. 20764/2025 citava che la CTR aveva errato anche nel non considerare che il contribuente non aveva fornito “alcuna prova documentale valida” a giustificare l’ammanco . Ciò sottolinea l’importanza di presentare qualche elemento oggettivo a discarico.
Altre decisioni rilevanti (casi particolari)
Oltre alle massime generali, vale la pena menzionare alcuni casi particolari: – Cass. 712/2023 (ord.) e Cass. 35396/2023: queste pronunce recentissime (gennaio e dicembre 2023) ribadiscono rispettivamente che la presunzione di cessione opera solo quando c’è effettiva differenza quantitativa negativa (dunque va calcolata correttamente; se c’è solo un disallineamento contabile ma i beni sono localizzati altrove non scatta) e che trova applicazione trasversale IVA/redditi (concetto già visto). Sono conferme di rito, che segnano continuità con l’orientamento costante.
- Cass. 6325/2023: sul tema IVA, ha richiamato la giurisprudenza UE secondo cui la base imponibile IVA è il corrispettivo effettivamente pagato e che l’amministrazione non può sindacare la congruità del prezzo di vendita, se un bene è venduto sottocosto, salvo il caso di frode . Questo in un certo senso tutela chi vende a prezzo basso (meglio poco che gratis): se è pur sempre un prezzo, l’IVA si applica su quello e non su valori arbitrari. L’Agenzia può riqualificare in gratuita solo se dimostra che il prezzo è puramente fittizio e non voluto pagare .
- Giudici di merito (CTR): vi sono state nel tempo decisioni altalenanti. Ad esempio, alcune Commissioni Tributarie Regionali avevano dato ragione a contribuenti in mancanza di prove strette, un po’ per equità; la Cassazione ha spesso cassato queste sentenze troppo indulgenti (come nel caso 2025 discusso). Invece altre CTR hanno assunto linee dure analoghe alla Cassazione, richiedendo la lettera della legge. È quindi importante in sede di difesa in Commissione richiamare sin da subito la giurisprudenza di Cassazione favorevole (come Cass.10991/2016 sulle ONLUS, Cass.26223/2021 sul dovere di valutazione prove) per orientare i giudici a considerare eventuali nostre prove alternative.
- Corte dei Conti: sul versante Corte dei Conti, le sentenze evidenziano che il farmacista convenzionato col SSN svolge un pubblico servizio, e presentare ricette con farmaci non consegnati è un comportamento gravissimo equiparato a falsità e truffa, con obbligo di risarcire anche importi modesti . La difesa davanti alla Corte dei Conti può puntare su elementi come: l’ASL non ha effettivamente subito danno (se magari i farmaci furono comunque consegnati in ritardo a pazienti bisognosi, casi limite), oppure errore senza dolo. Ma dalla sentenza toscana citata appare chiaro che, una volta accertata la mancata consegna, il farmacista deve restituire fin l’ultimo euro. In altre sentenze su farmaci scaduti in ospedali pubblici, la Corte dei Conti ha valutato la colpa grave nella programmazione acquisti: se si comprano eccedenze senza criterio e scadono, per i giudici contabili c’è danno evitabile. Una difesa possibile è mostrare che i farmaci sono scaduti non per cattiva gestione ma per circostanze eccezionali (es. lotti donati e non usati per mancanza di domanda, lockdown che ha ridotto gli interventi chirurgici e quindi l’uso di certi anestetici, ecc.). Il tutto per dire che in quell’ambito conta provare l’assenza di colpa grave più che la materialità della perdita (che è evidente).
In conclusione, la giurisprudenza fornisce sia moniti che spiragli: moniti perché chiarisce che non si può prendere sottogamba la normativa (il contribuente organizzato e diligente verrà premiato); spiragli perché afferma che se il contribuente porta elementi seri, vanno considerati e possono salvare dalla tassazione. Soprattutto in presenza di cessioni gratuite a fin di bene, i giudici sembrano propensi a non punire oltremodo chi magari ha solo sbagliato modulo.
Strategie di difesa del contribuente (prospettiva del debitore)
Posti i principi di legge e le linee della giurisprudenza, passiamo ad illustrare come difendersi in concreto nel caso di contestazioni su cessioni gratuite di farmaci contabilizzate come perdite. Immaginiamo di essere i consulenti di un farmacista o di un’impresa farmaceutica che ha ricevuto un verbale di contestazione o un avviso di accertamento: quali passi compiere, quali argomenti sollevare, quali documenti raccogliere per preparare la difesa?
