Hai presentato la dichiarazione di successione con autoliquidazione dell’imposta e hai ricevuto un controllo dall’Agenzia delle Entrate? In questi casi, l’Ufficio verifica la correttezza dei calcoli effettuati dal contribuente e la completezza dei beni dichiarati nell’attivo ereditario. Spesso vengono contestati errori di valutazione o omissioni patrimoniali, con conseguente recupero di imposta, applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben costruita è possibile dimostrare la correttezza della dichiarazione o ridurre in modo significativo le sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’autoliquidazione dell’imposta di successione
– Se l’attivo ereditario è stato dichiarato in misura inferiore al valore reale dei beni
– Se vi sono omissioni di immobili, conti correnti, titoli o altri beni mobiliari
– Se i debiti e gli oneri dedotti non risultano documentati correttamente
– Se il valore degli immobili non corrisponde a quello catastale o di mercato accertato dall’Ufficio
– Se l’autoliquidazione non ha rispettato le aliquote previste per le diverse franchigie e gradi di parentela
Conseguenze della contestazione
– Recupero dell’imposta di successione non versata
– Applicazione di sanzioni amministrative fino al 200% delle somme dovute
– Interessi di mora calcolati dalla data di presentazione della dichiarazione
– Rettifica della dichiarazione di successione e blocco delle pratiche collegate (volture catastali, successioni bancarie)
– Nei casi più gravi, contestazioni penali per dichiarazione infedele se vi è occultamento di beni rilevante
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la correttezza dei valori dichiarati nella successione
– Produrre perizie, visure catastali, estratti bancari e documentazione patrimoniale completa
– Contestare eventuali stime arbitrarie dell’Ufficio su immobili e titoli
– Evidenziare errori di calcolo, carenze istruttorie o difetti di motivazione nell’avviso di liquidazione
– Richiedere la rideterminazione delle imposte dovute per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la dichiarazione di successione e la documentazione oggetto di contestazione
– Verificare la legittimità della rettifica e la corretta applicazione delle norme fiscali
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere gli eredi davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede civile
– Tutelare il patrimonio ereditario da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della rettifica dell’Agenzia delle Entrate
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della correttezza della dichiarazione di successione presentata
– La certezza di pagare solo quanto realmente dovuto per legge
⚠️ Attenzione: i controlli sull’imposta di successione in autoliquidazione sono molto frequenti e riguardano soprattutto la valutazione dei beni e le franchigie applicabili. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e documentata per evitare conseguenze economiche pesanti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e successioni – spiega come funzionano i controlli dell’Agenzia delle Entrate sull’autoliquidazione dell’imposta di successione e quali strategie adottare per difendersi legalmente.
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Introduzione
L’imposta di successione in Italia è un tributo che colpisce il trasferimento di beni e diritti per causa di morte. Tradizionalmente, dopo la presentazione della dichiarazione di successione erano gli uffici finanziari a calcolare l’imposta dovuta e a notificarne l’importo agli eredi mediante avviso di liquidazione. Dal 1° gennaio 2025, però, il sistema è cambiato: è stato introdotto il principio di autoliquidazione dell’imposta sulle successioni, ponendo il calcolo e il versamento iniziale a carico degli eredi stessi . Ciò significa che gli eredi devono autonomamente determinare e pagare l’imposta principale dovuta, mentre l’Agenzia delle Entrate effettua successivamente controlli sulla dichiarazione presentata e sull’importo autoliquidato. In caso di errori, omissioni o difformità, l’Ufficio potrà intervenire ex post con la notifica di un avviso di liquidazione per recuperare le somme non versate.
Quadro Normativo e Novità al 2025
L’imposta sulle successioni in Italia è disciplinata dal Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni (D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, detto TUS) . Questa imposta, abolita nel 2001, è stata reintrodotta dal 2006 (D.L. 262/2006) ripristinando gran parte della disciplina del TUS del 1990 . Le aliquote e le franchigie attualmente vigenti risalgono a quella reintroduzione e variano in base al grado di parentela tra defunto (de cuius) e beneficiario, come vedremo nel dettaglio più avanti.
Riforma 2023-2024: Di recente il legislatore ha approvato una riforma significativa in materia successoria, attuando la delega fiscale (Legge n. 111/2023) con vari provvedimenti tra cui il D.lgs. 18 settembre 2024 n. 139, la L. 104/2024 e il D.lgs. 87/2024 . Le novità principali, efficaci dal 1° gennaio 2025, possono essere sintetizzate così :
- Autoliquidazione obbligatoria: per le successioni aperte dal 2025 in poi, l’imposta di successione deve essere calcolata e versata direttamente dagli eredi/contribuenti, analogamente a quanto già avveniva per le imposte ipotecaria e catastale . Non sono più gli uffici a determinare l’importo in via iniziale: l’erede presenta la dichiarazione e paga spontaneamente quanto dovuto entro termini prefissati. Solo successivamente l’Agenzia delle Entrate controllerà la correttezza del dichiarato e dei versamenti.
- Controlli ex post e avviso di liquidazione: l’avviso di liquidazione da parte dell’Agenzia diventa, nel nuovo regime, uno strumento mirato a recuperare eventuali differenze d’imposta dovute a errori od omissioni del contribuente in sede di autoliquidazione, e non più l’atto ordinario con cui si quantifica inizialmente l’imposta in tutti i casi . In altri termini, se dal controllo l’Ufficio riscontra un’imposta maggiore da pagare, notificherà un avviso di liquidazione con le relative correzioni.
- Termini di decadenza più brevi: l’avviso di liquidazione per recuperare imposta non versata deve essere notificato entro 2 anni dalla data di presentazione della dichiarazione di successione . Si riducono quindi i tempi in cui l’erede “rimane esposto” a controlli sul dovuto. (Come vedremo, per le successioni antecedenti 2025 restano applicabili i termini previgenti, generalmente più lunghi).
- Sanzioni amministrative ridotte: la riforma ha rivisto al ribasso le sanzioni in materia. In caso di omessa dichiarazione, la sanzione è ora fissa al 120% dell’imposta dovuta (prima era dal 120% al 240%); per dichiarazione tardiva (oltre 30 giorni di ritardo) è il 45% (prima 60-120%); per dichiarazione infedele è l’80% (prima 100-200%) . Violazioni formali non influenti sull’imposta vengono punite con una sanzione amministrativa da €250 a €1.000 (in luogo dei vecchi importi in lire) . Tali modifiche incentivano la compliance spontanea, rendendo meno onerosi gli errori onesti e l’eventuale ravvedimento operoso.
- Abolizione del “coacervo”: è stato eliminato ogni residuo dubbio sull’obbligo di sommare le donazioni pregresse al patrimonio ereditario ai fini del calcolo dell’imposta (il cosiddetto coacervo) . Già dalla normativa 2006 il coacervo non si applicava più, e ora la legge lo conferma espressamente. Ciò significa che eventuali donazioni in vita fatte dal defunto non incrementano l’imponibile su cui calcolare aliquote e franchigie in successione (ogni trasferimento gratuito gode delle proprie franchigie separatamente) .
- Trust e altri vincoli di destinazione: la riforma (art. 7 L. 104/2024 e d.lgs. 139/2024) ha chiarito la tassazione dei trust ai fini dell’imposta di successione e donazione. In sintesi, l’imposta si applicherà non più al momento della costituzione del trust o del vincolo, ma al momento in cui i beni vengono effettivamente attribuiti ai beneficiari finali . Si supera così l’incertezza applicativa che aveva dato luogo a contenziosi: il trasferimento di beni in trust, in sé, sconta solo imposte fisse di registro, mentre l’imposta successoria/donazione è dovuta quando il bene esce dal trust verso il beneficiario (in base al rapporto di parentela tra disponente e beneficiario). È comunque data facoltà al disponente o al trustee di optare per il pagamento anticipato dell’imposta al momento della dotazione del trust, per ragioni di pianificazione, ma con il rischio di non rimborso se poi i beni non andassero ai beneficiari previsti . Inoltre, viene stabilito che se il disponente è residente in Italia, i beni conferiti in trust – ovunque si trovino – saranno tassati all’atto dell’attribuzione ai beneficiari; se invece il disponente era non residente, la tassazione riguarderà solo i beni situati in Italia al momento dell’assegnazione . Tali chiarimenti riducono le ambiguità del passato e allineano la normativa all’orientamento emerso dalla giurisprudenza di legittimità sui trust (Cass. SS.UU. 2022) .
- Altre semplificazioni procedurali: è ora obbligatoria la presentazione telematica della dichiarazione di successione (tramite i servizi online dell’Agenzia) e sono stati eliminati alcuni documenti che prima andavano allegati (es. copia autentica del testamento in certi casi, ecc.) . Inoltre, si segnala l’innovazione, introdotta in L. 104/2024, per cui determinati soggetti non sono più solidalmente responsabili per le imposte di successione (nuovo comma 5-bis dell’art.36 TUS) : ad esempio, gli intermediari finanziari possono sbloccare le somme del defunto a favore di un unico erede under 26 anche prima della dichiarazione, senza più dover trattenere acconti d’imposta .
Successioni ante 2025 (regime previgente): È importante sottolineare che per le successioni aperte fino al 31 dicembre 2024 continua ad applicarsi la disciplina precedente . In tali casi, la procedura ordinaria era la seguente: gli eredi presentano la dichiarazione di successione entro il termine di legge (12 mesi dall’apertura della successione) ma non pagano subito l’imposta principale – salvo gli importi fissi, ipotecaria e catastale – al momento della dichiarazione . Sarà l’ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate competente (in base all’ultima residenza del defunto) a liquidare l’imposta di successione dovuta sui beni dichiarati, tenendo conto delle franchigie ed eventuali passività deducibili. L’Agenzia notifica quindi all’erede un avviso di liquidazione con l’importo dell’imposta principale da versare . Questo avviso “iniziale” deve essere emesso entro il termine di decadenza di tre anni dalla data di presentazione della dichiarazione . Ad esempio, se Tizio muore nel 2023 lasciando un patrimonio imponibile oltre franchigia, l’erede Caio presenta la dichiarazione di successione e, successivamente, (entro 3 anni) riceve dall’Agenzia un avviso di liquidazione che quantifica l’imposta (ad es. 4% sull’eccedenza) da pagare entro 60 giorni . Oltre all’imposta principale così calcolata, l’Ufficio poteva emettere un ulteriore avviso di rettifica e liquidazione per imposta complementare se emergevano in seguito difformità o omissioni (beni non dichiarati, valori inferiori al reale, ecc.) . Tale avviso “supplementare” doveva essere notificato entro due anni dal pagamento dell’imposta principale originaria . Se invece non veniva presentata alcuna dichiarazione di successione, l’Agenzia poteva procedere ad un accertamento d’ufficio dell’imposta, senza riconoscere le franchigie, con un termine di decadenza più lungo (generalmente quinquennale, analogamente agli accertamenti tributari ordinari) .
In sintesi, fino al 2024 l’erede attendeva la “bolletta” dall’Agenzia; dal 2025 l’erede paga subito e l’Agenzia interviene solo se c’è qualcosa da correggere. Ci troviamo dunque in un sistema misto, con un regime transitorio per le successioni ante riforma (dove l’avviso di liquidazione conserva la sua funzione tradizionale di primo calcolo) e un regime post riforma in cui l’avviso è eventuale e correttivo. In entrambi i casi, l’avviso di liquidazione è comunque un atto impositivo impugnabile, soggetto alle norme generali sul contenzioso tributario (D.lgs. 546/1992) e alle garanzie dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) .
Confronto regime previgente vs. nuovo regime (successioni 2024 vs. 2025)
Di seguito una tabella comparativa che riassume le differenze procedurali chiave tra il vecchio sistema (per successioni aperte entro il 31/12/2024) e il nuovo sistema di autoliquidazione (per decessi dal 2025 in poi):
Aspetto | Successioni aperte fino al 2024 (previgente) | Successioni aperte dal 2025 (autoliquidazione) |
---|---|---|
Calcolo iniziale dell’imposta | Eseguito dall’Ufficio dell’Agenzia sulla base della dichiarazione presentata . Avviso di liquidazione notificato all’erede con l’importo dovuto. | Eseguito direttamente dall’erede/contribuente in sede di dichiarazione. L’importo dovuto è autoliquidato e comunicato attraverso il nuovo “Modello successione 2025”. |
Pagamento dell’imposta principale | Entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione emesso dall’Ufficio . L’erede attendeva la comunicazione e poi pagava in unica soluzione (salvo rateazione ex art.38 TUS). | Entro 90 giorni dal termine per presentare la dichiarazione (termine di legge 12 mesi dal decesso). In pratica circa 15 mesi dal decesso se si utilizza tutto il tempo . Pagamento in autoliquidazione: è ammessa la rateazione (almeno 20% subito e il resto in 8 rate trimestrali, elevabili a 12 se l’importo supera €20.000) . |
Imposte ipotecaria e catastale | Pagate contestualmente alla dichiarazione di successione, anche prima del calcolo dell’imposta di successione, poiché necessarie per le volture immobiliari . | Invariate: da autoliquidare e versare al momento della dichiarazione, come nel vecchio regime . Se successivamente l’Ufficio accerta un maggior valore degli immobili, può liquidare conguagli su queste imposte (2%+1%) con relativo avviso. |
Avviso di liquidazione iniziale | Sì: notificato in tutti i casi in cui vi sia imposta da versare, entro 3 anni dalla dichiarazione . Contiene il calcolo dell’imposta principale dovuta sugli elementi dichiarati. | No (di norma): non viene emesso alcun avviso se l’erede ha correttamente versato tutta l’imposta autoliquidata dovuta. L’avviso verrà emesso solo se dal controllo risultano errori, omissioni o versamenti carenti (divenendo così uno strumento di controllo ex post) . |
Avviso di rettifica (complementare) | Possibile: se la dichiarazione era infedele (beni omessi, valori inferiori al reale, ecc.), l’Ufficio rettifica i dati e notifica un avviso per l’imposta complementare entro 2 anni dal pagamento dell’imposta principale originaria . | Possibile: se dal controllo emergono beni non dichiarati o maggiori valori, l’Ufficio notifica un avviso di liquidazione per l’imposta complementare entro 2 anni dalla presentazione della dichiarazione . (In pratica qui “principale” e “complementare” coincidono perché l’imposta principale è già versata dall’erede; l’avviso recupera la differenza). |
Decadenza per omissione | Se nessuna dichiarazione presentata, accertamento d’ufficio entro 5 anni (dall’apertura successione) senza benefici franchigie . | Idem: se eredi non presentano affatto la dichiarazione entro 12 mesi, l’Agenzia può accertare d’ufficio entro 5 anni, applicando sanzione per omessa dichiarazione (120% dell’imposta) e perdendo le franchigie. |
(Nota: le tempistiche sopra indicate possono essere soggette a sospensioni per eventi eccezionali o proroghe normative, ma in linea generale riflettono i termini ordinari di decadenza. I riferimenti agli articoli del TUS sono agli art. 27, 31, 33 e 34 TUS.)
Presentazione della Dichiarazione di Successione e Autoliquidazione
Soggetti obbligati e scadenze: La dichiarazione di successione deve essere presentata, in via generale, entro 12 mesi dalla data di apertura della successione (coincidente con la data del decesso) . Sono tenuti a presentarla gli eredi, i chiamati all’eredità (anche se non hanno ancora accettato) e i legatari , salvo che vi abbiano rinunciato o siano stati istituiti trust o altri vincoli particolari. La legge esonera dall’obbligo di dichiarazione solo i casi di modesta entità: se l’eredità è devoluta interamente al coniuge e a parenti in linea retta (figli, nipoti diretti, genitori) e l’attivo ereditario ha un valore complessivo non superiore a 100.000 euro, e non comprende beni immobili o diritti immobiliari, allora la dichiarazione non è dovuta . Attenzione: questa esenzione cade se sopravvengono beni ulteriori che fanno superare i 100.000 € o includono immobili (es. un conto bancario non noto inizialmente, una casa non considerata, ecc.) , nel qual caso la dichiarazione va presentata appena si scopre la sopravvenienza (dichiarazione integrativa).
Modalità di presentazione: Dal 2018 la dichiarazione di successione si presenta esclusivamente in via telematica, utilizzando l’apposito modello unificato (ora aggiornato al Modello Successioni 2025) tramite i servizi online dell’Agenzia delle Entrate (piattaforma “Successioni Web” o tramite intermediari abilitati) . Il modello consente di indicare tutti i dati relativi al de cuius, agli eredi/legatari, e all’attivo ereditario (beni mobili, immobili, partecipazioni, crediti, debiti, passività deducibili, ecc.). Con le novità 2025, il modello contiene anche un’apposita sezione per calcolare l’imposta di successione autoliquidata dovuta in base ai beni dichiarati e al grado di parentela dei beneficiari .
Autoliquidazione delle imposte: Per le successioni aperte dal 2025, gli eredi devono determinare da sé l’eventuale imposta di successione da pagare. In pratica, una volta compilati tutti i valori nell’attivo ereditario e applicate franchigie e aliquote, il modello calcola l’imposta dovuta per ciascun erede. Gli eredi devono quindi provvedere al versamento dell’imposta autoliquidata entro 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione . Dato che il termine per presentare la dichiarazione è di 12 mesi dal decesso, di fatto si hanno fino a 15 mesi dalla morte per completare anche il pagamento. Ad esempio, per un decesso avvenuto il 22/10/2025, la dichiarazione può essere presentata entro il 22/10/2026 e l’imposta andrà versata entro il 20/01/2027 (90 giorni dopo) .
Il pagamento si effettua tramite modello F24 (sezione “Erario”) con i codici tributo specifici istituiti dall’Agenzia. In particolare, la Risoluzione AE n. 2/E del 10/1/2025 ha previsto: codice tributo 1539 per l’imposta di successione principale autoliquidata, codice A139 per eventuali sanzioni da avviso di liquidazione, A152 per gli interessi da avviso, ecc. . Spesso l’Agenzia fornisce direttamente un F24 precompilato. È possibile pagare presso banche, poste o online; l’importante è rispettare i codici e riferimenti indicati.
