Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunto uso illecito di cooperative infermieristiche? In questi casi, l’Ufficio presume che la cooperativa sia stata utilizzata in modo artificioso per ridurre il carico fiscale o contributivo, celando rapporti di lavoro subordinato sotto forma di collaborazione associativa. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte e dei contributi, sanzioni elevate e possibili contestazioni penali per frode fiscale. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben documentata è possibile dimostrare la reale operatività della cooperativa o ridurre in modo significativo le sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’uso illecito di cooperative infermieristiche
– Se i rapporti tra i soci e la cooperativa mascherano rapporti di lavoro subordinato non dichiarato
– Se i compensi distribuiti ai soci sono sproporzionati o non coerenti con le prestazioni rese
– Se la cooperativa è priva di autonomia gestionale ed è utilizzata solo come “contenitore fiscale”
– Se emergono incongruenze tra i bilanci, le dichiarazioni fiscali e i flussi di pagamento
– Se l’Ufficio presume che la cooperativa sia stata creata unicamente per abbattere i costi fiscali e previdenziali
Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte dirette e indirette non versate
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Recupero dei contributi previdenziali e assicurativi omessi
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Denuncia penale per dichiarazione fraudolenta, truffa ai danni dello Stato o false comunicazioni sociali
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale operatività della cooperativa e l’autonomia gestionale rispetto ai soci
– Produrre statuti, delibere, bilanci e contratti che provino la correttezza dell’attività svolta
– Contestare la riqualificazione dei rapporti come lavoro subordinato in assenza dei requisiti
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di calcolo o carenze istruttorie nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre le sanzioni e i contributi richiesti
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, difendersi anche in sede penale
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la struttura della cooperativa e i rapporti con i soci
– Verificare la legittimità della contestazione e l’applicazione delle normative fiscali e previdenziali
– Predisporre un ricorso basato su prove concrete e vizi procedurali
– Difendere la cooperativa e i suoi amministratori davanti ai giudici tributari e penali
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni fiscali e previdenziali applicate
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della legittima attività della cooperativa
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: le cooperative infermieristiche sono considerate dal Fisco un settore a rischio per possibili abusi fiscali e contributivi. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare conseguenze economiche e penali molto pesanti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, societario e penale tributario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per uso illecito di cooperative infermieristiche e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.
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Introduzione
L’utilizzo di cooperative infermieristiche per fornire personale sanitario a strutture pubbliche o private è una prassi diffusa in Italia, spesso impiegata per far fronte alla carenza di organico. Tuttavia, negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate e gli organi ispettivi hanno intensificato i controlli su questo fenomeno, scoprendo in molti casi un uso illecito delle cooperative finalizzato ad aggirare norme fiscali, contributive e sul lavoro . In pratica, dietro appalti di servizi infermieristici si celano spesso vere e proprie somministrazioni di personale non autorizzate, ossia fornitura di lavoratori tramite cooperative “spurie” o fittizie. Ciò comporta conseguenze gravi: le prestazioni vengono riqualificate come rapporti di lavoro subordinato diretti con il committente, facendo scattare sanzioni tributarie (ad esempio per IVA indetraibile, costi indeducibili, omesse ritenute) , richieste di contributi previdenziali arretrati (INPS) e perfino profili penali per frode fiscale o altri illeciti.
Importante: la trattazione è di livello avanzato e non sostituisce il parere professionale su casi concreti. Ogni situazione presenta peculiarità che vanno valutate da un esperto. Questa guida offre però un orientamento completo sulle problematiche più comuni legate all’uso illecito di cooperative infermieristiche e sugli strumenti di difesa attivabili.
Cosa si intende per “uso illecito di cooperative infermieristiche”
Per uso illecito di cooperative infermieristiche si intende l’impiego di una cooperativa (spesso cooperativa sociale di tipo A, attiva in ambito sanitario-assistenziale) con modalità difformi dalla legge, allo scopo di ottenere indebiti vantaggi in termini di costo del lavoro e di regime fiscale/previdenziale. In pratica, il committente (ad es. un’azienda sanitaria, un ospedale, una clinica privata o anche un intermediario) stipula formalmente un contratto di appalto di servizi con la cooperativa, che prevede la fornitura di personale infermieristico o socio-sanitario. Formalmente si tratta quindi di esternalizzare un servizio. Nella realtà, però, spesso l’appalto è solo apparente: la cooperativa non svolge un servizio con organizzazione autonoma, ma mette a disposizione mano d’opera (infermieri, OSS, operatori sanitari) che di fatto lavorano alle dipendenze organizzative del committente, integrandosi nei suoi turni e nella sua struttura .
Questo schema configura una somministrazione illecita di manodopera, vietata dalla normativa sul lavoro. Infatti, la legge italiana consente la somministrazione di personale solo tramite soggetti autorizzati (le Agenzie per il Lavoro iscritte in apposito Albo ministeriale) . Le normali imprese o cooperative non possono somministrare lavoro temporaneo a terzi se non rispettando i requisiti dell’appalto genuino. Quando un appalto di servizi è utilizzato in realtà per fornire personale (specialmente in settori “labour intensive” come la sanità), siamo in presenza di un appalto fittizio, che nasconde un interposto rapporto di lavoro. La cooperativa funge da schermo: assume formalmente gli infermieri come soci lavoratori o collaboratori, ma essi lavorano quotidianamente presso il committente, seguendone direttive, orari, protocolli. Il committente, dal canto suo, paga fatture alla cooperativa invece di pagare stipendi ai lavoratori, conseguendo così vari vantaggi percepiti: flessibilità estrema (può cessare la “collaborazione” in ogni momento non essendoci assunzione diretta), riduzione dei costi (spesso le cooperative applicano contratti meno onerosi o evitano alcuni oneri) , ed eventualmente benefici fiscali (es. IVA detraibile sulle fatture, cosa che non accadrebbe pagando normali retribuzioni soggette a ritenute).
Tipicamente, le situazioni di illecito coinvolgono anche cooperative spurie o di comodo: soggetti giuridici costituiti ad hoc che non adempiono regolarmente agli obblighi tributari e contributivi. Un modello emerso da verifiche recenti è quello di cooperative “a rotazione”: la cooperativa accumula debiti IVA e INPS in pochi anni (magari perché applica tariffe troppo basse per pagare tutto), poi viene messa in liquidazione e sostituita da una nuova, ma i lavoratori restano gli stessi e continuano a operare nella medesima struttura . In questo modo, il committente rimane indifferente ai default della cooperativa fornitrice, mentre Erario e INPS restano creditori insoddisfatti (tasse e contributi non versati) . È evidente come tale “sistema” danneggi sia i lavoratori (che rischiano buchi contributivi e minori tutele), sia la concorrenza leale, sia le finanze pubbliche.
Riassumendo, l’uso illecito di cooperative infermieristiche si concretizza quando:
- L’appalto di servizi è simulato: il contratto con la cooperativa non corrisponde a un risultato autonomo, ma serve solo a procurare personale all’ente utilizzatore.
- Mancano autonomia e rischio d’impresa in capo alla cooperativa: quest’ultima non organizza realmente il lavoro in modo indipendente, non investe propri mezzi significativi né assume veri rischi economici (limitandosi a passare fatture di costo del personale) .
- Il potere direttivo sul personale spetta al committente: gli infermieri della cooperativa, di fatto, seguono le istruzioni e l’orario del capo servizio del reparto ospedaliero o del dirigente della struttura dove operano, inserendosi stabilmente nell’attività del committente .
- Il corrispettivo contrattuale è legato alle ore di lavoro fornite e non a uno specifico risultato: ad es. la ASL richiede un monte ore annuo di servizio infermieristico (es. “X ore di lavoro in reparto per coprire turni”) invece che un progetto o un’opera definita .
- Le attrezzature e i locali sono messi a disposizione dal committente: la cooperativa spesso non fornisce mezzi propri (se non eventualmente la mera intermediazione amministrativa), mentre il personale cooperativo usa strumenti, divise e ambienti dell’ospedale/clinica .
- Vi è continuità con il personale interno: i lavoratori della cooperativa svolgono mansioni identiche a quelle dei dipendenti del committente e colmano i vuoti di organico della struttura, integrandosi nei team esistenti .
Quando ricorrono questi elementi, l’appalto è considerato fittizio e si configura l’interposizione illecita di manodopera. Come vedremo, la legge prevede che in tali casi i lavoratori coinvolti siano considerati a tutti gli effetti alle dipendenze del committente sin dall’inizio del rapporto , con una serie di conseguenze legali sul piano del lavoro, dei contributi e delle imposte.
Quadro normativo di riferimento
Per comprendere appieno i profili di illegittimità e le possibili difese, è necessario riepilogare il quadro normativo italiano rilevante, su tre piani: (A) la normativa sul lavoro e gli appalti/somministrazione; (B) la disciplina tributaria applicabile (IVA, imposte dirette, ecc.); (C) gli obblighi previdenziali e assicurativi. Esamineremo anche i risvolti penali eventualmente connessi a queste condotte.
Somministrazione di manodopera e divieto di interposizione illecita
Il divieto di interposizione di manodopera ha radici antiche nell’ordinamento (risalenti alla legge n. 1369/1960, che vietava l’appalto di mere prestazioni di lavoro). Oggi la materia è regolata principalmente dal D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 (c.d. legge Biagi) e dal D.Lgs. 15 giugno 2015 n. 81 (Testo organico dei contratti di lavoro, emanato col Jobs Act), in particolare agli artt. 30-40 di quest’ultimo .
In generale:
– È consentito che un’impresa (somministratore autorizzato) invii propri lavoratori a svolgere attività presso un altro soggetto (utilizzatore), sotto la direzione di quest’ultimo, solo se ricorre un contratto di somministrazione di lavoro stipulato da un’agenzia per il lavoro munita di autorizzazione ministeriale . Agenzie e utilizzatori devono rispettare precisi vincoli (limiti quantitativi, pari trattamento economico ai somministrati, divieti in certi casi, forma scritta del contratto, ecc.).
– Se il soggetto che fornisce personale non è un’agenzia autorizzata, l’operazione è lecita solo se configurabile come appalto genuino di servizi. L’art. 1655 c.c. definisce l’appalto come il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o servizio verso un corrispettivo. L’art. 29 D.Lgs. 276/2003 (ancora vigente) precisa i requisiti del “genuino appalto”: l’appaltatore deve esercitare il potere organizzativo e direttivo verso i propri addetti ed assumersi il rischio d’impresa. L’assenza di tali requisiti, specie negli appalti ad alta intensità di lavoro, fa presumere un’interposizione illecita .
Il D.Lgs. 81/2015 all’art. 38 disciplina la somministrazione irregolare. Questa norma prevede, in particolare, che:
– Forma scritta: se il contratto di somministrazione non è stipulato per iscritto, esso è nullo e i lavoratori coinvolti sono considerati dipendenti dell’utilizzatore sin dall’inizio .
– Somministrazione al di fuori dei casi consentiti: se la fornitura di lavoro avviene al di fuori dei limiti e delle condizioni di legge, il lavoratore può chiedere al giudice di essere dichiarato dipendente dell’utilizzatore ab origine . L’art. 38, co.2 individua alcune ipotesi tipiche (violazione dei limiti numerici, casi vietati ex art. 32, mancanza di elementi essenziali nel contratto) in cui scatta questa tutela, ma la clausola di chiusura (richiamo all’art. 27 D.Lgs. 276/2003) fa sì che ogni ipotesi di interposizione illecita dia diritto alla costituzione del rapporto diretto .
– Termini di impugnazione: il lavoratore deve impugnare la somministrazione illegittima entro 60 giorni dalla cessazione presso l’utilizzatore, e poi agire in giudizio entro i termini di cui all’art. 6 L. 604/1966 (ulteriori 180 giorni, salvo tentativo di conciliazione) . Nel caso di specie (cooperative infermieristiche) spesso i lavoratori non impugnano nell’immediato – magari sono grati di avere un impiego – ma la regolarizzazione può emergere in sede ispettiva o contenziosa.
– Effetti: se il giudice accerta l’interposizione illecita, dichiara l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra lavoratore e utilizzatore (es. infermiere e ASL o clinica privata), con decorrenza dall’inizio. In luogo della riassunzione piena, la legge prevede un’indennizzo onnicomprensivo tra 2,5 e 12 mensilità di retribuzione (che copre sia il risarcimento del periodo pregresso sia differenze retributive/contributive). Tuttavia, il lavoratore può anche rivendicare differenze di trattamento economico se, ad esempio, in cooperativa era pagato meno del CCNL sanità applicabile dal committente. In ogni caso, i pagamenti già effettuati dalla cooperativa (retribuzioni versate, contributi pagati) liberano il committente fino a concorrenza di quanto corrisposto , evitando duplicazioni.