Possiamo distinguere due fasi: fase pre-contenziosa (accertamento con adesione, osservazioni al PVC, ecc.) e fase contenziosa (ricorso tributario o difesa in giudizio). Inoltre, potremmo trovarci a interloquire con vari organi (ufficio tributario, giudice tributario, giudice contabile, ecc.). Ecco alcune strategie e accorgimenti generali:
- Analizzare nel dettaglio la contestazione: sembra banale, ma è fondamentale capire esattamente cosa viene contestato. Ad esempio, l’atto parla di “maggiori ricavi per vendite non fatturate di €50.000” derivanti da tot confezioni di farmaci? Oppure contesta “indebita deduzione di perdita su magazzino per €10.000”? Indica espressamente il DPR 441/97 e la mancata osservanza di qualche comma? Questo orienta la difesa: se parlano di ricavi non dichiarati, il focus sarà sul dimostrare che quei beni non hanno generato ricavo (perché distrutti o donati). Se parlano di IVA evasa, dovremo puntare sul far rientrare l’operazione tra quelle non imponibili (o al limite chiedere l’applicazione dell’IVA sul costo invece che sul valore, secondo logiche EU, se proprio). Se la contestazione è solo formale (tipo “multa per mancata comunicazione art.2 DPR 441, €…”) allora la strategia sarà magari chiedere il cumulo giuridico o l’applicazione dell’art. 12 D.Lgs.472/97 (continuazione) per ridurre la sanzione.
- Raccogliere tutta la documentazione disponibile: il contribuente deve setacciare i propri archivi alla ricerca di qualsiasi prova a suo favore. A seconda del caso:
- FIR e formulari smaltimento: se la farmacia ha consegnato i farmaci scaduti a una ditta di smaltimento rifiuti, avrà firmato dei formulari. Bisogna recuperarli, controllare che includano i farmaci contestati (codici CER, peso, date) e abbinarli agli ammanchi. Se i formulari non dettagliano le specialità (di solito no, dicono solo “rifiuti farmaceutici kg tot”), potrebbe servire un’attestazione della ditta smaltitrice che specifichi eventualmente cosa è stato ritirato.
- Registri interni e scadenziari: alcune farmacie annotano le scadenze dei medicinali e le distruzioni. Se esistono registri o anche semplici elenchi datati dei prodotti scaduti ogni anno, portarli come elemento di coerenza.
- Comunicazioni fatte: se per caso è stata inviata una PEC di comunicazione preventiva (magari all’AE ma non alla GdF, o viceversa), esibirne la ricevuta. Anche una comunicazione tardiva fatta spontaneamente (ad esempio “a fine anno ho inviato un elenco di ciò che ho distrutto”) può essere utile.
- Documenti del fornitore o produttore: in taluni casi, i farmaci vengono resi al produttore (es. quando vengono ritirati dal commercio o difettosi). Un documento di reso al fornitore esclude che siano stati venduti. Talvolta l’azienda farmaceutica manda un corriere a ritirare i lotti fallati. Se si trovano note di credito o documenti di reso, vanno presentati perché quei beni non li ha più il farmacista né li ha venduti lui.
- Fatture di vendita particolari: se alcuni farmaci sono stati ceduti regolarmente ma in modo non usuale (ad esempio venduti a una casa di riposo con fattura cumulativa), assicurarsi che l’ufficio ne abbia tenuto conto. A volte il fisco calcola vendite solo dagli scontrini e trascura vendite fatturate separatamente.
- Dichiarazioni di terzi: in giudizio tributario non valgono come prova testimoniale, ma possono essere portate come prova documentale dichiarazioni scritte di terzi (ad es. una ONLUS che attesti “confermo di aver ricevuto in donazione dalla Farmacia X in data Y i seguenti farmaci… che ho utilizzato per i poveri”). Non è una prova legale forte, ma aiuta a dipingere la situazione di fatto e può persuadere il giudice specie se la controparte non contesta specificamente.
- Denunce alle autorità: se c’è stato un furto (anche parziale, ad esempio furto di 10 confezioni di un farmaco costoso), la copia della denuncia è cruciale. Anche una denuncia tardiva (fatta dopo l’ispezione, per dire che forse erano stati rubati) ha poco valore: dev’essere contemporanea o comunque antecedente all’accertamento per essere credibile.