Rateazione: La legge consente di dilazionare l’imposta in sede di autoliquidazione: occorre versare almeno il 20% dell’imposta dovuta entro il medesimo termine dei 90 giorni, e il restante importo può essere suddiviso in 8 rate trimestrali di pari ammontare (oppure 12 rate trimestrali se l’imposta totale supera €20.000) . Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi al tasso legale (attualmente circa 5% annuo nel 2025, essendo il tasso base 2,15% più 8 punti per interessi di mora) . Non è ammessa rateazione se l’importo totale da dilazionare è inferiore a €1.000 . La rateazione si richiede barrando l’apposita casella in dichiarazione: in tal caso, si pagherà almeno il 20% subito (entro 15 mesi dal decesso, come detto) e poi le rate trimestrali mediante F24. Attenzione: questa è l’unica forma di rateazione “preventiva” prevista (ex art. 38 TUS); se non la si utilizza e si paga meno del dovuto, l’Ufficio considererà omesso il versamento per la parte mancante . Dopo la notifica di un avviso di liquidazione, invece, non è possibile ottenere una rateazione amministrativa dell’importo richiesto: scaduti i 60 giorni concessi nell’avviso, il debito residuo sarà iscritto a ruolo e solo presso l’Agente della Riscossione si potrà eventualmente chiedere un piano di dilazione (fino a 72 rate mensili standard, o 120 in casi gravi) .
Imposte ipotecaria, catastale e altre spese: Indipendentemente dalla sorte dell’imposta di successione, quando nell’attivo ereditario sono presenti immobili o diritti immobiliari occorre autoliquidare e versare contestualmente alla dichiarazione le imposte ipotecaria (2%) e catastale (1%) dovute per le formalità di voltura, oltre all’imposta di bollo, tassa ipotecaria fissa e tributi speciali catastali . Il software ministeriale calcola anche tali importi: il pagamento di queste somme (a differenza dell’imposta di successione principale) avviene al momento stesso della trasmissione telematica, di norma tramite addebito automatico sul conto corrente del dichiarante . In pratica, l’erede al momento dell’invio indica l’IBAN e contestualmente paga ipotecaria, catastale, bolli e tributi vari. Se poi dall’accertamento emergerà che gli immobili valevano di più, l’Agenzia richiederà un conguaglio su queste imposte con un avviso integrativo. Anche eventuali sanzioni e interessi per carente pagamento di ipotecaria/catastale seguono la stessa disciplina (30% ridotto a 10% se pagato entro 60gg, etc.) .
Documentazione e controlli formali: La dichiarazione di successione richiede vari documenti (certificato di morte, stato di famiglia degli eredi, eventuale testamento autenticato, visure catastali, estratti conto bancari del defunto, elenco beni, ecc.). L’Agenzia delle Entrate può effettuare controlli formali sulla completezza della dichiarazione e chiedere documentazione integrativa. In genere l’Ufficio verifica, ad esempio, che siano stati indicati tutti gli immobili noti (incrociando coi registri immobiliari), che i saldi dei conti bancari corrispondano alle comunicazioni bancarie post-mortem, che eventuali partecipazioni societarie siano state incluse, ecc. Dal 2025, essendo il contribuente a calcolare l’imposta, il sistema informatico stesso aiuta ad evitare errori di calcolo aritmetici, ma rimane la possibilità di errori sostanziali (dimenticanze, errata qualificazione di beni) che potranno emergere in sede di controllo ex post.
In caso di dichiarazione omessa o tardiva, come anticipato, si applicano sanzioni amministrative. Se la dichiarazione viene presentata oltre il termine di 12 mesi ma entro i 30 giorni successivi, si configura una violazione “tardiva lieve” sanabile con sanzione ridotta tramite ravvedimento (generalmente 1/10 della minima); se il ritardo supera i 30 giorni, scatta la sanzione piena per ritardata dichiarazione (45% dell’imposta dovuta, secondo il nuovo regime, oltre interessi) . L’omissione totale comporta la sanzione del 120% dell’imposta , oltre naturalmente all’accertamento d’ufficio del dovuto senza alcuna franchigia. Il contribuente che si avveda di essere in ritardo farebbe bene a presentare comunque la dichiarazione il prima possibile (ravvedimento operoso), pagando l’eventuale imposta con interessi e una sanzione ridotta, poiché ciò attenua notevolmente le conseguenze. Se però l’Agenzia ha già notificato un avviso di accertamento per omessa successione, non sarà più possibile il ravvedimento e si dovrà gestire il contenzioso (vedi oltre).
Aliquote, Franchigie e Base Imponibile dell’Imposta di Successione
Prima di esaminare i controlli dell’AdE, è utile riepilogare brevemente come si calcola l’imposta di successione, ossia le aliquote applicabili, le franchigie (soglie esenti) e i criteri di determinazione della base imponibile. Queste regole permettono di capire se un eventuale avviso di liquidazione è corretto e su quali elementi può vertere la contestazione.
Aliquote e franchigie vigenti (2025): il TUS (D.lgs. 346/1990) prevede aliquote d’imposta differenti a seconda del rapporto di parentela o affinità tra il beneficiario e il de cuius. Le franchigie sono importi entro i quali l’eredità è esente da imposta per quel beneficiario. Le combinazioni attuali sono le seguenti:
Grado di parentela del beneficiario | Aliquota imposta | Franchigia (importo esente) per beneficiario |
---|---|---|
Coniuge e parenti in linea retta (figli, genitori, nipoti diretti, ecc.) | 4% | € 1.000.000 (un milione) |
Fratelli e sorelle | 6% | € 100.000 |
Altri parenti fino al 4° grado; affini fino al 3° grado (es. zii, cugini, nipoti collaterali; suoceri-generi, ecc.) | 6% | Nessuna franchigia (tassazione dall’euro primo) |
Soggetti estranei (qualunque altro soggetto non rientrante nelle categorie sopra) | 8% | Nessuna franchigia |
Beneficiario portatore di handicap grave (art. 3 c.3 L.104/1992) – Nota: questa condizione speciale si cumula con le categorie sopra | Aliquota come da grado di parentela | € 1.500.000 (franchigia elevata per il disabile grave, sostitutiva di quella ordinaria se più bassa) |
Note: Le franchigie operano per ciascun beneficiario in relazione al suo rapporto con il defunto . Ad esempio, se un genitore lascia €2 milioni al coniuge e €2 milioni al figlio, entrambi hanno diritto a €1.000.000 esenti a testa e pagheranno il 4% solo sull’eccedenza (€1M tassabile a testa, imposta €40.000 ciascuno) . Le franchigie non sono cumulabili né trasferibili: ciascun erede utilizza la propria. Nel caso di beneficiario con handicap grave riconosciuto ex L.104, la franchigia sale a €1.500.000 in luogo di quella ordinaria eventualmente prevista per quel grado (es. un figlio disabile avrà €1,5M esenti anziché €1M) .
Base imponibile: l’imposta si applica sul valore netto della quota ereditaria spettante a ciascun erede o legatario. In pratica, per ogni beneficiario si calcola: valore lordo dei beni ereditati da lui meno le eventuali passività deducibili, e poi si applica la franchigia spettante a quell’erede, tassando solo l’eccedenza . Il valore lordo comprende tutti i beni trasferiti mortis causa a favore di quel soggetto: denaro, conti bancari, titoli, immobili, aziende, auto, gioielli, opere d’arte, crediti del defunto, ecc. Sono invece deducibili una serie di debiti e oneri previsti dalla legge (artt. 21-23 TUS), ad esempio: i debiti personali del defunto pagati dagli eredi, le spese mediche sostenute dagli eredi per il defunto nell’ultimo semestre, le spese funerarie (entro limite, circa €1.550), eventuali imposte dovute dal defunto e gravanti sull’eredità, ecc. . Dopo aver sottratto le passività deducibili si ottiene l’asse ereditario netto di quel beneficiario, su cui si applica la franchigia: solo la parte eccedente la franchigia viene moltiplicata per l’aliquota corrispondente . Esempio: se un figlio eredita beni per €800.000 netti, non superando €1.000.000, non pagherà nulla; se eredita €1.200.000, pagherà il 4% su €200.000 = €8.000.
Trasferimenti esenti o esclusi: alcune categorie di beni o diritti sono espressamente escluse dall’imposta di successione per disposizione di legge (art.3 TUS e leggi speciali). Tra le principali esenzioni ricordiamo :
- I titoli di Stato italiani e equiparati (es. Buoni del Tesoro, BTP, CCT), che non concorrono alla base imponibile della successione.
- Le aziende (imprese) o partecipazioni societarie trasferite al coniuge o a discendenti, se gli aventi causa proseguono l’esercizio dell’attività di impresa o detengono il controllo della società per almeno 5 anni (art. 3 comma 4-ter TUS) . Questa è la cosiddetta agevolazione per le aziende di famiglia, mirata a favorire la continuità dell’impresa familiare senza oneri fiscali. I requisiti di dettaglio sono trattati più avanti (vedi Decadenza o revoca di agevolazioni nei controlli).
- Le donazioni manuali di modico valore e le liberalità d’uso (ossia regali di nozze, regalie conformi agli usi, ecc.) non sono soggette a imposta di successione/donazione, in quanto non configurano presupposto imponibile secondo la prassi.
- Le polizze vita: le somme corrisposte da assicurazioni vita agli eredi o beneficiari designati non fanno parte dell’asse ereditario ai fini dell’imposta di successione, per espressa previsione (art.12, comma 2, D.lgs. 346/1990). Dunque il capitale di una polizza vita incassato dal beneficiario è esente da imposta di successione . (Resta però soggetto all’imposta sul rendimento finanziario maturato, ma ciò è altra materia).
- I crediti verso lo Stato (es. rimborsi fiscali dovuti al defunto) non sono tassati, e in generale i trasferimenti a favore dello Stato, enti pubblici, ONLUS o enti di beneficenza riconosciuti sono esenti (art.3 TUS).
Da notare che fino al 2001 vigeva il meccanismo del “coacervo” per cui, nel caso il defunto avesse effettuato donazioni in vita allo stesso erede, il valore di queste andava sommato all’eredità per determinare l’aliquota e la franchigia (con rischio di superare la soglia esente). Oggi non è più così: come detto, donazioni e successioni non si sommano tra loro ai fini dell’imposta . Ogni donazione godrà delle franchigie previste al momento in cui è fatta; la successiva eredità riparte da franchigie piene. La Cassazione (sent. n. 14821/2025) ha di recente ribadito che l’abolizione del coacervo, sancita dal DL 262/2006, è tuttora valida e la riforma fiscale 2024 l’ha ulteriormente chiarito . Pertanto, se l’Agenzia tentasse erroneamente di sommare donazioni pregresse ai fini del calcolo dell’imposta di successione (ipotesi rara ma ipotizzabile in contesti poco chiari), l’avviso sarebbe illegittimo e impugnabile.
Criteri di valutazione dei beni: Nel calcolo dell’asse ereditario entrano in gioco i criteri di stima dei vari beni:
- Immobili: di regola, nella pratica dichiarativa si utilizza il valore catastale. In particolare per gli immobili non di lusso, spesso si dichiara il valore calcolato capitalizzando la rendita catastale rivalutata (applicando i coefficienti previsti per imposta di registro, es. 110 o 120 volte la rendita a seconda dei casi) . Questo criterio è accettato per le imposte ipotecarie e catastali – infatti tali imposte si versano proprio sul valore catastale – ma ai fini dell’imposta di successione la base imponibile teorica è il valore venale in comune commercio (valore di mercato) al momento della morte, come stabilito dall’art. 14 TUS . Ciò significa che, sebbene molti dichiaranti utilizzino il valore catastale come riferimento (di solito inferiore al mercato), l’Agenzia ha facoltà di rettificare il valore di un immobile in successione se ritiene che quello dichiarato sia significativamente inferiore al valore di mercato . In pratica, se il valore catastale dichiarato appare palesemente basso rispetto alle quotazioni OMI o ad altre evidenze di mercato, l’Ufficio può rideterminare l’imponibile: o mediante una propria stima tecnica (avvalendosi dell’UTE – Ufficio Tecnico Erariale) o sulla base di elementi di comparazione, notificando poi un avviso di liquidazione per la maggiore imposta . Esempio: Caio dichiara in successione un appartamento con valore catastale €200.000, mentre il valore di mercato stimato è €300.000; l’Agenzia, se se ne accorge, potrà ricalcolare l’imposta su €300.000, emettendo avviso per la differenza. (Si noti che nelle compravendite tra privati vige una regola opposta – il “prezzo-valore” – per cui dichiarando almeno il valore catastale non ci sono accertamenti; ma in successione/donazione questa tutela non opera in modo blindato, e il fisco può contestare il valore catastale se nettamente inadeguato) .
- Partecipazioni societarie: per titoli quotati in borsa, il valore è quello medio di mercato al momento del decesso. Per azioni o quote non quotate, il TUS prevede criteri specifici (art. 16): di regola si assume il valore proporzionale del patrimonio netto della società, in base all’ultimo bilancio approvato prima dell’apertura della successione . In mancanza di bilancio o per società prive di scritture contabili (es. società di fatto), si procede a stima analitica del valore aziendale. In sostanza, se il defunto deteneva partecipazioni in una S.r.l. o S.p.A. non quotata, gli eredi dovranno dichiarare un valore pari alla quota percentuale sul patrimonio netto contabile (adeguato a valori correnti se necessario). L’Agenzia potrebbe rettificarlo se ritiene che il patrimonio sociale effettivo sia diverso da quello contabile o se ravvisa altri elementi (es. utili occulti). Nota bene: Se ricorrono le condizioni dell’art.3 c.4-ter TUS (trasferimento ad eredi in linea diretta + acquisizione/mantenimento del controllo per 5 anni), tali partecipazioni sono esenti dall’imposta; ciò non toglie però che vadano dichiarate, e l’Agenzia potrebbe verificare a posteriori il rispetto delle condizioni nei 5 anni.
- Aziende (ditte individuali) o rami d’azienda: si dichiara il valore complessivo corrente dell’azienda del defunto, determinato come somma di attività e passività secondo bilancio o inventario redatto dagli eredi. Anche qui, se rispettate le condizioni (azienda a coniuge/discendenti, prosecuzione per 5 anni), l’azienda è esente. In caso contrario, l’imposta si calcola sul valore netto dell’azienda trasferita. L’Agenzia può controllare la continuità aziendale successiva o la presenza effettiva di attività d’impresa (vedi oltre caso società semplice di mero godimento).
- Beni mobili di casa, gioielli, arredamento: il TUS consente per semplicità di includere un importo forfettario pari al 10% dell’attivo ereditario per rappresentare il valore di mobili e titoli al portatore, in assenza di specifica elencazione (art. 9 TUS). Tipicamente, salvo patrimoni molto elevati o con oggetti d’arte di grande valore, gli eredi indicano tale 10% forfettario come valore di mobilia domestica. Se l’asse è modesto, è ammesso indicare cifre inferiori motivando (es. casa già spoglia, ecc.). L’Ufficio raramente contesta questa voce a meno che sia evidentemente sottostimata (ad esempio, se l’attivo è 10 milioni e si dichiara €0 di mobili).
- Conti correnti e depositi bancari: vanno indicati con il saldo al giorno del decesso (per c/c e depositi a risparmio) e il valore nominale per i titoli e obbligazioni. Le banche, al momento della morte, congelano i conti e li scongelano solo dopo avere ricevuto la prova dell’avvenuta presentazione della dichiarazione di successione (ricevuta telematica) e del pagamento delle imposte ipocatastali dovute. In alcuni casi, prima della riforma, le banche potevano richiedere un’attestazione dell’Agenzia sull’avvenuto pagamento dell’imposta di successione; oggi, con l’autoliquidazione, rilasciano le somme a fronte della dichiarazione presentata. Qualora emergano conti non dichiarati (magari all’estero), saranno oggetto di imposizione complementare.
- Beni detenuti all’estero: gli italiani residenti devono dichiarare anche i beni esteri (immobili all’estero, conti esteri, investimenti fuori confine). L’Italia tassa infatti i beni ovunque situati se il defunto era residente in Italia al momento della morte . Se però su quegli stessi beni è dovuta un’imposta di successione anche nello Stato estero, in assenza di trattati specifici si può andare incontro a doppia imposizione (poiché l’Italia non prevede automatismi di credito d’imposta per imposte di successione estere). Esistono però alcune convenzioni internazionali bilaterali (ad es. con Francia, UK, USA, etc.) che evitano la doppia tassazione stabilendo criteri di ripartizione. In ogni caso, se un bene estero non viene dichiarato e l’Agenzia lo scopre (ad es. grazie allo scambio di informazioni finanziarie tra Stati), verrà considerato una sopravvenienza ereditaria tassabile. La Cassazione ha chiarito che l’emersione postuma di capitali esteri del defunto impone la presentazione di una dichiarazione integrativa ex art. 28 comma 6 TUS, con relativa imposta complementare dovuta . Ad esempio, Cass. n. 6081/2023 ha confermato che se gli eredi aderiscono a una voluntary disclosure rivelando conti esteri non dichiarati del de cuius, l’ufficio può recuperare l’imposta di successione su tali somme emettendo avviso entro due anni dalla dichiarazione integrativa (o entro 5 anni se la dichiarazione originaria era omessa) .
In definitiva, è fondamentale dichiarare correttamente tutti i beni, con valori realistici, e applicare le franchigie spettanti. Un avviso di liquidazione dell’Agenzia potrà intervenire se contesta qualcuno di questi aspetti: ad esempio, se disconosce un’esenzione o franchigia che l’erede aveva applicato, o se rettifica il valore di un immobile o l’esistenza di un bene omesso. In tali casi, come vedremo, l’avviso dovrà essere motivato in fatto e in diritto, altrimenti potrà essere annullato per difetto di motivazione.
Controlli dell’Agenzia delle Entrate e Avvisi di Liquidazione
Una volta presentata la dichiarazione di successione e (nel nuovo regime) versata l’imposta autoliquidata, l’Agenzia delle Entrate prende in carico la pratica e procede a una serie di controlli formali e sostanziali. Vediamo in quali casi tipicamente l’Ufficio emette un avviso di liquidazione relativo all’imposta di successione e cosa comporta.