Dal punto di vista sanzionatorio amministrativo, la riforma del 2015 ha depenalizzato la “somministrazione fraudolenta” prevista dalla legge previgente. Oggi, le violazioni in materia di appalto illecito e somministrazione irregolare comportano sanzioni pecuniarie amministrative (art. 40 D.Lgs. 81/2015) di importo relativamente contenuto (da 250 a 1.250 euro) per ciascun lavoratore coinvolto . Queste sanzioni colpiscono: il committente (se viola i limiti quantitativi o i divieti di utilizzo di somministrati, oppure interferisce nella direzione dei lavoratori appaltati), e il somministratore (se manca di requisiti formali, informativi, etc.) . Ben più rilevanti, come si è detto, sono le conseguenze civilistiche (costituzione del rapporto di lavoro e obbligo di corresponsione retribuzioni e contributi). In aggiunta, in caso di appalto illecito nell’ambito di contratti pubblici, possono configurarsi altri illeciti: ad esempio, la frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.) se l’appaltatore-cooperativa non esegue quanto promesso – il NAS dei Carabinieri, in un blitz del 2022, ha denunciato titolari di cooperative per avere inviato meno personale di quello pattuito negli ospedali pubblici, o personale non qualificato, ipotizzando proprio reati di frode in pubbliche forniture oltre all’intermediazione illecita .
Cooperative sociali – Una particolarità del settore infermieristico è che molte cooperative coinvolte si qualificano come cooperative sociali di tipo A, disciplinate dalla L. 381/1991. Queste cooperative hanno come scopo la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi e godono di agevolazioni (fiscali, contributive) se operano correttamente. Nulla vieta alle cooperative sociali di assumere infermieri e fornire servizi di assistenza infermieristica domiciliare o presso strutture, a patto che si tratti di un servizio esternalizzato genuino (es. gestione completa di un reparto o di una RSA con proprio personale, assumendosi direzione e rischio). Anzi, la normativa IVA prevede regimi agevolati: le prestazioni socio-sanitarie rese da cooperative sociali sono esenti IVA o a IVA ridotta al 5% in talune condizioni (cfr. art. 10, co. 1 n.27-ter DPR 633/1972, come modificato dalla L. 208/2015) . Tuttavia, se la cooperativa sociale viene usata come schermo per semplice fornitura di personale a ore, tali benefici decadono e l’operazione viene riqualificata: l’Ispettorato del Lavoro può sanzionare l’interposizione e, come vedremo, l’Agenzia delle Entrate può contestare l’indebito utilizzo di regimi fiscali in relazione a un contratto ritenuto simulato.
In sintesi, dal punto di vista giuslavoristico, l’utilizzo illecito di cooperative infermieristiche infrange la normativa su appalti e somministrazione: i lavoratori si considerano dipendenti del committente, con tutto ciò che ne consegue. Questo è il presupposto su cui poi si innestano le contestazioni fiscali e previdenziali.
Profili fiscali: IVA, imposte dirette e fatture “soggettivamente inesistenti”
Sul piano tributario, l’uso di cooperative spurie coinvolge principalmente tre aspetti: IVA, imposte sui redditi (IRES/IRPEF) e IRAP. Quando l’Agenzia delle Entrate accerta che un appalto era in realtà una somministrazione illegale, tipicamente formula due tipi di contestazioni:
1. Indebita detrazione IVA e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
2. Indebita deduzione di costi e mancata applicazione di ritenute fiscali sui redditi di lavoro.
Vediamoli in dettaglio.
1) IVA e fatture “soggettivamente inesistenti”. Il committente che impiega la cooperativa riceve da questa fatture per “prestazioni di servizi socio-sanitari” o simili, con IVA (spesso al 5% se la cooperativa è sociale, oppure al 22% se no). Egli paga l’importo + IVA e si detrae quest’ultima in dichiarazione, come farebbe per qualunque fornitura. Ma se il rapporto viene qualificato come somministrazione illecita di manodopera, in realtà la cooperativa non aveva titolo per emettere quelle fatture con IVA, perché ciò che ha fornito non è un vero servizio autonomo, bensì lavoro interinale. Di conseguenza l’operazione viene considerata “inesistente” sotto il profilo soggettivo: le fatture sono emesse da un soggetto (la coop) diverso dal reale fornitore della manodopera (che sarebbe il committente stesso, datore di lavoro effettivo) . La Cassazione penale ha stabilito che in questi casi è configurabile il reato di frode fiscale ex art. 2 D.Lgs. 74/2000, ossia dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, proprio perché si utilizza un impianto contrattuale fittizio per detrarre indebitamente l’IVA . In particolare, la sentenza Cass. pen. n. 16302/2022 ha affermato che l’IVA sulle fatture emesse in uno schema di intermediazione illegale non è detraibile, e anzi integra il reato in quanto vi è divergenza tra il soggetto che emette fattura e chi realmente ha fornito la prestazione lavorativa .
Dal punto di vista amministrativo, l’Agenzia delle Entrate in sede di accertamento disconosce la detraibilità dell’IVA su tali fatture. Considera cioè quelle fatture come emesse per operazioni non imponibili (in quanto avrebbero dovuto configurarsi come retribuzioni ai lavoratori) e quindi l’IVA diviene indebitamente detratta. L’effetto è duplice:
– Il committente perde il diritto alla detrazione e deve restituire l’IVA detratta, oltre a sanzioni e interessi. Ad esempio, se la cooperativa aveva fatturato 100.000 € + IVA 5% = 105.000 €, il committente forse ha detratto 5.000 €; gli verrà contestata l’indebita detrazione di quei 5.000 €, con sanzione (normalmente 90% dell’imposta) e interessi.
– In alcuni casi estremi, la Guardia di Finanza e la Procura contestano che il committente abbia utilizzato fatture false (operazioni soggettivamente inesistenti) per ridurre l’IVA dovuta e quindi configurano il reato di cui sopra. Nel caso citato (cooperative settore handling), i giudici hanno ritenuto “pacifica la fittizietà del contratto di appalto […] stipulato al solo fine di coprire un reale contratto di somministrazione di lavoro” , con conseguente inesistenza soggettiva delle fatture e non spettanza della detrazione IVA. Ciò è servito come elemento per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell’azienda utilizzatrice, imputata di frode fiscale .
Tecnicamente, l’IVA diviene “fuori campo” perché manca un’effettiva operazione imponibile tra i due soggetti (se i lavoratori sono considerati dipendenti dell’utilizzatore, non c’è prestazione di servizi rilevante ai fini IVA) . In dottrina si parla di fatture “fuori campo IVA” o “fuori conto” – l’IVA addebitata in fattura diventa dovuta comunque (la cooperativa che l’ha addebitata dovrebbe versarla, e se non l’ha fatto verrà recuperata) ma il detentore della fattura non può detrarla . In definitiva, sul piano fiscale il committente finisce per pagare un’IVA che non avrebbe dovuto essere applicata, perdendo il beneficio della detrazione.
Nota: È possibile per il committente difendersi sul piano penale dimostrando la buona fede, ossia che non era a conoscenza della natura fraudolenta dell’operazione e di aver agito con normale diligenza. In alcuni casi, la giurisprudenza ha escluso la punibilità dell’imprenditore utilizzatore se questi poteva ragionevolmente ritenere l’appalto genuino (ad esempio, perché la cooperativa appariva strutturata, in regola, e il committente non esercitava poteri diretti sui lavoratori). Tuttavia, l’onere della prova della buona fede è piuttosto alto e l’Agenzia Entrate sul piano amministrativo tende comunque a recuperare l’imposta detratta, a meno che il contribuente provi documentalmente la reale esistenza di un servizio autonomo reso dalla cooperativa (cosa difficile se di fatto i criteri del genuino appalto sono carenti).
2) Costi deducibili e omesse ritenute fiscali. Un altro profilo riguarda la deducibilità dei costi pagati alla cooperativa e le eventuali ritenute Irpef. Se l’appalto è fittizio, i compensi versati alla cooperativa sono sostanzialmente retribuzioni pagate ai lavoratori. In un mondo perfetto, il committente avrebbe assunto direttamente quegli infermieri: avrebbe dedotto il costo del personale nel suo bilancio (deduzione comunque ammessa ai fini IRES/Irap in larga parte) ma avrebbe dovuto operare le ritenute Irpef in busta paga e versarle mensilmente allo Stato, e pagare i contributi. Invece, tramite la cooperativa, il committente spesso ottiene un duplice vantaggio fiscale immediato:
– Deduce comunque l’intero importo fatturato come costo di servizi (abbattendo il reddito d’impresa ai fini IRES).
– Non essendo lui il datore di lavoro, non effettua ritenute fiscali sui compensi dei lavoratori. Sarà la cooperativa a dover trattenere l’IRPEF sulle paghe degli infermieri (in qualità di sostituto d’imposta per i propri dipendenti/soci). Se però la cooperativa è infedele, potrebbe omettere di versare tali ritenute o potrebbe inquadrare i lavoratori come soci con ristorni (talvolta soggetti a imposte diverse).
L’Agenzia delle Entrate, in sede di accertamento, tende a contestare che i costi fatturati dalla cooperativa, in quanto relativi a un rapporto simulato contrario a norme imperative, non siano deducibili. In base all’art. 14, co. 4-bis della L. 537/1993, infatti, non sono deducibili i costi o le spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificati come reato. Se viene contestata la frode fiscale (reato) o comunque un’operazione nulla per illiceità della causa (somministrazione abusiva), il Fisco potrebbe sostenere l’indeducibilità dei costi relativi.
Su questo aspetto si registrano pronunce della Cassazione tributaria: ad esempio, l’ordinanza Cass. n. 20591/2024 (Sez. Trib.) ha ribadito che, ai fini sia della deducibilità dei costi sia della detrazione IVA, occorre distinguere tra appalto genuino e somministrazione illecita in base a rischio d’impresa e organizzazione dei mezzi in capo all’appaltatore . Se questi requisiti mancano, l’operazione è illecita e le pretese fiscali (negata deduzione e negata detrazione) dell’Amministrazione trovano fondamento. In altre parole, dove c’è un appalto fittizio finalizzato a eludere norme sul lavoro, i “componenti negativi” di reddito (i costi) possono essere disconosciuti dal Fisco . La Cassazione 2024 ha formulato un principio di diritto chiaro: “Ai fini della deduzione di componenti negativi di reddito e della detrazione dell’IVA, la distinzione tra appalto genuino e illecita somministrazione si basa sulla presenza sia del rischio d’impresa sia dell’autonoma organizzazione di mezzi e personale da parte dell’appaltatore” . Se ciò manca, i costi fatturati non possono essere trattati fiscalmente come normali costi d’impresa.
Va detto che non sempre l’Agenzia disconosce tout court la deducibilità: in alcuni casi, se le retribuzioni ai lavoratori sono state effettivamente pagate (seppur via coop), potrebbe ammettere il costo ai fini IRES ma contestare semmai l’omessa applicazione di ritenute. Infatti, se i lavoratori sono considerati dipendenti del committente, quest’ultimo avrebbe dovuto operare le ritenute IRPEF sui loro redditi. Pertanto, il Fisco può emettere avvisi di accertamento per recuperare le ritenute non effettuate (con relativi interessi e sanzioni). Parliamo delle ritenute da lavoro dipendente (art. 23 DPR 600/73) che l’azienda avrebbe dovuto trattenere sugli stipendi mensili. Questa è una posta rilevante: spesso le cooperative sociali applicano ai soci lavoratori una tassazione agevolata (ad esempio con ristorno in parte detassato) e comunque talora non versano tutte le ritenute. Il committente, se riconosciuto datore di lavoro di fatto, diventa coobbligato per quelle ritenute. L’ordinamento (art. 64 DPR 600/73) prevede che se il sostituto d’imposta (cooperativa) non versa le ritenute, l’Amministrazione può rivalersi anche sul sostituito (il percettore); tuttavia, quando si riqualifica il rapporto, il committente è visto come sostituto inadempiente.