- Verificare eventuali errori di calcolo del Fisco: non di rado, nelle ricostruzioni di magazzino, i verificatori possono sbagliare qualche conteggio. Conviene rifare il conto acquisti-vendite dettagliato per l’anno contestato, magari distinguendo per categoria di farmaci. Ad esempio, se contestano 5.000 € di merce mancante, individuare da quali prodotti derivano secondo loro. Potremmo scoprire, ad esempio, che non hanno considerato che a fine anno c’erano effettivamente scorte per 2.000 € (magari vendute a gennaio successivo). Oppure che hanno considerato come mancanti farmaci che in realtà erano stati resi al grossista. Un classico: nelle farmacie molti farmaci invenduti vengono resi alle aziende (ad esempio farmaci in conto deposito o per cambio di stagione). Se i resi non sono stati registrati correttamente, la GdF può averli considerati mancanti. Trovare le note di credito dei resi e presentarle annulla quella parte di contestazione (i beni non c’erano perché restituiti al fornitore, non venduti).
- Dimostrare l’assenza di vantaggio economico: soprattutto se la contestazione verte su donazioni, è utile far emergere che non c’era alcun guadagno per il contribuente nel cedere gratis quei beni. Ad esempio: “Ho donato farmaci prossimi a scadenza a quella ONLUS e ne ho ricavato zero; anzi, mi sono accollato il costo. Perché mai avrei dovuto farlo se l’alternativa era venderli di nascosto? Non c’è logica evasiva.” Questo ragionamento, pur non giuridico, aiuta a far percepire la buona fede. Anche nel caso di distruzione: “Questi farmaci erano scaduti, ergo invendibili. Non avrei potuto comunque ricavarne profitto. L’unica cosa era eliminarli secondo la legge, cosa che ho tentato di fare”. Questo discorso può essere supportato da dati: se i farmaci contestati erano scaduti il, poniamo, 31/12/2024, e la verifica riguarda il 2025, far notare che nessuno avrebbe mai comprato farmaci scaduti, quindi non aveva senso tenerli.
- Invocare le disposizioni normative favorevoli: nel ricorso occorre citare espressamente le norme come modificate. Ad esempio: “Ai sensi dell’art. 16 co.1 L.166/2016, la presunzione di cessione ex DPR 441 non opera per i farmaci destinati alla solidarietà sociale” e “l’art. 16 co.2 modifica l’art.13 D.Lgs.460/97 escludendo tali beni dai ricavi ex art.85 TUIR” . In tal modo si mette il giudice nella condizione di capire che la legge stessa prevede l’irrilevanza fiscale se si prova la destinazione solidale. Allo stesso modo, citare “D.Lgs.70/2021 – procedura semplificata distruzione <10k con autodenuncia” se applicabile all’anno in questione (attenzione: entrata in vigore 2021, quindi per contestazioni antecedenti no). Oppure menzionare la Cassazione 2016 sulle ONLUS come precedente (magari allegando l’estratto ).
- Valutare strumenti deflativi: se effettivamente qualche errore c’è stato (es. mancata comunicazione preventiva), ma i beni erano davvero distrutti, si potrebbe tentare un accertamento con adesione chiedendo all’ufficio un trattamento di favore. Ad esempio, proponendo: “riconosco una violazione formale, pagherei una sanzione minima, ma non l’imposta perché i beni non li ho venduti, guardate questi documenti…”. In alcuni casi, l’ufficio potrebbe essere disposto a rinunciare alla parte di imposta (specie IVA) se è convinto che non ci sia stata vendita, accontentandosi magari di una sanzione ridotta. È un’opzione da non scartare per evitare un lungo contenzioso, specialmente se l’importo non è enorme e si hanno ragioni morali dalla propria parte.
- Coinvolgere esperti e periti: se la questione è molto tecnica (es. un’azienda farmaceutica con migliaia di prodotti contestati), può essere utile allegare una perizia contabile o una relazione tecnica di un esperto di logistica farmaceutica che spieghi i processi di scadenza e smaltimento, per far comprendere al giudice (che potrebbe non sapere nulla di gestione farmaci) che certi ammanchi sono fisiologici o inevitabili.
- Curare la coerenza e credibilità della propria versione: la difesa deve fornire un racconto dei fatti coerente: quando e perché quei farmaci sono stati eliminati/donati, chi se ne è occupato, come mai non è stato fatto l’adempimento X ma si è fatto Y, ecc. Se, ad esempio, si sostiene che “ho buttato via 100 scatole di farmaco scaduto il 10 marzo 2025 tramite ditta Alfa”, sarebbe utile poter esibire il FIR del 12 marzo 2025 rilasciato da Alfa, e magari la fattura di Alfa per il servizio di smaltimento. Se manca quest’ultima, ecco un punto debole (perché la ditta smaltimento lavora gratis?). Ogni dettaglio così va pensato.
