Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunti “cantieri fantasma” creati al solo scopo di accedere a bonus edilizi? In questi casi, l’Ufficio presume che i lavori dichiarati non siano mai stati realmente eseguiti e che le spese documentate servano solo a ottenere indebite detrazioni o crediti d’imposta. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle agevolazioni già fruite, sanzioni pesanti e, nei casi più gravi, contestazioni penali per truffa ai danni dello Stato. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben documentata è possibile dimostrare la reale esistenza dei lavori o ridurre sensibilmente le sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta cantieri fantasma
– Se non risultano titoli edilizi, CILA o altri permessi obbligatori
– Se non esistono documenti di cantiere, SAL (stati di avanzamento lavori) o collaudi
– Se le fatture presentate non trovano riscontro in pagamenti tracciabili
– Se emergono incongruenze tra le comunicazioni all’ENEA e la dichiarazione dei redditi
– Se l’Ufficio presume che i lavori siano stati dichiarati solo per ottenere bonus edilizi indebiti
Conseguenze della contestazione
– Recupero immediato delle detrazioni o crediti d’imposta utilizzati
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle somme contestate
– Interessi di mora sulle agevolazioni ritenute non spettanti
– Blocco di ulteriori richieste di bonus edilizi
– Possibile denuncia penale per truffa aggravata e utilizzo di fatture false
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’effettiva esecuzione dei lavori con contratti, foto, relazioni tecniche e certificazioni
– Produrre documentazione bancaria e tracciabilità dei pagamenti alle imprese edili
– Contestare la qualificazione di “cantiere fantasma” se i lavori risultano realmente avviati ma non documentati correttamente
– Evidenziare eventuali vizi di motivazione, difetti istruttori o errori di calcolo nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria e difendersi anche in sede penale, se necessario
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione tecnica e fiscale dei lavori contestati
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione della normativa sui bonus edilizi
– Predisporre un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, nei casi più gravi, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e familiare da richieste fiscali e penali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di rimborso già notificate
– Il riconoscimento della regolarità di parte dei lavori eseguiti
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: i bonus edilizi sono tra le agevolazioni più controllate dal Fisco, e i “cantieri fantasma” rappresentano uno dei principali rischi di contestazione. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata per evitare conseguenze fiscali e penali.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e penale tributario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per cantieri fantasma legati ai bonus edilizi e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.
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Introduzione
Negli ultimi anni l’Italia ha introdotto una serie di bonus fiscali edilizi – dal Superbonus 110% ai bonus ristrutturazioni, facciate, ecobonus, sismabonus – per incentivare la riqualificazione del patrimonio immobiliare. Questi incentivi, di portata eccezionale, hanno però generato complessità normative e intensificato i controlli fiscali, sfociando in un crescente contenzioso tra contribuenti e Agenzia delle Entrate. Molti beneficiari (privati, condomìni, imprese) si trovano oggi a dover rispondere a contestazioni del Fisco che chiede la restituzione di bonus edilizi ritenuti indebitamente fruiti, spesso con sanzioni pesanti al seguito. In particolare, sono emersi casi di “cantieri fantasma”, ossia lavori edilizi mai eseguiti ma dichiarati al solo scopo di ottenere i crediti d’imposta. Operazioni della Guardia di Finanza come l’operazione “Cantieri Fantasma” del 2025 hanno smascherato giri di crediti fiscali fittizi per lavori inesistenti – in un caso, un sodalizio criminale ha ottenuto 950 mila euro di crediti legati al Superbonus senza eseguire alcun lavoro, grazie a false asseverazioni e documentazione fraudolenta. In situazioni del genere, il beneficiario onesto rischia di rimanere coinvolto suo malgrado: può vedersi contestare dal Fisco la revoca dell’agevolazione ricevuta e l’obbligo di restituire ingenti somme, magari dopo essere già stato truffato dall’impresa esecutrice.
In questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – analizzeremo in dettaglio come difendersi dalle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate relative ai bonus edilizi (Superbonus e agevolazioni analoghe), adottando il punto di vista del contribuente beneficiario, cioè il “debitore” chiamato a restituire il bonus contestato.
Il percorso espositivo sarà così strutturato:
- Una panoramica dei bonus edilizi e del quadro normativo di riferimento, per contestualizzare il fenomeno.
- L’evoluzione normativa dal 2020 al 2025, evidenziando proroghe, modifiche anti-frode e novità su responsabilità e controlli.
- Le cause tipiche di contestazione dei bonus edilizi e la fondamentale distinzione giuridica tra un credito d’imposta “non spettante” e un credito “inesistente”, concetti chiave sia per le sanzioni sia per le strategie difensive.
- Le fasi del procedimento di accertamento fiscale e i relativi strumenti difensivi a disposizione del contribuente – dalla fase pre-contenziosa (compliance, questionari, istanze in autotutela, accertamento con adesione) alla fase contenziosa (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria, sospensione della riscossione, appello), senza tralasciare i possibili profili penali nelle ipotesi di frode grave e il ruolo degli organi inquirenti (Agenzia Entrate, Guardia di Finanza, Procura).
- Una sezione di Domande frequenti (FAQ) che fornirà risposte concise ai quesiti più comuni in materia.
- Alcune simulazioni pratiche, ispirate a casi reali tipici in Italia, per illustrare scenari concreti di contestazione e le relative strategie di difesa.
- In chiusura, una sintesi dei principi generali da tenere a mente per tutelare al meglio i propri diritti di contribuente.
Particolare attenzione sarà posta alle tutele del beneficiario in buona fede, spesso l’anello debole che rischia di dover restituire somme ingenti pur avendo agito senza malafede. Vedremo come il contribuente può difendersi invocando la propria buona fede o l’errore scusabile, e quali strumenti legali può attivare anche verso gli altri soggetti coinvolti (imprese esecutrici, tecnici asseveratori, acquirenti del credito) per condividere le responsabilità e i danni economici. L’enfasi sarà dunque sui profili difensivi in ambito tributario, civile e penale, dal punto di vista di chi subisce la contestazione, con un approccio pratico e orientato alla soluzione.
Panoramica dei bonus edilizi e quadro normativo
Per bonus edilizi si intendono varie agevolazioni fiscali riconosciute ai contribuenti per interventi sulla casa o sugli edifici. Negli ultimi anni il legislatore italiano ha messo in campo un ampio ventaglio di incentivi, tra cui i principali:
- Superbonus 110% – Detrazione potenziata fino al 110% delle spese, introdotta nel 2020 per interventi di efficientamento energetico e riduzione del rischio sismico (art. 119 del Decreto Rilancio – D.L. 34/2020, convertito in L. 77/2020). Inizialmente prevista per spese dal 1º luglio 2020 al 31 dicembre 2021, è stata poi prorogata e rimodulata negli anni successivi. Questo bonus straordinario consentiva di detrarre più del 100% della spesa (quindi con un “guadagno fiscale”), oppure di optare per lo sconto in fattura o la cessione del credito in luogo dell’uso diretto in dichiarazione. Proprio l’aliquota eccezionale e la monetizzabilità immediata dei crediti hanno comportato un vasto utilizzo ma anche alcune condotte fraudolente, come vedremo.
- Ecobonus ordinario – Detrazione dal 50% al 65% (fino al 75% per i condomìni) per interventi di risparmio energetico: es. isolamento termico, caldaie efficienti, infissi. Introdotto dalla L. 296/2006 e più volte prorogato, è tuttora fruibile con aliquote e massimali variabili a seconda dei lavori. Si tratta del “vecchio” ecobonus attivo da anni, parallelo al Superbonus potenziato.
- Sismabonus – Detrazione dal 50% all’85% per interventi di messa in sicurezza antisismica degli edifici in zone a rischio (introdotto nel 2013 e potenziato dalla L. 232/2016). L’aliquota sale al 70-80% (75-85% per condomìni) se l’intervento comporta il miglioramento di una o due classi di rischio sismico. Anch’esso è stato prorogato negli anni ed è tuttora vigente con aliquote ordinarie (50-75% a seconda dei casi).
- Bonus Facciate – Detrazione originariamente al 90% (ridotta al 60% nell’ultimo anno) per il rifacimento delle facciate esterne degli edifici. Prevista per le spese sostenute nel 2020 e 2021 (aliquota 90%) e nel 2022 (60%) dalla L. 160/2019 (Legge di Bilancio 2020). Non è stata prorogata oltre il 2022, quindi oggi non si applicano nuove spese, ma restano in detrazione le quote annuali di quelle già effettuate. Era caratterizzata dall’assenza di un massimale di spesa, circostanza che ha attirato molti interventi (e purtroppo qualche abuso con fatture gonfiate).
- Bonus Ristrutturazioni – Storica detrazione del 50% (precedentemente 36%) su un massimo di €96.000 per unità immobiliare, relativa a interventi di manutenzione straordinaria, restauro e ristrutturazione edilizia. Introdotta già dagli anni ‘90 e prorogata di anno in anno, è attualmente stabilizzata con aliquota 50% fino al 2024 (poi destinata a ridursi). È disciplinata dall’art. 16-bis del TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) e successive leggi di bilancio.
- Altri bonus “casa” – Esistono ulteriori agevolazioni specifiche, come il Bonus Mobili (detrazione 50% per acquisto di arredi/elettrodomestici efficienti legati a una ristrutturazione), il Bonus Verde (36% per sistemazione di giardini e verde urbano), il Bonus Barriere 75% (introdotto nel 2022 per abbattimento barriere architettoniche), ecc. Ognuno con propri massimali e scadenze annuali di proroga.
Ciascun bonus ha requisiti normativi specifici: ad esempio, il Superbonus richiede il miglioramento di 2 classi energetiche documentato da APE pre e post intervento e asseverazioni tecniche; il Sismabonus richiede l’attestazione del miglioramento della classe sismica; il Bonus Facciate si applicava solo a edifici in zone urbanistiche A/B e per facciate visibili dalla strada, ecc. Tuttavia, dal punto di vista dei controlli fiscali, tutte queste agevolazioni presentano dinamiche comuni: in ogni caso, se l’Agenzia delle Entrate riscontra che il contribuente non aveva diritto, in tutto o in parte, al bonus, può procedere al recupero del beneficio – ossia richiedere le imposte non pagate grazie alla detrazione (o il rimborso del credito d’imposta indebitamente utilizzato o ceduto), unitamente a interessi e sanzioni.
In altre parole, i crediti d’imposta legati ai bonus edilizi – Superbonus, Ecobonus, Sismabonus, Bonus facciate, Bonus mobili ecc. – rientrano espressamente tra quelli che il Fisco può controllare e recuperare con appositi provvedimenti. Come vedremo, la normativa prevede termini, procedure e sanzioni specifiche per questo genere di accertamenti.
Nei capitoli successivi forniremo prima un quadro dell’evoluzione normativa in materia di bonus edilizi dal 2020 al 2025 (essenziale per capire quali regole si applicavano pro tempore ai lavori contestati), quindi analizzeremo le contestazioni tipiche mosse dall’Agenzia, la distinzione tra violazioni formali e sostanziali e tra crediti non spettanti vs inesistenti, e infine ci concentreremo sulle strategie di difesa del contribuente, sia in sede tributaria sia – se del caso – in sede penale e civile.
Evoluzione normativa 2020-2025: tappe principali dei bonus edilizi
Dal 2020 ad oggi i bonus edilizi hanno subito numerose modifiche legislative. Conoscere quali regole fossero in vigore al momento dei lavori è fondamentale per valutare la fondatezza di una contestazione e predisporre una difesa efficace. In particolare, tra il 2020 e il 2025 il legislatore è intervenuto ripetutamente sia estendendo o riducendo la portata dei bonus, sia introducendo nuovi obblighi e controlli anti-frode, modificando anche le regole sulla responsabilità di chi cede o acquisisce i crediti. Riassumiamo le tappe principali:
- 2020 – Introduzione del Superbonus 110%: a metà 2020 debutta il Superbonus col Decreto Rilancio (D.L. 34/2020, art. 119-121, conv. L. 77/2020). In origine l’aliquota è 110% per spese dal 1º luglio 2020 al 31/12/2021 (per edifici unifamiliari il 110% valeva solo fino al 30/06/2021). Fin da subito è prevista la possibilità alternativa dello sconto in fattura o cessione del credito a terzi. La norma originaria stabiliva anche che, in caso di mancanza dei requisiti, il bonus sarebbe stato revocato e recuperato dal beneficiario, con responsabilità solidale di fornitori e cessionari qualora questi avessero concorso nella violazione. (Nota: solo in seguito è stato esplicitato che tale responsabilità in solido dei terzi scatta solo con dolo o colpa grave, come vedremo).