Inoltre, un costo “fraudolento” legato a reato (es. frode fiscale) è indeducibile per espressa previsione. Dunque, in casi gravi, l’Agenzia recupera a tassazione il costo fatturato (aumentando il reddito imponibile) e applica la sanzione per dichiarazione infedele. Questo aspetto tuttavia può essere modulato: se i lavoratori erano stati pagati secondo parametri normali, l’azienda potrà argomentare che il costo è inerente all’attività (comunque quelle persone hanno lavorato producendo ricavi) e che non vi è dolo di evasione sulle imposte dirette (semmai un’irregolarità nel come sono stati inquadrati). La giurisprudenza comunque è severa: una recente sentenza di merito (Tribunale di Roma, 10 giugno 2024) ha sottolineato come in fattispecie simili l’elusione contributiva e fiscale sia parte integrante del vantaggio cercato dalle imprese tramite le cooperative spurie . In altre parole, l’azienda appaltante godrebbe di costi del lavoro artificialmente ridotti proprio perché le cooperative evadono una parte di tributi e contributi: ciò giustifica un approccio rigoroso nel disconoscere i benefici fiscali ottenuti e perseguire eventuali profili di concorso nell’evasione.
IRAP: Un breve cenno sul Irap (Imposta regionale sulle attività produttive). Normalmente, il costo del personale dipendente non è deducibile dalla base imponibile IRAP (salvo alcune agevolazioni). Viceversa, i costi per servizi appaltati lo sono. Dunque, un’azienda sanitaria che esternalizza infermieri tramite cooperativa abbassa la propria base IRAP (deducendo il servizio) rispetto a se avesse assunto personale (in tal caso il costo del personale non abbatte l’IRAP). L’amministrazione finanziaria, qualora riclassifichi quei costi come di personale, può ricalcolare l’IRAP dovuta. Ad esempio, in Cassazione ord. n. 20591/2024, tra i motivi vi era la contestazione proprio della deduzione ai fini IRAP di costi dissimulanti retribuzioni . Quindi il contribuente potrebbe vedersi richiedere anche l’IRAP non versata in più, con sanzioni.
Riassumendo i principi fiscali in gioco:
– IVA: la fattura della cooperativa viene considerata, in caso di appalto illecito, come riferita a un’operazione inesistente (soggettivamente). L’IVA addebitata non è detraibile per il committente, e se detratta viene recuperata . Possibile contestazione di utilizzo di fatture false (reato art.2 D.Lgs. 74/2000) se vi è dolo.
– Imposte dirette: i costi possono essere indeducibili se correlati ad attività illecite o se considerati antieconomici/fittizi. In ogni caso, il committente dovrebbe essere trattato alla stregua di datore di lavoro, quindi responsabile delle ritenute non operate.
– Sanzioni amministrative tributarie: oltre agli interessi, si applicano sanzioni per indebita detrazione IVA (30% o 90% a seconda dei casi, ex D.Lgs. 471/97), per dichiarazione infedele (dal 90% al 180% della maggiore imposta sui redditi), per omesso versamento ritenute (20% di ogni importo non versato, salvo profili penali se l’omissione supera 150.000 € annui – v. infra).
Profili previdenziali e contributivi
L’aspetto previdenziale è cruciale: se i lavoratori della cooperativa sono considerati a tutti gli effetti dipendenti dell’utilizzatore, quest’ultimo risponde in solido del pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi dovuti. In caso di appalto illecito, infatti, l’INPS e l’INAIL, spesso a seguito della segnalazione dell’Ispettorato del Lavoro, procedono a rideterminare i contributi come se il committente fosse il datore di lavoro.
Le conseguenze sono:
– Richiesta di versamento dei contributi evasi: l’INPS calcola la differenza tra quanto versato dalla cooperativa (se qualcosa è stato versato) e quanto avrebbe dovuto versare l’azienda utilizzatrice applicando le aliquote corrette, e notifica un verbale di accertamento contributivo. Queste somme possono essere molto elevate, considerando che spesso le coop spurie non versavano affatto i contributi o applicavano agevolazioni non spettanti. Il committente si vede recapitare un avviso di addebito INPS con valore di titolo esecutivo per i contributi arretrati e le sanzioni civili (interessi di mora e sanzioni per omesso versamento, che maturano rapidamente).
– Regolarizzazione posizioni assicurative dei lavoratori: i periodi lavorati vengono attribuiti come servizio presso il committente, garantendo al lavoratore la copertura. L’INPS tende a tutelare il lavoratore, ma deve recuperare le somme dal responsabile effettivo (committente in solido con la coop).
– Sanzioni amministrative: oltre alle sanzioni civili (interessi) per omesso versamento contributi, possono applicarsi sanzioni amministrative specifiche per lavoro irregolare. Ad esempio, se emergono lavoratori di fatto subordinati non registrati come tali, si può teorizzare anche il “lavoro nero” con maxi-sanzione (ma qui dipende dalla qualificazione: se formalmente erano assunti dalla cooperativa, non sono in nero, sebbene con un datore fittizio). Più spesso, però, si contesta l’evasione contributiva con recupero di somme e sanzioni civili.
Dal punto di vista del lavoratore, la riqualificazione è in genere un vantaggio: egli ottiene riconosciuti maggiori diritti (es. un infermiere che era socio di cooperativa con contratto di collaborazione avrà invece riconosciuto un rapporto subordinato CCNL sanità con magari livelli retributivi superiori, TFR, etc.) e soprattutto vede accreditati i contributi pensionistici corretti a carico del nuovo datore di lavoro. Tuttavia può doversi attivare per rivendicare differenze retributive e il rapporto di lavoro (come da procedura ex art. 38 D.Lgs. 81/2015 già illustrata).
Per il committente/debitore, il problema principale è finanziario: l’INPS può agire coattivamente in tempi relativamente brevi. L’avviso di addebito non pagato permette all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) di avviare pignoramenti su conti, crediti, ipoteche sui beni dell’azienda. Non di rado, le somme contributive superano quelle fiscali, perché includono non solo pensione (33%) ma anche quote assicurative, malattia, ecc., e magari per anni di lavoro e decine di lavoratori.
Responsabilità in solido del committente: va ricordato che già l’art. 29 D.Lgs. 276/2003 prevede in generale la responsabilità solidale del committente con l’appaltatore per i trattamenti retributivi e contributivi dei lavoratori impiegati nell’appalto (entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell’appalto). Nel caso di appalto illecito, a maggior ragione, questa responsabilità solidale opera – e senza limiti temporali stringenti, perché si configura come rapporto di lavoro diretto. Dunque, il committente non può difendersi dicendo “doveva pagarli la cooperativa”: è comunque tenuto in solido o direttamente quale datore riclassificato.
Profili penali contributivi: l’omissione di versamento di contributi previdenziali trattenuti ai lavoratori è sanzionata penalmente (art. 2, comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983) se l’importo omesso supera attualmente € 10.000 annui. Nel caso in esame, se la cooperativa non ha versato contributi, i suoi amministratori potranno essere perseguibili per questo reato. Il committente potrebbe essere chiamato a risponderne solo in caso di concorso, ma non è frequente; più immediato è che il committente subisca semmai un procedimento per appropriazione indebita di ritenute previdenziali se si dimostrasse che ha trattenuto contributi e non li ha versati (ipotesi non applicabile qui, in quanto era la coop a trattenere, non il committente). Discorso analogo per le ritenute fiscali: l’art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 punisce l’omesso versamento di ritenute oltre 150.000 € annui. In uno schema di cooperativa interposta, quel reato potrebbe essere contestato agli amministratori della cooperativa, difficilmente al committente (che non ha materialmente il ruolo di sostituto in quel momento). Tuttavia, se l’azienda utilizzatrice viene considerata effettiva datrice di lavoro, e ad esempio emergono compensi “in nero” erogati (poco probabile qui, essendo comunque passati via bonifici alla coop), si potrebbero configurare reati tributari a suo carico (es. dichiarazione infedele se ha occultato imponibili).
Un aspetto importante: il rimedio riparatorio. La legge prevede che se il datore di lavoro (in questo caso coop o committente) provvede a versare i contributi omessi entro il termine di 3 mesi dalla contestazione o notifica dell’accertamento, il reato di omesso versamento contributivo è estinto (art. 2, comma 1-bis L. 638/83) . Ciò incentiva a sanare subito la posizione contributiva una volta scoperta l’irregolarità. Dunque, un committente che si vede notificare dall’INPS l’omissione, se versa il dovuto (magari attraverso dilazione concordata), evita conseguenze penali in quest’ambito. Allo stesso modo, se la cooperativa “sparisce”, l’INPS spesso mira a riscuotere dal committente e, ottenuto il pagamento, può trasmettere notizia di reato per gli amministratori della coop ma non per chi ha poi pagato spontaneamente.
Riepilogo delle conseguenze giuridiche
Alla luce di quanto esposto, possiamo riepilogare in una tabella le principali conseguenze derivanti dall’accertamento di uso illecito di cooperative infermieristiche, distinguendo i vari profili:
Profilo | Conseguenze per il committente (utilizzatore) | Riferimenti normativi / giurisprudenziali |
---|---|---|
Lavoristico/Civilistico | – Lavoratori considerati subordinati all’utilizzatore sin dall’inizio . <br> – Possibilità per i lavoratori di chiedere costituzione rapporto di lavoro e differenze retributive; in giudizio, condanna del committente a indennità risarcitoria 2.5-12 mensilità . <br> – Responsabilità solidale per retribuzioni non pagate e TFR (ex art. 29 D.Lgs. 276/03). | D.Lgs. 81/2015, art. 38; Cass. civ. Sez. Lav. n. 15002/2023 (conferma illegittimità licenziamento soci coop in appalto illecito); Cons. Stato n. 1571/2018 (stop appalti fittizi ASL) . |
Previdenziale | – Richiesta pagamento contributi arretrati (datore di lavoro effettivo). <br> – Avviso di addebito INPS e poteri esecutivi (pignoramenti). <br> – Estinzione reato di omesso versamento se paga entro 3 mesi da contestazione . <br> – Eventuale obbligo di assumere a libro matricola i lavoratori. | Art. 38 co. 2 D.Lgs. 81/2015 (costituzione rapporto e contributi) ; L. 638/1983 art. 2 co.1-bis (reato omesso versamento contributi). |
Fiscale – IVA | – Indetraibilità IVA sulle fatture coop: recupero imposta, sanzione 90% . <br> – Se frode grave: contestazione reato art. 2 D.Lgs.74/2000 (fatture per operazioni inesistenti) . Sequestro/confisca profitto equivalente (importi IVA evasi). <br> – Considerazione delle operazioni come fuori campo IVA (nessun servizio reale). | Cass. pen. n. 16302/2022 ; Cass. trib. n. 34407/2024 (negata detrazione costi somministrazione illecita). |
Fiscale – Redditi | – Recupero costi indeducibili se ritenuti collegati a reato o a operazione nulla (aumento imponibile IRES, sanzione 90-180%). <br> – Recupero ritenute non operate sui compensi di lavoro: committente come sostituto d’imposta inadempiente. <br> – Sanzione omesso versamento ritenute (20% a meno che superi soglia penale €150k/anno). <br> – Possibile dichiarazione infedele se imposte evase >€100k (art.4 D.Lgs.74/2000), ma di solito il Fisco privilegia sanzione amministrativa salvo frode sistematica. | Cass. trib. n. 20591/2024 (criteri deducibilità costi vs somministrazione illecita) ; art. 14 co.4-bis L. 537/93 (indeducibilità costi da reato); art. 64 DPR 600/73 (obblighi sostituto inadempiente). |
Amministrativo/Penale lavoro | – Sanzione amministrativa € 250-1250 per ogni lavoratore coinvolto (art. 40 D.Lgs. 81/2015) . <br> – Se appalto con PA, rischio esclusione appalti futuri e segnalazione ANAC. <br> – Eventuale reato di somministrazione fraudolenta (figura abrogata nel 2015, oggi rileva solo se c’è sfruttamento grave -> caporalato art. 603-bis c.p., applicabile se condizioni degradanti o approfittamento). <br> – Reato di frode in pubbliche forniture (art. 356 c.p.) se violati obblighi contrattuali con ente pubblico fornendo meno personale o non qualificato . <br> – Responsabilità 231 dell’ente: la società committente può rispondere ex D.Lgs. 231/2001 per il reato di frode fiscale commesso dai suoi dirigenti (art. 25-quinquiesdecies, introdotto nel 2019) . | D.Lgs. 81/2015, art. 40; Cass. pen. n. 20014/2024 (somministrazione illecita: servono elementi concreti di sfruttamento per configurare reato); Operazione NAS 2022 ; D.Lgs. 231/2001 art. 25-quinquiesdecies (reati tributari). |
(N.B.: le fonti giurisprudenziali citate nelle colonne di destra sono esemplificative dei principi; i dettagli di ciascuna sentenza sono discussi nel testo.)
