Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunti subappalti irregolari senza fattura? In questi casi, l’Ufficio presume che i lavori affidati a terzi non siano stati correttamente documentati e che le somme pagate “in nero” rappresentino costi indeducibili e ricavi non dichiarati per il subappaltatore. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, sanzioni elevate e, nei casi più gravi, contestazioni penali per evasione fiscale. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben documentata è possibile ridurre gli effetti della contestazione o dimostrare la regolarità delle operazioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta subappalti senza fattura
– Se i pagamenti ai subappaltatori non risultano supportati da fatture regolari
– Se le somme risultano registrate in modo anomalo o non tracciabile
– Se emergono incongruenze tra i costi dichiarati e l’avanzamento dei lavori
– Se l’Ufficio presume che le operazioni siano state occultate per abbattere il reddito imponibile
– Se vi sono indizi di utilizzo di manodopera irregolare o imprese non autorizzate
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione dei costi ritenuti indeducibili
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Possibili contestazioni di responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore
– Denuncia penale per dichiarazione fraudolenta o omessa dichiarazione dei redditi
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’effettiva esecuzione dei lavori da parte dei subappaltatori
– Produrre contratti, ordini, documentazione di cantiere e prove di pagamento tracciabili
– Contestare la qualificazione come “operazioni senza fattura” in presenza di documenti tardivi o irregolari ma sostanzialmente validi
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre le sanzioni applicabili
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria e, nei casi più gravi, difendersi anche in sede penale
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione contrattuale, contabile e bancaria dei subappalti contestati
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione della normativa fiscale e degli appalti
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali
– Difendere l’impresa davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della legittimità dei costi effettivamente sostenuti
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: i subappalti irregolari rappresentano un’area ad alto rischio fiscale e penale, soprattutto nel settore edile. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e documentata per evitare conseguenze economiche e giudiziarie pesanti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e penale tributario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per subappalti irregolari senza fattura e quali strategie adottare per tutelare i tuoi interessi.
👉 Hai ricevuto una contestazione per presunti subappalti senza fattura? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione, verificheremo la legittimità della contestazione e costruiremo la strategia difensiva più efficace per proteggere i tuoi interessi.
Introduzione
Le contestazioni relative a subappalti irregolari senza fattura rappresentano una problematica complessa che coinvolge profili fiscali, giuslavoristici e persino penali. In sostanza, si tratta di casi in cui un’impresa affida parte dei lavori a terzi (subappaltatori) senza la regolare emissione di fattura, spesso mascherando un’appalto di servizi dietro il quale si cela una somministrazione illecita di manodopera. Tale pratica – tipicamente volta a evadere il fisco o ad eludere obblighi contributivi – espone l’imprenditore (committente) a pesanti conseguenze: recupero delle imposte non versate, sanzioni tributarie elevate, indeducibilità dei costi relativi, nonché possibili responsabilità solidali per retribuzioni e contributi dei lavoratori impiegati. Nei casi più gravi, possono configurarsi veri e propri reati tributari (come la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false) e violazioni penali in materia di lavoro (somministrazione abusiva di manodopera, caporalato).
Dal punto di vista del “debitore” (ossia del contribuente/imprenditore accusato di aver usufruito di subappalti irregolari), è fondamentale conoscere a fondo le normative coinvolte e gli strumenti di difesa disponibili. Questa guida avanzata, aggiornata ad agosto 2025, fornisce un quadro completo della disciplina italiana in materia, con un taglio pratico rivolto sia ai professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia ai privati e agli imprenditori.
Nei paragrafi che seguono verranno dunque esaminati: il quadro normativo di riferimento (differenza tra appalto genuino e somministrazione illecita, obblighi di fatturazione, disciplina della solidarietà negli appalti, fattispecie penali rilevanti); le conseguenze giuridiche delle contestazioni (sotto il profilo fiscale, contributivo e penale); le possibili strategie difensive (in sede di verifica fiscale, nel contenzioso tributario e nel processo penale); infine, una sezione di domande e risposte affronterà i quesiti pratici più comuni. Esempi di memorandum difensivi e istanze procedurali verranno delineati per aiutare il lettore a impostare correttamente la propria difesa documentale. In ogni sezione, troverete riferimenti normativi puntuali e richiami a precedenti giurisprudenziali aggiornati (Cassazione civile, penale, sentenze di Commissioni Tributarie/Corti di Giustizia Tributaria, prassi ufficiali dell’Agenzia delle Entrate, circolari ministeriali), così da ancorare saldamente le strategie consigliate alle fonti più autorevoli e recenti.
In sintesi, che siate un imprenditore che ha ricevuto un processo verbale di constatazione o un avviso di accertamento per subappalti “in nero”, oppure un avvocato chiamato a assisterlo, questa guida fornirà un vademecum completo su “Contestazioni su subappalti irregolari senza fattura: come difendersi”.
Normativa e definizioni: appalto genuino vs somministrazione illecita
Per comprendere la natura delle contestazioni in esame, occorre partire dalle definizioni giuridiche di contratto di appalto e di somministrazione di manodopera, nonché dal confine che le separa. Il codice civile all’art. 1655 definisce il contratto d’appalto come quel contratto con cui un soggetto (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro . In un appalto genuino, dunque, l’appaltatore deve avere autonomia organizzativa e rischio d’impresa propri, realizzando un risultato finale in sé autonomo. Diversamente, la somministrazione di lavoro (disciplinata dal D.Lgs. 276/2003 e ora confluita nel D.Lgs. 81/2015) consiste nel mettere a disposizione di un utilizzatore manodopera, tipicamente senza un risultato finale autonomo e senza un’organizzazione di mezzi propria dell’intermediario. Se un contratto di appalto di servizi è solo una facciata per fornire personale, si tratta di somministrazione illecita di manodopera, vietata se effettuata al di fuori dei casi consentiti (cioè da soggetti non autorizzati come agenzie interinali, oppure oltre i limiti previsti) .
La distinzione è tutt’altro che teorica: un appalto “non genuino” – ossia qualificabile come interposizione di manodopera – è affetto da nullità per illiceità della causa. L’art. 29, comma 3-bis, del D.Lgs. 276/2003 (come modificato) prevede espressamente la nullità del contratto quando l’appalto è utilizzato in violazione di legge per dissimulare fornitura di lavoro. Questa nullità “travolge” anche i rapporti di lavoro coinvolti, con la conseguenza che i lavoratori possono chiedere di essere considerati alle dipendenze dell’effettivo utilizzatore sin dall’inizio (art. 38, D.Lgs. 81/2015) . Inoltre, la nullità del contratto di appalto comporta effetti rilevanti in ambito fiscale: non esiste un valido titolo contrattuale sottostante, per cui i relativi costi fatturati non sono deducibili e l’IVA esposta non è detraibile . La Corte di Cassazione tributaria ha recentemente confermato questo principio, affermando che se un costo deriva da un contratto nullo per illiceità (come nel caso di fatture per finti appalti mirati a coprire manodopera illegale), quel costo è indeducibile perché privo di un valido titolo giuridico e contrario all’ordinamento . In altre parole, un “subappalto irregolare” – ove l’appaltatore non abbia reale autonomia di mezzi e rischio – viene riqualificato come mera fornitura di personale e considerato illecito sotto molteplici profili.
Per valutare concretamente se ci si trovi di fronte a un appalto genuino oppure a una somministrazione illecita, la giurisprudenza individua alcuni indicatori decisivi. Tra questi:
- Assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore: se è realmente l’appaltatore a sopportare il rischio economico dell’operazione (ad es. perdite, costi imprevisti), si è in presenza di un appalto genuino. Se invece l’operazione è “a rischio zero” per l’appaltatore (perché, ad esempio, viene pagato a ore lavorate), ciò depone per la somministrazione .
- Organizzazione dei mezzi e gestione autonoma: l’appaltatore deve disporre di mezzi (macchinari, attrezzature) e know-how propri, e dirigere con poteri effettivi i propri dipendenti nell’esecuzione dell’opera. In appalti cosiddetti labour intensive (ad alta intensità di manodopera), conta soprattutto il potere direttivo esercitato dall’appaltatore sui lavoratori; se invece il personale è di fatto eterodiretto dal committente e l’appaltatore svolge solo compiti amministrativi (paga stipendi, emette fatture), si configura l’interposizione illecita . La Cassazione ha ribadito nel 2024 che anche negli appalti con prevalenza di manodopera, un margine – sia pur minimo – di organizzazione autonoma deve sussistere in capo all’appaltatore, altrimenti il contratto è nullo e i costi/IVA relativi non possono essere riconosciuti fiscalmente .
- Risultato finale autonomo: nell’appalto vero e proprio, all’appaltatore è affidato un risultato (un’opera o servizio) chiaro e autonomo, da realizzare con mezzi propri e sotto la sua responsabilità . Se invece l’appaltatore fornisce solo ore di lavoro generiche all’interno dell’organizzazione del committente, senza un output definito se non le prestazioni lavorative stesse, siamo di fronte a somministrazione di manodopera.
- Modalità di pagamento: compensi forfettari legati al risultato o a stati di avanzamento lavori tipizzano l’appalto; al contrario, pagamenti commisurati alle ore/uomo impiegate (tipici delle prestazioni di lavoro) sono un indice di interposizione . Ad esempio, in un caso esaminato dalla Cassazione, il fatto che una fattura del subappaltatore riportasse un importo calcolato sulle ore di lavoro degli operai – anziché sul volume d’opera concordato – è stato considerato elemento indiziario di somministrazione illegale .
- Direzione e controlli: se il legale rappresentante dell’appaltatore in realtà non impartisce direttive tecnico-organizzative ma funge da “caporale”, limitandosi a fornire manodopera su indicazione del committente, ciò configura somministrazione illecita .
La Cassazione Sezioni Lavoro ha di recente sintetizzato questi criteri, affermando che “affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi (specie se labour intensive) è necessario verificare che all’appaltatore sia affidato un risultato autonomo, da conseguire mediante un’effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al proprio potere direttivo sui dipendenti, utilizzo di propri mezzi e assunzione del rischio d’impresa” . In mancanza di tali requisiti, il rapporto va riqualificato.
Tabella 1 – Differenze tra appalto genuino e somministrazione illecita
Criterio | Appalto genuino (lecito) | Somministrazione illecita (subappalto fittizio) |
---|---|---|
Organizzazione dei mezzi | Appaltatore dispone di mezzi e attrezzature propri, anche minimi . | Appaltatore privo di mezzi propri; utilizza quelli del committente. |
Direzione dei lavoratori | Appaltatore esercita il potere direttivo sui propri addetti (decide mansioni, tempi, modalità) . | L’appaltatore non dirige davvero i lavoratori, che di fatto sono eterodiretti dal committente . |
Rischio d’impresa | Appaltatore assume il rischio economico del risultato (possibili utili o perdite) . | Nessun rischio effettivo in capo all’appaltatore (spese rimborsate a ore; guadagno fisso per ogni lavoratore fornito). |
Oggetto del contratto | Realizzazione di un’opera o servizio determinato, con risultato autonomo finale . | Fornitura di manodopera generica (prestazioni lavorative in sé, integrate nel ciclo produttivo del committente). |
Corrispettivo | Prezzo stabilito a corpo o a misura di opera (es. per unità di prodotto o fase completata). | Corrispettivo commisurato alle ore di lavoro prestate (come “affitto” di personale) . |
Inerenza del costo | Costo legittimo, inerente all’attività d’impresa del committente. | Costo legato ad atto illecito (contratto nullo): non inerente e dunque indeducibile . |
Fatturazione IVA | Le fatture corrispondono a operazioni reali di appalto; IVA detraibile dal committente. | Le eventuali fatture emesse sono considerate relative a operazioni inesistenti; IVA indetraibile . (Spesso, però, nessuna fattura viene emessa, trattandosi di lavoro “in nero”). |
Come si evince, un subappalto senza fattura è quasi sempre sintomo di un rapporto irregolare. L’assenza di fatturazione infatti può significare due cose: o il subappaltatore non ha emesso fattura per occultare il corrispettivo (configurando quindi un’evasione IVA e un pagamento “in nero”), oppure la fattura è stata emessa ma è giuridicamente inesistente perché descrive una prestazione fittizia (un appalto simulato). In entrambi i casi, ci troviamo al di fuori della legalità. Nel prosieguo, vedremo le conseguenze di tali situazioni e come predisporre una difesa.
Obblighi fiscali di fatturazione e documentazione
Il cuore della contestazione “senza fattura” è naturalmente la violazione degli obblighi di fatturazione. La normativa IVA italiana (D.P.R. 633/1972) impone, all’art. 21, che per ogni cessione di beni o prestazione di servizi deve essere emessa fattura (elettronica, salvo casi di esonero) contenente tutti i dati identificativi dell’operazione. Il subappalto di un servizio rientra in tale obbligo: il subappaltatore deve fatturare al committente-appaltatore l’importo dovuto, applicando l’IVA salvo il caso di reverse charge in particolari settori (come l’edilizia). Omettere la fatturazione costituisce un’infrazione amministrativa seria. In generale, la mancata emissione della fattura o la sua emissione tardiva/irregolare, quando incide sulla corretta liquidazione dell’IVA, è punita con una sanzione dal 90% al 180% dell’imposta corrispondente (con un minimo di 500 €) . Tale sanzione, prevista dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. 471/1997, mira a colpire duramente chi occulta operazioni al fisco. Ad esempio, se in un subappalto non fatturato l’IVA evasa ammonta a 10.000 €, il subappaltatore rischia una sanzione tra 9.000 € e 18.000 € (oltre ovviamente a dover versare l’IVA non dichiarata e relativi interessi) . L’entità elevata (fino al 180%) riflette la gravità della condotta e, di fatto, annulla il vantaggio economico dell’evasione: chi non fattura potrebbe trovarsi a pagare al fisco in sanzioni una somma pari o superiore all’imposta non versata .
Oltre alla sanzione proporzionale, il subappaltatore inadempiente resta comunque debitore dell’IVA non fatturata: l’Agenzia delle Entrate recupererà l’imposta evasa integralmente (più interessi), come se la fattura fosse stata emessa . Dunque, a seguito della verifica, l’operatore sarà tenuto a “restituire” l’IVA sottratta e pagare la multa. In alcuni casi, se l’infrazione è scoperta tardivamente, può scattare il ravvedimento operoso o la definizione agevolata, ma questo sarà trattato più avanti tra le strategie difensive.
Va precisato che l’art. 6, comma 1, D.Lgs. 471/97 distingue tra violazioni formali (che non incidono sull’imposta) e violazioni sostanziali. Se la mancata fattura non ha comportato alcuna evasione d’imposta (ipotesi rara, ad esempio una operazione esente non dichiarata), si applicherebbe la sanzione fissa da 250 a 2.000 € come violazione formale . Nel caso di subappalto in nero, però, è evidente che l’IVA non versata costituisce imposta evasa: siamo nella fascia più grave (90-180% dell’imposta).
Importante anche l’obbligo speculare di registrazione dei costi e dei ricavi: il committente-appaltatore che paga un subappalto senza fattura si trova nell’impossibilità legale di registrare quel costo in contabilità. Se tentasse di dedurlo comunque (magari attraverso stratagemmi, come false annotazioni o giustificativi fittizi), incorrerebbe a sua volta in violazioni contabili e dichiarative (dichiarazione infedele). In pratica, l’Agenzia delle Entrate tratterà comunque la somma pagata “in nero” come elemento negativo indeducibile, andando a riprenderla a tassazione. Anche senza una fattura da contestare, le verifiche fiscali spesso scoprono i subappalti occulti attraverso altre evidenze: verbali della Guardia di Finanza (ad es. testimonianze dei lavoratori, esame di email/ordini di lavoro, riscontri di pagamenti in contanti o bonifici “anomali”), incrocio con dati dell’Ispettorato del Lavoro o anomalie nei costi dichiarati. Una volta provato che un certo importo è stato corrisposto a un subappaltatore senza emissione di fattura, il fisco procede su due fronti:
- IVA – Determina l’IVA teoricamente dovuta su quella prestazione e la pretende in capo al subappaltatore (cedente) con relativa sanzione per omessa fatturazione . Il committente non essendo cessionario formale non ha detratto quell’IVA, quindi su di lui l’aspetto IVA incide soprattutto in termini di impossibilità di portare in detrazione l’imposta (se anche avesse indebitamente detratto l’IVA senza fattura, gli verrebbe contestata come detrazione indebita al 90-180% ).