- 2021 – Semplificazioni burocratiche e “Decreto Antifrodi”: l’anno 2021 vede due interventi rilevanti. Il D.L. 77/2021 (Decreto Semplificazioni-bis, conv. L. 108/2021) introduce da luglio 2021 la CILA semplificata (CILAS) per il Superbonus: basta una comunicazione asseverata di inizio lavori senza attestare lo stato legittimo dell’immobile, evitando la decadenza del bonus per eventuali irregolarità urbanistiche minori. In pratica, viene previsto che la perdita del Superbonus avviene solo in casi gravi (ad es. mancata presentazione della CILA o interventi totalmente difformi), mentre non decade per meri vizi formali edilizi, a meno di violazioni sostanziali (immobili totalmente abusivi, interventi non consentiti). Ciò ha semplificato l’accesso al bonus e limitato le contestazioni legate a piccoli abusi edilizi, come approfondiremo più avanti. Sempre nel 2021, a fronte dei primi scandali di frodi, viene emanato il D.L. 157/2021 (Decreto Antifrodi, conv. L. 216/2021): esso estende l’obbligo di visto di conformità e asseverazione di congruità anche alle opzioni di cessione/sconto per tutti i bonus edilizi (prima valevano solo per il Superbonus) dal 12 novembre 2021. Inoltre attribuisce all’Agenzia delle Entrate il potere di sospendere fino a 30 giorni l’efficacia delle comunicazioni di cessione dei crediti per verifiche in caso di profili di rischio (nuovo art. 122-bis D.L. 34/2020). Queste misure segnano un primo inasprimento dei controlli già a fine 2021.
- 2022 – Proroghe del Superbonus e prime limitazioni anti-abuso: la Legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021) proroga il Superbonus per i condomìni fino al 2025 ma con aliquote decrescenti: 110% fino al 2023, poi 70% nel 2024 e 65% nel 2025. Per le case unifamiliari, viene prorogato il 110% al 31/12/2022 solo per chi avesse completato almeno il 30% dei lavori al 30/6/2022. Nel corso del 2022, con i Decreti “Aiuti”, si interviene sulla cessione dei crediti: il D.L. 50/2022 (Decreto Aiuti) consente una ulteriore cessione bancaria (fino a quattro passaggi complessivi); il D.L. 115/2022 (Aiuti-bis, conv. L. 142/2022) limita la responsabilità solidale di cessionari e fornitori ai soli casi di dolo o colpa grave. Quest’ultimo provvedimento inserisce nell’art. 14 D.L. 50/2022 l’art. 33-ter, chiarendo espressamente che “la responsabilità in solido [dei cessionari] scatta solo in presenza di concorso nella violazione con dolo o colpa grave”. Vengono anche introdotti criteri differenziati per i crediti ceduti prima dell’entrata in vigore del Decreto Antifrodi (prima del 12/11/2021): per escludere la responsabilità solidale su quei crediti “vecchi” è richiesto ora, ex post, di acquisire un visto di conformità e un’asseverazione tecnica che prima non erano obbligatori. L’Agenzia delle Entrate inoltre pubblica due circolari esplicative importanti: la Circolare 23/E del 23 giugno 2022 individua sei “indici di rischio” da valutare per la diligenza del cessionario nell’acquisto dei crediti; la Circolare 33/E del 6 ottobre 2022 fornisce esempi pratici di ciò che costituisce dolo o colpa grave per i cessionari. In sintesi, nel 2022 il legislatore cerca un equilibrio tra il contrasto alle frodi e la necessità di non paralizzare il mercato dei crediti fiscali: da un lato rassicura i cessionari in buona fede (limitando la loro responsabilità se hanno agito con due diligence), dall’altro mette in guardia con esempi di comportamenti gravemente negligenti (es. acquistare crediti senza documentazione o con documenti manifestamente falsi).
- 2023 – Blocco delle cessioni e ultime strette: l’anno 2023 vede un giro di vite finale sul meccanismo della cessione del credito. Con il D.L. 11/2023 (decreto “Blocca-cessioni”, convertito in L. 38/2023) il Governo blocca la possibilità di nuove cessioni dei crediti d’imposta per quasi tutti i bonus edilizi a partire dal 17 febbraio 2023. Fanno eccezione solo pochi casi residui (interventi già avviati in edilizia libera o con CILA presentata prima del decreto, e poche altre deroghe). Si chiude così, di fatto, la stagione dello sconto in fattura/cessione per il futuro, per contenere l’esposizione finanziaria dello Stato. Contestualmente, lo stesso D.L. 11/2023 rafforza la definizione della responsabilità solidale dei cessionari, introducendo i commi 6-bis, 6-ter e 6-quater nell’art. 121 del D.L. 34/2020. In particolare, viene elencata una “lista della spesa” di nove documenti chiave che il cessionario deve possedere per potersi considerare diligente ed escludere il proprio concorso nell’eventuale violazione del beneficiario. Tra questi figurano: il titolo edilizio o dichiarazione di lavori in edilizia libera; la notifica preliminare ASL (se dovuta); la visura catastale ante operam; le fatture e i pagamenti; tutte le asseverazioni tecniche con ricevute di deposito; la delibera assembleare e la tabella millesimale per i lavori condominiali; i documenti specifici Ecobonus (APE pre e post intervento, o autocertificazione se non dovuti); il visto di conformità; e un’attestazione di adempimento degli obblighi antiriciclaggio. Se il cessionario dimostra di aver acquisito il credito disponendo di tutta questa documentazione, oggi la legge presume la sua buona fede, escludendo il concorso nel reato fiscale (salvo il caso di dolo proprio del beneficiario). Inoltre, è previsto che anche i cessionari successivi (es. un’azienda che compra il credito dalla banca) siano protetti se l’intermediario cedente (la banca) attesta di possedere quella documentazione. In ogni caso, il comma 6-quater chiarisce che la mancanza parziale di documenti non costituisce di per sé prova di colpa grave del cessionario, il quale può sempre dimostrare in altro modo la propria diligenza; spetta all’Amministrazione finanziaria provare l’eventuale negligenza grave del cessionario.
Nota aliquote: Il D.L. 11/2023 di per sé non ha modificato le aliquote di detrazione già previste in decrescenza (vedi L. 234/2021 sopra): per le spese 2023 il Superbonus è al 90% (salvo eccezioni in cui è rimasto 110%, ad es. unifamiliari “prima casa” con ISEE < 15.000 €), per spese 2024 al 70%, per spese 2025 al 65%.
- 2024-2025 – Fine del Superbonus “110” e riforma del sistema sanzionatorio: con la fine del 2023, il Superbonus 110% per come lo conoscevamo è praticamente terminato. Il D.L. 212/2023 (decreto “Salva-Superbonus”, 29 dicembre 2023, conv. L. 14/2024) ha confermato il décalage dell’aliquota (90% nel 2023, 70% nel 2024) ma ha introdotto misure di salvaguardia per i cantieri in corso e per i soggetti più deboli. In particolare, ha previsto che l’aliquota 110% resti applicabile alle spese sostenute entro il 31/12/2023 per tutti i lavori effettivamente realizzati e asseverati entro quella data, anche se l’intervento complessivo non è stato ancora finito né ha raggiunto i miglioramenti energetici previsti. Ciò significa che non verrà revocato il 110% sui lavori già eseguiti entro il 2023 e certificati, anche se l’opera non è completata: si evita così un effetto retroattivo punitivo a carico di chi ha iniziato i lavori contando sul 110%. Per le spese dal 1° gennaio 2024 in poi, invece, si applicano le aliquote ridotte (70% nel 2024, 65% nel 2025). Lo stesso decreto ha istituito un Fondo indigenti per aiutare i contribuenti a basso reddito rimasti col “cerino in mano”: chi ha ISEE sotto €15.000 e ha raggiunto almeno il 60% dei lavori (SAL) al 31/12/2023, ma deve sostenere spese residuo nel 2024 al 70%, può ottenere un contributo a fondo perduto che copre la differenza di aliquota (cioè dal 110% al 70%) sulle spese 2024, fino al 31/10/2024. Questo per evitare che le famiglie meno abbienti debbano improvvisamente farsi carico di un 40% di costi prima coperti dal bonus. Il D.L. 212/2023 ha anche vietato la cessione del credito/sconto in fattura per nuovi interventi di demolizione e ricostruzione in zone sismiche 1, 2 e 3 se il permesso edilizio non era stato già richiesto prima dell’entrata in vigore del decreto (misura per prevenire abusi su lavori non ancora partiti). Inoltre è stata introdotta una stretta sul Bonus barriere architettoniche 75%: dal 2024 esso è limitato ad alcuni interventi specifici (ascensori, montascale) con obbligo di pagamenti tracciati e asseverazione tecnica, e in alcuni casi viene vietato anche qui lo sconto/cessione.
La Legge di Bilancio 2024 (L. 197/2023) ha in gran parte recepito queste novità, confermando la fine del Superbonus 110% a fine 2023 e il passaggio alle aliquote ridotte negli anni seguenti. Successivamente, la Legge di Bilancio 2025 (attesa a fine 2024, presumibilmente L. 205/2024) ha ulteriormente rifinito il panorama dei bonus edilizi, ormai riportati verso aliquote “ordinarie” più basse: ad esempio, per il 2025 il Bonus ristrutturazioni scenderà al 30% (50% solo per la prima casa) con massimali di spesa ridotti, l’Ecobonus ordinario al 36-50%, e il Superbonus residuo sarà limitato ai cantieri già avviati entro ottobre 2024 con detrazione massima 65%. Inoltre, dal 2025 verranno introdotti limiti di reddito per fruire delle detrazioni: i contribuenti con redditi alti avranno un tetto annuo detraibile (es. max €8.000 annui di detrazione per redditi >100.000 €, €14.000 per redditi tra 75.000 e 100.000 €). Queste restrizioni segnano la conclusione dell’era del “110% per tutti” e il ritorno a bonus più contenuti e mirati. Per chi legge nel 2025, significa che non vi saranno nuovi Superbonus 110%, ma restano da gestire tutte le conseguenze dei Superbonus passati: cantieri in corso in regime transitorio e, soprattutto, accertamenti su lavori già effettuati nel periodo 2020-2023.
In sintesi, dall’evoluzione normativa emergono alcuni punti chiave utili in ottica difensiva:
- Regime pro tempore: le regole applicabili dipendono dall’anno e dal tipo di intervento. Occorre sempre verificare quali aliquote, scadenze e obblighi documentali fossero in vigore al momento dei fatti contestati. Molte contestazioni sorgono su interventi del 2020-2021-2022 quando la normativa era diversa dall’attuale (es. nessun visto obbligatorio prima di novembre 2021, aliquote 110% poi ridotte, ecc.). È quindi fondamentale argomentare basandosi sulla norma vigente all’epoca. Vanno inoltre sfruttate eventuali sanatorie sopravvenute (come quella del 110% sui SAL asseverati entro 2023 introdotta dal D.L. 212/2023) se applicabili al proprio caso.
- Responsabilità solidale circoscritta: il legislatore ha progressivamente delimitato la responsabilità solidale di cessionari e fornitori: prima con la clausola “solo concorso con dolo o colpa grave” (Aiuti-bis 2022), poi con l’elenco documentale e l’onere della prova a carico del Fisco (D.L. 11/2023). Ciò oggi offre agli intermediari onesti strumenti solidi di difesa. Viceversa, il beneficiario che subisca un recupero difficilmente potrà scaricare la responsabilità fiscale su altri se questi dimostrano di essere stati diligenti/acquirenti in buona fede. Approfondiremo oltre il tema della responsabilità solidale, ma il punto è che oggi il beneficiario rimane quasi sempre il primo obbligato al pagamento, mentre il cessionario risponde solo in caso di sua collusione o grave negligenza.
- Coinvolgimento di più parti: la chiusura delle cessioni nel 2023 implica che molte contestazioni future riguardano crediti già ceduti. Il contenzioso può quindi coinvolgere più soggetti – beneficiario, cessionario, impresa esecutrice – ciascuno con posizioni e difese diverse. Ad esempio, la strategia difensiva varierà a seconda che l’atto dell’Agenzia sia indirizzato solo al beneficiario oppure anche al cessionario (in caso di ritenuto concorso di quest’ultimo). Sapendo che oggi il Fisco deve provare la colpa grave del cessionario, quest’ultimo avrà cura di esibire tutta la documentazione a sua discolpa; il beneficiario invece rimane comunque debitore principale. Ne consegue che il beneficiario deve preparare la propria difesa senza fare eccessivo affidamento sulla possibilità che la banca o terzi paghino al posto suo (salvo cause civili esterne, di cui diremo).
- Cantieri non conclusi e inadempienze contrattuali: la fine del Superbonus con aliquote minori non elimina i problemi per i cantieri non conclusi. Se non si completano i lavori entro i termini, la parte non realizzata perde il diritto al 110% (godrà solo dell’aliquota minore), generando potenziali contenziosi con le imprese appaltatrici per inadempimento contrattuale. Esempio: se l’impresa ritarda e parte dei lavori slitta oltre la scadenza, il committente perde quota di bonus e può chiedere i danni. Più avanti vedremo come in questi casi è possibile rivalersi sull’impresa. Fortunatamente, la normativa ha fornito alcune vie d’uscita per mitigare il danno (es. la salvaguardia dei SAL 60% + fondo indigenti menzionati sopra garantisce comunque il 110% su quanto fatto entro il 2023). Resta però cruciale monitorare lo stato avanzamento e attivarsi tempestivamente se il cantiere rischia di sforare i termini.