Come si nota, la posizione del committente (ad es. un imprenditore sanitario, una casa di cura privata, un’ASL) può aggravarsi su molti fronti. Egli può ritrovarsi debitore verso l’erario per decine o centinaia di migliaia di euro (IVA, imposte, sanzioni), verso l’INPS per contributi non versati e verso i lavoratori per differenze retributive. Inoltre, può subire procedimenti penali e l’onta reputazionale di pratiche elusive dei diritti dei lavoratori.
Dal canto suo, la cooperativa (spesso una piccola società cooperativa a r.l.) in genere finisce in liquidazione o fallimento appena emergono i debiti accumulati. I suoi amministratori rischiano sanzioni e responsabilità (persino personali, se ritenuti concorrenti in reati tributari o accusati di bancarotta fraudolenta una volta fallita la coop). I soci lavoratori della cooperativa, paradossalmente, sono parte lesa (perché non adeguatamente tutelati) ma talvolta sono anche essi esposti: ad esempio, un socio che avesse percepito indebitamente rimborsi spese fittizi al posto di salario potrebbe subire accertamenti fiscali personali. Tuttavia, i lavoratori normalmente non vengono sanzionati per aver accettato la forma cooperativa, semmai possono avere problemi di regolarizzazione previdenziale in ritardo.
Accertamento dell’Agenzia delle Entrate: come avviene e difese nel merito
Quando l’Agenzia delle Entrate (o la Guardia di Finanza) “accerta l’uso illecito di cooperative infermieristiche”, in pratica vuol dire che ha svolto una verifica fiscale (spesso in collaborazione con Ispettorato del Lavoro e INPS) e ha concluso che il rapporto tra l’azienda e la cooperativa configuri un appalto simulato e una somministrazione di manodopera illecita. Questo sfocia tipicamente in:
- un Processo Verbale di Constatazione (PVC) della Guardia di Finanza, che dettaglia le irregolarità riscontrate (contratti, modalità operative, testimonianze dei lavoratori, conti economici della coop, ecc.);
- successivamente, l’Agenzia delle Entrate emette uno o più avvisi di accertamento a carico del committente (per IVA, IRES, IRAP, ritenute, ecc. come visto), e segnala eventualmente all’ufficio legale per la parte penale se rileva il superamento di soglie di punibilità;
- parallelamente, l’INPS emette verbali e ingiunzioni contributive.
Per il destinatario dell’accertamento (che chiameremo “il debitore”, cioè colui che si trova contestate imposte e sanzioni), è fondamentale predisporre una strategia difensiva sia “di merito” (cioè contestando la fondatezza dell’accertamento), sia “tecnico-procedurale” (utilizzando gli strumenti di legge per ridurre o evitare il pagamento).
Difesa di merito: dimostrare la genuinità dell’appalto
La prima linea di difesa è cercare di contestare nel merito l’accertamento, sostenendo che l’appalto con la cooperativa fosse invece genuino e legittimo. Anche se in molti casi gli indizi a carico sono numerosi, non è impossibile difendersi: la giurisprudenza insegna che bisogna valutare concretamente ogni situazione. Ad esempio, Cassazione penale, Sez. III, n. 20014/2024 ha chiarito che non è sufficiente qualche elemento sintomatico di somministrazione per condannare per frode; occorre un quadro completo che dimostri la fraudolenza dell’appalto con cooperative sociali, specie se tali cooperative formalmente rispettavano certi parametri. Dunque, se rappresenti il committente accusato, puoi provare a evidenziare:
- Autonomia organizzativa della cooperativa: prova che la cooperativa aveva una sua organizzazione del lavoro. Ad esempio, se esisteva un coordinatore della cooperativa sul posto che gestiva gli orari del personale, se la coop forniva anche materiali (magari DPI, o strumenti propri), se aveva facoltà di sostituire gli operatori senza interferenza del committente. Qualunque evidenza (email, documenti, testimonianze) che la cooperativa non fosse un semplice “serbatoio di ore” ma avesse un ruolo attivo può essere utile . Ad esempio, se in contratto era previsto che la coop garantisse il servizio anche in caso di sciopero e ne sopportasse i rischi , sottolinealo.
- Assunzione del rischio d’impresa: argomenta che la cooperativa assumeva un rischio economico. Ad es., se il contratto era a corpo (importo fisso per un servizio, e non a misura di ore fornite), la coop poteva rimetterci in caso di costi maggiori. Se la cooperativa doveva rispettare indicatori di qualità o penali, evidenzia questi aspetti contrattuali che la responsabilizzavano.
- Oggetto del contratto: se il contratto di appalto prevedeva attività con un certo grado di specificità (es. “gestione del servizio infermieristico domiciliare nel territorio X con proprio protocollo operativo”), cerca di dimostrare che c’era un risultato atteso e non la semplice fornitura di personale. Magari la cooperativa elaborava i turni, selezionava il personale in autonomia, gestiva le sostituzioni per ferie o malattia. Tutto ciò può indicare un appalto genuino.
- Difformità dalle mansioni interne: se possibile, distingui l’attività dei cooperatori da quella dei dipendenti del committente. Ad esempio, se la cooperativa forniva OSS (operatori socio-sanitari) mentre l’ospedale aveva carenza solo su quel profilo, e i dipendenti interni erano infermieri con altre mansioni, evidenzia che non c’era sovrapposizione completa. Più è marcata la integrazione indistinta nel personale interno, più l’accusa di interposizione regge . Viceversa, se i cooperativi svolgevano un servizio separato o accessorio, sottolinealo.
- Nessun intento fraudolento: se la cooperativa era una realtà di per sé lecita (magari iscritta all’Albo cooperative sociali, soggetta a revisioni, con bilanci depositati, contributi versati almeno in parte), e il committente l’ha scelta tramite una gara pubblica o un confronto competitivo, evidenzia di aver agito in buona fede e che non c’era accordo collusivo per evadere. Ad esempio, Consiglio di Stato 1571/2018 cita che quella ASL bandì una gara regolare (anche se impostata male). Se tu puoi dimostrare di aver rispettato procedure di selezione trasparenti, ciò può mitigare l’idea del “cartello fraudolento”.
- Documentazione e clausole contrattuali: analizza il contratto di appalto: conteneva clausole standard di appalto (oggetto, corrispettivo, durata, penali, obblighi sicurezza a carico coop, ecc.)? Se sì, far emergere che sulla carta tutto era corretto può almeno sollevare dubbi interpretativi. Anche la durata limitata dell’appalto (es. 6 mesi, non rinnovato) potrebbe far pensare a una necessità temporanea, quindi un appalto legittimo per picco di lavoro.
Naturalmente, se le evidenze fattuali sono molto sfavorevoli (es. i lavoratori hanno dichiarato che a tutti gli effetti gli orari li faceva il caposala dell’ospedale, che portavano il cartellino della ASL, etc.), la difesa di merito sarà ardua. In tal caso, è spesso più efficace puntare su aspetti procedurali e transattivi (vedi oltre). Comunque, non va tralasciato di verificare se l’accertamento fiscale contiene errori di valutazione di merito: ad esempio, l’Agenzia potrebbe aver disconosciuto costi in modo eccessivo (magari non considerandone l’inerenza nonostante un servizio reso davvero ci sia stato). Oppure può aver calcolato l’IVA indetraibile su troppi anni (verifica la prescrizione: l’IVA detratta anni addietro potrebbe essere fuori termine se non c’è stato tempestivo avviso).
In sintesi, la difesa di merito mira a convincere che: – o non c’era illecito (appalto genuino) – oppure, pur essendoci elementi di criticità, il committente era in buona fede e non si deve spingere la riqualificazione fino al punto da negare costi o imputare reati.
Una possibilità è anche transigere parzialmente sul merito: ad esempio, riconoscere la riqualificazione contributiva (pagando i contributi per sistemare i lavoratori, così da mostrare ravvedimento e ottenere l’estinzione del reato contributivo) ma contestare quella fiscale (sostenendo di non aver avuto vantaggi IVA intenzionali oppure chiedendo il non assoggettamento a sanzioni per obiettiva incertezza normativa). Ci sono stati casi in cui i giudici tributari hanno escluso la volontà di evasione fiscale, considerando questi fenomeni più come elusione di normative sul lavoro che frode fiscale: in tali casi, può essere ridotta la sanzione (magari applicando la minore del 90% invece del 180% per infedele dichiarazione, riconoscendo la cooperazione dell’azienda nel versare poi i tributi dovuti).
Strumenti deflattivi: autotutela, adesione e mediazione
Indipendentemente dalle argomentazioni di merito, un debitore ha a disposizione alcuni strumenti prima di arrivare al processo tributario, per provare a risolvere o attenuare il contenzioso.
- Istanza di autotutela: è una richiesta all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’accertamento, per chiedere l’annullamento (totale o parziale) in via di autotutela, evidenziando errori o ragioni di illegittimità. Ad esempio, se l’accertamento contiene palesi errori di calcolo, o se sopravvengono documenti nuovi a favore, conviene presentare subito un’istanza motivata. L’ufficio può accogliere l’autotutela (evento raro in materia complessa, ma possibile) e annullare/ridurre l’atto senza costringere al ricorso. Novità 2024: il rifiuto espresso dell’istanza di autotutela è ora considerato atto impugnabile dal contribuente . Ciò significa che, se l’ufficio risponde negativamente, si potrà impugnare anche quel rifiuto davanti al giudice, sollevando le medesime censure. In pratica, l’autotutela può servire a chiarire la posizione all’ufficio e magari, se ci sono spiragli (es. l’ufficio stesso temesse di perdere in giudizio su qualche punto), portare a un annullamento parziale o a una revisione dell’accertamento.
- Accertamento con adesione: in casi del genere, l’adesione (concordato con l’ufficio) è meno frequente, perché l’ufficio difficilmente “tratta” su questioni anti-elusive gravi. Tuttavia, nulla vieta di presentare istanza di accertamento con adesione: è un procedimento che sospende per 90 giorni i termini per fare ricorso e consente di discutere informalmente col Fisco cercando un accordo. Se il contribuente è disposto a pagare ma in misura ridotta, l’ufficio potrebbe accettare l’adesione rideterminando il quantum (ad esempio, togliendo le sanzioni penali o riducendo l’imponibile contestato). L’adesione ha il vantaggio di ridurre le sanzioni a 1/3 e permettere rateazione fino a 8 rate (12 se importo alto). Nel contesto cooperativa illecita, l’ufficio potrebbe pretendere il pagamento integrale dei tributi evasi (IVA, ritenute) ma potrebbe accordare uno sconto sulle sanzioni pecuniarie. È da valutare caso per caso: se la prova dell’illecito è schiacciante, l’adesione potrebbe essere un modo pragmatico per chiudere presto la vicenda fiscale con meno aggravi.
- Mediazione/reclamo tributario: se l’importo in contestazione non supera € 50.000 (valore del tributo al netto interessi) – soglia che in questi casi potrebbe essere superata facilmente – è obbligatorio presentare prima un reclamo-mediazione all’ufficio. Anche se la soglia è superata, nulla vieta di proporre comunque una soluzione in via amministrativa all’Agenzia. Dal 2023 sono state introdotte varie misure per deflazionare il contenzioso. Ad esempio, è stata estesa la possibilità di conciliazione giudiziale anche ai gradi avanzati: oggi persino in Cassazione si può conciliare la lite con riduzione sanzioni . La mediazione in sede di reclamo, in caso di successo, consente di pagare con sanzioni ridotte al 35% del minimo. Vale la pena almeno provare a inserire nel reclamo una proposta transattiva: nel nostro esempio, si potrebbe offrire di pagare integralmente IVA e ritenute dovute, ma chiedere l’annullamento delle sanzioni o la riduzione delle stesse al minimo. L’ufficio locale valuterà (spesso è la Direzione Regionale a decidere su questioni importanti). Se il reclamo viene respinto o non accolto entro 90 giorni, diventa automaticamente ricorso.
Suggerimento pratico: Durante questa fase pre-contenziosa, può essere utile far leva su eventuali mutamenti normativi o giurisprudenziali sopravvenuti. Ad esempio, se successivamente ai fatti contestati il legislatore ha vietato tout court il ricorso a cooperative esterne nella sanità (come vedremo è avvenuto con decreto 2023-2025 per i “gettonisti”), si può argomentare che prima di allora la disciplina era meno chiara, invocando quindi l’attenuante dell’obiettiva incertezza normativa sulle conseguenze fiscali dell’appalto (magari per chiedere l’annullamento delle sanzioni ex art. 6, co.2 D.Lgs. 472/97). Oppure evidenziare che non c’è stata volontà fraudolenta, distinguendo il proprio caso da quello di cooperative apertamente fraudolente (come quelle “a rotazione” evidenziate dall’Agenzia in altri contesti ). In sostanza, far percepire all’ufficio che un giudice potrebbe avere un approccio meno rigido potrebbe indurlo a un accordo in sede di mediazione.