In base alle tipologie di contestazione discusse prima, possiamo delineare alcune strategie specifiche:
- Difesa in caso di presunta vendita in nero (differenze inventariali): qui la strategia A è dimostrare che i beni non venduti erano in realtà distrutti o donati. Strategia B, dimostrare che i beni erano ancora in magazzino (quindi niente vendita) e la GdF ha sbagliato i calcoli. La A richiede prove di distruzione/donazione, come detto; la B richiede ricostruzione analitica del magazzino. Spesso si usano entrambe in subordine: “In ogni caso, anche volendo ritenere che parte dei beni non fossero più presenti, essi erano stati eliminati regolarmente, come da doc. X, Y…”.
- Difesa in caso di cessione a ONLUS contestata: evidenziare la qualità del beneficiario (mostrare statuto ONLUS, iscrizione registro APS/ODV, ecc. per provare che rientrava nelle categorie agevolate). Se manca la comunicazione preventiva, puntare sul fatto che l’assenza di frode è palese (magari l’ente beneficiario era persino un ente pubblico – ad es. donazione a una ASL per missioni umanitarie; in tal caso veramente il fisco non ci perde IVA per definizione, essendo ente pubblico il cessionario). Quindi chiedere l’applicazione di Cass. 10991/16: “si consenta prova alternativa dell’assenza di fini evasivi”. Magari allegare una lettera di ringraziamento dell’ente per la donazione, datata, così da avvalorare che la cessione è avvenuta.
- Difesa in caso di distruzione contestata per mancanza di formalità: qui esibire con ordine i documenti di smaltimento (DDT, FIR, eventuale certificato distruzione se fornito) e sottolineare che tutte le indicazioni richieste compaiono (richiamando Cass. 26223/21: “il formulario contenente i dati a, b, c… è la prova richiesta” , e qui tali dati ci sono). Se l’ufficio insiste che mancava la comunicazione, argomentare che quell’obbligo è stato modificato e semplificato dal 2016 e poi dal 2021, e che la ratio era prevenire frodi. Citare magari: “la ratio del DPR 441 è prevenire frodi; nel caso esaminato è pacifica l’assenza di frodi” , quindi l’ufficio faccia valere la sostanza.
- Difesa in Corte dei Conti: qualora si rappresenti un farmacista convenzionato sanzionato per danno erariale, la strategia è un po’ diversa: occorre puntare su elementi soggettivi (assenza di dolo, magari colpa lieve). Ad esempio, se il farmacista ha erroneamente ottenuto rimborsi SSN per farmaci che poi ha buttato perché il paziente non li ha ritirati, potrebbe dire che non c’era volontà di truffa ma disorganizzazione, e proporre semmai un risarcimento parziale. In caso di dirigente pubblico con farmaci scaduti, evidenziare misure correttive implementate in seguito e la non gravità della condotta (magari il valore scaduto era una percentuale minima sul totale gestito, segno che generalmente operava bene).
- Transazione e ravvedimento: se la questione è limitata e il contribuente riconosce un errore, potrebbe valutare un ravvedimento operoso. Ad esempio, se aveva dedotto una perdita di magazzino di €5.000 ma non ha prove, potrebbe spontaneamente rettificare la dichiarazione (se ancora possibile) o in sede di adesione offrire di riprendere a tassazione quell’importo (pagando le imposte dovute) in cambio magari di sconti sanzioni. Questo ovviamente dipende dalle cifre e dalla volontà del contribuente di chiudere il caso.
In tutti i casi, la credibilità complessiva è fondamentale: se il contribuente fino al giorno prima era ineccepibile e su quell’anno c’è quella sola anomalia con spiegazione logica, c’è spazio per convincere. Se invece ha altri indizi di irregolarità (contabilità mal tenuta, incongruenze sui corrispettivi, etc.), la difesa diventa più difficile perché si rischia di perdere fiducia.
Di seguito, presentiamo una sezione Domande e Risposte sintetiche che riprendono in forma FAQ i punti salienti, utile come ripasso e consultazione rapida.
Domande frequenti (FAQ) e risposte sul tema
D: Cosa si intende per “presunzione di cessione” dei beni (farmaci) e quando si applica?
