Contestazioni Su Interessi Percepiti Da Defi Lending Non Dichiarati: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per interessi percepiti tramite attività di DeFi lending non dichiarati? In questi casi, l’Ufficio presume che i rendimenti ottenuti dal prestito di criptovalute su piattaforme di finanza decentralizzata costituiscano redditi imponibili da dichiarare in Italia. Le conseguenze possono essere molto pesanti: tassazione retroattiva dei proventi, sanzioni elevate e possibili indagini bancarie e patrimoniali. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben documentata è possibile ridurre o annullare le pretese fiscali.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta gli interessi da DeFi lending
– Se i rendimenti percepiti non sono stati riportati nella dichiarazione dei redditi
– Se manca la compilazione del quadro RW per il monitoraggio delle attività estere in crypto
– Se i movimenti su wallet e piattaforme decentralizzate non trovano corrispondenza in dichiarazioni ufficiali
– Se l’Ufficio presume che i proventi da lending siano stati utilizzati per occultare redditi
– Se emergono incongruenze tra accrediti bancari, exchange e dichiarazioni fiscali

Conseguenze della contestazione
– Tassazione integrale degli interessi non dichiarati come redditi di capitale o diversi
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme dovute
– Possibile contestazione di omessa dichiarazione nel quadro RW
– Rischio di indagini patrimoniali su altri wallet o investimenti in criptovalute

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la natura dei rendimenti percepiti e la corretta modalità di tassazione
– Produrre report delle piattaforme DeFi, estratti wallet e documentazione tecnica
– Contestare l’inquadramento fiscale se trattasi di bonus, token reward o capital gain e non di interessi
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di calcolo o carenze istruttorie nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione delle somme con riduzione delle sanzioni applicabili
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i movimenti su wallet e piattaforme DeFi contestati
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta qualificazione fiscale dei proventi
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e familiare da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della corretta tassazione dei proventi da DeFi lending
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il settore della DeFi è sotto crescente monitoraggio del Fisco e rappresenta un’area ad alto rischio di contestazioni. È fondamentale predisporre una difesa tecnica accurata e documentata per evitare pesanti conseguenze economiche e legali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità delle criptovalute – spiega come difendersi in caso di contestazioni per interessi percepiti da DeFi lending non dichiarati e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

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Introduzione

Negli ultimi anni la finanza decentralizzata (DeFi) ha visto una crescita esponenziale, offrendo agli utenti la possibilità di prestare criptovalute in cambio di interessi tramite piattaforme come AAVE o Compound. Molti contribuenti italiani – privati, professionisti e imprenditori – hanno iniziato a guadagnare interessi in criptovalute (ad esempio ricevendo token aggiuntivi o aumenti di saldo) grazie al lending su protocolli DeFi. Tuttavia, il Fisco italiano considera questi interessi come redditi imponibili a tutti gli effetti. Di conseguenza, chi non li ha dichiarati in passato può trovarsi oggi destinatario di contestazioni e avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza.

Dal punto di vista del contribuente (debitore) chiamato a difendersi, la situazione può apparire complessa: la normativa tributaria sulle criptovalute è recente e in evoluzione, e molti ignoravano gli obblighi fiscali sui propri asset digitali. Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – intende fornire un quadro avanzato e dettagliato su come affrontare contestazioni relative a interessi da DeFi lending non dichiarati.

Importante: il focus sarà sul punto di vista del debitore, ossia del contribuente che riceve una contestazione per interessi su prestiti DeFi non dichiarati, e su come predisporre una difesa efficace. Verranno citate le fonti normative rilevanti, i chiarimenti ufficiali (circolari, interpelli) e le sentenze più recenti (anche di Cassazione 2024-2025) in materia .

Quadro normativo e definizioni

Prima di affrontare le strategie difensive, è essenziale delineare il quadro normativo italiano riguardante le criptovalute e, in particolare, i redditi derivanti da esse. Fino al 2022 l’ordinamento tributario non conteneva regole ad hoc: in assenza di norme specifiche, l’Amministrazione finanziaria applicava per analogia le regole previste per valute estere e attività finanziarie tradizionali . Già nel 2013 l’Agenzia delle Entrate chiarì che gli investimenti detenuti all’estero vanno monitorati in Quadro RW (Circolare 38/E/2013), principio esteso anche alle criptovalute su exchange esteri o wallet privati . Sul fronte europeo, la Corte di Giustizia UE con la sentenza Hedqvist (C-264/14, 22/10/2015) ha qualificato Bitcoin e analoghi come valute alternative utilizzate come mezzo di pagamento, esentando da IVA il cambio cripto-fiat .

Una svolta normativa è giunta con le ultime leggi di bilancio. La Legge 197/2022 (Bilancio 2023) ha introdotto nel Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR) una disciplina dedicata alle cripto-attività . In particolare, è stata aggiunta la lettera c-sexies al comma 1 dell’art. 67 TUIR, che qualifica formalmente le plusvalenze da criptovalute come redditi diversi di natura finanziaria, tassabili con imposta sostitutiva . Contestualmente, per la prima volta è stata data una definizione normativa di “cripto-attività” intesa come «rappresentazione digitale di valore o di diritti, trasferibile e archiviata elettronicamente, utilizzata come strumento di investimento o scambio, diversa da moneta a corso legale e da strumenti finanziari» . Questa definizione – sostanzialmente ripresa anche dal Regolamento UE 2023/1114 (MiCA, Markets in Crypto-Assets) – distingue le cripto-attività dagli strumenti finanziari tradizionali ma al tempo stesso le assoggetta a regole fiscali analoghe.

In base alla nuova disciplina, qualunque fenomeno reddituale legato a cripto-attività rileva fiscalmente. La norma infatti stabilisce che “le plusvalenze realizzate e gli altri proventi percepiti mediante operazioni aventi ad oggetto cripto-attività, comunque denominate, sono imponibili” per le persone fisiche (al di fuori dell’esercizio di impresa, arti o professioni) . In altre parole, non solo le plusvalenze da trading, ma anche gli altri redditi derivanti dal possesso o impiego di criptovalute rientrano tra i redditi imponibili . Come vedremo a breve, in questa categoria rientrano anche gli interessi o “premi” ottenuti tramite attività di staking, lending o altri impieghi in DeFi .

Dal punto di vista delle aliquote e del tipo di imposta, la legge di bilancio 2023 ha equiparato le cripto-attività alle rendite finanziarie tradizionali: 26% di imposta sostitutiva sulle plusvalenze e proventi, aliquota pari a quella applicabile alle rendite da capitali finanziari . Viene inoltre prevista una soglia di esenzione annuale di €2.000 per le plusvalenze da cessione di cripto (analoga alla vecchia franchigia sulle valute estere) – soglia applicabile fino al 2024 . Ciò significa che, fino al periodo d’imposta 2024, se un contribuente realizza complessivamente meno di 2.000 euro di plusvalenze da trading crypto nell’anno, tali guadagni non sono tassati; superata la soglia, invece, l’intero importo della plusvalenza diviene imponibile al 26% . Esempio: se nel 2024 ho 3.500€ di profitto da cessione di Bitcoin, i primi 2.000€ sono esenti e solo i restanti 1.500€ scontano il 26% (imposta €390) . Dal 2025 in poi, questa franchigia è stata abolita e tutte le plusvalenze saranno integralmente tassate . Inoltre, la Legge 207/2024 (Bilancio 2025) ha stabilito un aumento dell’aliquota: dal 1° gennaio 2026 l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze e proventi da cripto passerà dal 26% al 33% , uniformandosi ai nuovi capital gains su strumenti finanziari qualificati.

È importante sottolineare che la normativa distingue tra la posizione del privato investitore e quella dell’operatore economico/imprenditore. Se il contribuente persona fisica opera al di fuori di attività d’impresa (cioè in modo non professionale), i guadagni da criptovalute – siano essi plusvalenze da trading o interessi da lending – sono inquadrati come redditi diversi di natura finanziaria, tassati con imposta sostitutiva nei termini detti . Non si tratta quindi né di redditi d’impresa né di redditi di lavoro autonomo, e non vi è applicazione di aliquote IRPEF progressive su tali importi . Invece, se l’attività svolta con criptovalute assume i connotati di un’attività d’impresa o professionale abituale (ad esempio un trader professionista con partita IVA, un’azienda che gestisce una mining farm, o un artista che vende NFT come business), allora i proventi sono esclusi dal regime privato e trattati secondo le regole ordinarie sui redditi di impresa/lavoro autonomo . In tal caso non si applica l’imposta sostitutiva del 26%, bensì: per le persone fisiche con P.IVA le aliquote IRPEF progressive sul reddito netto di attività (con deduzione dei costi inerenti) ; per le società l’IRES (24%) sugli utili e l’eventuale IRAP se dovuta . Ad esempio, un’azienda che investe liquidità aziendale in piattaforme DeFi percependo interessi, dovrà contabilizzare tali interessi come proventi finanziari di esercizio, tassandoli in dichiarazione IRES come parte dell’utile d’impresa (24%) e potendo dedurre eventuali costi collegati (commissioni, consulenze, ecc.). In sintesi, il regime fiscale agevolato (26% sostitutiva) è riservato ai privati investitori non esercenti impresa; viceversa i proventi crypto in ambito imprenditoriale confluiscono nel reddito d’impresa e seguono le regole ordinarie .

Dal punto di vista civilistico e antiriciclaggio, va ricordato che già il D.Lgs. 90/2017 (recepimento V Direttiva AML) ha introdotto una definizione di “valuta virtuale” poi ripresa nella normativa italiana: «rappresentazione digitale di valore, non emessa da banca centrale o autorità pubblica, utilizzata come mezzo di scambio o a fini di investimento, ed equiparata alla valuta tradizionale solo ai fini dell’uso come mezzo di pagamento» . Ciò implica che, pur non avendo corso legale in Italia, le criptovalute hanno un valore economico e sono considerate beni fungibili idonei a fungere da pagamento tra privati. Questo principio è condiviso a livello comunitario (MiCA le inquadra come digital financial instruments) e ha riflessi sia sul fronte IVA (come visto, equiparazione alle valute estere per esenzione cambio) sia sul fronte dei controlli AML (obbligo di tracciamento). Chi offre servizi crypto professionalmente in Italia (exchange, wallet provider, ecc.) deve iscriversi all’apposito Registro OAM come prestatore di servizi di valuta virtuale , rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela (KYC) e segnalare operazioni sospette alla UIF. Dal giugno 2024, con l’adozione della c.d. Travel Rule europea, tali operatori devono anche trasmettere alle autorità i dati identificativi dei mittenti e destinatari di trasferimenti in crypto superiori a €1.000 . In parallelo, la legge italiana si è adeguata a MiCA introducendo nuove fattispecie di reato per chi offre abusivamente servizi crypto al pubblico senza autorizzazione (D.Lgs. 129/2024) . In breve, il quadro regolatorio attuale vede le criptovalute come oggetto di attenzione normativa sia fiscale che antiriciclaggio, uscendo dall’ombra di incertezza che le caratterizzava fino a pochi anni fa .

Riassumendo i punti chiave normativi utili al nostro tema:

  • Le cripto-attività sono state formalmente definite e regolamentate in Italia dal 2023, distinguendole da valute a corso legale ma sottoponendole a tassazione analogamente alle attività finanziarie .
  • Ogni reddito derivante da criptovalute – plusvalenze da cessioni, interessi o altri proventi da detenzione, remunerazioni in token, ecc. – è potenzialmente imponibile come reddito diverso di natura finanziaria (26% imposta sostitutiva, franchigia €2.000 per plusvalenze fino al 2024) , salvo si tratti di attività d’impresa (in tal caso reddito ordinario) .
  • Gli interessi da DeFi lending, oggetto specifico della nostra analisi, rientrano tra gli “altri proventi” tassabili e sono assimilati a interessi su depositi o dividendi dal punto di vista fiscale . Approfondiamo questo aspetto nel paragrafo seguente.