Cause tipiche di contestazione dei bonus edilizi
Perché l’Agenzia delle Entrate può contestare un bonus edilizio? Le cause tipiche di contestazione rientrano in alcune categorie ricorrenti. Comprenderle è utile per preparare adeguatamente le proprie difese. In generale, le contestazioni del Fisco sui bonus derivano da:
- Irregolarità tecniche sui requisiti: ad esempio il mancato raggiungimento degli obiettivi richiesti. Nel Superbonus, non aver conseguito il miglioramento di 2 classi energetiche; nel Sismabonus, non aver ottenuto l’effettiva riduzione del rischio sismico; oppure aver realizzato lavori diversi da quelli agevolabili (es. aver detratto come “trainato” un intervento che non rientrava tra quelli ammessi). In sostanza, l’intervento realizzato non soddisfa le condizioni sostanziali previste dalla norma per ottenere il bonus.
- Vizi nelle asseverazioni o nel visto di conformità: asseverazioni tecniche omesse, incomplete o infedeli, oppure il visto di conformità mancante o irregolare quando obbligatorio. Esempi: non aver depositato l’APE o la relazione tecnica di fine lavori nei termini; asseverazioni firmate da tecnici non abilitati o con errori; un visto di conformità rilasciato da un soggetto non autorizzato. Questi vizi documentali possono portare alla contestazione che il bonus non spettava perché non sono state rispettate le procedure di controllo richieste.
- Spese non ammissibili o gonfiate: aver inserito in detrazione costi eccedenti i massimali consentiti, oppure aver detratto fatture relative a lavori non realmente eseguiti (o non interamente eseguiti). Nei casi peggiori, si arriva alla creazione di crediti fittizi per lavori mai svolti – i famigerati “cantieri fantasma” di cui parliamo – configurando un vero e proprio scenario fraudolento. Questo punto rappresenta la distinzione tra irregolarità quantitative (spese eccessive) e qualitative (spese per lavori inesistenti).
- Abusi edilizi e irregolarità urbanistiche: la presenza di gravi abusi nell’immobile che impedivano il rilascio di un regolare titolo edilizio per i lavori. Ad esempio, ampliamenti totalmente abusivi non sanati, case prive di abitabilità, ecc. In tali casi il bonus non spetta perché l’edificio non era legittimamente edificato secondo la normativa urbanistica. Oppure viene contestata la mancata presentazione della CILA/CILAS obbligatoria, o difformità rilevanti tra i lavori dichiarati in CILA e quelli effettivamente eseguiti. Fino al 2021, un abuso edilizio non sanato implicava la decadenza del bonus; dopo l’introduzione della CILAS semplificata, come vedremo, solo gli abusi gravi comportano la perdita dell’agevolazione, mentre quelli minori non precludono il beneficio.
- Errori procedurali o formali: comunicazioni tardive, errori di compilazione, documenti non inviati o non conservati, omessa indicazione in dichiarazione della detrazione, e così via. Molte di queste sono violazioni formali che di per sé non dovrebbero far perdere il bonus (secondo il principio di non punibilità delle irregolarità formali che non ostacolano i controlli – art. 6, co.5-bis D.Lgs. 472/97), ma in pratica l’Agenzia talvolta le contesta sostenendo che abbiano pregiudicato l’attività di verifica. Esempio: invio tardivo all’ENEA dei dati sull’intervento di risparmio energetico, mancata conservazione dei bonifici parlanti, ecc. Spesso tali omissioni si possono sanare o giustificare, ma intanto vengono eccepite come cause di “non spettanza” del bonus.
- Condotte fraudolente deliberate: accordi dolosi per ottenere indebiti vantaggi. Ad esempio, un beneficiario che si accorda con l’impresa per emettere fatture gonfiate e poi spartirsi il profitto extra, oppure l’attestazione di lavori mai eseguiti, la creazione di società cartiere che emettono false fatture per generare crediti. In tali ipotesi scatta la contestazione di credito “inesistente” (vedi oltre) e quasi sempre la segnalazione all’Autorità giudiziaria per reati fiscali o di truffa aggravata.
In pratica, i controlli del Fisco sui bonus edilizi si concentrano sulla documentazione tecnica e fiscale prodotta: verificano che i dati delle asseverazioni, dei bonifici, delle fatture, delle visure catastali, ecc. siano coerenti e conformi alle norme. Spesso la contestazione nasce da difformità evidenti nei documenti incrociati: ad esempio importi nell’asseverazione tecnica diversi da quelli comunicati nell’opzione di cessione, APE che non mostrano il doppio salto di classe dichiarato, fatture emesse prima ancora della presentazione della CILA, incongruenze tra date di pagamento e avanzamento lavori, ecc. Nei condomìni, un motivo frequente di rilievo in passato era la presenza di piccole irregolarità edilizie in alcuni appartamenti (es. veranda non autorizzata): prima del 2021 ciò poteva far decadere l’intero bonus per il condominio, mentre dopo la CILAS semplificata tali difformità minori non dovrebbero più causare la perdita del bonus, salvo casi eccezionalmente gravi.
Va inoltre distinta la gravità delle violazioni: irregolarità formali vs sostanziali. Un principio generale a tutela dei contribuenti, affermato nello Statuto del Contribuente (L. 212/2000), è che le sanzioni non si applicano per semplici violazioni formali prive di conseguenze sul controllo (art. 6, co.5-bis D.Lgs. 472/97) e, in generale, la decadenza dal beneficio fiscale dovrebbe aversi solo per difetti sostanziali. Ad esempio, dimenticare di comunicare all’ENEA un intervento entro 90 giorni è un errore formale che, secondo la giurisprudenza, non fa perdere l’ecobonus (è prevista semmai una sanzione minima). Analogamente, la tardiva trasmissione della comunicazione di cessione del credito oltre il termine del 16 marzo è stata a volte sanata in via interpretativa dai giudici, pur se l’Agenzia tende a essere rigida su questi termini. In sostanza, occorre sempre valutare se l’irregolarità contestata sia realmente ostativa al bonus (sostanziale) oppure no.
Dopo aver individuato la causa (o le cause) della contestazione, diventa cruciale capire come essa venga qualificata dall’Agenzia in termini giuridici, poiché da ciò dipendono termini di accertamento e sanzioni. Qui entra in gioco la distinzione tra credito d’imposta non spettante e credito inesistente, su cui la Cassazione e il legislatore recente hanno fatto chiarezza. Approfondiamo questo punto chiave.
Credito d’imposta “non spettante” vs “inesistente”: differenze e impatto difensivo
Quando il Fisco contesta un’agevolazione fiscale indebitamente fruita, può qualificarla in due modi diversi:
- Credito non spettante: è un credito utilizzato in violazione delle norme, ma in presenza di una base fattuale reale. In altre parole, il lavoro è stato effettivamente svolto (o la spesa sostenuta), ma il bonus non era dovuto per qualche ragione (ad esempio, intervento fuori ambito agevolativo, oppure spesa eccedente i limiti, oppure errore nell’applicazione della norma). Il difetto è quindi giuridico o quantitativo, non una totale mancanza del fatto.
- Credito inesistente: è un credito artificiosamente creato, privo in tutto o in parte dei presupposti oggettivi o soggettivi richiesti dalla norma. In sostanza, il fatto sostanziale è falso o simulato: i lavori non sono stati eseguiti (o non nella misura dichiarata) oppure la documentazione è fraudolenta. Si configura tipicamente nei casi di frode o cantieri fantasma, dove il credito vantato non trova riscontro nella realtà fattuale.
Questa distinzione non è solo teorica ma ha conseguenze pratiche notevoli in termini di termini di accertamento più lunghi e sanzioni più gravi per i crediti inesistenti, considerati violazioni ben più insidiose (difficili da scoprire). Il legislatore, infatti, già dal 2008 (art. 27, co.16 D.L. 185/2008) aveva previsto termini raddoppiati di accertamento e sanzioni più alte in caso di utilizzo di crediti inesistenti, proprio perché l’Amministrazione può accorgersi del trucco solo con verifiche sostanziali e non dai controlli automatici.
Per anni c’è stata incertezza su cosa distinguesse esattamente un credito non spettante da uno inesistente. La svolta è arrivata a fine 2023: le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con due sentenze gemelle dell’11 dicembre 2023 (nn. 34419 e 34452), hanno cristallizzato i criteri distintivi in modo autorevole. La Suprema Corte ha chiarito che per configurare un credito inesistente servono due requisiti cumulativi: elemento fraudolento/artificioso nella creazione del credito, e non rilevabilità del difetto con i controlli di routine. In altre parole, il credito è inesistente se è il frutto di frode o artificio grave e se l’irregolarità non è riscontrabile dai normali controlli formali sulle dichiarazioni (richiede indagini approfondite, sopralluoghi, incroci investigativi). Tutti gli altri casi di indebita fruizione – quelli in cui il disallineamento sarebbe rilevabile dalle verifiche ordinarie – vanno invece qualificati come crediti non spettanti.
Poco dopo queste sentenze, il Governo ha recepito tali principi nella riforma del sistema sanzionatorio tributario: il Decreto Legislativo 8 agosto 2024 n. 87 (attuativo della Delega Fiscale) ha introdotto esplicite definizioni normative di crediti non spettanti e crediti inesistenti nelle disposizioni tributarie. In base a queste definizioni aggiornate:
- Sono considerati “crediti inesistenti” quelli per i quali «mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi previsti dalla disciplina, oppure quelli fondati su requisiti reali ma ottenuti con documenti falsi, simulazioni o altri artifici fraudolenti». Dunque rientrano sia i crediti totalmente inventati (lavori mai fatti) sia quelli parzialmente fittizi o ottenuti tramite falsità.
- Sono invece definiti “crediti non spettanti” quelli fruiti «violando le modalità di utilizzo previste dalle norme (o eccedenti la misura consentita), oppure quelli che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi di base, sono in realtà fuori dall’ambito applicativo dell’agevolazione per difetto di ulteriori elementi richiesti». In parole più semplici, il non spettante è il credito utilizzato in modo non conforme alle regole (ad esempio usato oltre i limiti di importo o fuori tempo, o basato su un’interpretazione errata della norma), mentre l’inesistente è il credito che non doveva proprio esistere perché basato su fatti falsi o inesistenti.
Perché è importante questa distinzione in una difesa? Perché la legge prevede conseguenze diverse a seconda che il credito contestato sia qualificato come non spettante oppure inesistente. Vediamole:
- Termini di accertamento: per i crediti non spettanti valgono i termini “ordinari” di decadenza degli accertamenti tributari. In generale, per le imposte dirette il termine è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa all’anno d’imposta in cui si è utilizzato il credito. Ad esempio, un bonus non spettante utilizzato nel 2020 va contestato entro il 31/12/2026. Viceversa, per i crediti inesistenti il Fisco ha più tempo: il termine è esteso all’ottavo anno successivo a quello di utilizzo (nell’esempio, utilizzo 2020 -> contestazione possibile fino al 31/12/2028). Questa differenza temporale ora è stata formalizzata anche nell’art. 38-bis del DPR 600/1973 come modificato dal D.Lgs. 13/2024.
- Sanzioni amministrative: prima della riforma 2023/2024, l’indebita fruizione di un credito non spettante era punita con una sanzione amministrativa pari al 30% del suo importo (art. 13, c.4 D.Lgs. 471/1997). Invece, per un credito inesistente la sanzione era molto più pesante: dal 100% al 200% dell’importo, con minimo raddoppiato (se il credito non era stato ancora utilizzato si applicava comunque 1/3 del minimo, quindi almeno ~33%). Quindi, se un contribuente eccedeva di poco il bonus spettante rischiava il 30% di sanzione; se simulava un credito fittizio rischiava almeno il 100%. Dopo la riforma (per violazioni commesse dal 1º settembre 2024 in poi), queste sanzioni sono state in parte rimodulate: l’uso di crediti non spettanti è sanzionato al 25% dell’importo, mentre l’uso di crediti inesistenti al 70%. Inoltre, se i crediti inesistenti sono stati ottenuti con condotte fraudolente (documenti falsi, artifici), la sanzione sale dal 105% al 140%. Si tratta comunque di percentuali molto elevate in caso di frode. Va ricordato che se il contribuente regolarizza spontaneamente (ravvedimento operoso) può fruire di forti riduzioni delle sanzioni: ad esempio, per un credito non spettante ci si può ravvedere pagando una sanzione ridotta fino a 1/9 del minimo (circa il 2,78%), come approfondito più avanti.
- Conseguenze penali: un credito indebito di entità significativa può integrare reati tributari. In particolare, se il credito è inesistente e viene utilizzato in compensazione per non pagare imposte dovute, scatta il reato di “indebita compensazione” (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000) se l’importo compensato supera €50.000 per anno. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Inoltre, se vi è condotta fraudolenta (es. documenti falsi, società cartiere), la condotta può configurare reati ancor più gravi come la truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p., indebita percezione di erogazioni pubbliche) punita con pene fino a 6 anni. Ad esempio, la Cassazione penale ha chiarito che anche solo ottenere un credito fittizio di Superbonus costituisce truffa aggravata, pur se il credito non è ancora stato utilizzato in compensazione. In un caso recente, la Suprema Corte ha confermato condanne per associazione a delinquere finalizzata alla frode Superbonus, ribadendo che il semplice ottenimento fraudolento del credito fa scattare il reato. Questo orientamento è stato consolidato da pronunce del 2024: ad esempio, la Cassazione Sez. II penale n. 45868/2024 ha statuito che il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche si perfeziona già con la creazione di crediti d’imposta fittizi e la loro cessione, indipendentemente dall’effettiva monetizzazione o compensazione dei crediti stessi. In pratica, basta la creazione del credito falso per configurare il danno allo Stato e quindi la truffa, senza bisogno che il credito sia effettivamente incassato dal contribuente. Questo ha superato interpretazioni precedenti più restrittive (ad es. Cass. 23402/2024) che legavano il perfezionarsi della truffa all’effettivo utilizzo o rimborso del credito.