R: È una regola fiscale secondo cui i beni acquistati o prodotti dall’impresa e non più presenti in magazzino senza una vendita registrata si presumono venduti irregolarmente. Si applica durante controlli fiscali, quando c’è una differenza inventariale negativa (mancano beni rispetto a quelli che dovrebbero esserci). Ad esempio, se risultano comprati 100 pezzi e venduti legalmente 80, i 20 mancanti si presumono venduti in nero. Questa presunzione opera sia per l’IVA che per le imposte sui redditi , ed è relativa: può essere superata se il contribuente prova che quei 20 pezzi mancanti in realtà non sono frutto di una vendita ma, ad esempio, sono stati distrutti, rubati, donati o consegnati altrove in modo lecito.
D: Quali sono i principali casi in cui la presunzione di cessione non opera, purché il contribuente dia prova contraria?
R: La legge (art.1 c.2 DPR 441/97) elenca due macro-casi : – Beni impiegati, perduti o distrutti: cioè utilizzati nel processo produttivo, oppure andati perduti (es. furto, smarrimento, calamità) oppure materialmente distrutti/smaltiti. In ambito farmaci: farmaci scaduti e distrutti, farmaci rotti o contaminati eliminati, furti di medicinali, ecc. – Beni consegnati a terzi a titolo non traslativo: ossia dati a terzi ma senza venderli, per scopi come lavorazione, deposito, comodato d’uso, conto visione, ecc. Nel farmaceutico, può capitare con campioni gratuiti a medici (comodato), prodotti dati a un’altra azienda per confezionamento, ecc. Se il contribuente dimostra che i beni rientrano in queste situazioni, la presunzione di vendita non scatta. Ad esempio, se prova con un verbale che li ha distrutti, o con una bolla che li ha mandati a terzi in conto lavorazione, allora quei beni non saranno considerati venduti.
D: Come posso provare che i farmaci mancanti sono stati distrutti regolarmente e non venduti?
R: Devi esibire i documenti previsti dalle norme che attestano la distruzione: – Il Documento di Trasporto (DDT) che hai usato per trasferire i farmaci dal tuo magazzino al luogo di distruzione, indicante chiaramente la causale (es. “rottamazione farmaci scaduti”) e la quantità . – Il Formulario di Identificazione Rifiuti (FIR) rilasciato dalla ditta che ha preso in carico i farmaci come rifiuti sanitari. Il FIR deve essere completo dei dati richiesti (tuo nome, tipologia e quantità di rifiuto, destinazione, trasportatore) . La Cassazione ha detto che il FIR con le indicazioni corrette è il documento tassativo per dimostrare l’avvio a distruzione . – Un verbale di distruzione redatto da pubblici ufficiali (funzionari AE o GdF) oppure, se il valore è sotto €10.000, una tua dichiarazione sostitutiva di atto notorio che certifichi l’operazione, ai sensi del D.Lgs. 70/2021 . Se era richiesto di preavvisare il Fisco, andrebbe mostrata anche la comunicazione inviata (e relative ricevute). – Eventualmente, fatture o ricevute della ditta di smaltimento, che corroborano che il servizio è avvenuto (ad esempio, se hai pagato €200 + IVA per smaltire i rifiuti). In assenza di qualcuno di questi documenti, la tua prova è più debole, ma puoi comunque presentare ciò che hai (es. solo il FIR) e chiedere al giudice di considerarlo sufficiente. Importante: consegna tutto in originale o copia autentica e in modo chiaro, magari predisponendo una tabella di riconciliazione tra i farmaci contestati e quelli riportati nei formulari.
D: Quali documenti servono invece per provare che ho donato gratuitamente i farmaci a un ente di beneficenza?
R: Anche qui, la procedura standard prevede: – Documento di trasporto (DDT) in cui tu (cedente) indichi la consegna gratuita all’ente tal dei tali, con data, luogo, elenco dei farmaci e quantità . – Dichiarazione trimestrale di utilizzo rilasciata dall’ente beneficiario (ONLUS o equivalente) che attesti di aver ricevuto quei farmaci e che li userà per fini sociali, indicando gli estremi dei DDT . Dal 2016 questa è trimestrale, prima era per ogni cessione. – Comunicazione al Fisco: se il valore della singola donazione superava €15.000, occorreva inviare entro fine mese una comunicazione telematica riepilogativa (o prima via raccomandata se anni passati). – Potresti avere anche una lettera di ringraziamento o ricevuta dell’ente che elenca i beni donati. – Se hai emesso una fattura a titolo gratuito (non obbligatoria, ma alcuni lo fanno per documentare), presentala. Ad esempio una fattura con importo €0 recante “cessione gratuita di farmaci ex L.166/2016, non imponibile IVA art.10 comma …”. In mancanza di qualche adempimento (tipo non hai inviato la comunicazione preventiva), la Cassazione ha detto che puoi comunque provare la donazione con altri mezzi, come la fattura firmata dall’ente . Quindi, se hai almeno il DDT firmato per accettazione dall’ente o una dichiarazione dell’ente, portali: mostrano l’assenza di intenti fraudolenti. L’ideale resta sempre un mix: DDT + dichiarazione ente + eventuale foto o verbale di consegna.
