Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per contributi pubblici percepiti e non dichiarati? In questi casi, l’Ufficio presume che i fondi ottenuti da enti statali, regionali o europei costituiscano redditi imponibili non riportati in dichiarazione. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni elevate e, nei casi più seri, contestazioni penali per indebita percezione di erogazioni pubbliche. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben strutturata è possibile dimostrare la corretta natura dei contributi o ridurre in maniera significativa le sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i contributi pubblici non dichiarati
– Se i contributi percepiti rientrano tra i redditi imponibili ai fini IRPEF o IRES e non sono stati dichiarati
– Se non è stata compilata la sezione del quadro RU relativa agli aiuti di Stato o agli incentivi ricevuti
– Se vi sono incongruenze tra i dati comunicati dagli enti erogatori e quanto indicato in dichiarazione
– Se i contributi vengono qualificati come reddito di impresa o di lavoro autonomo e non come agevolazioni esenti
– Se l’Ufficio presume un occultamento volontario delle somme ricevute
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione delle somme percepite come redditi imponibili
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme dovute
– Rettifica delle dichiarazioni fiscali con possibili ripercussioni su altre agevolazioni
– Denuncia penale per indebita percezione di erogazioni pubbliche nei casi più gravi
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che i contributi percepiti rientrano tra quelli esenti o esclusi dalla base imponibile
– Produrre bandi, contratti di concessione e documentazione che specifichi la natura del contributo
– Contestare l’errata qualificazione fiscale dei fondi (es. in conto capitale anziché in conto esercizio)
– Evidenziare errori di calcolo, difetti istruttori o vizi di motivazione nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la tipologia di contributi pubblici percepiti e la relativa disciplina fiscale
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta imputazione dei fondi in dichiarazione
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali
– Difendere l’impresa o il professionista davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– Il riconoscimento della natura esente o agevolata dei contributi percepiti
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: i contributi pubblici sono sempre più monitorati dal Fisco grazie agli scambi di dati con gli enti erogatori. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare pesanti conseguenze economiche e legali.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per contributi pubblici percepiti e non dichiarati e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.
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Introduzione
Ricevere una contestazione relativa a contributi pubblici percepiti ma non dichiarati può generare notevole preoccupazione in imprenditori, professionisti e privati. Si tratta di comunicazioni – spesso inviate dall’Agenzia delle Entrate, dalla Guardia di Finanza o dagli enti che hanno erogato il contributo – in cui si segnala una possibile irregolarità riguardante sovvenzioni, incentivi o agevolazioni pubbliche di cui si è beneficiato ma non dichiarati correttamente nelle sedi opportune. In pratica, l’amministrazione contesta al beneficiario di aver usufruito di un aiuto pubblico senza aver adempiuto a obblighi di dichiarazione o trasparenza, ritenendo quindi tali somme in tutto o in parte non dovute.
Cosa significa “contributi pubblici non dichiarati”? In questo contesto l’espressione si riferisce a fondi, sovvenzioni o vantaggi economici provenienti da enti pubblici (Stato, enti locali, Unione Europea, enti previdenziali, ecc.) che il beneficiario ha omesso di dichiarare come richiesto dalla normativa vigente. Ciò può avvenire, ad esempio, perché il soggetto non li ha indicati nelle proprie dichiarazioni fiscali, non li ha pubblicati nei rendiconti o siti web come imposto dalla legge sulla trasparenza, oppure non li ha segnalati in fase di richiesta di altre agevolazioni, violando norme sul cumulo di aiuti. Tali omissioni possono far sì che l’aiuto ricevuto sia considerato “indebitamente fruito” o “non spettante”, con conseguente obbligo di restituzione e applicazione di sanzioni.
L’obiettivo di questa guida è fornire un quadro completo e aggiornato (agosto 2025) su come affrontare e risolvere contestazioni riguardanti contributi pubblici non dichiarati, dal punto di vista del debitore (sia esso un’impresa o un privato). Verranno esaminati il contesto normativo italiano (ed europeo, laddove rilevante) con i riferimenti di legge più aggiornati, incluse le novità normative fino al 2025, nonché le sentenze più recenti emanate dai massimi organi (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale, Corte dei Conti, giurisprudenza amministrativa) sui temi in oggetto. Particolare attenzione sarà dedicata a:
- Obblighi di trasparenza e pubblicazione dei contributi pubblici ricevuti (ai sensi della L. 124/2017 e successive modifiche) e relative sanzioni per omessa dichiarazione.
- Disciplina degli aiuti di Stato (normativa UE e nazionale) e casi in cui un contributo può risultare “non spettante” per superamento di soglie (de minimis, Quadri Temporanei) o violazione di condizioni.
- Verifiche e controlli da parte dei vari enti: dall’Agenzia delle Entrate (controlli incrociati e lettere di compliance), alla Guardia di Finanza (accertamenti su fondi PNRR, fondi europei, frodi), dagli enti previdenziali come l’INPS (revoca di esoneri contributivi indebiti) fino alle Regioni e Ministeri (revoca di finanziamenti per mancato rispetto di vincoli).
- Le procedure di recupero delle somme indebitamente percepite: comunicazioni bonarie, avvisi di accertamento, provvedimenti di revoca, iscrizione a ruolo e cartelle di pagamento.
- I diritti del destinatario di tali atti e le possibili strategie difensive per evitare o limitare gli effetti negativi: come regolarizzare spontaneamente la posizione (ad esempio presentando dichiarazioni integrative e restituendo volontariamente il contributo non spettante con sanzioni ridotte), come impugnare formalmente un provvedimento (ricorso al giudice competente), e come richiedere misure come rateizzazioni o autotutela.
- I profili fiscali e contabili collegati alla restituzione dei contributi (trattamento in bilancio della somma restituita, eventuale recupero delle imposte già pagate su contributi poi revocati, ecc.) e gli effetti sulla possibilità di accedere ad altre agevolazioni future.
- Alcuni modelli di atti difensivi e simulazioni pratiche: ad esempio fac-simili di istanza di autotutela, schema di ricorso al TAR o al giudice tributario, memoria difensiva in risposta a un invito a restituire, ecc., per orientare concretamente chi debba difendersi da queste contestazioni.
Struttura della guida: Nei capitoli che seguono, dapprima verrà delineato il quadro normativo di riferimento, individuando le principali fonti legislative sugli obblighi di dichiarazione dei contributi pubblici e sul recupero degli aiuti illegittimi. Si passerà quindi ad analizzare le cause tipiche che portano alla contestazione di un contributo come “non dichiarato” o indebito, con esempi concreti. Verranno poi descritti i vari procedimenti di controllo e contestazione da parte delle autorità competenti, seguiti da una sezione sulle strategie di difesa a disposizione del debitore. Infine, una serie di Domande e Risposte frequenti chiarirà i dubbi pratici più comuni, mentre tabelle riepilogative aiuteranno a schematizzare punti chiave e procedure.
Ricordiamo che ogni situazione presenta peculiarità proprie: questa guida offre indicazioni generali e spunti utili, ma in caso di contestazioni concrete è sempre opportuno farsi assistere da professionisti esperti in materia tributaria e amministrativa.
Obblighi di trasparenza e dichiarazione dei contributi pubblici
Per comprendere come possa insorgere una contestazione su contributi pubblici “non dichiarati”, occorre innanzitutto richiamare quali sono gli obblighi legali di dichiarazione e trasparenza a carico di chi riceve aiuti pubblici. In Italia, negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto norme specifiche volte a rendere pubblica e tracciabile l’erogazione di denaro pubblico a soggetti privati, sia per motivi di trasparenza verso i cittadini, sia per garantire il rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato. I principali obblighi possono essere sintetizzati come segue:
- Obbligo di pubblicazione annuale (Legge n.124/2017): imprese, enti non profit e altri soggetti che ricevono contributi o sovvenzioni da pubbliche amministrazioni per un importo totale pari o superiore a 10.000 euro annui devono pubblicare tali importi e informazioni correlate entro una certa scadenza ogni anno. Tale adempimento, introdotto dalla legge annuale per il mercato e la concorrenza 2017, mira a rendere trasparenti verso il pubblico le relazioni finanziarie tra Stato (ed enti pubblici in generale) e soggetti beneficiari. In concreto: le società che redigono il bilancio devono inserire l’elenco dei contributi pubblici ricevuti nella Nota integrativa al bilancio; gli altri soggetti (micro imprese, ditte individuali, società di persone, associazioni, fondazioni, ONLUS, cooperative sociali, ecc.) devono pubblicare le informazioni sui propri siti Internet o portali digitali (o in mancanza, anche sui propri social network o sul sito della propria associazione di categoria).
- Informazioni da pubblicare: la norma di trasparenza richiede di indicare, per ogni contributo o sovvenzione ricevuti, almeno i seguenti dati: denominazione e codice fiscale del beneficiario, ente erogante, somma incassata, data di incasso e causale del beneficio . Tali informazioni vanno presentate in modo chiaro e facilmente consultabile, preferibilmente in forma di tabella . Sono esclusi dall’obbligo soltanto i contributi di carattere generale (es. misure accessibili a tutti i soggetti aventi determinati requisiti, come i crediti d’imposta automatici) e quelli già pubblicati nel Registro nazionale degli aiuti di Stato (RNA) . Dal 2024 è stato previsto che l’esonero per gli aiuti registrati in RNA sia automatico, senza necessità di menzionarli nella Nota integrativa o sul sito.
- Scadenze: per i contributi incassati nel corso di un dato esercizio finanziario, la pubblicazione va effettuata entro il 30 giugno dell’anno successivo. Ad esempio, i contributi ricevuti nel 2024 andavano pubblicati entro il 30 giugno 2025. Le società tenute al bilancio ordinario assolvono pubblicando in Nota integrativa approvata entro il termine di bilancio (solitamente entro il 30 aprile o 30 giugno), mentre tutti gli altri sul sito web entro il 30 giugno.
- Sanzioni per omessa pubblicazione: a partire dal 1° gennaio 2024 è divenuto pienamente operativo il regime sanzionatorio per la mancata pubblicazione dei contributi pubblici ricevuti. In caso di inadempimento, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’1% degli importi ricevuti, con un minimo di 2.000 euro. Inoltre – novità di particolare rilievo – se il beneficiario non regolarizza entro 90 giorni dalla contestazione della violazione (ovvero se entro 90 giorni non provvede sia a pubblicare le informazioni omesse, sia a pagare la sanzione), scatta l’obbligo di restituire integralmente i contributi ricevuti, restituendoli all’ente erogante. In altre parole, chi non ottempera all’obbligo di trasparenza ne subisce prima le conseguenze pecuniarie (multa) e, se persiste nell’inadempimento, perde il diritto al contributo dovendo riversarlo integralmente indietro. Questa misura, introdotta dal 2020 e rinviata più volte, è ora effettiva: ad esempio, un’azienda che nel 2024 ha ricevuto €50.000 di contributi pubblici e non li ha pubblicati potrà essere multata di €2.000 (1% di 50k, ma essendoci un minimo di 2k); se dopo la notifica della sanzione trascorrono 90 giorni senza che abbia adempiuto all’obbligo di pubblicazione, potrà esserle richiesto di restituire tutti i €50.000 all’ente che li aveva erogati. È evidente come tale sanzione “gravata” renda l’obbligo di trasparenza non più un mero onere formale, ma un adempimento da rispettare con massima attenzione, pena la perdita del beneficio stesso.