- Imposte dirette (IRES/IRPEF, IRAP) – Il costo relativo al subappalto irregolare viene disconosciuto. Ai sensi del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) e delle norme speciali, un componente negativo di reddito per essere deducibile deve essere certo e determinato nonché inerente all’attività (art. 109 TUIR). Un pagamento in nero è per definizione non documentato: manca la fattura e spesso manca un valido contratto opponibile, quindi il costo difetta dei requisiti di certezza e inerenza. Inoltre, la Legge n. 537/1993, art. 14, comma 4-bis (come modificata dal D.L. 16/2012) sancisce che non sono deducibili i costi e le spese riferiti ad attività illecite o a fatti qualificabili come reato . La Circolare AE 32/E del 3.8.2012 ha chiarito che i costi direttamente utilizzati per compiere atti illeciti, quali ad esempio pagamenti legati a false fatturazioni, non danno diritto a detrazioni né deduzioni . Nel nostro caso, la somministrazione irregolare di manodopera è un illecito che in ambito tributario comporta costi privi di inerenza economica reale per l’impresa, essendo tesi solo a evadere norme . Di conseguenza, l’Ufficio riprenderà a tassazione il relativo importo: il reddito imponibile del committente verrà aumentato stornando quei costi “occulti” . Allo stesso tempo, l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) non potrà tener conto di uscite non giustificate da spese reali: i costi fittizi o non documentati vanno esclusi dalla base imponibile IRAP .
In definitiva, dal punto di vista fiscale sostanziale, un subappalto senza fattura viene “sterilizzato”: l’IVA diviene interamente dovuta (nessuna detrazione è ammessa) e i costi vengono eliminati dal calcolo del reddito . Il risultato è tipicamente un consistente debito tributario a carico del contribuente coinvolto, con recupero di imposte e applicazione di sanzioni e interessi .
Esempio: si consideri un imprenditore che, invece di pagare €100.000 + IVA 22% un appaltatore regolare (totale €122.000 con IVA detraibile), decide un accordo in nero pagando €100.000 fuori fattura. A fronte del “risparmio” immediato (nessuna IVA e costo interamente non dichiarato), in caso di controllo l’Agenzia delle Entrate potrebbe contestare: IVA evasa per €22.000 (con sanzione fino a €39.600, cioè 180%) più interessi; maggiore IRES (o IRPEF) su €100.000 di reddito non abbattuto, con sanzione per dichiarazione infedele dal 90% al 180% dell’imposta corrispondente ; IRAP su €100.000 con sanzione analoga. In totale, l’operazione potrebbe costare ben più delle imposte originariamente risparmiate, senza contare i possibili risvolti penali. Ciò illustra perché, a posteriori, la convenienza del subappalto irregolare svanisce, mentre permane la responsabilità legale.
Oltre all’obbligo di fatturare, ricordiamo l’obbligo di dichiarazione annuale dei redditi e IVA: se un soggetto ha effettuato operazioni senza fattura, con ogni probabilità ha presentato dichiarazioni infedeli od omissive. Per il committente, la dichiarazione dei redditi risulterà infedele poiché non include parte dei ricavi (se ha riscosso importi destinati a pagare i lavoratori in nero) o perché include costi indebiti. Per il subappaltatore, mancando fatturato, vi sarà omessa dichiarazione dei ricavi e dell’IVA dovuta. Queste violazioni dichiarative comportano ulteriori sanzioni amministrative, ad esempio: dichiarazione infedele (art. 1 D.Lgs. 471/97) sanzionata dal 90% al 180% della maggior imposta o del minor credito dichiarato , aggravata fino a un terzo se fondata su artifici o fatture false (quindi fino al 240%); omessa dichiarazione IVA sanzionata dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (minimo €250) . Queste possono sommarsi all’omessa fatturazione. In presenza di frodi più articolate, l’Amministrazione finanziaria può anche disporre misure cautelari e accessorie: ad esempio, blocco dei beni (fermi, ipoteche) a garanzia del credito erariale, segnalazioni per sospendere la partita IVA di società “cartiere”, iscrizione nelle banche dati dei fornitori inaffidabili, ecc. .
Focus: Reverse charge – In alcuni settori (edilizia, impiantistica) la normativa IVA prevede l’inversione contabile: il subappaltatore emette fattura senza IVA e sarà il committente a integrare l’imposta. Questo meccanismo, introdotto proprio per combattere l’evasione dell’IVA nei subappalti, sposta l’obbligo di versamento dell’IVA in capo al committente. Tuttavia, nel caso di subappalto completamente occultato (nessuna fattura emessa), il reverse charge non entra in gioco perché il presupposto è comunque la fatturazione. Sarà utile tener presente il reverse charge solo se parte delle operazioni erano fatturate ma con meccanismi elusivi: in tal caso, eventuali errori nell’applicazione del regime (ad esempio, omissione dell’inversione quando dovuta, o applicazione indebita) possono generare contestazioni specifiche, che però esulano dal caso tipico in esame.
In conclusione, dal lato normativo-fiscale il quadro è chiaro: la legge impone di documentare tutte le prestazioni di subappalto con fattura e di assolvere i conseguenti obblighi tributari. Il mancato rispetto di tali obblighi genera violazioni tributarie gravi, con sanzioni che – sommate – possono arrivare a importi pari al 200-300% del tax gap (tra imposte e sanzioni). A ciò si aggiungono le conseguenze in ambito contributivo e penale, che esaminiamo nei prossimi paragrafi.
Responsabilità solidale negli appalti: retribuzioni, contributi e obblighi fiscali
Un ulteriore aspetto normativo cruciale riguarda la responsabilità solidale del committente per gli obblighi non adempiuti dal subappaltatore. Il legislatore, per tutelare lavoratori e fisco, ha introdotto diversi meccanismi di solidarietà passiva, in continuo mutamento negli ultimi anni. È importante per l’imprenditore-datore di lavoro sapere se e quando egli possa essere chiamato a rispondere in solido dei debiti altrui (dell’appaltatore o subappaltatore), poiché ciò incide sulle strategie difensive: ad esempio, la presenza di responsabilità solidale può orientare verso una definizione transattiva per evitare aggravi. Di seguito distinguiamo i vari ambiti:
- Retribuzioni e TFR dei lavoratori impiegati: Ai sensi dell’art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003, il committente imprenditore è obbligato in solido con l’appaltatore (e con gli eventuali subappaltatori) a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, inclusi TFR, e a versare i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto . Questa norma – di portata generale per tutti gli appalti di opere e servizi, esclusi quelli domestici – significa che se il subappaltatore non paga stipendi o contributi, i lavoratori (o l’INPS) possono rivolgersi anche al committente per ottenere quanto dovuto. Occorre però notare due aspetti: (a) il committente può esercitare un diritto di regresso verso l’inadempiente (recuperando quanto pagato); (b) vi è un termine di decadenza di 2 anni dalla fine dell’appalto entro cui i lavoratori devono far valere le pretese retributive in solido . La Cassazione ha chiarito che questo limite biennale riguarda i crediti dei lavoratori, mentre non limita l’azione degli enti previdenziali per i contributi: l’INPS può richiedere i contributi non versati anche oltre il biennio, secondo le normali regole di prescrizione . Dunque, sul piano contributivo la responsabilità solidale del committente è inderogabile e senza limiti quantitativi, e l’INPS potrà notificare avvisi di addebito per contributi evasi dal subappaltatore, ritenendo di fatto che i lavoratori erano alle dipendenze del committente (in virtù del principio di effettività del rapporto di lavoro) . La giurisprudenza di legittimità ha escluso che tale recupero contributivo dipenda dall’azione dei lavoratori: anche se questi non agiscono per farsi assumere dal committente, i contributi devono essere versati da chi di fatto ha usufruito della prestazione di lavoro . In sintesi, il committente rischia di dover pagare due volte: prima il corrispettivo al subappaltatore infedele e poi, in solido, gli arretrati retributivi e contributivi ai dipendenti di quest’ultimo.
- Responsabilità solidale fiscale (versante IVA e ritenute): Questo ambito ha subìto modifiche normative. In passato era prevista una responsabilità solidale del committente per il versamento dell’IVA e delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente dovute dall’appaltatore (art. 35, commi 28-28ter, DL 223/2006, cosiddetto Decreto Visco-Bersani). Il regime era molto severo: il committente rispondeva con l’appaltatore per eventuali mancati versamenti dell’IVA relativa al contratto e delle ritenute sui salari dei dipendenti impiegati nell’appalto, salvo che dimostrasse di avere assolto a un dovere di controllo (ad esempio acquisendo una asseverazione da CAF o professionista attestante la correttezza dei versamenti) . Tale normativa è stata prima allentata e poi abrogata: già nel 2013 la responsabilità per l’IVA è stata eliminata e infine, con l’art. 28 D.Lgs. 175/2014, è stato abrogato l’intero impianto di solidarietà fiscale negli appalti . Pertanto oggi il committente non è più tenuto per legge a rispondere in solido dell’IVA non versata dal subappaltatore (né vi è un obbligo generalizzato di verificare i versamenti IVA). Ciò non toglie che, se il committente ha tratto vantaggio dall’evasione concordata (ad esempio pagando meno in cambio della mancata IVA), potrà essere considerato corresponsabile in sede penale o destinatario di sanzioni diverse (si pensi all’indebita detrazione di IVA su fatture poi risultate false). Ma civilmente e amministrativamente, la solidarietà per l’IVA non esiste più .
- Discorso diverso per le ritenute fiscali sui lavoratori: dal 2020 il legislatore ha reintrodotto un meccanismo di controllo in capo al committente, seppur con modalità differenti. L’art. 4 DL 124/2019 (convertito con L. 157/2019) ha inserito l’art. 17-bis nel D.Lgs. 241/1997, stabilendo che per i contratti di appalto, subappalto e affidamento di opere o servizi di importo complessivo annuo superiore a €200.000, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso la sede del committente e con beni strumentali di proprietà di quest’ultimo, il committente deve controllare il versamento delle ritenute fiscali operate dall’appaltatore sui lavoratori impiegati . In pratica, l’appaltatore deve trasmettere al committente, ogni mese, copia delle deleghe di pagamento (modelli F24) relative alle ritenute IRPEF dei dipendenti utilizzati nell’appalto, e un elenco nominativo di tali lavoratori con le ore lavorate. Il committente, dal canto suo, deve sospendere il pagamento del corrispettivo se rileva omissioni nelle ritenute, e ne è tenuto al pagamento in solido entro il limite del 20% del valore dell’appalto se viola gli obblighi di controllo. Tuttavia, se l’appaltatore è in regola con il versamento delle ritenute (come attestato dal DURF – Documento Unico di Regolarità Fiscale), il committente è esonerato da tali adempimenti. Questa normativa è nata per contrastare proprio lo schema delle false cooperative e subappalti che non versavano le ritenute, e coinvolge a cascata anche il subappalto: ogni soggetto lungo la catena è considerato “committente” rispetto al proprio subappaltatore . In caso di inadempimento, l’Agenzia Entrate può irrogare sanzioni al committente per omesso controllo (pari a €200 per ciascuna certificazione omessa/incompleta, ex art. 25 DL 78/2010, oltre alla responsabilità per le somme non versate, entro i limiti stabiliti). Questo regime, operativo dal gennaio 2020, ha reintrodotto di fatto una forma di responsabilità (sebbene diversa dalla solidarietà pura) in materia di ritenute. Quindi, qualora il subappalto irregolare rientri nelle casistiche dell’art. 17-bis (importo > €200.000 annui e manodopera prevalente presso sede committente) , il committente potrebbe subire contestazioni specifiche per violazione di tali obblighi di controllo. Ad esempio, se un committente ha pagato l’intero corrispettivo a un subappaltatore senza accertarsi delle ritenute, e poi emerge che il subappaltatore non le ha versate, il Fisco può chiedere al committente quelle somme (fino al 20% del valore dell’opera) oltre a sanzionarlo.
In sintesi, oggi la responsabilità solidale del committente negli appalti può essere riassunta così:
- Per i diritti dei lavoratori (retribuzioni, TFR): solidarietà piena con limite temporale di 2 anni dalla fine dell’appalto . I lavoratori devono agire entro tale termine per pretendere dal committente quanto non ricevuto dall’appaltatore. Il committente può tentare di cautelarsi inserendo clausole contrattuali di garanzia o trattenendo cauzioni, ma la legge (dal 2017) vieta di derogare o limitare questa solidarietà (clausole di “esonero” sono nulle).
- Per i contributi previdenziali e assicurativi: solidarietà piena, senza decadenza biennale opponibile agli enti . L’INPS/INAIL possono rivalersi sul committente per contributi non versati dal subappaltatore, anche oltre i 2 anni. La prescrizione è quella ordinaria dei contributi (5 anni, salvo atti interruttivi).
- Per l’IVA: nessuna responsabilità solidale formale attualmente (dopo l’abrogazione del 2014). Il committente non può essere chiamato dall’Agenzia Entrate a pagare l’IVA evasa dal sub, fatte salve le ipotesi di frode in cui il committente è considerato co-obbligato di fatto (es. in sede penale o come sanzione amministrativa se ha detratto indebitamente). Ma sul piano strettamente civilistico-tributario, la solidarietà è soppressa .
- Per le ritenute fiscali su redditi di lavoro (IRPEF dipendenti): vige il meccanismo dell’art. 17-bis D.Lgs. 241/97. Non è definito come “responsabilità solidale” tradizionale, ma se il committente viola i nuovi obblighi, egli stesso diviene debitore delle ritenute non versate (oltre a subire sanzioni). Quindi, di fatto, c’è un rischio concreto di dover pagare ritenute al posto del subappaltatore inadempiente, nei limiti previsti e in presenza dei presupposti (contratto sopra soglia, manodopera prevalente, ecc.) .
Di seguito una tabella riepiloga gli obblighi chiave di appaltatore/subappaltatore e le corrispondenti responsabilità (o meno) del committente.
Tabella 2 – Obblighi dell’appaltatore/subappaltatore e responsabilità del committente
Obbligo del Subappaltatore | Descrizione | Responsabilità del Committente |
---|---|---|
Emissione della fattura con IVA | Emettere fattura per i lavori eseguiti, addebitando l’IVA secondo legge (salvo reverse charge se applicabile). | Nessuna responsabilità solidale diretta. Il committente però non può detrarre IVA senza fattura valida, né dedurre il costo. Se concorda il mancato addebito IVA per evadere, può emergere concorso in frode (profilo penale) . |
Versamento dell’IVA incassata | Versare all’Erario l’IVA addebitata in fattura e incassata dal committente. | Nessuna responsabilità solidale formale (dal 2014) . Tuttavia, se il committente sapeva che l’IVA non sarebbe stata versata (es. subappalto fittizio), potrà subire conseguenze penali (concorso in evasione) e fiscali (indebita detrazione se l’IVA fu detratta) . |
Pagamento retribuzioni e TFR ai lavoratori | Corresponsione ai dipendenti di stipendi, ratei di TFR, straordinari, ferie, ecc., secondo CCNL. | Solidale con appaltatore per 2 anni (art.29 D.Lgs. 276/03) . Il lavoratore può esigere dal committente le spettanze non pagate dal subappaltatore, entro 2 anni dalla fine dell’appalto. Committente esonerato solo se paga il dovuto; può poi rivalersi sul subappaltatore. |
Versamento contributi previdenziali e premi INAIL | Pagamento contributi obbligatori (INPS) e premi assicurativi (INAIL) per i lavoratori impiegati. | Solidale senza termine decadenziale verso gli Enti . INPS/INAIL possono chiedere al committente i contributi non versati dal subappaltatore. Il committente è liberato solo per gli importi effettivamente già corrisposti dal sub (o da lui). |
Calcolo e versamento ritenute fiscali su salari (IRPEF dipendenti) | Operare le ritenute in busta paga ai lavoratori e versarle mensilmente all’Erario (F24). | Obbligo di controllo (art. 17-bis D.Lgs.241/97): per appalti > €200k annui con manodopera prevalente presso committente , il committente deve verificare versamenti e ottenere idonea documentazione (DURF). Se l’appaltatore non paga le ritenute, il committente deve sospendere i pagamenti. In caso di inosservanza, il committente risponde nei limiti del 20% del valore del contratto, ed è soggetto a sanzioni amministrative . |
Regolarità DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva) e obblighi sicurezza | Ottenere e mantenere il DURC per poter operare; rispettare le norme di sicurezza sul lavoro. | Controllo indiretto: il committente, specie negli appalti pubblici, è tenuto a verificare il DURC dei subappaltatori. In mancanza di DURC regolare, può sospendere pagamenti. Non è strettamente “solidale” su sanzioni per mancato DURC, ma può incorrere in stop lavori e responsabilità contrattuali. Sul piano sicurezza, il committente risponde ex D.Lgs. 81/2008 se non vigila adeguatamente su salute e sicurezza dei lavoratori dell’appaltatore (obblighi cooperazione, DUVRI). |
Come si nota, la posizione del committente è onerosa. Nel contesto di subappalti irregolari senza fattura, spesso il committente spera di abbattere i costi a breve termine, ma rischia poi di trovarsi caricato di debiti altrui: pagare dipendenti non suoi, versare contributi e ritenute evase e così via. È fondamentale evidenziare nelle difese se e come il committente abbia eventualmente cercato di rispettare questi obblighi. Ad esempio, se il committente aveva richiesto DURC e documenti al subappaltatore, ciò potrebbe mitigare la sua posizione (dimostrando di non aver agito con totale negligenza). Viceversa, la totale assenza di controlli e la tolleranza di situazioni irregolari peggiorano la sua posizione, anche in sede penale dove può emergere un dolo eventuale o la partecipazione al disegno evasivo.