Regime fiscale dei proventi da DeFi lending (interessi in criptovaluta)

Cosa si intende per interessi da DeFi lending? Nel contesto della finanza decentralizzata, un utente può depositare le proprie criptovalute in protocolli o piattaforme (come AAVE, Compound, MakerDAO, ecc.) che le impiegano per prestiti o liquidità, e in cambio matura un rendimento periodico, spesso denominato interest o yield. Tale rendimento può essere corrisposto in varie forme: ad esempio, lo stesso token depositato che aumenta di quantità (come accade con i aToken di AAVE il cui saldo cresce col tempo), oppure token di reward distribuiti periodicamente. Indipendentemente dalla forma tecnica, dal punto di vista finanziario questi sono interessi attivi generati da un impiego di capitale in cripto. La domanda cruciale è: fiscalmente, come vengono trattati questi interessi?

La risposta, alla luce dei chiarimenti ufficiali del 2023, è chiara: gli interessi o premi derivanti dal lending DeFi sono redditi imponibili al pari degli interessi bancari tradizionali . In particolare, la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30/E del 27.10.2023 – emanata per spiegare la nuova disciplina – ha confermato che rientrano tra i redditi tassabili anche “i proventi derivanti dalla detenzione di crypto-attività, come ad esempio in caso di staking” . Per analogia diretta, ciò include anche i proventi da lending e, in generale, i rendimenti generati da attività sulle piattaforme DeFi . Si tratta in sostanza di redditi di natura finanziaria che, per le persone fisiche private, non costituiscono redditi d’impresa o di lavoro autonomo, bensì redditi diversi (di capitale) soggetti all’imposta sostitutiva del 26% .

Vediamo le caratteristiche principali di questa tassazione degli interessi da crypto-lending:

  • Aliquota e base imponibile: come detto, l’aliquota è il 26% (fino al 2025), in aumento al 33% dal 2026 . L’imposta si applica sull’ammontare lordo dell’interesse percepito . È stato chiarito infatti che se, ad esempio, una piattaforma DeFi trattiene una fee percentuale sul rendimento (come “commissione” per il servizio), il contribuente deve comunque dichiarare il provento lordo prima della trattenuta . Non sono ammesse deduzioni di costi su questi redditi per i privati, in quanto redditi di capitale tassati al lordo .
  • Nessuna soglia di esenzione: a differenza delle plusvalenze da trading, per i proventi da detenere crypto (staking, interessi lending, airdrop) non opera la franchigia annuale di €2.000 . Quindi anche importi minimi di interessi (es. €50) sarebbero teoricamente imponibili. La franchigia prevista dalla legge riguardava solo le plusvalenze da cessione di cripto . Dunque, se nel 2024 ho ottenuto €500 di interessi in crypto dal lending, devo dichiararli per intero (pagando 26% su €500), anche se non ho effettuato vendite di criptovalute nello stesso anno.
  • Momento impositivo – criterio di cassa “in natura”: il reddito da interessi si considera percepito nel momento in cui viene accreditato al contribuente (anche sotto forma di nuovi token) . Ciò significa che non è necessario convertire in euro la criptovaluta per far scattare l’imponibilità: il semplice fatto di aver maturato e disponibile un certo ammontare di token come interesse genera l’obbligo di dichiarazione di quel valore . La Cassazione ha di recente avallato questo principio, affermando che anche compensi pagati in criptovaluta costituiscono reddito al momento della percezione e vanno dichiarati, a nulla rilevando l’eventuale mancata conversione in valuta legale . In un caso del 2025, la Suprema Corte (Cass. pen. 8269/2025) ha sancito che un compenso ricevuto in Ethereum per la vendita di un NFT era subito imponibile, dovendosi valorizzare in euro il corrispettivo alla data dell’operazione . Questo principio è perfettamente applicabile agli interessi da lending: sono assimilabili a un pagamento in natura in criptovaluta che deve essere stimato in euro e tassato al momento della maturazione .
  • Tipologia di reddito: spesso si parla di “redditi di capitale” riferendosi a tali interessi, per analogia con gli interessi bancari. Dal punto di vista formale nel TUIR, le plusvalenze e i proventi crypto rientrano tutti nei “redditi diversi” di natura finanziaria ex art. 67(1)(c-sexies) TUIR . Tuttavia, la circolare AdE 30/E ha usato l’espressione “proventi da detenzione di cripto-attività” equiparandoli di fatto ai redditi di capitale esteri percepiti da privati . Ne discende che tali interessi seguono le regole fiscali dei redditi di capitale di fonte estera: imposta sostitutiva 26%, dichiarazione nel quadro dei redditi di capitale, niente credito d’imposta salvo prove di ritenute estere (di solito inesistenti in DeFi), e no IVAFE su quei proventi (l’IVAFE/IVCA colpisce il patrimonio detenuto, non il reddito annuale – come spiegato oltre) .

Per chiarire con un esempio concreto il trattamento fiscale dei proventi da lending (caso di un privato), consideriamo la seguente simulazione:

Esempio pratico: Il Sig. Verdi, privato senza P.IVA, nel 2024 deposita €10.000 in stablecoin USDC su una piattaforma di lending decentralizzato (ad es. Compound). Ottiene un rendimento annuo del 5%, cioè a fine 2024 matura 500 USDC di interessi (circa $500) . Non effettua conversioni in euro né preleva gli interessi, lasciandoli reinvestiti nella piattaforma. Dal punto di vista fiscale, i 500 USDC costituiscono un reddito di capitale 2024 – interesse da impiego di capitale – pari al controvalore in euro al momento della maturazione . Supponendo che al 31/12/2024 il cambio 1 USDC = €0,92, l’interesse ammonta a circa €460. Il Sig. Verdi dovrà dunque indicare €460 come “altri redditi di capitale da attività estere” nella dichiarazione dei redditi 2025 (quadro RT del Modello Redditi PF, o quadro Redditi di Capitale del 730) . Su tale importo si applicherà il 26% di imposta sostitutiva, cioè €119,60 . Non importa che non abbia convertito gli USDC in euro: il reddito si considera percepito in natura al momento dell’accredito dei token nel wallet del Sig. Verdi . Inoltre, il contribuente dovrà compilare il Quadro RW dichiarando il valore totale detenuto a fine anno (10.500 USDC ~ €9.660 al 31/12/2024) e sarà soggetto all’IVCA (imposta sul valore delle cripto-attività) dello 0,2% su tale consistenza patrimoniale, ovvero circa €19,32 . Nota: in questo caso gli interessi da lending (staking nel caso di stablecoin) non godono di alcuna soglia esente e vanno dichiarati per intero, mentre la mera plusvalenza latente sui 10k USDC depositati (che rimangono 10k essendo stablecoin) non genera tassazione fino ad eventuale conversione in altra valuta. Se l’interesse fosse maturato in una criptovaluta volatile (es. interessi in ETH su depositi in ETH), sarebbe stato necessario prendere il valore in euro al momento della maturazione di ciascun accredito per determinare il reddito imponibile .

Il caso sopra evidenzia come il trattamento fiscale italiano cerchi di replicare quello previsto per investimenti finanziari ordinari: gli interessi sono tassati quando maturano, anche se reinvestiti, e vanno dichiarati annualmente. Il fatto che avvengano in un contesto decentralizzato o in crypto non li rende “invisibili” o esenti. Infatti, non dichiarare questi proventi costituisce omessa indicazione di redditi imponibili, con relative conseguenze sanzionatorie (ne discuteremo più avanti).

E per un’impresa? Come accennato, se ad esempio una società italiana (SRL) detiene stablecoin o altre cripto e le impiega in attività di lending per generare un rendimento, tali interessi non saranno soggetti ad imposta sostitutiva 26% in dichiarazione, bensì confluiranno nel risultato d’esercizio imponibile IRES. La società dovrà contabilizzare l’interesse maturato come provento finanziario di competenza dell’anno (verosimilmente al momento della maturazione/diritto a percezione). Su di esso pagherà le imposte sul reddito d’impresa: IRES 24% e, se applicabile, IRAP . Ad esempio, se la società Alpha Srl ottiene 500 USDC di interessi nel 2024, aumenterà di un corrispondente importo il suo utile tassabile, pagando ~24% di IRES (oltre ad eventuale IRAP se quell’interesse rientra nel valore della produzione netta). Non vi è soglia esente né distinzione tra realizzo o meno: per l’impresa ogni provento maturato concorre al reddito. Di positivo c’è che la società potrebbe dedurre eventuali costi correlati all’attività (commissioni, consulenze, costi operativi) se inerenti e documentati – cosa che al privato non è concessa.

Una precisazione sul periodo di imposta 2022 e precedenti: prima dell’entrata in vigore della legge 197/2022 (Bilancio 2023), mancava appunto una norma specifica sui proventi da crypto-lending. Ciononostante, l’Agenzia delle Entrate tendeva a inquadrarli comunque come redditi di capitale esteri tassabili al 26% sin dal primo euro, senza alcuna franchigia. Alcuni contribuenti, in buona fede, potrebbero non aver dichiarato tali interessi ritenendo (erroneamente) che finché non convertivano in euro non ci fosse tassazione, o confidando nell’analogia con le plusvalenze esenti sotto 51.645€ (vecchia soglia valute estere). Questa difesa però è fragile: la soglia dei 51k € (peraltro abrogata dal 2023 in favore della franchigia 2k) riguardava solo le plusvalenze su valute estere in conto corrente , non gli interessi. Dunque, già prima del 2023 un interesse periodico in crypto era da considerarsi reddito imponibile al di sopra di qualsiasi esenzione. L’assenza di una norma ad hoc poteva semmai generare incertezza sull’inquadramento (reddito diverso? Reddito di capitale ex art. 44 TUIR?), ma non giustificava una non tassabilità. In sede difensiva, però, come vedremo, si potrà far leva sulla “zona grigia” normativa pre-2023 per chiedere una riduzione delle sanzioni, sostenendo l’errore scusabile o l’obiettiva incertezza normativa.

Obblighi dichiarativi e adempimenti per i detentori di crypto

Chiarito che gli interessi da DeFi lending vanno trattati come redditi finanziari imponibili, vediamo quali obblighi dichiarativi gravano sul contribuente in relazione alle criptovalute. In Italia, infatti, detenere e movimentare criptovalute comporta due tipologie principali di adempimenti fiscali: (A) il monitoraggio delle attività estere (Quadro RW e imposta patrimoniale IVCA); (B) la dichiarazione dei redditi da esse derivanti (plusvalenze, interessi, altri proventi).

A) Monitoraggio fiscale – Quadro RW e IVCA: I contribuenti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti a dichiarare nel Quadro RW del modello Redditi (o quadro equivalente del 730) le attività estere di natura finanziaria detenute al termine del periodo d’imposta, nonché gli eventuali trasferimenti da/per l’estero, ai sensi del D.L. 167/1990. Fin dal 2018 l’Amministrazione finanziaria ha assunto che anche le criptovalute vadano indicate nel quadro RW se detenute fuori dal circuito bancario italiano . In particolare, l’Agenzia ha equiparato le criptovalute a “attività estere di natura finanziaria” (assimilabili a valute estere) soggette a monitoraggio . Pertanto, chi possiede criptovalute su exchange esteri (Binance, Coinbase, Kraken, etc.) o su wallet non custodial (Ledger, Metamask) deve riportarle nel quadro RW indicando: il controvalore in euro al 31/12 di ogni anno, il codice attività “14” (cripto-attività), lo Stato estero di detenzione (spesso “XX” o “WW” se decentralizzato) e la percentuale di possesso . Non è necessario indicare ogni singola transazione, ma solo il valore finale e (opzionalmente) quello iniziale dell’anno. Tale obbligo serve sia a monitorare capitali detenuti all’estero, sia a calcolare una particolare imposta patrimoniale: l’IVCA – Imposta sul valore delle cripto-attività.

L’IVCA è stata introdotta in parallelo alla disciplina reddituale dal 2023. Si tratta di un balzello modellato sull’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie estere): pari allo 0,2% annuo (2 per mille) del valore di mercato delle criptovalute detenute al 31/12 . In pratica, una sorta di “bollo” sulle cripto simile all’imposta di bollo che in Italia grava su conti correnti e depositi titoli. L’IVCA si calcola sul valore di tutte le crypto detenute all’estero (o in self-custody) e va versata ogni anno in dichiarazione . Se invece le criptovalute sono affidate a un intermediario finanziario italiano (es. banca, SIM) – ipotesi ancora rara – sarà l’intermediario ad applicare un’imposta di bollo analoga e occuparsi del monitoraggio . Per gli anni d’imposta 2022-2024 l’aliquota IVCA è 0,2%; ad oggi non risultano modifiche per il 2025 . Esempio: se al 31/12/2024 possiedo cripto per controvalore €50.000 su vari wallet/exchange esteri, dovrò dichiarare tale importo in RW e pagare un’IVCA di €100 (0,2% di 50k) per il 2024.