D: Ho dimenticato di inviare la comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate/GdF prima di distruggere i farmaci. È un grosso guaio?
R: Dipende. Formalmente, la normativa (art.2 DPR 441/97) prevedeva quell’obbligo (almeno fino alle modifiche del 2016/2021). La mancata comunicazione non invalida di per sé la distruzione, ma priva l’operazione di uno dei requisiti previsti per superare la presunzione. In pratica, il Fisco potrà eccepire che “non avendo fatto la comunicazione, la presunzione di cessione onerosa torna a operare”. Tuttavia, come evidenziato dalla Cassazione, devi insistere sul fatto che hai altre prove sostanziali dell’avvenuta distruzione e che l’assenza di preavviso non implica che tu abbia venduto i beni. Una sentenza ha stabilito che il giudice deve considerare anche altre prove di distruzione, comunicazione a parte . Quindi, se ad esempio hai il FIR e magari un verbale interno di distruzione, punta su quelli. In sostanza: non è un guaio irreparabile, ma rende la tua posizione più attaccabile. Spiega eventualmente perché non hai inviato la comunicazione (es: ignoranza dell’obbligo, ritenuto non necessario sotto soglia, errore) per contestualizzare. E sottolinea che comunque hai rispettato lo spirito della norma, che è far sì che i beni siano tracciati e non venduti di nascosto (cosa che puoi dimostrare).
D: La Guardia di Finanza mi contesta vendite non fatturate perché secondo loro avrei dovuto avere rimanenze finali, mentre io a fine anno ho azzerato il magazzino (buttando gli scaduti). Come difendersi?
R: Questo è un caso tipico. La GdF vede che nei modelli fiscali hai indicato rimanenze finali = 0, quindi presume che tutto ciò che hai acquistato sia o venduto o sparito. Per difenderti: – Correggi il quadro: se effettivamente a fine anno qualche giacenza c’era (magari l’hai venduta nei primi giorni dell’anno dopo), evidenzialo. Potresti presentare in giudizio una dichiarazione integrativa (se ancora nei termini) o comunque una situazione di magazzino. Dimostrando che non era davvero zero, la base del calcolo GdF crolla. – Documenta gli scaduti eliminati: come detto, fornisci tutta la documentazione di smaltimento per giustificare perché hai “azzerato” il magazzino. Se fai vedere che a dicembre hai smaltito, ad es., €3.000 di farmaci scaduti (con FIR del 15/12), allora quei €3.000 non dovevano essere in giacenza né venduti. – Mostra le vendite dell’anno successivo: se alcuni farmaci acquistati nell’anno contestato li hai venduti nei primi mesi del successivo, fai vedere le fatture/scontrini di quei mesi correlati a quei prodotti. Così risulti coerente: non li avevi a fine anno solo perché li hai venduti dopo, non perché spariti. – Se la contabilità era approssimativa, ammettilo e fornisci ora un inventario attendibile. Magari redatto con l’aiuto di un commercialista, indicando per ciascun codice farmaco quanti pezzi avevi a fine anno (anche se l’hai fatto ora a mente, meglio di niente). Ciò per dare al giudice un appiglio per dire: “okay, forse aveva rimanenze per €X, quindi riduciamo l’accertamento di conseguenza”. In breve, devi sostituire la presunzione del fisco (“tutto venduto”) con una ricostruzione credibile (“no, era in parte venduto, in parte ancora in negozio, in parte distrutto, ecco le prove”).
D: Quali sanzioni rischio in caso di contestazione fondata?