- Base normativa: l’obbligo in questione discende dall’art.1, commi 125-129 della L.124/2017, come modificati prima dal D.L. 34/2019 (conv. L.58/2019) e poi da ulteriori interventi di semplificazione (da ultimo il D.L. 73/2022 art.3, comma 6-bis). Il quadro è stato completato con la piena operatività dal 2024 delle sanzioni introdotte. Il Ministero del Lavoro ha fornito chiarimenti applicativi con circolari (n.2/2019 e n.6/2021) per gli enti non profit. In sostanza, dal 2024 tutti i soggetti beneficiari di aiuti pubblici (imprese di capitali, società di persone, ditte individuali, associazioni, fondazioni, ONLUS, cooperative sociali) devono ottemperare a questo obbligo di pubblicazione per importi ≥ €10.000, salvo rari casi di esonero automatico come detto.
- Obblighi dichiarativi fiscali sugli aiuti di Stato: parallelo all’obbligo “pubblico” di cui sopra, esiste anche un obbligo di dichiarazione in ambito fiscale dei contributi o aiuti ricevuti. In particolare, nei modelli di dichiarazione dei redditi delle imprese è presente il prospetto denominato “Aiuti di Stato”, nel quale il contribuente deve elencare gli aiuti fiscali o contributivi di cui ha usufruito nell’anno che rientrano nel regime degli aiuti di Stato (aiuti in “de minimis”, aiuti autorizzati o in esenzione, ecc.). La corretta compilazione di tale prospetto è fondamentale perché consente all’Agenzia delle Entrate di comunicare i dati al Registro Nazionale Aiuti di Stato (RNA) e verificare il rispetto dei limiti. Omettere o sbagliare la compilazione di questo quadro nella dichiarazione può portare a difformità tra i dati dichiarati e quelli risultanti nel RNA, facendo scattare segnalazioni automatiche. Ad esempio, con Provvedimento del Direttore dell’AdE n. 244832 del 5 giugno 2025, è stato predisposto l’invio massivo di comunicazioni di compliance a tutti i soggetti che, nelle dichiarazioni Redditi/Irap/770 per il periodo d’imposta 2021, hanno indicato dati incompleti o incoerenti nel prospetto Aiuti di Stato, rispetto alle informazioni registrate in RNA e nei registri settoriali (agricoltura, pesca). Lo scopo è invitare i contribuenti a regolarizzare gli errori prima di procedere a veri e propri accertamenti. Pertanto, non dichiarare un contributo pubblico nella dichiarazione fiscale quando richiesto equivale a violare un obbligo dichiarativo, che può comportare sia sanzioni tributarie per infedele dichiarazione, sia il recupero dell’agevolazione come indebita.
In sintesi, il quadro normativo impone a chi riceve fondi pubblici di dichiararli sia verso il pubblico (trasparenza) sia verso lo Stato (dichiarazioni fiscali, registri degli aiuti). Il mancato adempimento di tali obblighi può far sorgere presunzioni di irregolarità: ad esempio, l’omessa pubblicazione viene letta come volontà di nascondere l’aiuto, la mancata indicazione in dichiarazione come indebita fruizione dello stesso. Ecco perché molti provvedimenti di contestazione parlano di contributi “non dichiarati”. Nel prossimo paragrafo vedremo più nel dettaglio quando un contributo pubblico può essere considerato “non spettante” o indebitamente fruito, dando luogo a obbligo di restituzione.
Aiuti di Stato e contributi “non spettanti”: il quadro europeo e nazionale
La materia dei contributi pubblici si intreccia con la disciplina degli aiuti di Stato, ossia l’insieme di regole europee che limita la libertà degli Stati di erogare aiuti economici alle imprese. Comprendere tali regole è cruciale, perché molte contestazioni di contributi non dichiarati nascono proprio dal mancato rispetto di condizioni o limiti imposti da norme UE, con conseguente obbligo di restituire l’aiuto indebito.
A livello europeo, il principio di base è fissato dall’art. 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), il quale in generale vieta gli aiuti concessi dagli Stati (in qualunque forma: contributi, esenzioni fiscali, garanzie, ecc.) che falsino la concorrenza favorendo selettivamente alcune imprese. Esistono tuttavia importanti eccezioni e deroghe: l’Unione consente, previa autorizzazione o in base a regolamenti di esenzione, varie tipologie di aiuti compatibili (es. aiuti per sviluppo regionale, ricerca, innovazione, ambiente, aiuti “de minimis” di importo limitato, ecc.). Un’impresa che riceve un contributo pubblico, dunque, deve rientrare in uno schema di aiuto lecito (autorizzato da Bruxelles o conforme a un regolamento di esenzione) oppure beneficiare di un aiuto di piccola entità de minimis.
Gli aiuti “de minimis” sono piccoli aiuti considerati talmente esigui da non falsare la concorrenza: il regolamento UE pertinente (attualmente Reg. 1407/2013 per il settore ordinario, in fase di aggiornamento per il periodo post-2023) fissa la soglia cumulativa di €200.000 nell’arco di tre esercizi finanziari per la generalità delle imprese (con limiti più bassi per settori agricoltura e pesca). Significa che un’impresa può ricevere aiuti pubblici fino a 200.000 € in tre anni senza bisogno di autorizzazione UE, ma deve dichiararli e rispettare appunto il plafond. Se supera il massimale, l’eccedenza è considerata aiuto illegittimo e va restituita. Dunque, una tipica situazione di “contributo non spettante” è quando l’azienda ha superato il tetto de minimis sommando vari contributi, magari perché ha omesso di dichiararne uno precedente: il nuovo aiuto ricevuto oltre soglia diventa indebito e viene recuperato.
Durante situazioni straordinarie (es. crisi pandemica Covid-19) l’UE può innalzare temporaneamente i massimali e allentare alcune regole. Ad esempio, nel 2020-21 è stato in vigore un Quadro Temporaneo sugli aiuti Covid che permetteva di erogare contributi fino a 1,8 milioni € per impresa (sezione 3.1) o anche oltre in casi particolari (sezione 3.12), derogando ai limiti ordinari. Molte imprese italiane hanno beneficiato di contributi a fondo perduto Covid, crediti d’imposta, garanzie su prestiti, ecc. Tuttavia, tali aiuti andavano comunque registrati e monitorati; inoltre imprese che erano già in difficoltà al 31/12/2019 non potevano accedere ad alcuni aiuti Covid per divieto UE (regola sulle imprese in crisi). Diverse contestazioni recenti riguardano proprio aiuti Covid ottenuti indebitamente, ad esempio aziende formalmente in crisi pre-Covid che hanno comunque richiesto e ottenuto contributi a fondo perduto omettendo di dichiarare il proprio status, violando così le condizioni UE: questi contributi sono stati poi qualificati come non spettanti e da restituire.
Sul piano nazionale, l’Italia ha recepito e attuato le regole UE attraverso varie norme. La principale è la Legge 24 dicembre 2012 n.234, che all’art. 52 ha istituito il Registro Nazionale degli Aiuti di Stato (RNA). Il RNA è una banca dati centralizzata gestita dal MISE (ora MIMIT) che registra tutti gli aiuti concessi alle imprese e verifica ex ante il rispetto dei massimali e dei divieti di cumulo. Ogni amministrazione che eroga un aiuto di Stato deve inserirlo nel Registro, e il sistema blocca (o segnala) l’eventuale superamento di soglie. Inoltre, il RNA tiene traccia dei soggetti a cui è stato ordinato di restituire aiuti dichiarati illegittimi dalla Commissione Europea, in attuazione dell’art. 16 del Regolamento UE 2015/1589. Quest’ultimo è il regolamento di procedura sugli aiuti di Stato, che all’art. 16 impone agli Stati membri di recuperare senza indugio qualsiasi aiuto ritenuto incompatibile da una decisione definitiva della Commissione. Su questo punto la giurisprudenza è granitica: nessuna norma interna può impedire il recupero di un aiuto di Stato illegittimo, nemmeno principi costituzionali come il legittimo affidamento o il buon andamento della PA, né eventuali decadenze amministrative o giudicati nazionali contrastanti. La Corte di Giustizia UE ha affermato con forza il primato del diritto UE sugli aiuti di Stato, e la Corte Costituzionale italiana ha ribadito che lo Stato deve attivare tutti i rimedi per dare esecuzione alle decisioni UE di recupero, anche riaprendo procedimenti chiusi se necessario. In pratica, se un’impresa ha ricevuto un aiuto poi giudicato illegittimo da Bruxelles, quell’impresa dovrà restituire l’importo, maggiorato di interessi, senza potersi opporre invocando di aver confidato nella legittimità o altro. Perfino un’eventuale sentenza italiana passata in giudicato che avesse negato il recupero può essere superata: lo Stato dovrebbe ad esempio utilizzare lo strumento della revocazione straordinaria per evitare di eludere l’obbligo comunitario.
Alla luce di ciò, possiamo definire quando un contributo pubblico è considerato “non spettante” o indebito: in generale, quando viola le condizioni previste dalle norme per poter mantenere quel beneficio. Alcuni casi tipici di contributo non spettante sono:
- L’impresa non aveva i requisiti soggettivi per l’agevolazione (ad es. settore errato, dimensione oltre il limite PMI, posizione irregolare con contributi previdenziali, ecc.).
- L’impresa ha ottenuto un importo maggiore del consentito (superando massimali individuali o cumulando più aiuti tra loro incompatibili o eccedendo il de minimis).
- L’impresa ha commesso errori formali sostanziali (es. non ha registrato l’aiuto nel RNA quando doveva farlo o non l’ha indicato in dichiarazione, rendendo di fatto “non valida” l’agevolazione fino a regolarizzazione).
- L’impresa ha utilizzato il contributo in maniera difforme dallo scopo previsto (ad es. lo ha distratto per altre finalità): in questo caso il contributo, pur ottenuto legittimamente, diventa indebito perché violata la destinazione d’uso.
- Il contributo rientra in un regime di aiuti che è stato successivamente dichiarato illegittimo dalla Commissione UE: questo capita ad esempio per alcune esenzioni fiscali considerate aiuti di Stato non notificati; in tali casi tutti i benefici fruiti dai destinatari diventano indebiti ex post (salvo rarissime ipotesi di deroga).
In tutte queste situazioni, il denominatore comune è che l’ordinamento non “autorizza” più quel vantaggio economico: esso diviene un indebito da recuperare. Da qui discende l’obbligo per l’amministrazione concedente (o per l’Agenzia delle Entrate, se parliamo di crediti d’imposta o aiuti fiscalmente gestiti) di avviare le procedure di recupero delle somme.
Va notato che, accanto alle norme “di sostanza” appena viste, esistono anche disposizioni procedurali nazionali che facilitano il recupero: una è la Legge 190/2014 (Legge di Stabilità 2015), commi 634-636 dell’art.1, che ha introdotto strumenti di compliance fiscale. In attuazione di tali norme l’Agenzia delle Entrate invia comunicazioni ai contribuenti per stimolarli a regolarizzare spontaneamente situazioni anomale (es. con dichiarazioni integrative), prima di emettere atti impositivi veri e propri. Questo approccio è stato esteso anche agli aiuti di Stato: le lettere di compliance come quella citata del 5/6/2025 rientrano in questa logica. Significa che spesso, prima di ricevere un atto formale di revoca o accertamento, il contribuente potrà ricevere una lettera “bonaria” di segnalazione dell’irregolarità, con chance di sistemare le cose spontaneamente. Più avanti descriveremo come conviene comportarsi in tal caso.