Sul piano penale, naturalmente, serve la prova del dolo del contribuente: il beneficiario che ha agito in buona fede di norma non risponde di reato, mancando l’intento fraudolento. Tuttavia, egli subirà comunque il recupero fiscale del bonus in sede tributaria. Attenzione anche al ruolo dei cessionari: pur essendo in buona fede, se il credito è frutto di reato esso può essere oggetto di sequestro preventivo da parte della Procura, in quanto ritenuto provento di reato. La Cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro persino in capo al cessionario inconsapevole, sul presupposto che un credito fiscale fittizio non possa circolare liberamente e “ripulirsi” tramite la cessione. In altri termini, la buona fede del cessionario evita sanzioni penali personali, ma non impedisce che il credito venga sequestrato e annullato perché derivante da illecito. La sentenza Cass. pen. Sez. II n. 3108/2024 ha proprio affermato che il cessionario, anche se estraneo alla frode, non può vantare alcun credito fiscale se questo è stato generato fraudolentemente dal cedente; tali crediti sono giuridicamente inesistenti e possono essere sequestrati. Questo mette in guardia i cessionari: pur sfuggendo a sanzioni amministrative se in buona fede, possono subire la perdita economica integrale del credito acquistato fraudolento.
In definitiva, qualificare la contestazione come “credito non spettante” piuttosto che “credito inesistente” fa una grande differenza. Dal punto di vista difensivo, il contribuente punterà ovviamente – ove possibile – a far qualificare l’irregolarità come non spettante anziché inesistente, per beneficiare di termini più brevi e sanzioni minori. Ad esempio, se viene contestato che alcuni lavori non erano agevolabili o che si sono sforati i massimali, si tratterà di convincere che comunque i lavori c’erano (quindi credito reale anche se non dovuto in parte), e che la violazione è palese dai documenti (quindi rilevabile). Viceversa, l’Agenzia tende talora a spingere verso la qualifica più grave di credito inesistente per applicare sanzioni 100% e termini lunghi – ma su questo, dopo le SU 2023 e la norma 2024, c’è meno discrezionalità. Un buon avvocato dovrà saper utilizzare quella giurisprudenza e la nuova definizione legale a favore del contribuente, per ridurre il profilo sanzionatorio. Nel prosieguo vedremo proprio come impostare le difese su questi aspetti.
Il procedimento di accertamento: controlli, termini e fasi difensive
Esaminiamo ora come si sviluppa una contestazione fiscale sui bonus edilizi e quali strumenti ha il contribuente per difendersi nelle varie fasi.
1. Controlli preliminari e richiesta documentazione: spesso tutto inizia con una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza che segnala anomalie e chiede chiarimenti. Può trattarsi di una lettera di compliance (invito bonario a verificare e correggere la propria posizione), di un questionario formale (richiesta di documenti e informazioni ai sensi dell’art. 51 DPR 633/72 o art. 32 DPR 600/73) oppure di una verifica fiscale vera e propria sul campo. Ad esempio, molti condomìni nel 2022 hanno ricevuto questionari dall’Agenzia sui Superbonus dichiarati, con richiesta di inviare entro 15 giorni copia di CILA, asseverazioni, fatture, bonifici, ecc. Il contribuente deve rispondere tempestivamente e in modo completo, fornendo tutta la documentazione richiesta e spiegazioni chiare. Ciò può convincere l’ufficio dell’effettiva regolarità oppure far emergere errori risolvibili. Se invece non si risponde o si forniscono risposte lacunose, l’Agenzia sarà più incline a emettere un accertamento “con pugno di ferro”. Laddove vengono rilevate solo difformità formali, questo è il momento per farle presente e magari ottenere una correzione senza sanzioni. In questa fase preliminare è bene farsi assistere da un professionista esperto, che può aiutare a predisporre una memoria difensiva preventiva da inviare insieme ai documenti, per orientare l’interpretazione dell’ufficio.
Un caso tipico: il questionario sul Superbonus chiede la CILAS e l’amministratore erroneamente non la allega credendo non servisse – l’Agenzia, non vedendo il documento, presume l’assenza di CILA e sta per contestare l’intero bonus (come nel Caso pratico 3 più avanti). In situazioni del genere, un intervento immediato in risposta all’ufficio (anche solo via PEC o presentandosi allo sportello con i documenti) può chiarire il malinteso e bloccare la contestazione sul nascere, magari tramite annullamento in autotutela.
Sempre in fase pre-accertamento, se il contribuente si rende conto di aver effettivamente commesso un errore (ad esempio ha fruito due volte della stessa detrazione, o ha indicato importi errati nella dichiarazione), è consigliabile valutare il ravvedimento operoso: pagare spontaneamente quanto dovuto prima che arrivi la contestazione formale. Il ravvedimento, ammesso fino a che non si riceve un atto impositivo, permette di versare l’imposta con sanzioni ridotte (fino a 1/9 del minimo). Nel caso di un credito non spettante, si può arrivare a pagare solo circa il 2,8% di sanzione invece del 25-30%. Anche per i crediti inesistenti oggi il ravvedimento è possibile, grazie all’estensione delle definizioni agevolate nella riforma 2023-24. Certo, è raro che una frode grave venga spontaneamente sanata, ma se si tratta di un errore non doloso, ravvedersi conviene sempre: si chiude la partita con costi molto inferiori e si evita il contenzioso.
2. Emissione dell’atto di recupero/accertamento: se i chiarimenti forniti non bastano, o se al termine delle verifiche l’ufficio ritiene comunque sussistano irregolarità sostanziali, si passa alla fase formale con l’emissione di un atto impositivo. Nel caso dei bonus edilizi, può assumere due forme principali:
- un Atto di recupero di credito d’imposta ai sensi dell’art. 1, co.421 L. 311/2004 – utilizzato tipicamente quando il bonus contestato è stato fruito tramite compensazione in F24 come credito d’imposta (come avviene per i crediti ceduti);
- un classico Avviso di accertamento – utilizzato quando il bonus è stato fruito in detrazione nella dichiarazione dei redditi (quindi riducendo l’IRPEF dovuta).
A livello contenutistico, l’atto indica: l’ammontare del bonus disconosciuto, la motivazione specifica (es. “visto di conformità non apposto”, “immobile con abusi edilizi – detrazione non spettante”, “spese non congrue rispetto ai massimali”, ecc.), e la quantificazione dell’imposta da recuperare, delle relative sanzioni e interessi.
Importante: i termini per l’emissione di tali atti seguono quanto detto sopra sui 5 o 8 anni. Dunque, di solito l’Agenzia deve notificare l’atto entro il 31 dicembre del 5º anno successivo a quello di utilizzo del credito se lo considera non spettante, o entro l’8º anno se lo considera inesistente. Esempio: credito usato nel 2020, atto per non spettante entro fine 2025, atto per inesistente entro fine 2028.
Da notare che l’atto di recupero del credito è equiparato all’avviso di accertamento a tutti gli effetti (art. 1, co.422 L. 311/2004), il che significa che il contribuente ha gli stessi identici mezzi di difesa (ricorso, ecc.). Una volta ricevuto l’atto, il contribuente deve leggerlo con estrema attenzione e, preferibilmente con l’aiuto di un legale, valutarne la legittimità formale oltre che la fondatezza nel merito. Ci sono infatti vari possibili vizi formali che, se presenti, possono portare all’annullamento dell’atto in giudizio a prescindere dal merito. Ad esempio:
- L’atto è stato notificato fuori termine (oltre la scadenza quinquennale/ottennale prevista)?
- È sottoscritto da un funzionario privo di delega valida?
- Manca l’indicazione dell’ufficio o del responsabile del procedimento?
- È carente di motivazione adeguata?
Su quest’ultimo punto, la legge impone che l’avviso di accertamento/recupero esponga chiaramente le ragioni della ripresa fiscale, tenendo conto delle eventuali memorie e documenti presentati dal contribuente. Se l’atto risultasse generico o “preconfezionato”, oppure ignorasse del tutto elementi decisivi forniti dal contribuente in sede pre-contenziosa (es. l’ufficio contesta la mancata CILA ma il contribuente l’aveva invece prodotta, e ciò non viene considerato), si può eccepire il difetto di motivazione o l’omessa valutazione di prove come motivo di ricorso.
In sostanza, appena ricevuto l’atto il contribuente deve prenderne atto dettagliatamente e, insieme al professionista di fiducia, decidere la linea: ci sono estremi per farlo annullare subito per vizi procedurali? Oppure occorre controbattere nel merito? Questa analisi va fatta entro i tempi stretti di reazione (60 giorni).
3. Autotutela e adesione (soluzioni pre-contenziose): una volta ricevuto l’avviso di accertamento o atto di recupero, prima di avviare il ricorso giudiziale il contribuente ha ancora qualche carta da giocare in via amministrativa. La prima è l’istanza di autotutela: consiste nel presentare all’ufficio che ha emesso l’atto una richiesta motivata di annullamento (totale o parziale) dello stesso, evidenziando eventuali errori palesi commessi dall’Amministrazione. L’autotutela è uno strumento discrezionale: l’ufficio non è obbligato a ritirare l’atto, ma se viene dimostrato che c’è un errore oggettivo o di calcolo, spesso corregge. Un classico esempio, già accennato: l’Agenzia contesta “mancata presentazione della CILA” ma in realtà la CILA era stata presentata e protocollata nei termini – magari il problema è stato un disguido o un’omissione nella fase istruttoria. Allegando la prova (copia della CILAS con protocollo), si può chiedere l’annullamento in autotutela dell’avviso perché il presupposto (assenza CILA) è insussistente. Spesso, di fronte ad un errore evidente, l’Agenzia accoglie l’autotutela. Altro esempio: viene contestato un visto di conformità mancante, ma il contribuente ha copia del visto trasmesso: segnalando ciò, l’ufficio potrebbe riconoscere l’esistenza del visto ed annullare la sanzione. È bene presentare l’istanza di autotutela il prima possibile, idealmente entro i 60 giorni utili per il ricorso, così da ottenere magari risposta prima della scadenza del termine di impugnazione. Inoltre, può essere utile anche contattare direttamente il funzionario responsabile (se noto) per discutere informalmente: a volte un dialogo chiarificatore evita l’inasprirsi del contenzioso.
Parallelamente o in alternativa, si può valutare il percorso dell’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è uno strumento deflattivo che consente, su istanza del contribuente entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto, di incontrare l’ufficio per cercare un accordo transattivo sull’accertamento. Presentando l’istanza di adesione, si sospendono automaticamente i termini per il ricorso per 90 giorni, durante i quali si apre il dialogo con l’Agenzia. Nell’incontro (o negli scambi di comunicazioni) si può prospettare ad esempio: il contribuente riconosce una parte del rilievo e offre di pagare le imposte relative, chiedendo però sanzioni ridotte o la non applicazione di alcuni aggravamenti. Se si raggiunge un accordo, si formalizza l’atto di adesione con pagamento delle somme concordate (in genere sanzioni ridotte ad 1/3). L’adesione può essere conveniente quando la pretesa fiscale è almeno in parte corretta, e l’obiettivo primario del contribuente è ridurre le sanzioni o ottenere una comoda rateazione. Nei nostri scenari pratici vedremo esempi di come l’adesione possa chiudere la vicenda evitando il giudizio (ad es. Caso 1 in cui il contribuente paga il dovuto ma ottiene sanzione minima grazie all’adesione).
4. Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria: se non si arriva a un annullamento in autotutela né a una definizione in adesione, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (al netto di sospensioni per eventuale adesione) occorre proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (che ha sostituito le Commissioni Tributarie Provinciali dal 2023). Il ricorso è un atto difensivo scritto, da depositare presso la segreteria della Corte e notificare all’ufficio accertatore, nel quale si espongono i motivi di impugnazione dell’atto. In esso si dovranno sviluppare tanto motivi formali (vizi di notifica, difetto di motivazione, ecc.) quanto motivi di merito (insussistenza della violazione contestata, ecc.), corredandoli di riferimenti normativi, giurisprudenziali e prove documentali. Ad esempio, se contestano la decadenza del bonus per un supposto abuso edilizio, nel ricorso si richiamerà la norma semplificativa del 2021 (CILAS) e magari le circolari ministeriali e FAQ ufficiali che confermano che quell’irregolarità minore non comporta perdita del bonus. Oppure, se la questione è nuova e dubbia, si potrà persino chiedere al giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale o rinviare alla Corte di Giustizia UE, ma questo è raro e solo in ipotesi estreme.