Il ricorso in Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria)
Se non si raggiunge un accordo nell’ambito amministrativo, l’unica via è presentare ricorso alla Commissione (ora denominata Corte) di Giustizia Tributaria di primo grado entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento (termine prorogato di 90 giorni se si è presentato reclamo/mediazione). Il contenzioso tributario vero e proprio è un terreno tecnico in cui è bene farsi assistere da un tributarista esperto. Nel ricorso si dovranno articolare tutti i motivi di illegittimità dell’atto: vizi formali (es. difetto di motivazione, mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, ecc.) e vizi sostanziali (errata applicazione della norma, insussistenza dell’illecito contestato, calcoli errati).
Possibili vizi formali/procedurali da eccepire:
– Mancato contraddittorio preventivo: se l’accertamento è scaturito da verifica, di norma l’ufficio deve notificare un invito a comparire o far precedere l’avviso da un “PVC” consegnato almeno 60 giorni prima (in base allo Statuto del Contribuente, art. 12 L.212/2000), a meno di urgenza. Se ciò non è avvenuto, si può far valere la nullità dell’atto (la giurisprudenza oscillava, ma attualmente il contraddittorio preventivo è obbligatorio in alcune materie tributarie, e la riforma fiscale ha previsto di rafforzarne l’obbligo in generale).
– Motivazione insufficiente: l’avviso deve spiegare chiaramente perché ritiene fittizio l’appalto. Se si limita a riferirsi per relationem al PVC senza allegarlo, potrebbe essere contestato. Oppure se non considera le controdeduzioni eventualmente presentate dal contribuente, si può eccepire il vizio di motivazione.
– Errata qualificazione giuridica: ad esempio l’ufficio potrebbe aver applicato sanzioni o norme non pertinenti. Un caso potrebbe essere la sanzione per indebita detrazione IVA al 90%: se il contribuente aveva agito in buona fede seguendo prassi diffuse, potrebbe invocare l’esimente dell’errore scusabile. O ancora, se l’Agenzia ha contestato l’indeducibilità dei costi come “commissione di reato”, occorre verificare che vi sia effettivamente una denuncia penale: se manca, forse la sanzione è sproporzionata.
Discussione e prova in giudizio: Sarà importante, in sede di processo, portare prove testimoniali e documentali. Nel processo tributario ordinario non è ammessa la testimonianza orale, ma si possono produrre dichiarazioni rese in altre sedi (es. verbali ispettivi con dichiarazioni di lavoratori), oppure contratti, organigrammi, ordini di servizio. Se tali elementi depongono a favore della genuinità del rapporto, il giudice potrebbe dar ragione al contribuente. Viceversa, se gli elementi fattuali sono negativi, c’è il rischio che confermi l’accertamento.
La riforma del 2022-2023 della giustizia tributaria ha portato alcune novità processuali: ad esempio, il giudice monocratico per le liti fino a €3.000 (non rilevante qui), la possibilità per il difensore di chiedere discussione da remoto anche nelle Corti , una diversa disciplina sulle spese di giudizio (compensabili in certi casi). Dal 2023 le Commissioni si chiamano Corti di Giustizia Tributaria e dipendono dalla Giustizia ordinaria, con nuovi concorsi per giudici professionali. Ciò potrebbe portare ad una giurisprudenza più uniforme e forse maggior attenzione alle garanzie. Notare anche che dal 2024, come accennato, il contribuente può impugnare anche il diniego di autotutela : quindi se l’ufficio ha risposto picche, si potrà chiedere al giudice di valutare la legittimità anche di quel rifiuto (di fatto, rianalizzando il merito).
In primo grado la controversia verte sui fatti: il giudice tributario valuterà se effettivamente c’è stata somministrazione illecita. Può capitare che il giudice tributario si pronunci diversamente dal giudice del lavoro su casi analoghi, ma se ad esempio l’Ispettorato ha emesso verbale unificato e il contribuente ha fatto ricorso anche al Tribunale del Lavoro (es. per contestare la maxisanzione o la costituzione del rapporto), potrebbe valere la pena segnalare al giudice tributario l’esito (se favorevole) della causa lavoro, e viceversa. In alcuni casi, se pende un giudizio penale per frode fiscale sullo stesso fatto, si può chiedere la sospensione del processo tributario in attesa dell’esito penale (art. 3 D.Lgs. 546/92), ma è discrezionale.
Se il ricorso viene respinto, si può appellare in secondo grado (Corte Giust. Trib. di secondo grado, entro 60 gg). In appello, dal 2023, per le cause minori è prevista una procedura accelerata. Nelle liti complesse come queste, si arriverà probabilmente anche in Cassazione: tenere presente che ora è ammessa la conciliazione anche in Cassazione (introdotta nel 2023) , il che significa che persino all’ultimo grado le parti possono accordarsi per chiudere la lite con sanzioni ridotte (40% del minimo) – un’eventualità da non scartare se il lungo contenzioso dovesse volgere a favore del contribuente su alcuni punti (l’Agenzia, temendo di perdere del tutto, può offrire conciliazione).
Rapporti con il procedimento penale
Nel caso in cui sia stato aperto un fascicolo penale (ad es. per frode fiscale art.2 D.Lgs.74/2000), la strategia difensiva deve coordinarsi con quella tributaria ma ha logiche proprie. Difendersi penalmente vuol dire principalmente: dimostrare che non vi era dolo di evasione fiscale e che non c’era consapevolezza di utilizzare fatture “false”. Se sei l’imprenditore committente indagato, dovrai magari spiegare al PM che avevi realmente bisogno di esternalizzare il servizio e che ti sei affidato a una cooperativa confidando nella sua legittimità, senza immaginare che fosse un meccanismo elusivo. Le prove in tuo favore possono essere: pareri legali preventivi, documenti che attestino i controlli fatti sulla cooperativa (es. verifica DURC, iscrizione Albi, ecc.), o email interne dove manifesti preoccupazione di rispettare la legge. L’obiettivo è ottenere almeno una riduzione del grado di responsabilità (es. escludere il reato fraudolento e al più configurare una contravvenzione amministrativa).
Talvolta, un accordo in sede tributaria (pagamento del dovuto) aiuta nel penale: per il reato di frode fiscale è prevista la circostanza attenuante del ravvedimento operoso (pagamento integrale dei debiti tributari prima del dibattimento, art. 13-bis D.Lgs. 74/2000) che comporta una diminuzione di pena e può evitare misure cautelari. Quindi, se hai liquidità, estinguere il debito IVA contestato può essere una mossa difensiva importante (oltre che ridurre gli interessi).
Inoltre, le nuove norme sulla responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs. 231/2001) implicano che, se un dirigente o amministratore dell’azienda committente è imputato per frode fiscale, anche la società può essere chiamata a rispondere e subire sanzioni pecuniarie e interdittive. È cruciale, quindi, che la società adotti (se non l’ha già) un Modello Organizzativo 231 che preveda controlli sul ricorso a manodopera esterna. In fase processuale, la società può allegare di avere sanato le procedure interne per evitare futuri abusi, per mitigare la propria responsabilità (in certi casi si evita la condanna se si prova di non avere colpa organizzativa).
Difesa nei confronti dell’INPS e in sede lavoristica
Parallelamente al contenzioso fiscale, spesso corre quello previdenziale. Le ingiunzioni INPS possono essere impugnate dinanzi al Tribunale del Lavoro (competente in materia di contributi). Qui la discussione verte sulla legittimità della riqualificazione contributiva. Le argomentazioni sono simili: sostenere che i lavoratori non erano dipendenti del committente, quindi i contributi andavano versati dalla coop (e semmai rivalersi su quest’ultima). Può darsi che l’INPS proponga anch’esso un atto di “diffida accertativa” per le differenze retributive a favore dei lavoratori (strumento ex D.Lgs. 124/2004).
In genere, se la questione sostanziale è la stessa (genuinità o meno dell’appalto), il giudice del lavoro farà riferimento agli stessi elementi. Non è raro che cause lavoro e cause tributarie abbiano esiti coordinati (es. entrambe riconoscono l’illegittimità, oppure entrambe no). Tuttavia, tieni presente: il giudice del lavoro guarda primariamente alla tutela del lavoratore (quindi tende a vedere l’interesse del dipendente ad avere un datore solvibile; in caso di dubbio può propendere per qualificare come subordinato per garantirgli i contributi), mentre il giudice tributario guarda all’erosione della base imponibile (quindi se vede un risparmio fiscale ingiustificato, tende a dare ragione al Fisco).
Se ti difendi come azienda, potresti sostenere in sede INPS che tu hai già pagato fatture comprensive (in teoria) di oneri, e che i contributi li deve inseguire dalla cooperativa. Ma legalmente, questo non esime: l’INPS userà la solidarietà per colpire il soggetto solvibile. Una via di mezzo può essere chiedere la rateazione all’INPS (fino a 24 rate mensili) per pagare il dovuto, evitando ulteriori more, e poi rivalerti tu sulla cooperativa in sede di insinuazione al passivo (se è fallita) o verso gli amministratori di essa (azione di regresso). Francamente, il recupero sulla cooperativa è spesso infruttuoso.
Quanto ai lavoratori, se instaurano cause per farsi assumere o per differenze, può convenire giungere a un accordo transattivo anche con loro: riconoscere magari un’assunzione solo per il futuro o corrispondere un indennizzo. Questo può limitare gli effetti economici (ad esempio evitando che rivendichino anni di scatti o retribuzioni maggiori). Inoltre, se il lavoratore firma una liberatoria, avrai un elemento in meno di cui preoccuparsi (l’INPS comunque pretenderà i contributi d’ufficio, ma almeno sai che il lavoratore non farà ulteriori cause).
Recenti sviluppi normativi (2024-2025) e contesto attuale
Gli ultimi anni hanno visto riforme e novità che incidono sul tema: da un lato, il Legislatore sta intervenendo per limitare l’uso di contratti esterni nella sanità; dall’altro, la riforma fiscale 2023-2025 ha portato modifiche nelle procedure di accertamento e contenzioso. Vediamone alcune in rilievo.
Stop ai “gettonisti” e nuove norme per la sanità pubblica: Nel 2023, a seguito anche di scandali e pressioni sindacali, il Governo ha inserito nella Legge n. 26/2023 (di conversione del D.L. Milleproroghe) delle norme per arginare il fenomeno dei medici e infermieri a gettone tramite cooperative. In particolare, è stato stabilito che dal 2025 le aziende sanitarie pubbliche possano ricorrere a personale esterno solo per esigenze eccezionali e temporanee, con tetti stringenti e senza possibilità di proroga continuativa . Un decreto del giugno 2025 ha poi sancito il divieto di stipulare nuovi contratti con medici e infermieri gettonisti a partire dal 31 luglio 2025 . Ciò significa che, almeno nel settore pubblico, è stata data un’esplicita stretta legislativa a quelle che finora erano “scorciatoie” per sopperire alle carenze di organico. In pratica, lo Stato riconosce che l’utilizzo sistematico di cooperative stava diventando patologico (oltre 2,1 miliardi di spesa per gettonisti secondo ANAC) , e ha deciso di vietarlo in via generale, costringendo le ASL a bandire concorsi o trovare soluzioni stabili. Questa evoluzione normativa rafforza, indirettamente, la posizione di chi sostiene che già prima certi appalti erano contrari allo spirito della legge. Dal 2025, un’ASL che volesse comunque assumere esterni con cooperativa sarebbe palesemente fuori legge, mentre in periodo precedente poteva esserci la scusante del “vuoto normativo”.
Per le strutture private, invece, non c’è un analogo divieto totale, ma va detto che spesso la spinta a usare coop veniva proprio dal settore pubblico bloccato nelle assunzioni. Un imprenditore privato oggi deve comunque sapere che tali pratiche sono sorvegliate speciali: l’ANAC e il Ministero del Lavoro hanno chiarito che anche negli appalti privati di servizi ad alta intensità di manodopera bisogna seguire scrupolosamente l’art. 1655 c.c. e seguenti. Nel 2024 l’ANAC è intervenuta (Parere n. 35/2024) a ribadire ai soggetti pubblici che l’utilizzo di cooperative per personale medico deve avvenire solo in casi di urgenza e con procedure trasparenti . Insomma, c’è un orientamento generale a ricondurre nei binari leciti la fornitura di personale sanitario.