Sanzioni RW: La mancata compilazione del quadro RW configura una violazione formale ma molto seria, punita con una sanzione dal 3% al 15% degli importi non dichiarati (valore degli asset) . La sanzione raddoppia (6%–30%) se gli asset erano detenuti in Paesi black list (non collaborativi) . Nel caso di criptovalute, la maggior parte degli exchange operano in paesi cooperativi (UE, USA, etc.), ma se ad esempio si usava un exchange offshore in un paradiso fiscale, le sanzioni RW potrebbero essere molto elevate. Esempio: omettere di dichiarare €50.000 in crypto su Binance comporta una sanzione teorica da €1.500 a €7.500 . Tali importi possono essere ridotti ricorrendo al ravvedimento operoso se ci si autodenuncia prima di ricevere contestazioni: la riduzione standard è a 1/8 del minimo . Inoltre, la Legge 197/2022 ha previsto una sanatoria speciale (c.d. “Scudo crypto”): era possibile regolarizzare entro il 30/11/2023 le crypto detenute fino al 2021 pagando una sanzione forfetaria ridotta dello 0,5% annuo sul valore non dichiarato, invece del 3-15% . Molti contribuenti hanno usufruito di questa opportunità per mettersi in regola col monitoraggio pregresso a costi contenuti. Oggi, chi non lo avesse fatto dovrà affrontare potenzialmente le sanzioni piene, salvo riuscire a ottenere il minimo mediante ravvedimento.

B) Dichiarazione dei redditi – Redditi da criptovalute: Oltre al quadro RW, il contribuente deve ovviamente dichiarare i redditi generati dalle cripto-attività (quando imponibili). Per le persone fisiche non imprenditori, i redditi diversi di natura finanziaria da cripto (plusvalenze, interessi, ecc.) vanno indicati nel Quadro RT – Sezione II del Modello Redditi PF . In alternativa, per chi fa la dichiarazione 730, alcuni provider hanno introdotto righi specifici nel quadro “Redditi di Capitale”. In tali sezioni andrà riportato l’ammontare delle plusvalenze realizzate e degli altri proventi percepiti nell’anno, distinto per ogni operazione rilevante, e calcolata l’imposta sostitutiva dovuta (26% o 33% a seconda dell’anno) . È anche previsto di indicare l’eventuale credito d’imposta per imposte pagate all’estero su quei redditi . Quest’ultimo in ambito crypto è raro, poiché di solito i guadagni non scontano ritenute estere; potrebbe applicarsi nel caso di vendite su exchange che operano sostituti d’imposta in altri Paesi (fenomeno ad oggi marginale).

Chi investe tramite intermediari italiani (banche, SIM) che offrono servizi in criptovalute può optare per il regime del risparmio amministrato/gestito: in tal caso sarà l’intermediario ad applicare direttamente la tassazione (26%) sulle plusvalenze realizzate e a versare l’imposta, sollevando il cliente da obblighi dichiarativi sul reddito . Tuttavia, ad oggi pochissimi intermediari italiani offrono servizi crypto , quindi la quasi totalità degli investitori deve procedere in autonomia con il calcolo e la dichiarazione. Ciò implica l’onere di conservare documentazione dettagliata: estratti conto degli exchange, storico transazioni dei wallet, report di calcolo delle plus/minusvalenze, ecc., per poter dimostrare e calcolare correttamente il reddito da dichiarare . La Risposta a interpello AdE n.788/2021 ha inoltre chiarito che, nel calcolo delle plusvalenze crypto, occorre adottare il criterio LIFO (last in, first out) in caso di acquisti multipli della stessa valuta , cosa che complica ulteriormente i calcoli se non si tiene traccia precisa delle date/costi.

Per quanto riguarda le imprese e i professionisti, l’adempimento consiste nel rilevare contabilmente le criptovalute possedute e i relativi componenti di reddito nei registri contabili e bilanci. Le crypto detenute da una società possono essere classificate a bilancio come rimanenze di magazzino (se oggetto dell’attività, ad es. trading per conto terzi), oppure come immobilizzazioni finanziarie o attività circolanti a seconda dell’uso . Esempio: una società che mina Bitcoin li iscriverà tra le rimanenze di magazzino al costo di produzione; una società che accetta pagamenti in crypto li registrerà come crediti verso clienti denominati in valuta estera . In ogni caso, in dichiarazione dei redditi (Modello Redditi SC) eventuali utili e perdite su crypto confluiranno nel reddito d’impresa tassato a aliquota IRES 24% (oltre IRAP se dovuta) .

Conseguenze della mancata dichiarazione dei redditi crypto: se un contribuente omette di indicare nella dichiarazione annuale i redditi derivanti da criptovalute (plusvalenze, interessi, ecc.), l’Agenzia può contestare una dichiarazione infedele per l’anno in questione, con recupero dell’imposta dovuta, interessi e sanzioni. Approfondiremo più avanti entità e tipologie di sanzioni, nonché i possibili profili penali nel caso di evasione rilevante. Qui basti anticipare che il monitoraggio RW e la dichiarazione dei redditi crypto sono obblighi separati e cumulativi: omettere il RW comporta sanzioni sul valore patrimoniale, omettere il reddito comporta sanzioni sull’imposta evasa (oltre al pagamento dell’imposta stessa) – i due tipi di violazione spesso coesistono nei casi esaminati.

Prima di passare alle contestazioni e difese, un ultimo cenno agli adempimenti informativi da parte degli operatori: dal 2022, i prestatori di servizi crypto operanti in Italia devono inviare una comunicazione periodica all’Agenzia delle Entrate con dati aggregati sulle operazioni effettuate , in attuazione dell’art. 17-bis D.Lgs.141/2010 e del Decreto MEF 13/01/2022. Inoltre, come già ricordato, banche, istituti di pagamento e operatori crypto inviano alla UIF segnalazioni di operazioni sospette legate a crypto . A livello internazionale, è in arrivo la direttiva DAC8 UE che richiederà agli exchange di condividere automaticamente con le autorità fiscali i dati sui conti dei clienti (sul modello CRS) . Tutto ciò significa che lo scambio di informazioni renderà sempre più difficile tenere occulto al Fisco il possesso di valute virtuali all’estero . Il contribuente che tentasse di nascondere i propri interessi da DeFi spostando criptovalute su piattaforme estere deve sapere che la rete di cooperazione internazionale sta riducendo l’opacità del settore .

Contestazioni fiscali: tipologie di accertamento e violazioni riscontrate

Quando un contribuente non dichiara gli interessi percepiti dal lending DeFi (né magari le relative cripto detenute), come può l’Amministrazione finanziaria scoprire l’omissione e quali strumenti ha per contestarla? In questa sezione esaminiamo i principali metodi di accertamento che il Fisco utilizza in ambito criptovalute e le violazioni tipicamente contestate, per poi passare alle strategie difensive nel paragrafo successivo.

Le Autorità competenti in materia sono l’Agenzia delle Entrate (che emette gli avvisi di accertamento tributario) e la Guardia di Finanza (che svolge verifiche e indagini finanziarie, spesso delegata anche alle indagini penali in caso di reati tributari). Negli ultimi anni, entrambe hanno intensificato l’attenzione sul mondo crypto, considerandolo un possibile veicolo di evasione fiscale e riciclaggio . Dal 2023 in poi, con la normativa chiarita, si sono moltiplicati i controlli e gli avvisi notificati a detentori di wallet, praticanti di mining, staking e lending .

Le cause scatenanti di un accertamento in ambito crypto possono essere diverse. In generale, un controllo può scaturire da:
Mancata compilazione del quadro RW: se il contribuente non ha dichiarato cripto-attività detenute su exchange esteri/wallet, l’Agenzia potrebbe rilevarlo (magari tramite informazioni da exchange o indagini finanziarie) e avviare un accertamento per violazione del monitoraggio e presumibilmente omessa dichiarazione di redditi correlati .
Omissione di plusvalenze oltre soglia: se da controlli incrociati risulta che il contribuente ha effettuato vendite di crypto con guadagni rilevanti (> €2.000 annui fino al 2024, o comunque somme cospicue) senza dichiararli, scatterà un accertamento per recuperare le imposte sui capital gain non dichiarati .
Discrepanza tra spese e redditi (redditometro): se la persona fisica sostiene spese manifestamente incompatibili col reddito dichiarato – ad esempio acquista beni di lusso pagando in criptovaluta, ma dichiara un reddito basso – il Fisco può presumere che le cripto spese derivino da redditi in nero e procedere ad accertamento sintetico del reddito .
Movimenti bancari sospetti verso/da exchange: la GdF può rilevare bonifici in uscita verso piattaforme crypto estere, o accrediti in conto corrente provenienti da vendite di crypto, non giustificati dalla dichiarazione dei redditi. La normativa prevede che i versamenti su conto di origine ignota si presumano redditi evasi salvo prova contraria (art. 32 DPR 600/73) . Quindi, se sul conto di un contribuente compaiono bonifici da un exchange e questi non ha dichiarato alcun reddito crypto, l’Agenzia può imputargli un reddito imponibile pari a tali importi.
Segnalazioni antiriciclaggio (UIF): come detto, la UIF (Unità di Informazione Finanziaria) riceve sempre più segnalazioni di operazioni sospette legate a cripto. Nel 2024 ci sono state 6.255 segnalazioni (+25% sul 2023) riguardanti transazioni in criptovalute . Se la UIF o la GdF ravvisano possibili reati fiscali dietro questi movimenti (es. ricchezza non dichiarata trasferita tramite stablecoin), possono far scattare verifiche fiscali mirate . Ad esempio, è monitorato l’uso di stablecoin per spostare velocemente grandi somme in forma pseudo-anonima: acquisti ripetuti di USDT con contanti o fondi illeciti, poi trasferiti su wallet privati e magari convertiti all’estero, sono un pattern tipico di autoriciclaggio che attiva controlli . Anche il semplice convertire euro in Bitcoin e inviarli a un exchange estero è visto come potenziale esportazione di capitali non dichiarati .