Quando e perché viene emesso un avviso di liquidazione
Possiamo distinguere innanzitutto due macro-casistiche, già accennate:
- Successioni aperte prima del 2025 (vecchio regime): qui l’avviso di liquidazione iniziale viene emesso quasi inevitabilmente se c’è imposta da pagare, perché è l’atto con cui l’Ufficio comunica al contribuente l’importo calcolato. Inoltre, possono seguire avvisi di rettifica e liquidazione se la dichiarazione era infedele, entro 2 anni dal pagamento originario . Dunque, in queste successioni l’erede potrebbe ricevere: (1) un avviso “principale” entro ~3 anni; e (2) eventualmente un avviso “complementare” entro altri 2 anni se emergono differenze (beni omessi, ecc.). In caso di omessa dichiarazione, come detto, l’accertamento d’ufficio funge da avviso e il termine è di 5 anni .
- Successioni aperte dal 2025 (nuovo regime): qui, se l’erede ha correttamente autoliquidato e versato tutta l’imposta dovuta, non riceverà alcun avviso (la posizione sarà definita). L’avviso di liquidazione interviene solo “in sede di controllo ex post”, cioè se l’Agenzia riscontra errori di calcolo, omissioni o incongruenze . In tal caso l’ufficio procede a riliquidare l’imposta e notifica l’avviso per recuperare la differenza dovuta (la cosiddetta imposta complementare) entro 2 anni dalla dichiarazione . L’avviso indicherà le correzioni apportate e l’invito a pagare entro 60 giorni la somma aggiuntiva (imposta, sanzioni, interessi). In pratica, anche col nuovo regime l’avviso di liquidazione esiste ancora, ma con un ruolo diverso: non più primo calcolo dell’imposta, bensì strumento di controllo ex post sulle autoliquidazioni eseguite .
A titolo di esempio : Caio nel 2025 presenta dichiarazione di successione per il decesso della madre, indicando un immobile al valore catastale e versando l’imposta calcolata (supponiamo 4% sull’eccedenza oltre franchigia) entro i termini. Successivamente l’Agenzia verifica che il valore di mercato dell’immobile era in realtà superiore di €100.000 rispetto al dichiarato. Di conseguenza rettifica la base imponibile, ricalcolando un’imposta aggiuntiva di €4.000. Entro due anni dall’invio della dichiarazione, notifica a Caio un avviso di liquidazione richiedendo €4.000 di maggiore imposta, più interessi e la sanzione per insufficiente versamento . Caio a quel punto dovrà pagare oppure potrà contestare nel merito la valutazione dell’ufficio (ad esempio producendo una perizia che dimostri che il valore iniziale era corretto), utilizzando gli strumenti di tutela descritti più avanti .
In generale, le cause tipiche che possono dare origine a un avviso di liquidazione in materia di successione – considerando sia il nuovo che il vecchio regime – sono le seguenti :
- Omissione o insufficiente versamento dell’imposta principale dovuta. Nel regime previgente, questo coincideva con il normale avviso iniziale: l’ufficio calcola l’imposta e, se dovuta (perché il patrimonio supera la franchigia), emette avviso chiedendone il pagamento . Nel nuovo regime, un avviso può arrivare se il contribuente non ha versato affatto l’imposta autoliquidata, oppure l’ha versata solo in parte (es. ha versato solo il 20% iniziale scegliendo la rateazione ma poi omette le rate successive) . In tali casi l’avviso recupererà l’importo non pagato (imposta residua), con sanzione e interessi. Si tratta quindi di casi di inadempimento palese.
- Errori di calcolo o di applicazione di aliquote/franchigie. È possibile che nella compilazione il dichiarante commetta errori aritmetici o concettuali: ad esempio, sbagli a sommare i valori, oppure applichi un’aliquota ridotta che in realtà non spettava, oppure calcoli male la quota di franchigia. L’ufficio, in sede di liquidazione, ricalcola correttamente l’imposta dovuta sugli elementi dichiarati. In questi casi l’avviso evidenzierà le correzioni effettuate (come previsto dall’art. 33 TUS) . Esempio: gli eredi hanno indicato erroneamente un certo bene come esente ma in realtà era tassabile – l’avviso includerà quell’importo e ne richiederà l’imposta relativa . Oppure: l’erede pensava di avere due franchigie perché era erede in due qualità, ma la legge ne dà una sola – l’avviso rettificherà l’imposta aggiungendo la parte non coperta da franchigia. Si tratta dunque di correzioni “sui conti” o sulla normativa applicata.
- Detrazioni, passività o franchigie non spettanti. Analogo al punto sopra, ma riferito a poste negative. Se l’erede ha dedotto dall’attivo ereditario passività che non sono legalmente deducibili, l’ufficio le esclude e riliquida l’imposta . Ad esempio, non sono deducibili i debiti del defunto verso gli eredi stessi (crediti di eredi verso de cuius) né le liberalità imputabili come anticipazioni sulla legittima. Oppure: se l’erede ha erroneamente applicato due volte la franchigia, o l’ha applicata a un legato che invece va tassato a parte, l’ufficio rettifica. L’avviso in questi casi mostrerà quali passività sono state disconosciute o quale franchigia è stata eliminata .
- Beni non dichiarati o valori non corretti (rettifica sostanziale). Questa è forse la causa più frequente di avvisi “pesanti”. Se l’Agenzia scopre che nell’asse ereditario erano presenti beni non inclusi in dichiarazione (ad es. un conto corrente estero, titoli, un immobile “dimenticato”) oppure che i valori dichiarati sono notevolmente inferiori al reale, procede a una rettifica . Tecnicamente questo è un avviso di rettifica e liquidazione, che liquida l’imposta complementare dovuta su tali maggiori valori. Ad esempio: scoperta di un deposito titoli non dichiarato da €50.000; oppure l’UTE stima un immobile €100.000 in più. In questi casi l’atto deve essere motivat[o] adeguatamente in fatto e diritto : l’Agenzia deve spiegare le ragioni della rettifica, indicando quali beni sono stati aggiunti o quale nuovo valore è attribuito e con quale criterio, pena la nullità dell’atto . La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che gli avvisi che modificano i dati dichiarati dall’erede devono contenere una motivazione puntuale, distinguendoli dai semplici avvisi di liquidazione per errori aritmetici . Ad esempio, se viene aggiunto un bene, l’avviso dovrà descriverlo (es: “conto corrente presso Banca X con saldo Y non indicato in dichiarazione”); se viene aumentato il valore di un immobile, dovrà indicarne il nuovo valore e il metodo usato (es: “rideterminato valore immobile ai sensi dell’art.14 TUS sulla base di perizia Ufficio Tecnico”) . Una dicitura generica tipo “maggior imponibile accertato” senza dettagli rende l’atto nullo per difetto di motivazione . (V. ad es. Cass. n. 5669/2023 che ha annullato un avviso insufficentemente motivato in merito alla revoca di un’agevolazione) .
- Decadenza o revoca di agevolazioni ed esenzioni. Un caso particolare di intervento dell’AdE avviene quando l’erede ha beneficiato in dichiarazione di un’esenzione o agevolazione subordinata a certe condizioni, e successivamente tali condizioni vengono meno. Ad esempio, l’esenzione art.3 c.4-ter TUS per trasferimento di aziende o partecipazioni al coniuge o discendenti (la già citata agevolazione imprese di famiglia) richiede che i beneficiari proseguano l’esercizio dell’attività o mantengano il controllo societario per almeno 5 anni . Se questa condizione non è rispettata, l’Agenzia può revocare l’esenzione e notificare un avviso di liquidazione per riscuotere l’imposta che era stata inizialmente non pagata . Ad esempio, se uno degli eredi non sottoscrive l’impegno quinquennale o cede l’azienda prima dei 5 anni, l’Ufficio recupererà l’imposta come se l’agevolazione non fosse mai stata applicabile. Un altro caso: le agevolazioni “prima casa” su immobili ereditati – queste riguardano più che altro le imposte ipotecaria e catastale, che in presenza di requisiti di prima abitazione si pagano in misura fissa (€200+€200 invece di 2%+1%). Se l’erede che ha goduto di tale agevolazione alienasse l’immobile prima dei termini di legge (entro 5 anni senza riacquisto entro 1 anno), decade dal beneficio e l’ufficio emetterà un avviso di liquidazione per recuperare la differenza d’imposta ipocatastale e sanzioni (30% delle differenze) . Spesso questi conguagli su prima casa e su azienda di famiglia possono confluire nello stesso avviso di successione o in atti separati.
In sintesi, l’avviso di liquidazione successorio presuppone sempre che l’Agenzia abbia riscontrato un’obbligazione tributaria non soddisfatta appieno, emergente dai dati dichiarati o da controlli sugli stessi . Non si tratta di contestare evasione occulta o manovre elusive sofisticate, bensì di un ricalcolo di quanto dovuto secondo legge sugli elementi noti. Per questo motivo, storicamente, gli avvisi “semplici” (quelli basati solo su calcoli aritmetici sui dati dichiarati) potevano essere abbastanza stringati come motivazione, limitandosi ad indicare la differenza d’imposta dovuta. Viceversa, gli avvisi che comportano rettifiche sostanziali di beni/valori devono – come visto – dettagliare le ragioni giuridiche e fattuali della pretesa .
Contenuto dell’Avviso di Liquidazione: cosa verificare
Quando si riceve un avviso di liquidazione per imposta di successione, è fondamentale leggerlo con attenzione e controllarne ogni aspetto. In genere, un avviso di liquidazione contiene :
- Intestazione e riferimenti dell’atto: l’ufficio dell’Agenzia emittente (es. Direzione Provinciale di…), il numero di protocollo dell’atto e la data di notifica. Bisogna subito verificare la data di notifica, poiché da essa decorrono i 60 giorni per pagare o impugnare.
- Dati delle parti: il nome del contribuente destinatario (erede, chiamato, ecc.) e gli estremi della successione a cui si riferisce (nome del de cuius e data decesso). Verificare che i riferimenti siano corretti e che voi siate effettivamente soggetti obbligati (es. eredi o chiamati che hanno accettato). Se l’avviso è intestato a qualcuno che ha rinunciato all’eredità o che non è mai divenuto erede, c’è un vizio (vedi oltre).
- Dettaglio degli importi dovuti: solitamente l’avviso suddivide l’ammontare richiesto nelle varie voci: imposta (principale o complementare), sanzioni applicate, interessi di mora calcolati . Spesso vi è una tabella riepilogativa. Ad esempio: “Imposta successione € X; Sanzioni € Y; Interessi € Z; Totale € T”. Se l’avviso riguarda anche ipotecaria/catastale, saranno elencate separatamente (es. “Imposta ipotecaria € X1; Sanzione € Y1; …”).
- Motivazione e calcolo: questa è la parte cruciale da controllare. L’avviso dovrebbe indicare chiaramente come l’ufficio è arrivato a quei conteggi. Se è un avviso “ordinario” basato su quanto dichiarato, indicherà il valore imponibile dei beni, l’applicazione dell’aliquota sull’eccedenza rispetto alla franchigia, ed eventualmente correzioni di errori materiali (es. “corretto errore di somma: attivo €… passivo €…”). Se invece l’avviso deriva da una rettifica, deve esplicitare le variazioni apportate: quali beni o valori sono stati modificati o aggiunti e perché . Ad esempio, se sono state escluse certe passività perché non deducibili, l’atto deve elencarle; se è stato aumentato il valore di un immobile, deve dirlo e indicare il criterio (OMI, perizia, ecc.) . Come già detto, se l’avviso comporta una rettifica sostanziale, deve contenere una motivazione adeguata (ragioni di fatto e di diritto) a pena di nullità . La Cassazione (sent. n. 5669/2023) ha chiarito che non basta indicare genericamente “imposta insufficiente” o “valore non congruo”: l’atto deve mettere il contribuente in condizione di capire cosa è stato rideterminato, così da difendersi efficacemente .
- Termine per il pagamento e modalità: l’avviso indica espressamente che il pagamento va effettuato entro 60 giorni dalla notifica . È fondamentale annotarsi questa scadenza. Oltre il 60° giorno, infatti, se non si è pagato né presentato ricorso, l’importo viene iscritto a ruolo e si attiva la riscossione coattiva con aggravio di spese. L’avviso inoltre specifica come pagare: ormai quasi sempre tramite modello F24 (precompilato o da compilare seguendo le istruzioni con i codici tributo come sopra evidenziati) . In alternativa, talvolta è ammesso PagoPA o bollettino postale. Se sono allegati modelli di pagamento, conviene usarli per evitare errori.
- Avvertenze sull’impugnazione: nella parte finale l’atto di solito contiene la formula standard che informa il contribuente della possibilità di proporre ricorso entro 60 giorni alla competente Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado) . Inoltre può invitare a prendere contatto con l’ufficio per chiarimenti o per un’eventuale definizione agevolata (in acquiescenza). Spesso è menzionata anche la possibilità di chiedere l’annullamento in autotutela qualora vi siano evidenti errori . Tali indicazioni sono importanti perché ricordano i diritti del contribuente, ma si deve tener presente che un eventuale ricorso va presentato seguendo formalità precise (come vedremo oltre), e che la sola istanza di autotutela non sospende i termini per ricorrere.
In pratica, alla ricezione di un avviso di liquidazione conviene subito effettuare questi controlli preliminari :
- Termini: segnare la data di notifica e calcolare la scadenza dei 60 giorni per pagare o impugnare .
- Confronto importi: raffrontare le somme richieste con i propri calcoli o con la dichiarazione presentata . C’è corrispondenza? Oppure l’avviso chiede qualcosa di inaspettato? In quest’ultimo caso, identificare la causa (un bene aggiunto? un errore?).
- Esame motivazione e correzioni: leggere con cura la parte descrittiva per capire cosa l’ufficio ha modificato . Se non è chiaro, già questo potrebbe essere un motivo di ricorso (vizio di motivazione).
- Riferimenti normativi: spesso l’avviso cita articoli di legge a sostegno (es. art.13 D.lgs.471/97 per la sanzione, art.7 L.212/2000 per obbligo di motivazione, art.33 o 34 TUS, ecc.) . Individuare tali riferimenti aiuta a capire la base giuridica. Ad esempio, sapere che c’è scritto “art.13 D.lgs.471/97” indica che la sanzione applicata è quella per omesso versamento (30%), e se c’è menzione “ridotto a 1/3” indica che è stata applicata la riduzione per pagamento entro 60 giorni .
- Verificare legittimazione passiva: può sembrare scontato, ma controllate di essere effettivamente tenuti a pagare. Se l’avviso è intestato a voi, ma voi non siete eredi (perché avete rinunciato validamente, o perché c’era un testamento che vi escludeva), allora potreste non essere soggetto passivo e l’avviso sarebbe illegittimo . Ad esempio, Cass. n. 5777/2023 ha sancito che il legittimario pretermesso (figlio escluso dal testamento che non impugna) non è chiamato all’eredità e dunque non deve l’imposta . Allo stesso modo, Cass. n. 14063/2025 ha stabilito che chi era nominato erede in un testamento poi revocato non è mai divenuto erede e quindi non è tenuto all’imposta . Questi principi sono importanti: se vi trovate in una situazione simile (ad es. avevate presentato dichiarazione ma poi un nuovo testamento vi esclude), segnalatelo subito.
Dopo questa verifica, si potrà decidere la strategia: se l’importo è modesto e la pretesa appare corretta, probabilmente conviene pagare entro 60 giorni (beneficiando della riduzione della sanzione) ; se invece emergono errori palesi dell’ufficio, si potrà chiedere un annullamento in autotutela; se vi è una questione di merito o di principio (contestazione di valori, applicazione di franchigie, legittimità dell’atto), si valuterà di proporre ricorso. Nei prossimi capitoli vedremo proprio come muoversi in queste diverse ipotesi.
Importi Aggiuntivi: Sanzioni e Interessi
Un avviso di liquidazione non richiede solo l’eventuale imposta non versata, ma comprende anche sanzioni amministrative e interessi maturati. Comprenderne la natura e il calcolo è importante per valutare eventuali errori o opportunità.
- Sanzione per omesso o carente versamento: Se dall’avviso risulta che vi era dell’imposta in più da pagare, significa che il contribuente non l’aveva versata nei termini dovuti. Ciò costituisce un omesso (o insufficiente) versamento, sanzionato dall’art.13 D.lgs. 471/1997 . La sanzione base è il 30% dell’imposta non versata. Negli avvisi viene di solito indicata come “sanzione art.13 D.lgs.471/97” o simili. Tuttavia, è prevista una riduzione: se si paga entro il termine indicato (60 giorni), la sanzione è automanticamente ridotta ad un terzo . Quindi nella pratica pagando tempestivamente si paga il 10% invece del 30%. Molti avvisi già riportano la sanzione in misura ridotta (o specificano tra parentesi la riduzione). Ad esempio: imposta complementare €5.000, sanzione piena 30% = €1.500; sanzione ridotta a 1/3 = €500 se pagato nei 60gg . Se però non si paga entro 60 giorni né si fa ricorso, la sanzione torna intera al 30% e l’importo sarà iscritto a ruolo per la riscossione, con ulteriori aggi (vedi oltre) . Va notato che se l’avviso riguarda un’imposta complementare dovuta per fatti sopravvenuti (es. revoca di agevolazione dopo 3 anni), formalmente la sanzione è sempre inquadrata come omesso versamento, dato che il contribuente avrebbe dovuto versare quell’imposta quando è decaduto dall’agevolazione. Se invece l’avviso riguarda una omessa dichiarazione (caso di nessuna dichiarazione presentata), la sanzione applicata è diversa: art. 50 TUS, dal 120% al 240% dell’imposta. Di solito però in tali casi l’ufficio notifica un avviso di accertamento più articolato e la sanzione viene indicata lì; se l’avviso che ricevete è denominato “avviso di liquidazione” è perché comunque avete presentato dichiarazione (anche se infedele) .