Riforma fiscale 2023 (Delega) e decreti attuativi 2023-2025: La legge delega n. 111/2023 ha dato il via a una serie di decreti legislativi di riforma del sistema tributario. Per quanto riguarda il contenzioso tributario e gli strumenti deflattivi, segnaliamo:
– Il D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 218 (correttivo della riforma processo tributario) entrato in vigore a giugno 2025, che ha introdotto miglioramenti nella giustizia tributaria e nella fase pre-contenziosa . Oltre a quanto già detto (conciliazione estesa in Cassazione, impugnabilità del diniego di autotutela), è stata potenziata la figura del Garante del Contribuente e l’istituto del interpello sui nuovi investimenti (meno rilevante qui).
– Il D.Lgs. 29 dicembre 2023 n. 157 ha modificato le sanzioni amministrative tributarie introducendo, ad esempio, la possibilità di definizione agevolata delle sanzioni anche se l’atto diventa definitivo in parte dopo autotutela . Questo significa che, anche se l’Agenzia annulla parzialmente un atto in autotutela oltre i termini di ricorso, il contribuente può comunque pagare le sanzioni ridotte sulle parti annullate parzialmente (punto prima controverso, ora chiarito) .
– Digitalizzazione del processo: dal 2023 è obbligatorio il deposito telematico degli atti, e vi sono procedure per attestare conformità dei documenti più snelle (il difensore attesta la conformità senza dover mostrare originali in udienza) . Questo agevola i grandi contenziosi con molti documenti.
– Spese di giudizio: il D.Lgs. 156/2022 (in vigore già da settembre 2022) ha previsto nuovi casi di compensazione delle spese, ad esempio se la parte vincitrice produce documenti decisivi solo in giudizio (incentivo a collaborare prima) . Ciò è rilevante: se l’azienda aveva qualche asso nella manica (documento pro-coop) ma l’ha tirato fuori solo in tribunale, e vince, le spese potrebbero essere compensate.
Novità in ambito contributivo e del lavoro: Sul fronte previdenziale, la legge di Bilancio 2024 non ha introdotto condoni contributivi rilevanti, ma ha prorogato misure di esonero contributivo per nuove assunzioni (non attinenti al nostro tema). È stata però istituita una Unità Speciale ispettiva per contrastare intermediazione illecita e caporalato, con stanziamenti per più controlli nel biennio 2024-25, segno che il fenomeno (anche in settori come logistica, sanità, agricoltura) è sorvegliato.
Tregua fiscale 2023: è opportuno menzionare che nel 2023 c’è stata una “tregua fiscale” con possibilità di definire avvisi di accertamento e liti pendenti con lo Stato (Legge di Bilancio 197/2022). Se un avviso per cooperativa illecita fosse stato notificato entro marzo 2023, il contribuente poteva valutare la definizione agevolata (pagando imposte senza sanzioni). Questa finestra ormai si è chiusa, ma è indicativa dell’approccio del Fisco di incassare il dovuto più che fare battaglie legali infinite. Non si esclude che in futuro misure simili possano ripresentarsi, dati anche i molti contenziosi in corso.
Inasprimento pene frodi fiscali: Sempre la riforma fiscale ha ritoccato alcune soglie penali, ma per il reato di cui all’art.2 D.Lgs.74/2000 (dichiarazione fraudolenta) la pena è rimasta alta (fino a 8 anni), il che consente tra l’altro l’uso di intercettazioni e misure cautelari. È quindi sempre più importante, per un’azienda coinvolta, prevenire di arrivare al penale (ad esempio, presentando dichiarazioni integrative per sanare l’IVA detratta indebitamente prima di eventuali contestazioni penali – se lo si fa spontaneamente e si paga, il reato non è configurabile per mancanza di danno erariale).
In conclusione, ad agosto 2025 il quadro normativo è più stringente di prima sul fenomeno delle cooperative spurie, e il contenzioso fiscale offre nuovi spazi di dialogo (mediazione, conciliazione allargata) ma anche nuove regole da seguire. Chi si trova ad affrontare un accertamento per uso illecito di coop dovrà muoversi con attenzione, sfruttando le leve normative aggiornate (es. possibilità di ricorrere contro il diniego di autotutela , definizione agevolata sanzioni in caso di parziali annullamenti , ecc.) e tenendo conto che la tolleranza zero verso questi abusi è oramai un dato di fatto nel sistema.
Simulazioni pratiche di difesa (casi tipici)
Per rendere più concreta l’applicazione delle regole esposte, proponiamo alcune simulazioni pratiche – casi ipotetici ma realistici – in cui un “debitore” si trovi a fronteggiare un accertamento relativo a cooperative infermieristiche. Vedremo passo passo come potrebbe difendersi e quali esiti attendersi.
Caso 1: Clinica privata con cooperativa interposta e maxi-accertamento IVA/IRAP
Scenario: La società Alfa Srl gestisce una clinica privata. Dal 2019 al 2022, invece di assumere infermieri dipendenti, ha stipulato un contratto con la Beta Coop Sociale Onlus per la “fornitura di servizi infermieristici”. La cooperativa Beta ha fatturato ad Alfa circa €500.000 annui + IVA 5%. Nel 2025, dopo indagini, l’Agenzia delle Entrate notifica ad Alfa un avviso di accertamento contestando che: (a) l’IVA detratta sulle fatture Beta per gli anni 2019-2021 (€75.000 totali) è indetraibile perché appalto simulato; (b) i costi fatturati (€1,5 milioni in 3 anni) sono indeducibili ai fini IRES e vanno riqualificati come costo del personale, con recupero di imposta; (c) Alfa avrebbe dovuto operare ritenute per circa €300k sui compensi agli infermieri; (d) irroga sanzioni per €200k complessivi. Nel frattempo, l’INPS ha inviato richiesta ad Alfa di €400k di contributi non versati per gli infermieri in quegli anni. La cooperativa Beta risulta in liquidazione e in forte debito verso Erario e INPS.
Difesa e soluzioni:
– Alfa Srl tramite avvocato presenta subito istanza di sospensione della riscossione sia in ambito tributario (alla Commissione, appena fa ricorso) sia in ambito INPS (al Tribunale, per evitare pignoramenti immediati da avviso di addebito). Spiega che il pagamento immediato le causerebbe danno grave (onere di allegare bilanci e far vedere che non ha liquidità sufficiente). È probabile che la Commissione tributaria, visto l’ammontare, sospenda le cartelle esattoriali fino a decisione, purché Alfa versi eventualmente una garanzia o almeno le somme non controverse (qui di controverso c’è tutto!).
– Sul merito, Alfa raccoglie documenti: il contratto con Beta (che prevedeva, ad esempio, che Beta elaborasse i turni e supervisionasse i lavoratori), email dove il referente di Beta comunicava con gli infermieri (per dimostrare un minimo di autonomia organizzativa). Inoltre, mostra che Beta era cooperativa accreditata dalla Regione come erogatore sociosanitario (quindi non una scatola vuota qualunque).
– In sede di adesione, Alfa propone all’Agenzia: “Pago subito l’IVA detratta (€75k) e riconosco di dover versare i contributi a INPS, ma voi togliete le sanzioni maggiori e mi lasciate dedurre almeno i costi per evitare ulteriore IRES”. L’Agenzia può accettare parzialmente: magari concordano che i costi rimangono deducibili (perché Alfa in effetti ha sostenuto un costo di lavoro, sebbene via coop), però Alfa rinuncia alla detrazione IVA e versa una sanzione ridotta del 30% su quella. E sulle ritenute, riconosce di versarle (ma essendo passato molto tempo, di fatto i lavoratori hanno già dichiarato quei redditi? Ci sarebbe un problema di doppia imposizione: Alfa può far notare che gli infermieri probabilmente hanno già pagato IRPEF sui compensi ricevuti dalla coop – se li hanno dichiarati – quindi chiedere di evitare duplicazioni. L’Agenzia in adesione potrebbe rinunciare a recuperare quelle ritenute se c’è prova del versamento spontaneo IRPEF dei percettori).
– Se l’adesione fallisce, in ricorso Alfa contesta che: i costi sono stati ingiustamente considerati indeducibili (non c’è norma che li indeduca automaticamente, se non fosse per ipotesi reato, e comunque Beta era cooperativa sociale quindi semmai c’è un’interpretazione discutibile); inoltre la qualifica di appalto illecito non è così pacifica – sottolineano che Beta aveva un minimo di organizzazione. Presentano la testimonianza scritta di un medico responsabile che afferma: “gli infermieri della coop erano seguiti anche da un coordinatore della coop e rispondevano a lui per ferie e permessi”. Se il giudice tributario ritiene plausibile questa impostazione, potrebbe annullare parzialmente l’accertamento, ad esempio permettendo i costi e l’IRAP, ma confermando la non detraibilità IVA (perché su quello la Cassazione è netta: se non c’è operazione tra soggetti corretti, IVA no). Così Alfa si troverebbe a pagare i €75k IVA + sanzione su quella (diciamo 90%→ altri ~67k) + interessi, e forse a dover versare contributi e ritenute (ma questi li dovrà comunque a INPS).
– Sul fronte penale, se la GdF ha denunciato Alfa per frode fiscale (visto l’IVA alta), Alfa può puntare a dimostrare che in realtà non era un’evasione architettata: nel suo Modello 231 era presente la procedura di appalti, Beta era stata scelta perché cooperativa nota e fino al 2021 aveva DURC regolare. Potrebbe ottenere dal PM una derubricazione a dichiarazione infedele (reato minore) o persino l’archiviazione se versa tutto e appare in buona fede.
– Esito possibile: Alla fine Alfa, dopo 2-3 anni di contenzioso, patteggia il penale (multa e pena sospesa) e in sede tributaria chiude con una conciliazione in appello: paga IVA + interessi e una sanzione ridotta al 50%, mentre il resto (deduzione costi, ritenute) viene lasciato cadere perché nel frattempo ha fornito prove che i lavoratori avevano dichiarato quei redditi e pagato IRPEF (evitando doppia imposizione). L’INPS ottiene i contributi dilazionati in 5 anni (essendo importo alto, c’è un piano di rientro) e non applica sanzioni civili ultrapenalizzanti perché Alfa versa tutto entro 3 mesi dal verbale (estinguendo il reato contributivo).
Commento: Questo caso mostra come, con una difesa documentata e una posizione non totalmente fraudolenta, si possa evitare il peggio (cioè evitare di pagare due volte le imposte sullo stesso reddito e limitare le sanzioni). Resta comunque un esborso notevole per Alfa, che di fatto paga per errori della cooperativa. Se Alfa avesse approfondito meglio all’epoca, forse avrebbe potuto trattare diversamente il contratto (ad esempio inquadrandolo come somministrazione regolare tramite agenzia – costava di più ma evitava questi rischi).
Caso 2: Cooperativa “fittizia” e responsabilità dell’azienda committente
Scenario: Un gruppo di cliniche private (Gamma Spa) nel 2020 ha subappaltato la gestione infermieristica a una rete di cooperative consigliata da un consulente. Ogni 8-10 mesi la coop cambiava (prima Omega Coop, poi Sigma Coop, ecc.), perché accumulavano debiti e venivano sostituite. Nel 2023 la Guardia di Finanza scopre il giochetto: denuncia i responsabili di Gamma e i consulenti per associazione a delinquere finalizzata all’evasione, evidenziando come Gamma abbia risparmiato milioni in contributi e tasse scaricando tutto su coop “usa e getta”. Viene disposto un sequestro preventivo sui conti di Gamma Spa per €5 milioni, pari all’IVA detratta indebitamente e alle ritenute non versate . Gamma Spa si trova con conti bloccati e i fornitori nel panico. I lavoratori infermieri, esasperati perché alcune coop non hanno neppure pagato gli ultimi stipendi, fanno causa a Gamma per assunzione e salari arretrati.
Difesa e soluzioni:
– Qui la situazione è più grave. Gamma Spa, per sbloccare i conti, può tentare di presentare istanza al Tribunale del Riesame offrendo di versare spontaneamente una cauzione o gli importi dovuti. Se riesce a reperire fondi, la prima mossa è pagare i lavoratori (per togliere tensione sociale) e versare una parte di contributi e imposte. Potrebbe così chiedere la revoca del sequestro argomentando che sta collaborando e che l’azienda rischia il fallimento se i conti restano congelati (mettendo a rischio assistenza sanitaria ai pazienti, ecc.). Il giudice può convertire il sequestro in un impegno a versare tot al mese.
– Sul piano fiscale, la difesa di merito è quasi impossibile: le coop “a rotazione” sono il caso da manuale di fraudolenza . L’unica speranza di Gamma è cercare di evitare la sanzione penale massima convincendo che l’idea fu del consulente, non dei dirigenti di Gamma (scaricabarile), o invocare la necessità (avevano blocco assunzioni Covid, ecc.). Ma la legge non lo giustifica.
