Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per mancata autofatturazione? In questi casi, l’Ufficio presume che non siano stati correttamente emessi i documenti fiscali in regime di inversione contabile (reverse charge) o in occasione di acquisti da fornitori esteri. L’omissione dell’autofattura comporta la mancata applicazione dell’IVA dovuta e la conseguente contestazione fiscale. Le conseguenze possono essere pesanti: recupero dell’imposta, applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre l’accertamento è fondato: con una difesa adeguata è possibile ridurre sensibilmente le sanzioni o dimostrare la regolarità delle operazioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta la mancata autofatturazione
– Se non è stata emessa autofattura per acquisti intracomunitari o da fornitori extra-UE
– Se non è stata applicata l’IVA in regime di reverse charge per prestazioni di servizi ricevute
– Se vi sono incongruenze tra i dati comunicati dai fornitori esteri e quanto dichiarato in Italia
– Se le registrazioni contabili risultano incomplete o difformi rispetto agli obblighi IVA
– Se l’Ufficio presume un intento elusivo o fraudolento nella mancata emissione delle autofatture
Conseguenze della contestazione
– Recupero dell’IVA non applicata o non versata
– Applicazione di sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta non correttamente dichiarata
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Rettifica delle dichiarazioni fiscali e inserimento in liste di controllo
– Nei casi più gravi, denuncia penale per frode IVA se vi è un disegno sistematico di evasione
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che l’operazione era già stata correttamente assoggettata a IVA
– Produrre documentazione contabile, contratti e dichiarazioni fiscali a supporto della regolarità
– Contestare la qualificazione come “mancata autofatturazione” se si tratta di errori formali senza impatto sostanziale
– Evidenziare vizi di notifica, carenze istruttorie o difetti di motivazione dell’accertamento
– Richiedere la riduzione delle sanzioni tramite il principio di proporzionalità e buona fede
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare le operazioni contestate e la documentazione IVA collegata
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione delle norme sul reverse charge
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali
– Difendere l’impresa davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della natura meramente formale dell’irregolarità, senza effetti sostanziali
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: la mancata autofatturazione è una delle violazioni IVA più contestate dal Fisco, specie nei rapporti internazionali. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare gravi conseguenze fiscali e penali.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e IVA – spiega come difendersi in caso di contestazioni per mancata autofatturazione e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.
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Introduzione
Ricevere una contestazione dell’Agenzia delle Entrate per mancata autofatturazione significa che il Fisco imputa al contribuente (sia esso imprenditore, professionista o legale rappresentante di società) di non aver adempiuto all’obbligo di inversione contabile (reverse charge) o di regolarizzazione mediante autofattura in operazioni in cui ciò era richiesto. In altre parole, l’Amministrazione finanziaria sostiene che il contribuente ha effettuato acquisti di beni o servizi – specialmente da fornitori esteri o in casi particolari interni – senza emettere la necessaria autofattura, eludendo così il corretto assolvimento dell’IVA. Una simile contestazione comporta generalmente la richiesta di versare l’IVA dovuta, gli interessi e pesanti sanzioni amministrative, nonché l’obbligo di attivarsi in tempi brevi per tutelare i propri diritti.
Questa guida, aggiornata ad agosto 2025, esamina in dettaglio la disciplina italiana in materia di autofatturazione omessa o irregolare, con un taglio avanzato ma un linguaggio chiaro e divulgativo. È rivolta a professionisti legali, privati cittadini e imprenditori che si trovino ad affrontare un avviso di accertamento per mancata autofatturazione. L’analisi adotta il punto di vista del debitore/contribuente, ossia si focalizza su come reagire e difendersi, evidenziando gli strumenti normativi e giurisprudenziali utili per ridurre o annullare le pretese fiscali.
Nello specifico, approfondiremo:
- Quando è obbligatoria l’autofatturazione e il reverse charge, delineando il quadro normativo IVA italiano (artt. 17 e 21 DPR 633/1972, D.L. 331/1993 per acquisti intracomunitari, ecc.) e le situazioni tipiche in cui il cessionario/committente deve emettere autofattura (operazioni estere e particolari operazioni interne);
- Cosa comporta la mancata autofatturazione in termini di IVA non versata e violazioni fiscali, analizzando le modalità con cui l’Agenzia delle Entrate rileva e quantifica queste irregolarità (incrocio di dati, verifiche finanziarie e contabili, controlli su esterometro e fatture elettroniche, ecc.);
- Le sanzioni amministrative applicabili al mancato assolvimento dell’inversione contabile, sia nel regime attuale (post riforma 2024) sia per le violazioni pregresse, incluse le differenze tra violazioni formali e sostanziali, nonché le eventuali ricadute sul diritto alla detrazione IVA e sulla deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette;
- Le procedure di regolarizzazione e difesa a disposizione del contribuente: dal ravvedimento operoso (per sanare spontaneamente l’omissione) agli strumenti deflativi come l’accertamento con adesione, la definizione agevolata delle sanzioni o l’acquiescenza, fino al ricorso in Commissione/Corte di Giustizia Tributaria per far valere le proprie ragioni dinanzi al giudice tributario;
- Le più recenti pronunce giurisprudenziali e la prassi ufficiale in materia, con riferimento alle decisioni della Corte di Cassazione (fino al 2025) e ai chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate (circolari, risoluzioni, interpelli), che aiutano a delineare l’orientamento attuale su questi temi;
- Una sezione finale di Domande & Risposte frequenti e tabelle riepilogative che sintetizzano gli aspetti chiave (ad esempio, quando emettere l’autofattura, entro quali termini, quali sanzioni si rischiano e come ridurle), nonché casi pratici simulati riguardanti sia operazioni con l’estero sia casi interni, per comprendere concretamente come applicare le regole dal punto di vista del contribuente.
L’obiettivo è offrire una panoramica completa e aggiornata che permetta al contribuente di capire come difendersi efficacemente da un accertamento per mancata autofatturazione, facendo valere i propri diritti e minimizzando gli esborsi dovuti.
Nota: Le informazioni riportate tengono conto delle ultime modifiche normative (es. Decreto legislativo 87/2024 di riforma delle sanzioni tributarie, in vigore dal 1° settembre 2024) e delle più recenti sentenze di legittimità. Salvo diversa indicazione, ci si riferisce a violazioni di natura amministrativo-tributaria (non tratteremo eventuali profili penali, generalmente estranei salvo ipotesi di frode o evasione fiscale grave, non oggetto di questa trattazione).
Obbligo di autofatturazione: quadro normativo e casi tipici
In Italia vige l’obbligo generalizzato di documentare con fattura tutte le operazioni rilevanti ai fini IVA (cessioni di beni e prestazioni di servizi), salvo specifiche eccezioni. Normalmente è il cedente/prestatore a dover emettere fattura, addebitando l’IVA al cliente. Tuttavia, in alcune situazioni la legge prevede che l’obbligo di fatturazione (e di versamento dell’IVA) sia trasferito in capo al cessionario/committente: è il meccanismo dell’inversione contabile o reverse charge. In tali casi, il cliente emette un documento (integrazione o autofattura) per contabilizzare l’IVA dovuta sia nel registro IVA vendite che in quello acquisti, assolvendo così l’imposta pur in assenza di addebito da parte del fornitore .
Di seguito elenchiamo i principali casi in cui scatta l’obbligo di autofatturazione (o documenti equivalenti) a carico del cessionario/committente:
- Acquisti da fornitori esteri (reverse charge “esterno”) – Se un soggetto passivo IVA italiano acquista beni o servizi da un fornitore non stabilito in Italia, deve applicare l’IVA mediante integrazione o autofattura, in base alla provenienza del fornitore:
- Beni acquistati da fornitori UE: configurano acquisti intracomunitari disciplinati dall’art. 46 D.L. 331/1993. Il fornitore UE emette fattura senza IVA e il cessionario italiano deve integrarla con l’IVA italiana (reverse charge) .
- Servizi ricevuti da fornitori UE: anche per i servizi intra-UE vale il reverse charge (art. 17 co.2 DPR 633/1972), tipicamente mediante integrazione della fattura estera .
- Acquisti da fornitori extra-UE: per beni o servizi il cui fornitore non è in alcun Paese UE, non avendo una partita IVA comunitaria, il meccanismo è quello dell’autofattura ex art. 17 co.2 DPR 633/1972 . Il cessionario italiano emette egli stesso una fattura intestata a sé medesimo, con i dati del fornitore estero, applicando l’IVA italiana dovuta . Questo documento va numerato, registrato sia tra le fatture emesse che tra gli acquisti, ed inviato al Sistema di Interscambio (SdI) in formato elettronico (tipo documento TD17 per servizi da estero, TD18 per acquisti intracomunitari di beni, TD19 per acquisti di beni da soggetto extra-UE identificato in Italia) . In tal modo l’operazione risulta neutra: l’IVA è dovuta e contemporaneamente detraibile dal committente (salvo limitazioni alla detrazione), ma intanto è assicurata la tracciabilità ai fini dei controlli .
- Importazioni di beni da Paesi extra-UE: in questo caso l’IVA è assolta in dogana e documentata con bolla doganale, quindi non ricorre un’autofattura ma un diverso adempimento.
- Operazioni interne soggette a reverse charge “interno” – L’art. 17 DPR 633/1972 individua alcune fattispecie di operazioni tra soggetti nazionali in cui l’IVA non viene addebitata dal cedente, ma va assolta dal cessionario. Si tratta ad esempio di prestazioni di subappalto nel settore edile, cessioni di rottami e materiali ferrosi, cessioni di oro da investimento, alcune forniture nel settore elettronico, ecc. In questi casi:
- Il fornitore nazionale emette fattura senza applicazione dell’IVA, indicando la dicitura di inversione contabile (es. “reverse charge art. 17 comma 6 DPR 633/72”).
- Il cliente deve integrare la fattura ricevuta con l’indicazione dell’aliquota e dell’IVA dovuta, e registrarla sia nel registro vendite che acquisti, come avviene per gli acquisti da estero . In pratica l’integrazione svolge la stessa funzione dell’autofattura (spesso si parla infatti di “autofattura interna”).