Profili penali: reati tributari e violazioni in materia di lavoro
Oltre alle sanzioni amministrative, i subappalti irregolari senza fattura possono integrare diversi reati, sia tributari sia lavoristici. In questa sezione, esaminiamo i principali profili penali coinvolti, tenendo presente che la soglia tra illecito amministrativo e penale è spesso legata all’entità dell’evasione e alla dolosità della condotta. Forniremo anche riferimenti alla giurisprudenza più recente (2024-2025) che ha affrontato questi casi.
1. Reati tributari (D.Lgs. 74/2000): Le situazioni tipiche connesse a subappalti “in nero” danno luogo a possibili violazioni penali tributarie, in particolare:
- Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 74/2000): è il reato che si configura quando un contribuente, al fine di evadere le imposte, indica in dichiarazione elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture false. Nel contesto dei subappalti illeciti, questo reato si concretizza qualora l’imprenditore committente utilizzi fatture apparentemente intestate a contratti di appalto ma riferite in realtà a operazioni inesistenti, ossia fatture che coprono una somministrazione irregolare di manodopera . Ad esempio, se un imprenditore giustifica costi con fatture emesse da una cooperativa fittizia per “servizi di logistica” che in verità mascherano mano d’opera propria, sta inserendo costi falsi in dichiarazione. La Cassazione penale ha stabilito che l’utilizzo in dichiarazione di fatture formalmente riferite a un appalto di servizi, ma che occultano una somministrazione illecita di manodopera, integra il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 . In sostanza, queste fatture, pur magari corrispondenti a pagamenti reali, rappresentano operazioni inesistenti dal punto di vista giuridico-fiscale (perché il contratto è nullo e la prestazione effettiva non è quella dichiarata) . Conseguentemente, chi le utilizza per abbattere il proprio reddito imponibile o per detrarre IVA commette frode fiscale. La pena prevista per l’art. 2, aggravata dalla riforma del 2019, va da 4 a 8 anni di reclusione nei casi più gravi (quando i costi fittizi superano €100.000) e da 18 mesi a 6 anni negli altri casi sopra soglia . Ci sono poi soglie di punibilità: il reato scatta solo se l’imposta evasa supera €30.000 e gli elementi falsi superano il 5% del totale o €1.5 milioni .
- Caso emblematico: la Cassazione (Sez. III Penale) con ordinanza n. 34407/2024 ha confermato gli arresti domiciliari per l’amministratore di un gruppo di imprese che, per tre anni, aveva subappaltato lavori a cooperative fittizie ottenendo fatture false relative a costi di manodopera . Tali cooperative trattenevano un compenso come intermediari (caporalato) e non versavano l’IVA né le ritenute, creando un’evasione considerevole . La Cassazione ha rigettato la difesa dell’imprenditore, che sosteneva la “reale operatività” delle cooperative: ciò che rileva – hanno chiarito i giudici – è l’effettiva natura delle prestazioni, qualificabili come somministrazione di lavoro anziché appalto . Quindi la realtà economica prevale sullo schermo formale: benché le società emittenti esistessero, le fatture erano comunque relative a operazioni inesistenti (perché il servizio dichiarato era fittizio) . Questa pronuncia ribadisce che emettere fattura per una prestazione diversa da quella effettiva (un appalto simulato) equivale a creare un documento per operazione inesistente . L’uso di tali fatture in dichiarazione integra il delitto di cui all’art. 2, e l’imprenditore che ne beneficia ne risponde penalmente .
- Emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. 74/2000): speculare al precedente, punisce chi emette o rilascia fatture false allo scopo di consentire a terzi l’evasione. Nel caso in questione, colpisce il subappaltatore fittizio (es. la cooperativa “cartiera” che produce le fatture non veritiere). La pena è simile (reclusione 4-8 anni, soglie non previste perché di per sé la condotta è considerata sempre grave) . Spesso nella prassi art. 2 e art. 8 concorrono: l’utilizzatore e l’emittente delle fatture false rispondono rispettivamente di dichiarazione fraudolenta e di emissione di false fatture. Tornando all’esempio sopra, l’amministratore delle cooperative fittizie è imputabile ex art. 8 per aver fornito fatture mendaci.
- Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): qualora l’utilizzo di subappalti non fatturati non sia accompagnato da fatture false (es. l’imprenditore non registra affatto il costo, occultando magari parte dei ricavi per pagarlo), potrebbe configurarsi un reato di dichiarazione infedele semplice. L’art. 4 sanziona chi, al fine di evadere, indica in dichiarazione elementi attivi/passivi divergenti dal vero, senza però l’uso di fatture false o altri artifici. Le soglie sono più alte (€50.000 di imposta evasa e 10% del reddito non dichiarato, con un minimo di €2 milioni di elementi attivi sottratti). La pena è da 2 a 4 anni e 6 mesi. Nei subappalti in nero, però, spesso gli artifici ci sono (doppi conti, false annotazioni) e quindi si cade nella frode di cui all’art.2. L’infedele “semplice” potrebbe emergere in scenari limitati – ad esempio se il committente ha finanziato il subappalto nero drenando liquidità dall’azienda e registrando false spese di altra natura, senza documenti: in tal caso, se l’evasione supera soglia ma non si riesce a contestare un documento falso specifico, potrebbe configurarsi art.4. È comunque un reato possibile, di minore gravità rispetto alla frode.
- Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): il subappaltatore che lavori totalmente in nero e ometta proprio di presentare le dichiarazioni fiscali (IVA e redditi) può incorrere in questo reato, se l’imposta evasa supera €50.000 per periodo d’imposta. La pena va da 2 a 5 anni. Ad esempio, una ditta individuale che effettua sub-lavori “cash” per tutto l’anno senza fatturare né dichiarare nulla, superando la soglia di evasione, rischia l’art.5. Se però parallelamente emette fatture false per altri, allora prevale l’art.8.
- Occultamento/distruzione di scritture contabili (art. 10 D.Lgs. 74/2000): da considerare se, a seguito delle indagini, emergesse che l’imprenditore ha tenuto contabilità parallele o distrutto documenti per ostacolare l’accertamento del fisco (ad es. registri “neri” delle ore lavorate dagli operai in subappalto). Questo reato punisce l’occultamento o distruzione di conti o documenti la cui tenuta è obbligatoria, in modo da impedire la ricostruzione del reddito; pena da 3 a 7 anni. Non è infrequente contestarlo come ulteriore capo d’imputazione nelle frodi complesse (ad es. se in sede di perquisizione trovano “doppie” fatturazioni o evidenza di distruzione di fatture).
Elemento soggettivo nei reati tributari: per i reati di frode (artt. 2 e 8) è richiesto il dolo specifico di evasione. Ciò significa che l’imprenditore deve aver agito con l’intento preciso di evadere le imposte mediante l’artificio delle false fatturazioni. Non basta la mera consapevolezza della falsità: serve la prova che l’agente mirava a ottenere un vantaggio fiscale indebito . Questo concetto è importante in ottica difensiva: un imputato potrebbe sostenere di aver contabilizzato quelle fatture ritenendole genuine, cioè senza volontà di frode. Se riuscisse a dimostrare che mancava in lui l’intento evasivo (ad esempio perché convinto, sebbene erroneamente, della legittimità dell’appalto), allora mancherebbe il dolo specifico richiesto dal reato . La Cassazione penale più recente ha ribadito questo principio: non è punibile per dichiarazione fraudolenta chi non persegue il fine di evasione, pur essendo consapevole di elementi non veritieri, se manca la volontà di evadere . In una sentenza del luglio 2025 (Cass. pen. n. 25167/2025), la Suprema Corte ha sottolineato che, ai fini dell’art.2, occorrono sia il dolo generico (consapevole inserimento di dati falsi) sia il dolo specifico di evasione; la semplice consapevolezza di indicare elementi non veritieri non basta se non è accompagnata dal fine di evadere . Questa linea apre uno spiraglio difensivo per chi, ad esempio, possa provare di essere stato ingannato dal subappaltatore circa la regolarità del rapporto. Tuttavia, come ammesso dalla giurisprudenza stessa, provare la buona fede totale è molto arduo nei casi di false fatturazioni, specie se le circostanze erano oggettivamente sospette . La difesa potrebbe consistere nel dimostrare di aver effettuato le verifiche possibili, di essersi affidato a consulenti che attestavano la regolarità, ecc. (vedi oltre, strategie penali).
2. Reati in materia di lavoro: somministrazione illecita e caporalato. Sul fronte giuslavoristico, l’ordinamento prevede sanzioni sia amministrative che penali per l’intermediazione illegale di manodopera. La somministrazione abusiva (non autorizzata) di manodopera era originariamente punita come illecito amministrativo con una sanzione pecuniaria proporzionale (20 euro per lavoratore al giorno, poi aumentata del 20% in caso di recidiva) . Nel 2016 tali sanzioni penali erano state abrogate in favore di sole sanzioni amministrative, ma di recente c’è stato un giro di vite: il Decreto Legge 2 marzo 2024 n.19 (c.d. DL PNRR 2024) ha reintrodotto le sanzioni penali per la somministrazione illecita di manodopera . In particolare:
- Somministrazione illecita (art. 18 D.Lgs. 276/2003): chi effettua somministrazione di lavoro senza autorizzazione o fuori dai limiti di legge (o chi utilizza lavoratori forniti illecitamente) ora incorre nuovamente in sanzioni penali contravvenzionali. Il DL 19/2024 ha ripristinato l’originario art. 18 comma 5, prevedendo per la somministrazione non autorizzata l’arresto fino a 6 mesi e l’ammenda di 5 € per ogni lavoratore per ogni giorno di somministrazione (queste erano le pene pre-2016). Inoltre, è stata introdotta una nuova fattispecie di somministrazione fraudolenta (comma 5-ter): se la somministrazione illecita è effettuata con l’intento di eludere norme imperative o di CCNL, si applica l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda di 100 € per ogni lavoratore per ogni giornata . Dunque, un imprenditore che utilizza un contratto di appalto fittizio per aggirare norme contributive o salariali (come in molti subappalti illeciti) rischia questa sanzione aggravata. È prevista inoltre un’aggravante di recidiva specifica e un minimo edittale non inferiore a €5.000 di ammenda . La portata pratica: se ad esempio 10 lavoratori sono stati somministrati illegalmente per 100 giorni, la pena massima per somministrazione fraudolenta sarebbe arresto 3 mesi o ammenda €100x10x100 = €100.000, minima €5.000. Il DL 19/2024 ha dunque reso più incisivo l’apparato sanzionatorio per punire chi, tramite appalti finti, “affitta” manodopera. Va detto che trattandosi di contravvenzioni, sono possibili istituti come l’oblazione o la sospensione condizionale, ma l’effetto deterrente è importante soprattutto per chi ha precedenti: la recidiva comporta aumenti del 20% .
- Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (caporalato, art. 603-bis c.p.): nei casi più gravi, dove al fenomeno di somministrazione illecita si accompagna lo sfruttamento lavorativo (paghe irrisorie, violenza o minaccia, approfittamento dello stato di bisogno), può scattare il reato di caporalato. L’art. 603-bis c.p. punisce chi recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro sfruttato, o chi utilizza e sfrutta lavoratori approfittando delle loro condizioni. Le pene sono severe (reclusione 3-6 anni e multa €500-1000 per lavoratore sfruttato, aumentate se più di 3 lavoratori o se si è organizzatori). Nel contesto subappalti, questo potrebbe emergere se i lavoratori del subappaltatore erano in condizioni di grave sfruttamento (es. pagati la metà del dovuto, orari massacranti, nessuna tutela) e il committente ne era consapevole traendone vantaggio. La Cassazione ha talora contestato in concorso sia il 603-bis c.p. che i reati fiscali nelle vicende di cooperative fittizie: ad es. può configurarsi un’associazione a delinquere finalizzata al caporalato e alla frode fiscale. Nel 2021, Cass. pen. n. 8809/2021 ha evidenziato che spesso vi è concorso tra intermediazione illecita (contravvenzione) e dichiarazione fraudolenta (delitto) quando si usano fatture di società interposte illecitamente . Se però è presente lo sfruttamento grave, prevale la contestazione del caporalato (che assorbe la semplice somministrazione illecita). Insomma, non si può escludere un profilo penale “sociale” oltre a quello fiscale, anche se esso dipende dalle condizioni concrete dei lavoratori. Per un imprenditore committente, essere accusato di caporalato significa affrontare un processo penale di ben altra portata infamante, con possibili misure cautelari (arresti, sequestri preventivi dei profitti).
Riassumendo i reati potenzialmente contestabili in casi di subappalto senza fattura:
- Al committente (utilizzatore): dichiarazione fraudolenta (art.2) se ha usato fatture false; dichiarazione infedele (art.4) o omessa dichiarazione (art.5) a seconda di come è stata occultata la base imponibile; occultamento scritture (art.10) se ha distrutto prove; eventuale somministrazione illecita di manodopera (contravvenzione) e, se emergono gravi indici, caporalato (delitto) o associazione a delinquere se l’illecito è organizzato tra più soggetti stabilmente.
- Al subappaltatore fittizio: emissione di fatture false (art.8) se ha emesso documenti; in mancanza di fatture, comunque omessa dichiarazione (art.5) per ricavi non dichiarati; concorso in somministrazione illecita o caporalato; possibili reati fallimentari se la società cartiera viene svuotata (frequente: le cooperative spariscono insolventi).
- Ai prestanome e collaboratori: spesso questi sistemi coinvolgono figure di comodo (teste di legno come legali rappresentanti di cooperative). Anch’essi rispondono dei reati tributari se firmatari di dichiarazioni, o in concorso per aver agevolato l’evasione altrui.
L’importanza delle soglie e del pagamento del debito tributario: Non tutti i casi di subappalto in nero sfociano automaticamente in un processo penale. Bisogna verificare gli importi: se l’IVA evasa e le imposte dirette evase rimangono sotto le soglie di punibilità penale (ad esempio, €20.000 IVA non versata, €25.000 di IRES evasa), il fatto resterà illecito amministrativo (sanzioni) ma non penale. In tali situazioni, pur restando grave la posizione fiscale, almeno non ci sarà imputazione penale (salvo ricorra la somministrazione illecita come contravvenzione, che però, essendo in pratica senza soglie, può scattare anche per pochi lavoratori). Inoltre, anche superate le soglie, la legge prevede talvolta cause di non punibilità legate al pagamento del dovuto. Ad esempio, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 stabilisce che per i reati di omesso versamento di ritenute e IVA (artt. 10-bis e 10-ter), il pagamento integrale del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento estingue il reato. Questo però riguarda omessi versamenti, non la frode con fatture. Per la dichiarazione fraudolenta, il pagamento può costituire semmai una circostanza attenuante (riduzione di pena) ma non esonera dalla punibilità. La riforma fiscale in corso (2023-2025) sta valutando di estendere la non punibilità al pagamento di altri reati, ma al momento, per frodi documentali come l’art.2, il pagamento non evita il processo penale. Ciò nondimeno, l’imputato che risarcisce l’erario integralmente può ottenere benefici: ad esempio, l’attenuante del risarcimento del danno e, in sede di patteggiamento, magari pene più miti. Approfondiremo oltre nella parte difensiva.