In conclusione, il quadro normativo italiano/europeo fa sì che ogni contributo pubblico percepito “illegalmente” o senza averne titolo debba essere restituito, e che gli enti preposti abbiano sia il dovere che gli strumenti per pretenderne la restituzione. Nel prossimo paragrafo analizzeremo nello specifico come avvengono le verifiche e contestazioni da parte dei vari enti (Fisco, enti erogatori, organi di controllo) quando si sospetta che un contributo non sia stato dichiarato o sia indebito, e quali procedure vengono attivate.
Verifiche e contestazioni: Agenzia Entrate, Guardia di Finanza, INPS, Regioni
Le situazioni che abbiamo descritto – omessa pubblicazione, violazione di soglie di aiuto, errori dichiarativi, ecc. – vengono in genere portate alla luce attraverso attività di controllo svolte da diverse autorità. A seconda della natura del contributo e della violazione, infatti, possono intervenire organi differenti. In questa sezione vediamo i principali attori incaricati delle verifiche e le modalità con cui le contestazioni vengono formalizzate:
- Agenzia delle Entrate (profilo fiscale e aiuti di Stato): L’AdE svolge un ruolo chiave soprattutto per i contributi che transitano dal sistema tributario (es. crediti d’imposta, contributi a fondo perduto Covid, esenzioni fiscali, ecc.) e in generale per il monitoraggio degli aiuti di Stato tramite le dichiarazioni fiscali. Come già accennato, l’Agenzia incrocia i dati delle dichiarazioni con quelli del Registro Aiuti: in presenza di difformità o omissioni, invia al contribuente una lettera di compliance. Questa lettera non è un atto impositivo, ma un invito a verificare e – se necessario – a correggere la propria posizione. Ad esempio, può segnalare che “nel quadro Aiuti di Stato del 2021 risultano dati non coerenti con il RNA” oppure che “un contributo X non risulta spettante in base alle informazioni disponibili”. Cosa fare quando arriva la lettera? Innanzitutto non va ignorata: benché normalmente la comunicazione specifichi che “non occorre una risposta formale”, è fondamentale attivarsi per chiarire o regolarizzare. Se effettivamente si riscontra che l’aiuto era indebito (ad esempio si scopre di aver superato il de minimis, oppure di aver commesso un errore), occorre procedere a sistemare il tutto, di solito presentando una dichiarazione integrativa per correggere i dati e predisponendo il versamento spontaneo di quanto dovuto (restituendo il contributo non spettante e pagando la sanzione ridotta per ravvedimento). Se invece si ritiene che la segnalazione dell’Agenzia sia errata (ad esempio perché l’anomalia è frutto di un errore del sistema o di un chiarimento normativo non recepito), è opportuno contattare l’ufficio spiegando le proprie ragioni e fornendo documentazione di supporto. Pur non essendovi l’obbligo di rispondere per iscritto alla lettera, farlo è spesso conveniente: un dialogo preventivo può evitare l’emissione di un atto formale o portare al suo annullamento se l’ufficio si convince che il contribuente ha ragione. In ogni caso, ignorare completamente la comunicazione è la scelta peggiore: l’inerzia viene interpretata come mancanza di volontà collaborativa, spingendo il Fisco a procedere con accertamenti “a mano pesante”.
Se il contribuente regolarizza spontaneamente, di solito la vicenda si chiude lì: l’Agenzia prende atto della dichiarazione integrativa e dei versamenti effettuati. La sanzione applicata in sede di ravvedimento è quella prevista per indebita fruizione di un credito/aiuto, ridotta in base al momento del ravvedimento (ad esempio, se avviene prima dell’accertamento, può essere 1/6 del minimo). Spesso, per aiuti non spettanti, la sanzione piena prevista è pari al 30% o 100% dell’importo indebito a seconda dei casi (per i contributi a fondo perduto Covid ad esempio era fino al 100%, per altri crediti d’imposta illegittimi in genere 30% ai sensi del D.Lgs. 471/1997). Con il ravvedimento il contribuente paga una frazione ridotta di tali importi. Non è possibile in questa fase rateizzare né compensare con crediti tributari le somme dovute: il versamento va fatto in un’unica soluzione tramite F24, con utilizzo dei codici tributo appositi (per i fondi Covid ad esempio erano il codice 8077 per il capitale da restituire, 8078 per gli interessi e 8079 per la sanzione). Solo se si arriva invece alla fase di riscossione coattiva tramite cartella esattoriale sarà ammessa la dilazione a rate ordinaria (fino a 72 rate, estensibili a 120 in casi di difficoltà grave).
Se il contribuente non regolarizza, trascorso un po’ di tempo (solitamente alcuni mesi) l’Agenzia procederà ad emettere un atto formale. A seconda della natura dell’aiuto, può trattarsi di un avviso di accertamento (se viene trattato alla stregua di maggiore imposta/credito indebito su cui applicare sanzioni tributarie) oppure di un atto di recupero ai sensi di specifiche norme (ad esempio, per i contributi a fondo perduto Covid l’art. 25 D.L.34/2020 prevedeva l’emissione di un atto di recupero notificato al soggetto che ha fruito del contributo indebito). In tali atti formali l’Amministrazione contesterà ufficialmente la spettanza dell’aiuto, indicando l’importo da restituire, le sanzioni (che a questo punto saranno intere, ad es. 100% dell’indebito) e gli interessi maturati. A differenza della fase bonaria, qui vengono assegnati termini perentori per pagare (tipicamente 60 giorni) oppure per impugnare. Impugnazione: l’atto di recupero emesso dall’AdE è equiparabile a un provvedimento impositivo, pertanto andrà impugnato davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (già Commissione Tributaria) competente entro 60 giorni dalla notifica. Il contribuente potrà contestare nel merito la pretesa (ad esempio sostenendo che l’aiuto era in realtà dovuto, oppure che la sanzione va ridotta al minimo) oppure anche vizi procedurali (motivazione carente, errore nei conteggi, notifica invalida, ecc.). Se l’atto non viene impugnato né pagato entro 60 giorni, diverrà definitivo e sarà iscritto a ruolo per la riscossione forzata.
- Guardia di Finanza (controlli finanziari e profili penali): La Guardia di Finanza svolge un duplice ruolo in questa materia. Da un lato, agisce come polizia tributaria a supporto dell’Agenzia Entrate nei controlli fiscali: non di rado è la GdF, durante un’ispezione in azienda, a scoprire che ci sono contributi pubblici non dichiarati o utilizzati in modo anomalo, redigendo un processo verbale di constatazione che poi l’AdE utilizzerà per il recupero tributario. Dall’altro lato, la GdF opera anche come polizia giudiziaria, indagando su eventuali reati connessi alla percezione indebita di fondi pubblici. In particolare, esistono due fattispecie penali frequentemente coinvolte: l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter Codice Penale) e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.). La differenza, in estrema sintesi, sta negli artifizi o raggiri: se chi ha ottenuto il contributo lo ha fatto semplicemente dichiarando il falso od omettendo informazioni dovute, senza una vera “messa in scena” fraudolenta, si ricade in 316-ter c.p.; se invece vi è una condotta più insidiosa, con raggiri attivi tali da indurre in errore l’ente erogatore, si configura la truffa aggravata (640-bis). Entrambi i reati sono puniti con la reclusione (fino a 3 anni per l’indebita percezione oltre la soglia di non punibilità, e fino a 6 anni per la truffa aggravata). Inoltre, se l’indebito riguarda fondi europei o cofinanziati UE, scatta un’aggravante specifica (art. 316-ter co.1 ultimo periodo c.p.) che aumenta le pene. Ad esempio, la Cassazione penale n.16979/2024 ha confermato che l’erogazione di contributi a fondo perduto Covid ottenuta con false dichiarazioni integra il reato di 316-ter c.p., richiamando la circostanza aggravante nei casi in cui vi sia lesione degli interessi finanziari dell’UE. Va peraltro segnalato che le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n.11969 depositata a marzo 2025, hanno chiarito importanti aspetti sull’applicabilità dell’art.316-ter anche a condotte omissive di mancata comunicazione: nel caso di specie, una società aveva omesso di dichiarare l’esistenza di cause ostative mentre richiedeva agevolazioni contributive INPS per assunzioni da liste di mobilità, ottenendo indebitamente sconti sui contributi previdenziali; la Suprema Corte a Sezioni Unite ha statuito che tale condotta omissiva configura comunque il reato di indebita percezione, ed è unitaria e a consumazione prolungata se il beneficio è erogato in più tranche periodiche, consumandosi il reato al momento dell’ultimo rateo percepito. In sostanza, anche non dichiarare un’informazione dovuta per ottenere un contributo può costituire reato.
La Guardia di Finanza, in fase di indagine, può effettuare perquisizioni, acquisire documentazione contabile e progettuale, sentire testimoni, ecc. Se riscontra irregolarità amministrative, tipicamente le segnala all’ente erogatore o all’Agenzia Entrate per il recupero. Se emergono indizi di reato, trasmette gli atti alla Procura della Repubblica. Dal punto di vista del debitore, è importante sapere che molto spesso la GdF – specie su vicende recenti di fondi pubblici – adotta un approccio graduale: se l’azienda collabora e restituisce spontaneamente le somme indebite, i finanzieri tendono a non procedere immediatamente con denunce penali nei casi dubbi o lievi. Ad esempio, durante i controlli sui fondi PNRR e sui fondi Covid, la GdF ha talvolta lasciato uno spiraglio ai percettori in buona fede per regolarizzare restituendo i fondi, senza far scattare subito la denuncia, purché l’errore fosse lieve e prontamente sanato. Viceversa, quando la GdF riscontra inerzia o dolo evidente, parte immediatamente la segnalazione all’Autorità Giudiziaria. Dunque, dal punto di vista strategico, rimborsare quanto prima il contributo non spettante può non solo ridurre sanzioni e interessi, ma anche evitare conseguenze penali: dimostrare pentimento e attivarsi spontaneamente spesso evita l’accusa di truffa o indebita percezione (che richiede l’elemento soggettivo del dolo). Non a caso l’art. 13 co.1-ter D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) prevede la non punibilità per chi salda integralmente i debiti tributari prima del processo – principio estensibile analogicamente come attenuante nelle frodi ai contributi. Di contro, non restituire nulla e attendere l’azione coattiva rafforza agli occhi degli inquirenti la prova del dolo, cioè la volontà di mantenere un profitto indebito.
Infine, ricordiamo che accanto ai reati di indebita percezione e truffa, possono configurarsi ulteriori reati in caso di contributi non dichiarati: per esempio la malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.), che si realizza quando si usano fondi pubblici per scopi diversi da quelli per cui sono stati erogati (distrazione); oppure reati di falso in atto pubblico se si sono falsificati documenti o dichiarazioni (artt. 483 e 489 c.p.). Tali fattispecie si sommano spesso al reato principale. Tuttavia, va sottolineato: il mancato pagamento di un contributo da restituire, di per sé, non costituisce reato – è l’averlo ottenuto indebitamente, con false dichiarazioni od omissioni iniziali, a rilevare penalmente. Dunque, chi onestamente ha commesso un errore e lo rimedia difficilmente subirà un procedimento penale; chi invece ha agito con frode e continua a non collaborare, rischia serio coinvolgimento giudiziario.