– Gamma potrebbe puntare a una trattativa globale con Procura e Agenzia Entrate: offrire il pagamento integrale di IVA, contributi e una sanzione ridotta, in cambio magari di patteggiamento sul penale con pena contenuta e di un piano di rientro lungo senza far fallire l’azienda. Dovrebbe anche adottare subito un Modello 231 per provare a evitare l’interdizione dalla contrattazione con la PA (perché rischia anche quella).
– In sede di giudizio tributario, Gamma non ne uscirà: punterà più che altro a rateizzare nel miglior modo possibile (forse chiedendo al giudice di considerare la crisi d’impresa e magari sospendere le sanzioni per adesione alle definizioni agevolate se usciranno).
– Esito possibile: Gamma Spa patteggia due anni di reclusione (con sospensione) per i suoi dirigenti, paga all’Erario 5 milioni in 5 anni grazie a un accordo transattivo (magari vendendo una clinica per fare cassa), e riesce a evitare il fallimento. I lavoratori vengono assunti direttamente dopo lo scandalo, e ricevono dall’INPS il dovuto anche grazie al Fondo di Garanzia (che copre TFR e stipendi se l’azienda originaria non pagava – le coop in LCA attivano il Fondo, ma ora essendo riconosciuto Gamma come datore, deve pagarli Gamma; tuttavia, il Fondo può intervenire in surroga se Gamma non ce la facesse).
Commento: Questo caso, estremo, evidenzia che in situazioni di frode sistematica la difesa è più gestionale che legale: si tratta di limitare i danni e collaborare per ridurre sanzioni e pene. Dal punto di vista di un consulente legale, l’obiettivo primario è garantire la continuità aziendale (se l’azienda fallisce, non paga più nulla a nessuno). Spesso conviene cercare soluzioni di conciliazione anche col fisco – che in questi casi preferisce incassare almeno una parte subito che inseguire un cadavere economico. Giocano ruoli importanti i piani di risanamento e l’eventuale ingresso di nuovi soci che immettano liquidità per chiudere i debiti.
Caso 3: Infermiere ex socio di cooperativa che vuole far causa (punto di vista del lavoratore)
Scenario: Mario è un infermiere che dal 2018 al 2022 ha lavorato tramite la cooperativa Delta in vari ospedali. Nel 2023, stanco della precarietà, lascia la cooperativa. Si accorge che Delta non gli ha versato tutti i contributi (INPS gestione separata, essendo socio lavoratore, risulta pagato solo fino al 2020 poi più nulla). Inoltre, in cooperativa guadagnava €1.300 netti, mentre un pari livello dipendente ASL guadagnava €1.600 + indennità. Mario vorrebbe ora impugnare la natura del rapporto e chiedere che uno degli ospedali dove ha prestato servizio (che aveva sempre carenza di organico e lo chiamava continuamente) lo assuma o gli risarcisca le differenze.
Azione possibile: Mario, tramite un avvocato giuslavorista, può notificare entro 60 giorni dalle dimissioni dalla cooperativa l’impugnativa della somministrazione all’ASL (utilizzatore) chiedendo di essere riconosciuto alle dipendenze di quest’ultima (art. 39 D.Lgs. 81/2015) . Se sono passati più di 60 giorni dalla cessazione presso quell’ASL, rischia decadenza. Però Mario ha lavorato “a intermittenza” in più strutture: bisogna valutare la data di cessazione per ciascuna. Forse una è recente e quella si può impugnare.
Nel ricorso al Tribunale del Lavoro Mario chiederà: la costituzione di rapporto di lavoro subordinato con l’ASL X dal 2018 al 2022, livello DS del CCNL Sanità, e il pagamento di differenze retributive (straordinari, indennità, tredicesime differenziali) e contributive, nonché il risarcimento del danno. Più realisticamente, chiederà l’indennità onnicomprensiva 2,5-12 mensilità prevista dall’art.38 D.Lgs.81/2015 . L’ASL quasi certamente contesterà la domanda eccependo la decadenza (sperando che Mario abbia sforato i termini) e nel merito sosterrà che la cooperativa era genuina.
Esito possibile: Se Mario ha rispettato i termini, e se porta buone prove (es. testimonianze di colleghi che dicono che di fatto era trattato come uno dell’ospedale), può vincere. Il giudice dichiara la somministrazione illegittima e condanna l’ASL a pagargli, poniamo, 6 mensilità di indennità. Mario così recupera qualcosa. L’ASL a quel punto probabilmente si rivarrà sulla cooperativa (che però sarà insolvente).
Implicazioni fiscali: Mario potrebbe chiedere all’INPS di accreditargli i contributi mancanti: l’INPS se la vedrà con l’ASL per farsi pagare. Per Mario importante è avere i contributi per la pensione. Ai fini IRPEF, Mario ha sempre dichiarato i redditi percepiti da socio (speriamo): se ora riceve altre somme dall’ASL come indennità, saranno soggette a tassazione separata come risarcimento.
Commento: Dal lato lavoratore, non sempre conviene agire, specialmente se i termini sono scaduti. Ma se ci sono iniziative coordinate (es. sindacati che supportano decine di infermieri in cause simili), ciò può spingere i committenti a trovare soluzioni (ad esempio offrire stabilizzazioni o transazioni). Il contenzioso di lavoro può incrociarsi col tributario: se più lavoratori fanno cause e le vincono, rafforza le ragioni anche del Fisco nel dire che quell’appalto era fittizio (cosa che l’ente pubblico ovviamente vorrebbe evitare). Dunque alcune ASL in passato hanno transato con i lavoratori per evitare pronunce di illegittimità che aprissero il vaso di Pandora.
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa rischio concretamente se l’Agenzia delle Entrate mi contesta l’uso di una cooperativa infermieristica in modo illecito?
R: Rischi una serie di conseguenze: innanzitutto di dover pagare imposte arretrate (IVA non detratta, ritenute non versate, maggior IRAP, ecc.) con sanzioni e interessi molto elevate . Inoltre potresti dover pagare all’INPS i contributi previdenziali dei lavoratori come se fossero stati tuoi dipendenti, più sanzioni civili. Non solo: c’è il rischio di processo penale per reati tributari (in primis frode fiscale con fatture false, punita severamente ) e eventualmente per illeciti sul lavoro (anche se questi oggi sono per lo più amministrativi). In sintesi, rischi un danno economico ingente e, se l’illecito è grave, anche condanne penali e la perdita di credibilità verso enti pubblici e lavoratori. Va detto però che, se collabori e sani il dovuto (soprattutto contributi), puoi evitare il penale contributivo , e se dimostri buona fede puoi almeno evitare il carcere nel penale tributario (magari con una pena sospesa o una soluzione di patteggiamento). Le sanzioni amministrative pecuniarie invece, in caso di accertamento fondato, sono difficilmente evitabili (ma talora riducibili).
D: La cooperativa può essere chiamata a pagare al posto mio?
R: La cooperativa è corresponsabile per le proprie obbligazioni (versare IVA incassata, versare i contributi ai propri dipendenti, pagare le ritenute). Tuttavia, nella pratica, se la cooperativa è insolvente o in liquidazione, l’Erario e l’INPS si concentreranno su di te che sei il committente e quindi, di fatto, il “vero datore di lavoro” secondo la riqualificazione. Legalmente, c’è una responsabilità solidale: significa che sia tu sia la cooperativa siete debitori verso il Fisco e verso i lavoratori. Il Fisco sceglierà il bersaglio più solvibile (in genere tu). Puoi poi rivalerti sulla cooperativa per la parte di sua spettanza, ma spesso è inutile perché non ha patrimonio. Nota bene: esiste una norma (art. 14 D.Lgs. 81/2015) che esonera il committente da sanzioni amministrative se dimostra che l’inadempimento contributivo è dovuto esclusivamente all’appaltatore e di aver pagato regolarmente il corrispettivo: però quella tutela vale più in caso di appalto genuino. Se ti contestano l’appalto illecito, significa che non potrai facilmente invocare quell’esonero.
D: La mia cooperativa era regolare e pagava tutto, possibile che sia considerato illecito lo stesso?
R: È possibile. Anche se la cooperativa era “regolare” nel senso di in regola con Durc, iscritta all’albo, etc., ciò che rileva è come operava il rapporto. Se di fatto i lavoratori erano diretti e organizzati da te committente, l’illiceità sussiste a prescindere dal fatto che la cooperativa versasse i contributi e pagasse stipendi. Una cooperativa potrebbe essere fiscalmente onesta ma comunque fungere da interposizione. In tal caso, è vero, non avrai grossi debiti contributivi da recuperare (perché magari la coop li ha versati), ma restano i profili IVA e ritenute: l’Agenzia potrebbe dirti comunque “dovevi assumere tu, quindi quell’IVA è indebita”. D’altro canto, il comportamento virtuoso della cooperativa può aiutarti a dimostrare che non c’era intento fraudolento. In giudizio potrai sostenere: “Non c’era evasione di contributi né di IVA, tutto pagato – l’operazione era lecita nella sostanza, è solo una questione formale di qualificazione”. Questo potrebbe portare magari a vincere sul merito o almeno a farti annullare le sanzioni per mancanza di dolo evidente. Quindi, se la cooperativa era davvero regolare, difenditi evidenziando questo aspetto. La Cassazione ha detto che ci vuole un quid pluris fraudolento per configurare reato : se manca (perché nessuno ha evaso nulla), potresti evitare le conseguenze peggiori.
D: Ho ricevuto un avviso di accertamento, devo pagare subito?
R: No, l’avviso non esecutivo non va pagato subito. Hai 60 giorni per fare ricorso o reclamo. Durante questo periodo, il pagamento è sospeso. Se presenti un’istanza di accertamento con adesione, guadagni tempo (l’avviso viene sospeso per ulteriori 90 giorni e ti siedi a trattare). Se fai un reclamo/mediazione, c’è una sospensione di 90 giorni in attesa della risposta dell’ufficio. Solo se non presenti nulla entro 60 giorni, l’avviso diventa definitivo e l’Agente della riscossione può emettere cartella e procedere. Dunque, consigliabile attivarsi entro i termini. Tieni presente però: dal 2022 gli avvisi di accertamento sono già titoli esecutivi dopo 60 giorni. Significa che, scaduti i 60 giorni senza ricorso, in teoria potrebbero avviare misure cautelari (fermi, ipoteche) e dopo ulteriori 30 giorni ingiunzioni. Quindi, non trascurare la scadenza. Una volta presentato il ricorso, puoi anche chiedere al giudice la sospensione dell’atto se ci sono gravi motivi (ad es. importo enorme che ti mette in crisi). Se accordata, la riscossione è sospesa fino alla sentenza di primo grado. In parallelo, se l’INPS ha emesso avviso di addebito, quello invece è immediatamente esecutivo trascorsi 60 giorni: quindi col ricorso al giudice del lavoro chiedi subito la sospensione. Morale: non pagare subito (soprattutto se pensi di aver ragione o vuoi trattare), ma nemmeno ignorare l’atto – occorre reagire prontamente con gli strumenti di legge.
D: Possiamo “patteggiare” col Fisco?
R: Sì, in ambito tributario esistono modi di patteggiare. Prima del ricorso puoi fare l’adesione: è un vero negoziato, tu rinunci a contestare tutto e l’ufficio ti riduce sanzioni o imponibili. In giudizio, puoi fare conciliazione giudiziale: in qualsiasi grado (ora anche in Cassazione) puoi trovare un accordo con l’Agenzia . Di solito l’accordo consiste nel pagare il tributo e una parte delle sanzioni (ad esempio, il 40%). Questo a volte conviene, specie se capisci che rischi di perdere e vuoi chiudere la questione. La conciliazione ha il vantaggio di definire anche gli aspetti penali tributari: se concili e paghi, il reato di dichiarazione infedele o omesso versamento si estinguono (quello di frode fiscale no, si estingue solo pagando tutto il debito prima del dibattimento, ma la conciliazione può avvenire proprio in quella fase e preludere a un patteggiamento anche penale). Quindi sì, puoi patteggiare. Anche con l’INPS spesso si “patteggia” in senso lato: se versi i contributi, magari l’INPS non insiste su sanzioni o ritira il provvedimento se la tua difesa aveva chance di riuscire. In generale, la tendenza 2023-2025 è spingere per soluzioni deflattive: allo Stato conviene incassare, anche un po’ meno, subito, che combattere per anni. Approfittane se la tua priorità è ridurre il danno economico e chiudere la vicenda.
D: Se la cooperativa ha commesso reati, posso dissociarmi e salvarmi?