In conclusione, la dimensione penale delle contestazioni su subappalti irregolari è da prendere estremamente sul serio. Le sentenze più recenti della Cassazione mostrano un orientamento rigoroso: mascherare una somministrazione di manodopera con un appalto fittizio equivale a creare fatture per operazioni inesistenti, dunque è frode fiscale . Inoltre, la reintroduzione di sanzioni penali per la somministrazione illecita nel 2024 segnala la volontà di colpire questi fenomeni non solo sul piano fiscale ma anche su quello della tutela del lavoro. Per l’imprenditore committente, questo significa che difendersi non comporta solo contestare un accertamento tributario, ma eventualmente affrontare un procedimento penale dove è in gioco la libertà personale e l’onorabilità. Diviene allora cruciale predisporre una strategia difensiva coordinata sui diversi fronti, come vedremo appresso.
Procedure difensive in sede amministrativa e tributaria
Quando il contribuente viene accusato di subappalti irregolari senza fattura, il percorso solitamente inizia in sede amministrativa/tributaria con un’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate o Guardia di Finanza). È fondamentale giocare bene le proprie carte fin da questa fase, sia per tentare di evitare il contenzioso sia per costruire un eventuale futuro ricorso. Di seguito delineiamo le principali procedure difensive a disposizione prima e dopo la notifica formale di un atto impositivo, con alcuni consigli pratici.
1. Fase pre-contenziosa: verifica fiscale e contraddittorio
Di norma, tutto parte da una verifica fiscale (ispezione della Guardia di Finanza o controllo dell’Agenzia Entrate). In questa fase iniziale:
- Viene redatto un PVC (Processo Verbale di Constatazione) dalla Guardia di Finanza oppure un verbale conclusivo dell’Agenzia (es. verbale di chiusura delle operazioni ispettive). Il PVC contiene i rilievi: ad esempio “si constata che la società X ha utilizzato mano d’opera non fatturata tramite la ditta Y; si propone il recupero di €… di IVA e la ripresa a tassazione di €… di costi indeducibili, ecc.”.
- Dal momento del rilascio del PVC al contribuente, decorre un termine di 60 giorni durante il quale non può essere emesso l’accertamento definitivo (salvo casi di particolare urgenza, frodi o pericolo per la riscossione, in cui si motiva l’urgenza ex art. 12, c.7, L. 212/2000). Questo termine serve a consentire al contribuente di esercitare il diritto al contraddittorio presentando eventuali osservazioni e richieste. Tali memorie difensive vanno inviate all’Ufficio che procederà all’accertamento. È fondamentale non sprecare questa opportunità: presentare una memoria difensiva entro 60 giorni dal PVC consente spesso di chiarire alcuni punti o indurre l’Ufficio a rivedere (seppur parzialmente) la propria posizione .
- Come impostare la memoria difensiva: deve essere un documento scritto, indirizzato all’ente che ha redatto il PVC (se GdF, la memoria va all’Agenzia Entrate locale competente che emetterà l’atto). Nella memoria bisogna affrontare analiticamente i rilievi: per ciascuno, indicare fatti e documenti a discarico, contestare interpretazioni errate, fornire spiegazioni. Ad esempio, se il PVC sostiene che il contratto era una somministrazione illecita perché “il subappaltatore non aveva mezzi propri”, la difesa potrà allegare documenti di acquisto/noleggio di attrezzature da parte del subappaltatore, copie di DURC regolari durante l’esecuzione, dichiarazioni testimoniale di come i lavori fossero svolti. Ogni affermazione va supportata da prove (documenti, contratti, foto del cantiere, email, ecc.). Se qualche irregolarità c’è stata, si può puntare a ridimensionarla: ad es. sostenere che solo una parte delle prestazioni fu pagata in nero, mentre per il resto esistono fatture (magari emesse in ritardo ma comunque regolarizzate, nel qual caso proporre la sanzione per tardiva fatturazione invece che l’intera indeducibilità). È utile citare giurisprudenza a proprio favore, se esistente: ad esempio, se il fisco nega un costo, richiamare pronunce che ammettono la deducibilità in presenza di certe condizioni. Nel nostro caso, però, la giurisprudenza è prevalentemente sfavorevole su costi da reato, quindi conviene piuttosto puntare su aspetti fattuali (dimostrare che non era somministrazione illecita, oppure eccepire vizi procedurali).
- Esempio di argomentazione in memoria: “Si eccepisce che il rilievo di costi indeducibili per €50.000 è infondato, in quanto tali somme non corrispondono a pagamenti in nero ma a rimborsi spese documentati (all. 3,4) erogati alla ditta subappaltatrice per materiali acquistati in nome e per conto del committente. Trattasi di costi con documentazione alternativa (scontrini/fatture intestate al committente) e pertanto deducibili secondo l’art.109 TUIR. In subordine, si rileva che l’Ufficio non ha considerato che la ditta subappaltatrice ha comunque dichiarato al fisco i compensi percepiti (v. Modello Redditi 2019 di Y, all.5): ai sensi dell’art. 14, c.4-bis L.537/93, i costi non sarebbero indeducibili se correlati a un reddito altrui dichiarato (circostanza da valutare).” Questo è solo un esempio: occorre adattare alla situazione concreta. Anche se l’Agenzia potrà non accogliere tutto, la memoria serve pure a mostrare un atteggiamento collaborativo e a fissare dei punti che potranno essere ripresi in seguito in ricorso (costituisce parte del fascicolo).
- Parallelamente o successivamente al PVC, è possibile tentare un interpello o istanza di consulenza giuridica se ci sono incertezze interpretative (nel nostro tema, è raro che vi siano dubbi interpretativi: di solito o c’è evasione o no, non è questione di interpretare diversamente la norma). Più calzante è l’istanza di autotutela: qualora emergano errori palesi nei rilievi (scambio di persona, doppia conteggiatura di una somma, ecc.), segnalateli subito all’Ufficio, chiedendo di rettificare in autotutela. L’autotutela è discrezionale per l’Amministrazione, ma vale la pena evidenziare errori fattuali subito.
- Un’altra carta da giocare in fase pre-contenziosa è il ravvedimento operoso per ridurre sanzioni. Attenzione: il ravvedimento (art.13 D.Lgs. 472/97) può essere utilizzato finché non sia iniziata la verifica o comunque non siano già contestate formalmente le violazioni. Se ormai il PVC è fatto, il ravvedimento “spontaneo” non è più consentito per quegli anni/imposte scoperti. Tuttavia, se per caso il contribuente avesse in corso altri periodi non ancora controllati dove ha situazioni analoghe, può considerare di sanarle anticipatamente (presentando dichiarazioni integrative per anni successivi, ad esempio). Inoltre, dopo la notifica dell’atto, sarà possibile la definizione agevolata delle sanzioni (un terzo in caso di acquiescenza) o strumenti deflattivi che vedremo.
2. Definizione con adesione e accertamento
Trascorsi (o durante) i 60 giorni dal PVC, l’Ufficio emette l’avviso di accertamento (per le imposte dirette e l’IVA) e/o un atto di contestazione sanzioni, a seconda dei casi. Quando arriva l’atto impositivo (tipicamente un Avviso di Accertamento Unico che liquida maggior IRES, IRAP, IVA e relative sanzioni), il contribuente ha diverse strade: accettare e pagare, cercare una definizione agevolata, oppure presentare ricorso. Prima di decidere la strada, conviene valutare i pro e contro di ciascuna opzione.
- Accertamento con adesione: È una procedura di natura transattiva prevista dal D.Lgs. 218/1997, che consente al contribuente di discutere con l’Ufficio per eventualmente rideterminare l’accertamento in maniera concordata. Presentando un’istanza di accertamento con adesione all’Ufficio competente entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, si ottiene intanto una sospensione dei termini di ricorso di 90 giorni. L’Ufficio convocherà il contribuente (di solito entro 30 giorni) per un contraddittorio orale. In tale sede, si può negoziare: il contribuente può offrire un importo (ad esempio riconoscere una parte dei rilievi, contestandone altri) e l’Ufficio può proporre riduzioni di sanzioni o della base imponibile se ravvisa incertezze. Nel caso di subappalti in nero, non è facile che l’Agenzia annulli completamente il suo accertamento, ma è possibile ridurne l’entità. Ad esempio, se sono stati contestati €200.000 di costi indeducibili e IVA evasa, il contribuente potrebbe in sede di adesione argomentare che una parte di quei costi era invece documentata (fornendo magari nuove prove) e ottenere uno sconto su imposte accertate. Oppure, se le sanzioni sono state applicate al massimo (180%), persuadere l’Ufficio a ridurle al minimo edittale (90%) in considerazione della collaborazione. L’adesione infatti comporta in automatico la riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo previsto (art. 3, c.3, D.Lgs. 218/97), il che è molto conveniente rispetto al prosieguo del contenzioso. Ad esempio, una sanzione al 150% potrebbe scendere al 30% del tributo. Inoltre consente il pagamento rateale fino a 8 rate trimestrali (12 se l’importo supera €50.000). Se si trova un accordo, viene redatto un atto di adesione con le nuove somme dovute. Tale atto chiude la partita tributaria per quei periodi e preclude il ricorso (perché l’accordo è definitivo). Quando tentare l’adesione?: in genere, se il quadro probatorio è nettamente sfavorevole al contribuente (ad esempio sono stati trovati documenti inconfutabili di pagamenti in nero, o confessioni), conviene cercare un accordo per ridurre il danno (puntando soprattutto alle sanzioni minime e a dilazioni). Se invece il contribuente ha buone chance di vittoria in giudizio (magari perché l’Agenzia ha basi deboli o mancano prove certe), allora aderire significherebbe rinunciare a far valere ragioni forti. Occorre quindi una valutazione caso per caso, meglio se con l’ausilio di un professionista. È utile sapere che l’istanza di adesione sospende i termini per ricorrere: quindi anche solo per guadagnare tempo di preparazione, spesso si presenta l’adesione e poi, se la trattativa fallisce, si ha comunque 30 giorni dal verbale di mancato accordo per proporre ricorso (in aggiunta ai 60 originari sospesi). Dunque, presentare adesione è raramente dannoso e anzi può far emergere la disponibilità dell’Ufficio a qualche riduzione.
- Acquiescenza e definizione agevolata: Se il contribuente ritiene di non avere margini di difesa, può scegliere di non impugnare l’accertamento e pagarlo beneficiando della riduzione delle sanzioni ad 1/3 (ai sensi dell’art.15 D.Lgs. 218/97). Questa opzione, detta “acquiescenza”, è cumulabile con eventuali definizioni agevolate previste dalla legge di bilancio o altri provvedimenti (ad esempio, nel 2023-2024 ci sono state definizioni agevolate dei contenziosi pendenti e degli avvisi bonari). Se il nostro contribuente rientra in qualche sanatoria (es. tregua fiscale), valutare se aderire: a volte conviene perché si pagano solo imposte e ridotte sanzioni, o solo una percentuale del totale. Bisogna però che il caso specifico sia incluso nelle norme temporanee (per esempio, la sanatoria 2023 escludeva le frodi fiscalmente rilevanti, ma accettava infedeltà minori). L’acquiescenza “ordinaria” invece richiede pagamento integrale (o prima rata) entro il termine di ricorso, con sanzioni ridotte a 1/3. Ad esempio, una sanzione del 150% diventa 50%. Un ulteriore bonus è che non si applicano le spese di notifica né interessi moratori successivi. Il pagamento può essere in 8 rate trimestrali (fino a 20k) o 16 rate (sopra 51k).
- Ricorso tributario (contenzioso): Se non si trova un accordo o se si vuole contestare l’accertamento, entro 60 giorni dalla notifica occorre proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione dal 2023 per le ex Commissioni Tributarie Provinciali). Per importi fino a €50.000 (al netto di sanzioni e interessi) il ricorso è preceduto da un procedimento di reclamo/mediazione: in pratica, si deposita il ricorso all’Agenzia Entrate e questa può eventualmente formulare una proposta di mediazione entro 90 giorni. Se il contribuente accetta, si chiude con sanzioni ridotte al 35% (art. 17-bis D.Lgs. 546/92); se non c’è accordo, il ricorso prosegue in C.G.T. dopo 90 giorni. Nel nostro caso, spesso gli importi superano 50k (basta pensare ad IVA e costi occulti). Comunque, il ricorso va redatto con estrema cura: è un atto giurisdizionale e richiede generalmente l’assistenza di un difensore abilitato (dottore commercialista o avvocato).
Nella stesura del ricorso, vanno indicati:
- gli estremi dell’atto impugnato e dell’Ufficio che l’ha emanato;
- i fatti (cosa è successo: descrizione del subappalto contestato, eventuali fasi della verifica, ecc. – qui si può già iniziare a far emergere la propria versione, es. “la prestazione subappaltata era reale e solo per ragioni amministrative la fattura non era stata emessa entro l’anno, ma successivamente”);
- i motivi di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ossia le censure all’atto. Ogni motivo dovrebbe idealmente contestare un punto dell’accertamento: ad esempio, “Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR e L.537/93 art.14 c.4-bis, difetto di motivazione, in relazione alla ripresa a tassazione di €X per costi presunti occulti” – e sviluppare il perché: forse l’Ufficio ha applicato erroneamente l’indeducibilità, o non ha provato che fossero costi da reato; “Inesistenza della pretesa IVA per €Y, per difetto del presupposto impositivo” – magari sostenendo che non c’era un’obbligazione IVA in quanto i lavori erano effettuati in economia dal committente (difesa che a volte si prova: dire “non era subappalto, quei lavoratori erano miei dipendenti occasionali”, ma bisogna vedere se regge); “Illegittimità delle sanzioni per mancanza di dolo o per non imputabilità al contribuente” – se ad esempio si sostiene che l’errore è dipeso da altri.
- le conclusioni: ciò che si chiede al giudice (annullare in tutto o in parte l’atto, con vittoria di spese).
Al ricorso vanno allegati copia dell’atto impugnato, eventuale PVC, documenti probatori (contratti, buste paga, DURC, lettere, fatture di altri periodi, perizie tecniche se utili) e la prova di pagamento del contributo unificato dovuto (per le liti tributarie è di 1/50 del valore contestato, arrotondato, con minimi e massimi).
Linee difensive tipiche nel merito: Nel ricorso, la difesa tenterà di scardinare la tesi dell’Ufficio. Alcune possibili linee:
- Negare l’inesistenza dell’operazione: se l’Agenzia contesta che il subappalto era fittizio, portare elementi che dimostrano la genuinità (come anticipato: prove di autonoma organizzazione del subappaltatore, testimonianze che i lavori furono eseguiti con mezzi propri, contratti di noleggio, etc.). L’obiettivo è sostenere che era un appalto vero e proprio: in tal caso, cadrebbe la pretesa di indeducibilità per illecito. È un’affermazione di fatto da far emergere attraverso prove e magari consulenze (ad es. una CTU tecnica che attesti che il subappaltatore ha eseguito un’opera specialistica con proprie attrezzature). Va notato che la Cassazione ha detto che il giudice deve guardare alla sostanza, non solo al contratto scritto : dunque se in concreto la sostanza era lecita, farlo risaltare.
- Contestare il difetto di prova dell’A.F.: l’onere della prova di elementi positivi e negativi varia a seconda dei casi. Per i componenti negativi indeducibili per frode, la Cassazione ha chiarito che spetta all’Amministrazione provare la consapevolezza della frode da parte del contribuente acquirente . Se l’ufficio accusa Tizio di essersi avvalso di fatture per operazioni inesistenti, deve provare che Tizio sapeva o doveva sapere della frode. In ambito IVA, ciò è stato sottolineato anche dalla Corte di Giustizia UE (principio del “knew or should have known”). Pertanto, nel ricorso si può sostenere che manca la prova della malafede del contribuente: se egli può dimostrare di aver agito con ordinaria diligenza (verificato l’esistenza della ditta appaltatrice, ottenuto DURC, controllato regolarità contributiva, etc.), può invocare di essere stato tratto in inganno. Cassazione ha riconosciuto che il costo da operazioni soggettivamente inesistenti può restare deducibile anche se il contribuente era consapevole, purché il costo sia effettivo, inerente, certo – affermazione poi limitata dalla regola dei costi da reato. È un terreno complicato, ma in alcune pronunce (Cass. 17788/2018 citata in Fiscotoday) si afferma che il costo rimane deducibile se l’operazione è soggettivamente fittizia ma reale e inerente, anche se il contribuente era consapevole, salvo poi escluderlo se direttamente finalizzato a un delitto . Quindi, il ricorso potrebbe sostenere in via gradata: in primis che l’operazione era genuina; in subordine che, anche se il subappaltatore era irregolare, il costo era effettivo e non c’è prova di collusione dolosa (tentativo di salvare almeno la deducibilità).