- Enti previdenziali (es. INPS) e altri enti erogatori: Un caso particolare di contributi pubblici sono le agevolazioni contributive o previdenziali gestite da enti come l’INPS. Si pensi agli sgravî contributivi per assunzioni agevolate, esoneri under 36, incentivi per l’occupazione femminile, decontribuzione al Sud, ecc., che lo Stato offre per promuovere l’impiego. Tali benefici spesso sono condizioni dall’assenza di determinate situazioni (es. regolarità DURC, assenza di licenziamenti nei mesi precedenti, mantenimento in servizio del lavoratore per almeno 2 anni, ecc.). Se poi risulta che l’azienda non rispettava le condizioni o non le ha mantenute, l’INPS revoca l’agevolazione e chiede il pagamento dei contributi che erano stati abbuonati, con interessi e sanzioni civili. Ad esempio, se un datore di lavoro usufruisce dell’esonero triennale per giovani assunti ma poi licenzia il giovane prima del termine minimo previsto, l’agevolazione viene persa e l’INPS richiede tutti i contributi arretrati. Un altro esempio: l’omessa comunicazione di informazioni dovute all’INPS – come nel caso oggetto della Cass. SU 11969/2024 citato sopra – può portare a indebito. Procedura: di solito l’INPS invia un provvedimento (lettera o PEC) in cui contesta la decadenza dall’esonero e intima il pagamento entro un termine. Se non si paga, l’importo viene iscritto a ruolo e arriverà una cartella di pagamento da Agenzia Entrate-Riscossione. Anche in questo caso, per difendersi bisogna distinguere: se si contesta il merito della revoca (ad es. sostenendo che i requisiti c’erano, o che c’era una giusta causa di licenziamento che salva il bonus), bisogna fare ricorso al giudice del lavoro (Tribunale in funzione di giudice del lavoro) entro 40 giorni dall’atto, trattandosi di materia previdenziale; se invece si vuole contestare vizi formali della cartella (es. prescrizione, notifica), si può fare ricorso al giudice tributario entro 60 giorni dalla notifica della cartella. Spesso conviene agire su entrambi i fronti coordinando i ricorsi. È importante anche qui eventualmente chiedere rateazioni all’Agente della Riscossione per evitare misure cautelari durante il contenzioso.
- Regioni, Ministeri ed enti locali (finanziamenti pubblici): Moltissimi contributi pubblici sono erogati sotto forma di finanziamenti a fondo perduto o contributi in conto capitale da parte di enti come Regioni, Ministeri, Comuni, Camere di Commercio. Si pensi ai bandi POR FESR, ai fondi del PNRR gestiti da Ministeri e Regioni, ai contributi per internazionalizzazione, innovazione, emergenza Covid locali, ecc. In questi casi l’ente concedente tipicamente fa firmare al beneficiario un atto di adesione o convenzione, in cui si obbliga a realizzare un certo progetto, a rendicontare le spese e a rispettare vincoli (es. non delocalizzare per 5 anni, non cedere i beni acquistati, raggiungere determinati obiettivi). Se il beneficiario non adempie agli obblighi, l’ente può disporre la revoca totale o parziale del contributo. Ad esempio, il mancato raggiungimento degli obiettivi del progetto PNRR finanziato, o gravi ritardi, comportano la revoca secondo quanto previsto dall’art. 8, co.5 del D.L. 77/2021 (Governance PNRR). Allo stesso modo, irregolarità nella rendicontazione (spese non giustificate, fatture non ammissibili) portano spesso a revoche parziali: viene decurtato dal contributo tutto ciò che non è adeguatamente documentato. In altri casi ancora, la revoca è sanzionatoria, ad esempio se si scopre che il beneficiario ha presentato documenti falsi o ha distorto le somme, l’ente revoca tutto e richiede indietro ogni euro erogato.
Procedura amministrativa di revoca: in base alla legge sul procedimento (L.241/1990) e alle norme specifiche (ad es. D.Lgs.123/1998 sulle agevolazioni alle imprese), l’ente deve seguire un certo iter: di solito invia una comunicazione di avvio del procedimento di revoca, indicando le inadempienze riscontrate e dando un termine (es. 10 o 30 giorni) per presentare memorie e giustificazioni (controdeduzioni). Il beneficiario ha la chance di spiegare eventuali motivi per cui la revoca non dovrebbe essere disposta (ad esempio può sostenere che il ritardo è dovuto a causa forza maggiore, o che una spesa contestata in realtà è ammissibile). L’ente poi valuta le controdeduzioni e adotta il provvedimento finale di revoca, notificandolo all’interessato. In tale provvedimento viene quantificata la somma da restituire (spesso l’intero contributo o la parte proporzionale alle irregolarità) e fissato un termine per il pagamento spontaneo (es. 60 giorni). Decorso inutilmente tale termine, l’ente può procedere con la riscossione coattiva: alcuni enti emettono un ordine di ingiunzione ai sensi del R.D. 639/1910 (ingiunzione fiscale) direttamente esecutivo; più spesso, iscrivono a ruolo il credito e lasciano che sia notificata una cartella esattoriale tramite Agenzia Entrate-Riscossione. La cartella includerà l’importo dovuto, più interessi (spesso al tasso legale o diverso tasso previsto dal bando) e eventuali sanzioni amministrative se contemplate (ad esempio, alcuni schemi di aiuto prevedono sanzioni forfettarie o penali contrattuali in caso di inadempimento).
Difendersi dalla revoca: il soggetto che subisce una revoca ha due livelli di tutela giurisdizionale. Primo, può impugnare il provvedimento di revoca (che è un atto amministrativo) davanti al TAR competente entro 60 giorni dalla notifica. I motivi di ricorso possono essere sia formali (es. difetto di motivazione, mancato rispetto del contraddittorio procedimentale) sia sostanziali (es. dimostrare che gli obiettivi in realtà erano stati raggiunti, contestare l’interpretazione dell’ente, ecc.). Secondo, se arriva la cartella di pagamento, può impugnare anche quella davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, ma solo per vizi propri della cartella (es. la mancata notificazione dell’atto presupposto di revoca, intervenuta prescrizione, importo diverso da quello nella revoca, ecc.). È importante capire che il merito della revoca (la decisione di revocare) può essere discusso solo al TAR; il giudice tributario non può sindacare se la revoca era giusta o sbagliata, ma solo se la cartella è valida in base a quel provvedimento. Pertanto spesso è necessario attivare entrambe le impugnazioni in parallelo, coordinandole (magari chiedendo al TAR una sospensiva per evitare che la cartella venga riscossa prima che il TAR decida).
Oltre ai ricorsi giudiziali, esistono strumenti amministrativi: si può presentare un’istanza di autotutela all’ente erogatore chiedendo l’annullamento o la rettifica della revoca, magari portando nuovi elementi (ad esempio documenti che provano aver raggiunto gli obiettivi, o evidenziando che l’inosservanza è dipesa da cause non imputabili). L’ente non è obbligato ad accogliere l’istanza, ma se le argomentazioni sono fondate potrebbe revocare in autotutela il proprio atto (in tutto o in parte), evitando il contenzioso. In ogni caso, l’istanza di autotutela non sospende i termini per il ricorso al TAR o la cartella, per cui va eventualmente fatta in aggiunta e non in sostituzione dei rimedi giurisdizionali.
Una menzione va fatta al ruolo della Corte dei Conti: in casi di particolare gravità, specie quando vi sono fondi distratti o rendicontazioni false, la Procura regionale della Corte dei Conti può aprire un procedimento per danno erariale a carico dei responsabili. Ad esempio, è accaduto con contributi pubblici erogati ad associazioni sportive e poi utilizzati in parte in modo illecito: la magistratura contabile ha citato in giudizio sia l’associazione beneficiaria sia il legale rappresentante, chiedendo la condanna a risarcire allo Stato (o ente pubblico) il danno pari all’importo del contributo mal utilizzato . In un caso del 2022, relativo a contributi comunali per eventi sportivi rendicontati con documenti falsi, la Corte dei Conti ha affermato principi importanti: presentare dichiarazioni o documenti falsi o incompleti per ottenere o trattenere finanziamenti pubblici configura una condotta fraudolenta che causa un danno erariale pari all’intero importo percepito. Inoltre, ha ribadito che il legale rappresentante dell’ente beneficiario risponde in solido con l’ente stesso, poiché i privati percettori di contributi pubblici sono considerati investiti di un rapporto di servizio con la PA, e dunque soggetti alla giurisdizione contabile in caso di abuso . Per il debitore ciò significa che, nei casi più fraudolenti, oltre alla revoca del contributo e alle eventuali sanzioni penali, vi può essere una ulteriore condanna in sede contabile a rifondere il danno, spesso con aggravio di interessi legali e rivalutazione monetaria, e senza che valgano le limitazioni di responsabilità tipiche del diritto privato (ad es. l’amministratore può essere chiamato a pagare con il proprio patrimonio insieme all’ente). Fortunatamente, questi sono casi estremi; nella maggior parte delle contestazioni la vicenda rimane nell’alveo amministrativo/tributario.
Verifiche sui fondi europei (PNRR, FESR): Un’ultima considerazione meritano i controlli specifici sui fondi cofinanziati dall’Unione Europea, come il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e i fondi strutturali (FESR, FSE). Per tali fondi, l’UE richiede meccanismi stringenti di monitoraggio. I Regolamenti UE (es. Reg. 2021/241 sul dispositivo RRF, art. 22) prevedono che in caso di gravi irregolarità o mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati (milestone), possano essere ridotti o sospesi i finanziamenti. Lo Stato italiano, a sua volta, nelle convenzioni PNRR con i beneficiari, inserisce clausole di revoca totale o parziale del contributo se, ad esempio, il progetto finanziato non viene completato nei tempi o non raggiunge gli indicatori concordati. Inoltre, molte call PNRR o bandi FESR richiedono come requisito che l’impresa non abbia aiuti illegittimi pendenti da restituire e sia in regola con obblighi verso la PA. Ciò significa che un’impresa inadempiente (che non ha restituito un aiuto non spettante di un precedente progetto) rischia di essere esclusa dall’accesso ad ulteriori finanziamenti, finché non regolarizza la sua posizione. Inoltre, se il nome dell’impresa figura nell’elenco dei debitori nel Registro Aiuti (perché destinataria di un ordine di recupero non ottemperato), ogni nuova domanda di aiuto verrà bloccata in fase istruttoria. In pratica esiste una sorta di “blacklist” dei morosi che impedisce di ottenere nuovo denaro pubblico fino a quando non si sana il dovuto. Questo fornisce un ulteriore incentivo a sistemare eventuali contestazioni pregresse: il costo di restare inadempienti non è solo il debito che prima o poi verrà riscosso, ma anche la preclusione da future opportunità di finanziamento pubblico, spesso vitali per le imprese innovative o in settori strategici.
Riassumendo questa sezione, ogni ente ha i suoi strumenti di controllo e intervento: l’Agenzia delle Entrate incrocia dati e invia lettere/avvisi, la Guardia di Finanza investiga e sanziona anche penalmente, l’INPS revoca esoneri contributivi indebiti, le Regioni e i Ministeri revocano finanziamenti non meritati. Dal punto di vista di chi riceve la contestazione, è fondamentale capire chi è l’attore competente e qual è la natura dell’atto ricevuto, perché da ciò dipende la strategia di difesa (diverso è ricevere una lettera bonaria vs un avviso di accertamento vs un decreto di revoca vs una cartella esattoriale). Nel prossimo capitolo vedremo appunto come difendersi efficacemente, distinguendo le varie situazioni.