Entro lo stesso termine dei 60 giorni, insieme al ricorso o subito dopo, è possibile chiedere la sospensione dell’atto impugnato, se dal pagamento immediato deriverebbe un danno grave. Questa è una mossa fondamentale quando le somme pretese sono molto alte. Si presenta un’istanza motivata alla stessa Corte Tributaria, allegando copia del ricorso e documentazione sulla propria situazione economica, per far capire che l’esborso causerebbe un pregiudizio serio e irreparabile. Il giudice tributario, se ravvisa sia il fumus boni iuris (ossia che il ricorso non sia infondato) sia il periculum in mora (rischio di danno grave dalla riscossione), può sospendere la riscossione fino alla decisione. Nei casi di Superbonus con recuperi da decine o centinaia di migliaia di euro, è abbastanza comune ottenere la sospensiva, soprattutto quando si dimostra la buona fede e l’importo è enorme rispetto al reddito del contribuente.
Il processo tributario di merito si svolge solitamente in camera di consiglio (ossia senza udienza pubblica), ma per le cause più complesse è possibile chiedere discussione in pubblica udienza. La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, esaminati gli atti e le eventuali memorie aggiuntive, emette la sentenza che potrà: accogliere il ricorso (annullando in toto l’atto impugnato), respingerlo (confermando l’atto) oppure accoglierlo parzialmente (ad esempio annullando le sanzioni ma lasciando il recupero del tributo, oppure riconoscendo il bonus in parte). La sentenza viene poi notificata alle parti. Se il contribuente perde, o vince solo in parte, può proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. L’appello ricalca il primo grado: si possono dedurre vizi della sentenza e nuovi argomenti difensivi.
Dal 2023 è stata introdotta in ambito tributario la possibilità di conciliazione giudiziale anche in appello (prima era solo in primo grado). Ciò significa che, in qualsiasi stato e grado del giudizio, le parti possono trovare un accordo transattivo che chiude la lite con reciproche concessioni (tipicamente: il contribuente paga una parte delle imposte e sanzioni ridotte, l’ufficio rinuncia al resto). L’indicazione recente data agli uffici fiscali è di favorire soluzioni conciliative soprattutto se il contribuente è in buona fede, per evitare una marea di contenziosi ingestibili. Questo è un elemento da tenere presente: spesso mantenere aperto il dialogo con l’ente impositore anche durante il processo può portare a una soluzione pattizia vantaggiosa, evitando i rischi e i tempi lunghi di una sentenza.
5. Profili penali e rapporti col processo tributario: se la contestazione fiscale è associata a sospetti di frode grave, può accadere che in parallelo vi sia un procedimento penale a carico del contribuente (o di altri soggetti, come l’impresa). Ad esempio, nell’ipotesi di crediti inesistenti per lavori fantasma, di norma la Guardia di Finanza segnala la cosa alla Procura per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato. In tal caso, il contribuente potrà trovarsi coinvolto sia nel processo tributario (per il recupero delle somme) sia in quello penale (per la responsabilità personale). Questi procedimenti viaggiano su binari distinti, con esiti potenzialmente diversi: il giudice tributario può disconoscere il bonus anche se non c’è condanna penale, e viceversa un’assoluzione penale (ad es. per mancanza di dolo) non implica automaticamente che il bonus venga riconosciuto se mancavano requisiti oggettivi. Tuttavia c’è ovviamente interazione: ad esempio, un provvedimento penale di sequestro dei crediti può bloccare la possibilità per il contribuente o la banca di utilizzarli (e ciò rileva nel contenzioso tributario); oppure le prove raccolte in sede penale (perizie, testimonianze) possono essere utilizzate nel ricorso tributario come elementi di prova.
Dal punto di vista difensivo, è fondamentale coordinare le strategie nelle due sedi. Spesso può convenire definire prima la posizione penale – ad esempio attraverso un patteggiamento, se le prove di dolo sono schiaccianti – per poi concentrarsi sulla sede tributaria al fine di limitare i danni economici. Oppure, se il contribuente si proclama innocente penalmente, si dovrà difendere strenuamente anche lì, dimostrando di non aver avuto intenzione di frodare: un’eventuale archiviazione o assoluzione penale per carenza di dolo potrebbe essere un punto a favore nel giudizio tributario per evidenziare la buona fede. In ogni caso, bisogna evitare che il contribuente risulti passivo: se c’è un processo penale in corso, costituirsi parte civile come persona offesa (quando il contribuente è vittima di una frode altrui) può essere utile per ottenere un risarcimento e anche per sottolineare al giudice tributario il proprio ruolo di parte lesa (si pensi ai condomini truffati dall’impresa, come nel Caso 2). Viceversa, se il contribuente è imputato, è il caso di valutare misure come la sospensione del processo tributario in attesa dell’esito penale solo se si è molto confidenti nell’esito penale favorevole – altrimenti si rischia solo di allungare i tempi senza beneficio.
Ricordiamo poi che in sede penale, come già detto, la buona fede può evitare la condanna ma non protegge dal sequestro/confisca del credito. Quindi un cessionario innocente può comunque vedersi annullare i crediti e confiscare l’equivalente, dopodiché l’Agenzia recupererà dal beneficiario (se colpevole) o da chi può. In definitiva, serve un approccio integrato: la difesa penale e quella tributaria dovrebbero procedere di concerto, scambiandosi elementi utili (es. il consulente tecnico nominato dal legale nel penale può fornire perizie favorevoli al ricorso tributario, e viceversa la documentazione raccolta nel ricorso può aiutare a dimostrare l’assenza di dolo in sede penale).
6. Tutela civile e rapporti con altri soggetti: parallelamente alle azioni contro il Fisco, il beneficiario dovrà valutare eventuali azioni civili contro terzi che abbiano contribuito a causare la decadenza dal bonus. Su questo torneremo in dettaglio più avanti (vedi sezione Rimedi civili), ma è importante tenere traccia sin dall’inizio: il contribuente che subisce un danno economico (dover restituire il bonus) non è privo di rimedi verso chi lo ha provocato. Ad esempio, se l’impresa non ha finito i lavori nei termini e ciò ha fatto perdere l’agevolazione, questa è un’inadempienza contrattuale della ditta, da cui deriva un danno risarcibile (il valore del bonus perso più sanzioni e interessi) . Oppure, se il tecnico asseveratore ha commesso errori di calcolo tali da far mancare il salto di classe energetica, anch’egli può essere chiamato a rispondere per negligenza professionale. È fondamentale muoversi in fretta anche su questo fronte: acquisire prove, inviare diffide, eventualmente escutere le polizze assicurative dei professionisti (gli asseveratori sono obbligati per legge ad avere una polizza RC professionale per i danni da loro provocati in materia di Superbonus). In diversi punti di questa guida, e specialmente nei casi pratici, vedremo come attivare queste tutele civili in parallelo al contenzioso tributario, per evitare che il contribuente resti l’unico “anello debole che paga per tutti”.
Riassumendo, la difesa del contribuente deve articolarsi su tutti i piani: prevenzione e cooperazione nella fase dei controlli iniziali, individuazione di eventuali vizi formali dell’atto, costruzione di una solida strategia processuale sul merito (con prove tecniche, testimonianze, norme favorevoli), utilizzo di strumenti deflattivi per ridurre sanzioni e importi, e rivalsa verso i terzi responsabili per recuperare quanto perso. Nel prossimo paragrafo approfondiremo il punto di vista del debitore con riferimento proprio alla tutela verso terzi, prima di passare alle FAQ e ai casi concreti.
Rimedi civili: rivalersi su imprese, tecnici e altri responsabili
Dal punto di vista del beneficiario debitore, una volta accertato che il bonus fiscale va restituito, sorge spontanea la domanda: posso evitare di pagare, o almeno rivalermi su chi mi ha messo in questa situazione? Sul piano strettamente fiscale, purtroppo, la risposta è no: la legge considera il contribuente beneficiario come il soggetto tenuto a restituire l’indebito, a prescindere dal perché i requisiti siano venuti meno. Se i lavori non sono stati completati nei termini, o non raggiungono i risultati richiesti, il beneficio fiscale decade comunque – e il Fisco vuole i soldi indietro da te che hai fruito della detrazione, non dall’impresa o dal tecnico. Non esiste nella normativa un’esimente tipo “colpa dell’impresa”: l’Agenzia guarda al fatto oggettivo che tu hai usufruito di un bonus non dovuto, quindi tu devi restituire l’importo indebitamente detratto (o cedere un credito che non avresti dovuto cedere).
Tuttavia – ed è un “tuttavia” cruciale – ciò non significa che il contribuente debba sopportare da solo il peso economico finale. Egli ha pieno diritto di rivalersi civilmente sull’impresa o sul professionista che abbiano causato la perdita del bonus. Il rapporto col fornitore è infatti di natura contrattuale: se l’impresa appaltatrice non ha adempiuto correttamente (non ha finito i lavori nei tempi pattuiti, li ha fatti male, o ha fornito documenti falsi), questo configura un inadempimento contrattuale o un illecito da cui scaturisce un danno per il committente.
Ad esempio, se il bonus sfuma perché l’impresa non completa i lavori entro la scadenza del 31/12, e quindi le spese dell’anno successivo non rientrano più nel 110%, ciò rappresenta un danno quantificabile pari al valore del bonus perso (più eventuali sanzioni e interessi) . In termini legali, si può chiedere che l’impresa ti manlevi rispetto alle richieste del Fisco – in altri termini, che sia l’impresa a rimborsarti ciò che tu devi restituire all’Agenzia.
Come procedere concretamente?
- Sospendere pagamenti e compensare: se non hai ancora pagato interamente l’impresa (ad esempio avevi concordato lo sconto in fattura o hai pagato solo acconti), puoi trattenere gli importi residui fino a concorrenza del bonus perso. Esempio: devi ancora versare €30.000 all’impresa, e il bonus perso vale €20.000; puoi legittimamente rifiutarti di pagare quei €20.000, comunicando per iscritto che li trattieni a titolo di risarcimento/compensazione per l’inadempimento. È importante formalizzare questa decisione (una lettera in cui contesti l’inadempimento e dichiari di compensare il credito) per avere traccia in caso di lite.
- Diffida e tentativo bonario: se invece hai già pagato tutto (o se comunque c’è poco da compensare), il passo successivo è inviare una diffida formale all’impresa (o al tecnico) chiedendo di essere manlevato e risarcito del danno, con un termine per adempiere. In questa comunicazione elenca il danno: ad es. “devo restituire €XX di imposte + €YY di interessi + €ZZ di sanzioni a causa della vostra inadempienza nel non completare i lavori/errore progettuale ecc.” e chiedi il rimborso di tali somme. Talvolta, soprattutto se si tratta di un’impresa locale che tiene alla reputazione, questa mossa può portare a una transazione: magari l’impresa accetta di farsi carico di parte del dovuto (ad es. paga gli interessi e le sanzioni, o concede lavori aggiuntivi gratis equivalente al danno), per evitare una causa e mantenere buoni rapporti.
- Azione legale civile: se il dialogo non porta frutti, non resta che agire in giudizio. Si può intentare una causa civile per risoluzione contrattuale (se i lavori sono rimasti incompleti e ormai il termine era essenziale) e risarcimento danni. Il risarcimento dovrà includere tutto: l’importo del bonus da restituire al Fisco, le eventuali sanzioni e interessi pagati, più altri costi correlati (es. dover affidare i lavori rimanenti a un’altra ditta a prezzo maggiore, ritardi subiti, spese legali, ecc.). In giudizio, l’ideale sarebbe ottenere una condanna che obblighi l’impresa a manlevare il committente rispetto all’Agenzia – cioè a rifondergli quanto egli dovrà versare al Fisco. Tuttavia, poche imprese accetteranno spontaneamente di impegnarsi a ciò, quindi probabilmente sarà il giudice a doverlo stabilire.
- Coinvolgere i professionisti: lo stesso ragionamento vale per gli altri attori. Se l’errore è stato del progettista o tecnico asseveratore (ad es. ha sbagliato i calcoli, inducendoti a credere di raggiungere il requisito che poi è mancato), anche costui ha violato i suoi doveri contrattuali e professionali. Puoi agire per responsabilità professionale chiedendo il risarcimento delle somme che devi pagare a causa del suo errore. Questi professionisti hanno polizze assicurative che (se non ci sono esclusioni) potrebbero coprire tali danni, quindi vale la pena esplorare la via.
- Venditore dell’immobile: un caso particolare è se hai acquistato l’immobile da poco e c’era un abuso non dichiarato che fa decadere il bonus. In tal caso, puoi valutare un’azione nei confronti del venditore per vizi occulti o difetto di conformità, in quanto ti ha venduto un immobile non conforme senza avvertirti, e ciò ti ha causato un danno economico (perdita del bonus). Questo rientra nella garanzia per vizi della compravendita (artt. 1490 e segg. c.c.) o, in certi casi, può configurare dolo omissivo del venditore.