- E-fattura per reverse charge interno: dal 1° ottobre 2020, anche per queste operazioni il cessionario può utilizzare i codici tipo documento dedicati in sede di integrazione elettronica (ad es. TD16 per inversione interna) . In alternativa, è prassi integrare manualmente la fattura ricevuta (anche stampandola) e conservarla, fermo restando l’obbligo di doppia registrazione . La sostanza è che l’IVA deve risultare a debito e a credito nello stesso periodo.
- L’eventuale omissione di tale integrazione/autofattura interna configura a tutti gli effetti una violazione (pur senza impatto sul versamento in caso di piena detraibilità), come vedremo, ed espone a sanzione.
- Mancata emissione o irregolarità della fattura da parte del fornitore nazionale – Questa è la classica ipotesi in cui si parla di “autofattura denuncia” o di obbligo di regolarizzazione a carico dell’acquirente. La situazione tipica: un soggetto IVA effettua un acquisto da un fornitore italiano, ma quest’ultimo non emette la fattura entro i termini di legge, oppure emette una fattura con errori sostanziali (es. imponibile o IVA esposti in modo errato). Per evitare che tale violazione resti impunita e tutelare l’Erario, l’ordinamento pone in capo al cliente l’obbligo di denunciare la controparte inadempiente, regolarizzando comunque l’IVA. In sintesi:
- Normativa previgente fino al 2024: ai sensi dell’art. 6 comma 8 D.Lgs. 471/1997 (vecchio testo), il cessionario/committente che non riceve fattura entro 4 mesi dall’effettuazione dell’operazione, ovvero riceve una fattura irregolare, doveva entro i successivi 30 giorni:
- Emettere una autofattura di regolarizzazione (la cosiddetta autofattura-denuncia, in formato elettronico documento tipo TD20) riportando gli elementi essenziali dell’operazione come avrebbero dovuto essere fatturati ;
- Versare l’IVA mediante F24 (in caso di omessa fattura) o versare la maggiore IVA dovuta (in caso di fattura emessa ma con imposta inferiore al dovuto);
- Presentare l’autofattura all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente (in pratica, prima dell’era della e-fattura, l’autofattura andava anche comunicata fisicamente o via PEC).
- Se il cliente eseguiva per tempo questa procedura, evitava la sanzione a proprio carico, fermo restando che la responsabilità principale restava in capo al fornitore (che potrebbe comunque essere sanzionato e chiamato a pagare l’imposta evasa) . Questo meccanismo fungeva quindi da “segnalazione” al Fisco: grazie alle autofatture di regolarizzazione inviate (specie ora tramite SdI), l’Agenzia poteva individuare i fornitori che avevano omesso fatture e avviare controlli .
- Novità dal 2024: Il D.Lgs. 87/2024 ha profondamente modificato questa procedura. Dal 1° settembre 2024 non è più necessario emettere un’autofattura denuncia, né versare immediatamente l’IVA al posto del fornitore . In base al nuovo art. 6 comma 8 D.Lgs. 471/1997, il cessionario/committente deve invece comunicare l’omissione o irregolarità all’Agenzia delle Entrate entro 90 giorni dal termine in cui la fattura doveva essere emessa (o dalla data di registrazione, se si tratta di fattura ricevuta ma viziata) . La comunicazione avverrà con strumenti telematici messi a disposizione dall’Agenzia – è stato introdotto a tal fine il codice documento TD29 per le fatture elettroniche di segnalazione . Non è più richiesto il pagamento anticipato dell’IVA da parte del cliente: in sostanza si denuncia la violazione senza dover versare subito l’imposta .
- Se il cessionario effettua tale comunicazione nei 90 giorni, non subisce sanzioni. Diversamente (cioè se omette di segnalare entro il termine), sarà punito con una sanzione proporzionale (vedi sezione sulle sanzioni) pari al 70% dell’imposta relativa, con minimo 250 euro . Prima della riforma la sanzione era il 100% dell’imposta (minimo 250€) .
- La norma riformulata ha anche esplicitato che il cessionario non ha l’obbligo di sindacare le valutazioni giuridiche del cedente riguardo a regimi di non imponibilità o esenzione legati a requisiti soggettivi di quest’ultimo . In altre parole, il cliente deve verificare che una fattura sia stata emessa e che contenga i dati essenziali (descrizione, importi, IVA) corretti; ma non gli si può chiedere di stabilire, ad esempio, se il fornitore avesse diritto ad un certo regime IVA agevolato basato su condizioni soggettive non evidenti (come il regime forfetario, l’esenzione per piccole associazioni, ecc.). Questo chiarimento recepisce l’orientamento giurisprudenziale recente che limitava gli obblighi di controllo del cessionario alla sola regolarità formale della fattura ricevuta (v. Cass. nn. 37255/2022, 27669/2022, tra le altre).
- Situazione transitoria: la riforma si applica alle violazioni commesse dal 1/9/2024 in poi. Per le omissioni antecedenti, rimane formalmente in vigore la vecchia disciplina (autofattura entro 4+1 mesi e sanzione al 100% se non fatta) . Va detto però che, secondo i principi generali del diritto punitivo tributario, dovrebbe applicarsi il favor rei se la violazione non è definitiva: in altri termini, se un accertamento è in corso o impugnato, e la nuova norma prevede una sanzione inferiore, il contribuente può pretenderne l’applicazione retroattiva. Su questo punto specifico (applicabilità retroattiva del 70% in luogo del 100%) potrebbero esservi dispute interpretative, ma la Relazione illustrativa al decreto ha suggerito che le nuove regole non si applichino retroattivamente laddove il termine di 4 mesi + 30 gg era già spirato prima del 1/9/24 . In pratica: violazioni “cristallizzate” prima di settembre 2024 seguono l’impianto vecchio; violazioni ancora in corso a tale data seguono il nuovo (ad esempio, una fattura omessa a luglio 2024 per cui i 4 mesi scadono a novembre 2024 ricadrebbe nella nuova disciplina, consentendo la comunicazione entro 90 gg).
- Esempio pratico: un professionista italiano riceve un servizio da un fornitore nazionale il 1° luglio 2024, ma entro il 31 ottobre 2024 (4 mesi) non ha ancora ricevuto fattura. Il termine quadrimestrale scade dopo l’1/9/24, quindi il professionista potrà avvalersi della nuova procedura: entro 90 giorni dalla fine di ottobre (quindi entro fine gennaio 2025) dovrà comunicare l’omessa fatturazione all’AdE, evitando così sanzioni. Se invece la fattura avrebbe dovuto essere emessa entro aprile 2024 (termine scaduto prima di settembre), la violazione si considera avvenuta sotto la vecchia norma: se il cliente non ha autofatturato entro maggio 2024, l’AdE potrebbe contestargli la sanzione del 100% IVA (salvo impugnazioni e invocando eventualmente il favor rei in giudizio).
Riassumendo, le operazioni con soggetti esteri e i casi di reverse charge interno richiedono al cessionario di emettere autofattura (o documento equipollente) al fine di assolvere l’IVA in Italia. Parallelamente, nelle operazioni nazionali in cui il fornitore inadempie all’obbligo di fatturazione, il cliente deve attivarsi per regolarizzare l’operazione, pena diventare responsabile solidale dell’imposta non versata. La finalità comune di queste norme è evitare che transazioni sfuggano all’IVA: in un caso trasferendo l’obbligo al destinatario, nell’altro coinvolgendo il destinatario come vigilante sull’adempimento del fornitore.
Cosa succede se non si emette l’autofattura: effetti fiscali e accertamento
Omettere l’autofatturazione quando dovuta costituisce una violazione fiscale, che può avere conseguenze sia sul piano dell’IVA sia, in taluni casi, sul piano delle imposte dirette. Esaminiamo i vari profili:
- IVA non versata (eventuale) – Se la mancata autofattura riguarda un’operazione imponibile (ad es. un servizio da fornitore estero), l’IVA relativa non viene assolta nei termini. In molti casi, trattandosi di operazioni che il cessionario avrebbe potuto anche detrarre, l’effetto economico finale è neutro; ciononostante, dal punto di vista formale si configura un’omissione nel versamento. La Cassazione ha chiarito che il fatto che l’operazione sia “a saldo zero” per il committente non esclude la violazione: la procedura di reverse charge serve a permettere il controllo e prevenire evasioni, ad esempio in casi di detraibilità parziale . Dunque anche in assenza di un debito IVA effettivo, l’omessa autofatturazione viene sanzionata perché pregiudica l’azione di controllo dell’Amministrazione finanziaria . Solo se l’omissione ha comportato anche un’indebita detrazione dell’imposta (ad esempio operazione non detraibile che invece è stata portata in detrazione) allora la violazione diventa sostanziale incidendo sul tributo, con ulteriori conseguenze (maggiore imposta dovuta, sanzioni più gravi per infedele dichiarazione) .
- Operazione non registrata nei libri contabili – Spesso la mancata autofatturazione si accompagna alla mancata registrazione dell’operazione nei registri IVA (acquisti/vendite) e talvolta anche nelle scritture contabili generali. Ad esempio, se un’azienda paga un fornitore estero ma non registra la fattura né emette autofattura, nei registri IVA quell’acquisto non compare affatto. Ciò configura un’ulteriore irregolarità, perché le scritture non rappresentano compiutamente le operazioni effettuate. L’assenza di registrazione può indurre il Fisco a presumere anche implicazioni sulle imposte dirette: un acquisto non registrato potrebbe celare ricavi non registrati (nel caso di autofattura denuncia, un acquisto non fatturato dal fornitore spesso corrisponde a una vendita non dichiarata da quest’ultimo, ecc.). Le presunzioni bancarie sono frequenti: pagamenti effettuati verso fornitori esteri o extra-contabili, se scoperti, possono portare a presumere che dietro vi fossero operazioni non fatturate . Ad esempio, se l’azienda Alfa ha bonifici verso un fornitore in Cina e non risultano autofatture o integrazioni, l’ufficio può contestare IVA evasa su quei importi, e considerare gli stessi anche ai fini reddituali se erano stati dedotti come costi senza idonei documenti.