- Interessi di mora: L’importo richiesto comprende poi gli interessi calcolati sull’imposta non pagata, decorrenti dalla data in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata fino alla data dell’avviso (o fino al pagamento, a seconda) . Per successioni ante-2025, l’imposta principale era dovuta entro 60 giorni dall’avviso originario; quindi per un’imposta complementare gli interessi decorrono di solito dalla scadenza di pagamento dell’imposta principale . Per successioni post-2025, l’imposta doveva essere pagata entro i famosi 90 giorni dalla dichiarazione: quindi se non è stata versata (o versata parzialmente), gli interessi decorrono da quella scadenza . Il tasso di interesse moratorio sui tributi viene fissato periodicamente dal MEF: nel secondo semestre 2025 è, ad esempio, pari al 10,15% annuo (2,15% tasso base + 8 punti) . Un tempo il TUS prevedeva un tasso fisso (4,5% semestrale), ora abrogato in favore dei tassi variabili generali . Nell’avviso dovrebbe essere indicato il periodo su cui sono calcolati gli interessi (es. “interessi dal 01/01/2023 al 10/07/2025”) . Verificate che abbia senso (dovrebbe partire dalla data in cui avreste dovuto pagare l’imposta, e terminare più o meno quando è stato emesso l’atto). Se pagate entro 60gg, gli interessi indicati coprono fino a quella data; se ritardate oltre, continueranno a maturare interessi di mora (che poi saranno caricati in cartella).
- Importi minimi non dovuti: per legge (art. 37, co.3 TUS) non si procede a riscossione se il totale dovuto (imposta + sanzioni + interessi) non supera €10. Dunque se teoricamente l’avviso liquida cifre irrisorie (es. €5 di imposta e €3 di sanzioni), nulla è dovuto e l’atto dovrebbe essere annullato. In pratica però l’Agenzia difficilmente notifica atti sotto tale soglia .
- Imposte ipotecarie, catastali e altri tributi minori: come accennato, talvolta l’avviso di liquidazione può contenere anche il recupero di imposte ipotecarie/catastali non versate o non correttamente calcolate. Infatti, queste imposte (2% e 1% sugli immobili) vengono anch’esse autoliquidate dal contribuente; se però l’ufficio accerta che non sono state pagate, o che il valore degli immobili era più alto, l’avviso includerà anche queste somme . Le sanzioni per omesso versamento di ipocatastali sono anch’esse 30% ridotto a 10% se pagate entro 60 giorni, analoghe a quelle sull’imposta di successione . Inoltre, l’avviso potrebbe includere il recupero di imposta di bollo e tassa ipotecaria fissa (es. €64, €200) se non versate al momento della dichiarazione; su questi importi fissi in genere non si applicano sanzioni ma solo il recupero (data la natura fissa). Insomma, un avviso complessivo può sommare più voci: l’importante è che siano distinguibili. Ad esempio, si potrebbe leggere: “Imposta successione complementare €10.000; Sanzione ridotta €1.000; Interessi €500; Imposta ipotecaria €2.000; Sanzione ridotta ipotecaria €200; Interessi €50; Imposta catastale €1.000; Sanzione €100; Interessi €25; Totale €14.875” . Verificare che ogni voce sia corretta e che non vi siano duplicazioni.
Una volta analizzato l’avviso e compreso cosa vi viene richiesto, si deve decidere come procedere: pagare o contestare. Vediamo ora entrambe le strade dal punto di vista pratico.
Pagamento dell’Avviso: modalità e opzioni
Se dopo aver esaminato l’avviso di liquidazione ritenete di non contestarlo nel merito (ovvero riconoscete che l’importo è dovuto, o comunque preferite evitare il contenzioso), la soluzione è effettuare il pagamento integrale di quanto richiesto entro 60 giorni dalla notifica . Alcuni punti importanti riguardo al pagamento:
Modalità di pagamento: come detto, l’Agenzia richiede il pagamento tramite modello F24. Spesso l’avviso include un fac-simile di F24 con i codici e gli importi già predisposti . In caso contrario, occorre compilarlo manualmente indicando i codici tributo corretti (es. “A139” per la sanzione da avviso, “A152” per interessi da avviso, ecc., con il codice ufficio e atto riportati sull’atto) . Il pagamento può essere fatto in banca, in posta o via internet banking. Alcuni uffici permettono in alternativa il bollettino postale o un sistema PagoPA (se indicato sull’avviso stesso) . Attenzione a eventuali errori di versamento: se non siete sicuri di come compilare il modulo, contattate l’ufficio o un professionista, perché indicare un codice sbagliato potrebbe far risultare il pagamento come non effettuato correttamente e far proseguire la riscossione. In generale, usando l’eventuale F24 precompilato allegato si evitano problemi .
Pagamento parziale: non è sufficiente pagare solo una parte dell’importo entro 60 giorni. Se non versate l’intero ammontare indicato, per la parte residua scatterà comunque la cartella esattoriale con sanzione piena e interessi di mora dal 61° giorno . Dunque, se non riuscite a coprire tutto, il pagamento parziale vi farà solo risparmiare un po’ di interessi ma non eviterà la fase coattiva sul resto. È necessario quindi trovare una soluzione per l’intero importo dovuto (o valutare il ricorso per guadagnare tempo – ne parliamo poi).
Rateazione dell’avviso (fase amministrativa): a differenza degli avvisi di accertamento per imposte dirette o IVA, non esiste una procedura di rateazione concessa dall’Agenzia in questa fase per gli avvisi di liquidazione successione . In altre parole, l’Agenzia non può formalmente accordare dilazioni oltre il termine di legge dei 60 giorni. Le opzioni erano la rateazione preventiva in sede di dichiarazione (art.38 TUS) di cui abbiamo detto; una volta emesso l’avviso, la regola è: o paghi entro 60 giorni (con sanzione ridotta) oppure, se non paghi, dopo i 60 giorni l’importo va a ruolo. Tuttavia, in via informale, si può provare a contattare l’Ufficio spiegando eventuali difficoltà di pagamento: qualche volta gli uffici sospendono per un breve periodo l’iscrizione a ruolo in attesa che il contribuente reperisca la liquidità, specialmente se sanno che, ad esempio, è in corso di vendita un immobile ereditato o simili . Non c’è un diritto a questo, è discrezionale e poco frequente, ma tentare un dialogo può essere utile. In mancanza, l’unica vera rateazione possibile sarà quella presso l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) una volta che il debito viene iscritto a ruolo dopo i 60 giorni . A quel punto si potranno ottenere fino a 72 rate mensili (6 anni) standard, o piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) se l’importo è elevato e si prova lo stato di grave difficoltà economica, il tutto con istanza all’ADER dopo la notifica della cartella.
Responsabilità solidale tra eredi: ricordiamo che quando vi sono più eredi obbligati, essi rispondono in solido del pagamento dell’imposta di successione, entro i limiti del valore ereditato da ciascuno (art. 36 co.3 TUS) . Per questo motivo l’Agenzia spesso notifica l’avviso a ciascun coerede per l’intero importo dovuto . Ciò non significa che incasserà più volte: basta che uno paghi e il debito si estingue per tutti. Gli altri eventualmente dovranno attivarsi per regolare i rapporti interni, ma nei confronti del Fisco il pagamento pro-quota libera l’intera obbligazione. Dunque, se ricevete avviso per intero ma avevate solo una quota dell’eredità, non stupitevi: è per via della solidarietà. Se sapete che un altro coerede ha già pagato l’intero, comunicatelo all’ufficio allegando prova, per ottenere sgravio del vostro duplicato . Se invece uno solo di voi paga la sua quota, il residuo rimane dovuto in solido e l’ufficio potrà comunque pretendere dai rimanenti (ma in genere conviene coordinarsi per evitare doppie azioni).
Acquiescenza e definizione agevolata: a rigore, in materia di avvisi di liquidazione successione non esistono “premi” aggiuntivi per la rinuncia al ricorso, oltre alla riduzione 1/3 della sanzione già prevista se pagate entro 60 giorni . Negli avvisi di accertamento per altri tributi, c’è l’istituto dell’acquiescenza (sanzioni ridotte se non si ricorre); qui, essendo già ridotta la sanzione al 10%, non c’è altro sconto. Quindi, pagare entro 60 giorni o rinunciare a fare ricorso non dà benefici ulteriori oltre a quelli già incorporati. Ciò significa che, se ritenete ingiusto l’avviso, non perdete alcuna agevolazione provando a difendervi (la sanzione resterà comunque al 10% finché decidete entro i 60gg). Naturalmente, se fate ricorso e poi perdete, dovrete pagare anche gli interessi maturati nel frattempo e qualche spesa legale forse, ma la sanzione non aumenta oltre il 30% iniziale. Dunque vale la pena considerare il ricorso quando ci sono buone ragioni.
Ravvedimento operoso: a questo punto, l’avviso è già stato emesso, per cui non è più possibile ravvedere la violazione specifica contestata. Tuttavia, merita menzionare che prima dell’emissione di un avviso il contribuente ha sempre la possibilità di “giocare d’anticipo” correggendo spontaneamente gli errori. Se ci si accorge, ad esempio, di aver dimenticato un bene o sottovalutato un valore dopo aver presentato la successione, finché l’Agenzia non ha notificato nulla si può presentare una dichiarazione integrativa e versare la maggiore imposta dovuta con sanzione ridotta da ravvedimento . Il ravvedimento (art.13 D.lgs.472/97) prevede sanzioni decrescenti in base alla prontezza: 1/8 del 30% (ossia 3,75%) se si paga entro un anno dalla violazione; 1/5 (6%) se entro due anni, e così via. Per fare ciò, occorre compilare un nuovo F24 con i codici tributo appropriati (es. codice 1539 per imposta integrativa, e codice 1549 per la sanzione ridotta da ravvedimento) . Così facendo, l’avviso dell’Agenzia potrebbe non arrivare affatto (perché avete già versato) oppure, se arriva, riguarderà solo eventuali piccole differenze. Dopo la notifica dell’avviso, invece, il ravvedimento non è più consentito per ciò che è contestato (non avrebbe senso “ravvedere” qualcosa che è già oggetto di atto formale) . Pertanto, se avete già ricevuto l’avviso, siete oltre la fase del ravvedimento: dovete gestire l’atto stesso con pagamento o impugnazione.
Riassumendo le opzioni in caso di avviso ricevuto :
- Pagare l’intero dovuto entro 60 giorni: chiudete la pendenza beneficiando della sanzione ridotta al 10%. Questa è la scelta “acquiescente” che evita la lite, da preferire se la richiesta è corretta o l’importo è basso rispetto ai costi di un ricorso.
- Impossibilità di pagare subito: se non avete liquidità sufficiente, potete valutare il ricorso anche solo per guadagnare tempo (dato che il ricorso sospende la riscossione quantomeno fino a sentenza di primo grado se ottenete la sospensiva, vedi oltre) e magari per tentare in sede contenziosa un accordo o una riduzione. Sappiate però che, eventualmente, dopo dovrete chiedere la rateazione al concessionario se la causa non annulla nulla. In alternativa, tentate di contattare l’Ufficio per qualche margine (come detto, raramente possono aspettare qualche mese se motivate il perché).
- Non fare nulla (né pagare né ricorrere): è l’opzione peggiore. Dopo 60 giorni, l’avviso diventa definitivo e l’importo residuo sarà affidato all’Agente della Riscossione per l’esazione forzata . Questo comporterà: sanzione piena 30%, interessi di mora aggiuntivi dal 61° giorno, aggi di riscossione (~3%) e il rischio di atti esecutivi (fermi, ipoteche, pignoramenti). Inoltre, a quel punto non potrete più contestare nel merito l’imposta (il termine di ricorso è perentorio, scaduto il quale il debito è definitivo) . Resterà solo la possibilità di chiedere una dilazione all’Agente per evitare misure immediate, ma il debito andrà comunque pagato.
È quindi cruciale decidere entro i 60 giorni come procedere. Se siete incerti sulla fondatezza dell’avviso, il consiglio è: presentare comunque ricorso entro i termini (per sicurezza), e nel frattempo magari provare l’autotutela o dialogo con l’ufficio. Il ricorso si può sempre ritirare più avanti se la questione si risolve. Viceversa, lasciar scadere i termini vi preclude ogni difesa successiva. Nel prossimo capitolo affrontiamo proprio i rimedi difensivi a disposizione: dall’istanza di autotutela al ricorso al giudice, passando per eventuali accordi con l’ufficio.
Come Contestare un Avviso di Liquidazione: Rimedi e Strategie
Un avviso di liquidazione, in quanto atto impositivo, può essere contestato dal contribuente qualora lo ritenga illegittimo o infondato. Esistono diversi strumenti di tutela, dal più informale (richiesta di autotutela) fino al formale ricorso giurisdizionale dinanzi al giudice tributario. Illustreremo i principali, senza dimenticare le procedure “deflattive” del contenzioso (come l’accertamento con adesione) e la possibilità di ottenere la sospensione della riscossione in pendenza di giudizio . È importante muoversi con tempestività, poiché i termini sono stringenti e non attendono l’esito di eventuali trattative.
Autotutela (richiesta di annullamento/riduzione in via amministrativa)
L’autotutela è il potere-dovere della Pubblica Amministrazione di correggere o annullare i propri atti quando risultino viziati da errori o da manifesta illegittimità. In ambito tributario, significa che l’Agenzia delle Entrate può, di propria iniziativa o su sollecitazione del contribuente, annullare in tutto o in parte un avviso di liquidazione se riconosce che è stato emesso erroneamente (ad esempio, indirizzato al soggetto sbagliato, calcolo sbagliato, doppia imposizione) oppure se emergono cause evidenti di non debenza .
Il contribuente può attivare l’autotutela presentando una istanza motivata all’ufficio che ha emesso l’avviso, spiegando l’errore e allegando documentazione probatoria . L’istanza può essere inviata per raccomandata A/R, via PEC o consegnata a mano all’ufficio (facendosi protocollare una ricevuta) . Non esiste un modulo prestabilito, ma è importante indicare chiaramente: gli estremi dell’avviso impugnato (numero e data), il contribuente, e il motivo per cui se ne chiede l’annullamento (o la rettifica), citando magari norme o circolari a sostegno . Esempi tipici di autotutela accolta in materia di successione: – L’avviso era intestato a un soggetto che non era tenuto (es. un erede che in realtà ha rinunciato all’eredità). Si allegherà la copia autentica della rinuncia e si chiederà annullamento totale per carenza di legittimazione passiva . (Su questo punto, come detto, Cass. 5777/2023 afferma chiaramente che chi rinuncia non è soggetto passivo ). – L’imposta era già stata pagata o compensata. A volte avvisi tardivi giungono nonostante il contribuente abbia versato il dovuto: allegando copia dell’F24 con quietanza, l’ufficio può riconoscere l’errore e sgravare l’atto duplicato . – L’avviso è stato notificato fuori termine di decadenza. Se, ad esempio, l’ufficio ha emesso l’atto oltre i 2 anni previsti (per successioni 2025 in poi) o oltre i 3 anni (successioni ante 2025), e il contribuente lo fa notare, l’ufficio stesso – constatando di essere decaduto – potrebbe preferire annullare l’atto piuttosto che andare in causa e perderla .
Bisogna però tener presente due cose: (1) la presentazione dell’istanza di autotutela non sospende il termine per fare ricorso né quello per pagare . Quindi se mancano pochi giorni alla scadenza dei 60 giorni, non si può aspettare passivamente una risposta. Se l’ufficio non risponde in tempo, è prudente depositare comunque un ricorso (per non perdere il diritto) o pagare per evitare la mora. (2) L’ufficio non è obbligato ad accogliere l’autotutela: si tratta di un potere discrezionale. Normalmente la utilizza solo per errori palesi ed incontestabili . Se la questione è opinabile o di interpretazione, difficilmente l’autotutela verrà accettata.
In caso di accoglimento dell’autotutela, l’avviso viene annullato (o modificato) e, se nel frattempo avevate pagato, avete diritto al rimborso delle somme non dovute. Se invece l’ufficio respinge o ignora l’istanza, non c’è purtroppo possibilità di ricorso specifico contro il diniego: l’unica strada resta il ricorso giurisdizionale contro l’avviso originario (o contro la cartella, se nel frattempo emessa) .
In conclusione, conviene tentare l’autotutela nei casi chiari di errore documentabile: l’Agenzia preferisce quasi sempre annullare un atto evidentemente sbagliato (per evitare un sicuro contenzioso perso) . Ma non bisogna affidarsi esclusivamente all’autotutela se il termine di ricorso si avvicina: è buona norma presentare ugualmente il ricorso entro i 60 giorni, eventualmente segnalandolo all’ufficio (“Nel frattempo presento ricorso per non decadenza, ma resto disponibile a definizione in via amministrativa”). Se poi l’ufficio annulla in autotutela, potrete sempre rinunciare al ricorso.
Accertamento con adesione (definizione concordata)
L’accertamento con adesione è uno strumento deflattivo che consente al contribuente e all’ufficio di trovare un accordo sull’ammontare dovuto, chiudendo la controversia con un atto concordato e riducendo le sanzioni. È previsto per gli avvisi di accertamento e, per analogia, è applicabile anche agli avvisi di liquidazione che contengano accertamenti di valore o rettifiche (es. in materia di imposta di registro, catastale, e quindi anche di successione) .
Nel contesto di un avviso di liquidazione per successione, l’adesione può essere valutata se la disputa riguarda questioni quantitative (valori, stime) o comunque aspetti su cui è possibile una mediazione. Ad esempio, se l’ufficio ha attribuito a un immobile un valore di €500.000 e l’erede sostiene che ne valga €400.000, si potrebbe trovare un compromesso a metà strada (es. €450.000) . Oppure, se c’è disaccordo sull’ammontare di un debito deducibile (l’ufficio ne ammette solo una parte), si potrebbe concordare un importo deducibile intermedio.
Come si attiva: il contribuente deve presentare un’istanza di accertamento con adesione all’ufficio entro il termine per ricorrere (quindi normalmente entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso) . L’istanza, liberamente redatta, chiede formalmente di avviare la procedura di adesione e descrive sinteticamente le questioni su cui si vuol discutere. La presentazione di questa istanza sospende automaticamente il termine di impugnazione per 90 giorni . Durante tale periodo, l’ufficio è tenuto a convocare il contribuente per un contraddittorio. Nella pratica, spesso sarà il contribuente (o il suo consulente) a sollecitare la data dell’incontro. Nel meeting, si espongono le rispettive ragioni e si cerca un accordo.