- Cessionari e fornitori: se l’Agenzia recupera il bonus da te, ma magari tu avevi ceduto il credito a una banca o ottenuto sconto in fattura da un fornitore, anche con questi soggetti entrano in gioco rapporti privatistici. Per esempio, se la banca perde il credito (perché annullato dal Fisco) potrebbe avere un diritto di rivalsa contrattuale sul cedente originario, a seconda del contratto di cessione stipulato. Spesso nei contratti di cessione è prevista una clausola che obbliga il cedente a indennizzare il cessionario se il credito ceduto risultasse non valido. Se c’è, la banca potrebbe chiederti i soldi indietro; se non c’è, potrebbe provare un’azione ordinaria di indebito o arricchimento senza causa. Viceversa, il contribuente potrebbe provare a chiamare in causa il cessionario nel giudizio tributario per sostenere che anch’esso ha colpa (come nel Caso 2 i condomini segnalano la negligenza della finanziaria). Anche se il giudice tributario non può condannare il cessionario a pagare al posto tuo (trattandosi di rapporto tra privati), evidenziare la corresponsabilità del cessionario può aiutare a spostare l’accento della colpa. In parallelo, nulla vieta di agire in sede civile contro il cessionario se ritieni che abbia avuto una responsabilità extracontrattuale (es. la finanziaria che ha lucrato su crediti falsi senza controllare, potrebbe aver concorso a causarti un danno): si tratterebbe però di cause complesse per negligence o arricchimento senza causa, dove dovresti dimostrare che il cessionario, controllando meglio, avrebbe evitato il danno anche a te. Nel Caso 2, ad esempio, i condomini valutano un’azione del genere verso la finanziaria cessionaria.
Naturalmente, le cause civili possono essere lunghe e con esiti incerti. C’è anche il rischio che l’impresa o la controparte nel frattempo fallisca o sia nullatenente, lasciandoti comunque col cerino in mano. Per questo, un approccio pratico suggerisce di tentare soluzioni transattive rapide quando possibile: ad esempio, proporre all’impresa di farsi carico subito di versare almeno la sanzione e gli interessi dovuti al Fisco, per chiudere bonariamente la questione senza ulteriori strascichi. Spesso se la ditta sa di avere torto, preferisce accettare un compromesso ragionevole piuttosto che affrontare tribunali e cattiva pubblicità.
In definitiva, fiscalmente devi pagare tu e poi rivalerti. Non pagare il Fisco non è un’opzione praticabile: se ignori l’avviso, arriveranno cartelle esattoriali, interessi di mora e potenziali fermi o ipoteche. Conviene invece regolarizzare la posizione con l’Agenzia (anche chiedendo una rateazione se serve) e contestualmente attivare tutte le tutele verso i terzi responsabili. Questa esperienza insegna anche l’importanza di pattuire a monte contrattualmente certe tutele: sarebbe opportuno inserire nei contratti con l’impresa clausole in cui l’impresa “si impegna a risarcire il committente di ogni danno (decadenza del bonus) causato da proprie inadempienze o irregolarità”. Pochi lo fanno, ma sarebbe una buona pratica. Così come pretendere dai tecnici asseveratori l’esibizione della loro polizza assicurativa professionale e magari una dichiarazione di responsabilità in caso di errori.
In conclusione, il debitore non è senza difese: ha armi contrattuali e giudiziarie per redistribuire il danno su chi ha sbagliato o frodato. Ciò però richiede tempi e capacità di agire su più fronti, idealmente con l’assistenza di legali esperti sia in diritto tributario sia civile.
Domande frequenti (FAQ) su contestazioni dei bonus edilizi e difesa del contribuente
D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate contesta la mia detrazione del Superbonus (o di un altro bonus edilizio)?
R: In caso di contestazione formale, l’Agenzia emette un atto di recupero (avviso di accertamento o atto di recupero crediti) in cui ti chiede la restituzione del bonus ritenuto non spettante. In pratica dovrai restituire l’importo della detrazione di cui hai beneficiato (o del credito d’imposta che hai utilizzato/ceduto), oltre agli interessi maturati, e ti verrà applicata una sanzione amministrativa. Di regola la sanzione è pari al 30% dell’importo indebito (se l’irregolarità non è considerata fraudolenta), ma può salire al 100% o più se l’Agenzia qualifica il fatto come credito “inesistente” o fraudolento. Una volta notificato l’atto, hai 60 giorni di tempo per presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria). Entro lo stesso termine puoi anche valutare strumenti deflattivi: ad esempio presentare un’istanza di accertamento con adesione per cercare un accordo con l’ufficio (ciò sospende i 60 giorni per ulteriori 90). Se presenti ricorso, puoi contestualmente chiedere al giudice la sospensione della riscossione, così da non dover pagare subito in pendenza di giudizio. Nel giudizio potrai far valere tutte le tue ragioni e prove. Se la contestazione riguarda errori formali o violazioni commesse senza malafede, c’è una buona possibilità di far annullare le sanzioni dimostrando la tua buona fede (anche qualora il tributo principale resti dovuto). In ogni caso, è importante agire tempestivamente rivolgendosi a un esperto, per impostare subito la strategia difensiva migliore e non perdere le scadenze.
D: Quali sono le cause più comuni per cui viene contestato un bonus edilizio (es. Superbonus 110%)?
R: Le cause tipiche rientrano nelle categorie già illustrate:
– Requisiti tecnici non rispettati: ad es. non aver raggiunto il miglioramento energetico richiesto (due classi per Superbonus), oppure aver incluso lavori non agevolabili.
– Vizi in asseverazioni o visto: asseverazioni tecniche omesse, incomplete o false; visto di conformità mancante dove obbligatorio.
– Spese non ammissibili o gonfiate: importi oltre i massimali, lavori dichiarati ma non eseguiti integralmente; nei casi peggiori, creazione di crediti fittizi per lavori fantasma (frode).
– Abusi edilizi e irregolarità urbanistiche: presenza di abusi gravi nell’immobile (es. ampliamenti abusivi) che precludevano il bonus, oppure mancata CILA/CILAS dove obbligatoria, o difformità rilevanti dai titoli edilizi.
– Errori procedurali/formali: comunicazioni tardive, errori nei bonifici “parlanti”, omissione del bonus in dichiarazione, documenti non conservati, ecc. Molte di queste sono violazioni formali che da sole non dovrebbero far decadere il bonus, ma l’Agenzia talvolta le contesta se ritiene che abbiano ostacolato i controlli.
– Condotte fraudolente: accordi dolosi tra contribuente e impresa (es. fatture gonfiate condividendo il guadagno), creazione di crediti da lavori mai fatti, false attestazioni. In questi casi la contestazione è di credito inesistente e spesso scatta la segnalazione penale.
D: Come posso difendermi se mi contestano che i lavori effettuati non rispettano i requisiti (es. dicono che non ho risparmiato abbastanza energia o non ho migliorato di 2 classi l’edificio)?
R: In questo caso la difesa va impostata sul piano tecnico. Dovrai procurarti prove tecniche che smentiscano o attenuino le contestazioni. Ad esempio, se l’Agenzia sostiene – in base ai suoi calcoli – che non hai raggiunto il miglioramento di due classi energetiche, potrai far redigere una perizia di parte da un tecnico abilitato (ingegnere, architetto) che rifaccia i calcoli termotecnici e dimostri invece il raggiungimento dell’obiettivo. Magari c’è stato un errore nelle stime dell’ENEA o non sono stati considerati alcuni interventi migliorativi; una perizia dettagliata può confutare le conclusioni del Fisco. Se però effettivamente il target non è stato raggiunto (es. hai migliorato solo 1 classe e mezzo), allora la situazione è più difficile: in giudizio sarà complicato farti riconoscere il bonus se l’opera non ha prodotto il risultato minimo di legge. In questi casi punterai a dimostrare che l’errore non dipende da te – ad esempio perché ti sei affidato a un termotecnico e a un’impresa che assicuravano la riuscita, e tu hai agito in buona fede. Ciò potrà forse non evitarti il recupero del bonus (se oggettivamente il requisito manca), ma servirà almeno a farti eliminare le sanzioni per violazione non dovuta a colpa tua. Inoltre, verifica se nella normativa esiste qualche tolleranza o deroga applicabile: ad esempio, la legge prevede che se per oggettiva impossibilità tecnica non si può migliorare di due classi, è sufficiente il miglioramento massimo conseguibile. Se rientri in questo caso (es. edificio già in classe B che passa in classe A, non potendo arrivare ad A+), evidenzialo nella difesa. In estrema ratio, se riconosci che c’è stato un deficit tecnico non sanabile, potrebbe convenire cercare un accordo con l’ufficio – ad esempio un accertamento con adesione – per pagare il dovuto senza sanzioni. L’Agenzia talvolta è disponibile, soprattutto se percepisce la tua buona fede.
D: Cosa significa esattamente “responsabilità solidale” tra beneficiario e cessionario del credito?
R: Significa che, qualora venga accertato un indebito sul bonus, l’Agenzia delle Entrate può – nei casi previsti dalla legge – chiedere la restituzione delle somme sia a te (beneficiario originario della detrazione) sia al soggetto che ha acquisito il credito (cessionario), rendendo entrambi obbligati in solido per l’intero importo. In pratica siete considerati “condebitori”: il Fisco può esigere il pagamento dall’uno o dall’altro, o da entrambi, fino a copertura totale. Tuttavia, questa responsabilità solidale non si applica automaticamente a ogni cessione. La legge (art. 121 D.L. 34/2020, comma 6, come modificato) oggi stabilisce che scatta solo se il cessionario (o il fornitore che ha applicato lo sconto in fattura) ha concorso nella violazione con dolo o colpa grave. In altri termini: se tu beneficiario hai ceduto il credito a una banca fornendole documenti falsi d’accordo con i funzionari (dolo), oppure se la banca ha acquistato crediti chiudendo gli occhi su anomalie macroscopiche (colpa grave), allora entrambi siete responsabili in solido. Ma se la banca (o altro cessionario) era in buona fede, la legge oggi esclude che il cessionario innocente sia chiamato a pagare in solido. Dunque, in uno scenario normale, se tu beneficiario hai commesso un’irregolarità (anche involontaria) e hai ceduto il credito, l’Agenzia recupererà principalmente da te; il cessionario sarà coinvolto solo se riescono a provare che era complice o gravemente negligente. Inoltre, le norme più recenti (DL 11/2023) hanno elencato in dettaglio i documenti che il cessionario deve possedere per essere considerato diligente: se li ha (titolo edilizio, asseverazioni, visto, visure, fatture, pagamenti tracciati, ecc.), la sua buona fede è presunta. In sintesi, la responsabilità solidale significa che in teoria il Fisco può chiedere i soldi a più soggetti, ma nel Superbonus questa è stata ormai limitata ai soli casi di collusione o grave negligenza del cessionario. In pratica, se tu come beneficiario hai abusato del bonus, la banca o l’ente a cui hai ceduto il credito risponderà solo se è stata complice o “cieca” di fronte a evidenti segnali di irregolarità.
D: Come può un cessionario del credito (es. una banca) evitare la responsabilità solidale?
R: Il cessionario deve poter dimostrare di aver agito con la massima diligenza e buona fede nell’acquisire quei crediti. In pratica, deve possedere e verificare tutti i documenti chiave relativi ai lavori da cui origina il credito. La norma (art. 121 comma 6-bis D.L. 34/2020, introdotto nel 2023) elenca espressamente questi documenti. Tra essi: il titolo edilizio abilitativo (o una dichiarazione del tecnico che i lavori rientravano in edilizia libera), la notifica preliminare ASL (se dovuta) o dichiarazione che non era dovuta, la visura catastale ante operam dell’immobile, tutte le fatture dei lavori e le ricevute dei bonifici relativi, le asseverazioni tecniche depositate con le ricevute di protocollo, la delibera condominiale di approvazione lavori e la tabella millesimale di riparto spese (se è un condominio), i documenti specifici dell’Ecobonus (APE ante e post intervento, o dichiarazione sostitutiva se non erano richiesti), il visto di conformità fiscale regolarmente apposto, e un’attestazione di aver adempiuto agli obblighi antiriciclaggio per le transazioni finanziarie. Se il cessionario ha raccolto tutti questi documenti e – cosa importante – non emergono segnali evidenti di dolo o colpa grave a suo carico, allora non sarà considerato responsabile in solido. In pratica, per stare tranquillo il cessionario deve:
- Richiedere tutta la documentazione obbligatoria e controllarne la coerenza (es. verificare che l’asseverazione si riferisca all’immobile giusto, che la somma delle fatture corrisponda a quella asseverata, che i bonifici siano stati fatti correttamente, ecc.).
- Verificare il profilo del cedente e dell’operazione: se un soggetto incapiente o una piccola ditta cede milioni di euro di crediti, quello è un campanello d’allarme – l’Agenzia stessa indica l’incoerenza tra volume crediti e capacità economica come uno degli indici di rischio. Un cessionario diligente in questi casi si insospettisce e chiede chiarimenti prima di comprare.
- Osservare scrupolosamente le norme antiriciclaggio: identificare bene la controparte, tracciare i flussi finanziari, segnalare eventuali anomalie.