- Indetraibilità dell’IVA e costo indeducibile? – Un tema delicato è se il cessionario perde il diritto a detrarre l’IVA o a dedurre il costo in mancanza dell’autofattura. In linea di principio:
- Per la detrazione IVA, la regola è che serve una fattura regolare. Nel reverse charge, l’autofattura è il documento che consente di detrarre l’IVA pagata. Se non viene emessa (né registrata entro i termini della dichiarazione annuale), l’IVA teoricamente pagabile potrebbe non essere più detraibile dal committente, con la beffa che oltre a pagare l’imposta tardivamente, la si perde a credito. La Cassazione ha però avuto un orientamento più garantista in alcuni casi, ammettendo la detrazione se l’operazione è reale e l’autofattura viene comunque emessa anche se in ritardo, a condizione di rispettare certe procedure di regolarizzazione . La normativa nazionale comunque prevede che in sede di accertamento vengano “espunti” sia il debito che l’eventuale detrazione se trattasi di operazioni poi regolarizzate senza danno erariale . In pratica l’AdE recupera l’IVA a debito non versata, ma se quella stessa IVA era detraibile può non contestare la detrazione (tranne i casi di frode).
- Per la deducibilità del costo, se il contribuente non ha un documento (fattura/autofattura) potrebbe vedersi contestare che quel costo non è deducibile ai fini IRPEF/IRES, per carenza del requisito formale (art. 109 TUIR richiede elementi certi e precisi e idonea documentazione). Tuttavia, qualora l’operazione sia reale, la mancanza della fattura del fornitore può essere colmata dall’autofattura stessa come documento probatorio. Quindi, se il contribuente provvede tardivamente a regolarizzare, potrebbe difendere la deduzione del costo esibendo l’autofattura emessa seppur tardivamente. Diversamente, un costo “in nero” (fornitore pagato senza fattura né autofattura) rischia di essere ripreso a tassazione come indeducibile.
- Responsabilità del fornitore vs cessionario – È importante comprendere che l’autofatturazione a cura del cliente non sostituisce gli obblighi del fornitore. Se Tizio (fornitore) non emette fattura e Caio (cliente) fa autofattura e versa l’IVA, Tizio rimane comunque obbligato verso l’Erario sia per l’IVA sia per le sanzioni da omessa fatturazione. La Cassazione ha confermato che l’intervento del cliente “tutela momentaneamente l’Erario” ma non sana l’evasione del cedente . Il fornitore inadempiente resta debitore dell’imposta – che dovrà versare, eventualmente facendo rivalsa sul cliente – e soggetto alla sua sanzione propria . Dunque, in caso di omessa autofattura, spesso l’AdE procede parallelamente sia verso il cessionario (per la violazione di mancata regolarizzazione) sia verso il cedente (per la violazione di omessa fatturazione e occultamento del ricavo). Dal punto di vista del cliente, però, aver emesso autofattura nei termini lo mette al riparo da sanzioni: la segnalazione tempestiva “scarica” la responsabilità sul fornitore. Al contrario, se anche il cliente resta inerte, entrambi saranno sanzionabili.
Come individua l’Agenzia delle Entrate la mancata autofatturazione? Gli strumenti sono vari, soprattutto con l’era digitale: – Incrocio tra flussi delle fatture elettroniche e comunicazioni IVA: ad esempio, con l’introduzione dei tipi documento TD17, TD18, TD19, TD20 e ora TD29, il SdI raccoglie informazioni anche sulle autofatture emesse dai cessionari. L’assenza di tali comunicazioni, a fronte magari di pagamenti verso estero segnalati in anagrafe tributaria, può generare allerte. Inoltre, dal 2022 l’esterometro (comunicazione delle operazioni transfrontaliere) è confluito nell’invio delle e-fatture: un’operazione con l’estero non autofatturata risulta come un “buco” nei dati disponibili all’AdE . – Controlli finanziari (art. 32 DPR 600/1973): l’AdE e la Guardia di Finanza possono acquisire gli estratti conto bancari. Bonifici verso fornitori esteri o pagamenti a soggetti che non risultano tra i fornitori ufficiali dell’azienda fanno scattare approfondimenti. In sede di verifica, qualora emergano movimenti finanziari non giustificati da fatture registrate, l’ufficio può presumere che dietro ci siano acquisti occulti (o extraprofitti). Nel caso di specie, può contestare che tali uscite erano per acquisti senza autofattura, ricostruendo l’IVA dovuta su di essi e presumendo anche vendite non dichiarate se del caso . – Controlli incrociati fornitore-cliente: se il fornitore estero ha rappresentanza in Italia o è identificato, i suoi adempimenti (es. mancata dichiarazione di operazioni) possono far emergere la speculare mancanza lato cliente. Per fornitori extra-UE non identificati, l’AdE può fare segnalazioni internazionali o usare banche dati doganali e fiscali (es. VIES per operazioni UE). – Controlli sul campo: la Guardia di Finanza, durante verifiche in azienda, esamina anche i contratti, le fatture estere, le note contabili. È prassi che chiedano evidenza delle autofatture per fornitori esteri; se mancano, verbalizzano la violazione. Oppure, se trovano merci o servizi acquistati da un fornitore interno senza fattura, segnalano che il cliente non ha attivato la regolarizzazione. Ad esempio, un Processo Verbale di Constatazione (PVC) della GdF può contestare sia al fornitore la vendita in nero, sia al cliente la mancata autofattura-denuncia entro i termini . – Analisi di rischio e incrocio dichiarazioni: l’Agenzia utilizza algoritmi (“tessera di mosaico” IVA) che confrontano dati di fornitori e clienti. Un caso tipico: un cliente ha dichiarato un costo nei propri modelli dichiarativi (o detratto l’IVA su un acquisto estero in dichiarazione annuale), ma il fornitore non ha dichiarato il corrispondente ricavo né risultano autofatture del cliente. Tali discrepanze emergono dalle comunicazioni annuali e trimestrali IVA. Se, ad esempio, un soggetto presenta in dichiarazione un acquisto intracomunitario (che implica integrazione), ma l’esterometro non riporta nulla, l’Agenzia indaga. – Segnalazioni di altri enti: talvolta l’avviso di accertamento scaturisce da input esterni – dogane (per triangolazioni sospette non seguite da autofattura), segnalazioni dall’estero (fatture emesse da soggetti stranieri di cui non si vede il reverse charge in Italia), oppure persino “whistleblowing” di terzi coinvolti. Nei gruppi societari, se emerge un’operazione estera non dichiarata, può attivarsi un controllo a catena.
Quando l’Agenzia contesta formalmente la mancata autofatturazione, lo fa tipicamente mediante un avviso di accertamento (atto impositivo) in cui quantifica: – l’IVA presumibilmente dovuta sull’operazione non autofatturata (spesso coincidente con l’IVA che si sarebbe dovuta versare in reverse charge); – gli interessi per il ritardato versamento; – la sanzione amministrativa prevista dalla legge per la specifica violazione.
L’avviso viene notificato al contribuente (generalmente entro il 5° anno successivo a quello in cui si doveva fare l’autofattura, termine di decadenza dell’accertamento IVA ex art. 57 DPR 633/72 , salvo proroghe). Si tratta di un atto sia accertativo (accerta l’imposta evasa) sia impo-esattivo (ingiunge il pagamento delle somme dovute entro 60 giorni, a meno che non si impugni). Dalla notifica decorrono i termini per reagire: entro 60 giorni si può presentare ricorso in Commissione Tributaria (ora denominata Corte di Giustizia Tributaria), oppure attivare procedure deflative come l’adesione.
Va notato che, se la contestazione riguarda solo aspetti formali (mancato invio autofattura ma imposta comunque assolta ad es. tramite registrazione tardiva), l’Agenzia potrebbe emettere un semplice atto di contestazione sanzioni anziché un accertamento con imposta. Tuttavia nella pratica molti uffici, per non rischiare, contestano sia l’imposta sia la sanzione, lasciando poi al contribuente l’onere di dimostrare se l’IVA fosse già stata versata o meno.
Nel prossimo paragrafo analizzeremo nel dettaglio il regime sanzionatorio applicabile a queste violazioni e come è cambiato con la riforma del 2024, per poi passare alle strategie difensive.
Sanzioni per mancata autofatturazione (reverse charge omesso o non regolarizzato)
La violazione dell’obbligo di autofatturazione/inversione contabile dà luogo a sanzioni amministrative pecuniarie, la cui entità varia a seconda delle circostanze. Occorre distinguere principalmente due fattispecie: 1. Mancato assolvimento del reverse charge su operazioni in cui il cessionario doveva integrare/autofatturare (tipicamente acquisti intra-UE, extra-UE o operazioni interne in regime d’inversione); 2. Mancata regolarizzazione (autofattura denuncia) in caso di omessa o irregolare fattura del fornitore nazionale.
Vediamo separatamente i due ambiti, tenendo presente che la riforma attuata dal D.Lgs. 87/2024 ha rimodulato al ribasso molte sanzioni a partire dalle violazioni commesse dal 1° settembre 2024.
Sanzioni per omesso reverse charge (operazioni con l’estero o reverse interno)
Fino al 31 agosto 2024, il regime sanzionatorio era disciplinato dall’art. 6 comma 9-bis del D.Lgs. 471/1997, introdotto dal D.Lgs. 158/2015. Esso prevedeva: – Sanzione fissa tra 500 e 20.000 euro per il cessionario/committente che ometteva gli adempimenti del reverse charge (cioè non integrava/autofatturava) . Si trattava di una sanzione “in misura fissa” indipendente dall’ammontare dell’operazione (ma il range così ampio permetteva di graduarla in base alla gravità, discrezionalmente dall’ufficio o dal giudice). – Sanzione proporzionale tra il 5% e il 10% dell’imponibile (con minimo 1.000 euro) se l’operazione omessa non risultava nemmeno dalle scritture (contabili IVA né contabilità generale) . Questa ipotesi colpiva più severamente chi, oltre a non autofatturare, occultava del tutto la transazione. – Caso di indebita detrazione: se l’omissione del reverse aveva comportato la detrazione di IVA non spettante (es. operazione che sarebbe stata imponibile ma erroneamente trattata come esente, ecc.), allora la violazione veniva considerata sostanziale e si applicavano le sanzioni proprie dell’infedele dichiarazione (30% dell’imposta non versata, elevabile al 90% in caso di dolo) in luogo del 9-bis .