Se si raggiunge l’intesa, viene redatto un atto di adesione che fissa i nuovi importi concordati. Il contribuente dovrà poi pagare quanto concordato (imposta, interessi e sanzioni ridotte) entro 20 giorni dalla firma . Nel frattempo, il ricorso non viene più presentato (o se già presentato, verrà dichiarato estinto per cessata materia del contendere).
Vantaggi dell’adesione: – Le sanzioni vengono ulteriormente ridotte. In generale, nell’adesione le sanzioni si applicano al 1/3 di quelle irrogate. Nel nostro caso però, come notato, la sanzione base è 30% e ridotta già a 10% se si paga entro 60gg. Formalmente, con adesione, il minimo edittale della sanzione sarebbe 30% e 1/3 di 30% dà 10%. Quindi di fatto non c’è un vantaggio ulteriore sulle sanzioni, in quanto avevamo già quella riduzione pagando entro i 60 giorni . Il vero beneficio è sulla materia imponibile: si può ottenere una riduzione dell’imponibile accettando un valore inferiore a quello preteso inizialmente dall’ufficio, evitando il rischio del giudizio. – Si evita l’incertezza e i costi del contenzioso, chiudendo la partita in tempi rapidi. – L’importo concordato può anch’esso essere rateizzato (fino a 8 rate trimestrali se >€50.000) se previsto dalla normativa, ma in genere per gli avvisi di liquidazione l’importo non è altissimo.
Svantaggi: bisogna comunque pagare, generalmente in tempi brevi (20 giorni). E se la proposta dell’ufficio non è soddisfacente, il tempo impiegato potrebbe far slittare oltre i 90 giorni la definizione, richiedendo poi di proseguire col ricorso.
Nella pratica delle successioni, l’adesione non è molto frequente, perché molti avvisi riguardano o errori palesi (che l’ufficio talvolta sistema in autotutela) o questioni di diritto su cui l’Agenzia tende a non transigere (es. spettanza di franchigia, qualità di erede, ecc.) . Tuttavia, se il contendere è su valutazioni estimative – tipicamente il valore di un immobile o azienda – l’adesione è lo strumento ideale: presentando magari una perizia di parte, si può convincere l’ufficio a rivedere (al ribasso) la sua stima pur di chiudere la vicenda, evitando l’incertezza del giudizio .
In sintesi, l’adesione è facoltativa ma consigliabile quando vedete margini di trattativa. Non preclude comunque il ricorso se non si raggiunge accordo entro i 90 giorni (i termini riprendono a decorrere dalla scadenza di tale periodo). L’importante è ricordarsi di presentare l’istanza tempestivamente entro i 60 giorni iniziali, altrimenti perdete questa chance .
Il ricorso alla Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria)
Se ritenete che l’avviso presenti profili di illegittimità o errori di merito e non sia stato risolto in via amministrativa, lo strumento ordinario di tutela è il ricorso giurisdizionale avanti al giudice tributario . In questa sede chiederete l’annullamento totale o parziale dell’atto, sostenendo le vostre ragioni.
Giudice competente: le controversie relative all’imposta di successione rientrano nella giurisdizione delle Corti di Giustizia Tributaria (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie dal 2022). Il ricorso si presenta alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado competente per territorio. La competenza territoriale in genere è determinata dal luogo di domicilio fiscale del contribuente o dalla sede dell’ufficio che ha emesso l’atto (spesso coincidono) . Sul retro dell’avviso talvolta è indicata espressamente la Commissione competente. In mancanza, ci si può basare sul proprio domicilio fiscale o consultare le norme (art. 4 D.lgs.546/92).
Termini di proposizione: il ricorso deve essere notificato (mediante PEC all’ufficio o tramite ufficiale giudiziario/posta, a seconda dei casi) entro 60 giorni dalla data di notifica dell’avviso . Questo termine è perentorio: se scade senza ricorso, l’atto diventa definitivo . (Se il 60° giorno cade di sabato, domenica o festivo, è prorogato al primo giorno lavorativo successivo). Eventuali istanze di adesione sospendono il termine per 90 giorni ; inoltre, fino a fine 2023 esisteva l’obbligo di reclamo/mediazione per cause fino a €50.000, che sospendeva anch’esso i termini per 90 giorni, ma tale istituto è stato abolito dal 2024 . Dunque attualmente si può ricorrere direttamente anche per importi modesti, senza reclamo (la norma sull’art.17-bis D.lgs.546/92 è stata modificata eliminando la mediazione obbligatoria).
Costituzione in giudizio: una volta notificato il ricorso all’Agenzia (alla Direzione Provinciale che ha emanato l’atto), il contribuente deve depositare (ora telematicamente tramite il Portale della Giustizia Tributaria) entro 30 giorni copia del ricorso e degli allegati presso la segreteria della Corte Tributaria . Questo termine di 30 giorni non è perentorio quanto quello di notifica: il ricorso resta valido anche se ci si costituisce tardi, ma l’Agenzia potrebbe eccepire l’inammissibilità e il giudice a volte la accoglie se il ritardo è troppo. Meglio quindi rispettare anche questo termine.
Contenuto del ricorso: va redatto in conformità all’art.18 D.lgs.546/92. In sintesi deve contenere : – l’indicazione della Commissione/Corte adita; – i dati del ricorrente e dell’eventuale difensore (nota: la difesa tecnica da parte di un avvocato, commercialista o tributarista abilitato è obbligatoria se il valore della lite supera €3.000; sotto tale soglia ci si può difendere personalmente) ; – l’ente convenuto (Agenzia Entrate – DP di …); – l’atto impugnato (estremi dell’avviso di liquidazione) e l’oggetto della domanda (es: “annullamento dell’avviso” o “rideterminazione dell’imposta”); – i motivi del ricorso: questa è la parte sostanziale in cui si espongono le ragioni di fatto e di diritto per cui si chiede l’annullamento . Esempi di motivi: “Violazione di legge: erronea applicazione art.3 TUS – l’ufficio ha negato la franchigia €1.000.000 sebbene il ricorrente sia figlio del de cuius”; oppure “Eccesso di potere – difetto di motivazione: l’avviso non espone le ragioni della rettifica del valore dell’immobile, in violazione dell’art.7 L.212/2000 e art.34 c.2-bis TUS, come affermato da Cass. 5669/2023” ; – le prove di cui il ricorrente intende avvalersi: in ambito tributario la prova testimoniale è ammessa in casi limitatissimi, quindi soprattutto saranno documenti (la dichiarazione di successione, l’avviso impugnato, eventuali perizie, copie di bonifici, documenti attestanti uno status – es. rinuncia all’eredità, ecc.) ; – la firma del difensore (o della parte se sta in proprio).
Allegati fondamentali: vanno allegati (nel fascicolo telematico) copia dell’avviso impugnato, la documentazione su cui si basa il ricorso, l’eventuale ricevuta di notifica del ricorso all’AdE, e la ricevuta del pagamento del contributo unificato (che è un bollo che si paga per accedere alla giustizia tributaria, variabile in base al valore della lite: €30 fino a €5.000 di valore, €60 da 5k a 25k, €120 da 25k a 75k, e così via) .
Motivi di ricorso più frequenti: Senza pretesa di esaustività, in tema di imposta di successione i motivi tipici sono: – Vizi formali/procedurali: – Difetto di motivazione dell’avviso (come già discusso, se l’atto non spiega il perché delle maggiori imposte). Questo è un motivo molto efficace se l’avviso è lacunoso: Cass. n.5669/2023 ha ribadito l’obbligo di motivazione puntuale negli avvisi che rettificano la dichiarazione . – Notifica nulla o viziata: es. se l’avviso è stato notificato ad un indirizzo sbagliato, o a mezzo PEC non conforme, o addirittura al defunto invece che agli eredi (è successo in passato). – Decadenza dei termini: se l’avviso è stato notificato oltre il termine previsto dalla legge (es. oltre 3 anni per imposta principale ante-2025, oltre 2 anni per complementare post-2025, oltre 5 anni per omessa dichiarazione). Ad esempio, se voi avete presentato la successione il 10/01/2020, l’ufficio doveva notificarvi l’avviso principale entro il 10/01/2023: se vi arriva dopo, potete eccepirne la decadenza . – Errore sul destinatario: se l’avviso è intestato a qualcuno che legalmente non è obbligato (es: a un legatario per un’imposta che doveva pagare l’erede; oppure come detto a chi ha rinunciato). Cass. 5777/2023 e 14063/2025 hanno creato importanti precedenti su questo punto .
- Vizi sostanziali:
- Errata interpretazione normativa: es. l’ufficio ritiene tassabile qualcosa che per legge non lo è. Esempio: pretendere imposta su un legato di modico valore che potrebbe configurarsi come liberalità d’uso esente; oppure negare una franchigia al coniuge in un caso dubbio.
- Soggettività passiva: sostenere di non essere soggetto passivo. Ad esempio, un legittimario pretermesso che non ha agito legalmente per reintegrare la legittima può appellarsi ai principi delle Cassazioni citate (5777/2023 e 14063/2025) per dire “non essendo mai divenuto erede, non devo pagare” .
- Contestazione valori: qui occorre portare una prova contraria. Ad esempio, se l’avviso ha aumentato il valore di un immobile, è opportuno allegare una perizia giurata redatta da un tecnico che motivi un valore inferiore. Il giudice potrebbe così ritenere eccessiva la stima dell’AdE e ridurre l’imponibile. Oppure, se l’ufficio ha considerato imponibile un’azienda ritenendo decaduta l’esenzione, voi potete dimostrare di aver effettivamente proseguito l’attività per i 5 anni richiesti (allegando bilanci, attestati, ecc.) e quindi contestare l’imposta.
- Contestazione su passività deducibili: se l’ufficio ha disconosciuto un debito che invece era documentato, nel ricorso lo si evidenzia allegando prova del debito e della spettanza della deduzione (es. quietanza di pagamento di un debito del defunto da parte degli eredi).
- Violazione norme procedimentali: ad esempio, la mancata osservanza dell’obbligo di contraddittorio preventivo, laddove previsto. Per i tributi “d’atto” come successione, non vi è un obbligo generalizzato di invitare il contribuente prima di emettere l’avviso (a differenza di accertamenti sui tributi armonizzati, IVA, ecc.). Tuttavia, alcune pronunce di merito hanno talvolta affermato che in caso di rettifiche importanti di valore sarebbe buona prassi instaurare il contraddittorio. Non è un motivo fortissimo da solo, ma può accompagnare altri motivi.
Procedimento e decisione: depositato il ricorso, la causa seguirà l’iter processuale tributario. L’Agenzia Entrate, tramite l’Avvocatura interna, si costituirà depositando memorie difensive (in genere entro 60 gg dal ricevimento del ricorso) e allegando il fascicolo del contraddittorio (avviso, dichiarazione, ecc.) . Ci potrà essere un’udienza di trattazione: per cause di valore fino a €3.000, il giudizio può essere fatto in camera di consiglio (senza udienza pubblica) a cura del giudice monocratico; per valori superiori, c’è un collegio di tre giudici e un’udienza pubblica (anche se talvolta su accordo delle parti si va a decisione sulle sole memorie scritte). I tempi medi per la sentenza di primo grado vanno da 6 mesi a 18 mesi a seconda dei carichi del tribunale.
La Corte Tributaria emetterà quindi la sentenza, che potrà: – rigettare il ricorso, confermando l’avviso (il contribuente dovrà pagare il dovuto, se non l’ha già fatto, maggiorato di interessi maturati durante il giudizio); – accogliere totalmente il ricorso, annullando l’avviso (il contribuente in tal caso nulla deve, e se aveva pagato ha diritto a rimborso); – accogliere parzialmente, ad esempio riconoscendo alcuni motivi (riducendo l’imponibile o eliminando la sanzione) e quindi rideterminando l’importo dovuto.
La sentenza non è definitiva: è appellabile alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado (già Commissione Regionale) da parte della soccombente (Agenzia o contribuente) , entro 60 giorni dalla notifica della sentenza. La sentenza d’appello, a sua volta, può essere impugnata per Cassazione (sui soli motivi di diritto).
Costi e rischi del giudizio: come accennato, si paga un contributo unificato iniziale proporzionato al valore della lite . Se si incarica un legale, ci sono i compensi da corrispondergli. In caso di vittoria, il giudice può condannare la controparte a rifondere in tutto o in parte le spese legali (ma non è automatico; a volte le compensa). Non ci sono altre sanzioni per chi perde, a parte le spese di giudizio eventualmente. Il “rischio” economico principale è dover pagare, oltre all’imposta, anche gli interessi maturati durante l’attesa del processo e le eventuali spese di controparte (tipicamente qualche centinaio/migliaio di euro a seconda della complessità) . Non si incorre in sanzioni aggiuntive per aver osato fare ricorso.
Alcuni contribuenti preferiscono, in caso di importi elevati, pagare subito l’imposta e poi fare ricorso solo per questioni di principio, così da bloccare almeno il maturare degli interessi. È una scelta possibile (se si hanno i mezzi): qualora il ricorso venga vinto, l’imposta pagata vi verrà rimborsata con interessi legali; se perso, almeno avete evitato l’aggravio degli interessi di mora. Tuttavia, pagando, perdete il “peso” del debito come leva per spingere l’ufficio a considerare un accordo o una sospensione. Inoltre, in caso di sconfitta non è detto che il giudice vi riconosca le spese legali, quindi potreste non recuperare quel costo.
Effetti del ricorso sulla riscossione: punto cruciale. In passato, l’atto impugnato era automaticamente sospeso fino a sentenza di primo grado per 1/3 dell’importo, ma questa norma è stata modificata. Attualmente, se si propone ricorso, l’atto non è sospeso automaticamente (a differenza degli “accertamenti esecutivi” in cui c’è una sospensione parziale ex lege, ma gli avvisi di liquidazione non rientrano tra questi in modo chiaro) . Ciò significa che, trascorsi i 60 giorni, formalmente l’Agenzia potrebbe comunque iscrivere a ruolo le somme e iniziare la riscossione coattiva anche se avete fatto ricorso . Per evitare questo, occorre attivarsi per ottenere una sospensione (vedi paragrafo successivo). Nella pratica, spesso l’AdE, se l’importo non è enorme e il contribuente è in buona fede, attende almeno la decisione di primo grado prima di scatenare la riscossione; ma è solo una prassi ufficiosa, non un obbligo. Dunque è prudente chiedere formalmente la sospensione.
Sospensione della riscossione
Se si impugna l’avviso di liquidazione, può passare molto tempo prima che la controversia sia decisa in via definitiva. Nel frattempo, come detto, l’importo contestato sarebbe esigibile trascorsi i 60 giorni. Per evitare che il contribuente debba pagare subito (o subire azioni esecutive) e poi magari vedersi dare ragione anni dopo (col disagio di dover chiedere rimborsi), l’ordinamento prevede la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato .
Ci sono due vie percorribili:
- Sospensione amministrativa (in autotutela): l’Agenzia delle Entrate stessa, su istanza motivata del contribuente, può decidere di sospendere la riscossione fino all’esito del giudizio . Ciò però avviene raramente e solo in casi eclatanti, ad esempio quando la stessa Agenzia riconosce internamente che c’è un errore palese nell’atto o che la questione è dubbia e c’è un rischio concreto di dover rimborsare. Non è un diritto del contribuente, è una concessione discrezionale. Comunque, se ritenete di avere un caso molto forte (es. chiara decadenza termini, soggetto non erede, ecc.), potete presentare all’Ufficio un’istanza di sospensione evidenziando queste ragioni.
- Sospensione giudiziale: è la via ordinaria. Consiste nel presentare al giudice tributario (la Corte di Giustizia adita) un’istanza di sospensione dell’atto, di solito contestualmente al ricorso o con atto separato (ma sempre entro i 60 giorni) . L’istanza va motivata dimostrando due presupposti (art. 47 D.lgs.546/92):
- il ricorso non è pretestuoso ma presenta fumus boni iuris, cioè elementi che fanno ragionevolmente ritenere che abbiate ragione o comunque che la pretesa fiscale sia dubbia in punto di diritto;
- l’esecuzione dell’atto (cioè dover pagare subito) vi arrecherebbe un danno grave e irreparabile (periculum in mora). Ad esempio, potete dichiarare che l’importo elevato vi costringerebbe a vendere la casa o l’azienda ereditata, causando un pregiudizio non riparabile anche in caso di vittoria futura .
Il Presidente fissa in tempi brevi (entro 30-40 giorni in genere) una camera di consiglio per decidere sulla sospensione . Se la Corte accoglie la sospensiva, ordina che la riscossione sia sospesa fino alla pubblicazione della sentenza di primo grado . Ciò significa che l’Agenzia Entrate Riscossione non potrà intraprendere azioni esecutive finché non c’è il giudizio. Se invece la sospensione viene negata, l’Agente della riscossione può proseguire (notificare cartella, ecc.) anche durante il processo . In caso di rigetto, il contribuente può eventualmente riproporre la richiesta di sospensione in appello se impugna la sentenza sfavorevole, oppure (in casi eccezionali) chiedere una sospensione “monocratica” urgente al Presidente della CTR.
Nella pratica, per importi non esagerati e con contribuenti solitamente solventi, l’Agenzia delle Entrate spesso attende l’esito di primo grado senza forzare subito la riscossione, anche perché è consapevole che se il giudice dovesse accogliere il ricorso poi dovrebbe rimborsare tutto con interessi e affrontare magari azioni per spese di esecuzione indebita . In passato c’era l’obbligo di pagare 1/3 dopo la sentenza di primo grado per poter fare appello, ma oggi quel meccanismo non si applica agli avvisi di liquidazione in maniera chiara. Attualmente, dopo primo grado, per gli accertamenti esecutivi c’è l’obbligo di pagare 1/3 per appellare, ma per gli avvisi di liquidazione successione non è previsto alcun pagamento frazionato automatico. Quindi, ottenuta la sospensione dal giudice, siete tranquilli fino a sentenza. Se la sospensione viene negata, l’Agenzia potrebbe comunque decidere di non procedere immediatamente (magari aspettando la sentenza se manca poco tempo), ma su questo non c’è garanzia .