Alla luce di ciò, gli strumenti di accertamento concretamente utilizzati sono:

  • Accertamento analitico (art. 37-bis DPR 600/1973): consiste nel confronto tra i dati dichiarati dal contribuente e quelli raccolti dall’ufficio tramite banche dati e indagini . Ad esempio, se un soggetto ha compilato il quadro RW indicando di possedere criptovalute consistenti, ma non ha dichiarato alcun reddito da esse, l’Agenzia può chiedere conto di quelle attività. Oppure, se risultano movimenti bancari legati a compravendite di crypto (bonifici a exchange, accrediti da essi) e il contribuente non ha dichiarato plusvalenze, l’Ufficio procede a rettificare il reddito imponibile aggiungendo i guadagni non dichiarati . In sede di contraddittorio, spetta poi al contribuente provare che magari quelle operazioni non erano tassabili (es. sotto soglia, o mere permute non imponibili) . L’accertamento analitico, in sostanza, recupera redditi crypto omessi basandosi su evidenze specifiche: dati RW, estratti conto, documenti bancari, questionari a cui il contribuente ha risposto (o non risposto adeguatamente) .
  • Accertamento sintetico o redditometrico (art. 38 DPR 600/1973): è utilizzato per persone fisiche quando non vi sono elementi analitici, stimando il reddito complessivo in base alle spese sostenute. Nel contesto crypto, come detto, l’acquisto di beni di lusso o investimenti immobiliari pagati in criptovaluta può far scattare questo tipo di accertamento se il tenore di vita non è compatibile coi redditi dichiarati . Ad esempio, se nel 2024 Tizio compra una barca da €100.000 pagandola in BTC ma dichiara reddito zero, l’Agenzia potrebbe presumere un reddito occulto di almeno €100.000 derivante da vendite crypto non dichiarate. Va notato che il “redditometro” classico è sospeso dal 2018, ma il Fisco può comunque determinare sinteticamente il reddito (anche senza coefficiente) basandosi su singoli elementi di capacità contributiva .
  • Indagini finanziarie (art. 32 DPR 600/1973): la Guardia di Finanza può accedere ai conti bancari del contribuente e ottenere lo storico dei movimenti per rintracciare flussi collegati a cripto . Come accennato, bonifici verso exchange esteri o accrediti da essi sono facilmente identificabili sui conti e costituiscono “segnalibri” che portano i verificatori a ricostruire le operazioni crypto sottostanti . Tramite accordi di cooperazione internazionale (CRS, accordi bilaterali) l’Agenzia può ottenere anche dati su conti esteri intestati ai residenti . Inoltre, molte segnalazioni UIF includono riferimenti a transazioni crypto collegati a specifici soggetti, e vengono trasmesse al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della GdF . Un caso tipico: se su un conto italiano compaiono accrediti di origine ignota – ad es. €30.000 da Kraken – e il contribuente non prova che trattasi di trasferimento patrimoniale o reddito esente, quei €30k saranno presunti redditi tassabili (capital gain non dichiarato) .
  • Verifiche fiscali e ispezioni in loco: queste riguardano più spesso soggetti economici (società fintech, operatori ATM Bitcoin, ecc.) ma in teoria potrebbero coinvolgere anche privati se ritenuto necessario. La GdF può eseguire accessi presso una società che offre servizi crypto per controllare libri e registri, verificare l’iscrizione OAM, il rispetto degli obblighi antiriciclaggio, ecc. . Se emergono irregolarità, oltre alle sanzioni amministrative o penali relative (esercizio abusivo di attività finanziaria), l’amministrazione finanziaria ricostruirà i redditi d’impresa non dichiarati (ad es. commissioni su exchange non fatturate) . Queste situazioni riguardano imprese “crypto” non in regola; per i privati investitori, verifiche così invasive sono più rare, a meno che non si sospetti un’attività imprenditoriale dissimulata dietro operazioni personali.

Violazioni contestate e sanzioni: Nel caso in cui vengano accertati interessi da lending non dichiarati, l’Agenzia contesterà tipicamente:

  • Omessa dichiarazione di redditi diversi di natura finanziaria (art. 67 TUIR) per l’anno X: ossia non aver indicato nel quadro RT gli importi di interessi percepiti.
  • Violazione dell’art. 4 D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione infedele) se l’imposta evasa supera certe soglie penali (vedi infra).
  • Omessa indicazione in RW delle criptovalute detenute (se applicabile), violazione sanzionata ai sensi del D.L. 167/90.
  • Mancato versamento dell’IVCA sui periodi omessi (che in pratica coincide col non aver compilato RW, dato che l’IVCA si liquida lì).

Le sanzioni tributarie amministrative per omessa o infedele dichiarazione di redditi sono disciplinate dal D.Lgs. 471/1997. In particolare: se dal controllo risulta un’imposta dovuta in più, si applica una sanzione del 90% dell’imposta non versata (che può arrivare fino al 180% in caso di imponibili occultati con mezzi fraudolenti). Dunque, se non ho dichiarato €1.000 di interessi crypto e avrei dovuto pagarci €260 di imposta, la sanzione base sarà €234 (90% di 260), oltre agli interessi legali sul ritardato pagamento. Se però l’omissione è di entità rilevante e frutto di comportamenti più gravi, l’ufficio potrebbe contestare il massimo edittale (fino al 180%). Inoltre, se i redditi crypto non dichiarati derivano da attività estere, potrebbe applicarsi una maggiorazione: talvolta il Fisco contesta il combinato di omessa dichiarazione redditi + omessa compilazione RW per colpire più duramente l’occultamento all’estero. Bisogna però evitare duplicazioni: la Cassazione ha affermato che non si può punire due volte lo stesso fatto (mancata dichiarazione di valori in RW e redditi connessi) se ciò comporta una doppia sanzione ingiustificata – le sanzioni vanno coordinate.

Accanto alle sanzioni amministrative, non vanno dimenticate le possibili conseguenze penali. Il D.Lgs. 74/2000 prevede che: commette il reato di dichiarazione infedele chi, al fine di evadere le imposte, indica elementi attivi per un ammontare inferiore a oltre €2 milioni o imposta evasa oltre €100.000, a patto che l’omesso imponibile superi il 10% del reddito dichiarato. Nel caso di omessa dichiarazione (reato ex art. 5), la soglia è imposta evasa > €50.000 indipendentemente dalla percentuale. Queste soglie possono rilevare per i redditi crypto non dichiarati: se, ad esempio, un contribuente non dichiara €500.000 di plusvalenze crypto, con imposta evasa di €130.000, ricade ampiamente nel penale (dichiarazione infedele). Per gli interessi da lending, che di solito sono importi più contenuti, difficilmente si supera €100k di imposta evasa a meno di capitali enormi. Ma attenzione: i limiti si considerano per anno e per imposta. Quindi se in un anno l’omissione di redditi crypto porta a evadere più di €100k di imposte, scatta il penale anche se erano interessi. La Cassazione (sent. pen. 8269/2025 cit.) ha espressamente affermato che “la circostanza che il pagamento avvenga in criptovalute non esclude la natura reddituale del provento” e che la mancata dichiarazione di corrispettivi in cripto oltre soglia integra il reato di dichiarazione infedele . Inoltre, in presenza di condotte di occultamento più elaborate (es. conversione in monero per nascondere i fondi, utilizzo di conti terzi), potrebbe addirittura profilarsi l’autoriciclaggio post-evasione, punito dall’art. 648-ter.1 c.p. (si pensi a chi usa le crypto volutamente per celare redditi neri – qui però la soglia di punibilità è l’intento doloso di ripulire denaro di provenienza illecita, non necessariamente raggiunta se uno semplicemente non sapeva di dover dichiarare).

In sintesi, le principali violazioni contestabili nel caso di interessi da DeFi non dichiarati sono:

  • Recupero dell’imposta evasa (26% degli interessi percepiti in ciascun anno non dichiarato), con relativi interessi moratori;
  • Sanzione amministrativa per infedele/omessa dichiarazione (generalmente 90% dell’imposta evasa, ridotta in caso di definizione agevolata);
  • Sanzione monitoraggio 3-15% annuo sul valore non dichiarato in RW, se applicabile (di solito contestata a parte);
  • Segnalazione all’autorità penale se l’imposta evasa supera la soglia penale (€100k, ecc.), con possibile procedimento penale per dichiarazione infedele/omessa;
  • Provvedimenti cautelari: in caso di indagine penale, la GdF può richiedere il sequestro preventivo per equivalente delle somme corrispondenti all’imposta evasa. La Cassazione ha ammesso il sequestro di criptovalute come equivalente del profitto dell’evasione , quindi teoricamente potrebbero bloccare i wallet individuati fino a concorrenza dell’imposta evasa.

Come vedremo, ricevere un avviso di accertamento non significa rassegnarsi a pagare tutto quanto richiesto: esistono strumenti per difendersi, ridurre sanzioni, correggere errori dell’ufficio e persino evitare il penale (specie pagando il dovuto prima di certe fasi). È fondamentale però comprendere le contestazioni e agire tempestivamente.

Strategie difensive: come difendersi in caso di contestazione

Passiamo ora dal “cosa può contestare il Fisco” al “come difendersi efficacemente” quando si riceve una contestazione per interessi da DeFi lending non dichiarati. Dal punto di vista del contribuente (assistito dal suo avvocato o commercialista di fiducia), l’obiettivo è ottenere il miglior esito possibile, che può consistere in: annullamento totale o parziale dell’avviso, corretto ricalcolo dell’imponibile (spesso l’Agenzia commette errori di stima), riduzione di sanzioni, ed evitare conseguenze penali ove possibili .

Di seguito analizziamo le principali strategie e argomentazioni difensive, ricordando che ogni caso è a sé e va calibrato sulle specifiche circostanze fattuali e normative. Una difesa vincente si basa su due pilastri: (1) la documentazione, ossia prove e dati concreti che confutino o ridimensionino le pretese fiscali; (2) le argomentazioni giuridiche, ovvero interpretazioni favorevoli e lacune normative da far valere a proprio vantaggio .

1. Documentazione completa e tracciabilità delle operazioni: La prima linea di difesa è sempre ricostruire in modo accurato tutte le operazioni in criptovalute effettuate, per dimostrare eventualmente che il Fisco ha sovrastimato i redditi o che certe transazioni non erano imponibili. È essenziale presentare gli estratti conto dettagliati degli exchange utilizzati, con evidenza di depositi, trade, prelievi e saldi . Inoltre, lo storico delle transazioni dei wallet privati (tramite export di Metamask, Ledger, ecc.) può chiarire i movimenti on-chain. Bisogna fornire anche le ricevute dei bonifici bancari usati per acquistare crypto o incassare vendite , eventuali screenshot o email di conferma per airdrop o operazioni di staking/lending (che attestino la quantità di crypto guadagnata) . Nel contesto del DeFi lending, potrebbe essere utile esibire i transaction history dalle piattaforme (se disponibili via API o explorer) che mostrino l’accredito periodico di interessi, con date e importi in token.

Ad esempio, riprendendo il caso della Sig.ra Bianchi (omessa dichiarazione RW dal 2018 al 2024), l’Agenzia aveva presunto arbitrariamente €18.000 di plusvalenze non dichiarate nei suoi confronti . La contribuente, presentando i dati effettivi del wallet (costo di acquisto €7.000, valore a fine 2021 €9.000) ha dimostrato che la plusvalenza reale era solo €2.000 – sotto soglia e quindi non imponibile . Questo ha portato verosimilmente all’annullamento dell’imposta pretesa . Allo stesso modo, per gli interessi da lending, se il Fisco contesta importi gonfiati o calcolati su base errata, mostrare l’estratto delle effettive ricompense ricevute (ad esempio screenshot di AAVE che mostrano quanti token di interesse sono stati accumulati) può correggere il tiro.

2. Verifica di soglie ed errori di calcolo dell’Ufficio: È fondamentale controllare se l’accertamento fiscale ha applicato correttamente la normativa. In molti casi iniziali sul 2023-24, l’Agenzia potrebbe aver commesso inesattezze, ad esempio non applicando la franchigia di €2.000 sulle plusvalenze ove spettava, oppure trattando come imponibili certe operazioni che invece erano esenti . Il contribuente attento potrà evidenziare tali errori: nel nostro contesto, va verificato se per gli anni fino al 2024 le plusvalenze minori di €2.000 sono state escluse dal calcolo (come dovuto), e se non sono stati sommati impropriamente proventi non tassabili. Un esempio tipico: il Fisco potrebbe aver considerato una permuta crypto-crypto avvenuta prima del 2023 come una cessione imponibile, mentre in base alla norma vigente all’epoca la permuta non era evento tassativo (lo è diventata formalmente dal 2023 solo per permute con stablecoin equiparati a valuta fiat) . Far presente questo in ricorso (con supporto normativo) può eliminare quella voce dall’imponibile. Allo stesso modo, bisogna controllare che eventuali minusvalenze pregresse siano state considerate: se il contribuente aveva perdite riportabili da anni precedenti, ha diritto a compensarle con i guadagni successivi (entro 5 anni). Se l’accertamento le ignora, andrà corretto chiedendo l’imputazione delle minusvalenze a riduzione del reddito tassabile .

3. Contestazione delle presunzioni (accertamento induttivo): Nel caso l’avviso si basi su presunzioni (tipicamente redditometro o movimenti finanziari non giustificati), il contribuente deve fornire prova contraria per vincerle . Ciò implica spiegare la reale provenienza delle somme contestate. Ad esempio, se viene contestato che certi acquisti in crypto derivino da redditi nascosti, si può provare che in realtà derivavano da utilizzo di risparmi già tassati o da donazioni o altre cause non imponibili. Oppure, se alcuni bonifici in entrata da exchange sono frutto di restituzione di capitale (e non plusvalenza), documentarlo. Una strategia è dimostrare che le spese contestate sono state finanziate da fonti lecite e non da guadagni crypto non dichiarati: ad esempio esibendo che l’auto di lusso in BTC è stata acquistata vendendo crypto che però non avevano generato plusvalenza (magari erano stablecoin convertiti pari valore). In ambito di interessi da lending, se l’Ufficio dovesse presumere un certo tasso di rendimento sui wallet (in assenza di dati), si potrà confutare mostrando esattamente quanto è stato l’accredito e se eventualmente parte di quel rendimento proveniva da capitale proprio (riconversione di reward) e non da reddito nuovo.