Adottando tutte queste cautele, il cessionario potrà – se sorge una contestazione – sostenere di non aver commesso alcuna negligenza grave. Dal 2023, per giunta, la legge pone espressamente a carico del Fisco l’onere della prova della colpa grave: quindi se il cessionario ha la famosa “lista della spesa” di documenti a posto, sarà molto difficile per l’Agenzia imputargli una complicità nella frode. Infine, è bene chiarire che il cessionario risponde solo per l’utilizzo improprio del credito. Cioè, se la banca compra un credito inesistente ma non lo ha mai utilizzato in compensazione (magari è rimasto bloccato e poi annullato), l’Agenzia non può pretendere che paghi un importo che non ha mai effettivamente detratto. In tal caso al più la banca perderà il credito acquistato (subendo quindi un danno economico, ma non ulteriori esborsi). Questo principio è stato sottolineato anche in sede giurisprudenziale e di prassi: un cessionario in buona fede che non ha mai compensato il credito non subisce sanzioni, perché non c’è danno erariale concreto causato da lui. Ovviamente, se il credito era fraudolento, potrà comunque essere sequestrato e annullato (quindi la banca perde l’investimento), ma non dovrà pagare “due volte”. Insomma, per un cessionario attento il rischio oggi è limitato alla perdita del capitale investito nel caso sfortunato di frode scoperta (rischio comunque non banale), ma con poche probabilità di dover pagare sanzioni aggiuntive.
D: Se l’impresa ha sbagliato i lavori o non li ha finiti e per questo perdo il bonus, posso evitare di pagare o rivalermi in qualche modo?
R: Sul piano fiscale purtroppo no – come spiegato, il Fisco vuole i soldi indietro dal beneficiario a prescindere. Però hai certamente diritto di rivalerti civilmente sull’impresa per il danno economico causato. Il rapporto con l’impresa è contrattuale: se il bonus sfuma per un suo inadempimento (es. lavori non finiti entro la scadenza, oppure fatti male tanto da non ottenere l’efficientamento promesso), questo costituisce un danno emergente per te, quantificabile nell’importo del bonus perso più eventuali sanzioni e interessi che devi pagare al Fisco . Puoi quindi chiedere che l’impresa ti manlevi, cioè ti rimborsi quanto devi restituire al Fisco. In pratica: se non hai ancora pagato tutto, puoi sospendere o rifiutare i pagamenti residui all’impresa per un importo equivalente al bonus perso (motivandolo per iscritto). Inoltre, puoi avviare una causa civile per risoluzione del contratto (se i lavori sono incompleti) e per risarcimento danni. Nel risarcimento includerai tutto ciò che devi al Fisco (imposta, sanzioni, interessi) e altri eventuali costi aggiuntivi (es. dover affidare i lavori a un’altra ditta). L’ideale sarebbe che l’impresa accettasse di manlevarti volontariamente – in pratica pagando al posto tuo il dovuto al Fisco – ma quasi nessuna lo fa spontaneamente, quindi bisognerà verosimilmente ottenere un giudizio. Tieni presente che queste cause possono durare a lungo e, se l’impresa nel frattempo fallisce, rischi di non recuperare nulla. Ecco perché spesso conviene provare una soluzione transattiva: ad esempio proporre all’impresa di farsi carico subito almeno di pagare le sanzioni o una parte del debito fiscale, per chiudere bonariamente senza rovinarvi la relazione. In sintesi: al Fisco devi pagare tu, però poi puoi rivalerti verso l’impresa e/o il tecnico se hanno colpa. Lo stesso vale se l’errore è stato del tecnico asseveratore (es. ha sbagliato i calcoli): potrai agire contro di lui per negligenza professionale chiedendo il risarcimento di ciò che hai dovuto pagare (sanzioni, imposte) per colpa sua.
Casi pratici e simulazioni (scenari di contestazione e difesa)
Vediamo ora alcune simulazioni pratiche, ispirate a situazioni tipiche realmente verificatesi, per capire come applicare i concetti trattati finora. Ogni scenario descrive una vicenda ipotetica e indica quali azioni l’avvocato del contribuente (dal punto di vista del debitore) potrebbe intraprendere in difesa.
Caso 1: Lavori in villetta unifamiliare non completati entro la scadenza – perdita parziale del Superbonus
Scenario: Il Sig. Rossi sta ristrutturando la sua casa unifamiliare accedendo al Superbonus 110%. Per le villette, la normativa (come prorogata dalla L. 234/2021) prevedeva che, avendo raggiunto il 30% dei lavori al 30/9/2022, si potesse ottenere il 110% sulle spese fino al 31/12/2022. Purtroppo l’impresa accumula ritardi e al 31 dicembre 2022 i lavori sono completati solo all’80%; si protraggono poi fino a marzo 2023. Il Sig. Rossi aveva ceduto il credito via via maturato a una banca durante i lavori. Nel luglio 2024, l’Agenzia delle Entrate gli notifica un atto di recupero: contesta che le spese sostenute nel 2023 (circa €20.000) non avevano più diritto al 110% ma solo al 90%, poiché la proroga del 110% per le unifamiliari valeva solo fino a fine 2022 e dal 2023 l’aliquota era scesa. Dunque quel 20% di differenza è un credito non spettante da restituire. L’atto chiede circa €4.000 di imposta, più interessi, più una sanzione del 30% (circa €1.200). Il Sig. Rossi cade dalle nuvole: era convinto di poter avere il 110% su tutte le spese, non sapeva di questa distinzione per le spese 2023. In pratica, ha fruito di €4.000 in più di detrazione di quanto spettante.
Difesa (azioni possibili): l’avvocato analizza la situazione. Effettivamente, la normativa all’epoca (legge di bilancio 2022) era chiara sul punto: per le villette prorogate serviva completare i lavori entro il 31/12/2022 per mantenere il 110%; le spese successive andavano al 90%. Il Sig. Rossi, pur avendo rispettato il SAL 30% entro settembre, non ha finito entro il 2022, quindi sulle spese 2023 spettava solo il 90%. In sede di merito sarà difficile contestare questo: giuridicamente l’Agenzia ha ragione nel recuperare quel 20%. Tuttavia, il legale individua diversi elementi su cui puntare:
- Buona fede ed errore scusabile: Rossi non era affatto un furbetto, ma è vittima del ritardo dell’impresa e soprattutto della complessità delle regole. Potrebbe non aver compreso che la proroga era “fino al 31/12/22” e oltre quella data l’aliquota calava al 90%. Si evidenzierà che ha agito secondo le indicazioni avute e che non aveva volontà elusiva. Questo serve soprattutto a chiedere la non applicazione delle sanzioni (o almeno la loro riduzione al minimo) invocando l’errore incolpevole ex art. 6, co.5 D.Lgs. 472/97.
- Fondo “indigenti” 2024: il legale nota che a fine 2023 è stato introdotto (dal DL 212/2023) un contributo a fondo perduto per soggetti con ISEE < €15.000 che, avendo raggiunto SAL 60% a fine 2023, si trovano con spese 2024 al 70% anziché 110%. Questo contributo copre proprio il gap dal 110% al 70% per le spese 2024. Nel caso di Rossi, il “buco” è del 20% sulle spese 2023 – tecnicamente non rientrerebbe in quel fondo (valido solo per spese 2024). Tuttavia, l’avvocato richiama in via equitativa lo spirito della norma: evidenzia che Rossi ha ISEE di 14.000 € e che se il legislatore avesse considerato anche i SAL a fine 2022 avrebbe coperto pure la sua situazione. Insomma, cerca di far percepire l’iniquità del far pagare a un soggetto a basso reddito l’errore di tempistica, quando per altri casi analoghi il legislatore ha fornito un aiuto. Questo argomento “creativo” magari non convincerà la Commissione a non fargli pagare (non c’è base giuridica diretta), ma serve a dare un contesto di ingiustizia subita.
- Accordo con l’ufficio per chiudere senza sanzioni: conscio che la pretesa principale è fondata, l’avvocato propone all’ufficio un accertamento con adesione o conciliazione: Rossi è disposto a pagare quel 20% di differenza (€4.000) più gli interessi, ma chiede l’annullamento (o almeno la forte riduzione) della sanzione. L’ufficio, valutando la sua buona fede e situazione ISEE, potrebbe accettare di definire facendogli pagare solo una sanzione minima simbolica (es. 5%). In effetti, nell’adesione si potrebbero accordare per una sanzione ridotta al minimo edittale (10%) e poi ridotta di 1/3 (circa 6-7%). Nel nostro scenario ipotizziamo un buon esito: Rossi pagherà €4.000 + interessi modesti, con sanzione ridotta a €200 (5% di €4.000).
- Azione di rivalsa verso l’impresa: l’avvocato consiglia inoltre a Rossi di valutare un’azione contro l’impresa esecutrice. Nel contratto c’era una data di fine lavori al 31/12/22, non rispettata. Quel ritardo gli è costato €4.000 di tasca propria. Si può scrivere all’impresa chiedendo almeno un rimborso parziale, minacciando altrimenti causa per danni. Rossi vive in paese, conosce il costruttore e preferisce non “rovinare i rapporti”, quindi decide di non procedere legalmente contro di lui. In ogni caso, grazie alla difesa attuata, il contenzioso col Fisco si chiude in adesione senza un lungo processo.
Sintesi: in questo scenario il contribuente ha dovuto restituire parte del bonus (la quota relativa alle spese tardive), ma grazie alla difesa non ha pagato sanzioni significative e ha potuto dilazionare l’importo (nell’adesione è possibile ottenere una rateazione fino a 8 rate trimestrali). Il caso illustra come, a fronte di contestazioni formalmente fondate, la strategia sia limitare i danni puntando sulla buona fede e su soluzioni transattive.
Caso 2: Contestazione di credito inesistente per lavori “fantasma” – beneficiario truffato dall’impresa
Scenario: Un condominio di 8 famiglie affida nel 2021 i lavori trainanti e trainati del Superbonus 110% a una ditta Alpha Srl che offre anche lo sconto in fattura. La ditta esegue solo pochi interventi iniziali, poi a metà 2022 abbandona il cantiere, ma nel frattempo aveva già emesso fatture come se avesse completato tutto e ha ceduto i crediti (fittizi) maturati a una finanziaria. I condomini si ritrovano con la facciata solo parzialmente rifatta e l’impianto termico non finito – insomma lavori lasciati a metà. A marzo 2023 la Guardia di Finanza avvia indagini: emerge che Alpha Srl ha frodato diversi condomìni, creando crediti fittizi su lavori mai realizzati. La Procura sequestra il “cassetto fiscale” della società e dei beneficiari, bloccando i crediti residui ancora non utilizzati dalla finanziaria. Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate notifica atti di recupero a ciascun condomino per l’intero importo del bonus di cui hanno fruito (tramite sconto/cessione). Gli 8 condomini sono sconvolti: loro pensavano che l’impresa stesse lavorando – seppur male – e di aver ceduto regolarmente il credito; ora rischiano di dover pagare circa €400.000 complessivi (in media €50.000 a famiglia) di crediti dichiarati “inesistenti”. In più sono contestate sanzioni al 100%. Questo è un tipico caso di frode, dove i beneficiari però sono vittime inconsapevoli.
Difesa (azioni possibili): la situazione è delicata perché formalmente i crediti sono inesistenti (lavori non eseguiti) e la legge prevede il recupero integrale con sanzioni pesanti. Tuttavia i condomini hanno ottimi argomenti per difendersi sul piano soggettivo. Un pool di avvocati viene incaricato (uno per ogni condòmino, oppure uno che rappresenta tutti con procura congiunta) e imposta la difesa su più fronti paralleli:
- Penale: c’è un procedimento penale per truffa aggravata a carico dei titolari di Alpha Srl. I condomini si costituiscono parte civile in quel processo chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali (in primis quanto dovranno restituire al Fisco) e morali subiti. Puntano a ottenere una sentenza penale di condanna degli imputati con obbligo di risarcimento in solido. Questo perché sanno che, anche vincendo sul fronte tributario (cosa non garantita), comunque i lavori sono da rifare e soldi ne hanno persi, dunque vogliono far valere la loro posizione di vittime nel penale. In pratica, cercano di spostare il più possibile il peso sugli autori della frode: una condanna penale potrà forse aiutarli poi a rivalersi sui beni sequestrati o confiscati agli imputati.
- Tributario (ricorso contro gli avvisi): la strategia in questo caso è dimostrare che i condomini erano totalmente in buona fede e vittime essi stessi della frode. Gli avvocati producono tutte le prove: il contratto d’appalto con Alpha Srl, i bonifici di acconto che alcuni condomini avevano versato all’inizio (prima di passare allo sconto in fattura), le comunicazioni intercorse con l’impresa in cui questa rassicurava che “andava tutto bene”, eventuali denunce già presentate quando la ditta è sparita. L’argomento è: non c’era volontà di indebito arricchimento da parte dei condomini, anzi loro hanno anche pagato parte dei lavori e ci hanno rimesso; se i crediti risultano inesistenti è colpa dell’impresa, non perché i condomini abbiano dichiarato il falso consapevolmente. L’obiettivo nel ricorso è quanto meno ottenere l’annullamento delle sanzioni (100%) e magari una riduzione del quantum contestato. Ad esempio, si può cercare di dimostrare che parte dei lavori in realtà fu eseguita: magari il cappotto termico è stato realizzato al 50% – i condomini potrebbero aver diritto al 50% del bonus, quindi il credito non è interamente inesistente ma in parte non spettante. Ciò richiederà una perizia tecnica che quantifichi lo stato di avanzamento: se si riesce a provare che metà dei lavori era fatta, il giudice potrebbe riqualificare la pretesa, dal recupero del 100% come credito inesistente (con sanzione 100%) a un recupero del 50% come credito non spettante (sanzione 30%). Non sarà facile (perché comunque i requisiti finali non furono raggiunti), ma vale la pena tentare. In ogni caso, sulle sanzioni si insiste che c’è stato errore inevitabile: i condomini non potevano accorgersi della frode perché si fidavano delle asseverazioni e dei visti prodotti dall’impresa. Quindi chiedono di azzerare le sanzioni applicando l’esimente dell’errore incolpevole ex art. 6, co.2 D.Lgs. 472/97. Questa richiesta ha buone chance di successo data la situazione di palese buona fede.