- Vizi formali dell’accertamento: mai trascurare aspetti procedurali. Ad esempio, se l’accertamento è emesso prima dei 60 giorni dal PVC senza urgenza motivata, è nullo (violazione art.12 c.7 Statuto del contribuente). Oppure, se la motivazione dell’atto è generica e non replica alle osservazioni difensive presentate, si può lamentare difetto di motivazione o omesso esame di prova. Nel caso di subappalti in nero, spesso l’Erario si basa su presunzioni (es. “abbiamo trovato 10 lavoratori in cantiere non in forza all’impresa, ergo c’è un appalto illecito di tot importo stimato”). La gravità, precisione e concordanza di tali presunzioni va contestata: il ricorrente può sostenere che la ricostruzione presuntiva è arbitraria (ad es. calcolo degli importi forfettario senza riscontri, utilizzo di un unico indizio). Se l’Agenzia non ha prove dirette di pagamenti, ma deduce dall’esistenza di un cantiere la spesa “in nero”, c’è margine per sostenere che la pretesa non è sufficientemente fondata.
- Sproporzione delle sanzioni e principio del favor rei: benché le sanzioni tributarie siano perlopiù vincolate per legge, in ricorso si può chiedere al giudice tributario di disapplicarle se vi sono cause di non punibilità (es. errore incolpevole sul fatto, concorso di colpa dell’Amministrazione). Ad esempio, se il contribuente si fosse basato su indicazioni fuorvianti di un funzionario o di una norma poco chiara, potrebbe invocare l’esimente dell’obiettiva incertezza normativa (art. 6, c.2, D.Lgs. 472/97). Nel nostro tema, però, non c’è incertezza: la legge è chiara che va fatturato tutto. Potrebbe tuttavia allegarsi, ad abundantiam, la sproporzione delle sanzioni cumulate in ottica CEDU (non bis in idem): dire che punire due volte (in sede IVA e in sede imposte dirette) lo stesso fatto economico con due sanzioni del 180% ciascuna viola il principio del cumulo giuridico. Non è una difesa facile (la giurisprudenza italiana tende a vedere IVA e imposte dirette come due ambiti diversi), ma è spunto per una riduzione sanzionatoria che il giudice tributario – spesso – è sensibile a concedere rideterminando la sanzione globale.
Iter del ricorso: presentato il ricorso, si potrà chiedere la sospensione dell’atto se il pagamento immediato arreca danno grave. Nel nostro caso, gli importi potrebbero essere alti, quindi di norma si chiede la sospensiva entro 30 giorni dal ricorso. La Corte tributaria decide velocemente sulla sospensione (entro 180 gg) valutando fumus boni iuris (probabilità di vittoria) e periculum (danno serio dal dover pagare subito). Se concessa, i pagamenti sono congelati fino alla sentenza di primo grado. La causa poi seguirà il suo corso, con deposito di memorie, udienza e decisione. Ricordiamo che dal 2023 è stato esteso il processo tributario “con prova testimoniale”: ora è ammessa la testimonianza scritta (forma di prova dichiarativa) su istanza di parte, in casi di particolare rilevanza. Ciò può aiutare, ad esempio, presentare dichiarazioni giurate di lavoratori che attestino certe circostanze (anche se, attenzione, se i lavoratori dicono “eravamo di fatto diretti dal committente”, è a sfavore; se dicono “il nostro datore (subappaltatore) ci dava ordini e mezzi”, avvalora la genuinità). Preparate eventuali testimonianze con cura.
Esito del giudizio tributario: se si vince in primo grado, l’atto è annullato (totalmente o parzialmente). L’Agenzia può appellare in secondo grado. Se si perde, si può appellare entro 60 gg alla Corte Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR). In Cassazione eventuale successivo. Nel frattempo, attenti ai ruoli: l’accertamento esecutivo è riscuotibile per 1/3 delle imposte anche se impugnato (salvo sospensione). Quindi, se niente sospende, l’Agenzia affiderà all’AdER (ex Equitalia) la riscossione di un terzo dopo 60 giorni, e il resto dopo sentenza di primo grado. Ciò per dire: anche litigando, occorre fare i conti con possibili cartelle esattoriali. Si può comunque chiedere rateazione di quelle somme in pendenza di giudizio.
Strategie difensive in sede penale
Se dalle indagini emergono profili di reato (come spesso avviene nei subappalti “in nero” organizzati), il titolare dell’impresa e altri soggetti coinvolti possono trovarsi imputati in un procedimento penale. La difesa penale dovrà coordinarsi con quella tributaria ma seguire logiche proprie, considerato che l’accertamento tributario non vincola il giudice penale (principio di autonomia dei due giudizi) e che vi sono differenti standard probatori (certezza oltre ragionevole dubbio in penale, probabilità in tributario). Ecco alcuni punti chiave e strategie difensive nel procedimento penale:
A. Fase delle indagini preliminari: spesso, i reati tributari vengono scoperti contestualmente alla verifica fiscale e la Procura viene informata (obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. se emergono reati). Può accadere che scatti da subito un sequestro preventivo sui beni degli indagati, finalizzato alla confisca del profitto dell’evasione (art. 321 c.p.p.). Ad esempio, se si contesta una frode da €300.000, potrebbero sequestrare conti correnti o immobili per quel valore . La difesa dovrà immediatamente valutare se impugnare il sequestro (tribunale del riesame) sostenendo l’insussistenza dei presupposti del reato o la non configurabilità del profitto in capo all’indagato (ad es. se il profitto è rimasto alle cooperative e non al committente). Nel merito delle indagini, è utile collaborare se c’è spazio: fornire ai finanzieri/procura documenti e spiegazioni che possano ridimensionare la vicenda. Attenzione, però: qualsiasi dichiarazione fatta in sede penale dev’essere ben ponderata, meglio tramite l’avvocato, per evitare autoincriminazioni. In generale, due approcci opposti: (1) negare il fatto reato (“non c’era alcuna fattura falsa, era tutto regolare, siete in errore”) oppure (2) ammettere parzialmente e riparare (“riconosco l’errore, intendo pagare il dovuto”). La scelta dipende dalla solidità delle prove a carico.
B. Evitare il processo: cause di archiviazione o non punibilità. Se l’evasione è di lieve entità (sotto soglie) o se si riesce a far apparire la condotta come non dolosa, la difesa può sollecitare la Procura all’archiviazione o al proscioglimento in udienza preliminare. Ad esempio, provando che l’imposta evasa in realtà è sotto 30.000 € (magari contestando il calcolo dell’Agenzia), così da far mancare la condizione obiettiva di punibilità. Oppure invocando la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) se il reato è punito max 5 anni e il fatto è occasionale e di danno esiguo. Spesso, però, le frodi fiscali superano i limiti per la tenuità. In materia di omessi versamenti (non il nostro focus, ma attinente a ritenute non pagate), l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 esclude la punibilità se prima del dibattimento il debito è estinto. Questa non punibilità non copre la dichiarazione fraudolenta; tuttavia, l’art. 13 ha un comma 2 che concede una riduzione di pena fino alla metà se, prima del giudizio di primo grado, l’imputato paga integralmente il debito tributario. Ciò vuol dire che, se possibile, pagare tutte le imposte, sanzioni amministrative e interessi relativi all’evasione contestata è una mossa difensiva rilevante: consente di chiedere al giudice l’applicazione dell’attenuante ad effetto speciale (riduzione metà della pena) . Nei casi di frode grave, dimezzare la pena può significare passare da un range 4-8 anni a 2-4 anni, aprendo la porta a sanzioni detentive alternative (affidamento in prova, detenzione domiciliare, sospensione condizionale se si pattuisce pena sotto 2 anni).
C. Dibattimento: contestare il dolo specifico e la prova del reato. Se si va a processo, la difesa punterà a smontare almeno uno degli elementi costitutivi del reato. Spesso la strada è contestare la sussistenza dell’elemento soggettivo: come detto, serve il dolo specifico di evasione. Quindi si cercherà di provare che l’imputato non aveva intenzione di evadere, magari perché pensava che quei costi fossero legittimi. Si possono produrre e far testimoniare consulenti del lavoro o commercialisti che magari all’epoca avevano assicurato il cliente sulla bontà del contratto di subappalto. Se l’imprenditore può dire “mi sono fidato di Tizio che mi ha garantito che era tutto regolare e a norma, io ho pagato con bonifici tracciati e non mi sono nascosto”, questo aiuta a insinuare un dubbio sulla volontà fraudolenta. Ovviamente, conta la plausibilità: se poi le fatture erano palesemente gonfiate o l’appaltatore era una ditta sconosciuta aperta il giorno prima, la buona fede è poco credibile.
La difesa tecnica può anche contestare la qualificazione giuridica della fattispecie: ad esempio, sostenere che anche se c’è stata manodopera illecita, ciò non comporta automaticamente che le fatture siano per operazioni inesistenti. Si potrebbe argomentare che l’operazione c’era (mano d’opera fornita) e se mai il contratto è nullo solo sul piano civile ma non rende false le fatture, configurandosi piuttosto un’evasione contributiva e non un reato fiscale. Questa tesi non è accolta dall’orientamento prevalente (che come visto equipara appalto fittizio a operazione inesistente) , ma potrebbe valere in qualche Tribunale di merito ancora non allineato. Se il giudice ritenesse che non vi è fattura falsa ma solo dichiarazione infedele (reato meno grave), l’imputato ne trarrebbe vantaggio.
Un’altra strategia è dimostrare che il profitto evasivo è stato in realtà conseguito interamente da altri (es. dal subappaltatore) e non dal committente: se l’imprenditore committente non ha ottenuto un risparmio d’imposta – ipotesi molto difficile perché di solito ha dedotto costi e detratto IVA – allora il dolo di evasione sarebbe quantomeno dubbio. Più concretamente, si può far emergere che l’iniziativa fraudolenta proveniva tutta dal subappaltatore (magari un consulente disonesto) e il committente ha avuto un ruolo marginale, cercando di derubricare la sua condotta a concorso nel reato con minore contributo o addirittura a una “vittima” del sistema. Ciò può incidere in sede di quantificazione della pena (ruolo secondario => pena base più bassa).
D. Riti alternativi e patteggiamento: Se le prove sono schiaccianti e il processo appare inevitabile con esito sfavorevole, conviene valutare riti alternativi. Il patteggiamento (applicazione pena su accordo) consente di ottenere fino a 1/3 di sconto sulla pena, oltre alle riduzioni per attenuanti. Patteggiando prima del dibattimento, si evita la condanna formale (non ci sarà sentenza motivata sul merito, utile anche per l’immagine). Con una buona negoziazione, integrando il pagamento del debito, si può proporre ad esempio una pena di 2 anni (sospesa) per dichiarazione fraudolenta, evitando il carcere e chiudendo la vicenda penale più rapidamente. Dal 2022 è possibile anche una sorta di “patteggiamento allargato” in appello se emergono elementi nuovi (ma non addentriamoci troppo).
Un’altra opzione è la messa alla prova (MAP): istituto che sospende il processo e, se l’imputato svolge lavori socialmente utili e paga il danno, estingue il reato. Però la MAP non è applicabile per reati con pena edittale superiore a 6 anni. La dichiarazione fraudolenta ha pena massima 8 anni (se costi fittizi >100k), ma minima 1.5 anni. C’è discussione se la MAP sia ammissibile per art.2: in genere la si esclude per reati con massimo oltre 6 anni, sebbene con aggravanti. Qualche tribunale potrebbe ammetterla se ritiene la pena base sotto soglia. Comunque, per i reati contravvenzionali (somministrazione illecita) la MAP sarebbe teoricamente possibile, ma lì di solito una multa può risolvere. In caso di caporalato (art.603-bis) la pena minima è 3 anni, quindi MAP non ammessa.
E. Coordinamento con la parte tributaria: Un aspetto delicato è l’uso del materiale probatorio tra sede penale e tributaria. Quanto emerso nel processo penale (es. testimonianze, intercettazioni) può essere utilizzato nel contenzioso tributario se favorevole, e viceversa. Occorre attenzione: se nel penale si ammette qualcosa, l’Agenzia potrebbe venire a saperlo e usarlo contro di noi in appello tributario. Viceversa, se nel tributario qualche teste ha detto che i lavori li dirigeva il committente, in penale è una pistola fumante. Quindi, la strategia ideale è far sì che le posizioni siano coerenti: evitare di sostenere tesi opposte (es. in Commissione dire “sì c’era somministrazione ma costo deducibile”, e in penale dire “non c’era somministrazione”). Uniformare la linea difensiva salva credibilità. A volte conviene anche chiedere di sospendere il processo tributario in attesa dell’esito penale (soprattutto se si spera in un’assoluzione penale). La legge consente la sospensione del giudizio tributario per “pregiudizialità” penale, ma il rapporto non è automatico. Tuttavia, una sentenza penale passata in giudicato (specie se assolutoria) può influire: ad esempio, se in penale si afferma che il fatto non sussiste (dunque non c’era operazione inesistente), il contribuente userà quella sentenza per chiedere l’annullamento dell’accertamento (anche se formalmente non vincola, è persuasiva).
F. Conclusione sul penale: L’obiettivo primario è ovviamente evitare condanne pesanti. Nel panorama attuale, con le nuove aggravanti, un imprenditore riconosciuto colpevole di frode fiscale aggravata da oltre 100k di costi fittizi rischia 4-8 anni di reclusione . Ciò significa carcere senza sospensione, salvo attenuanti rilevanti. Quindi le difese puntano molto a: ridurre la quantificazione (stare sotto soglie aggravanti), pagare il dovuto (ottenere attenuanti), provare buona fede residua, e magari concordare col PM un patteggiamento intorno ai 2 anni (per poter beneficiare di misure alternative). È anche fondamentale mostrare pentimento e ravvedimento: ad es. fornire collaborazione per individuare i veri responsabili a monte (se c’è un’organizzazione più ampia), oppure bonificare la propria azienda (assumendo regolarmente i lavoratori in nero, stipulando in futuro contratti regolari, etc.). Tutto ciò può essere portato a conoscenza del giudice per dimostrare che il soggetto ha compreso l’errore e non lo ripeterà (utile per la concessione della sospensione condizionale della pena, ad esempio).
In definitiva, la difesa penale di un subappalto irregolare è un campo minato che richiede di conoscere bene i fatti tecnici (contratti, contabilità) e insieme utilizzare gli istituti di clemenza previsti dall’ordinamento. Prossimamente, passeremo ad una sezione di Domande e Risposte, per chiarire i dubbi più ricorrenti su questi argomenti, e forniremo alcuni modelli di atti difensivi.
Domande frequenti (FAQ) e risposte pratiche
D1: Cosa si intende esattamente per “subappalto irregolare senza fattura”?
R: Si intende una situazione in cui un’impresa appaltatrice affida in subappalto lavori o servizi a un’altra impresa senza la regolare emissione di fattura da parte di quest’ultima. In pratica, il subappaltatore svolge la prestazione ma non documenta fiscalmente il corrispettivo, realizzando così un’evasione d’imposta (IVA non applicata, redditi non dichiarati). Il termine “irregolare” sottolinea anche che spesso tali subappalti violano norme lavoristiche (es. celano somministrazione di manodopera non autorizzata, impiegano manodopera in nero). Può trattarsi di lavoro “in nero” puro (nessun documento a fronte dei pagamenti) oppure di false fatturazioni (vengono emesse fatture con causali fittizie o da soggetti fittizi per coprire l’effettiva natura delle prestazioni). In entrambi i casi, la transazione economica non è trasparente: o manca la fattura, o la fattura è giuridicamente nulla/falsa. Un esempio tipico: un imprenditore edile appalta a un conoscente dei lavori di muratura; i muratori lavorano in cantiere, vengono pagati in contanti attraverso il conoscente, nessuna fattura viene mai emessa per quei lavori – si è in presenza di un subappalto irregolare senza fattura. Altro esempio: un’azienda industriale “esternalizza” la gestione del magazzino a una cooperativa; la cooperativa fornisce solo personale, fatturando formalmente un generico servizio, ma dietro c’è somministrazione di manodopera – siamo di fronte a fatture emesse con descrizione ingannevole, quindi equivalenti a mancanza di fattura per la reale prestazione.
D2: La mia azienda ha ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per un subappalto senza fattura. Cosa rischio concretamente in termini di tasse da pagare e sanzioni?