4. Inquadramento dell’attività – evitare qualificazioni peggiorative: Una difesa efficace mira anche a far riconoscere il corretto regime fiscale applicabile. Spesso il Fisco, per massimizzare il recupero, tenta di riqualificare l’attività del contribuente come attività d’impresa o professionale, negandogli il beneficio dell’imposta sostitutiva e applicando IRPEF (aliquote più alte) oltre a richiedere IVA, etc. Ad esempio, un privato che effettua molti trade potrebbe vedersi contestare l’esercizio di impresa commerciale di fatto. Oppure, in tema di lending, se un privato raccogliesse fondi da terzi per investirli in DeFi, l’Agenzia potrebbe insinuare un’attività finanziaria abituale. Dal punto di vista del contribuente, è di vitale importanza dimostrare di rientrare nel regime privato (se ciò corrisponde alla realtà): quindi, niente attività organizzata, niente offerta al pubblico, uso di capitali propri, operazioni non sistematiche. Nel nostro caso tipico, il contribuente che presta le proprie crypto su AAVE per interesse rimane un investitore privato; dovrà evidenziare che non agiva come intermediario per altri, né con strutture imprenditoriali. Se questa linea passa, la tassazione resta al 26% (sostitutiva) e non scatta l’IRPEF fino al 43%. In caso contrario (qualora davvero fosse emerso un elemento d’impresa), andrebbe allora rivista l’intera pretesa calcolando semmai l’utile d’impresa ma con diritto a dedurre costi – scenario complicato, di solito però i contribuenti contestati in ambito lending non sono operatori professionali ma utenti retail, quindi si insisterà sul mantenere la qualifica di redditi diversi .

5. Ravvedimento operoso e definizioni agevolate post-accertamento: Se il contribuente riconosce di aver effettivamente omesso somme imponibili e vuole chiudere la faccenda limitando i danni, può valutare alcuni strumenti deflattivi: il ravvedimento operoso, se ancora possibile, o le procedure di acquiescenza/adesione all’accertamento. In genere, se l’avviso di accertamento è già stato emesso, il ravvedimento “spontaneo” non è più ammesso (va fatto prima che la violazione sia constatata). Tuttavia, entro 30 giorni dalla notifica dell’avviso è possibile prestare acquiescenza: pagare quanto richiesto (imposta + interessi) con sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo . Questo consente di chiudere subito il contenzioso con sanzioni ridotte al 30% circa invece che 90%. Oppure si può chiedere un accertamento con adesione: si apre un dialogo con l’ufficio per concordare un importo (magari rivedendo al ribasso le pretese). Se si raggiunge un accordo, le sanzioni vengono normalmente ridotte ad 1/3 come nell’acquiescenza e si può anche ottenere la rateizzazione del dovuto (fino a 8 rate trimestrali, o 16 rate se l’importo supera €50.000) . Nel caso di importi ingenti o contestazioni complesse, l’adesione consente di trattare con l’AdE presentando le proprie ragioni: spesso l’ufficio, pur di evitare il ricorso, accetta di eliminare voci dubbie o di applicare il minimo delle sanzioni. Da notare: se pendono violazioni relative al 2021 e anni precedenti, la legge di bilancio 2023 (L.197/2022) aveva previsto uno Scudo Crypto straordinario, come già detto, che però scadeva a novembre 2023 . Se il contribuente rientrava in quella fattispecie ma non ne ha usufruito, ormai formalmente non può più accedervi; tuttavia, potrebbe provare a invocare in sede di adesione un trattamento sanzionatorio di favore analogo (non è un diritto, ma vale tentare). In parallelo, se il contribuente è già in fase di ricorso in Commissione Tributaria, può comunque chiedere rateazione dei tributi accertati (pagando di solito 1/3 subito per sospendere le esecuzioni) e, se si trova un accordo in mediazione/conciliazione giudiziale, chiudere la lite con sconti su sanzioni e interessi.

6. Profili penali – estinzione del reato per pagamento: Se il caso rientra nelle soglie penali (dichiarazione infedele/omessa), un aspetto cruciale di difesa è sfruttare l’art. 13-bis D.Lgs. 74/2000, il quale prevede la non punibilità dei reati tributari se il contribuente paga integralmente il debito tributario (imposta, sanzioni, interessi) prima dell’apertura del dibattimento di primo grado . Ciò significa che, se ad esempio la Procura ha contestato il reato di infedele dichiarazione per €X evasi, il contribuente può evitare la condanna versando tutto il dovuto al Fisco prima che il processo entri nel vivo. In pratica, pagare il dovuto tempestivamente “salva” dal penale (oltre ad evitare aggravi di sanzioni penali). Dunque, una strategia difensiva in presenza di notizia di reato può essere quella di accordarsi col Fisco (magari con adesione) e pagare subito, in modo da presentarsi all’udienza preliminare o dibattimentale con la prova dell’adempimento integrale – il che porta normalmente all’archiviazione o proscioglimento per intervenuto pagamento. Questo ovviamente richiede disponibilità finanziaria per saldare l’importo, ma se in gioco ci sono libertà personali, è una priorità. Inoltre, in alcuni casi la Procura potrebbe subordinare il patteggiamento del reato al pagamento di una parte consistente del debito.

7. Vizi formali dell’accertamento e tutela procedurale: Non bisogna trascurare di esaminare l’atto impositivo anche sotto il profilo formale: ad esempio, verificare se l’avviso di accertamento è stato notificato regolarmente, se contiene la motivazione sufficiente e i riferimenti normativi corretti, se sono stati rispettati i termini di decadenza (in genere il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, o del settimo se dichiarazione omessa). Eventuali vizi procedurali (notifica nulla, motivazione insufficiente, mancato contraddittorio endoprocedimentale quando obbligatorio) possono costituire motivi di ricorso per far annullare l’atto a prescindere dal merito. Ad esempio, se il contribuente aveva risposto a un questionario fornendo chiarimenti e l’Ufficio ha emesso accertamento senza considerare tali risposte, si può eccepire il difetto di motivazione o violazione del contraddittorio. Oppure, se l’accertamento riguarda un periodo ormai prescritto (ad es. redditi 2016 notificati dopo fine 2022, salvo proroghe), andrà fatto valere. Un occhio anche alle sanzioni cumulate: se il Fisco somma sanzione RW e sanzione redditi e sanzione infedele tutte al massimo, può configurarsi un eccesso che il giudice potrebbe ridurre per il principio del ne bis in idem su sanzioni di natura simile.

8. Autotutela e annullamento per errori palesi: In alcuni casi, se l’accertamento presenta errori macroscopici (es: tasta operazioni esenti, calcoli sbagliati, ecc.) il contribuente può inviare un’istanza di autotutela all’Agenzia chiedendo l’annullamento totale/parziale dell’atto . L’AdE non è obbligata ad accoglierla, ma talora, di fronte a evidenti cantonate, preferisce correggere l’errore in autotutela piuttosto che andare in causa e perderla. Ciò non sostituisce il ricorso: va fatto comunque entro 60 giorni dalla notifica per sicurezza, ma parallelamente si può sollecitare l’ufficio a riconoscere l’errore. Ad esempio, se hanno tassato come interesse un’operazione che dal wallet risulta essere stato un semplice trasferimento interno (quindi non un reddito), presentare le prove in autotutela potrebbe convincerli a sgravare.

9. Ricorso in Commissione Tributaria: Se non si addiviene a un accordo stragiudiziale, rimane la via del contenzioso. Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, alla Commissione Tributaria Provinciale competente . Nel ricorso occorre indicare i motivi per cui si contesta l’atto, ad esempio: “violazione di legge e falsa applicazione art. 67 TUIR, avendo l’Ufficio tassato plusvalenze inesistenti” oppure “erronea ricostruzione dei movimenti wallet” ecc., spiegando i perché e allegando la documentazione probatoria . Si può anche chiedere la sospensione dell’atto se l’importo è elevato e la sua esecuzione immediata causerebbe un danno grave (es. importo tanto alto da portare a iscrizione ipotecaria su beni) . Il processo tributario per queste materie è piuttosto tecnico: è fortemente consigliabile farsi assistere da un avvocato tributarista esperto di criptovalute sin dal primo grado , data la complessità di coniugare aspetti fiscali e funzionamento delle blockchain. In caso di esito sfavorevole in primo grado, si può appellare in CTR (Commissione Tributaria Regionale) entro 60 giorni , e successivamente ricorrere in Cassazione entro i termini di legge (90 giorni dalla notifica della sentenza di appello, o 6 mesi se non notificata) . La recente riforma del processo tributario mira a velocizzare i tempi in Cassazione, auspicando la chiusura in 2 anni . Tuttavia, la strada giudiziale va ponderata nei costi/benefici: se le somme in ballo sono limitate, magari conviene definire in adesione; se invece il principio è importante o l’importo elevato, può valer la pena arrivare in giudizio, anche perché la giurisprudenza su cripto è in formazione e vi sono margini per far valere interpretazioni pro-contribuente .

In definitiva, affrontare un accertamento fiscale sulle criptovalute richiede un atteggiamento proattivo e competente. Non bisogna subire passivamente le contestazioni, ma rispondere in modo tecnico e documentato . Come sottolinea lo Studio Monardo (che ha curato alcune tra le prime difese in materia crypto), “il settore crypto è ancora in evoluzione sul piano normativo. Per questo è importante non subire passivamente gli accertamenti, ma rispondere in modo tecnico e documentato” . Spesso le pretese fiscali si basano su presunzioni arbitrarie o stime eccessive : il contribuente informato può far valere a proprio favore le lacune normative o gli orientamenti più favorevoli emersi in dottrina e giurisprudenza . Con la giusta assistenza legale e tributaria è possibile contestare le pretese infondate, far correggere errori di calcolo e tutelare i propri diritti . Anche di fronte a contestazioni complesse – plusvalenze “virtuali”, operazioni estere, questioni valutative – esistono strumenti tecnici e giuridici per ottenere ragione o almeno ridurre il danno (ad esempio definizioni agevolate, compensazione di perdite, ecc.) . L’importante è agire tempestivamente: non ignorare le richieste del Fisco, ma rispondere con argomentazioni solide e dati alla mano .

Un ultimo consiglio: per i crypto-investitori prevenire è meglio che curare. Oggi più che mai conviene tenere una contabilità personale accurata delle proprie criptovalute, farsi consigliare da esperti su come dichiararle correttamente, ed evitare leggerezze (come credere che le crypto siano invisibili al Fisco) . Se l’accertamento dovesse arrivare, rivolgersi prontamente a professionisti aggiornati sulla fiscalità crypto farà la differenza nel navigare tra norme tributarie, tecnicismi blockchain e sentenze recenti . Con una difesa ben preparata, si potranno far valere eventuali errori dell’Amministrazione, ridimensionare le sanzioni, e nel migliore dei casi vincere il contenzioso . In un settore innovativo e mutevole come il crypto, la conoscenza aggiornata è la miglior alleata: essere consapevoli sia degli obblighi fiscali che dei diritti difensivi è il primo passo per proteggere i propri asset digitali e neutralizzare gli effetti di un accertamento fiscale .

Profili IVA e antiriciclaggio

Oltre agli aspetti delle imposte dirette fin qui trattati, le attività in criptovalute possono coinvolgere anche questioni di IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) e di antiriciclaggio. Affrontiamo brevemente anche questi profili, completando la panoramica nell’ottica del contribuente interessato.