Come difendersi: strategie e strumenti di tutela per il debitore
Quando ci si trova di fronte a una contestazione relativa a contributi pubblici non dichiarati o indebitamente percepiti, è essenziale adottare una strategia di difesa tempestiva e ben pianificata. Di seguito esaminiamo i principali strumenti a disposizione del debitore e i passi da compiere, a seconda dello stadio in cui si trova la procedura (fase bonaria, fase amministrativa, fase della riscossione coattiva, ecc.):
- Regolarizzazione spontanea (“ravvedimento operoso”): Se la contestazione arriva in forma di lettera di compliance o segnalazione informale (es. una PEC dell’ente finanziatore che invita a verificare la propria posizione), spesso la soluzione migliore è cercare di risolvere prima che scatti un provvedimento formale. Ciò può implicare: presentare una dichiarazione integrativa fiscale per inserire l’aiuto omesso (nei limiti dei termini di legge, solitamente entro il 31 dicembre del quinto anno successivo); predisporre il versamento volontario delle somme indebitamente fruite (utilizzando gli appositi codici tributo se indicati, altrimenti versando direttamente all’ente erogatore secondo le istruzioni ricevute); inviare una relazione all’ente spiegando l’errore ed evidenziando la volontà di conformarsi. Il vantaggio del ravvedimento è che consente di fruire di sanzioni ridotte e di evitare le spese del contenzioso. Ad esempio, se la sanzione piena per un contributo non spettante sarebbe il 100% dell’importo, col ravvedimento può scendere al 1/6 o 1/5 (quindi 16% o 20%). Inoltre, nella maggior parte dei casi, un ravvedimento completo chiude la vicenda senza ulteriori conseguenze: l’ente prende atto e non emette atti ulteriori. È importante tuttavia rispettare le modalità di regolarizzazione richieste: per l’AdE, ad esempio, finché non viene notificato un accertamento si può ravvedere un’indebita fruizione pagando sanzione ridotta, ma una volta notificato l’atto formale il ravvedimento “ordinario” non è più ammesso. Pertanto, tempestività è la parola d’ordine: se ricevete un invito bonario, è bene attivarsi entro 30-60 giorni al massimo, anche se formalmente i termini di legge per integrative potrebbero essere più lunghi.
- Comunicazione e chiarimenti all’ente: Nel caso in cui riteniate che la contestazione sia frutto di un errore (ad esempio: avete pubblicato i contributi ma l’ente sostiene di no; oppure l’importo contestato come eccedenza de minimis in realtà rientra nei limiti per via di una diversa interpretazione), è opportuno comunicare attivamente con l’ente prima che emetta un ordine definitivo. Ciò può avvenire tramite una lettera o PEC in cui si espongono le proprie ragioni, allegando documenti probatori. Spesso gli enti (soprattutto Agenzia Entrate) forniscono nella lettera stessa dei canali di contatto (email, telefono) per chiarimenti. Utilizzare questi canali dimostra buona fede e cooperazione. Potreste scoprire che l’anomalia segnalata è dovuta a un banale errore di codice o a un ritardo di allineamento banche-dati: in tal caso la posizione verrà facilmente archiviata. Anche qualora l’ufficio non si convinca subito, la vostra comunicazione scritta costituirà già una base per un’eventuale difesa successiva, mostrando che avete agito in trasparenza.
- Autotutela amministrativa: Se vi è già un atto formale (ad es. un provvedimento di revoca o un accertamento) ma ritenete di avere elementi validi per contestarlo, potete presentare un’istanza di autotutela all’autorità che ha emanato l’atto, chiedendone l’annullamento o la rettifica. L’autotutela è una richiesta all’amministrazione di riesaminare il proprio operato e correggerlo se errato. Non sospende i termini di ricorso (quindi va eventualmente presentata parallelamente al ricorso giurisdizionale), ma a volte può risolvere la questione più rapidamente se l’ente riconosce l’errore. Nell’istanza occorre indicare i motivi in fatto e in diritto per cui l’atto sarebbe illegittimo (es: “il contributo non andava restituito perché nel bando era prevista una proroga poi ottenuta”, oppure “la sanzione è stata calcolata in misura eccedente il massimo edittale, si chiede la rideterminazione”). Bisogna allegare documenti utili e magari prospettare le conseguenze negative in caso di contenzioso, per convincere l’ente che annullare ora evita spreco di risorse. Alcuni enti hanno moduli o uffici dedicati per l’autotutela; altri no, e basta una lettera formale. È importante inviare l’istanza con mezzi tracciabili (PEC, raccomandata A/R) e conservarne copia.
- Impugnazione nelle sedi giudiziarie competenti: Qualora l’atto di contestazione sia definitivo (es. un’ingiunzione di pagamento, una cartella esattoriale, un provvedimento di revoca) e non si riesca o non si voglia risolvere bonariamente, occorre valutare il ricorso al giudice. Come visto, la scelta del giudice dipende dalla natura dell’atto:
- Cartella di pagamento emessa per recupero di contributi pubblici: competenza del Giudice Tributario (Commissione/Corte di Giustizia Tributaria), entro 60 giorni. Motivi tipici: prescrizione (spesso 5 o 10 anni a seconda dei casi, da valutare), difetti di notifica dell’atto presupposto (es. la revoca non è mai stata notificata, quindi la cartella è nulla), vizi formali della cartella.
- Avviso di accertamento/atto di recupero AdE: competenza Giudice Tributario, entro 60 giorni, motivi sia formali che di merito (contestare l’esistenza dell’indebito, chiedere applicazione di sanzione minima, ecc.).
- Provvedimento di revoca di ente pubblico: competenza del TAR (giudice amministrativo), entro 60 giorni. Qui si discute il merito amministrativo: ad esempio, si può sostenere che l’ente ha abusato del potere sanzionatorio revocando integralmente anziché parzialmente (principio di proporzionalità), oppure che non vi erano le condizioni per la revoca perché il progetto era stato realizzato sostanzialmente, etc. Importante: chiedere subito la sospensiva al TAR se nel frattempo l’ente o il concessionario della riscossione sta procedendo ad esigere i soldi – il TAR può sospendere l’efficacia della revoca in attesa della sentenza, se ravvisa un danno grave e immediato per l’azienda.
- Atto di diffida INPS/Avviso di addebito: gli avvisi di addebito INPS (titoli esecutivi per contributi dovuti) vanno impugnati davanti al Tribunale Lavoro entro 40 giorni dalla notifica. Se il motivo è che l’agevolazione non andava revocata, sarà il giudice del lavoro a valutare la sussistenza o meno dei requisiti.
- Misure penali: se (auspicabilmente no) doveste ricevere un invito a comparire come indagati o un rinvio a giudizio per reati connessi (316-ter, 640-bis c.p. ecc.), la difesa esula dallo scopo di questa guida – sarà compito dell’avvocato penalista impostare la strategia (che potrà avvalersi anche dell’aver già restituito il maltolto per chiedere magari l’estinzione del reato se possibile o attenuanti).
Prima di impugnare, va sempre fatto un attento bilancio costi/benefici: a volte fare ricorso conviene per guadagnare tempo o per ridurre l’importo dovuto (specie se ci sono margini per una mediazione con l’ente), ma come accennato conviene evitare la via contenziosa se l’indebito è palese e le sanzioni sono riducibili con l’adesione spontanea. Una causa può durare anni e comportare spese legali significative, oltre all’incertezza. D’altro canto, se sono stati commessi errori procedurali dall’ente o l’importo richiesto appare sproporzionato, il ricorso può portare ad annullare o ridimensionare la pretesa. Ad esempio, ci sono stati casi in cui un giudice ha annullato revoche di contributi perché l’ente non aveva rispettato il contraddittorio endoprocedimentale (violazione dell’art.7 L.241/90 sul preavviso di rigetto). In altri, giudici tributari hanno ricondotto la sanzione al minimo edittale riconoscendo l’assenza di dolo grave, anche quando l’ufficio aveva applicato il massimo.
- Negoziazione e soluzioni alternative: Talvolta è possibile percorrere soluzioni transattive o di clemenza legislativa. Ad esempio, se intervengono definizioni agevolate o condoni normativi (come la “rottamazione” delle cartelle, o sanatorie inserite nelle Leggi di Bilancio), il debitore potrà valutare di aderirvi se includono i carichi da aiuti pubblici. Nel 2023, ad esempio, vi era una definizione agevolata delle liti pendenti col Fisco, ma riguardava essenzialmente tributi e non aiuti; in futuro però il legislatore potrebbe prevedere condoni su specifiche fattispecie di aiuti indebitamente fruiti. Un’altra via è la rateizzazione extragiudiziale: se l’importo è molto alto, alcuni enti (soprattutto Ministeri) accettano di spalmare la restituzione su più anni tramite accordo, specialmente per progetti UE dove recuperare subito tutto potrebbe far fallire l’azienda vanificando gli obiettivi del progetto. Non c’è un diritto a ottenere queste dilazioni, ma tentarne la richiesta – motivata con piani di rientro credibili – può essere utile.
In casi estremi di crisi dell’impresa, il debito derivante da revoca contributi può essere incluso in procedure concorsuali o di composizione della crisi (es. concordato preventivo/minore, piano di ristrutturazione del debito, liquidazione controllata). Questo ovviamente è l’ultima spiaggia ed esula dalla trattazione qui, ma va ricordato che anche lo Stato può essere trattato come un creditore qualsiasi nei limiti della legge fallimentare/ristrutturazione, se l’azienda non è in grado di pagare.
- Evitare ulteriori conseguenze: Difendersi significa anche limitare i danni collaterali. Ad esempio, se vi è il rischio di una segnalazione al RNA come debitore inadempiente, conviene avvisare l’ente che si sta procedendo ad un ricorso o che si chiede sospensione in attesa di definizione, per evitare l’immediata iscrizione in elenco. Se arriva una cartella, attivarsi subito con richiesta di rateazione all’ADER può scongiurare misure come fermi amministrativi, pignoramenti o ipoteche durante il contenzioso. La rateazione standard fino a 72 rate oggi è concessa quasi automaticamente per debiti < €120.000, e sospende azioni esecutive finché si paga regolarmente. Questo può dare respiro mentre si cerca una soluzione legale o negoziale.
In conclusione, la difesa del debitore si articola su più livelli: prevenzione e cooperazione nelle fasi iniziali (meglio correggere e pagare poco che litigare per anni), azione legale mirata quando vi sono buone ragioni o ingiustizie evidenti, e gestione finanziaria ostraordinaria del debito quando necessario (dilazioni, accordi, procedure concorsuali). L’importante è non subire passivamente: come abbiamo visto, restare inerti comporta inevitabilmente il passaggio a misure più dure (sanzioni piene, interessi di mora, denunce). Muovendosi con intelligenza invece si possono minimizzare le perdite e in certi casi salvare il contributo (se si dimostra che la contestazione era infondata).
Di seguito proponiamo alcune Domande e Risposte frequenti, che sintetizzano i dubbi più comuni, e successivamente delle tabelle riassuntive dei concetti chiave e delle procedure di difesa.
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa si intende esattamente per “contributo pubblico non dichiarato” o “aiuto non spettante”?
R: Si intende un’agevolazione pubblica – come un contributo a fondo perduto, un credito d’imposta, uno sgravio contributivo, una garanzia pubblica su un prestito, ecc. – di cui un soggetto ha usufruito senza averne diritto secondo le norme vigenti. In pratica è sinonimo di “agevolazione indebitamente fruita”. Le cause possono variare: ad esempio l’impresa non rispettava i requisiti previsti dal bando o dalla legge (settore, dimensione, regolarità contributiva…); oppure ha ottenuto più aiuti del consentito (superando soglie o cumulando incentivi incompatibili); oppure ha commesso irregolarità formali sostanziali (come dimenticare di registrare l’aiuto, rendendolo “sospeso”). In tutti i casi, il vantaggio economico acquisito non è autorizzato dall’ordinamento, e l’ente pubblico ne chiede la restituzione. Nel linguaggio comune, “non dichiarato” può riferirsi sia al fatto che non è stato dichiarato al Fisco/in registri (aspetto formale), sia al fatto che non doveva proprio essere incassato (aspetto sostanziale): spesso le due cose coincidono, perché chi sa di non averne diritto tende a non dichiararlo, e viceversa la mancata dichiarazione rende l’aiuto non perfezionato validamente.