R: Sul piano tributario, se l’accertamento conferma che c’erano vendite occultate, dovrai pagare le imposte evase (IVA, IRES, IRAP) più interessi e sanzioni amministrative. Le sanzioni sono generalmente: – 90% dell’imposta evasa per infedele dichiarazione (su IRES e IRAP) per l’anno in questione, se l’importo non dichiarato supera il 10% del dichiarato o 2 milioni di euro (soglie oltre le quali c’è infedele). Anche se non superasse, potrebbero comunque sanzionare come violazione di omessa indicazione di componenti positivi. – 90%–180% dell’IVA non versata sulle vendite non fatturate. Spesso applicano il 100% medio per ciascuna operazione mancata. – Sanzione fissa per violazione degli obblighi di documentazione (es. mancata comunicazione preventiva: 250 € a 2.000 € secondo l’art.11 D.Lgs.471/97) se contestata. Di solito, in casi così, combinano la sanzione sull’imposta evasa (che assorbe l’aspetto documentale). Si può fruire della definizione agevolata con 1/3 in caso di acquiescenza o di adesione.
Sul piano penale tributario, se l’imposta evasa supera certe soglie (es. IVA evasa > €50.000), potresti incorrere nel reato di omessa dichiarazione IVA o infedele dichiarazione. Nella pratica, per pochi migliaia di euro di farmaci non dichiarati di solito non si finisce in penale; ma se parliamo di centinaia di migliaia, attenzione. Ad esempio, 200k di ricavi non dichiarati = circa 20k di IRES evasa + 22k di IVA evasa, quindi soglia IVA oltre 50k no, ma redditi 20k <100k, quindi non scatta reato. Bisogna valutare caso per caso.
Inoltre, se c’è di mezzo il Servizio Sanitario (ricette false), possono applicarsi reati come truffa ai danni dello Stato. Nel caso richiamato, il farmacista è stato perseguito in Corte dei Conti (responsabilità amministrativa) ma anche penalmente per falso e truffa molto probabilmente, e potrebbe subire provvedimenti sull’autorizzazione (nei casi gravissimi anche radiazione dalla convenzione SSN).
D: Come prevenire in futuro contestazioni su cessioni gratuite di farmaci?
R: Ecco alcuni consigli di best practice: – Tenere un registro di carico/scarico dei farmaci scaduti: ogni mese annotare cosa è scaduto e cosa ne fai (distrutto, reso, donato). Allegare a tale registro le copie dei DDT/FIR. – Effettuare regolarmente le comunicazioni richieste: se doni a enti, invia la comunicazione mensile anche se sotto soglia (male non fa). Se distruggi, invia PEC preventiva anche sotto €10.000 finché le procedure saranno rodate. – Conserva ordinatamente tutti i formulari rifiuti e crea un collegamento con i lotti di magazzino (es. scrivi sulla copia del FIR a penna quali lotti o prodotti conteneva). – Per i campioni gratuiti che ricevi da aziende (o dai ai medici), rispetta la normativa: non venderli, conservali in area separata, registra la consegna. – Per i farmaci in conto deposito o resi a fornitore, documenta tutto con DDT di reso e verifica che poi arrivi la nota di credito. – Nelle dichiarazioni dei redditi, indica sempre le rimanenze finali realistiche. Anche se fiscalmente le potresti non indicare (forfait o altro), è meglio dichiararle: se poi non ci sono, spiegherai perché (distrutte etc.), ma almeno eviti la presunzione sull’intero acquisto. – Consulta un consulente fiscale prima di grosse operazioni: se hai da smaltire un ingente stock, valuta con lui come fare a norma. Ad esempio, puoi donarlo a enti benefici invece di distruggerlo: così fai del bene e risparmi su smaltimento, e fiscalmente sei tutelato (purché ente giusto e documenti). – Forma il tuo personale (in caso di grossisti o aziende) a riconoscere gli adempimenti: magazzinieri e amministrativi devono sapere che non possono buttare via merce senza passaggi formali. – Interagisci con le associazioni di categoria (es. Federfarma) che spesso pubblicano circolari e guide su come gestire questi aspetti. Ad esempio, le Linee guida Banco Farmaceutico per la cessione di farmaci validi a fini sociali, o le note FOFI su smaltimento, possono aiutarti a restare aggiornato.
In sintesi: traccia tutto, comunica, conserva. La prevenzione è la miglior difesa: se arrivasse un controllo e tu hai subito i documenti da esibire, probabilmente la questione si chiude lì.
Con queste domande e risposte concludiamo la guida. Abbiamo esplorato il tema da un punto di vista avanzato, cercando di fornire un supporto a chi deve districarsi tra normative fiscali, adempimenti e contestazioni su un aspetto peculiare – ma non così raro – della gestione di una farmacia o azienda farmaceutica. Affrontare una verifica fiscale richiede sangue freddo e preparazione: conoscere i propri diritti (e doveri) è fondamentale per difendersi efficacemente. Speriamo che questa trattazione, aggiornata ad agosto 2025 e ricca di riferimenti a fonti autorevoli, possa servire da vademecum in tali frangenti, aiutando professionisti e contribuenti a impostare la miglior strategia difensiva possibile basata sulla normativa e sulla giurisprudenza attuale.