Trattamento IVA delle operazioni in criptovalute

Sul fronte IVA, il principio generale da ricordare è che lo scambio di criptovalute è equiparato al cambio di valuta tradizionale ed è pertanto esente IVA. Ciò deriva dalla già citata sentenza Hedqvist della Corte di Giustizia UE (2015), recepita in Italia con la Risoluzione AdE 72/E/2016 . In particolare:

  • Conversione crypto-fiat (o crypto-crypto): è considerata una prestazione di servizi finanziari esente art. 135 Dir. 2006/112/CE (cambi valutari) . Quindi, se un exchange applica una commissione per cambiare Bitcoin in euro, non addebiterà IVA su quella commissione, così come il servizio di cambio valuta estera è esente .
  • Utilizzo di criptovaluta come pagamento di beni/servizi: in questo caso non c’è esenzione particolare – l’operazione sottostante (vendita del bene o servizio) segue le regole IVA ordinarie. Pagare in Bitcoin non rende la cessione esente: il venditore soggetto IVA dovrà comunque emettere fattura con indicato il controvalore in euro della cripto ricevuta e applicare l’IVA sul prezzo come di consueto . Ad esempio, se un imprenditore vende un computer accettando 0,1 BTC, e 0,1 BTC al momento vale €2.000, emetterà fattura di €2.000 + IVA 22% = €2.440 e verserà €440 di IVA . La criptovaluta è qui solo la forma di pagamento, ma la base imponibile IVA rimane il valore in euro del bene ceduto.
  • Interessi da prestito in criptovaluta: gli interessi attivi rientrano tra le operazioni finanziarie esenti IVA (prestiti di denaro). Tuttavia, nel DeFi lending non c’è un prestatore professionale che addebita interessi – è il contribuente stesso che li riceve. Quindi per il soggetto che li percepisce non c’è un problema di addebitare IVA (non sta fornendo lui un servizio attivo a terzi imponibile). Semplicemente incassa interessi, che di per sé non sono operazioni rilevanti ai fini IVA (chi incassa interessi non deve aggiungerci IVA, è il debitore semmai che paga interessi esenti). Dunque, per il contribuente-debitore che difendiamo, gli interessi crypto ricevuti non comportano alcun obbligo IVA. Invece, se consideriamo chi paga quegli interessi (il protocollo/contraente), trattandosi di un sistema decentralizzato, non c’è neanche un soggetto IVA tradizionale: è una attività fuori campo IVA.
  • NFT e beni digitali: accenniamo solo che la Circolare 30/E/2023 ha chiarito il regime IVA degli NFT col principio del “look-through” all’asset sottostante . Se l’NFT rappresenta un bene/servizio digitale (es. opera d’arte digitale), la vendita è considerata prestazione elettronica soggetta a IVA ordinaria; se l’NFT incorpora un bene fisico o un diritto reale, segue la disciplina di quel bene (potrebbe essere esente se il bene è esente, o imponibile con l’aliquota propria) . Questo può riguardare chi ad esempio vende NFT e incassa crypto – deve valutare se fatturare con IVA o no.

In generale, dal punto di vista difensivo, l’aspetto IVA potrebbe emergere se il Fisco contestasse, ad esempio, che un’attività di trading frequente mascheri prestazioni di servizio soggette a IVA o cose simili. Tuttavia, per il caso specifico degli interessi da lending percepiti da un privato, non vi è alcun debito IVA da parte del percettore. L’unico scenario IVA potrebbe riguardare un’azienda che offrisse servizi di intermediazione nel lending (ad es. una piattaforma centralizzata che mette in relazione creditori e debitori in crypto dietro commissione): quella commissione sarebbe esente IVA come intermediazione su finanziamenti. Ma non è il nostro caso.

È importante comunque sapere che le criptovalute non godono di alcuna esclusione generalizzata dalle imposte indirette: se usate come corrispettivo per acquisti, come visto, il fisco pretende comunque l’IVA sul valore in euro, e l’obbligo di fatturazione resta invariato . Molti in passato pensavano che transare in Bitcoin fosse un modo per evitare IVA, ma non è così – l’Agenzia lo ha ribadito in più interpelli: la fattura va fatta come per i pagamenti in natura, convertendo il valore . Perciò, se un imprenditore avesse accettato pagamenti in crypto senza assoggettare ad IVA le vendite, potrebbe ricevere ulteriori contestazioni (evasione IVA). Non è direttamente legato agli interessi da lending, ma spesso chi ha crypto fa anche pagamenti in crypto, quindi è un profilo da tenere presente nel complesso della posizione fiscale.

Profili antiriciclaggio e ruolo dell’UIF

Sul fronte antiriciclaggio (AML), il detentore di criptovalute deve essere consapevole che questo ambito e quello fiscale sono strettamente intrecciati nei controlli . La normativa italiana (D.Lgs. 231/2007) sin dal 2017 ha incluso i servizi relativi a valuta virtuale tra quelli soggetti agli obblighi di prevenzione del riciclaggio . In pratica, i provider crypto (exchange, cambiavalute, wallet provider custodial) hanno l’obbligo di: identificare e verificare l’identità dei clienti (KYC), registrare e conservare i dati delle operazioni, segnalare all’UIF le operazioni sospette, e comunicare periodicamente all’OAM/MEF la propria operatività .

Per un privato cittadino che utilizza servizi crypto, questi obblighi non ricadono direttamente su di lui, ma lo coinvolgono indirettamente: significa che ogni sua transazione rilevante è potenzialmente tracciata dagli intermediari. Ad esempio, se faccio un bonifico di €10.000 a Binance, la banca segnala il trasferimento di fondi all’estero; Binance mi chiederà documenti per KYC e monitorerà il mio account. Se poi compro stablecoin e li sposto su un wallet privato, quell’uscita verrà riportata nei dati aggregati forniti all’Agenzia (per dire: tot clienti hanno trasferito tot crypto verso l’esterno). Inoltre, se la banca o Binance ritengono l’operazione sospetta (perché non coerente col mio profilo reddituale, o perché coinvolge controparti rischiose), manderanno una segnalazione di operazione sospetta (SOS) . Nel 49% dei casi queste segnalazioni arrivano dalle banche, nel 51% da operatori crypto stessi . Una volta segnalato, come visto, potrei finire sotto la lente della Guardia di Finanza.

Pertanto, dal punto di vista difensivo sapere questo ci aiuta a spiegare eventuali passaggi di denaro: se l’accertamento parte da una SOS su stablecoin inviati all’estero, dovrò inquadrare quelle operazioni e dimostrarne la liceità (e che ho pagato le tasse relative, se dovute). Ad esempio, potrei dover spiegare che gli USDT che ho mandato su un wallet servivano per un investimento DeFi e provenivano da redditi già tassati o esenti.

Per i professionisti e imprese crypto (che magari qualche lettore avvocato assiste), ricordiamo che la mancata ottemperanza agli obblighi antiriciclaggio è sanzionata severamente. Ad esempio, l’omessa segnalazione di una operazione sospetta da parte di un exchange è punita con sanzione amministrativa da €3.000 a €50.000 . Ancora più rilevante, il nuovo reato di omessa adeguata verifica “grave” (art. 55-ter D.Lgs. 231/2007 introdotto nel 2019) punisce penalmente l’omessa identificazione dolosa del cliente . La Tabella 2 sopra riepiloga i principali obblighi AML per i Crypto Asset Service Provider (CASP) e le relative sanzioni . Questo però interessa soprattutto gli operatori (es. un cambio, un ATM Bitcoin, ecc.).

Per il nostro contribuente che ha fatto lending DeFi, il maggior rischio in ottica AML è se le criptovalute utilizzate provenissero da attività illecite o se egli le abbia usate per riciclare denaro. Esempio: se Tizio avesse evaso 200k€ e li avesse convertiti in crypto per occultarli, oltre al reato fiscale di omessa dichiarazione potrebbe essergli contestato l’autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) per aver impiegato capitali illeciti in attività finanziarie per ostacolarne la tracciabilità . Questa è una fattispecie grave (pena 2-8 anni reclusione) da scongiurare. Nella maggior parte dei casi di piccoli investitori, non si va oltre l’aspetto tributario; ma se parliamo di ingenti somme in crypto, la linea tra evasione fiscale e riciclaggio può diventare sottile. Anche perché la Cassazione penale ha riconosciuto che la moneta virtuale può essere strumento di investimento e bene avente valore economico, tanto che il raccogliere fondi da pubblico promettendo restituzione in crypto integra abusivismo finanziario se fatto senza autorizzazioni (Cass. pen. sez. II, sent. 44378/2022) . In tale sentenza, riferita a uno schema di cloud mining considerato raccolta abusiva di risparmio, la Corte ha evidenziato che il “pubblico affidamento di denaro con restituzione in crypto” rientra nelle attività riservate agli intermediari ex art. 166 TUF, giustificando il sequestro delle criptovalute raccolte . Questo per dire: usare crypto in modo disinvolto non mette al riparo da contestazioni giuridiche, anzi può aprire fronti diversi (finanziari, penali). Per un privato che presta le proprie crypto su AAVE ciò non è un problema, ma se qualcuno raccogliesse euro da amici promettendo loro interessi in crypto poi, attenzione, sta svolgendo un’attività finanziaria illecita.

In conclusione, i profili antiriciclaggio nel nostro contesto riguardano principalmente la tracciabilità dei fondi e il rischio di segnalazioni: il contribuente che si difende da un accertamento deve essere pronto a giustificare la provenienza delle criptovalute utilizzate (fondi personali leciti, redditi dichiarati, risparmi, ecc.), per fugare sospetti di riciclaggio. Inoltre, se durante la verifica emergono violazioni AML formali (es. un exchange italiano non registrato su OAM con cui ha operato), potrebbero scattare sanzioni amministrative verso quell’operatore, ma non direttamente verso l’utente. L’utente invece potrebbe subire, come detto, misure di sequestro sui wallet se le autorità ipotizzano reati (tributari o di riciclaggio) e considerano le crypto profitto o corpo del reato. È quindi fondamentale, nella difesa, mostrare collaborazione e trasparenza, fornendo le informazioni richieste, per dimostrare che non c’è volontà di occultare nulla di illecito.

Tabelle riepilogative

Di seguito presentiamo due tabelle riassuntive utili per avere un colpo d’occhio sul regime fiscale e sugli obblighi AML in ambito criptovalute, con focus sulle novità fino al 2025. La Tabella 1 sintetizza il trattamento fiscale delle cripto-attività per persone fisiche non imprenditori, evidenziando il regime fino al 2025 e le modifiche dal 2026. La Tabella 2 riepiloga i principali adempimenti antiriciclaggio per gli operatori crypto (CASP) e le relative sanzioni in caso di violazione – questo per completezza, sebbene non riguardi direttamente il singolo investitore, ma dà l’idea del contesto regolatorio.

Tabella 1 – Tassazione cripto per persone fisiche (non imprenditori)

Tipologia reddito/operazioneNormativa di riferimentoTassazione fino al 2025Tassazione dal 2026
Plusvalenze da cessione criptovaluteArt. 67, co.1, lett. c-sexies TUIR; L.197/2022; Circolare AdE 30/E/202326% imposta sostitutiva sulla plusvalenza annua eccedente €2.000 (franchigia esente fino a €2.000)33% imposta sostitutiva sull’intera plusvalenza (franchigia abolita dal 2025)
Proventi da staking, lending, airdrop (interessi, premi)Art. 67, co.1, lett. c-sexies TUIR; Circolare AdE 30/E/202326% imposta sostitutiva sui proventi finanziari percepiti (nessuna franchigia)33% imposta sostitutiva sui proventi percepiti (dal 2026, uniformata alle plusvalenze)
Redditi da NFT e attività creative (es. vendita opere digitali proprie)Art. 53 TUIR (redditi di lavoro autonomo)Tassazione IRPEF progressiva sul reddito netto (incassi in crypto convertiti in euro – costi deducibili se inerenti)IRPEF progressiva (aliquote rimodulate dalla riforma fiscale 2025-26, inasprite sugli scaglioni alti)
Imposta sul possesso (IVCA) – valore cripto detenute al 31/12Art. 19, co.18-22, D.L. 201/2011 (introdotto da L.197/2022)0,2% annuo sul valore di mercato al 31/12 (2‰)0,2% annuo sul valore di mercato al 31/12 (aliquota invariata, salvo future modifiche)
IVA su compravendita criptovaluteDir. UE 2006/112/CE, art. 135; Corte UE, sent. C-264/14 (Hedqvist); Ris. AdE 72/E/2016Esente IVA – operazioni di cambio crypto-fiat equiparate a cambi valuta (prestazioni esenti); cessioni di criptovalute fuori campo IVAEsente IVA (confermata non imponibilità delle valute virtuali)

Note: La tassazione indicata per plusvalenze e proventi è riferita a persone fisiche non in regime d’impresa. In caso di attività d’impresa, i guadagni crypto concorrono al reddito d’impresa (IRES/IRPEF ordinaria) e l’IVCA si applica comunque sulle cripto estere a fine anno. La franchigia €2.000 per plusvalenze è in vigore fino al 2024 incluso; abolita dal 2025 (L. 207/2024). L’aliquota 33% si applica dal 2026 sui redditi diversi finanziari, salvo cambi normativi. L’IVA come detto non si applica allo scambio di criptovalute contro fiat, mentre si applica normalmente alle vendite di beni/servizi pagati in crypto.