R: In ambito tributario, rischi di dover pagare tutte le imposte evase col subappalto in nero, più sanzioni e interessi. In particolare: dovrai versare l’IVA che sarebbe stata dovuta sulle prestazioni non fatturate (aliquota ordinaria 22% salvo eccezioni) ; dovrai inoltre pagare le maggiori imposte sui redditi (IRES o IRPEF) perché i costi correlati verranno disconosciuti (quindi il reddito imponibile aumenta) ; se sei soggetto a IRAP, aumenterà anche quella base imponibile. Le sanzioni amministrative prevedibili sono: omessa fatturazione (90%–180% dell’IVA evasa, minimo €500) ; dichiarazione infedele per aver dichiarato meno reddito (90%–180% della maggiore imposta su redditi e IVA non versata) , con aggravanti se c’erano artifici fraudolenti (fino a +1/3); eventuale omessa dichiarazione se non hai proprio presentato la dichiarazione IVA o dei redditi (120%–240% dell’imposta dovuta) . Queste sanzioni si sommano, ma di solito l’Agenzia emette un atto “unico” in cui liquida imposte e sanzioni complessive. Facciamo un esempio semplificato: subappalto non fatturato da €100.000 + IVA22% = €22.000. L’IVA evasa €22.000 comporta sanzione tra €19.800 e €39.600. Il costo €100.000 indeducibile comporta, per una società, un recupero IRES al 24% = €24.000 di imposta, con sanzione tra €21.600 e €43.200. Totale imposte €46.000 e sanzioni potenziali massime ~€82.800 (poi riducibili per adesione, etc.). A queste cifre vanno aggiunti gli interessi moratori (circa il 4% annuo attualmente) dal periodo di evasione. Se vi erano più annualità coinvolte, i numeri crescono. Inoltre, se emergono violazioni formali accessorie (tenuta irregolare scritture, mancata comunicazione dati IVA, etc.), possono esserci altre sanzioni minori (solitamente l’Agenzia si concentra su quelle principali). In ambito contributivo, potresti dover pagare i contributi previdenziali dei lavoratori “in nero” e relative sanzioni civili (somme aggiuntive INPS). Infatti, se il subappalto era in realtà manodopera dipendente non dichiarata, l’INPS tenderà a riqualificarli come tuoi dipendenti o come dipendenti del subappaltatore per cui sei solidalmente responsabile . Questo significa oneri sociali non versati (circa 33% delle retribuzioni) più sanzioni INPS (che sono pesanti, con interessi di mora composti per ritardato pagamento). L’INAIL potrebbe chiedere premi assicurativi arretrati. In ambito penale, se le somme evase superano le soglie, rischi un processo per frode fiscale (dichiarazione fraudolenta) con pene detentive. Nel caso esemplificato (€22k IVA, €24k IRES evasi), l’IVA evasa > €30k? No (22k<30k), IRES evasa €24k<30k, però sommate fanno €46k >30k: ma la soglia di 30k va valutata per ciascuna imposta, non sommando (per la dichiarazione fraudolenta si sommano redditi+IVA evasi e se superano 30k scatta reato ). In questo esempio, l’IVA sotto soglia significherebbe niente reato art.5 (omessa dichiarazione IVA punibile solo se >50k), l’IRES infedele >30k no, è 24k (per dichiarazione infedele art.4 soglia 50k imposta evasa, quindi no reato). Quindi in quell’esempio potresti evitare reati tributari (resterebbe reato di somministrazione illecita?). Con importi maggiori, invece, penale quasi certo. Dunque, sintesi rischi: sul piano economico, dover pagare imposte evase + sanzioni (anche ben oltre il 100% delle imposte) e contributi; sul piano penale, se l’evasione è consistente, rischio di condanna con carcere da 18 mesi fino a 6-8 anni a seconda delle aggravanti, più confisca dei beni pari all’evaso. Infine, possibili interdizioni (es. se condannato per frode fiscale, c’è interdizione dai pubblici uffici e dalle cariche direttive di persone giuridiche per la durata pena).
D3: Sono un imprenditore e temo di avere in passato subìto una contestazione ingiusta: io mi ero affidato a una cooperativa credendo fosse tutto regolare. Posso difendermi dicendo che ero in buona fede?
R: Sì, la buona fede (assenza di dolo) è una linea difensiva importante, ma va dimostrata con elementi concreti. In sede tributaria, purtroppo, la buona fede soggettiva non evita la perdita delle deduzioni/detrazioni: per dedurre costi o detrarre IVA occorre la regolarità oggettiva delle operazioni. Tuttavia, può aiutare a chiedere la non applicazione di sanzioni (o la loro riduzione al minimo) invocando l’errore incolpevole. Ad esempio, se effettivamente la cooperativa presentava tutta la documentazione in regola (DURC regolari, visure pulite) e nulla faceva presagire la frode, potresti sostenere che nemmeno il contribuente più diligente avrebbe scoperto l’inganno. L’Agenzia delle Entrate e i giudici tributari potrebbero in tal caso ridurre le sanzioni per mancanza di colpevolezza grave (anche se, va detto, la non punibilità totale per incertezza o errore incolpevole è applicata restrittivamente). In sede penale, la buona fede, ovvero la mancanza di dolo specifico, può condurre all’assoluzione: se il giudice crede che tu davvero non volessi evadere, ma sei stato raggirato, può mancare l’elemento soggettivo del reato . Bisogna portare prove: per esempio, contratti ben fatti con la cooperativa, clausole in cui questa garantiva di applicare il CCNL e pagare contributi; corrispondenza dove tu chiedi assicurazioni di regolarità; magari testimonianze di consulenti del lavoro che all’epoca ti rassicuravano. Più hai elementi che mostrano la tua diligenza, più la tesi di buona fede è credibile. Al contrario, se hai ignorato segnali evidenti (es. prezzi troppo bassi per essere netti, pagamenti cash di importi rilevanti, cooperative che cambiavano nome ogni anno), sostenere la buona fede diventa arduo. La Cassazione ha affermato che la mera consapevolezza di utilizzare fatture irregolari non basta per il reato se manca il fine di evadere : questo apre spazio a difese incentrate sulla negligenza senza intenzione. In parole semplici, far passare l’idea: “Ho sbagliato a fidarmi, forse sono stato imprudente, ma non avevo l’intenzione di frodare il fisco, pensavo tutto fosse lecito”. Attenzione: spesso chi si trova in queste situazioni qualche beneficio indebito l’ha comunque ottenuto, quindi pretendere di uscirne completamente innocenti è difficile. Ma una buona fede parziale può quantomeno mitigare le conseguenze: ad esempio convincere il PM a declassare da frode a infedele dichiarazione (meno grave) o ottenere pena sospesa.
D4: Se il subappalto senza fattura viene riqualificato come somministrazione illecita di manodopera, i lavoratori diventano automaticamente miei dipendenti?
R: In base alla normativa, potenzialmente sì, ma non automaticamente. Mi spiego: l’art. 29, comma 3-bis, D.Lgs. 276/2003 prevede che il lavoratore può proporre ricorso giudiziario per la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore (il committente), con effetto dall’inizio dell’appalto non genuino . Ciò significa che è un diritto del lavoratore ottenere di essere riconosciuto come tuo dipendente se l’appalto era illecito. Deve però attivarsi presentando ricorso davanti al Tribunale del Lavoro (causa ex art. 414 c.p.c.). Se il lavoratore non agisce, il rapporto formale rimane con il suo (finto) datore originale, ma restano in piedi le tutele solidali per retribuzioni e contributi come viste prima. Quindi non è un automatismo: non è che dopo la verifica fiscale i lavoratori d’ufficio risultano assunti da te. Servirebbe o un’azione del lavoratore o un accordo sindacale che regolarizzi la situazione. Difatti, in molti casi, i lavoratori non chiedono di essere internalizzati (magari perché la vicenda emerge dopo anni e ormai hanno altri impieghi, oppure sono stranieri irregolari e spariscono). Tuttavia, dal punto di vista contributivo, l’INPS presume il rapporto di lavoro in capo all’effettivo utilizzatore indipendentemente dall’azione giudiziaria . Quindi l’INPS ti chiederà contributi come se fossero stati tuoi dipendenti, salvo prova contraria. In sintesi: giuslavoristicamente, il lavoratore deve agire per essere riconosciuto come tuo dipendente e poter poi pretendere eventuali differenze di trattamento; previdenzialmente, tu sarai comunque ritenuto debitore dei contributi per quei lavoratori sul periodo in esame. È opportuno, in ottica difensiva, se la contestazione è fondata (cioè se effettivamente quei lavoratori hanno operato stabilmente per te), valutare una regolarizzazione volontaria: ad esempio, potresti offrire di assumere i lavoratori da una certa data, o pagare spontaneamente contributi per evitare aggravio di sanzioni INPS (il ravvedimento operoso contributivo è limitato, ma mostrarsi collaborativi con l’INPS può portare a rateizzazioni più agevoli). Ovviamente va ponderato anche il rischio di vertenze individuali: se li assumi poi magari chiedono arretrati. Ogni caso è a sé. Va detto che se i lavoratori hanno già ricevuto paghe (benché in nero) e contributi magari versati solo in parte dal subappaltatore, non è scontato debbano ricevere tutto doppiamente – il committente eventualmente paga il dovuto non corrisposto. Spesso queste situazioni si risolvono con transazioni: il committente, per evitare cause, versa ai lavoratori una somma a saldo di tutte le pretese.
D5: L’Agenzia delle Entrate sta sostenendo che le fatture che ho registrato sono false e non posso detrarre l’IVA. Ma l’IVA io l’ho pagata al subappaltatore! Posso recuperarla in qualche modo?
R: Purtroppo, se l’operazione è ritenuta inesistente o il subappaltatore era un soggetto fittizio/inadempiente, tu perdi il diritto alla detrazione IVA su quelle fatture . Ciò significa che non puoi recuperare quell’IVA a credito nella dichiarazione, e se lo hai già fatto, ti viene addebitata come imposta da versare. Non c’è un meccanismo per rifarti direttamente sul fisco (il fisco dice: se ti sei fidato di un fornitore scorretto, ne paghi tu le conseguenze come cessionario). L’unica via sarebbe eventualmente agire civilmente contro il subappaltatore per ottenere il risarcimento di quell’IVA non detraibile – ma se era una ditta fantasma, probabilmente non recupererai nulla. In casi del passato, quando c’era la solidarietà IVA (ora abolita), il committente se pagava l’IVA al posto del sub poteva detrarla; ma oggi non hai questa possibilità. Una eccezione: se tu riesci a provare che l’operazione in sé c’è stata ed è reale, ed il tuo fornitore l’ha dichiarata nelle sue liquidazioni IVA, allora formalmente non c’è IVA evasa, e potresti sostenere che la detrazione ti spetta perché l’irregolarità è solo soggettiva (operazione tra soggetti diversi). La Cassazione però distingue: in operazioni soggettivamente inesistenti (fornitore fasullo ma beni consegnati da altro soggetto), la detrazione può spettare solo se hai buona fede e il fornitore vero ha assolto l’imposta . Nel subappalto illecito, tuttavia, spesso il fornitore non versa nulla. In pratica, l’Agenzia nega l’IVA a te e pretende quell’IVA dal subappaltatore (che magari è nullatenente). Quindi la risposta breve è: no, non c’è modo di recuperare l’IVA che hai pagato su una fattura ritenuta falsa, se non tramite azione di rivalsa verso chi ti ha fatto il danno. Un suggerimento: in sede di adesione o conciliazione, puoi contrattare di rinunciare alla detrazione ma ottenere sanzione minima. Oppure, se quell’IVA costituisce per te un grande esborso, potresti valutare la procedura di rivalsa IVA (art.60, co.7, DPR 633): in teoria, se l’operazione è annullata (contratto nullo), tu potresti emettere una nota di variazione per stornare l’IVA a tuo debito (riducendo la detrazione) e richiederla indietro al fornitore. Ma questa è teoria: se il fornitore non esiste o è insolvibile, rimane carta. Concludendo, se l’IVA l’hai effettivamente versata al subappaltatore, hai subito un duplice danno (pagato a lui e devi pagare al fisco di nuovo): questo è uno dei motivi per cui le frodi carosello sono odiose. Purtroppo la legge non tutela il contribuente “ingenuo” se non con quell’azione di rivalsa che spesso è infruttuosa. Nel futuro, si raccomanda di controllare i fornitori: ad esempio esiste una banca dati VIES per vedere se hanno posizione IVA attiva, ecc.
D6: Dopo la verifica, ho aderito all’accertamento per chiudere il contenzioso tributario. Ciò influisce sul procedimento penale?
R: Sì e no. L’adesione o l’acquiescenza in sede tributaria significa che riconosci il debito fiscale e paghi le somme dovute (magari con sanzioni ridotte). Questo non equivale a un’ammissione di reato in sede penale, però di fatto consolida la prova dell’evasione. In un eventuale processo penale, non è che il PM possa dire “ha aderito quindi è colpevole”, perché la colpevolezza penale richiede il dolo ecc. Tuttavia, la documentazione dell’adesione mostrerà che il fatto oggettivo dell’evasione c’è stato ed è stato quantificato. Spesso, comunque, se si è pagato tutto in adesione, in penale la si usa a favore: “vedete, ho pagato il dovuto, quindi ho riparato il danno”. Come detto prima, il pagamento integrale prima del dibattimento consente una riduzione di pena (attenuante speciale) . Dunque, paradossalmente, l’aver definito l’accertamento ti aiuta a ottenere clemenza in penale, pur non costituendo prova automatica di dolo. Nota: se hai firmato un atto di adesione, in teoria non è una confessione di frode, potresti dire che pur non condividendo le tesi, hai voluto evitare il contenzioso lungo e quindi hai pagato. In pratica però, raramente uno paga decine/centinaia di migliaia di euro se fosse convinto di essere innocente… Quindi, indirettamente, può pesare sul convincimento del giudice. Ma da sola l’adesione non basta a condannare: servono pur sempre le prove. In sintesi: l’aver chiuso con il fisco porta vantaggi (niente contenzioso parallelo, attenuante penale) e l’unico “svantaggio” è che rinunci a poter contestare in penale l’entità dell’evasione (perché hai accettato quell’entità). Comunque, accade spesso che parte della difesa in penale consista nel dire: “è vero, abbiamo commesso un errore, infatti abbiamo pagato tutto spontaneamente, chiediamo un trattamento di favore”. Questa via di solito è premiata con patteggiamenti o sospensioni condizionali.
D7: Mi è arrivato un invito a comparire dalla Procura per essere interrogato riguardo a fatture per operazioni inesistenti. Devo presentarmi? Cosa devo dire?
R: Se hai ricevuto un invito a comparire come indagato, hai diritto a farti assistere da un avvocato. È altamente consigliato consultare subito un penalista. Questi potrà valutare se è opportuno presentarsi e rendere dichiarazioni o avvalersi della facoltà di non rispondere. Non c’è un obbligo di presentarsi, ma spesso è utile farlo per mostrare collaborazione, purché si abbia una strategia chiara su cosa dire. In genere, se si intende sostenere la propria innocenza, può essere utile farsi interrogare per fornire la propria versione prima che la Procura chiuda le indagini. Ad esempio, spiegare elementi che investigatori ignorano (magari ignorano che tu hai delle email dove chiedevi chiarimenti al fornitore). Però attenzione: all’interrogatorio le domande potrebbero essere insidiose, e mentire potrebbe peggiorare la situazione (non è reato mentire per l’indagato, ma fa perdere credibilità e possono emergere contraddizioni). Spesso i legali consigliano di non rispondere subito, prendere tempo, studiare gli atti e magari depositare una memoria scritta successivamente. Se decidi di rispondere, la linea dovrebbe essere coerente con la difesa globale: ad esempio, se punti alla buona fede, dichiarerai “io ero convinto fosse tutto regolare, ecco perché: Tizio (il subappaltatore) mi aveva mostrato questi documenti, io l’ho conosciuto tramite un consulente fidato, etc.”. Puoi anche segnalare prove a discarico (“ho un contratto scritto, lo produco”, “tale persona può testimoniare in mio favore”). L’interrogatorio è un’occasione anche per mostrare pentimento se la strategia è patteggiare: talvolta ammettere le proprie responsabilità (senza coinvolgere altri se non necessario) e manifestare volontà di risarcire può predisporre il PM positivamente verso un patteggiamento di pena contenuto. In ogni caso, non improvvisare: concorda tutto con l’avvocato. Se non te la senti, è meglio tacere che dire mezze verità confutabili. Ricorda che se ti avvali della facoltà di non rispondere, non potrà mai essere usato contro di te il tuo silenzio (non è indice di colpevolezza).