La Corte di Cassazione con ordinanza n.27176/2023 ha chiarito che tale violazione (omesso reverse charge) va qualificata come violazione formale non meramente formale : in altre parole, normalmente non c’è un’imposta evasa (operazione neutra) quindi non è sostanziale, però l’irregolarità ostacola i controlli del Fisco, dunque non è neppure un semplice errore formale innocuo. Conseguentemente “devono comunque essere irrogate sanzioni” anche se la violazione non incide sui versamenti , salvo il caso di effettiva perdita di gettito per detrazione indebita (che, come detto, fa scattare sanzioni più gravi).
Novità dal 1° settembre 2024: il D.Lgs. 87/2024 ha modificato l’art.6 co.9-bis riducendo gli importi sanzionatori: – Sanzione fissa da 500 a 10.000 euro (non più fino a 20.000) per chi omette il reverse charge interno o esterno . Quindi la sanzione massima è dimezzata, mentre resta invariato il minimo di 500€. – Se l’operazione non risulta a conti (quindi omissione anche contabile): sanzione pari al 5% dell’imponibile (fissa al 5%, non più nel range 5-10%) con minimo sempre 1.000€ . Anche qui il massimo si riduce (prima poteva arrivare al 10%). – Resta fermo che se dal mancato reverse charge deriva una detrazione non spettante, si applica in aggiunta la sanzione per indebita detrazione sulla parte d’imposta indebitamente detratta , oppure la sanzione per infedele dichiarazione se ha inciso su questa. – È confermato inoltre (comma 9-bis.3, come modificato) che se il reverse charge è omesso su operazioni comunque non imponibili/esenti/non soggette, non c’è recupero d’imposta ma solo la sanzione formale di cui sopra . In pratica, se uno applica erroneamente o non applica il reverse su un’operazione che non avrebbe generato IVA (p.es. acquisto estero non imponibile in Italia), l’accertamento rimuove debito e credito senza sanzioni sostanziali. – Operazioni inesistenti: la riforma ha toccato anche il caso in cui il reverse charge riguardi operazioni fittizie (inesistenti). La nuova regola prevede anch’essa sanzione 5% dell’imponibile (min 1.000) al posto del 5-10% , salvo che il cessionario fosse consapevole della frode: in tal caso niente detrazione dell’IVA e sanzione pari al 70% dell’imposta fittiziamente detratta . Ciò per punire più severamente chi partecipa a frodi (es. frodi carosello), in linea con l’indirizzo giurisprudenziale europeo e nazionale.
In sintesi, per un contribuente che si veda contestare l’omesso reverse charge su acquisti: – Se la contestazione riguarda periodi ante settembre 2024, rischia fino a 20.000€ per ogni violazione; se riguarda periodi successivi, il massimo è 10.000€. – Nella prassi, per operazioni di importo non enorme e senza occultamento, l’Agenzia tende ad applicare il minimo edittale (500€ per ciascuna autofattura omessa) . Ad esempio, se da un controllo risultano 3 fatture estere non autofatturate, la sanzione di base potrebbe essere 3 × 500 = 1.500€. – Se invece quelle operazioni non erano minimamente contabilizzate, l’ufficio potrebbe preferire la via percentuale: 5% dell’importo. Esempio: acquisto estero €10.000 non registrato affatto → sanzione 5% = €500 (che coincide col minimo in questo caso). Su importi più grandi, il 5% diventa via via superiore a 500€. – Qualora l’omissione abbia portato il contribuente a detrarre indebitamente IVA (caso raro, di solito succede se l’operazione era in realtà imponibile ma non è stato fatto reverse, e il contribuente l’ha pure registrata come esente detraendo IVA inesistente), allora quell’IVA sarà recuperata e sanzionata al 90% (in caso di frode conclamata) o 30% come infedele.
Violazioni ripetute e cumulo: se il contribuente omette di autofatturare sistematicamente più operazioni, in uno stesso periodo d’imposta o in anni diversi, le sanzioni possono sommarsi. Il D.Lgs. 472/1997 art.12 prevede il cumulo giuridico (una sorta di “sanzione unica aumentata”) solo per violazioni che si pongono in progressione tra loro. La Cassazione ha escluso che l’omessa autofatturazione possa essere unificata con altre violazioni come l’omessa fatturazione attiva: ad esempio, se un’azienda non ha fatturato ricavi e contemporaneamente non ha autofatturato acquisti dallo stesso soggetto, sono condotte differenti che non beneficiano del cumulo – vanno sanzionate separatamente . Quindi, ogni obbligo violato genera la sua sanzione; tutt’al più, se più autofatture omesse riguardano operazioni analoghe e sono contestate con un unico atto, l’ufficio potrebbe applicare un criterio di ragionevolezza (es.: 500€ per ogni operazione). In sede contenziosa il giudice può ridurre il cumulo di sanzioni se lo ritiene eccessivo, ma non può scendere sotto i minimi di legge se le violazioni sono distinte.
Sanzioni per mancata regolarizzazione di fattura omessa/irregolare (cliente vs fornitore)
Per quanto riguarda il caso in cui un fornitore nazionale non emette fattura e il cliente non effettua la comunicazione (o non avesse fatto l’autofattura denuncia secondo la vecchia norma):
- Regime fino al 30/8/2024: il già citato art.6 comma 8 D.Lgs.471/97 prevedeva una sanzione pari al 100% dell’IVA relativa all’operazione, con minimo 250 euro, a carico del cliente inadempiente . Questa sanzione era dovuta per ciascuna operazione non regolarizzata. Dato che l’IVA in questione avrebbe dovuto versarla il fornitore, il 100% configurava in pratica una penalità equivalente all’imposta evasa. Il legislatore, però, consentiva al cessionario di evitare del tutto la sanzione seguendo la procedura di regolarizzazione (autofattura entro 4+1 mesi) . In caso di regolarizzazione, il cliente pagava l’IVA e poi – avendo autofattura – poteva detrarla: di fatto nessun danno economico né sanzione per lui, mentre il fornitore rimaneva perseguibile.
- Dal 1/9/2024: con la riforma, l’art.6 comma 8 ora stabilisce che se il cliente non comunica l’omissione entro 90 giorni, incorre in una sanzione pari al 70% dell’imposta, con minimo 250 euro . Dunque la penalità massima si riduce di molto (30% in meno rispetto a prima). Anche qui la sanzione è per ciascuna violazione. Se più fatture mancano e non sono state segnalate, potenzialmente ogni importo avrà la sua sanzione del 70% IVA. Ad esempio, fornitore non fattura €1.000 + IVA 220, cliente non segnala: sanzione €154 (70% di 220) ma siccome c’è minimo 250€, pagherà €250 . Su importi più elevati (IVA oltre ~357€), il 70% supererà i 250€.
Va evidenziato che questa sanzione al cliente non esclude affatto la sanzione per il fornitore. Quest’ultimo, avendo omesso di fatturare un’operazione imponibile, è soggetto alla sanzione del 90%–180% dell’IVA evasa (art.6 comma 1 D.Lgs.471/97) , e in caso di frode sistematica rischia anche sanzioni penali. Il cliente subisce una sorta di “sanzione solidale” se non collabora col Fisco segnalando l’inadempimento altrui. È un meccanismo peculiare per incentivare la compliance: se il cliente denuncia, lui non viene colpito e il Fisco punirà solo il venditore; se tace, verrà punito anche il cliente.
Riduzione della sanzione in caso di regolarizzazione tardiva: supponiamo che il cliente non abbia fatto in tempo la comunicazione entro 90 giorni, ma spontaneamente, prima di qualsiasi controllo, invii una comunicazione o autofattura in ritardo e versi l’IVA. Potrà invocare il ravvedimento operoso (art.13 D.Lgs.472/97) sulla sanzione al 70%. Ad esempio, se interviene con 30 giorni di ritardo, la sanzione sarebbe ridotta a 1/9 del 70% (salvo sempre il minimo). È una situazione in evoluzione, perché formalmente la norma non contempla un’integrazione tardiva come esimente, ma il principio generale del ravvedimento lo consente con il pagamento di una sanzione ridotta. Si attendevano apposite indicazioni dall’AdE sul punto (soprattutto per il periodo 1/9/24–31/3/25 in cui gli strumenti telematici non erano pronti) . In mancanza di canali telematici, dottrina e prassi suggerivano di inviare comunque una PEC all’Ufficio contenente i dati della fattura non ricevuta, come denuncia dell’omissione . Tale comportamento, seppur non formalizzato, testimonia buona fede e potrebbe portare l’ufficio a considerare la sanzione in misura minima.
Violazione formale o sostanziale? – La mancata regolarizzazione ex art.6 co.8 è anch’essa considerata una violazione in linea di principio formale, perché l’imposta rimane a carico del fornitore. Non incide sull’imponibile dichiarato dal cliente né sull’IVA dovuta dal cliente stesso (salvo che il cliente abbia indebitamente detratto l’IVA non addebitata, ipotesi rara). È però una violazione non meramente formale, in quanto pregiudica i controlli sul fornitore. Anche qui, quindi, il contribuente non può difendersi sostenendo “nessun danno erariale, violazione innocua”: la norma la qualifica e la sanziona chiaramente. Semmai, in sede di contenzioso si potrà argomentare sul quantum della sanzione, chiedendo magari l’applicazione del minimo se sussistono attenuanti (ad es. buona fede, confusione normativa, importo esiguo, comportamento successivo diligente).