Tabella 2 – Principali adempimenti antiriciclaggio per operatori crypto (CASP)

Adempimento obbligatorioDisposizione normativaSanzioni e note in caso di violazione
Registrazione presso OAM (registro operatori valute virtuali)Art. 17-bis D.Lgs. 141/2010; Art. 6 D.Lgs. 90/2017; Provv. OAM 2022Obbligo in vigore da maggio 2022. Sanzioni amministrative e sospensione attività in caso di mancata iscrizione. L’esercizio senza iscrizione può configurare il reato di abusivismo finanziario (art. 166 TUF) .
Adeguata verifica della clientela (KYC)Artt. 17 e 18 D.Lgs. 231/2007; D.Lgs. 90/2017; D.Lgs. 204/2024 (Travel Rule)Obbligo di identificare e verificare identità clienti, monitorare operatività e raccogliere informazioni su scopo e natura del rapporto. Travel Rule: dal 2024 obbligo di invio dati per transazioni crypto > €1.000 . Violazioni gravi/dolo nell’identificazione comportano sanzioni penali (art. 55-ter D.Lgs. 231/07) e sanzioni amm.ve fino al 40% del valore dell’operazione .
Segnalazione Operazioni Sospette (SOS)Artt. 35 e 41 D.Lgs. 231/2007Obbligo di invio SOS alla UIF in presenza di sospetti di riciclaggio/terrorismo. Sanzione amm.va €3.000–50.000 per omessa segnalazione . Possibile responsabilità penale se l’omissione favorisce il riciclaggio (art. 55 D.Lgs. 231/07).
Comunicazione periodica al Fisco (operatività in Italia)Decreto MEF 13/01/2022 (attuativo art. 17-bis D.Lgs. 141/2010)I VASP (Virtual Asset Service Provider) iscritti devono inviare all’OAM e Agenzia Entrate una relazione periodica (di norma annuale) con dati aggregati delle operazioni effettuate in Italia . Sanzioni fino a €50.000 in caso di omissione. L’OAM collabora con la GdF per controlli.

Legenda: CASP = Crypto Asset Service Provider (prestatore di servizi relativi a cripto-attività); OAM = Organismo Agenti e Mediatori (tiene il registro VASP in Italia); UIF = Unità di Informazione Finanziaria (Banca d’Italia, riceve SOS).

Come si vede, il framework AML impone ai gatekeeper del mondo crypto di agire da sentinelle. Ciò si traduce, per l’utente, in una crescente tracciabilità delle proprie operazioni e nell’impossibilità di “nascondersi” facilmente dietro l’anonimato. In ottica difensiva, essere consapevoli che nulla garantisce l’anonimato assoluto (specie quando si interagisce con il sistema bancario tradizionale o con exchange centralizzati) è importante: eventuali omissioni fiscali verranno prima o poi alla luce, ed è preferibile regolarizzarle prima di doversi difendere sotto pressione.

Domande frequenti (FAQ)

D: Le criptovalute non essendo “moneta legale” non sono tassabili, giusto?
R: Falso. Il fatto che Bitcoin & co. non abbiano corso forzoso non significa che sfuggano al fisco. Le criptovalute sono considerate beni (o mezzi di pagamento volontari) aventi valore economico, al pari di altre attività finanziarie. I relativi guadagni sono soggetti a tassazione in base alla loro natura: ad esempio, le plusvalenze da vendita rientrano tra i redditi diversi finanziari, gli interessi da staking/lending sono redditi di capitale, i ricavi da attività professionale in crypto sono redditi di lavoro autonomo . La Cassazione stessa ha chiarito che pagamenti o compensi ricevuti in criptovaluta generano reddito imponibile al momento della percezione, anche se non convertiti subito in euro . In sostanza, le crypto non godono di uno scudo di non tassabilità: costituiscono ricchezza e come tale vanno dichiarate.

D: In quali casi è probabile un accertamento fiscale sulle mie criptovalute (interessi o altri redditi)?
R: L’Agenzia delle Entrate può attivarsi in diversi scenari tipici : (1) se non hai compilato il quadro RW nonostante detenga crypto su exchange esteri o wallet privati (violazione degli obblighi di monitoraggio); (2) se hai realizzato plusvalenze annuali sopra €2.000 vendendo o scambiando crypto e non le hai indicate tra i redditi (omessa dichiarazione di redditi diversi); (3) se il tuo tenore di vita/spese risulta anomalo rispetto al reddito dichiarato – ad es. compri casa, auto o altri beni costosi pagando in criptovaluta, senza avere entrate ufficiali adeguate – indice di possibili redditi in nero ; (4) se dai controlli bancari risultano bonifici sospetti da/verso piattaforme crypto estere non giustificati (movimenti finanziari non coerenti con quanto dichiari); (5) se la UIF segnala movimenti in crypto associati al tuo codice fiscale (es. prelievi di contante poi usati per acquistare crypto, operazioni con controparti estere ad alto rischio) . In sintesi, ogni volta che emergono attività in criptovalute non coerenti con la tua posizione fiscale ufficiale, l’Agenzia può approfondire inviandoti questionari o direttamente un avviso di accertamento.

D: Quali documenti devo conservare (o presentare) per difendermi in caso di verifica fiscale sulle crypto?
R: È fondamentale tenere un dossier completo di tutte le operazioni in criptovalute effettuate . In particolare consigliamo di avere pronti: gli estratti conto (account statement) degli exchange utilizzati, con indicazione di depositi, trade, prelievi e saldo finale; le ricevute dei bonifici bancari con cui hai acquistato crypto o hai incassato vendite ; l’eventuale report del tuo wallet privato (ad es. esportazione della transaction history da Metamask o dal tuo hardware wallet); le fatture o ricevute se hai comprato beni pagandoli in criptovaluta; gli screenshot/email di conferma per airdrop ricevuti o operazioni di staking/lending (per attestare la quantità di crypto guadagnata) . Inoltre, è utile preparare un calcolo delle plusvalenze anno per anno, dettagliare eventuali minusvalenze pregresse non sfruttate, e raccogliere documenti che dimostrino l’origine dei fondi impiegati (es. estratto conto bancario da cui hai prelevato i contanti poi convertiti in crypto) . Più il quadro documentale è chiaro e completo, maggiori le chance di convincere il Fisco della correttezza – o almeno buona fede – del tuo operato .

D: Se ricevo un avviso per crypto non dichiarate, posso ancora regolarizzare o rateizzare le somme dovute?
R: Sì, ci sono varie opzioni, a seconda della fase in cui ti trovi . Se hai ricevuto solo un invito al contraddittorio o una comunicazione bonaria (quindi pre-accertamento), puoi ancora ravvederti spontaneamente: il ravvedimento operoso entro 90 giorni ti consente di pagare l’imposta dovuta con interessi e sanzione ridotta (la sanzione parte dallo 0,1% per ogni giorno di ritardo nei primi 14 giorni, poi sale progressivamente fino all’1,67% mensile, etc., invece del 90-180% pieno) . Se invece l’avviso di accertamento è già notificato, entro 60 giorni puoi aderire con acquiescenza pagando il dovuto con sanzioni ridotte a 1/3 (circa 30%) . In alternativa, puoi presentare istanza di accertamento con adesione: ciò sospende i termini per ricorrere e apre una trattativa con l’Agenzia; se trovi un accordo, firmerai un atto di adesione e potrai anche rateizzare l’importo (generalmente fino a 8 rate trimestrali, o 16 rate se l’importo supera €50.000) . Ricorda che per le violazioni fino al 2021 c’era uno Scudo Crypto speciale (Legge 197/2022) che consentiva di sanare pagando un’oblazione ridotta: se rientravi in quella fattispecie ma non ne hai usufruito entro il 2023, verifica col tuo consulente se ci sono margini per rimediare ora (purtroppo l’adesione formale a quello scudo non è più possibile dopo la scadenza, ma magari in sede di accordo l’Agenzia può tenerne conto) . Infine, se sei già in contenzioso (ricorso pendente), puoi sempre richiedere all’AdE una rateazione dei tributi accertati: di solito ti chiedono intanto 1/3 se vuoi sospendere l’esecutività dell’atto durante il processo. E in caso di conciliazione giudiziale (accordo in corso di giudizio) potrai dilazionare il dovuto come in adesione. Se per caso il legislatore prevede una definizione agevolata delle liti pendenti (a volte viene prorogata), potresti chiudere la questione con un ulteriore sconto su sanzioni e interessi .

D: Quali sono i termini e le modalità per impugnare un avviso di accertamento su crypto non dichiarate?
R: Dal giorno in cui ti viene notificato l’avviso, hai 60 giorni di tempo per proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) competente . Il ricorso va redatto e notificato (via PEC o raccomandata) all’Ufficio locale dell’Agenzia Entrate che ha emesso l’atto, e depositato telematicamente tramite il portale Giustizia Tributaria (SIGIT). È fondamentale rispettare il termine dei 60 giorni: decorso quello, l’accertamento diviene definitivo e non più contestabile . Nel ricorso dovrai indicare i motivi di impugnazione, articolandoli in punti chiari: ad esempio, contestare la violazione di legge se l’Ufficio ha applicato norme in modo sbagliato, l’errata ricostruzione dei movimenti di wallet, la mancata considerazione di prove fornite, etc. . Puoi anche chiedere la sospensione dell’atto se pagarne subito l’importo ti causerebbe un danno grave (ad es. un importo molto elevato che porterebbe a ipoteca sulla casa) . Dopo la sentenza di primo grado, se fosse sfavorevole, hai altri 60 giorni per fare appello in CTR (Commissione Tributaria Regionale) . Se anche in appello dovessi perdere, potrai ricorrere in Cassazione entro i termini (generalmente 90 giorni dalla notifica della sentenza di secondo grado, o 6 mesi se non viene notificata) . Nota che dal 2023 la riforma del processo tributario ha accelerato i tempi in Cassazione, puntando a decidere entro 2 anni i ricorsi di legittimità – questo per evitare che le cause pendano troppo a lungo. Un’alternativa al percorso giudiziario tradizionale è tentare, prima di ricorrere, un’istanza di annullamento in autotutela se l’atto presenta errori evidenti: l’Agenzia potrebbe accoglierla (ma non è obbligata). In ogni caso, vista la tecnicità del contenzioso crypto, conviene farsi assistere da un professionista esperto della materia sin dall’inizio , per impostare al meglio la difesa.

D: Possiedo criptovalute ma non le ho mai vendute né generato interessi; devo comunque dichiararle?
R: Sì, in parte. Anche se non hai realizzato alcuna plusvalenza (capital gain) vendendo crypto, sei comunque tenuto al monitoraggio fiscale delle criptovalute detenute. Ciò significa che devi compilare il Quadro RW indicando il valore delle tue crypto al 31 dicembre di ogni anno, se queste sono custodite all’estero o in un wallet privato . Questo adempimento serve a comunicare gli asset finanziari esteri e calcolare la relativa IVCA (0,2% annuo). Non dovrai invece dichiarare alcun reddito ai fini IRPEF finché non vendi o permuti le criptovalute realizzando una plusvalenza tassabile . La mera detenzione di crypto che aumentano di valore nel tempo non è un fatto imponibile fino a quando non monetizzi il guadagno (vendendo in valuta fiat o scambiando contro un’altra crypto in modo fiscalmente rilevante). Fanno eccezione però i proventi “da detenzione” come gli interessi da staking o i token reward: ad esempio, se hai depositato crypto in una piattaforma DeFi che ti corrisponde periodicamente delle somme (in crypto) a titolo di interesse, quei proventi vanno dichiarati ogni anno in quanto redditi di capitale percepiti . In sintesi: holdare criptovalute senza vendere non genera di per sé reddito imponibile (quindi niente sezione redditi), ma devi comunque dichiarare il possesso nel quadro RW e tassare eventuali rendite accessorie (staking, lending, airdrop) mano a mano che le ottieni . Ovviamente, se in futuro deciderai di vendere, realizzerai una plusvalenza che andrà dichiarata in quell’anno.