D: Perché ho ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate che parla di un aiuto di Stato non spettante?
R: Si tratta della cosiddetta lettera di compliance. La ricevi perché, incrociando i dati della tua dichiarazione dei redditi (o altre comunicazioni fiscali) con le banche dati ufficiali sugli aiuti, l’Agenzia ha rilevato una difformità. In particolare, per l’anno d’imposta indicato, risulta che uno o più aiuti di Stato che hai indicato (o di cui hai beneficiato) non trovano riscontro nel Registro Nazionale Aiuti oppure appaiono non conformi alle regole (es. oltre soglia de minimis). L’Agenzia quindi ti invia questa comunicazione bonaria per segnalarti il problema e darti modo di rimediare spontaneamente. Non è un’accusa definitiva, ma un invito a verificare e sistemare. Ignorarla sarebbe un errore: conviene invece controllare subito di cosa si tratta e procedere come spiegato (integrativa, pagamento spontaneo, o chiarimenti se c’è un errore dell’Agenzia).
D: Devo rispondere formalmente a questa lettera dell’AdE?
R: La lettera in sé in genere specifica che “non è prevista una risposta scritta”. Ciò significa che non c’è un modulo di risposta obbligatorio da inviare. Tuttavia, non devi restare con le mani in mano! “Non richiede risposta” non va interpretato come “posso ignorarla”. Al contrario, devi agire: se, esaminando la situazione, effettivamente hai commesso un errore o fruito di un aiuto non dovuto, devi procedere a regolarizzare (presentando la dichiarazione integrativa, pagando il dovuto con ravvedimento, ecc.). Se invece ritieni che la segnalazione sia sbagliata, è opportuno contattare l’ufficio fornendo elementi a tuo favore. Non è obbligatorio inviare una lettera di spiegazioni, ma spesso è molto utile farlo per chiarire eventuali equivoci. In sintesi: non devi “rispondere” se hai già risolto correggendo tutto; mentre se pensi di essere nel giusto senza necessità di correzioni, conviene comunque inviare una comunicazione per spiegare perché l’Agenzia si sbaglia. L’importante è non restare in silenzio totale, altrimenti il Fisco lo interpreterà come mancata collaborazione e andrà avanti verso l’accertamento.
D: Qual è la scadenza per regolarizzare dopo la lettera?
R: La lettera di solito non fissa un termine perentorio (non essendo un atto impositivo), ma invita ad adempiere al più presto. Spesso viene suggerito di sistemare entro 30 giorni o comunque prima che partano controlli formali. In generale, il ravvedimento operoso è possibile fintanto che l’ufficio non notifichi un atto formale di accertamento o revoca. Quindi il vero termine ultimo è l’arrivo di un eventuale avviso, che può avvenire qualche mese dopo. È però altamente consigliato non aspettare: idealmente, regolarizza entro 30 o 60 giorni dalla ricezione della lettera, così da ridurre al minimo il rischio che nel frattempo scatti la fase successiva. Nota che se devi presentare una dichiarazione integrativa a tuo sfavore, i termini legali sono fino al 31 dicembre del quinto anno successivo (es: per correggere il 2021 hai tempo fino a fine 2026), ma non è prudente attendere l’ultimo giorno quando hai già la lettera in mano: l’Agenzia non aspetterà così a lungo per intervenire se non la rassicuri con un’azione rapida.
D: Cosa succede se ignoro la lettera di compliance e aspetto un eventuale accertamento?
R: È vivamente sconsigliato ignorarla! Se non fai nulla, quasi certamente dopo qualche tempo riceverai un atto formale (avviso di accertamento, atto di recupero o provvedimento di revoca) con sanzioni ben più elevate e senza più possibilità di ravvedimento. Dovrai a quel punto pagare entro termini brevi l’intero importo con sanzioni piene, oppure sobbarcarti un ricorso con costi aggiuntivi (tributari, legali). Insomma, trasformerai un alert bonario in un contenzioso costoso. A meno che tu non sia assolutamente certo che la segnalazione sia infondata – ma in tal caso è comunque meglio comunicarlo subito all’ufficio – ignorare la lettera è un grave errore. Anche una semplice telefonata al funzionario per chiedere chiarimenti è meglio dell’inerzia. Il messaggio da ricordare: il silenzio verrà interpretato come mancata volontà di regolarizzare, inducendo il Fisco a procedere con la mano pesante.
D: Posso chiedere una rateizzazione per restituire il contributo non spettante?
R: In fase di ravvedimento spontaneo, no. Non esiste una procedura formalizzata di rateizzo: devi versare tutto il dovuto in unica soluzione tramite modello F24. Non è neppure possibile compensare l’importo con eventuali crediti fiscali presenti. Detto questo, se la somma è molto ingente e hai oggettive difficoltà di liquidità, nulla vieta di contattare l’ufficio per vedere se informalmente accetta un pagamento in due tranche ravvicinate – non è previsto dalla norma, ma talvolta c’è flessibilità, purché entro breve saldi l’intero. In alternativa, puoi cercare fonti di finanziamento esterne (una banca, soci, ecc.) per reperire la liquidità necessaria a pagare ora ed evitare guai peggiori. Tieni presente che se lasci decorrere il tutto fino alla cartella esattoriale (fase coattiva), solo a quel punto la legge consente la rateazione “ufficiale” della cartella: attualmente fino a 72 rate mensili senza dover dare motivazione (importo fino a 120 mila €), e piani straordinari fino a 120 rate se c’è una comprovata grave difficoltà. Ma arrivare alla cartella significa aver perso i benefici del ravvedimento e dover pagare anche gli aggi di riscossione. Dunque, molto meglio fare uno sforzo ora per pagare, magari chiedendo un prestito ponte, che procrastinare.
D: Posso compensare l’importo da restituire con crediti fiscali miei (IVA, crediti INPS, ecc.)?
R: No, non è ammesso. Le norme specifiche sulle restituzioni di aiuti indebitamente fruiti escludono espressamente la compensazione in F24. Questo perché si tratta di somme dovute per il ripristino di situazioni di legalità (o somme provenienti dal bilancio UE), e il legislatore vuole un versamento “reale”. Ad esempio, nei codici tributo per restituire il fondo perduto Covid (8077-8079) era chiaramente previsto che l’F24 non potesse andare a credito. Quindi dovrai reperire la liquidità necessaria senza poter usare eventuali crediti d’imposta spettanti.
D: Quali sanzioni mi vengono applicate esattamente in caso di aiuto non spettante?
R: Dipende dalle circostanze e dalla tempistica. Se riesci a regolarizzare spontaneamente, ti verrà applicata la sanzione prevista per l’indebita fruizione ma in misura ridotta grazie al ravvedimento operoso. Ad esempio, se un contributo non spettante ti ha dato un vantaggio di 10.000 €, la sanzione base potrebbe essere 30% = 3.000 €; col ravvedimento effettuato tempestivamente potresti pagare solo 1/6 = 500 €. Se invece si arriva a un atto formale senza ravvedimento, le sanzioni saranno richieste in misura intera (salvo eventuale riduzione in adesione). Per i contributi a fondo perduto Covid, la norma (art.25 DL 34/2020) prevedeva espressamente una sanzione dal 100% al 200% dell’importo non spettante, quindi estremamente pesante (oltre alla citazione del penale 316-ter). Per altre tipologie di aiuti indebitamente fruiti di solito si applica la sanzione da infedele dichiarazione (90% dell’imposta/credito indebito) o altre sanzioni tributarie specifiche. In sede di accertamento, comunque, spesso gli uffici applicano il massimo edittale se vedono mala fede. Sta poi al giudice, eventualmente, ridurla al minimo se riconosce attenuanti. Ricordiamo inoltre che, oltre alle sanzioni amministrative pecuniarie, vi sono gli interessi legali dovuti dal giorno dell’indebito al giorno della restituzione (in media ~ il 3-4% annuo negli ultimi anni, variabile). E se il fatto è stato compiuto con dolo, potrebbero esserci anche sanzioni penali come detto, ma quello è un altro ambito.
D: Restituendo il contributo, posso recuperare le imposte che avevo pagato su di esso?
R: In parte sì, dipende dal trattamento fiscale originario del contributo. Ci sono due situazioni: 1. Se il contributo era esente da imposte (molti contributi pubblici, es. i ristori Covid, per legge non concorrevano a IRES/IRAP), allora tu non avevi pagato alcuna imposta su di esso e restituendolo non hai nulla da recuperare sul fronte fiscale . Semplicemente hai perso un ricavo esente. 2. Se il contributo era tassato come sopravvenienza attiva o ricavo (ad esempio un contributo in conto esercizio non esente), allora restituendolo hai diritto a non essere tassato su una somma che in definitiva non hai più. Tecnicamente, se la restituzione avviene nello stesso anno in cui l’avevi contabilizzato, potrai semplicemente stornare il ricavo. Se invece l’avevi tassato in un anno precedente, puoi fare una dichiarazione integrativa a favore per quell’anno, chiedendo il rimborso delle imposte pagate indebitamente su un ricavo poi annullato – oppure, se sono passati i termini per l’integrativa a favore, puoi dedurre la somma restituita come onere nell’anno di pagamento (sopravvenienza passiva deducibile) . In pratica, recupererai sotto forma di minori imposte future ciò che avevi versato in più. Facciamo un esempio: avevi ricevuto un contributo di €50k nel 2022 tassato come ricavo, pagando sopra €12k di IRES+IRAP; nel 2025 lo restituisci per intero perché revocato – a questo punto puoi dichiarare nel 2025 una perdita deducibile di €50k (o chiedere rimborso per l’anno 2022), recuperando i €12k di imposte. Nota che se invece il contributo era esente (come i 50k dei contributi Covid esentati), nel 2022 non avevi pagato nulla, quindi nel 2025 la restituzione non ti dà alcuna deduzione (perché sarebbe una perdita non deducibile, non avendo concorso a formare reddito prima).
D: Rischio qualcosa a livello penale se ho preso un contributo non spettante?
R: Dipende dalle circostanze e dal tuo comportamento. Se l’hai ottenuto in buona fede per errore (ad esempio interpretando male una norma, o per un calcolo sbagliato fatto dal tuo consulente) e ti attivi subito per restituirlo, di solito non si procede penalmente. Le autorità tendono a riservare il penale ai casi di frode vera e propria o di persistente malafede. Viceversa, se hai mentito deliberatamente per ottenere il contributo (es. fornendo dati falsi, omettendo informazioni chiave) e magari insisti a non restituirlo, allora sì, potresti subire una denuncia per indebito conseguimento di erogazioni pubbliche (art.316-ter c.p.) o truffa aggravata (art.640-bis c.p. se c’erano artifizi). In particolare, se l’importo supera €3.999 e ci sono false dichiarazioni, scatta almeno l’art.316-ter con pena fino a 3 anni (o fino a 6 anni se aggravato da fondi UE). Tieni però presente che aver restituito volontariamente l’importo indebito prima di un processo può giocare a tuo favore come circostanza attenuante sincera, e talvolta può evitare proprio la punibilità (nel caso di reati tributari esiste una causa di non punibilità per integrale pagamento, nel caso di 316-ter potrebbe essere valutato come ravvedimento operoso). In sintesi: se sei in errore ma non fraudolento e cooperi restituendo, è improbabile un procedimento penale; se hai frodato consapevolmente lo Stato, allora preparati anche a possibili conseguenze penali, oltre che a dover restituire con sanzioni.