Il consiglio è: se l’importo è significativo per voi e decidete di ricorrere, presentate SEMPRE istanza di sospensione evidenziando chiaramente il potenziale danno che subireste pagando subito . Allegare documentazione finanziaria (es. l’ISEE, o uno stato patrimoniale, o mutui in corso) può aiutare a provare il “danno grave” del pagamento immediato.
Infine, notate che se malauguratamente l’Agenzia Riscossione vi notifica una cartella di pagamento mentre il ricorso è pendente senza sospensione (può succedere oltre i 60 giorni, se non avevate la sospensiva), potete impugnare anche la cartella innanzi al giudice, chiedendo di unirla al ricorso principale. Tuttavia, è preferibile prevenire ciò ottenendo la sospensione, per evitare di complicare il contenzioso con atti ulteriori.
Casi Particolari e Giurisprudenza Recente
In questa sezione esaminiamo alcune situazioni particolari che possono presentarsi nelle successioni – spesso oggetto di contenzioso – e i relativi orientamenti giurisprudenziali aggiornati al 2025. Rientrano tra questi: le successioni internazionali (con beni all’estero o defunto non residente), il trattamento dei trust in ambito successorio, i problemi riguardanti eredi legittimari esclusi o rinunce, le questioni sulle agevolazioni per aziende di famiglia e prima casa, nonché altre pronunce significative che chiariscono aspetti del calcolo dell’imposta. Questi casi evidenziano come applicare le regole viste e come difendersi in contesti peculiari.
Successioni internazionali: Italia vs Estero
Il regime italiano di imposta di successione ha una portata worldwide se il defunto era residente in Italia. Ciò significa che gli eredi devono dichiarare e l’Italia tassa tutti i beni del defunto, ovunque situati nel mondo . L’unica eccezione è se esistono convenzioni bilaterali che limitano questa potestà (poiché l’Italia ha pochi trattati contro le doppie imposizioni in materia successoria, di regola ci si attiene al principio di tassazione mondiale per residenti). Invece, se il defunto era non residente in Italia, l’imposta di successione italiana si applica solo ai beni che si trovano nel territorio italiano (es. immobili in Italia, conti bancari italiani, etc.) .
Esempio: Mario, cittadino italiano residente in Francia, possedeva un appartamento in Italia: alla sua morte, l’Italia potrà tassare quell’immobile; i beni che Mario aveva in Francia non saranno tassati in Italia (ma presumibilmente saranno soggetti all’eventuale impôt français). Viceversa, se Mario era residente in Italia ma possedeva anche un immobile in Francia e conti in Svizzera, gli eredi dovranno dichiararli in Italia e pagare l’imposta italiana anche su tali beni esteri (salvo eventuali crediti d’imposta o trattati).
La doppia imposizione può diventare un problema concreto: ad esempio con gli Stati Uniti esiste una convenzione del 1955 che evita doppie tassazioni, mentre con molti Paesi no. In mancanza di trattato, l’Italia non prevede espressamente nel TUS un credito d’imposta per imposte di successione estere pagate (non essendoci più da noi imposte patrimoniali significative a cui agganciarsi). Pertanto, può accadere che un immobile a Londra di un defunto italiano sia tassato sia dall’UK (Inheritance Tax) sia dall’Italia. Gli eredi in tali casi solitamente possono dedurre l’imposta estera come debito dell’asse verso lo Stato estero (un’interpretazione talvolta usata), oppure invocare i principi generali per evitare un carico eccedente (non c’è però una norma diretta).
Un altro aspetto è la sopravvenienza di beni esteri non dichiarati. Grazie allo scambio di informazioni internazionale (ad es. Common Reporting Standard), è possibile che l’Agenzia scopra conti esteri intestati al defunto che gli eredi non avevano menzionato. In tal caso, come già indicato, quei beni costituiscono “sopravvenienze ereditarie” e devono essere dichiarati integrativamente appena noti, con pagamento dell’imposta complementare. Cass. 6081/2023 ha confermato che l’emersione di capitali esteri del de cuius tramite voluntary disclosure innesca l’obbligo di dichiarazione integrativa e relativa imposta . Gli eredi non possono sostenere che, essendo emersi dopo, non siano tassabili: vengono considerati nuovi elementi scoperti, con termine di due anni dalla dichiarazione integrativa per l’avviso (o 5 anni se la dichiarazione originaria era omessa) .
Difendersi in contesti internazionali: se ricevete un avviso per beni esteri omessi, sarà difficile contestare la tassabilità (poiché la legge è chiara nel includere i beni esteri per residenti). Ci si può concentrare eventualmente su: – contestare la tempistica (se l’avviso arriva oltre i termini, specie se l’Ufficio sostiene che era omessa originaria ma voi potete dire che avete presentato integrativa entro un certo tempo… è sottile). – negoziare la sanzione: spesso queste situazioni coinvolgono anche sanzioni per violazione del monitoraggio fiscale (RW) e gli uffici a volte transano riducendole se gli eredi collaborano. – se c’è stata doppia imposizione, rappresentare all’Ufficio che avete pagato imposte estere e che dovrebbero essere considerate deducibili come onere passivo dell’asse (opinabile, ma c’è dottrina in tal senso). Non ci sono molte cause su questo aspetto specifico.
In generale, per patrimoni con beni in più Paesi, è bene pianificare in anticipo con consulenza internazionale, perché a posteriori difendersi diventa complicato. Qui ci limitiamo a dire che l’Agenzia delle Entrate ha tutti gli strumenti per accertare beni esteri (dalle segnalazioni di banche, catasti esteri, etc.), quindi fare affidamento sul fatto che “non se ne accorga” è rischioso.
Trust e imposta di successione
L’utilizzo di un trust in ambito successorio può avvenire in vari modi: ad esempio, un testatore può lasciare i propri beni a un trust invece che direttamente agli eredi; oppure una persona in vita può conferire beni in trust con l’idea che alla sua morte il trust li gestisca per i beneficiari. La tassazione di questi atti è stata a lungo controversa in Italia, ma come visto la riforma 2024 ha chiarito diversi punti.
Regime attuale (dal 2025): l’imposta sulle successioni e donazioni si applica al momento in cui i beni del trust sono trasferiti ai beneficiari finali, e non al momento della costituzione del trust stesso . Questo significa che se nel testamento Tizio istituisce un trust a favore, in futuro, dei suoi nipoti, quando muore Tizio e il suo patrimonio viene conferito al trust, tale atto non sconta imposta di successione (si pagheranno solo imposte fisse di registro/ipotecarie per eventuali beni immobili che passano al trustee). L’imposta verrà invece applicata quando i beni usciranno dal trust per andare ai beneficiari nipoti, calcolata in base al grado di parentela tra Tizio (disponente) e i nipoti (beneficiari). Ad esempio, per i nipoti in linea retta l’aliquota sarà 4% con franchigia €1.000.000 ciascuno; se il trust desse parte dei beni a un soggetto estraneo, sarebbe 8% senza franchigia.
Il legislatore però ha introdotto una opzione: il disponente (o il trustee, nel caso di trust istituito per testamento) può optare per il pagamento anticipato dell’imposta al momento dell’istituzione del trust, calcolandola come se i beneficiari finali fossero identificati e ricevessero in quel momento . Questa opzione può essere utile se si vuole “congelare” il debito d’imposta ed evitare future incertezze (ad esempio se i beneficiari cambiano). Tuttavia, comporta un rischio: se poi il patrimonio in trust si riduce o non viene mai distribuito (perché magari i costi di gestione erodono tutto, o c’è un cambio di piani), l’imposta pagata non viene rimborsata . In pratica si versa un’imposta su un trasferimento eventuale futuro, con scommessa che si realizzi.
Territorialità nei trust: è stata specificata la regola in base alla residenza del disponente . Se il disponente (colui che ha costituito il trust o conferito i beni) era residente in Italia, tutti i beni conferiti (ovunque nel mondo) saranno soggetti a imposta quando assegnati ai beneficiari; se invece il disponente era non residente, l’imposta colpirà solo i beni situati in Italia al momento dell’assegnazione . È un criterio simile a quello per le successioni: contano residenza e ubicazione dei beni, riferiti al disponente.
Controversie passate e risolte: negli anni scorsi, la Cassazione aveva emesso numerose sentenze sui trust, spesso stabilendo che al conferimento dei beni in trust non era dovuta l’imposta piena di donazione/successione, bensì solo l’imposta di registro in misura fissa, finché non si realizzava l’effettivo arricchimento del beneficiario . Questa posizione è stata consolidata (oltre 20 pronunce, Cass. nn. 21614/2016, 13626/2018, SS.UU. 25478/2021, ecc.), e la riforma l’ha recepita. Ad esempio, Cass. 8082/2020 aveva escluso l’applicazione immediata dell’imposta di successione al trust, dicendo che manca un trasferimento di ricchezza definitivo . L’Agenzia delle Entrate inizialmente aveva una tesi opposta (tassazione subito come “vincolo di destinazione”), ma ora deve adeguarsi alla legge sopravvenuta.
Come difendersi su trust: se ricevete un avviso di liquidazione relativo a un trust, molto dipende dal quando e cosa è tassato: – Se è un trust istituito prima del 2025 e l’AdE pretendeva l’imposta all’atto di dotazione (cosa che potrebbe essere successa anni fa), si può invocare la giurisprudenza favorevole (Cass. SS.UU. 25478/2021 e seguenti) che negava quell’imposta. Ormai però dal 2022 l’Agenzia stessa ha smesso di emettere avvisi su trust destinazione, aspettando la riforma. – Se è un trust post-2025, l’avviso arriverà di norma quando i beni vengono distribuiti ai beneficiari. In tal caso, le contestazioni possibili riguarderanno magari l’aliquota o la franchigia applicabile: ad esempio, se c’è incertezza sul rapporto di parentela col disponente (si pensi a trust istituiti da nonni per i nipoti: l’AdE potrebbe applicare aliquota 4% come linearetta, oppure 6% se li considera come parenti di secondo grado; la legge parla di rapporto col disponente, quindi in quel caso nipoti linearetta = 4% franchigia 1M). Oppure se i beneficiari finali non erano determinati inizialmente, qualche lite potrebbe sorgere sul fatto che la scelta successiva di beneficiari differenti comporti un trattamento diverso. – Un aspetto da considerare: se un trust è disregarded (interposto) perché in realtà i beni restano a disposizione del disponente, non si ha mai trasferimento neanche in uscita finché il disponente vive. Ma questo esula dal tema specifico (si tratta di qualificazione antiabuso più che di liquidazione imposta).
In linea generale, grazie alla riforma, il trust è ora uno strumento più chiaro dal punto di vista fiscale: non serve più litigare su “se e quando” pagare, ma solo eventualmente su dettagli. Quindi ci aspettiamo meno contenziosi d’ora in avanti su trust successori. Se però vi trovaste con un contenzioso pendente pre-2025, vi conviene far presente la nuova legge all’organo giudicante (spesso le Commissioni chiudono i casi vecchi rifacendosi al nuovo principio di tassazione all’uscita).
Eredi legittimari, testamenti revocati e soggettività passiva
Un tema interessante che emerge soprattutto nelle controversie post-successione è quello dei legittimari pretermessi (esclusi dal testamento) e in generale di soggetti che inizialmente sembravano eredi ma poi non lo sono. La questione è: devono pagare l’imposta di successione se poi non hanno effettivamente ricevuto nulla?
La norma (art.5 comma 1 TUS) indica che obbligati alla dichiarazione e al pagamento sono gli eredi e i chiamati all’eredità (oltre ai legatari) . Ciò potrebbe far pensare che già il semplice “essere chiamato” (cioè essere potenziale erede) generi l’obbligo d’imposta, anche se magari non si accetta. In realtà però, la giurisprudenza ha chiarito diversi casi limite:
- Legittimario pretermesso (non istituito nel testamento): Se Tizio muore lasciando testamento e non menziona il figlio Caio (che sarebbe legittimario), Caio è “pretermesso”: ha diritto di agire in riduzione per ottenere la quota di legittima, ma se non lo fa, rimane escluso dall’eredità. In passato l’Agenzia a volte pretendeva imposta anche da costui (considerandolo chiamato legittimo). La Cassazione però ha chiarito che in tal caso Caio non è né erede né chiamato, finché non agisce legalmente. Se rinuncia all’azione di riduzione, di fatto rinuncia a ogni pretesa, e non diventa mai erede. Cass. 5777/2023 ha affermato proprio questo principio: il legittimario pretermesso che rinuncia a contestare il testamento non divenendo erede non è soggetto passivo d’imposta. Conseguenza pratica: se l’Agenzia avesse emesso avviso a Caio, Caio può farselo annullare provando la sua rinuncia e il fatto di non aver ricevuto nulla . Nell’istanza di autotutela o ricorso, citerà Cass.5777/2023: “il chiamato che rinuncia non è tenuto all’imposta, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art.521 c.c.” .
- Testamento successivo revocante il precedente: supponiamo che Tizio faccia testamento nel 2020 nominando erede Caio, poi nel 2022 ne fa un altro nominando Sempronio, e poi muore. Caio però non sa del secondo testamento e presenta dichiarazione come erede, magari iniziando a dividere i beni. L’Agenzia pure vede il primo testamento e tassa Caio. Successivamente però il secondo testamento (che revoca il primo) viene scoperto e Sempronio risulta il vero erede. Qui ci si trova con Caio che aveva pagato imposte senza in realtà averne titolo. Cass. 14063/2025 ha affrontato proprio questo: ha stabilito che la revoca di un testamento rende inefficace ab origine la vocazione ereditaria derivante da quel testamento . Quindi Caio, essendo la sua chiamata fondata su un testamento poi revocato, non deve pagare l’imposta; anche l’eventuale accettazione tacita fatta da Caio prima di conoscere la revoca è priva di effetti, perché manca un titolo valido . La Cassazione sottolinea che l’art.43 TUS già prevede che se l’imposta era stata pagata su un testamento poi invalido, va rimborsata e vanno presentate dichiarazioni integrative . Insomma, chi figura in un testamento poi caducato non è mai stato erede, quindi nessun presupposto d’imposta per lui. La Cassazione ha anche menzionato che l’amministrazione fiscale dovrebbe attendere a tassare finché non si chiarisce chi è il vero erede in caso di liti testamentarie . Implicazione pratica: se siete destinatari di un avviso ma nel frattempo una sentenza ha dichiarato nullo/revocato il testamento su cui si basava la vostra chiamata, avete ottime basi per far annullare l’avviso invocando Cass.14063/2025 . Allo stesso modo, se avete pagato e poi perso lo status di erede, presentate istanza di rimborso citando art.43 TUS e la pronuncia in questione.
- Altri casi: la legge già esclude dall’imposta chi rinuncia all’eredità se i beni non gli pervengono (e, se aveva pagato quote di imposta, può farsi rimborsare da chi subentra). Inoltre, va considerato che per legatari l’obbligo d’imposta esiste solo in relazione al legato specifico ricevuto: se poi il testamento viene annullato e quel legato non si concretizza, quell’imposta non è dovuta.
In conclusione, il fisco a volte tendeva a “bloccare” tutti i soggetti possibili per garantirsi il gettito, ma la giurisprudenza ha riportato il principio che solo chi effettivamente diventa titolare dei beni ereditari è debitore dell’imposta. Quindi, come difesa: – Se siete un legittimario escluso e non intraprendete azioni, fate valere che non siete eredi. – Se c’è un contenzioso tra eredi in corso, segnalate all’AdE di attendere l’esito (magari presentando art.43 TUS). – Se un avviso vi richiede imposta ma voi non avete più titolo sull’eredità, documentate la circostanza all’ufficio (sentenze, verbali di rinuncia, ecc.) e chiedete annullamento.
Agevolazioni per azienda di famiglia e partecipazioni societarie
L’esenzione art. 3 comma 4-ter TUS per il passaggio generazionale d’azienda o di partecipazioni è un’agevolazione di grande rilievo pratico. Come illustrato nella sezione sul calcolo, essa prevede che non siano soggetti ad imposta di successione i trasferimenti (mortis causa o per donazione) di aziende, rami d’azienda o quote societarie a favore di discendenti o del coniuge, purché i beneficiari: – se si tratta di partecipazioni in società di capitali, acquisiscano o integrino il controllo della società (ex art.2359 c.c.) ; – in ogni caso, mantengano per almeno 5 anni l’esercizio dell’attività d’impresa (se azienda) o il controllo della società (se partecipazioni) .
Questa agevolazione mira, come detto, a favorire la continuità aziendale senza costringere gli eredi a vendere l’azienda per pagare le tasse . Negli anni la sua interpretazione ha generato qualche disputa: – Inizialmente si discuteva se valesse anche per nipoti non in linea retta (es. nipoti figli di fratelli = collaterali): la Cass. 31333/2019 e 6077/2023 hanno chiarito di no, deve essere discendente in linea retta . – Altro dibattito riguardava cosa succede se la società è una holding immobiliare o comunque non esercita un’attività d’impresa. Su questo punto, Cass. 6082/2023 (richiamata in una recente sentenza CGT Piemonte 445/2023) ha affermato che l’agevolazione presuppone anche l’esercizio effettivo di attività d’impresa da parte della società partecipata; se la società è di mero godimento (gestione immobiliare passiva), l’agevolazione potrebbe non spettare . Ciò in coerenza col fine della norma: favorire imprese attive, non patrimoni statici. – Un aspetto pratico: perché l’esenzione operi, gli eredi devono dichiarare nell’atto (nel caso di donazione) o sottoscrivere un impegno (nel caso di successione) a rispettare i requisiti, cioè proseguire attività o mantenere controllo 5 anni. Questo impegno è di solito inserito in dichiarazione di successione (c’è un campo apposito da barrare per chiedere l’agevolazione e dichiarare l’intenzione di rispettarne le condizioni).
Revoca dell’agevolazione: Se l’impegno quinquennale non viene rispettato, l’Agenzia interviene recuperando l’imposta con sanzioni. Ad esempio, se un figlio eredita l’azienda e poi cessa l’attività dopo 3 anni, oppure vende la quota di controllo prima dei 5 anni, l’esenzione viene revocata parzialmente (ossia limitatamente al trasferimento in questione) e viene emesso un avviso di liquidazione per l’imposta che sarebbe stata dovuta originariamente , oltre a interessi e alla sanzione per omesso versamento (30%, ridotto a 10% se pagate entro 60gg dall’avviso). Questo rientra nei casi di avvisi per “decadenza di agevolazioni” già visti.