Conclusioni

In conclusione, un accertamento fiscale sulle criptovalute – ad esempio inerente interessi da DeFi lending non dichiarati – va affrontato con una difesa attiva e documentata . Il quadro normativo tributario, in continua evoluzione, oggi prevede la tassazione dei guadagni da crypto come redditi finanziari (o d’impresa se applicabile), l’obbligo di monitoraggio delle valute virtuali detenute all’estero, e sanzioni severe per chi omette di dichiarare . D’altro canto, esistono ancora aree grigie interpretative e principi di diritto in via di consolidamento: il contribuente informato può far valere a proprio favore le lacune normative o le interpretazioni più favorevoli emerse in dottrina e giurisprudenza .

Ricevere un avviso di accertamento non è una condanna automatica: con la giusta assistenza legale e tributaria è possibile contestare le pretese non fondate, far correggere errori di calcolo e, in generale, tutelare i propri diritti di contribuente . Anche di fronte a contestazioni complesse – plusvalenze “virtuali”, operazioni estere, questioni valutative – esistono strumenti tecnici e giuridici per ottenere ragione o almeno ridurre il danno (si pensi alle definizioni agevolate, al ravvedimento, alla compensazione di perdite) . Fondamentale è agire tempestivamente: non ignorare le richieste del Fisco, ma rispondere con argomentazioni solide e dati alla mano .

Per i detentori di crypto, il messaggio è chiaro: oggi più che mai conviene tenere traccia scrupolosamente delle proprie operazioni, dichiarare correttamente il dovuto (facendosi aiutare da esperti), ed evitare l’erronea convinzione che le crypto siano un refugium peccatorum fiscale . Se l’accertamento arriva, è consigliabile rivolgersi immediatamente a professionisti esperti in fiscalità delle criptovalute, capaci di navigare tra norme tributarie, tecnicismi blockchain e sentenze recenti . In questo modo si potranno far valere eventuali errori dell’Amministrazione, ridimensionare le sanzioni e, nel migliore dei casi, vincere il contenzioso .

In un settore innovativo come quello crypto, la conoscenza aggiornata è la miglior alleata: essere consapevoli sia dei propri obblighi fiscali sia dei propri diritti difensivi è il primo passo per proteggere i propri asset digitali e neutralizzare gli effetti di un accertamento fiscale . La normativa è destinata ad affinarsi ulteriormente (si attendono decreti attuativi DAC8, evoluzioni MiCA, ecc.), per cui rimanere informati è d’obbligo. Questa guida – con fonti ufficiali e giurisprudenziali aggiornate ad agosto 2025 – si propone di essere uno strumento utile per orientarsi in un ambito tanto affascinante quanto insidioso, fornendo ai contribuenti e ai loro consulenti gli appigli necessari per difendersi efficacemente dalle contestazioni su interessi da DeFi lending non dichiarati.

Fonti normative e giurisprudenziali citate:

  • Circolare Agenzia Entrate n. 30/E (27 ottobre 2023)Trattamento fiscale delle cripto-attività: chiarisce i criteri di qualificazione dei redditi da crypto e gli obblighi dichiarativi, inclusi i proventi da staking/lending .
  • Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio 2023), commi 126-147 – Introduce nell’art. 67 TUIR la lett. c-sexies sulle plusvalenze da cripto-attività e definisce l’IVCA (imposta sul valore crypto) .
  • Legge 29 dicembre 2023, n. 197 (Bilancio 2024) – Disposizioni integrative sulla fiscalità crypto (es. proroga termini regolarizzazione) .
  • Legge 29 dicembre 2024, n. 207 (Bilancio 2025), art. 1 commi 24-29 – Abolisce dal 2025 la soglia esente €2.000 e incrementa dal 2026 l’aliquota imposta sostitutiva dal 26% al 33% .
  • D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – Art. 67, co.1, lett. c-sexies (redditi diversi: include plusvalenze e proventi cripto) ; Art. 53 (redditi di lavoro autonomo, rilevante per NFT e attività professionali in crypto) .
  • D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461 – Disciplina dei redditi di capitale e diversi di natura finanziaria (imposta sostitutiva su capital gain 26%): base normativa richiamata per tassazione crypto post-2023.
  • D.L. 28 giugno 1990, n. 167 (conv. L.227/1990) – Monitoraggio fiscale attività estere: quadro RW e sanzioni 3–15% per omessa dichiarazione di investimenti esteri (applicato alle crypto assimilate a valute estere) .
  • D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – Reati tributari: art. 4 (dichiarazione infedele) e 5 (omessa dichiarazione) applicabili all’occultamento di redditi da crypto oltre soglie di punibilità; art. 13-bis prevede non punibilità per pagamento integrale del debito tributario .
  • Direttiva 2006/112/CE (IVA) – Art. 135(1)(e) esenzione operazioni finanziarie; Sentenza Corte di Giustizia UE 22/10/2015, causa C-264/14 (Hedqvist): cambio Bitcoin-fiat esente IVA come operazione su valuta estera .
  • D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (Antiriciclaggio) – Art. 1, co.2, lett. ff) definizione di valuta virtuale; Artt. 17–48 obblighi di adeguata verifica, registrazione e segnalazione per intermediari crypto; Art. 55 sanzioni per omessa segnalazione (fino a €50.000); Art. 55-ter reato di omessa adeguata verifica grave .
  • D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 – Recepisce V Direttiva AML: introduce obbligo di registrazione OAM per cambiavalute virtuali e estende obblighi AML ai servizi crypto .
  • D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 92 – Recepimento IV Direttiva AML: ulteriori disposizioni su valute virtuali e soglie di utilizzo contante/crypto.
  • D.Lgs. 30 dicembre 2021, n. 195 – Recepimento Dir. UE 2018/1673 su reati fiscali e riciclaggio: include criptovalute tra possibili proventi illeciti, aggiornando il D.Lgs. 231/2007 (rilevante per autoriciclaggio).
  • D.Lgs. 27 gennaio 2024, n. 129 – Adeguamento al Regolamento (UE) 2023/1114 (MiCA): istituisce reato di abusivismo nel settore crypto (art. 30: offerta abusiva di crypto-asset al pubblico, fino a 4 anni reclusione) . Modifica l’art. 166 TUF estendendo il reato di abusiva attività finanziaria anche a cripto considerati strumenti finanziari .
  • D.Lgs. 27 maggio 2024, n. 204 – Attua il Regolamento (UE) 2023/1113 (Travel Rule): impone ai prestatori crypto di trasmettere dati identificativi per trasferimenti > €1.000 (mittente e beneficiario) , pena sanzioni amministrative e penali in caso di omissioni dolose.
  • Risoluzione Agenzia Entrate n. 72/E (2 settembre 2016) – Chiarisce il trattamento IVA e imposte dirette per società operanti in criptovalute, confermando l’esenzione IVA sul cambio Bitcoin-fiat e l’equiparazione delle criptovalute a valute estere ai fini fiscali .
  • Risposta a interpello AdE n. 788/2021 – Fissa il criterio LIFO per il calcolo delle plusvalenze in caso di cessioni parziali di criptovaluta acquistate in lotti differenti .
  • Risposta a interpello AdE n. 515/2022 – Chiarisce che per una società di mining i token minati costituiscono ricavi d’esercizio (valutati al valore normale al momento della creazione) rilevanti ai fini IRES e IRAP, pur essendo l’attività esclusa da IVA .
  • Cassazione penale, sez. III, sent. n. 8269 del 28/02/2025 – Caso NFT: conferma che la cessione di un’opera digitale certificata via NFT contro criptovaluta genera subito reddito imponibile (qualificato come lavoro autonomo nel caso di specie), da dichiarare valorizzando in euro il corrispettivo in crypto alla data della transazione . Ribadisce che il pagamento in crypto è assimilabile a pagamento in natura e non esenta dall’obbligo dichiarativo, e che la mancata dichiarazione di corrispettivi in crypto oltre soglia penale integra reato di dichiarazione infedele .
  • Cassazione penale, sez. II, sent. n. 44378 del 22/11/2022 – Caso exchange abusivo: conferma il sequestro preventivo di criptovalute nei confronti di soggetti che operavano cambi valute virtuali senza autorizzazione, evidenziando che l’attività di raccolta fondi con restituzione in crypto è riservata a intermediari finanziari ex art. 166 TUF . Rilevante per affermare che le criptovalute vengono considerate strumenti finanziari ai fini dell’abusivismo finanziario e soggette a misure cautelari reali in sede penale.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la mancata dichiarazione degli interessi generati da attività di DeFi lending? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la mancata dichiarazione degli interessi generati da attività di DeFi lending?
Vuoi sapere cosa rischi e come difenderti da queste contestazioni fiscali?

👉 Prima regola: chiarisci la natura dei proventi percepiti, dimostra la loro effettiva entità e verifica il corretto inquadramento fiscale secondo la normativa italiana.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Utilizzo di piattaforme DeFi per concedere criptovalute in prestito senza dichiarare gli interessi maturati;
  • Omissione nel quadro RW per attività detenute su protocolli esteri o wallet non custodial;
  • Mancata dichiarazione dei token reward ricevuti come interesse o incentivo;
  • Movimenti su blockchain rilevati tramite tracciamenti o segnalazioni;
  • Presunzione che ogni accredito in wallet sia reddito imponibile.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sugli interessi percepiti;
  • Sanzioni per infedele dichiarazione e per omesso monitoraggio fiscale;
  • Interessi di mora sulle somme dovute;
  • Rischio di contestazioni penali in caso di importi rilevanti e condotte considerate elusive;
  • Maggiori controlli sulle future dichiarazioni fiscali e sugli investimenti digitali.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Gli interessi erano realmente percepiti o solo “maturati” senza disponibilità effettiva?
  • I proventi avevano natura di redditi di capitale o di plusvalenze?
  • I token reward hanno effettivo valore economico o erano privi di mercato?
  • Le attività erano già tassate in altro modo (es. regime di risparmio amministrato)?
  • L’accertamento si fonda su prove oggettive (report blockchain, transazioni tracciate) o su presunzioni generiche?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Report delle piattaforme DeFi utilizzate;
  • Estratti blockchain (hash, explorer) che provano i movimenti reali;
  • Documentazione bancaria per eventuali conversioni in euro;
  • Copia delle dichiarazioni fiscali presentate;
  • Eventuali perizie tecniche sulla valutazione dei token reward.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare che non tutti i movimenti on-chain costituiscono redditi imponibili;
  • Contestare la riqualificazione come interessi percepiti se i token non erano liquidabili;
  • Evidenziare la buona fede e l’incertezza normativa sul settore DeFi;
  • Richiedere la riduzione delle sanzioni tramite ravvedimento operoso o definizione agevolata;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
  • Difesa penale mirata in caso di accuse di omessa dichiarazione di redditi esteri.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i movimenti DeFi e la documentazione fiscale;
📌 Valuta la fondatezza della contestazione e i margini difensivi;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei giudizi fiscali e nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una corretta dichiarazione dei redditi da DeFi e criptovalute.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità delle criptovalute e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su redditi da DeFi lending;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sugli interessi percepiti da DeFi lending non dichiarati non sempre sono fondate: spesso derivano da incertezze normative, errori di interpretazione o valutazioni eccessivamente presuntive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale natura dei proventi, ridurre le pretese fiscali ed evitare pesanti sanzioni.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui redditi da DeFi inizia qui.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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