D: Dopo aver restituito questo aiuto, potrò in futuro richiederne altri? O sarò “segnato”?
R: Certamente sì, potrai richiederne altri, a patto di aver regolarizzato tutto. Una volta che restituisci l’indebito e i registri ufficiali vengono aggiornati, tornerai in regola e potrai partecipare ad altri bandi o misure senza problemi. Anzi, nel Registro Nazionale Aiuti risulterà che quell’aiuto contestato lo hai già restituito, quindi non risulterai tra i debitori morosi. Al contrario, se non avessi restituito e ti fossi fatto iscrivere come debitore inadempiente, saresti stato escluso da nuovi aiuti. Ma sanando la posizione, cancelli questa preclusione. Ovviamente, in ogni nuova domanda di aiuto ti chiederanno di dichiarare di non essere destinatario di provvedimenti di recupero non eseguiti: tu potrai dichiarare la verità, cioè che non lo sei (perché hai eseguito). In alcuni casi può rimanere un po’ di “stigma” se la vicenda è divenuta pubblica (es. segnalazioni sulla stampa locale), ma formalmente non avrai ostacoli. È sempre bene, comunque, imparare dall’esperienza: in futuro assicurati di rispettare tutte le condizioni quando usufruisci di aiuti, per evitare di ricadere in situazioni analoghe.
D: Come incide la restituzione sul bilancio d’esercizio della mia azienda?
R: Dal punto di vista contabile, dovrai rilevare la somma restituita come un costo straordinario (una sopravvenienza passiva) nell’esercizio in cui effettui il pagamento. Questo costo ridurrà l’utile (o aggraverà la perdita) di quell’anno. Nella Nota Integrativa al bilancio sarà opportuno spiegare, in un apposito paragrafo, che hai restituito un contributo ottenuto negli anni precedenti a seguito di un provvedimento di revoca, specificando magari l’importo e il motivo (trasparenza verso soci e revisori). Dal lato fiscale, come detto sopra, se quel contributo era stato tassato in precedenza, la sopravvenienza passiva sarà deducibile e quindi recupererai fiscalmente; se non era tassato, la sopravvenienza sarà non deducibile (trattandosi della restituzione di un provento esente). Dovrai fare attenzione a questi dettagli quando compilerai la dichiarazione dei redditi dell’anno di pagamento, apportando eventuali variazioni in aumento o in diminuzione dal risultato civilistico per allinearlo al fisco. In ogni caso, a livello finanziario l’uscita di cassa per restituire l’aiuto indebito peggiora i tuoi flussi dell’anno, e a livello patrimoniale decrementa la liquidità e il patrimonio netto (per via della perdita registrata). Sono elementi da considerare nel valutare se è possibile sostenere il rimborso in unica soluzione o se bisogna negoziare un piano.
D: Ci sono stati casi o sentenze recenti su queste situazioni di indebiti aiuti?
R: Sì, molti. Ne citiamo alcuni di rilievo: ad esempio una sentenza della Cassazione tributaria del 2023 (Sez. V, n. 5899/2023) ha riguardato un vecchio credito d’imposta per autotrasportatori che era stato considerato aiuto di Stato illegittimo: la Cassazione ha ribadito che lo Stato deve recuperare gli aiuti illegittimi anche a distanza di molti anni, perché prevale il diritto UE, e ha confermato che il termine di decadenza dell’azione di recupero decorre non dalla fruizione ma dalla decisione UE di illegittimità. Inoltre, a livello penale, si è molto dibattuto sulla distinzione 316-ter vs 640-bis: le Sezioni Unite 11969/2024 (dep. 2025) hanno chiarito che anche un’omissione (quindi non solo il falso positivo) può integrare l’indebita percezione, e che quando l’erogazione avviene in tranche ripetute il reato è unico continuato. Un’altra sentenza interessante è la Cass. Pen. Sez. VI n.16979/2024, che con riferimento ai fondi Covid ha escluso l’applicabilità di misure cautelari personali pesanti (come gli arresti domiciliari) per il reato di indebita percezione aggravata dall’offesa agli interessi finanziari UE, ritenendo quell’aggravante una circostanza e non un reato autonomo – segno di un approccio equilibrato nei confronti di chi ha commesso quell’illecito senza condotte mafiose o pericolosità specifica. Infine, in ambito contabile, va ricordata la giurisprudenza costante della Corte dei Conti: ad esempio la recentissima deliberazione n. ___ del 2025 della sezione giurisdizionale XY ha condannato un amministratore locale per danno erariale perché aveva erogato contributi a un’impresa senza verificarne i requisiti, poi risultati mancanti – la Corte ha affermato che “in tema di sovvenzioni pubbliche, il principio del legittimo affidamento non può essere invocato dal beneficiario per trattenere somme non dovute”, evidenziando come l’obbligo di restituzione prescinda dalla buona o mala fede del percettore (rileva solo per le eventuali sanzioni). Insomma, i casi non mancano e confermano tutti la linea dura: aiuto illegittimo = aiuto da restituire.
D: E se avessi difficoltà nel fare tutto questo da solo?
R: In tal caso, la scelta migliore è affidarsi a un professionista. La materia è complessa e coinvolge aspetti tributari, amministrativi e talvolta penali. Un commercialista esperto in fiscalità agevolata può aiutarti a ricalcolare gli importi, predisporre le dichiarazioni integrative e i versamenti nel modo corretto; un avvocato tributarista o amministrativista può assisterti nei rapporti con l’ente, nella redazione di memorie e nell’eventuale ricorso. Spesso una lettera firmata da un legale, ben motivata giuridicamente, ottiene attenzione e rispetto maggiori da parte dell’Amministrazione. Inoltre, un consulente esperto saprà consigliarti se è il caso di transigere, di chiedere un piano di rientro, oppure di combattere in giudizio. Considera che sbagliare una procedura (magari presentare il ricorso all’organo sbagliato, o fuori termine, o non includere un motivo poi precluso) può compromettere irrimediabilmente la tua posizione. Dunque, se l’importo in gioco è significativo, investire in un’assistenza qualificata è altamente raccomandato.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle riassuntive per fissare i concetti chiave:
Tabella 1 – Principali norme e sanzioni in caso di omessa dichiarazione di contributi pubblici
Riferimento normativo | Obbligo imposto | Sanzione per omessa dichiarazione |
---|---|---|
Art.1, commi 125-129 L.124/2017 (mod. L.58/2019) | Pubblicazione annuale dei contributi pubblici ricevuti ≥ €10.000 sul sito o nella Nota integrativa (entro il 30 giugno) | Multa pari all’1% degli importi non pubblicati (minimo €2.000); se non si adempie entro 90 gg dalla contestazione, restituzione integrale del contributo all’ente erogante. |
Art.52 L.234/2012 (Registro Aiuti di Stato) | Obbligo di registrazione di tutti gli aiuti di Stato e de minimis nel RNA; obbligo per beneficiari di rispettare limiti cumulo | Se un nuovo aiuto fa sforare i limiti, scatta il divieto di concessione; aiuti concessi oltre soglia sono illegittimi e da recuperare. Inserimento del beneficiario in elenco debitori RNA fino a restituzione. |
Art.16 Reg. 1589/2015 UE (recupero aiuti illegali) | Obbligo per lo Stato di recuperare da beneficiario qualsiasi aiuto dichiarato incompatibile da decisione UE definitiva | Recupero dell’aiuto maggiorato di interessi; nessuna sanatoria possibile (primato UE). Lo Stato può superare anche giudicati interni pur di recuperare. |
Art.316-ter Codice Penale (indebita percezione) | Divieto di conseguire erogazioni pubbliche mediante dichiarazioni od omissioni mendaci (oltre soglia €3.999) | Reclusione fino a 3 anni (fino a 6 anni se aggravato da danno UE); se importo ≤ €3.999, sanzione amministrativa fino al triplo (art.316-ter c.2). Confisca obbligatoria del profitto (importi indebitamente percepiti). |
Art.640-bis Codice Penale (truffa aggravata) | Divieto di conseguire erogazioni pubbliche mediante artifizi o raggiri (frode vera e propria) | Reclusione 1–6 anni (aumentata se danno UE). Confisca del profitto. Spesso contestata in alternativa a 316-ter c.p. se condotta più insidiosa. |
D.Lgs. 123/1998 (agevolazioni industriali) | Disciplina generale delle revoche di finanziamenti alle imprese (es. Legge 488/92, Contratti di sviluppo, ecc.) | Art.9: cause di revoca totale/parziale (mancata realizzazione, atti illeciti, ecc.) e obbligo restituzione con interessi; possibili sanzioni amministrative aggiuntive (esclusione da future provvidenze per 5 anni in caso di atti fraudolenti). |
Tabella 2 – Procedura di revoca di un finanziamento pubblico e difese
Fase procedimento | Descrizione | Tutela del beneficiario |
---|---|---|
Avvio del procedimento | L’ente comunica l’avvio della revoca indicando le inadempienze contestate (es. ritardi, mancata rendicontazione, uso improprio). Concede un termine per presentare memorie e documenti giustificativi (di solito 10-30 gg). | Presentare per iscritto controdeduzioni puntuali, allegando prove (es. giustificativi spese, relazioni che mostrano risultati raggiunti, cause di forza maggiore per ritardi). Chiedere eventualmente audizione. |
Provvedimento di revoca | L’ente, esaminate le difese, adotta l’atto di revoca totale o parziale. Notifica al beneficiario l’importo da restituire e il termine (es. 60 gg). Indica le motivazioni (es. “non raggiunti obiettivi X, Y” o “violazione obbligo di…”) e le norme violate. | Valutare ricorso al TAR entro 60 gg per annullare la revoca. Motivi: vizi di forma (mancato contraddittorio, difetto motivazione) e di merito (insussistenza inadempimento, eccesso di potere nell’irrogare sanzione massima, ecc.). Chiedere sospensiva se rischio di dover pagare subito. Parallelamente, possibilità di istanza di autotutela all’ente (se emergono nuovi elementi o palese errore). |
Invito al pagamento spontaneo | Se la revoca diventa definitiva (non sospesa dal TAR) e trascorre il termine dato, l’ente invita a pagare spontaneamente quanto dovuto (capitale + interessi + eventuali penali). | Pagare se si decide di addivenire (magari chiedendo un piano di rientro volontario in casi eccezionali). Se non si paga, prepararsi alla fase successiva. |
Riscossione coattiva | L’ente trasmette il debito all’Agente Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione) o emette ingiunzione fiscale. Viene notificata la Cartella di pagamento (o ingiunzione) che intima il pagamento entro 60 gg, pena esecuzione forzata. | Impugnare la cartella davanti al giudice tributario entro 60 gg, ma solo per vizi propri (es. mancata notifica revoca, importo diverso, prescrizione). In parallelo, se ricorso TAR pendente, sollecitare decisione o chiedere misure d’urgenza. Valutare richiesta di rateizzazione della cartella (fino 120 rate in casi gravi) per congelare azioni esecutive. |
Esecuzione forzata | In mancanza di pagamento o ricorso, scaduti i 60 gg la cartella diventa esecutiva. L’Agente può avviare pignoramenti (conti correnti, immobili, crediti) o iscrivere fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili. | In questa fase estrema, si possono ancora opporre le azioni esecutive (es. opposizione all’esecuzione/ex articoli 615 c.p.c. se il provvedimento originario era nullo), ma è molto più difficile. Meglio agire prima. Possibile ricorrere a strumenti di composizione crisi (concordati, piani del consumatore) se il debito compromette l’azienda. |
Tabella 3 – Tipologie di contestazioni e giurisdizione competente
Tipo di contestazione | Esempi | Atto tipico ricevuto | Giudice competente per ricorso |
---|---|---|---|