D8: Esiste un modo per “sistemare” spontaneamente un subappalto irregolare prima che mi scoprano?
R: Sì, regolarizzare spontaneamente è possibile ed auspicabile, purché non sia già iniziata un’attività di controllo. Per la parte fiscale, puoi fare un ravvedimento operoso: presentare dichiarazioni integrative per gli anni ancora emendabili (entro il termine di decadenza, di solito entro il 5° anno successivo), inserendo i ricavi non dichiarati o stornando costi indeducibili, e pagare le imposte dovute con sanzioni ridotte. Ad esempio, se l’anno scorso hai pagato €50k in nero, potresti presentare ora una integrativa aumentando il reddito di €50k e versando la relativa imposta con sanzione ridotta (il ravvedimento riduce la sanzione a 1/8 o 1/5 del minimo a seconda di quando lo fai) . Anche per l’IVA: potresti emettere ora le fatture mancanti (tardivamente) e far confluire l’IVA dovuta in una dichiarazione integrativa IVA, versandola con interessi e sanzione ridotta. Certo, finanziariamente è oneroso, ma molto meno che farsi accertare: con ravvedimento, se fai tutto prima di 1 anno dal termine violato, la sanzione è 1/8 del minimo (circa 11% invece di 90%) . Inoltre, il ravvedimento esclude i reati per definizione, perché se hai dichiarato correttamente e pagato prima che il fisco se ne accorga, non c’è evasione da perseguire. Quindi questa è la strada migliore per evitare guai penali. Se i fatti risalgono a molti anni fa (oltre i termini per integrativa), c’è meno possibilità di ravvedimento, ma potresti comunque spontaneamente comunicare all’Agenzia e pagare (sarebbe un ravvedimento operoso extra-termine, giuridicamente un pagamento spontaneo che magari l’Agenzia accetta non applicando sanzioni in forza di qualche condono se attivo). Per la parte lavoro/contributi, c’è la possibilità di regolarizzazione presso INPS e Ispettorato. Ad esempio, puoi comunicare volontariamente all’INPS i periodi lavorati in nero e fare denunce contributive tardive (è rischioso perché ammetti l’irregolarità, ma se sta per emergere comunque, meglio tu che loro). L’INPS ti calcolerà contributi e sanzioni civili, ma eviti forse sanzioni penali (il lavoro nero in sé può portare sanzioni amministrative LUL non compilato, maxisanzione per lavoro nero: c’è una maxi-sanzione da €1.800 a €43.200 per lavoratore in nero, riducibile se sanato volontariamente prima di ispezioni). Devi valutare la convenienza: se non hai segnali di un controllo imminente e la situazione è molto datata, la regolarizzazione potrebbe “risvegliare il can che dorme”. Ma moralmente e a lungo termine, regolarizzare mette al sicuro. In alcune circostanze, puoi usufruire di sanatorie: il 2023 ad esempio ha portato definizioni agevolate per alcune liti e irregolarità formali. Altra cosa: se è un caso isolato e decidi di regolarizzare, potresti evitare penalità ai lavoratori (magari li assumi regolarmente d’ora in poi con contratti stabili, così riduci la possibilità che ti denuncino). Insomma, sì, se non sei ancora sotto accertamento, agire spontaneamente è consigliato. Se invece hai già ricevuto un PVC o un avviso, i benefici del ravvedimento pieno non ci sono più (non è “spontaneo” se sei già stato pescato). A quel punto devi negoziare con gli strumenti visti (adesione ecc.).
D9: Quali sono i punti più importanti da evidenziare in un “modello” di memoria difensiva da presentare all’Agenzia delle Entrate dopo un PVC per subappalto irregolare?
R: Una memoria difensiva efficace dovrebbe contenere: (i) una breve introduzione riassuntiva dei fatti secondo la tua versione; (ii) la discussione punto per punto dei rilievi del PVC, con ognuno intitolato chiaramente (“Inesistenza della frode – il subappalto era genuino”, “Sulla deducibilità dei costi – insussistenza dei presupposti di art.14 L.537/93”, “Sulla proporzionalità delle sanzioni – richiesta di minimo edittale” ecc.); (iii) conclusioni in cui chiedi espressamente l’archiviazione/annullamento dell’accertamento o la sua revisione parziale. Importante: allega documenti e richiamali nel testo (“v. Doc.1, contratto del 5/3/2019”). Se il PVC ad esempio sostiene che non c’era autonomia del subappaltatore, tu alleghi il contratto dove c’è scritto che il subappaltatore aveva macchinari propri, e magari foto dei macchinari in cantiere, e scrivi: “Contrariamente a quanto asserito, la ditta Y disponeva di mezzi propri (vedasi clausola 3 del contratto, doc.1, e foto doc.2) e il pagamento concordato era a corpo e non a ore (doc.1). Pertanto l’operazione presenta i caratteri di un appalto vero, non di una mera fornitura di manodopera. Ne consegue che i relativi costi sono inerenti e le fatture emesse da Y non possono considerarsi riferite a operazioni inesistenti.” Inoltre, se la GdF ha usato presunzioni, insisti sulla mancanza di prove: “Il PVC presume un pagamento in nero di €50.000 basandosi su un prelievo bancario della mia ditta. Osservo che tale prelievo invece ha altra destinazione (pagamenti fornitori vari, come da elenco doc.5) e non vi è evidenza che sia stato usato per compensare Y. Senza riscontri, la presunzione non è grave né precisa ai sensi di legge.” In pratica, contesta le lacunenosità probatorie. Se hai contestazioni giuridiche, citale: ad es. “In diritto, va ricordato che l’indeducibilità di costi ex art.14 co.4-bis L.537/93 opera solo se i costi sono collegati a un reato commesso dal contribuente. Nel caso di specie non vi è (allo stato) alcun procedimento penale né prova che la società X fosse correo in reati; anzi, la fattispecie appare più vicina a un illecito amministrativo del subappaltatore. La Cassazione (ord. n. 7863/2023) ha chiarito che l’Amministrazione deve provare la consapevolezza del contribuente circa l’eventuale frode, prova qui mancante. Si chiede pertanto di non applicare la citata norma e di riconoscere la deducibilità dei costi effettivamente sostenuti.” Ovviamente, va adattato al tuo scenario. Un ultimo punto: tono e struttura. La memoria deve essere chiara, ben organizzata e ferma ma rispettosa. Evitare toni polemici e ammissioni inutili. Concentrarsi su ciò che l’Ufficio potrebbe recepire: se vedi che su un rilievo hai torto marcio, magari glissi e punti a una benevola riduzione sanzioni. Se invece hai argomenti forti su un punto, martellalo. In conclusione, chiedi magari un incontro per discuterla (anche se formalmente l’adesione è separata, puoi comunque dire “resto a disposizione per chiarimenti in contraddittorio”). Insomma, una memoria difensiva scritta bene è come una anteprima del ricorso: molte volte convince l’Ufficio a modificare l’atto (ad esempio a togliere un rilievo debole). Non aspettarti miracoli, ma vale sempre la pena presentarla.
D10: Dopo aver letto tutto questo, sono molto preoccupato. Cosa posso fare in futuro per evitare di cadere in problemi simili con i subappalti?
R: La prevenzione è fondamentale. Ecco alcuni consigli per il futuro:
– Scegli con cura i subappaltatori: verifica la loro affidabilità fiscale e contributiva. Chiedi sempre il DURC prima di iniziare (Documento Unico Regolarità Contributiva) e periodicamente durante i lavori. Controlla che abbiano struttura e mezzi: diffida da chi offre solo “uomini” a basso costo. Verifica che siano iscritti in Camera di Commercio da tempo, che abbiano uno storico di versamenti IVA (se hai accesso a banche dati, o tramite il tuo commercialista).
– Metti tutto per iscritto: stipula un contratto di subappalto dettagliato, indicando l’oggetto, il corrispettivo (meglio a corpo o a misura di risultato, non a ore), le clausole su chi dirige i lavori (deve essere il subappaltatore) e una clausola di risoluzione se emergono irregolarità fiscali/contributive. Questo serve sia come tutela legale, sia come deterrente per il subappaltatore.
– Pagamenti tracciabili e congrui: paga sempre tramite bonifico o assegno non trasferibile intestato all’impresa subappaltatrice. Evita pagamenti in contanti (sopra soglie sono illegali). Se un subappaltatore insiste per cash, è un segnale di allarme. Assicurati che i pagamenti corrispondano ai SAL (stati avanzamento lavori) e che siano giustificati da fatture.
– Fatture tempestive ed elettroniche: pretendi la fattura prima di pagare (o al massimo contestuale). Ormai con la fatturazione elettronica, se lavori B2B, la fattura transita dallo SDI: controlla di riceverla. Se un subappaltatore dice “te la faccio dopo, intanto paga”, rifiuta.
– Applica art.17-bis se dovuto: se il contratto rientra nelle caratteristiche (>200k, manodopera prevalente presso di te), adempi agli obblighi di controllo delle ritenute. Chiedi il DURF (Documento di Regolarità Fiscale) al subappaltatore ogni mese. Se non lo fornisce, sospendi i pagamenti. Questo non solo evita la solidarietà, ma spinge il subappaltatore a comportarsi bene.
– Sicurezza e accessi in cantiere: mantieni registri delle presenze in cantiere o in azienda. Se arrivano ispezioni del lavoro, poter mostrare chi era presente e per conto di chi evita presunzioni.
– Consulenza preventiva: coinvolgi il tuo consulente del lavoro e commercialista prima di stipulare subappalti. Fagli valutare se c’è rischio di interposizione illecita. Se il lavoro subappaltato è molto simile a ciò che fanno i tuoi dipendenti e avviene nei tuoi locali con i tuoi mezzi, potrebbe configurarsi somministrazione: in tal caso valuta di assumere direttamente personale temporaneo o rivolgiti a un’agenzia per il lavoro autorizzata.
– Formazione: istruisci il tuo personale (amministrativo, dirigenti di cantiere) a riconoscere situazioni a rischio. Ad esempio, sapere che una cooperativa che applica contratti pirata e offre prezzi anomali spesso nasconde un illecito.
– Documenta tutto: nel caso di rapporti borderline, fatti rilasciare dichiarazioni periodiche dal subappaltatore che conferma la sua autonomia. Conserva email dove, se emergono problemi, lo richiami al rispetto delle regole. Questa “traccia” potrà salvarti dimostrando che tu non eri connivente ma anzi pretendevi regolarità.
– Aderisci a protocolli di legalità: ad esempio, in edilizia esistono white list di fornitori puliti, o protocolli sindacali per la regolarità negli appalti. Utilizzarli rafforza la tua posizione anche in caso di controlli.
In sintesi, trasparenza e controllo sono le armi migliori: un subappalto regolare deve essere quasi indistinguibile, come procedure, da un appalto qualsiasi – se noti zone d’ombra, meglio rinunciare o regolarizzarle subito.
Modelli difensivi: esempi pratici
Di seguito, presentiamo a scopo orientativo due brevi esempi di atti difensivi: una memoria difensiva in sede amministrativa e uno schema di ricorso tributario, legati al tema in esame. Questi modelli vanno ovviamente personalizzati in base al caso concreto e non sostituiscono il lavoro di un professionista, ma servono a rendere tangibili le linee guida trattate.
Esempio 1 – Memoria difensiva post-verifica fiscale (estratto)
Oggetto: Osservazioni al P.V.C. n. 123/2025 della G.d.F. – Ditta Alfa Srl (P.IVA …)
Alla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di [XYZ]
e, p.c., al Nucleo PEF Guardia di Finanza di [XYZ]
Ill.mi Signori,
la sottoscritta Alfa Srl, in persona del legale rappresentante, intende formulare le seguenti osservazioni in merito al Processo Verbale di Constatazione in oggetto, notificato in data … .
1. Sintesi dei fatti e posizione della società – Alfa Srl opera nel settore [edilizio] e nel ha subappaltato a Beta Soc. Coop. parte dei lavori di [ristrutturazione] del cantiere [Omega]. Dal PVC emerge la contestazione di un presunto “subappalto irregolare” con conseguente riqualifica a somministrazione illecita di manodopera e recupero a tassazione di €50.000 di costi e relativa IVA. La scrivente ritiene tale impostazione non conforme alla realtà dei fatti né alla normativa, come si argomenterà appresso, avendo il rapporto con Beta natura di genuino appalto di servizi.
2. Sulla genuinità dell’appalto e l’inesistenza di somministrazione illecita – Il PVC afferma che “Beta non disponeva di autonoma organizzazione né assumeva rischi d’impresa, limitandosi a fornire manodopera”. Ciò è contraddetto dalle evidenze documentali:
- Beta Coop. ha sottoscritto con Alfa un contratto di subappalto in data 02/05/2019 (doc.1), in cui si obbliga alla realizzazione “in autonomia tecnico-organizzativa” delle opere di posa pavimenti presso il cantiere Omega, al prezzo a corpo di €50.000. Nel contratto Beta dichiara di avere mezzi e capacità per eseguire il lavoro . La pattuizione del corrispettivo a corpo e non a misura di ore è comprovata dall’art. 5 del contratto (doc.1). Ciò esclude la fornitura di manodopera a tempo e dimostra il trasferimento del rischio di impresa a Beta (se impiegava più ore, non avrebbe avuto extra-costi riconosciuti).
- Beta ha effettivamente impiegato mezzi propri: come da DDT allegato (doc.2), il 10/05/2019 ha portato in cantiere una levigatrice industriale di sua proprietà e attrezzature varie (elenco attrezzi in doc.2). Inoltre, Beta ha acquistato a suo carico materiali (colle e abrasivi) per €5.000 (fatture fornitore Gamma, doc.3) – materiali utilizzati nell’opera. Questi elementi provano una organizzazione di mezzi anche materiali da parte di Beta, sebbene l’attività fosse labour intensive. Secondo Cassazione, anche un’organizzazione minima nei lavori labour intensive è sufficiente a qualificare l’appalto genuino . Beta ha fornito tale organizzazione minima (attrezzi e materiali propri, potere direttivo sui suoi addetti).
- In cantiere, i 5 operai di Beta hanno operato sotto la direzione del caposquadra di Beta, sig. [Nome], come risulta dal registro visite in cantiere (doc.4: registro sicurezza, firmato giornalmente dal caposquadra Beta per presa visione DPI e istruzioni, senza firme di preposti Alfa). Alfa Srl si è limitata al coordinamento generale (cronoprogramma) e a fornire l’area di lavoro, ma non impartiva ordini ai dipendenti di Beta. Ciò è confermato dalle dichiarazioni rese in sede ispettiva dall’operaio Beta, Caio, il quale ha riferito: “Avevamo il nostro caposquadra (Beta) che ci diceva cosa fare. I responsabili di Alfa interagivano solo col nostro capo, noi dipendenti prendevamo ordini da quest’ultimo”. Questa testimonianza (riportata a pag.5 PVC) è coerente con un appalto genuino, in cui il potere direttivo rimane al subappaltatore.
Alla luce di quanto sopra, la ricostruzione del PVC secondo cui “Beta fungesse da mero tramite di manodopera” appare non supportata da adeguati riscontri e contraddetta dalla documentazione. Si richiama il principio espresso dall’ordinanza Cass. n.20591/2024: la distinzione tra appalto e somministrazione si basa su rischio d’impresa e autonomia organizzativa dell’appaltatore, anche minima . Nel caso in esame Beta ha assunto un risultato autonomo (posa pavimenti completata, collaudo avvenuto in data 30/06/2019), con mezzi e gestione propria, sopportando il rischio di costi (tant’è che un inconveniente tecnico l’ha costretta a due giornate aggiuntive di lavoro senza extra costo per Alfa). Pertanto non sussistono i presupposti per riqualificare il rapporto come somministrazione illecita.