Tabella riepilogativa sanzioni principali:
Fattispecie | Violazione (Riferimento normativo) | Sanzione applicabile (violazioni post-1/9/2024) | Sanzione previgente (violazioni ante-1/9/2024) |
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Omesso reverse charge (acquisto imponibile non autofatturato/integrato) | Mancata esecuzione degli adempimenti di inversione contabile da parte del cessionario/committente (art. 6 co. 9-bis D.Lgs. 471/97) | €500 – €10.000 per ciascuna operazione omessa .<br>Se operazione non registrata in contabilità: 5% dell’imponibile (min €1.000) .<br>+ Eventuale sanzione 90% su IVA indebitamente detratta (se del caso) . | €500 – €20.000 per ciascuna operazione .<br>Se non registrata: 5%–10% dell’imponibile (min €1.000) .<br>+ Sanzione 100% IVA su operazioni inesistenti consapevoli (in contesti fraudolenti, invariata). |
Mancata regolarizzazione (fornitore interno senza fattura, cliente non segnala) | Cessionario/committente non comunica omessa/irregolare fatturazione entro 90 gg (art. 6 co. 8 D.Lgs. 471/97) | 70% dell’IVA relativa, min €250 .<br>Nota: niente obbligo di versare l’IVA in sede di comunicazione (l’IVA resta a carico del cedente). | 100% dell’IVA relativa, min €250 .<br>Nota: cliente poteva evitare sanzione autofatturando entro 4+1 mesi e pagando imposta . |
Altre violazioni correlate | Omessa fatturazione da parte del cedente (art. 6 co.1 D.Lgs. 471/97) | 90% – 180% dell’IVA non fatturata (importo generalmente speculare all’IVA evasa). Ridotto a 30% se fattura emessa ma in ritardo entro liquidazione successiva . Eventuali riduzioni ulteriori con ravvedimento/adesione. | (Identico, la riforma 2024 non ha modificato questa parte). |
Nota: le sanzioni indicate possono essere ridotte tramite definizione agevolata o ravvedimento se il contribuente vi provvede prima dell’accertamento (vedi oltre). Inoltre, in caso di contestazioni multiple, è possibile che l’organo accertatore applichi il principio del cumulo materiale o quello del cumulo giuridico a seconda dei casi, con potenziali riduzioni (discrezionali) dell’importo complessivo. In tabella abbiamo riportato le sanzioni di base per la singola violazione.
Come difendersi da un accertamento per mancata autofatturazione
Dal punto di vista del contribuente destinatario di un avviso di accertamento per omessa autofattura, l’attenzione deve concentrarsi su due fronti: ridurre le sanzioni/importi dovuti tramite gli strumenti deflativi possibili, e contestare nel merito o nel metodo l’accertamento se vi sono appigli giuridici o fattuali. Illustreremo qui le principali strategie difensive a disposizione.
Regolarizzazione spontanea (ravvedimento operoso)
Prima ancora di arrivare a un accertamento formale, il contribuente che si accorge di non aver emesso un’autofattura obbligatoria può ricorrere al ravvedimento operoso ex art. 13 D.Lgs. 472/97. Il ravvedimento consente di sanare la violazione volontariamente, beneficiando di sanzioni ridotte proporzionalmente alla tempestività: – Se l’errore viene ravveduto entro 30 giorni dall’omissione (ad esempio, la fattura estera era da integrare entro fine mese, ci si ravvede entro 30 giorni da quella scadenza), la sanzione è ridotta a 1/10 del minimo. Per un reverse charge omesso con sanzione base 500€, ciò significa pagare solo 50€ di sanzione. – Se ravveduto entro 90 giorni, sanzione a 1/9 del minimo (circa 55€ nell’esempio). – Entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno dell’operazione, sanzione a 1/8, e così via (le riduzioni diminuiscono man mano che il tempo passa, fino a 1/5 per ravvedimenti ultrannuali). – In tutti i casi, occorre eseguire l’adempimento mancante (emettere l’autofattura o integrare la fattura) e versare l’IVA dovuta con interessi, oltre alla sanzione ridotta.
Ad esempio, un’azienda si accorge a novembre 2025 di non aver autofatturato un servizio ricevuto a luglio 2025 da un fornitore extra-UE per €5.000. L’IVA dovuta sarebbe €1.100. Prima che intervenga l’AdE, emette subito autofattura TD17, registra l’IVA a debito e credito, e versa €1.100 con F24 (codice tributo apposito) più interessi. La sanzione da omesso reverse (500-10.000) applicabile di base sarebbe almeno 500€, ma ravvedendosi ad es. entro dicembre 2025 (dichiarazione non ancora inviata) la riduce a 1/8 = 62,50€. In questo modo, evita l’accertamento e ogni altra conseguenza. L’operazione risulta regolarizzata in dichiarazione IVA.
Per le omesse autofatture denuncia (fornitore interno senza fattura): anche qui il ravvedimento è possibile ma la situazione è un po’ diversa con la nuova norma: – Se la violazione è pre-2024: il cliente avrebbe dovuto fare autofattura entro 30 gg dal 4° mese. Se non l’ha fatta, può ancora farla tardivamente e inviarla al SdI (TD20) pagando l’IVA con interessi. Formalmente però il termine è scaduto, quindi non c’è esimente totale. Ravvedimento qui consisterebbe nel pagare la sanzione del 100% ridotta. In pratica, emetterebbe tardivamente l’autofattura e pagherebbe una sanzione ridotta (ad es. a 1/8 del 100%). – Se la violazione è post-1/9/24: il cliente ha 90 giorni per comunicare. Se se ne accorge dopo, può provare a comunicare in ritardo via PEC come detto. Non essendoci imposta da versare, ravvedersi significa di fatto inviare la comunicazione tardiva e versare la sanzione del 70% ridotta. Ad esempio, se il cliente invia segnalazione con 1 mese di ritardo, può versare il 70% * 1/9, e sperare che l’ufficio accolga la sistemazione.
Da un punto di vista difensivo, il ravvedimento operoso è sempre consigliabile finché non sia innescata formalmente la contestazione (purché la violazione non sia già stata constatata dalla GdF o notificato avviso, casi in cui il ravvedimento non è più ammesso). Ravvedendosi si pagano importi inferiori e si dimostra buona fede, il che evita anche possibili insinuazioni di frode.
Accertamento con adesione e definizione agevolata
Se l’avviso di accertamento è già stato notificato, il contribuente ha ancora opportunità di ridurre le sanzioni e trovare un compromesso col Fisco: – Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è una procedura mediante cui, entro il termine per impugnare (60 giorni), si può chiedere un contraddittorio all’Ufficio per discutere l’atto. Nel caso di mancata autofattura, spesso non c’è molto da “trattare” sull’imposta (che è oggettivamente dovuta se non versata), ma si può puntare a far ridurre le sanzioni e ottenere la definizione agevolata (con adesione, la sanzione viene automaticamente ridotta ad 1/3 del minimo edittale ). Inoltre si può discutere se l’IVA era effettivamente dovuta o se l’omissione è stata solo formale. – Esempio: per un reverse charge omesso con sanzione base 500€, in adesione verrebbe 500/3 ≈ 167€. Se le violazioni sono più d’una, l’ufficio potrebbe “trattare” un attimo sul numero di violazioni o sull’importo, magari riconoscendo circostanze attenuanti. – L’adesione ha il vantaggio che consente anche di rateizzare il dovuto (fino a 8 rate trimestrali se importi elevati) e sospende i termini per il ricorso. Se si raggiunge un accordo, si firma un atto di adesione e si paga (imposta + interessi + sanzioni ridotte) entro 20 giorni. – In materia di autofatture, l’adesione viene usata soprattutto se nel frattempo il contribuente ha versato l’IVA: si può far presente che l’Erario non ha subito perdita e chiedere una sanzione simbolica al minimo. Talora l’Ufficio può riconoscere l’assenza di danno erariale e chiudere con la sola sanzione fissa minima (500€) anche se per legge potrebbe chiedere di più.
- Acquiescenza (Definizione per mancata impugnazione): se il contribuente decide di non fare ricorso e accettare l’accertamento così com’è, ha diritto per legge a una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (simile all’adesione) . In pratica, pagando entro 60 giorni dall’avviso l’intero importo richiesto, si versano solo un terzo delle sanzioni contestate. Questo è vantaggioso se la violazione è palese e l’ufficio ha comunque applicato più del minimo. Spesso, però, in questi casi l’AdE contesta già il minimo edittale, quindi l’acquiescenza non porta ulteriori sconti (non si può scendere sotto il minimo di legge, se già è stato applicato).
- Attenzione: l’acquiescenza implica rinuncia al ricorso. Va valutata se il caso non ha difese nel merito e l’importo è gestibile.
- Definizioni agevolate straordinarie: negli ultimi anni ci sono stati vari provvedimenti (c.d. rottamazioni, definizione liti pendenti, ecc.) che permettono di chiudere le pendenze con sconti. Ad agosto 2025, ad esempio, è in corso la Definizione agevolata delle liti tributarie per ricorsi pendenti in Cassazione o CTR, e la Rottamazione-quater per cartelle. Questi strumenti però entrano in gioco solo dopo che l’accertamento è divenuto debito iscritto a ruolo o contenzioso. Nel contesto di un singolo accertamento per autofattura omessa, il contribuente potrebbe valutare di:
- Se ha già ricevuto la cartella esattoriale (dopo un eventuale mancato pagamento), aderire alla rottamazione delle cartelle (che abbatte sanzioni e interessi di mora).
- Se ha presentato ricorso e la causa è ancora pendente, aderire eventualmente a sanatorie delle liti (pagando solo il tributo o percentuali ridotte in caso di esito favorevole in primo/secondo grado). Ad esempio, una lite in primo grado su sola sanzione può talvolta chiudersi con il pagamento del 15% se si aderisce alle definizioni previste dalla legge di Bilancio 2023 (norme una tantum).
- Queste opportunità sono straordinarie e vanno valutate in base alle finestre normative.