R: Dipende. Se riesci a provare che sei stato ingannato dalla cooperativa (ad esempio presentava documenti falsi, tu ignoravi il retroscena), potresti evitare il concorso in reati. Ma onestamente, se eri il beneficiario finale del sistema (risparmio di costi), difficilmente potrai lavartene le mani. Puoi però attuare un comportamento post-fatto virtuoso: collaborare con gli inquirenti, fornire i nomi dei veri organizzatori, documenti interni che mostrino che magari tu eri riluttante. Questo può farti ottenere attenuanti. In sede fiscale, puoi chiedere la non applicazione di sanzioni per obiettiva incertezza o per forza maggiore se ritieni di avere argomenti (es. un parere di un ente che diceva che quel contratto era lecito). Non è facile da ottenere, ma provarci non costa nulla. In sintesi, se la cooperativa ha frodato e tu ne hai beneficiato, il fatto che ora tu prenda le distanze e collabori è utile per ridurre sanzioni e pene, ma non ti esime dal pagare i debiti tributari e contributivi che, per legge, ricadono comunque su di te in solido.
D: Come posso prevenire problemi simili in futuro?
R: La lezione è: se hai bisogno di personale esterno, fallo in modo conforme alla legge. Ci sono alternative: puoi rivolgerti a un’Agenzia per il lavoro interinale autorizzata per avere personale a tempo determinato (costa di più perché paghi la commissione all’agenzia, ma è legale). Oppure, se vuoi l’appalto di servizi, devi strutturarlo affinché sia genuino: scegli cooperative serie che abbiano una propria organizzazione (ad esempio cooperative di medici/infermieri che offrano un servizio chiavi in mano), definisci bene l’oggetto del contratto come risultato (non “tot ore infermiere” ma “gestione reparto X”), lascia che sia davvero l’appaltatore a dirigere il personale (non mettere un tuo capo a comandarli), prevedi clausole di assunzione del rischio (penali a carico loro se mancano il risultato). In più, controlla periodicamente che la cooperativa sia in regola (chiedi il DURC ogni 3 mesi, verifica che paghi gli stipendi – magari fai pagamenti vincolati al fatto che mi mostrino le ricevute stipendi). Se il meccanismo è trasparente e non finalizzato a risparmiare su tasse e contributi, non dovresti avere problemi. Insomma, la prevenzione sta nel rispettare la distinzione tra appalto e somministrazione: se il tuo intento è avere flessibilità senza assumere, va bene, ma devi comunque pagare il giusto prezzo (che includa oneri) a un appaltatore vero. Se qualcuno ti propone scorciatoie (tipo “facciamo una coop che poi chiudiamo prima di pagare l’IVA”), rifiuta: oggi come oggi, quelle scorciatoie portano quasi sicuramente a sanzioni peggiori domani, dati i controlli incrociati di INPS, Entrate e NAS.
D: Il decreto di “blocco gettonisti” mi obbliga a licenziare le cooperative subito?
R: Se operi nel pubblico (ASL, ospedale pubblico), dal 31 luglio 2025 non puoi stipulare nuovi contratti con coop per personale sanitario . I contratti in essere possono proseguire fino alla scadenza naturale (ma senza rinnovi automatici) . Quindi, devi pianificare di sostituire quei lavoratori esterni con assunzioni o altre soluzioni entro la fine dei contratti. Se operi nel privato, quel decreto non ti vincola direttamente, ma è un segnale: anche nel privato l’abuso di esterni può essere visto male (specie se ricevi accreditamenti pubblici). In ogni caso, il blocco nel pubblico non “perdona” eventuali illeciti pregressi: se fino al 2024 hai usato coop in modo improprio, potresti comunque essere accertato per quegli anni. Il decreto serve a prevenire il ripetersi in futuro.
D: Se l’Agenzia delle Entrate mi ha già fatto un accertamento su IVA e costi, può anche l’INPS farmi pagare? Non è una doppia imposizione?
R: Purtroppo sono due piani diversi: uno è tributario, l’altro previdenziale. Pagare l’IVA non detratta e le imposte non significa aver pagato i contributi pensionistici dei lavoratori. Sono obblighi differenti verso enti diversi (Entrate e INPS). Quindi sì, ti tocca soddisfarli entrambi. Non è considerata doppia imposizione perché l’IVA/IRESp ecc. colpiscono il reddito d’impresa, i contributi vanno a coprire posizioni assicurative dei lavoratori. Certo, alla fine per te azienda sono esborsi che si sommano e aggravano. In qualche caso, però, puoi giocare su compensazioni: ad esempio, se devi pagare 100k di contributi e hai crediti d’imposta verso Erario, puoi chiedere di usarli in compensazione (fino a certi limiti). Oppure se paghi i contributi, quei costi diventano deducibili nell’anno di pagamento e ti riducono il reddito tassabile (un piccolo sollievo fiscale). Devi coordinarlo col tuo commercialista per non perdere nulla: spesso i recuperi arrivano insieme e bisogna evitare di pagare due volte la stessa cosa. Un esempio tipico: l’Agenzia ti nega deduzione di costi per 100 (quindi ti tassa di più) e l’INPS ti fa pagare contributi su quei 100 come stipendi; così tu paghi tasse su soldi che poi hai usato per contributi… Idealmente, in sede di adesione si potrebbe chiedere all’Agenzia di tener conto che quei costi li stai trasformando in contributi obbligatori (che sono deducibili): non è automatico, ma in dichiarazione futura potrai dedurre i contributi versati. Insomma, è complesso ma un bravo consulente fiscale può minimizzare le “doppie penalizzazioni” coordinando le procedure.
D: Le sentenze di Cassazione come incidono sul mio caso?
R: Le sentenze di Cassazione (civile, penale, tributaria) creano orientamenti. Ad esempio, Cassazione tributaria ha detto chiaramente che senza rischio d’impresa dell’appaltatore l’operazione è illecita . Questo indirizza i giudici di merito a decidere contro i contribuenti in casi simili. Tuttavia, ogni caso ha sue particolarità e i giudici possono valutare diversamente i fatti. Non c’è vincolo di precedente assoluto in Italia (tranne per le Sezioni Unite su principi di diritto). Quindi una tua difesa ben costruita può ancora avere successo se dimostra differenze rispetto ai casi decisi dalla Cassazione. Puoi anche cercare pronunce di merito favorevoli: ad esempio, qualche Commissione Tributaria che magari abbia dato ragione al contribuente su vicende borderline (ce ne sono, di solito su cooperative dove il servizio era effettivo e la riqualificazione è stata ritenuta forzata). Citare quelle può aiutare a convincere i giudici del tuo caso. In ultima analisi, però, se arrivi fino in Cassazione, è probabile che si atterrà al filone maggioritario: e quello, ad oggi, è sfavorevole agli appalti fittizi (consolidatosi con sentenze del 2022-2024, come abbiamo visto) . Quindi, realisticamente, punta a risolvere prima se puoi, perché confidare in un ribaltamento giurisprudenziale è rischioso.
D: Sono un consulente del lavoro: cosa devo fare se un cliente (cooperativa o azienda) mi chiede di impostare una fornitura di infermieri?
R: La tua responsabilità professionale è guidare il cliente verso una soluzione legale. Se l’azienda cliente vuole assumere infermieri senza contratti standard, illustrale i rischi di cui sopra. Proponi alternative: contratti a termine diretti (in sanità privata ci sono meno vincoli che nel pubblico), assunzioni part-time se serve flessibilità, oppure l’esternalizzazione di un servizio completo (ad esempio appaltare ad una coop la gestione di un piccolo ambulatorio, dove la coop porta anche un coordinatore, acquista materiali, ecc.). Se proprio vogliono usare cooperative per avere personale, consiglia di passare per agenzie interinali (molte agenzie interinali ora offrono anche profili sanitari, i c.d. “staff leasing” sanitari) che sono pienamente autorizzate. Costa un 10-15% in più forse, ma è costo certo e deducibile, senza rischi di contestazioni. Come consulente, tieniti alla larga da architetture elusive: oggi i controlli incrociano banche dati (le coop spurie spesso emergono perché hanno codici ATECO incongruenti, depositano bilanci in perdita cronica, cambiano sede di frequente… tutte cose visibili da banche dati a cui l’Agenzia accede). Inoltre, dal 2024 c’è un progetto di incrocio dati INPS-Agenzia per segnalare aziende che deducono tanti costi per servizi labour-intensive e hanno pochi dipendenti: un segnale di allarme. Quindi il tuo cliente sarebbe facilmente individuato. Fagli capire che un risparmio oggi può voler dire pagare il triplo domani in sanzioni e avvocati. Se poi insiste su strade spericolate, valuta anche per te se continuare il rapporto: potrebbero chiamare in causa anche te se le cose vanno male (come istigatore o concorrente nel reato, è successo in alcuni casi con consulenti del lavoro). Etica e compliance devono guidare la consulenza, ancor più dopo la riforma fiscale che mira alla cooperative compliance (non confondere: “cooperative compliance” è un regime di adempimento collaborativo per grandi imprese, nulla a che fare con le coop spurie, anzi è l’opposto – però è la direzione auspicata: fisco e imprese collaborano alla legalità) .
Fonti: Le informazioni e i principi riportati derivano da normative vigenti e da pronunce giurisprudenziali aggiornate. In particolare, si sono considerati: il D.Lgs. 81/2015 e successivi correttivi, la Cassazione (es. sent. 32289/2022 sul caso di cooperativa infermieristica e somministrazione illecita ; Cass. pen. 16302/2022 sulla frode fiscale con fatture soggettivamente false ; Cass. trib. 20591/2024 sul criterio rischio/organizzazione per deduzione costi ; Consiglio di Stato 1571/2018 sugli appalti di coop alle ASL ), nonché i recenti provvedimenti normativi come il D.Lgs. 156/2022 e D.Lgs. 218/2023 di riforma fiscale.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate o un verbale della Guardia di Finanza perché ti viene contestato l’uso illecito di cooperative infermieristiche per fornire personale sanitario? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Vuoi sapere cosa rischi e come difenderti da queste contestazioni fiscali e penali?
👉 Prima regola: dimostra la reale operatività della cooperativa e la legittimità dei rapporti di lavoro e delle prestazioni rese.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Cooperative infermieristiche utilizzate come schermo per ridurre il carico fiscale e contributivo;
- Rapporti di lavoro riqualificati come subordinati invece che associativi;
- Utilizzo di cooperative di comodo per emettere fatture a favore di strutture sanitarie;
- Mancata iscrizione o irregolarità negli adempimenti previdenziali e fiscali;
- Compensi fatturati dalla cooperativa considerati redditi di lavoro dipendente occultati.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero delle imposte e dei contributi previdenziali non versati;
- Sanzioni fiscali per dichiarazione infedele o utilizzo di fatture inesistenti;
- Interessi di mora sulle somme dovute;
- Rischio di responsabilità solidale tra cooperative, infermieri e strutture sanitarie;
- Contestazioni penali per frode fiscale o somministrazione illecita di manodopera.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- La cooperativa era realmente operativa, con soci effettivi e attività tracciabile?
- I compensi erano proporzionati e regolarmente deliberati?
- Le fatture corrispondevano a prestazioni effettivamente rese?
- I soci erano a conoscenza del regime fiscale applicabile?
- L’Agenzia fonda l’accertamento su dati certi o su presunzioni generiche?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Statuto e atti costitutivi della cooperativa;
- Libri sociali, verbali assembleari e delibere;
- Contratti e convenzioni con strutture sanitarie;
- Fatture, ricevute e tracciabilità dei pagamenti;
- Documentazione INPS e INAIL relativa ai soci-lavoratori.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la legittimità del modello cooperativo adottato;
- Contestare la riqualificazione dei rapporti come lavoro subordinato occulto;
- Evidenziare la regolare emissione delle fatture e la tracciabilità dei pagamenti;
- Eccepire errori di calcolo o vizi procedurali negli atti di accertamento;
- Richiedere l’annullamento in autotutela o presentare ricorso entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria;
- Difesa penale mirata in caso di contestazioni per frode o somministrazione illecita.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la struttura e la documentazione della cooperativa;
📌 Verifica la legittimità della contestazione e individua i margini difensivi;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei giudizi fiscali e nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce strategie preventive per la gestione corretta di cooperative e rapporti associativi.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e del lavoro;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su cooperative e lavoro parasubordinato;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’uso illecito di cooperative infermieristiche non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni, interpretazioni restrittive o da errori nell’inquadramento dei rapporti.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale operatività della cooperativa, ridurre le pretese fiscali ed evitare gravi conseguenze penali.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sulle cooperative infermieristiche inizia qui.