Bibliografia e fonti normative principali: – D.P.R. 10/11/1997 n.441, art.1-2 (Presunzioni di cessione/acquisto) .
– D.Lgs. 460/1997 art.13, D.L. 35/2005 conv. L.80/2005, L. 244/2007 (evoluzione normativa ONLUS).
– Legge 19/08/2016 n.166 (antispreco), art.15-16 .
– Circolare Agenzia Entrate 20/E del 18/05/2016 (donazioni ONLUS).
– Circolare Agenzia Entrate 16/E del 2016 (modifiche L.166).
– D.L. 23/2020 art.27 conv. L.40/2020, Circolare AE 9/E 13/04/2020 (farmaci uso compassionevole) .
– D.Lgs. 118/2021 (70/2021) art. 3 (distruzione beni <10k).
– Cass. Civ. Sez. Trib. n.10991/2016 , n.13979/2016, n.21845/2015, n.1217/2020, n.26223/2021 , ord. n.20764/2025 .
– Corte dei Conti Toscana, sent. n.266/2016 (farmacista, ricette false) . Corte dei Conti varie su gestione scorte (es. Liguria 83/2013 su sprechi farmaci).
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la registrazione di cessioni gratuite di farmaci come perdite deducibili? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la registrazione di cessioni gratuite di farmaci come perdite deducibili?
Vuoi sapere cosa rischi e come difenderti da queste contestazioni fiscali?
👉 Prima regola: dimostra che la cessione gratuita è stata effettuata nel rispetto delle norme sanitarie e fiscali e che le perdite contabilizzate sono reali e documentate.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Cessioni gratuite di farmaci registrate come perdite senza adeguata documentazione;
- Scorte scadute o invendibili considerate costi deducibili senza procedure corrette di smaltimento;
- Donazioni di medicinali a enti benefici o ospedali non adeguatamente tracciate;
- Irregolarità nella gestione del magazzino farmaceutico;
- Presunta creazione di perdite fittizie per abbattere il reddito imponibile.
📌 Conseguenze della contestazione
- Indeducibilità delle perdite e recupero a tassazione dei costi;
- Sanzioni per dichiarazione infedele fino al 90% della maggiore imposta;
- Interessi di mora sulle somme contestate;
- Rischio di contestazioni penali se vengono ipotizzate fatture false o perdite simulate;
- Responsabilità degli amministratori e del farmacista responsabile.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Le cessioni gratuite erano regolarmente documentate e autorizzate?
- I farmaci ceduti erano effettivamente scaduti, difettosi o invendibili?
- È stata seguita la procedura di smaltimento prevista dalla normativa sanitaria?
- Le donazioni sono state eseguite a soggetti legittimati e con registrazioni contabili corrette?
- L’Agenzia fonda la contestazione su dati concreti o su presunzioni?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Registri di magazzino e documenti di scarico dei farmaci;
- Verbali di distruzione o smaltimento rilasciati da enti autorizzati;
- Atti e ricevute di donazione a enti ospedalieri o beneficiari autorizzati;
- Fatture di acquisto e documentazione contabile di carico/scarico;
- Bilanci e relazioni illustrative.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la realtà delle perdite e la regolarità delle procedure seguite;
- Contestare la riqualificazione delle operazioni come “perdite fittizie”;
- Evidenziare che le cessioni gratuite a fini benefici o umanitari sono riconosciute dal legislatore;
- Eccepire vizi procedurali o errori di calcolo dell’accertamento;
- Richiedere annullamento in autotutela se la documentazione era già agli atti;
- Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini;
- Difesa penale mirata in caso di contestazioni per false scritture contabili.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la documentazione contabile e sanitaria relativa alle cessioni gratuite;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione e i margini di difesa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei giudizi fiscali e nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una corretta gestione delle giacenze e delle donazioni di farmaci.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale;
✔️ Professionista per difesa contro contestazioni su perdite e cessioni gratuite nel settore farmaceutico;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle cessioni gratuite di farmaci contabilizzate come perdite non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni, errori di valutazione o mancata conoscenza delle procedure sanitarie.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità delle operazioni, evitare la riqualificazione come perdite fittizie e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
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