Difesa nel merito: contestare la pretesa dell’Agenzia
Qualora si decida di impugnare l’avviso di accertamento, è fondamentale articolare motivi di ricorso solidi. Nel merito, le possibili linee difensive includono:
- Non debenza dell’imposta: se l’Agenzia recupera un’imposta che in realtà non era dovuta, il contribuente può contestarlo. Per esempio, se contestano IVA su un acquisto estero che però era un’operazione non imponibile (es. servizio extra-UE fuori campo IVA), o su un acquisto intra-UE che in realtà non andava tassato in Italia per mancanza del requisito (magari merce mai arrivata in Italia). In tal caso, l’omessa autofattura riguarderebbe un’operazione non imponibile, quindi l’imposta non è dovuta. Il contribuente può far valere che l’avviso va annullato sul tributo perché non c’è evasione sostanziale.
- Già avvenuto assolvimento dell’IVA: seppur in ritardo, il contribuente potrebbe aver già versato l’IVA dovuta prima dell’accertamento (ad esempio, ha integrato la fattura in un periodo successivo e versato l’imposta). In tal caso, può sostenere che non sussiste imposta evasa, ma solo al più un ritardo formale. L’AdE dovrebbe allora limitare la contestazione alla sanzione fissa (per ritardato reverse charge) e non al tributo. Su questo punto esiste prassi: l’Agenzia ha chiarito con Interpello n.528/2019 che anche un lieve ritardo oltre i termini fa comunque scattare la sanzione proporzionale piena . Ma in giudizio, se si prova che l’IVA era stata poi liquidata spontaneamente prima dei controlli (ad es. con un ravvedimento sebbene tardivo), molti giudici tendono a considerare sproporzionato un duplice addebito (IVA + sanzione). Si può invocare il principio di proporzionalità di matrice UE: la sanzione non deve eccedere la gravità effettiva. Ad esempio, la Corte di Giustizia UE in varie sentenze ha ritenuto illegittimo far pagare due volte l’IVA se l’Erario non ci ha rimesso nulla, salvo casi di frode.
- Violazioni procedurali dell’ufficio: come per ogni accertamento, vanno verificati i vizi formali. Ad esempio:
- Motivazione insufficiente o contraddittoria dell’atto: l’avviso deve spiegare bene quali operazioni non sono state autofatturate, su che basi l’ufficio le ha individuate (es. PV della GdF, controlli incrociati, ecc.) e come ha calcolato imposta e sanzioni. Se l’atto è generico (es. “omesso reverse charge su operazioni per €xxx” senza dettagli), si può eccepire la nullità per difetto di motivazione .
- Termine di notifica decaduto: per l’IVA, l’avviso dev’essere notificato entro il 5° anno successivo (salvo omessa dichiarazione, non applicabile qui se solo omissione autofattura). Se operazione era del 2018, il termine ordinario scade al 31/12/2023. Un avviso oltre tale data sarebbe illegittimo se non vi sono proroghe o raddoppi specifici.
- Eventuale mancato invito al contraddittorio se previsto: per i tributi armonizzati come l’IVA, dal 2020 l’ordinamento prevede l’obbligo di invito al contraddittorio prima dell’accertamento (Dlgs 218/97 art.5-ter) nei controlli a tavolino. Se l’ufficio emette avviso senza aver mai convocato il contribuente, il contribuente può lamentare la violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale. La giurisprudenza è in evoluzione su questo, ma è un elemento difensivo da valutare.
- Errori di calcolo: sempre da controllare se l’IVA richiesta è stata calcolata correttamente sul imponibile, se gli interessi sono conteggiati giusti, ecc.
- Natura della violazione e sanzione: pur ammettendo la violazione, in giudizio si può chiedere al giudice tributario di rideterminare la sanzione entro i limiti di legge usando il potere di valutazione previsto dall’art. 7 D.Lgs. 472/97 (circostanze attenuanti, personalizzazione della sanzione). Ad esempio, se l’ufficio applica 5.000€ (su range 500-10.000), il ricorrente può argomentare che la violazione è di lieve entità e chiedere che venga ridotta al minimo di 500€. Spetterà al giudice decidere, ma la Cassazione ha affermato che il giudice può in effetti ridurre la sanzione se quella irrogata risulta sproporzionata rispetto al fatto (questo non vuol dire però annullarla del tutto).
- Un argomento a favore del contribuente può essere la buona fede o l’assenza di intenzionalità: se prova di non aver autofatturato per un’interpretazione errata ma giustificabile (es. credeva fosse fuori campo IVA), può chiedere clemenza. Tuttavia, l’ignoranza della norma IVA raramente esonera da sanzioni; può al più evitare quelle penali se si dimostra errore incolpevole.
- Se la vicenda risale a prima del 2024, si può sottolineare che oggi la stessa condotta sarebbe punita meno severamente (70% vs 100%): anche se la legge nuova formalmente non è retroattiva, il giudice potrebbe tenerne conto come indice di minore pericolosità e quindi assestare la sanzione verso il minimo edittale.
- Controlli e prove del Fisco: in alcuni casi il contribuente può contestare la sussistenza stessa dell’operazione contestata. Ad esempio, se l’AdE presume un acquisto estero da un bonifico ma in realtà quel pagamento non era per un acquisto imponibile (magari era un anticipo poi restituito, o un acquisto personale escluso dall’attività IVA). Allora la difesa consiste nel provare che non vi era obbligo di autofattura perché l’operazione non era tale. Se si dimostra che non vi era un’operazione imponibile, cade la pretesa sia di IVA che di sanzione.
- Analogo discorso in casi complessi: se l’ufficio ha qualificato una transazione in un modo errato (ad es. ha ritenuto imponibile un’operazione tra consociati esteri mentre era fuori campo), il contribuente deve fornire documenti, contratti, per dimostrare la corretta natura e quindi l’insussistenza dell’obbligo di autofattura.
In sede di ricorso, può essere utile citare giurisprudenza favorevole: – Ad esempio, alcune Commissioni Tributarie Regionali in passato avevano ritenuto l’omesso reverse charge come violazione formale non punibile in casi di piena neutralità (tesi poi superata dalla Cassazione, ma utile se il caso di specie è particolare) . Si può menzionare a sostegno di una richiesta di annullamento o quantomeno di non applicazione di sanzioni (difficile ma tentare). – Sentenze di Cassazione recenti come la n.14921/2025 ordinanza, che afferma la rilevanza della violazione anche senza impatto sul tributo , pur sfavorevole sul principio, nel concreto caso di quella sentenza la Cassazione potrebbe aver annullato o rinviato l’atto se vizi di procedura c’erano. Bisogna leggere la pronuncia completa: in molti casi, Cassazione ribadisce il principio della sanzionabilità ma rinvia per rideterminare la sanzione o per verificare se l’ufficio ha ben qualificato i fatti.
Importante: dal 2023 le Commissioni Tributarie hanno cambiato nome in Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado. La procedura di ricorso rimane simile: ricorso entro 60 giorni, eventualmente preceduto da reclamo/mediazione se il valore della causa è entro €50.000 (in tal caso si deve prima presentare un’istanza di mediazione all’AdE, che se non accolta in 90 giorni consente poi di perfezionare il ricorso). L’esito del ricorso di primo grado è appellabile in secondo grado, e poi in Cassazione. Nell’ambito di un contenzioso per sanzioni da autofattura omessa, spesso ci si focalizzerà sul ridurre/eliminare la sanzione, perché l’IVA (se dovuta) è difficilmente annullabile salvo errori di diritto. Le Corti però sono talora sensibili al tema della proporzionalità delle sanzioni: in alcuni casi hanno ridotto o addirittura annullato la sanzione in nome dei principi UE di buona fede e proporzionalità, specialmente se l’IVA era neutrale. Ad esempio, CTR Lombardia 2018 in un caso di reverse charge interno ha annullato la sanzione ritenendola meramente formale poiché l’imposta era stata comunque assolta, e l’irregolarità non aveva recato alcun danno né ostacolo (valutazione poi smentita da Cassazione, ma rende l’idea delle possibili argomentazioni) .
Focus: Difesa del cessionario vs difesa del cedente
Poiché questa guida adotta il punto di vista del “debitore” contribuente, finora abbiamo parlato dalla prospettiva del cessionario/committente che non ha autofatturato. Vale la pena accennare brevemente che se ci si trovasse dal lato del cedente/prestatore la cui fattura manca: – Il fornitore che non ha emesso fattura non potrà certo invocare come scusa il fatto che il cliente non l’abbia denunciato. Sarà sanzionato per omessa fatturazione a prescindere . La sua linea difensiva potrà essere semmai di provare che l’operazione non era imponibile, o che non è avvenuta, ecc., oppure chiedere la non applicazione del cumulo con altre violazioni se già punito per infedele dichiarazione (ma come visto, Cass. 24302/2022 glielo nega se violazioni non progressive). – Se però il cliente ha autofatturato e versato l’IVA, il fornitore potrebbe sostenere di non dover versare di nuovo quella stessa imposta. Tuttavia, la legge prevede che l’IVA è dovuta dal fornitore comunque (il cliente l’ha versata a titolo di solidarietà, ma poi la detrae; intanto il fornitore non avendo incassato quell’IVA potrebbe rivalersi sul cliente, ma resta debitore fino a rivalsa avvenuta) . In pratica, la posizione del fornitore è indipendente: se ha evaso ricavi e IVA, difficilmente può sfuggire alla sua imposizione.