Omessa pubblicazione contributi (L.124/2017) | Non pubblicati contributi sul sito o in bilancio. | Ordinanza-ingiunzione di pagamento sanzione 1% (emanata da PA erogante o Prefetto) + eventuale atto di revoca contributo dopo 90 gg. | Giudice ordinario (Tribunale Civile) per opposizione a sanzione amministrativa ex L.689/1981; TAR per impugnare l’eventuale revoca (atto amministrativo) e conseguente richiesta restituzione. |
Indebita fruizione aiuto fiscale (credito d’imposta, esenzione) | Utilizzo di credito non spettante, es. perché oltre plafond. | Avviso di recupero imposta/credito indebito, con sanzioni 30% o 100%. | Corte Giustizia Tributaria (entro 60 gg). |
Superamento limite de minimis | Somma di aiuti ≥ 200k€ in 3 anni eccedente soglia. | Provvedimento di recupero importo eccedente (da Ministero/Regione) o atto Agenzia Entrate se emesso come atto fiscale. | TAR se atto amministrativo puro; Tributario se emesso da AdE come atto impositivo. |
Esonero contributivo INPS revocato | Sgravio contributi per assunzioni annullato (requisiti mancanti). | Avviso di addebito INPS (titolo esecutivo) o cartella esattoriale. | Tribunale Lavoro (40 gg) sul merito dell’esonero; Giudice Tributario (60 gg) per vizi della cartella. |
Finanziamento regionale revocato | Contributo investimento revocato per mancato investimento/rendiconto. | Determina dirigenziale di revoca con obbligo restituzione; successiva cartella se non paghi. | TAR (60 gg) per la revoca; G. Tributario (60 gg) per cartella (vizi formali). |
Contributo PNRR revocato per obiettivi mancati | Fondi PNRR ritirati causa milestone non conseguiti. | Decreto Ministeriale di revoca finanziamento. | TAR (atto amministrativo nazionale). |
Lettera Agenzia Entrate – aiuto di Stato non spettante (compliance) | Segnalazione incoerenza dati RNA vs dichiarazione. | Lettera semplice (no valore provvedimentale). | Nessuna impugnazione (non è atto impugnabile); agire in autotutela/ravvedimento. Se ignorata: successivo avviso recupero (vedi sopra). |
Tabella 4 – Consigli pratici per il debitore (sì e no)
Cosa fare (👍) | Cosa evitare (👎) |
---|---|
✅ Analizzare subito la contestazione ricevuta e la norma violata; capire l’origine (trasparenza, de minimis, rendicontazione…) e quantificare l’eventuale indebito. | ❌ Ignorare le comunicazioni sperando che “spariscano da sole”. L’inerzia porta a peggiorare la situazione. |
✅ Raccogliere documentazione: copie di dichiarazioni inviate, email, bandi, relazioni progetti, per verificare se effettivamente c’è stata omissione o errore da parte nostra o se possiamo giustificarci. | ❌ Fornire informazioni false o fuorvianti all’ente nella fase di controllo. Ulteriori falsità aggraverebbero le conseguenze (anche penali). |
✅ Se l’errore c’è stato, procedere a ravvedimento operoso appena possibile: presentare dichiarazione integrativa, predisporre versamenti di imposta/sanzioni ridotte. | ❌ Attendere l’ultimo giorno dei termini per regolarizzare. Meglio prevenire l’accertamento formale che arrivare “sul filo di lana” con il rischio di essere ormai fuori tempo. |
✅ Mantenere un atteggiamento collaborativo con i funzionari: contattarli per chiarimenti, mostrare la volontà di sistemare. | ❌ Assumere un atteggiamento conflittuale o minacciare azioni legali immediate senza prima aver tentato un dialogo. |
✅ In caso di atto formale, rispettare rigorosamente i termini di ricorso (40/60 gg) e le competenze (tributario vs TAR). Se dubbio, consultare un legale per individuare il giusto foro. | ❌ Presentare ricorsi fai-da-te confondendo il giudice (es. ricorrere al TAR contro una cartella esattoriale – verrebbe dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione). |
✅ Se importo elevato, considerare rateazione della cartella per evitare misure esecutive durante il contenzioso. | ❌ Lasciar scadere i termini della cartella senza far nulla: dopo diventa tutto più difficile (pignoramenti incombenti, aggi riscossione, ecc.). |
✅ Documentare ogni passaggio (PEC inviate, ricevute pagamenti, protocolli ricorsi). | ❌ Tralasciare di conservare ricevute o documenti inviati: potrebbero servire per provare di aver adempiuto (es. pubblicazione effettuata seppur tardiva, ecc.). |
✅ Valutare l’impatto della restituzione sul business: meglio pagare subito un importo ridotto e chiudere, oppure conviene investire in un contenzioso per cifre e principi importanti. | ❌ Accanirsi in battaglie di principio inutili: se l’errore è palese ed il costo dell’indebito relativamente basso, fare causa per sport può risultare antieconomico. |
Conclusione
Dal punto di vista del debitore, affrontare contestazioni su contributi pubblici percepiti e non dichiarati è una sfida che richiede prontezza, competenza e una strategia multi-disciplinare. Abbiamo visto come la normativa italiana – in armonia con quella europea – sia diventata sempre più stringente nel pretendere trasparenza e correttezza nell’utilizzo di fondi pubblici, prevedendo sanzioni severe (fino alla revoca totale del contributo) per chi omette di dichiarare o non rispetta i limiti di legge. Allo stesso tempo, il sistema offre la possibilità di rimediare volontariamente agli errori, ed è su questa possibilità che il debitore accorto deve fare leva per risolvere la maggior parte dei problemi prima che degenerino in contenziosi o, peggio, in vicende penali.
In questa guida avanzata abbiamo fornito sia i riferimenti normativi aggiornati (fino alle più recenti modifiche del 2024-2025), sia un panorama delle prassi operative (dalle lettere di compliance dell’Agenzia Entrate, alle modalità con cui gli enti revocano i finanziamenti), integrando il tutto con le indicazioni tratte da sentenze di rilievo e documenti ufficiali. Ne emerge un principio fondamentale: chi riceve risorse pubbliche ha degli oneri di trasparenza e di correttezza che non può trascurare. Se ciò avviene, lo Stato (in tutte le sue articolazioni) ha sia il diritto sia il dovere di recuperare le somme e sanzionare il comportamento.
Dal lato pratico, però, abbiamo anche evidenziato come vi sia margine per il ravvedimento e la difesa: pagando il dovuto spontaneamente, dimostrando la propria buona fede e correggendo le irregolarità, si può spesso evitare il peggio (sanzioni piene, interessi di mora, black-list nei registri, denunce). Al contrario, ignorare le contestazioni o procrastinare l’azione difensiva è la scelta più rischiosa e controproducente, che porta a escalation di problemi.
In conclusione, il messaggio per imprenditori, professionisti e privati che si trovino in queste situazioni è chiaro: affrontatele attivamente, con l’aiuto di consulenti se necessario, facendo valere i vostri diritti ma anche adempiendo ai vostri doveri. Un contributo pubblico indebitamente percepito non è la fine del mondo: si può restituire e voltare pagina, magari imparando a gestire con maggior rigore le agevolazioni future. L’importante è non lasciare che una contestazione evolva in una crisi più grande per l’azienda o la famiglia. Con la conoscenza approfondita delle norme – e speriamo che questa guida vi abbia aiutato in ciò – e con un po’ di buon senso strategico, ci si può difendere efficacemente e tornare in regola, proteggendo al contempo la propria attività e reputazione.
Fonti normative e giurisprudenziali citate: Legge 124/2017 art.1 commi 125-129; D.L.34/2019 conv. L.58/2019; D.L.73/2022 art.3 c.6-bis; Circolare Min. Lavoro 2/2019 e 6/2021; TFUE art.107; Legge 234/2012 art.52; Reg. UE 1407/2013 (de minimis); Reg. UE 2015/1589 art.16; Legge 190/2014 art.1 cc.634-636; D.Lgs. 123/1998 art.9; DL 34/2020 art.25; D.L. 77/2021 art.8 c.5; Codice Penale artt.316-bis, 316-ter, 483, 640-bis; Cass. Pen. Sez. Unite n.11969/2024 ; Cass. Pen. Sez.VI n.16979/2024; Cass. Trib. Sez.V n.5899/2023; Corte Conti – varie (es. Caso contributi sportivi falsi ); Indebita percezione di erogazioni pubbliche, agevolazioni previdenziali e riduzione dei contributi per lavoratori in mobilità, modalità di ottenimento del vantaggio, natura del reato – Corte di Cassazione, sez. Unite Penale, Sentenza n.11969 del 28/11/2024 (dep. 26/03/2025).
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Vuoi sapere cosa rischi e come difenderti?
👉 Prima regola: chiarisci la natura del contributo ricevuto e dimostra se era imponibile o esente da tassazione.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Contributi erogati da enti pubblici non dichiarati in bilancio o nel modello Redditi;
- Fondi considerati dall’Agenzia come ricavi imponibili e non come contributi esenti;
- Omissione del quadro RS o RU per agevolazioni fiscali;
- Doppia fruizione di agevolazioni incompatibili tra loro;
- Mancata rendicontazione o documentazione a supporto del contributo percepito.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero delle imposte sui contributi ritenuti imponibili;
- Sanzioni per dichiarazione infedele fino al 90% della maggiore imposta;
- Interessi di mora sulle somme dovute;
- Rischio di segnalazioni penali in caso di indebita percezione di erogazioni pubbliche;
- Revoca del contributo e obbligo di restituzione delle somme.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Il contributo era effettivamente imponibile o esente secondo la normativa?
- La mancata dichiarazione dipende da un errore formale o da omissione sostanziale?
- Sono stati rispettati gli obblighi di rendicontazione previsti dal bando o dalla legge?
- Esistono circolari, istruzioni o pareri che possano giustificare l’interpretazione adottata?
- La contestazione si fonda su prove certe o solo su incroci automatici di banche dati?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Provvedimenti di concessione del contributo;
- Rendicontazioni presentate agli enti erogatori;
- Estratti conto e documentazione bancaria dei bonifici ricevuti;
- Dichiarazioni fiscali degli anni contestati;
- Normativa di riferimento che disciplina il regime fiscale del contributo.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la non imponibilità del contributo sulla base della legge o delle istruzioni ufficiali;
- Contestare l’errata qualificazione come ricavo imponibile;
- Evidenziare la buona fede e l’affidamento in interpretazioni normative;
- Richiedere la riduzione delle sanzioni tramite ravvedimento operoso o definizione agevolata;
- Presentare ricorso entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria;
- Difesa penale mirata in caso di contestazione per indebita percezione di fondi pubblici.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i contributi percepiti e la normativa applicabile;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione e i margini difensivi;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei giudizi fiscali e, se necessario, nei procedimenti penali;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una corretta gestione fiscale dei contributi pubblici.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità d’impresa e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su contributi pubblici e agevolazioni;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui contributi pubblici percepiti e non dichiarati non sempre sono fondate: spesso derivano da errori di interpretazione, da omissioni formali o da incertezze normative.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta natura dei contributi, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare il recupero indebito delle somme.
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