Difendersi in questi casi: se l’Agenzia contesta la spettanza dell’agevolazione, può essere su due fronti: – Contestazione iniziale: l’ufficio sostiene, già all’atto del primo calcolo, che l’esenzione non spettava (es. perché l’erede non ha acquisito il controllo, o perché la società non era d’impresa). In tal caso l’avviso sarà un avviso di liquidazione complementare che richiede l’imposta intera. La difesa consisterà nel dimostrare che le condizioni c’erano. Ad esempio, se contestano che non hai acquisito il controllo, dovrai mostrare che invece sì (magari sommando quote preesistenti + ereditate eri sopra il 50%). Oppure, se dicono “la società era immobiliare passiva, quindi no impresa”, potresti provare che la società aveva comunque un’attività commerciale (magari locazione organizzata, etc.) e invocare interpretazioni estensive (non del tutto scontato: le pronunce recenti sono restrittive). – Revoca a posteriori: l’ufficio dimostra che hai violato l’impegno nei 5 anni. Qui la difesa è difficile se il fatto è vero (non ci sono molte scuse: la legge non prevede eccezioni, a meno di cause di forza maggiore). Potresti però verificare se la decadenza è stata contestata correttamente: va emesso avviso entro un certo termine? (In genere direi entro due anni dal momento in cui sono venuti a conoscenza della violazione, comunque non oltre 5 anni dalla scadenza dell’impegno; non è chiarissimo, ma l’art.27 TUS potrebbe applicarsi analogamente). O anche qui, controllare la motivazione: l’avviso deve specificare in cosa è consistita la violazione (es. “cessazione attività in data X prima del termine, come da visura Cciaa”).
Ricordate che, se temete di non riuscire a rispettare l’impegno, c’è sempre la possibilità di comunicare preventivamente all’AdE e magari negoziare: talora, se un imprenditore vuole vendere l’azienda prima dei 5 anni, chiede un interpello per capire se può evitare la decadenza (ad es. perché la cede ai figli di un altro fratello, ecc.). Non sempre c’è soluzione, ma tentare può evitare una sorpresa.
Successioni con immobili e prima casa
Le successioni che comprendono beni immobili rappresentano il caso più comune. Abbiamo già visto i criteri di valutazione (valore venale vs catastale) e le imposte ipotecarie e catastali. Qui focalizziamo sull’agevolazione “prima casa” in ambito successorio e sulle problematiche di accertamento valori.
Agevolazione prima casa in successione: riguarda il trattamento delle imposte ipotecaria e catastale. Se l’erede (o legatario) dichiara di possedere i requisiti per l’agevolazione prima casa (non avere altra casa di abitazione nel comune, non averne già fruito in precedenza, trasferire la residenza nel comune entro 18 mesi, ecc., analoghi alle compravendite), allora le imposte ipotecaria e catastale per quell’immobile si pagano in misura fissa (€200 ciascuna) invece del 2%+1% sul valore catastale . Ciò può rappresentare un risparmio notevole, specie se la casa vale molto.
Nelle dichiarazioni di successione, c’è un apposito quadro per richiedere l’agevolazione prima casa per un determinato immobile ereditato, allegando eventuale dichiarazione sostitutiva in cui si attestano i requisiti. Se tutto è in regola, l’Agenzia applicherà subito le imposte ridotte (il software stesso calcola €200+€200).
Decadenza: analogamente alle compravendite, se l’erede beneficiario vende l’immobile entro 5 anni dall’acquisizione senza acquistare un’altra prima casa entro 1 anno, decade dall’agevolazione. Ciò comporta che debba versare: – la differenza di imposta ipotecaria e catastale (cioè il 3% sul valore catastale meno i €400 già pagati); – la sanzione del 30% su tale differenza; – gli interessi dal 18° mese post successione (dato che entro 18 mesi doveva trasferire la residenza, se quello era un requisito, ma la norma di decadenza è parallela a quella delle compravendite, direi scattano al momento della vendita).
L’ufficio solitamente viene a sapere dell’eventuale rivendita dell’immobile tramite i registri immobiliari (ogni atto di vendita riporta se l’immobile era stato acquisito con agevolazione prima casa negli ultimi 5 anni). Dunque, se rivendete entro 5 anni, aspettatevi un avviso di liquidazione per recupero dell’imposta ipocatastale scontata e sanzioni . Spesso questo avviso viene generato dalla segnalazione del Conservatore dei Registri Immobiliari.
Difesa: se ricevete un avviso del genere e ritenete di non dover decadere (magari perché avete riacquistato un’altra prima casa entro 1 anno, ipotesi prevista per non decadere), dovete dimostrarlo. In effetti la normativa prevede che non decade chi, entro un anno dalla vendita, acquista un altro immobile da adibire a prima casa. Tale acquisto dev’essere dichiarato all’AdE (c’era un modello di dichiarazione sostitutiva di riacquisto per evitare la sanzione). Se l’avviso vi arriva nonostante abbiate riacquistato, fate presente con documenti (atto di acquisto, residenza spostata lì). Potrebbe essere un disallineamento informativo.
Se invece effettivamente avete venduto e non ricomprato, c’è poco da fare: la decadenza è oggettiva. Si può solo controllare che il calcolo del conguaglio sia corretto (a volte c’è un errore nel valore catastale considerato, o nel computo interessi). La sanzione del 30% in questi casi normalmente non è riducibile ulteriormente nemmeno con adesione, perché è già il minimo edittale (30% appunto). Pagando entro 60gg avete comunque la riduzione a 1/3 (quindi 10% su differenze), come per le altre sanzioni.
Pronunce giurisprudenziali utili (2011-2025)
Riassumiamo alcune sentenze chiave che rappresentano punti fermi, da citare eventualmente nei ricorsi, oltre a quelle già commentate:
- Cass. 5669/2023 (23/02/2023): obbligo di motivazione puntuale per avvisi che rettificano la dichiarazione di successione, distinguendo questi dagli avvisi di mera liquidazione aritmetica ex art.33 TUS . Ha sancito che se l’Ufficio modifica valori o esclude passività, deve spiegare il perché nell’atto, altrimenti l’avviso è nullo. (Si può citare per difetto di motivazione.)
- Cass. 5777/2023 (24/02/2023): caso del legittimario pretermesso di cui sopra. Afferma che chi rinuncia all’eredità o all’azione di riduzione non è tenuto all’imposta, perché l’imposta è correlata all’acquisto dell’eredità . (Da citare per soggettività passiva in caso di rinuncia o pretermissione.)
- Cass. 8190/2011 e Cass. 5669/2012: precedenti sul tema motivazione e distinzione avviso ex art.33 vs art.34 TUS . Già nel 2011-2012 la Cassazione affermò che negli avvisi di rettifica l’ufficio deve analiticamente indicare gli elementi variati. Sono utili per corroborare il concetto che non è richiesta un’istanza di interpello per far valere il difetto di motivazione (come a volte sostenuto da AE), ma è un vizio che il giudice rileva su eccezione del contribuente.
- Cass. SS.UU. 26050/2008: (un po’ datata ma fondamentale) chiarì che l’imposta di successione è un’imposta “di massa” sul trasferimento complessivo al singolo erede, e non tante imposte separate per ciascun bene. Questo fu deciso in relazione al calcolo di franchigie e aliquote progressive (nel regime vecchio pre-2001 c’erano aliquote progressive col coacervo). Oggi con aliquote fisse per scaglioni forse meno rilevante, ma il principio può valere se l’AdE tentasse di tassare separatamente un legato e un’eredità di uno stesso soggetto, ecc.
- Cass. 5023/2022: questa sentenza (Sez. Trib. 17/02/2022, n.5023) riguarda i trust visti come “vincoli di destinazione” e la tassazione differita. Ribadì che l’imposta di donazione è dovuta solo all’attribuzione finale ai beneficiari, non alla mera dotazione del trust . È in linea con le SS.UU. 25478/2021. Si può citare se si ha un caso di trust ancora in discussione con atti pre-riforma. Ormai la legge le ha incorporate, ma citarla rafforza l’interpretazione autentica.
- Cass. 14821/2025 (02/06/2025): l’abbiamo citata, conferma la fine del coacervo donazioni-successione e chiarisce che ogni franchigia si rinnova (richiama DL 262/2006) . Utile se mai l’Agenzia provasse a fare calcoli sommando donazioni pregresse (oggi improbabile, ma non si sa mai).
- Cass. 3340/2019: questa stabilì che in caso di atto nullo di divisione con conguaglio (dove uno paga conguaglio all’altro), l’imposta fissa pagata si converte in imposta di donazione. Non riguarda direttamente l’imposta di successione, ma la cito perché a volte nelle successioni si fanno divisioni con conguagli, e se eccedono certi limiti potrebbero essere riqualificate come donazioni dissimulate (con imposta di donazione). Non è esattamente tema di avviso di liquidazione successione, ma se un avviso colpisce un conguaglio come donazione omessa, quella è la base teorica.
- Cass. 27639/2018: affermò l’irrilevanza fiscale della rinuncia all’eredità a favore di altro chiamato (spesso chiamata rinuncia “traslativa” se fatta dietro prezzo). In realtà disse che se il rinunciante riceve un corrispettivo dagli altri eredi, si configura una donazione verso di lui tassabile. Questo per dire: l’AdE può tassare come donazione indiretta la rinuncia remunerata. Da tenere presente: se in una successione Tizio rinuncia e ottiene qualcosa in cambio dagli altri eredi per farlo, l’imposta di successione su Tizio non è dovuta (perché ha rinunciato) ma potrebbe arrivare un avviso di donazione su quella somma ricevuta. Cass. 27639/2018 autorizza quell’imposizione. Difendersi in tale scenario è difficile, perché la giurisprudenza la considera effettivamente una liberalità (o un accordo integrativo tra coeredi soggetto a imposta di registro).
In conclusione, come regola generale, quando impostate un ricorso citate sempre la giurisprudenza recente a sostegno dei vostri motivi: i giudici tributari la apprezzano e l’Agenzia delle Entrate stessa talvolta può desistere se vede che il vostro caso è coperto da un orientamento consolidato sfavorevole a loro. Le fonti istituzionali (Cassazione, massime, circolari) danno autorevolezza alle vostre ragioni . Ovviamente va scelta quella pertinente al caso specifico: se contestate il valore di un immobile, citare Cass.5669/2023 sul difetto di motivazione rafforza; se siete un legittimario pretermesso, citare Cass.5777/2023 e 14063/2025 è dirimente; se c’è di mezzo un trust, menzionare le SS.UU. o la riforma 2024 (che potete citare come norma sopravvenuta di interpretazione).
Domande Frequenti (FAQ)
Di seguito una serie di domande e risposte comuni in tema di controlli sull’imposta di successione e difesa del contribuente, che riassumono e puntualizzano molti concetti esposti.
D: Chi deve presentare la dichiarazione di successione e entro quando?
R: Devono presentarla entro 12 mesi dalla morte tutti gli eredi, i chiamati all’eredità (anche se non hanno ancora accettato) e i legatari, a meno che non abbiano formalmente rinunciato . È esonerato chi eredita solo dal coniuge/parenti diretti per un valore totale ≤ 100.000 € senza immobili . Se più persone sono obbligate, ne basta una (indicando gli altri). La presentazione è telematica tramite il portale dell’Agenzia Entrate.
D: Quali beni e valori vanno inseriti nella dichiarazione di successione?
R: Vanno dichiarati tutti i beni e diritti appartenuti al defunto: beni immobili (case, terreni), beni mobili di pregio (auto, opere d’arte, gioielli), saldi di conti correnti e depositi titoli, partecipazioni in società, aziende, crediti esigibili (es. crediti verso privati, rimborsi fiscali), polizze vita solo se prive di beneficiario designato (altrimenti no), ecc. Sono esclusi i titoli di Stato e i titoli esenti ex lege. Si indicano anche eventuali donazioni fatte in vita (in nota integrativa) ma solo a fini civilistici, non per tassarle. Vanno inoltre elencati i debiti del defunto deducibili (mutui residui, finanziamenti, debiti verso fornitori se era imprenditore, spese mediche e funerarie, ecc.). Il valore degli immobili è preferibile indicarlo in base alla rendita catastale (salvo immobili di lusso), ma bisogna essere consapevoli che l’AdE potrebbe rettificarlo se molto basso rispetto al mercato . Le partecipazioni non quotate si dichiarano per il loro valore contabile (quota di patrimonio netto) . I beni esteri del defunto (immobili all’estero, conti esteri) vanno dichiarati se il defunto era residente in Italia .
D: Quando si paga l’imposta di successione e come si calcola?
R: Se, calcolando in base ai beni dichiarati e alle franchigie spettanti, risulta dovuta imposta, per i decessi dal 2025 in poi gli eredi devono pagarla entro 90 giorni dalla scadenza per la dichiarazione (quindi entro 15 mesi dal decesso in pratica) . Il pagamento avviene tramite modello F24 con i codici tributo dell’imposta di successione . L’imposta si calcola per ciascun beneficiario, applicando l’aliquota in base al grado di parentela sulla quota netta di eredità che eccede la franchigia (v. tabella aliquote) . Spesso, grazie alle franchigie (es. €1.000.000 per coniuge/figli), molte successioni non pagano nulla, soprattutto se il patrimonio è costituito da casa di abitazione e conti modesti. Attenzione: in ogni caso vanno pagate le imposte ipotecaria 2% e catastale 1% sul valore degli immobili (salvo agevolazioni prima casa), indipendentemente dal fatto che si paghi o meno l’imposta di successione .
D: Se l’eredità è di modesto valore e sotto le franchigie, devo comunque presentare la dichiarazione?
R: Sì, a meno che rientri nello specifico esonero (eredità a coniuge/figli ≤100.000 € senza immobili) . L’obbligo di dichiarazione non dipende dal dover pagare imposta, ma dall’essere subentrati in beni del defunto. Anche se non c’è imposta di successione (perché magari ciascun erede eredita meno della franchigia), occorre dichiarare i beni per aggiornare le intestazioni catastali, svincolare conti bancari, ecc. L’ufficio liquiderà solo le imposte ipocatastali minime (se dovute).
D: Quali sono le sanzioni se non presento la dichiarazione o se la presento infedele?
R: La riforma 2023/24 ha fissato le seguenti sanzioni amministrative (calcolate sull’imposta evasa o tardivamente versata): – Omessa dichiarazione: 120% dell’imposta dovuta (era 120-240% prima). Se non c’è imposta (eredità modesta) la sanzione teorica è da €250 a €1.000 come violazione formale. – Dichiarazione presentata in ritardo oltre 30 giorni: 45% dell’imposta (era 60-120%). Se ritardo entro 30 gg, sanzione ridotta a 1/10 su base 120% (ravvedimento breve). – Dichiarazione infedele (beni omessi o valori sotto dichiarati): 80% dell’imposta evasa (era 100-200%). Queste sanzioni possono essere ridotte con il ravvedimento operoso se il contribuente regolarizza spontaneamente prima della contestazione (es. 1/8 se entro un anno) . Inoltre, se si paga l’avviso entro 60 giorni, la sanzione è già ridotta a 1/3 per legge . Nota: la violazione è tributaria e non penale, salvo i rarissimi casi di dichiarazioni fraudolente con sottrazione di imposta oltre soglie altissime (il penale tributario sulla successione è praticamente teorico, perché servirebbe occultare decine di milioni con dolo) .
D: L’Agenzia delle Entrate controlla tutte le dichiarazioni di successione?
R: Ogni dichiarazione viene perlomeno sottoposta a controlli formali d’ufficio: es. verifica che siano stati versati i tributi autoliquidati (ipocatastali, bollo), che gli immobili dichiarati corrispondano a quelli risultanti al catasto e in possesso del defunto, che i conti bancari dichiarati corrispondano alle comunicazioni delle banche (le banche devono inviare in Agenzia un prospetto dei rapporti intestati al defunto). Se la dichiarazione è completa e corretta, non succede nulla e l’Agenzia non invia comunicazioni (dal 2025 non emette più neppure l’attestato di liquidazione, che prima certificava l’assenza di imposte). Se invece emergono anomalie, l’ufficio procederà a un controllo sostanziale: può chiedere chiarimenti integrativi al contribuente e, se ravvisa imposta non pagata, emette un avviso di liquidazione per recuperarla . Non tutte le pratiche vengono esaminate nel dettaglio, spesso l’AdE concentra l’attenzione su successioni di valore elevato o con determinati indici di rischio (es. presenza di atti notori allegati che segnalano donazioni pregresse, immobili dichiarati con valori molto bassi rispetto alle medie, ecc.). Comunque, la legge prevede un tempo massimo di due anni per effettuare la liquidazione ed eventuali rettifiche (tre anni per le successioni ante 2025). Dopo tali termini, la dichiarazione si considera definita salvo occultamento doloso di beni.
D: Dopo quanto tempo l’Agenzia non può più chiedere tasse sulla successione?
R: I termini di decadenza sono: – per le successioni con dichiarazione presentata, 2 anni dalla data di presentazione (nel nuovo regime) per notificare un avviso di liquidazione per imposta mancante . Nel vecchio regime erano 3 anni per l’avviso principale e 2 anni aggiuntivi (dalla data di pagamento) per un’eventuale imposta complementare . – se la dichiarazione non è stata presentata affatto, il termine è di 5 anni dall’apertura della successione (o forse dall’accertamento dell’omissione, ma l’orientamento equipara a imposte dirette, quindi 31 dicembre del quinto anno successivo) . Entro tale termine l’Agenzia può emettere un avviso di accertamento d’ufficio (imponendo l’imposta senza franchigie). – Attenzione: se emergono beni sopravvenuti (non dichiarati perché non conosciuti), teoricamente il termine di 2 anni decorre dalla dichiarazione integrativa in cui li indicate, oppure l’ufficio potrebbe sostenere – in assenza di integrativa – che è dichiarazione infedele e fare entro 5 anni dall’originaria (questo è dibattuto; Cass.6081/2023 lascia intendere 2 anni dall’integrativa volontaria, ma se non fate integrativa e loro scoprono dopo 4 anni, forse possono comunque intervenire entro 5 anni). In generale, per sicurezza: 5 anni dalla morte (o dalla dichiarazione, se tardiva) è il periodo oltre cui è molto improbabile ricevere qualcosa, salvo appunto omissione totale. – Per le imposte ipotecarie/catastali eventuali conguagli, si applicano gli stessi termini dell’imposta principale (essendo connesse all’atto).