Procedura da seguire dopo aver ricevuto l’atto
Per completezza, riepiloghiamo i passi da compiere quando si riceve un avviso di accertamento per mancata autofatturazione: 1. Analisi immediata dell’atto: verificare la scadenza per le eventuali azioni (60 giorni dalla notifica per ricorso o adesione). Controllare dettagliatamente cosa viene contestato (quali operazioni, importi, anni). 2. Valutare ravvedimento tardivo: se i termini lo consentono (ad esempio accertamento notificato prima che scadano i 90 gg della nuova procedura, caso raro, o se c’è possibilità di sanare altre posizioni non ancora accertate). 3. Eventuale istanza di adesione: da inviare all’ufficio entro 60gg meno un giorno, per congelare i termini e avviare la negoziazione. L’ufficio vi convocherà per un incontro. 4. Valutare ricorso/mediaconciliazione: preparare il ricorso con l’ausilio di un tributarista/avvocato. Se l’importo in contestazione (solo imposte e interessi senza sanzioni) è entro €50.000, il ricorso è improcedibile senza presentare prima reclamo-mediazione all’AdE. Nell’atto introduttivo si possono già proporre soluzioni conciliative (ad esempio pagamento di una certa somma). L’ufficio può accettare, modificare o rifiutare. Se rifiuta e non c’è accordo entro 90 gg, il ricorso prosegue. 5. Pagamento in pendenza di giudizio?: la presentazione del ricorso sospende l’obbligo di pagamento solo per 1/3 delle imposte (non delle sanzioni) fino alla sentenza di primo grado. Nel nostro caso spesso l’accertamento può riguardare solo sanzioni o importi modesti, quindi conviene chiedere anche al giudice una sospensione cautelare se il pagamento immediato creasse danno grave. Il giudice tributario può sospendere l’atto se ricorrono gravi e fondati motivi. 6. Giudizio e oltre: se si va avanti, si discuterà la causa in primo grado. In caso di esito sfavorevole, si può appellare in secondo grado e poi eventualmente in Cassazione, considerando costi e benefici (per piccoli importi raramente si arriva fino in fondo, conviene definire prima).
Domande frequenti (FAQ) su autofatturazione e difesa del contribuente
D: Che cos’è esattamente l’autofatturazione e quando sono tenuto a farla?
R: L’autofattura è un’autofatturazione emessa dal cessionario/committente per assolvere l’IVA al posto del fornitore. Sei tenuto a farla in due macro-casi: 1) quando acquisti servizi o beni da fornitori esteri o da fornitori italiani in regime di reverse charge (inversione contabile), quindi devi integrare/emettere autofattura per contabilizzare l’IVA ; 2) quando il tuo fornitore nazionale non ti emette fattura (o te ne dà una irregolare) nei termini di legge – in tal caso devi “regolarizzare” l’operazione segnalando l’omissione all’AdE (prima del 2024 ciò avveniva con un’autofattura di denuncia entro 4 mesi + 30gg, ora con una comunicazione entro 90gg) . In tutti i casi, l’autofattura va registrata sia come fattura emessa che come acquisto, in modo da versare e detrarre contestualmente l’IVA (se spettante).
D: Quali differenze ci sono tra reverse charge estero e autofattura interna?
R: Il meccanismo è analogo (IVA a carico del destinatario) ma formalmente: per operazioni intra-UE di norma si integra la fattura estera, mentre per operazioni extra-UE (fornitore non residente né identificato) si emette un’autofattura da zero . Oggi con la fattura elettronica la distinzione è sfumata: in entrambi i casi crei un file XML (tipo documento TD17/18/19) e lo invii allo SdI . Per certe operazioni interne (es. subappalto edile) parli di reverse charge interno: lì il fornitore italiano già emette fattura senza IVA, e tu cliente la integri o annoti l’IVA. Invece l’autofattura denuncia era un istituto diverso: serviva a denunciare un fornitore italiano che non aveva emesso fattura, facendoti carico temporaneamente dell’IVA. Dal 2024 questa autofattura-denuncia è soppressa, sostituita da una comunicazione (tipo documento TD29) .
D: Cosa rischio se dimentico di fare un’autofattura o di integrare una fattura estera?
R: Rischi essenzialmente una sanzione amministrativa. Se l’operazione era imponibile, dovrai comunque versare l’IVA non assolta, ma poiché spesso quella stessa IVA l’avresti detratta, il vero aggravio è la sanzione. Attualmente la sanzione va da 500 a 10.000 euro per ogni autofattura omessa (prima del 2024 arrivava fino a 20.000€). Se non avevi neanche registrato l’operazione nei conti, c’è una sanzione del 5% sull’importo . Inoltre, se dalla mancata autofattura è derivata un’indebita detrazione IVA, può aggiungersi la sanzione pari al 90% dell’IVA indebitamente detratta . In pratica, per un acquisto di 1.000€ da estero su cui hai scordato di fare autofattura: dovrai versare i 220€ di IVA, più interessi, e pagare una sanzione che probabilmente l’AdE fisserà nel minimo (500€). Se avevi comunque registrato la fattura estera come costo, di solito applicano la sanzione fissa; se non c’è traccia contabile, potrebbero applicare il 5% = 50€ (ma con minimo 1.000, quindi 1.000€ in tal caso). Questi importi possono essere ridotti con ravvedimento o adesione.
D: E se invece il mio fornitore italiano non mi fa la fattura?
R: In tal caso il fornitore commette violazione grave (omessa fatturazione, con sanzione 90-180% dell’IVA evasa), ma anche tu come acquirente hai un obbligo di vigilanza. Entro 4 mesi dovevi sollecitarlo e, se nulla, segnalare all’Agenzia. Oggi lo fai con comunicazione in 90 giorni, prima si faceva con autofattura denuncia e versamento IVA . Se non lo fai, anche tu vieni sanzionato: attualmente con il 70% dell’IVA dell’operazione (minimo 250€) . Prima era il 100%. Esempio: fornitore non fattura 10.000€ + IVA, tu non dici niente: potresti subire 2.200€ di sanzione (70% di 2.000€ IVA = 1.400 ma minimo 250, tuttavia su importo grande 70% supera il minimo). Se il fornitore poi viene scoperto, comunque dovrà pagare quell’IVA e relative sanzioni sue: la tua sanzione è aggiuntiva, perché non hai cooperato col Fisco. Se invece tu lo segnali (ora senza dover pagare l’IVA tu), non avrai sanzioni. Quindi conviene sempre regolarizzare per tempo, anche per non avere guai tu stesso.
D: Ho ricevuto un avviso di accertamento: mi contestano che nel 2022 non ho autofatturato alcune fatture estere. Posso ancora fare qualcosa ora?
R: Una volta notificato l’avviso, non puoi più ravvederti in senso tecnico per quelle violazioni (il ravvedimento è pre-accertamento). Puoi però usare gli strumenti post accertamento: ad esempio, accertamento con adesione. Puoi presentare istanza di adesione e provare a trovare un accordo con l’Ufficio. Nella trattativa potrai evidenziare elementi a tuo favore (es.: le operazioni erano comunque registrate, nessuna intenzione evasiva, hai poi versato l’IVA spontaneamente magari nel 2023 appena scoperto l’errore, ecc.). Spesso in adesione l’Agenzia, se il contribuente mostra collaborazione, riduce le sanzioni al minimo edittale (quando non l’abbia già fatto) e applica la riduzione di 1/3 per legge . Ciò significa pagare circa il 30-33% del minimo. Se l’importo contestato non è enorme, valutare anche l’acquiescenza (pagamento entro 60gg con sanzioni ridotte a 1/3) può essere una via rapida. In parallelo, puoi preparare un ricorso da tenere pronto in caso la negoziazione fallisca, per impugnare l’atto entro i termini.
D: È vero che la Cassazione ha detto che queste violazioni sono solo formali? Posso far leva su questo in giudizio per non pagare sanzioni?
R: La Cassazione ha inquadrato l’omessa autofatturazione come violazione formale (non meramente formale) . Ciò vuol dire che non c’è evasione d’imposta in sé, ma la violazione ostacola i controlli, quindi va comunque punita. Pertanto, non è una violazione “meramente formale” esente da sanzioni. Non è un’argomentazione vincente sostenere che essendo formale non andava sanzionata: i giudici di legittimità chiariscono che le sanzioni vanno date proprio per evitare che attraverso l’omissione si possano creare falle nel sistema . In qualche caso di particolare buona fede, alcuni contribuenti hanno ottenuto l’annullamento delle sanzioni in commissione, ma sono eccezioni spesso riformate in appello/Cassazione. Meglio puntare su altri argomenti (es. sproporzione della sanzione nel caso concreto, invocando la riduzione al minimo, oppure errori procedurali dell’ufficio).
D: Ho semplicemente dimenticato di fare l’autofattura, ma l’avevo registrata come costo e non c’era alcun intento evasivo. Posso evitare almeno il pagamento dell’IVA dato che comunque l’avrei detratta?
R: Se l’operazione era imponibile in Italia, l’IVA è giuridicamente dovuta al momento dell’operazione (anche se tu non l’hai versata allora). In linea teorica, quando te la contesteranno dovrai versarla – tuttavia potresti ancora detrarla, se i termini non sono scaduti, mediante dichiarazione integrativa a favore o altra procedura. La normativa interna permette, in sede di accertamento, di “espungere” debito e credito se l’operazione era neutra , quindi potresti chiedere che non ti sia richiesto il pagamento dell’IVA a debito laddove hai diritto ad uguale detrazione. Spesso però l’AdE su questo è rigida: preferisce farti pagare l’IVA e lasciarti semmai chiedere a parte un rimborso dell’IVA detraibile non utilizzata. In giudizio puoi sostenere che l’Erario non deve arricchirsi indebitamente: se l’IVA era detraibile e non c’è frode, chiedi al giudice di considerare annullato il debito IVA per compensazione o di ordinare all’ufficio di accogliere la detrazione tardiva. Non è garantito, ma c’è stato qualche precedente in tal senso. In ogni caso la sanzione (che è commisurata all’IVA dovuta) potrebbe rimanere, ridotta magari al minimo. Insomma, evitare del tutto il pagamento dell’IVA omessa è difficile, ma puoi far valere il tuo diritto alla detrazione per attenuare l’esborso netto.
D: Dopo aver ricevuto l’accertamento, il mio fornitore mi ha finalmente emesso la fattura (tardiva). Cambia qualcosa?