3. Sulla deducibilità dei costi e detraibilità IVA – L’accertamento prospettato intende negare deduzione e detrazione invocando l’art. 14, co.4-bis L.537/93 e art. 19 DPR 633/72, assumendo che le fatture di Beta documentino operazioni inesistenti. Come evidenziato, l’operazione era reale e lecita; di conseguenza, le fatture emesse da Beta (n.10/19 e 11/19) per complessivi €50.000 + IVA 22% si riferiscono a prestazioni effettivamente rese (posa pavimenti completata) e non a operazioni inesistenti. L’IVA esposta è stata da noi interamente versata a Beta e Beta l’ha liquidata nel bonifico del … (doc.5, quietanza Beta). L’Agenzia Entrate potrà facilmente riscontrare che Beta ha dichiarato e versato tale IVA (Beta risulta oggi con DURF regolare al 2020). Ne deriva che manca qualsiasi danno erariale sul fronte IVA e quindi il diniego di detrazione risulterebbe ingiustificato: ai sensi dell’art. 19 DPR 633, Alfa ha diritto alla detrazione poiché trattasi di IVA afferente a operazioni inerenti l’attività. L’eventuale irregolarità soggettiva (qualora si insistesse, contra legem, nel definirla somministrazione illecita) non rende inesistente l’operazione ai fini IVA , soprattutto perché – ribadiamo – l’imposta è stata assolta dal fornitore. Sul punto si richiama Cass. n.17788/2018 (cit. in Fiscotoday n.xx) che ammette la deducibilità dei costi da operazioni soggettivamente inesistenti anche se il contribuente era consapevole, purché i costi siano effettivi e inerenti . Qui i costi sono effettivi (pagamenti provati) e inerenti (posa pavimenti nel cantiere da cui Alfa ha ricavato il corrispettivo dall’appaltante).
Quanto all’art.14, co.4-bis L.537/93: esso esclude deduzione per costi “direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo” . Nel nostro caso, quale sarebbe il delitto? Non vi è ad oggi contestazione penale formale; la condotta di Beta (eventuale somministrazione abusiva) era, all’epoca, sanzionata come illecito amministrativo (abrogazione della pena ex D.Lgs. 8/2016, reintrodotta solo dal 2024). Quindi Beta non ha commesso “delitto” ma semmai un illecito amministrativo. Alfa dal canto suo non ha compiuto alcun delitto doloso: ha ricevuto fatture vere per lavori veri. Pertanto l’art.14 cit. non è applicabile: nessun costo “da reato” è ravvisabile. L’orientamento Cassazione (es. Cass. 9077/2021) chiarisce che basta la richiesta di rinvio a giudizio per escludere deducibilità ; qui nemmeno vi è notizia di reato. Si confida dunque che l’Ufficio riconoscerà la piena deducibilità del costo Beta e la piena detraibilità IVA, non ricorrendo i presupposti dell’operazione inesistente.
4. Sul regime sanzionatorio – In via subordinata e di mero calcolo, qualora l’Ufficio – in ipotesi non concessa – ritenesse comunque di recuperare a tassazione l’importo, si chiede fin d’ora l’applicazione delle sanzioni nel minimo edittale, attesa l’assenza di malafede o recidiva da parte di Alfa Srl. Trattasi della prima contestazione in decenni di attività, nata da un fraintendimento della disciplina del lavoro (Beta era cooperativa regolare, come creduto in buona fede). L’art. 7 D.Lgs. 472/97 permette la riduzione delle sanzioni in presenza di circostanze attenuanti, che qui si ravvisano. Inoltre, Alfa manifesta sin d’ora la disponibilità ad adesione all’accertamento con definizione agevolata delle eventuali sanzioni, al fine di chiudere bonariamente la vicenda.
5. Conclusioni – Alla luce di quanto esposto, si invita l’On.le Ufficio a voler riesaminare criticamente i rilievi in questione. In particolare, si chiede di:
- non emettere alcun avviso di accertamento in recepimento del PVC, archiviando la contestazione, in quanto il rapporto Alfa-Beta va qualificato come appalto lecito con costi deducibili e IVA detraibile;
- in subordine, ridurre la pretesa eliminando l’IVA a debito (già versata) e mantenendo la deducibilità dei costi, eventualmente sanzionando Beta per eventuali violazioni;
- in ulteriore subordine, qualora si intendesse procedere comunque, applicare le sanzioni nel minimo e consentire gli istituti deflattivi.
Alfa Srl resta a disposizione per qualsiasi chiarimento e chiede, se possibile, di essere convocata per un contraddittorio orale prima dell’emissione di eventuale atto impositivo, ai sensi dell’art.5 L.212/2000.
Confidando nell’attenzione che vorrete riservare a queste osservazioni, l’occasione è gradita per porgere distinti saluti.
Luogo, data
Alfa Srl – Il legale rappresentante
(firma)
Esempio 2 – Schema di Ricorso Tributario (traccia)
Ricorso ex D.Lgs. 546/92
Corte di Giustizia Tributaria di I grado di __
Ricorso di: Alfa Srl, P.IVA …, con sede in …, rappresentata e difesa dall’Avv. ____ (CF…), elettivamente domiciliata presso il suo studio in … come da procura in calce;
Ricorrente
contro
Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di __, in persona del Direttore pro tempore, con sede in …;
Resistente
Avverso l’avviso di accertamento n. _ notificato il _// (doc.1), emesso dalla DP di _ nei confronti di Alfa Srl, anno d’imposta 2019, IRES-IVA-IRAP, con cui si recuperano a tassazione € per costi indeducibili da “subappalto irregolare” e maggior IVA €_, irrogando sanzioni per €____ complessivi.
Fatti e svolgimento del procedimento:
– Alfa Srl nell’anno 2019 ha stipulato un contratto di subappalto con Beta Soc. Coop per lavori di _ (doc.2). Beta ha emesso fatture per €50.000+IVA (doc.3) regolarmente pagate e detratte da Alfa.
– In data _// la Guardia di Finanza eseguiva verifica presso Alfa, contestando che il rapporto con Beta fosse mera somministrazione di manodopera; veniva redatto PVC n.__ (doc.4) proponendo il disconoscimento dei costi e IVA.
– Alfa presentava memorie difensive il // (doc.5) evidenziando la correttezza sostanziale dell’operato.
– Ciononostante l’Agenzia emetteva l’avviso impugnato, con cui determinava un maggior reddito d’impresa di €50.000 e IVA dovuta €11.000, applicando sanzioni art.1 c.2 D.Lgs.471/97 (infedele dichiarazione) al 135% e art.6 D.Lgs.471/97 (omessa fatturazione a Beta, in solido) al 100%.
– L’atto è destituito di fondamento in fatto e in diritto, come di seguito illustrato.
Motivi di ricorso:
- Sulla violazione di legge e falsa applicazione art.1655 c.c. e art.29 D.Lgs.276/03 – Erronea qualificazione del rapporto come somministrazione; insussistenza dei presupposti per disconoscere costi e IVA.
L’Ufficio ha ritenuto fittizio l’appalto, assumendo inesistente l’operazione ai fini fiscali. Ciò contrasta con la disciplina civilistica e la giurisprudenza, nonché con le risultanze di fatto: come da contratto e documentazione allegata, Beta ha operato con autonomia e mezzi propri (v. Memoria difensiva doc.5, pag.2-3). Ai sensi dell’art.1655 c.c., vi è appalto genuino se l’appaltatore assume il rischio d’impresa e dirige i lavori . Nel caso di specie Beta ha assunto un risultato (rifacimento impianto elettrico) e impiegato propri elettricisti e attrezzature, con compenso a corpo. È quindi erronea la riqualificazione operata dall’Ufficio. La Cassazione ha di recente stabilito il principio che negli appalti labour intensive basta un minimo di organizzazione dell’appaltatore per escludere la somministrazione illecita , e qui tale requisito è presente. Pertanto, la prestazione di Beta non è inesistente bensì reale e le fatture corrispondono a operazioni effettive. Ne discende che Alfa aveva diritto di dedurre il costo (inerente alla sua attività) e detrarre l’IVA relativa (art.19 DPR 633/72). L’atto impugnato viola tali disposizioni, avendo disconosciuto costi e IVA su presupposti fattualmente e giuridicamente insussistenti. - Sulla violazione art.14 co.4-bis L.537/93 e art.109 TUIR – Indebito rilievo di costo indeducibile per atto illecito inesistente.
Anche qualora si opinasse che l’appalto fosse non genuino (quod non), l’indeducibilità del costo sarebbe comunque illegittima. L’art.14, c.4-bis L.537/93 esclude costi relativi a delitti dolosi del contribuente . Nel caso in esame Alfa Srl non ha commesso alcun reato: semmai l’asserita somministrazione illecita era un illecito amministrativo a carico di Beta (nel 2019 la somministrazione abusiva non era reato). Manca quindi il presupposto normativo per applicare la sanzione fiscale dell’indeducibilità. La Cass. n.8480/2022 ha ricordato che l’onere di provare la consapevolezza della frode spetta al Fisco : Alfa ha agito in buona fede, come testimoniato dall’acquisizione dei DURC di Beta (doc.6) e dalla verifica dell’iscrizione di Beta nell’albo cooperative (doc.7). Nessuna prova di collusione fraudolenta è stata fornita. Pertanto, anche sotto questo profilo, il costo di €… doveva ritenersi deducibile, essendo tra l’altro certo, determinato e inerente (art.109 TUIR). L’atto impugnato viola tali principi ed è dunque illegittimo. - Error in procedendo – Violazione art.12 c.7 L.212/2000 per emissione avviso ante tempus – Nullità.
Si rileva che il PVC è stato consegnato il 10/09/2021, mentre l’avviso è stato notificato il 05/10/2021, quindi prima del decorso dei 60 giorni previsti dallo Statuto del Contribuente. Non risulta alcuna urgenza motivata nell’atto. Ciò configura violazione del diritto al contraddittorio e rende nullo l’atto impositivo (cfr. Cass. SSUU 29/07/2015, n.24823). La ricorrente aveva tra l’altro depositato memoria il 20/09/2021, ma l’Ufficio ha emesso l’accertamento senza attendere il termine e senza considerare le osservazioni (nessun cenno alle stesse in motivazione). Tale comportamento contra legem comporta l’annullamento dell’avviso impugnato. - In subordine: eccessività delle sanzioni irrogate – Violazione principi di proporzionalità e non duplicazione (artt.7 e 10 L.212/2000).
L’Ufficio ha cumulato sanzioni per infedele dichiarazione e omessa fatturazione, ottenendo un importo totale pari a circa il 135% dell’imposta. In realtà, nel caso di specie si tratta di un’unica violazione sostanziale (aver dedotto un costo ritenuto indebito). Applicare due sanzioni configura un bis in idem sanzionatorio. Si chiede quindi, in via gradata, la riduzione delle sanzioni al minimo e in applicazione del cumulo giuridico (art.12 D.Lgs.472/97).
Conclusioni:
Per tutto quanto sopra esposto, la ricorrente, impregiudicata ogni altra ragione, chiede che codesta On.le Corte di Giustizia Tributaria voglia:
- In via principale, annullare l’avviso di accertamento impugnato, riconoscendo la legittimità dell’operato fiscale di Alfa Srl e la nullità dell’atto per violazione di legge;
- In subordine, ridurre la pretesa eliminando l’indebito recupero di IVA e/o riconoscendo parzialmente la deducibilità dei costi, con rideterminazione delle imposte dovute;
- In ulteriore subordine, ridurre sensibilmente le sanzioni amministrative irrogate, nei termini di cui in motivazione;
- Con vittoria di spese del giudizio.
Si allegano: documenti da 1 a 7 come in indice (Avviso impugnato, contratto, fatture, PVC, memoria, DURC Beta, visura Beta).
Luogo, data.
Avv. XYZ – difensore di Alfa Srl (firma)
Segue procura alle liti e relata di notificazione all’Ufficio.
Conclusione: La materia dei subappalti irregolari senza fattura è senz’altro complessa e trasversale. Questa guida ha cercato di coprire tutti gli angoli visuali – dal piano civilistico (qual è la linea di confine tra appalto e somministrazione) al piano tributario (imposte, sanzioni, rimedi) fino al penale (reati e sanzioni personali) – per mettere nelle mani del “debitore” gli strumenti conoscitivi necessari a difendersi. In ultimo, val la pena ribadire un concetto: la migliore difesa è la prevenzione. Un imprenditore informato sulle normative, attento a scegliere partner contrattuali onesti e a rispettare le regole di fatturazione e contribuzione, difficilmente incorrerà in contestazioni così gravi. Qualora però ci si trovi, per errore o leggerezza, coinvolti in simili vicende, non bisogna perdere lucidità: come abbiamo visto, esistono procedure e garanzie che, se ben utilizzate, permettono di far valere le proprie ragioni e limitare i danni. L’auspicio è che questo lavoro, ricco di riferimenti aggiornati al 2025, possa servire da bussola in situazioni tempestose, indicando le rotte difensive più sicure per navigare (e uscire) da un accertamento per subappalti irregolari senza fattura.
Fonti: le affermazioni e i principi qui illustrati trovano riscontro nelle normative citate e nella giurisprudenza recente, tra cui: Cass. trib. n.25606/2024 (subappalto come somministrazione – costi indeducibili) ; Cass. trib. n.20591/2024 (nuovo criterio appalti labour intensive) ; Cass. pen. n.34407/2024 (fatture da appalto fittizio = dichiarazione fraudolenta) ; Cass. lav. n.18945/2025 (criteri genuinità appalto) ; e numerose altre pronunce di legittimità e di merito richiamate in testo. Ulteriore supporto interpretativo è tratto da circolari dell’Agenzia Entrate (Circ. 32/E/2012 sul costo da reato) , prassi ministeriali sul lavoro , nonché contributi dottrinali e di prassi specialistica . Tutto ciò conferisce solidità giuridica alle strategie difensive qui proposte, offrendo al lettore un appiglio di diritto positivo e vivente per sostenere la propria difesa.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate o un verbale della Guardia di Finanza per presunti subappalti irregolari non fatturati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate o un verbale della Guardia di Finanza per presunti subappalti irregolari non fatturati?
Vuoi sapere cosa rischi e come difenderti da queste contestazioni fiscali e penali?
👉 Prima regola: dimostra la reale esecuzione dei lavori e la tracciabilità dei rapporti economici, distinguendo eventuali irregolarità formali da quelle sostanziali.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Utilizzo di manodopera in subappalto senza regolare contratto e fattura;
- Pagamenti in nero a imprese o lavoratori terzi;
- Subappalti non autorizzati dalla stazione appaltante nei lavori pubblici;
- Disallineamenti tra lavori eseguiti in cantiere e documentazione contabile;
- Fatture mancanti o importi gonfiati per coprire costi non documentati.
📌 Conseguenze della contestazione
- Indeducibilità dei costi relativi ai subappalti non fatturati;
- Recupero delle imposte evase e applicazione di sanzioni;
- Interessi di mora sulle somme accertate;
- Rischio di denunce penali per dichiarazione fraudolenta, false fatturazioni o utilizzo di lavoro nero;
- Esclusione da appalti pubblici e interdittive antimafia.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- I subappalti erano realmente eseguiti e in che misura?
- Sono disponibili prove documentali (contratti, stati avanzamento lavori, collaudi)?
- I pagamenti erano tracciati o documentabili?
- La contestazione distingue tra irregolarità formali (mancata fattura) e sostanziali (inesistenza delle prestazioni)?
- L’Agenzia ha ricostruito i rapporti su base probatoria o solo presuntiva?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Contratti di subappalto e relative autorizzazioni;
- Stati avanzamento lavori (SAL) e certificati di collaudo;
- Estratti conto, bonifici o altre prove di pagamento;
- Fatture emesse, anche tardivamente, per regolarizzare i rapporti;
- Comunicazioni con stazioni appaltanti e direttori dei lavori.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare l’effettività delle prestazioni eseguite dai subappaltatori;
- Contestare la riqualificazione come operazioni inesistenti se i lavori risultano documentabili;
- Evidenziare eventuali errori formali non idonei a giustificare pesanti recuperi fiscali;
- Eccepire vizi di motivazione o irregolarità procedurali nell’accertamento;
- Richiedere l’annullamento in autotutela se i documenti erano già agli atti;
- Presentare ricorso entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria;
- Difesa penale mirata in caso di contestazioni per frode fiscale o lavoro nero.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i contratti, i pagamenti e la documentazione dei subappalti;
📌 Valuta la fondatezza delle contestazioni e i punti deboli dell’accusa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei giudizi fiscali e nei procedimenti penali;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione sicura dei subappalti in edilizia.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e penale-tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su subappalti irregolari e fatturazioni;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui subappalti irregolari senza fattura non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni, errori formali o valutazioni parziali delle prove.
Con una difesa mirata puoi dimostrare l’effettiva esistenza dei lavori, ridurre le pretese fiscali e contenere i rischi penali.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui subappalti inizia qui.