Trascorsi questi termini, l’obbligazione si considera definitivamente decaduta, quindi un eventuale atto emesso tardivamente sarebbe nullo per decadenza e impugnabile in quanto tale.
D: Ho ricevuto un avviso di liquidazione per maggiore imposta: cosa devo fare in pratica?
R: Come spiegato in dettaglio sopra, hai 60 giorni dalla notifica per reagire. In questi 60 giorni puoi: – Pagare interamente quanto dovuto (utilizzando il modello F24 allegato o compilato) beneficiando della sanzione ridotta 1/3 (se già non applicata) . Dopo il pagamento, conserva la ricevuta e comunica all’ufficio se vuoi la quietanza. – Chiedere chiarimenti o autotutela all’ufficio se pensi ci sia un errore (es. persona sbagliata, importo sbagliato). L’istanza di autotutela non sospende però i termini di ricorso/pagamento . – Proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) competente. Il ricorso va notificato all’AdE e depositato entro i termini . Se scegli questa via, valuta di chiedere anche la sospensione al giudice per bloccare la riscossione . – Accertamento con adesione: se vuoi tentare un accordo, presenta istanza di adesione entro i 60 gg . Ciò sospende i termini per ricorrere per 90 giorni e ti permetterà di discutere col funzionario. Se trovi un accordo, pagherai l’importo concordato (con sanzioni ridotte, ma nel caso successione erano già minime).
Alla scadenza dei 60 giorni, se non hai pagato né impugnato (o presentato adesione), l’atto diventa definitivo e l’importo sarà iscritto a ruolo per la riscossione coattiva .
In sintesi, in pratica: verifica motivi e importi; se hai torto e l’importo è gestibile, paga; se hai ragione (o credi di sì) o l’importo è notevole, prepara il ricorso magari facendoti assistere da un avvocato o commercialista esperto in tributario.
D: Posso rateizzare l’importo richiesto dall’avviso?
R: No, non con l’Agenzia, dopo che l’avviso è emesso. L’unica rateazione “in anticipo” era chiedibile in dichiarazione (pagando il 20% e poi rate trimestrali) . Una volta notificato l’avviso, l’AdE non ha facoltà di accordare piani di dilazione oltre i 60 giorni . Se non riesci a pagare subito, l’unica è far passare la pratica all’Agente della Riscossione dopo i 60 giorni: quando riceverai la cartella esattoriale, potrai chiedere a lui la rateazione (fino a 72 rate standard, o 120 rate se importo alto e difficoltà comprovate) . Ovviamente, a quel punto avrai perso la sanzione ridotta (ti applicheranno il 30% intero) e dovrai pagare aggio e interessi di mora. Quindi, se possibile, meglio trovare risorse per pagare entro i 60 giorni. In alternativa, come detto, il ricorso ti dà più tempo (l’ADER di solito aspetta la sentenza di primo grado se c’è sospensione).
D: L’avviso di liquidazione riguarda più eredi: dobbiamo pagarlo ciascuno per la nostra parte?
R: In linea di principio, gli eredi sono obbligati in solido per l’imposta di successione . Ciò significa che l’Agenzia può richiedere l’intero importo a uno qualsiasi di voi (nei limiti del valore ereditato da ciascuno). Per prassi, spesso invia copia dell’avviso a ognuno degli eredi per l’importo totale . Non è per far pagare due volte, ma per cautela. Basterà che uno paghi e il debito si estingue per tutti. Se ciascuno di voi paga una quota (ad es. 50% a testa), assicuratevi di comunicare all’ufficio come imputare i pagamenti, così che risultiate a posto entrambi. Se tu hai già pagato spontaneamente la tua parte in dichiarazione e ora arriva un avviso cumulativo, contatta l’ufficio mostrando la ricevuta del tuo pagamento, in modo che sgravi la tua posizione e ricalcoli l’importo eventualmente solo sugli altri coeredi .
D: Dopo aver pagato l’avviso, devo fare qualche altra formalità?
R: In genere no. Conserva la ricevuta F24 con quietanza. L’avviso stesso una volta pagato si considera definito. Non viene rilasciata una quietanza formale dall’Agenzia (anche se puoi richiedere un attestato di sgravio). Se erano in corso ipoteche giudiziali su immobili per quel debito (cosa rara in successione), verifica che vengano cancellate. Se hai pagato ma successivamente scopri elementi per cui ritieni non fosse dovuto (ad esempio, appare un testamento che ti escludeva), puoi presentare istanza di rimborso entro 3 anni dal pagamento, ma devi avere solide motivazioni (es. allegare la documentazione del perché non eri debitore). Difficilmente però si paga e poi emergono sorprese simili.
D: L’imposta di successione è dovuta anche su immobili ricevuti per testamento ma non rivendicabili dai legittimari?
R: Domanda complessa: se ad esempio il defunto ha lasciato tutta la casa all’amante, ma poi i figli fanno causa e ottengono la riduzione, l’imposta di successione teoricamente era dovuta dall’amante su quella casa alla sua quota (8% senza franchigia, in quanto estranea). Se però i figli la spuntano e recuperano metà casa, si dovrà rettificare la situazione fiscale: l’amante può chiedere rimborso per la parte di imposta pagata su quota poi tolta. La norma d’aiuto è l’art.43 TUS, che prevede il rimborso dell’imposta pagata su istituzioni di erede revocate o reduce all’esito di liti successorie . In pratica: finché le liti tra privati (impugnazioni di testamento, riduzioni) non sono concluse, la situazione fiscale potrebbe dover essere aggiustata. L’Agenzia in teoria dovrebbe attendere prima di incassare definitivamente, ma non sempre lo fa. Quindi, se sei coinvolto in un tale scenario, informane l’ufficio e sappi che l’imposta può essere ridistribuita secondo l’esito (e eventuali soggetti che avevano pagato troppo possono chiederne il rimborso). Le sentenze Cass. 14063/2025 e 5777/2023 chiariscono questi principi a tuo favore .
D: Ho scoperto dopo la successione un conto corrente estero intestato al defunto: come regolarizzo?
R: Dovresti presentare una dichiarazione integrativa di successione, includendo tale conto con il saldo al momento del decesso (convertito in euro). Questo entro il più breve tempo possibile da quando ne hai conoscenza, per evitare contestazioni di occultamento. Poi devi calcolare e versare la relativa imposta di successione complementare dovuta su quel valore (in base al beneficiario a cui spetta quel conto, con la sua franchigia). Puoi ravvederti sulla sanzione per infedele (che sarebbe 80%) pagando ad esempio 1/8 se sei entro un anno dal termine originario. Se fai voluntary disclosure per sanare violazioni di monitoraggio fiscale, attenzione che i capitali esteri emersi vengono considerati sopravvenienze ereditarie: la Cassazione (6081/2023) ha confermato che vanno tassati con integrativa . Quindi conviene sempre autodenunciarsi in integrativa prima che arrivi l’ufficio. Se invece non fai nulla e l’Agenzia lo scopre (ad es. incrociando i dati CRS), riceverai quasi certamente un avviso di liquidazione per l’imposta dovuta su quel conto, con sanzione e interessi.
D: Un trust familiare può aiutare a evitare l’imposta di successione?
R: Dopo la riforma 2024, non è più un escamotage per evitarla, semmai per posticiparla. Infatti ora l’imposta si paga quando i beni escono dal trust ai beneficiari . Quindi se uno costituisce un trust e ci mette la casa, oggi non paga nulla (solo imposta fissa), ma quando tra 20 anni il trust darà la casa ai figli, questi pagheranno l’imposta come se l’avessero ereditata allora. È un differimento. C’è la facoltà di pagare prima l’imposta scegliendo l’opzione di tassazione in entrata , ma il fine può essere solo di certezza, non di risparmio. Quindi un trust lecitamente non elimina l’imposta (a meno di situazioni di esenzione come per aziende di famiglia che magari restano esenti anche nel trust). Qualsiasi struttura che comporti il passaggio di ricchezza ai successori, in Italia, è comunque soggetta al tributo, prima o poi. Nota: L’unico modo per non pagare è confidare nelle franchigie generose: attualmente €1.000.000 a figlio. Patrimoni entro quelle soglie non pagano imposta, trust o non trust.
D: È vero che l’imposta di successione in Italia è bassa rispetto ad altri Paesi? Ci saranno aumenti?
R: Sì, attualmente l’imposta italiana è relativamente mite: aliquote massime al 8% e franchigie alte per parenti stretti. Basti pensare che in Francia e Germania le aliquote per gli estranei arrivano al 40-50% e franchigie basse per collaterali. Negli USA addirittura c’è un’estate tax federale al 40% oltre certe soglie (ma con franchigie altissime, milioni di dollari). In passato si è discusso di aumentare l’imposta italiana sulle grandi ricchezze ereditate (per finalità redistributive), ma allo stato (2025) non risultano interventi normativi imminenti in tal senso. Anzi, la riforma fiscale 2024 non ha toccato aliquote e franchigie . Ciò non toglie che in futuro governi diversi possano rimodularla. Ma per ora, chi eredita in Italia gode di un regime relativamente leggero, specie per coniuge e figli. Ad esempio, lasciare 5 milioni divisi tra 3 figli oggi comporta zero imposta (3 milioni di franchigie cumulati e 2 milioni tassati al 4% = 80k, su 5 milioni totali, che è l’1.6%). In altri Paesi sarebbe molto di più.
D: In caso di successione di un bene in Italia da parte di un erede residente all’estero, l’imposta si paga?
R: Sì, perché rileva la localizzazione del bene (se l’eredità riguarda un immobile in Italia, è imponibile in Italia in ogni caso) oppure la residenza del defunto. Se il defunto era italiano, tassa tutto; se era estero ma il bene è in Italia, l’Italia tassa quel bene. Che l’erede sia residente all’estero non cambia l’applicazione dell’imposta (incide solo su dove notificare eventuali atti). Potrebbe però scattare la tassazione anche nel Paese dell’erede o del defunto: ad es. se un residente UK eredita una casa in Italia, paga imposta in Italia (anche se probabilmente nulla se valore <1M), e forse paga qualcosa anche in UK (che tassa pure i beni esteri dei suoi residenti che ereditano? In UK la estate tax è sul deceduto, complessa questione). Comunque l’Italia essendo con aliquote minori spesso risulta un prelievo modesto rispetto all’estero.
D: Cosa succede se ci si “dimentica” di presentare la successione o di pagare?
R: “Dimenticanze” volute o non volute possono avere conseguenze serie: se non presenti affatto la dichiarazione, l’Agenzia può scoprirlo tramite vari indizi (gli immobili rimasti intestati al defunto, conti bloccati, denunce di altri coeredi, ecc.). In tal caso procederà a notificare un avviso di accertamento d’ufficio: calcolerà l’imposta su tutti i beni noti (senza franchigie, perché in caso di omissione la legge non le riconosce ), applicherà la sanzione del 120% dell’imposta e interessi, e spesso iscriverà ipoteca sugli immobili ereditari in garanzia. Inoltre, se passano più di 12 mesi dalla morte, la conservatoria dei registri immobiliari segnala al fisco che non risulta presentata la successione per quell’immobile. Quindi non è facile farla franca. Se invece presenti la dichiarazione ma non paghi l’imposta autoliquidata, ugualmente entro 2 anni ti arriverà un avviso per omesso versamento con sanzione 30% (ridotta a 10% se paghi subito). Insomma, “dimenticare” non è affatto consigliato. Molto meglio eventualmente chiedere una proroga o ravvederti appena possibile.
D: È vero che se l’eredità comprende solo conti correnti e niente immobili posso evitare il notaio?
R: Sì, la dichiarazione di successione non richiede necessariamente un notaio. Si può fare in autonomia online o tramite un CAF/intermediario. Il notaio spesso interviene quando ci sono immobili da volturare o testamenti da pubblicare. Ma tecnicamente chiunque (anche l’erede stesso) può presentare la dichiarazione. Oggi l’invio telematico richiede SPID e dimestichezza con il software Successioni. Ci sono CAF che offrono il servizio. Se l’attivo è composto solo da soldi in banca e pochi beni mobili, molti scelgono il fai-da-te o tramite CAF. Nota: se non ci sono immobili, non ci sono imposte ipocatastali e la procedura è più semplice (spesso le banche accettano anche una dichiarazione sostitutiva di atto notorio indicante gli eredi, per sbloccare i conti, unitamente alla dichiarazione di successione telematica presentata). In conclusione, sì, il notaio in successione serve solo per atti particolari (pubblicazione testamento orografo, rinunce, ecc.), non per forza per la dichiarazione fiscale.
D: In caso di errore materiale nella dichiarazione (es. codice fiscale sbagliato, quota errata), come rimediare?
R: Se ti accorgi di errori dopo l’invio, puoi presentare una dichiarazione di successione integrativa o sostitutiva a seconda del tipo di errore. Se si tratta di aggiungere beni o modificare importi, sarà “integrativa” e genera eventualmente imposta complementare; se è proprio da correggere un dato anagrafico o eliminare un bene inserito per errore, si può fare una “sostitutiva” (che annulla e sostituisce la precedente). In entrambi i casi, fallo appena rilevi l’errore e comunque entro i termini. L’Agenzia considera la dichiarazione integrativa come fatta nei termini se l’originale lo era, purché non modifichi la struttura essenziale. In ogni caso, meglio correggere volontariamente che aspettare che lo notino loro. Eventuali differenze d’imposta andranno versate con sanzione ridotta (ravvedimento).
D: I debiti del defunto verso il Fisco (tipo cartelle esattoriali) vanno pagati dagli eredi?
R: Sì, i debiti tributari (come tutti i debiti) si trasmettono agli eredi nei limiti del valore ereditato. Nella dichiarazione di successione gli eredi possono dedurre tali debiti (se pagati con l’eredità) così da ridurre l’imponibile . Ma attenzione: dedurli non significa non pagarli, significa solo che non ci paghi sopra anche l’imposta di successione. Quindi, se c’era una cartella esattoriale a carico del defunto di €50.000, gli eredi se accettano l’eredità devono farsene carico (magari con beneficio d’inventario se vogliono limitare il rischio). L’importo di 50k si può riportare come passività deducibile (se effettivamente viene pagata con l’asse ereditario), così l’attivo tassabile si riduce. Ma la cartella va comunque saldata agli enti creditori (o contestata se ci sono motivi). Il Fisco su questo è “prenditore” sia come creditore diretto che come esattore dell’imposta di successione, quindi su un lato o l’altro recupera.
Hai presentato la dichiarazione di successione e hai provveduto all’autoliquidazione dell’imposta? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai presentato la dichiarazione di successione e hai provveduto all’autoliquidazione dell’imposta?
Vuoi sapere come avvengono i controlli dell’Agenzia delle Entrate e quali difese puoi attivare in caso di contestazioni?
👉 Prima regola: verifica la correttezza dei valori dichiarati e la documentazione allegata, perché l’Agenzia può rideterminare l’imposta dovuta anche anni dopo la presentazione.
⚖️ Come funziona l’autoliquidazione
- Con la dichiarazione di successione, il contribuente calcola e versa direttamente le imposte ipotecarie, catastali e l’imposta di successione;
- L’Agenzia delle Entrate effettua un controllo successivo per verificare correttezza di valori, quote ereditarie e agevolazioni richieste;
- In caso di differenze, può emettere un avviso di liquidazione con imposte aggiuntive.
📌 Quando scattano le contestazioni
- Sotto-valutazione degli immobili ereditati rispetto ai valori catastali o di mercato;
- Omissione di beni o diritti nell’attivo ereditario (conti correnti, titoli, polizze vita);
- Agevolazioni prima casa richieste senza i requisiti;
- Errori nella ripartizione delle quote ereditarie;
- Mancata allegazione di documenti a supporto delle detrazioni o esenzioni.
📌 Conseguenze delle contestazioni
- Richiesta di imposte aggiuntive rispetto a quelle autoliquidate;
- Sanzioni per dichiarazione infedele;
- Interessi di mora sulle somme dovute;
- Possibili profili penali in caso di occultamento doloso di beni ereditari di rilevante valore.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- I valori dichiarati erano coerenti con le rendite catastali e i prezzi di mercato?
- Tutti i beni ereditari sono stati inseriti correttamente?
- Le agevolazioni (prima casa, franchigie, esenzioni) erano effettivamente spettanti?
- L’Agenzia ha motivato adeguatamente l’avviso di liquidazione?
- L’accertamento è stato notificato entro i termini di decadenza?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Copia della dichiarazione di successione e ricevute di pagamento;
- Visure catastali e perizie di stima degli immobili;
- Estratti conto e certificazioni bancarie alla data del decesso;
- Documentazione delle agevolazioni richieste (residenza, requisiti prima casa, vincoli disabili ecc.);
- Copia dell’avviso di liquidazione e motivazione allegata.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la correttezza dei valori dichiarati con perizie tecniche;
- Contestare errori di calcolo o applicazione errata di aliquote e franchigie;
- Evidenziare la buona fede e la regolarità della documentazione allegata;
- Eccepire la decadenza dei termini di accertamento;
- Richiedere annullamento in autotutela o rideterminazione delle somme;
- Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la dichiarazione di successione e l’avviso di liquidazione;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione e i margini difensivi;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e nelle trattative con l’Agenzia delle Entrate;
🔁 Suggerisce soluzioni preventive per la corretta compilazione delle successioni future.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e successioni ereditarie;
✔️ Specializzato in difesa contro accertamenti su imposta di successione;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
I controlli dell’Agenzia delle Entrate sull’autoliquidazione dell’imposta di successione non sempre si traducono in accertamenti corretti: spesso derivano da stime arbitrarie o da errori formali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità della dichiarazione, ridurre o annullare le pretese fiscali e contenere sanzioni e interessi.
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