R: L’emissione tardiva della fattura da parte del fornitore di per sé non ti esonera dalla tua violazione se tu non hai fatto la comunicazione entro i termini. Però può aiutare come prova dell’operazione e potrebbe far venir meno eventuali dubbi dell’ufficio. In pratica se oramai sei stato sanzionato come cliente, la tardiva emissione serve più al fornitore per cercare di attenuare la sua posizione (dimostra ravvedimento). Per te, se il fornitore ora ha versato l’IVA, puoi almeno evitare che l’Erario te la chieda: farai presente all’AdE che l’IVA è stata assolta dal cedente (con ricevuta del suo F24). A quel punto dovrebbero non esigere da te il tributo (al massimo resta la tua sanzione per non aver segnalato). Se invece l’accertamento ti chiedeva l’IVA perché il fornitore non l’aveva versata, la fattura tardiva con IVA assolta dovrebbe chiudere la partita d’imposta (nessun doppio pagamento). Rimane comunque fondamentale formalizzare il tutto magari attraverso un’adesione o un ricorso con queste nuove prove.
D: Sono un professionista in regime forfettario: se compro servizi da Google (USA) devo fare autofattura? E se non la faccio, che succede dato che sono esente IVA?
R: Anche i forfettari, pur non applicando l’IVA sulle proprie operazioni attive, sono tenuti all’inversione contabile sugli acquisti esteri soggetti a IVA italiana. Quindi sì, dovresti emettere autofattura per esempio per i servizi digitali acquistati da non residenti (Google Ads, Facebook, ecc.) e versare l’IVA con F24, perché tu sei soggetto passivo “limitato” ma comunque tenuto all’imposta sugli acquisti (non potrai detrarla però, quindi è un costo secco). Se non lo fai, l’Agenzia potrebbe accertarti l’IVA non versata con relativa sanzione. Dal momento che non hai detrazione, la tua omissione è sostanziale (l’IVA è persa per l’Erario finché non la paghi). Quindi in caso di controllo ti chiederebbero l’IVA, interessi e sanzione piena (che potrebbe essere il 90% dell’IVA come infedele, o il 5% dell’imponibile, a seconda di come inquadrano la violazione). È particolarmente importante per chi è in forfettario fare autofatture sugli acquisti esteri, perché non c’è neutralità: tu non versi niente altrimenti, e quello è proprio gettito mancante. Se sei in questa situazione e non hai fatto nulla, ti conviene ravvederti subito (fare autofatture ora e pagare l’IVA con sanzioni ridotte).
D: Un’associazione sportiva dilettantistica (in legge 398/91) ha ricevuto fatture da un fornitore UE ma non le ha integrate pensando fossero esenti. Possono contestarci qualcosa?
R: Se l’associazione, pur avendo partita IVA (regime 398), ha svolto operazioni commerciali con fornitori UE, doveva comportarsi come qualsiasi soggetto IVA per gli acquisti intracomunitari: quindi integrazione fattura UE e versamento dell’IVA (anche se poi il regime 398 prevede una detrazione forfettaria ridotta, ma comunque l’IVA va assolta). Se avete mancato di farlo, l’Agenzia può contestare l’IVA non versata e le relative sanzioni da omesso reverse charge. È probabile però che nel caso delle associazioni in 398, che hanno detrazione parziale, la violazione venga vista come sostanziale almeno per la parte di IVA indetraibile. Ad esempio, regime 398 detrae solo il 50% dell’IVA sugli acquisti: quindi omettendo l’inversione, avete metà IVA evasa effettiva. L’ufficio potrebbe chiedere quell’IVA non versata e applicare sanzione da infedele dichiarazione su quella quota. In più, sanzione fissa per la parte formalmente non registrata. Vi conviene, se siete ancora in tempo, regolarizzare con AdE (anche ora con gli strumenti telematici è possibile inviare le integrazioni). Se invece vi hanno già accertato, usate i consigli detti: adesione per ridurre sanzioni, far presente che non c’era intento elusivo ma errore sul regime, ecc. Magari allegando documenti che dimostrano come quell’IVA per metà non era comunque dovuta per legge (parte istituzionale, ecc.), cercando di ridurre il danno.
Conclusioni
L’accertamento per mancata autofatturazione va affrontato con consapevolezza sia degli obblighi iniziali sia degli strumenti di difesa. Prevenire è sempre meglio: conoscere le situazioni che richiedono l’emissione di autofattura o integrazione e rispettare i termini può evitare del tutto di incorrere in sanzioni. Nell’era dell’obbligo di fatturazione elettronica e delle comunicazioni telematiche, l’Agenzia delle Entrate ha enormi possibilità di intercettare anomalie – è dunque fondamentale che imprese e professionisti si strutturino per gestire correttamente il reverse charge (magari utilizzando codici TD16, TD17 etc. in tempo reale) e per monitorare i fornitori affinché emettano fattura.
Se nonostante tutto arriva un avviso di accertamento, dal punto di vista del contribuente bisogna attivarsi subito: valutare una soluzione bonaria (adesione, pagamento con sconto) oppure impostare un ricorso ben argomentato. Le normative recenti, pur abbassando alcune sanzioni, responsabilizzano ancora di più il cessionario: non c’è più l’escamotage di pagare l’IVA per salvarsi, ora bisogna almeno avvisare il Fisco in tempi brevi. La giurisprudenza conferma un approccio rigoroso (la violazione di autofattura è sanzionata anche se l’IVA c’è a saldo zero, perché conta la trasparenza ), ma al contempo richiama il Fisco a non esagerare (ad esempio, evitare doppi prelievi di imposta e rispettare la proporzionalità delle sanzioni).
In definitiva, per difendersi efficacemente occorre: – Conoscere bene i propri obblighi e dimostrare, se possibile, di aver agito in buona fede o di aver posto rimedio appena compreso l’errore. – Sfruttare ogni margine procedurale per ridurre le sanzioni (ravvedimento, adesione, acquiescenza). – Contestare gli aspetti non corretti dell’accertamento (e c’è sempre qualcosa da verificare: motivazione, termini, calcoli…). – Tenere presente che, se si arriva davanti a un giudice tributario, la causa verte spesso sul “quanto” più che sul “se” pagare: preparare quindi documenti e argomentazioni che aiutino il giudice eventualmente a contenere la sanzione al minimo indispensabile.
Affrontato in questo modo, un accertamento per mancata autofatturazione può spesso risolversi senza conseguenze irreparabili, con il pagamento del dovuto e di una sanzione ridimensionata. Rimane però un monito a mantenere sempre alta l’attenzione sugli adempimenti IVA, specialmente in operazioni con l’estero o con controparti non totalmente affidabili sul piano fiscale.
Riferimenti normativi e fonti utili:
– DPR 26/10/1972 n.633, artt. 17 (reverse charge), 6 (esigibilità IVA), 21 (contenuto fattura)
– D.Lgs. 18/12/1997 n.471, art.6 commi 1, 8, 9-bis e 9-bis.3 (sanzioni fatturazione e inversione contabile)
– D.L. 30/08/1993 n.331, art. 46 (acquisti intracomunitari)
– D.Lgs. 14/06/2024 n.87 (riforma sanzioni tributarie 2024) e Relazione illustrativa
– Risposta Interpello AE n. 528 del 16/12/2019 (ritardo nella regolarizzazione)
– Circolare AE n. 16/E dell’11/05/2017 (chiarimenti su reverse charge)
– Giurisprudenza: Cass. civ. sez. Trib. n.24302/2022 (no cumulo giuridico tra omessa fattura e omessa autofattura) ; Cass. V, ord. n.27176/2023 (violazione formale nel reverse charge, sanzioni dovute) ; Cass. V, ord. n.14921/2025 (autofattura omessa rilevante anche senza impatto su imposta) ; Cass. nn.37255/2022 e 27669/2022 (limiti ai doveri di verifica del cessionario sulla fattura del fornitore) ; Cass. n.1468/2020 (momento di esigibilità IVA e fattura omessa nei servizi) ; altre citate nel testo.
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Vuoi sapere cosa rischi e come difenderti in modo efficace?
👉 Prima regola: verifica se l’operazione contestata rientrava effettivamente tra i casi in cui era obbligatoria l’autofatturazione e raccogli la documentazione a supporto.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Acquisti di beni o servizi da fornitori esteri senza emissione dell’autofattura;
- Prestazioni rese da soggetti extra-UE non integrate correttamente in dichiarazione IVA;
- Mancata emissione di autofattura per omaggi, autoconsumi o regolarizzazioni;
- Omissione del meccanismo di reverse charge in edilizia, subappalti o altri settori specifici;
- Ritardi o errori formali nelle registrazioni contabili.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero dell’IVA non assolta tramite autofattura;
- Sanzioni amministrative proporzionate all’imposta non versata o all’errore commesso;
- Interessi di mora sulle somme accertate;
- Rischio di contestazioni per indebita detrazione dell’IVA;
- Nei casi più gravi, possibili contestazioni penali per frode fiscale.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- L’operazione rientrava davvero tra quelle soggette a reverse charge o autofatturazione?
- Sono stati commessi errori formali che non hanno inciso sulla sostanza (IVA comunque assolta)?
- La detrazione IVA è stata esercitata correttamente?
- La contestazione si basa su dati concreti o su presunzioni automatiche?
- Sono ancora aperti i termini per la regolarizzazione?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Contratti e fatture dei fornitori esteri o nazionali;
- Registri IVA vendite e acquisti;
- Copia di eventuali autofatture tardive o di regolarizzazione;
- Dichiarazioni IVA degli anni contestati;
- Estratti conto e documentazione bancaria dei pagamenti.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare che l’IVA era stata già assolta o comunque neutralizzata nel sistema;
- Contestare la sproporzione delle sanzioni in presenza di errori meramente formali;
- Evidenziare la buona fede e l’affidamento su prassi contabili;
- Richiedere annullamento in autotutela se la documentazione era già agli atti;
- Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
- Difesa penale mirata se viene contestata la frode e non il semplice errore.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la natura delle operazioni e la documentazione IVA;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione e i margini di difesa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei procedimenti davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per la corretta gestione dell’autofatturazione e del reverse charge.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e IVA;
✔️ Professionista per la difesa contro contestazioni per autofatturazione e reverse charge;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulla mancata autofatturazione non sempre sono fondate: spesso derivano da errori formali, ritardi o interpretazioni controverse della normativa IVA.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la regolarità sostanziale delle operazioni, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare rischi penali.
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