- Responsabilità solidale del cessionario: in questo caso la finanziaria (cessionaria dei crediti) risulta anch’essa beffata dalla ditta fraudolenta. Dai documenti emerge che la finanziaria non ha dolo (anche lei appare vittima), ma potrebbe aver avuto colpa grave se non ha verificato minimamente il cantiere. Ad ogni modo, l’Agenzia – un po’ sorprendentemente – ha notificato gli atti solo ai condomini, non alla finanziaria cessionaria (forse giudicandola diligente). Gli avvocati valutano se “chiamare in causa” la finanziaria nel giudizio: tecnicamente il giudice tributario non può condannare un privato a pagare, ma si potrebbe evidenziare che la finanziaria ha beneficiato di quei crediti fasulli (forse li ha già compensati in F24) e doveva controllare di più. L’obiettivo non è tanto far condannare la finanziaria in sede tributaria (impossibile), ma far emergere l’eventuale negligenza del cessionario: ciò per rafforzare la tesi che se c’è un colpevole non sono di certo i condomini. Parallelamente, viene consigliato ai condomini di agire in sede civile contro la finanziaria per arricchimento senza causa o responsabilità extracontrattuale: in pratica sostenendo che la finanziaria ha beneficiato di crediti fasulli e avrebbe dovuto controllare, per cui dovrebbe restituire ciò che ha indebitamente incassato. Non è una causa facile, ma potrebbe portare a una transazione: magari la finanziaria, per evitare pubblicità negativa e lunghe cause, accetta di rinunciare a pretendere i crediti residui ancora non compensati (che erano stati sequestrati) e di destinarli a ridurre il debito dei condomini. Nel nostro scenario supponiamo che la finanziaria, appurato il caos, preferisca rinunciare a circa €100.000 di crediti che ancora deteneva, lasciandoli “scadere” (cioè non compensandoli), in modo da alleviare di un quarto il debito dei condomini come parte di un accordo globale. Queste dinamiche avvengono fuori dal processo tributario ma sono cruciali: servono a ridurre l’esborso effettivo per le famiglie.
- Misure urgenti durante il processo: visto l’importo astronomico (400k totali), gli avvocati chiedono subito alla Commissione Tributaria la sospensione degli atti, evidenziando che €50k a famiglia rappresenta chiaramente un danno grave. Allegano la copia della denuncia penale e altri elementi a supporto del fumus (cioè che la difesa non è pretestuosa) e del periculum (rischio rovina economica). La sospensione viene concessa. Intanto, nel penale vengono sequestrati i beni di Alpha Srl: i condomini sperano che con la confisca dei profitti illeciti possano recuperare qualcosa come risarcimento. Probabilmente, alla fine: il penale confermerà la truffa ma Alpha Srl sarà fallita, quindi i condomini otterranno solo una magra consolazione morale e poco risarcimento. In sede tributaria, grazie alla difesa, i condomini otterranno l’annullamento delle sanzioni (riconosciuti come vittime di errore scusabile) e la possibilità di una rateizzazione lunga del debito principale (es. 10 anni di rate). La finanziaria cessionaria, dal canto suo, come detto rinuncia a utilizzare crediti per €100k ancora sospesi, e questo fatto viene considerato come un contributo a ridurre il danno: sostanzialmente €100k di quei crediti fittizi non verranno mai compensati (lo Stato non li perderà) e quindi in sede di accordo finale col Fisco si transa tenendone conto. I condomini comunque ci rimettono parecchi soldi (dovranno pagare quantomeno la quota di credito non coperta da lavori, salvo eventuali risarcimenti futuri). Ma grazie alla difesa hanno evitato di pagare il doppio – cioè di pagare anche le multe – e sono riusciti a orientare la responsabilità sui veri colpevoli.
Sintesi: questo scenario mostra un caso estremo di frode ai bonus dove però i beneficiari non sono i furbetti ma le vittime. La difesa si concentra sull’escludere la loro colpevolezza e sul trovare vie risarcitorie. Non sempre si riuscirà a evitare il recupero del bonus (poiché oggettivamente i lavori non furono fatti), ma si può evitare che famiglie innocenti vengano rovinate ulteriormente da sanzioni e interessi. Importante anche l’aspetto che il cessionario in buona fede comunque perde il credito (sequestro e annullamento) – la Cassazione penale 2024 ha chiarito che il credito fittizio va estromesso dal circuito fiscale anche se chi l’ha acquistato era ignaro. Quindi la banca in questo caso non pagherà sanzioni, ma perde il milione di credito comprato e subisce il sequestro delle somme corrispondenti, dovendo poi rivalersi (forse inutilmente) su Alpha Srl. Ognuno subisce danni, tranne il truffatore che spesso è insolvibile; ma almeno i contribuenti onesti non pagheranno oltre al danno anche la beffa delle multe.
Caso 3: Contestazione in condominio per vizio formale risolta in autotutela
Scenario: Un condominio ha realizzato interventi trainanti (cappotto termico) e trainati (infissi) col Superbonus 110% nel 2021. Tutto sembra regolare, i crediti sono stati ceduti a una banca. Nel 2022 l’Agenzia invia un questionario chiedendo vari documenti. L’amministratore risponde ma omette di allegare la copia della CILAS, pensando non servisse perché nel 2021 non era ancora obbligatoria (in realtà era già stata introdotta a luglio 2021!). L’ufficio, non trovando la CILA, conclude che i lavori sono stati fatti senza valido titolo edilizio e quindi, a fine 2022, invia un avviso di recupero dell’intero bonus (€300k) per “mancata presentazione CILA = detrazione non spettante”. In realtà la CILAS era stata presentata eccome al Comune, solo che l’amministratore non l’aveva allegata per errore. Il condominio, tramite l’avvocato, agisce immediatamente: presentano un’istanza di autotutela all’Agenzia allegando la CILAS protocollata e approvata a suo tempo, spiegando che c’è stato un fraintendimento. Chiedono dunque l’annullamento dell’atto, perché il motivo del recupero (assenza CILA) è insussistente: la CILA c’è, solo che loro non l’avevano trasmessa prima. Contestualmente, per sicurezza, depositano comunque ricorso (con riserva di rinuncia) per non far scadere i termini, e chiedono la sospensione. L’Agenzia, una volta verificato il documento, riconosce l’errore e annulla in autotutela l’atto prima ancora dell’udienza di sospensione. Caso risolto in poche settimane. (La lezione per l’amministratore: rispondere sempre in modo completo ai questionari; un piccolo errore ha rischiato di costare caro, ma per fortuna era sanabile con dialogo.)
Caso 4: Responsabilità solidale contestata a banca per credito falso
Scenario: La banca Beta ha acquistato vari crediti fiscali edilizi tramite un intermediario nel 2021. Uno di questi lotti, del valore di €1 milione, si rivela nel 2022 completamente fittizio (lavori mai eseguiti, beneficiario irreperibile). L’Agenzia Entrate annulla quei crediti sul cassetto fiscale del beneficiario e li dichiara inesistenti. La banca Beta non è riuscita a utilizzarli (erano stati bloccati prima della compensazione e poi annullati). Successivamente, dall’istruttoria emerge che in quella frode la banca forse è stata troppo disinvolta: Beta ha comprato a 70 cent/€ crediti da una piccola impresa edile a capitale minimo, senza nemmeno acquisire l’asseverazione (si fidava del mediatore). Quindi l’Agenzia ritiene che Beta sia stata gravemente negligente e le contesta la responsabilità solidale per quei crediti, chiedendo anche sanzione (100%) e ventilando una segnalazione penale. In pratica, vuole far pagare alla banca il costo del credito inesistente.
Azione difensiva: gli avvocati di Beta preparano una robusta memoria difensiva per l’Agenzia (nel tentativo di scongiurare anche la denuncia penale), evidenziando:
– Beta in realtà aveva attuato procedure di controllo interne (esibiscono i protocolli aziendali, e-mail col mediatore). È vero che alcuni documenti mancavano, ma la banca era convinta fossero in regola. Invocano la norma del 2022: qui non c’era dolo, e per la colpa grave contestano che la mancanza di asseverazione fu dovuta all’inganno del mediatore (che aveva falsificato un’attestazione, da quanto scoperto). Quindi anche la banca fu ingannata.
– Citano i principi espressi dalla Cassazione penale 2024: la buona fede del cessionario non “depura” il credito ma lo salva penalmente. Puntano a evitare guai penali evidenziando che hanno collaborato con la Procura (hanno denunciato loro stessi il mediatore, ecc.).
– Nel procedimento tributario, sottolineano che Beta non ha mai utilizzato quei crediti in compensazione, quindi non c’è un danno erariale effettivo (nessuna imposta è stata evitata con quel milione, perché mai compensato). Ergo, chiedono che non venga sanzionato un “utilizzo” che non c’è stato. Al massimo c’è un tentativo di frode da parte del beneficiario, ma la banca non ha sottratto nulla al Fisco.
– Citano infine la normativa introdotta dal DL 11/2023: Beta dichiara di aver ormai recuperato tutti i documenti (dopo il fatto hanno indagato: hanno scoperto ad esempio dal Comune che non c’era mai un titolo edilizio – scoperta tardiva, ma sostengono che non potevano saperlo prima). Quindi ora Beta possiede l’elenco completo dei documenti richiesti (anche se postumi) e sostiene che comunque la normativa gli attribuisce la possibilità di dimostrare la diligenza anche se parte dei documenti mancavano.
– Risultato ipotetico: l’Agenzia, percependo che la banca darebbe battaglia e potrebbe far emergere che magari gli stessi controlli del Fisco ex art. 122-bis non scattarono (il che sarebbe imbarazzante per l’Amministrazione), decide di non perseguire oltre Beta sul piano tributario. Magari la banca patteggia solo una sanzione ridotta per “diligenza non impeccabile” in adesione, ma di fatto salva la reputazione e non viene trascinata in un contenzioso pubblico.
Sintesi: questo scenario evidenzia i profili di difesa di un cessionario che si vede imputare la colpa grave. La banca, sapendo di avere qualcosa da rimproverarsi (poteva controllare meglio), punta a dimostrare di aver fatto in realtà il possibile e di essere stata anch’essa vittima di un raggiro. Mette sul tavolo la collaborazione attiva (denuncia, consegna documenti) e soprattutto sottolinea che non ha mai usato quei crediti, quindi non ha tratto profitto indebito. Questo è un argomento forte: se un credito inesistente viene scoperto prima che il cessionario lo usi, lo Stato non subisce alcun danno economico diretto. Ovviamente c’è il danno “potenziale” e la lesione agli interessi generali, ma è diverso da chi compensa crediti falsi abbattendo le proprie tasse. Crediti inesistenti non usati equivalgono quasi a non aver fruito del bonus – rimane la punibilità penale del tentativo di truffa in capo agli autori originari, ma per il cessionario in buona fede dovrebbe valere il nullum crimen (non è reato aver acquistato in sé il credito falso) e nessuna sanzione tributaria per utilizzo (perché non l’ha usato). La conclusione ipotizzata vede l’Agenzia concentrarsi sui veri frodatori (il beneficiario fantasma e il mediatore) e lasciar stare la banca, facendole forse pagare giusto una multa minima per aver comprato senza l’asseverazione. Ciò evita anche una brutta causa dove la banca avrebbe potuto mettere in luce mancanze normative pregresse. È un esempio di come nel 2023-24, con la nuova normativa, un cessionario in buona fede ben documentato possa efficacemente difendersi e convincere l’Agenzia a desistere.
Caso 5: Contestazione per difformità edilizia lieve risolta con interpretazione favorevole
Scenario: Mario, proprietario di un appartamento, ha beneficiato del Superbonus 110% per interventi trainati (nuovi infissi e caldaia) grazie a un intervento trainante condominiale (cappotto termico) eseguito sul condominio. Tutto regolare, crediti ceduti. Nel 2023, l’Agenzia gli contesta che il suo appartamento aveva una veranda abusiva (una chiusura di balcone non autorizzata) e quindi l’immobile non era del tutto in regola urbanisticamente, motivo per cui il bonus non sarebbe spettato. Importo detrazione fruita da Mario: €15.000. Mario pensava di essere a posto perché il condominio aveva presentato la CILAS per il cappotto.
Difesa: l’avvocato di Mario impugna l’atto sottolineando che:
– La veranda è antecedente al 1967 (o comunque una difformità minore). Con la CILAS condominiale non era richiesto di attestare lo stato legittimo dell’immobile, quindi per legge quell’abuso non comporta decadenza. Si cita l’art. 119 c.13-ter DL 34/2020 (introdotto da L.108/2021) che tutela il bonus in presenza di CILAS e prevede decadenza solo in quattro casi gravi (mancata presentazione CILA, intervento totalmente difforme, immobili abusivi integrali, violazione norme sicurezza antisismica). Una veranda non incide sulle parti strutturali e non impediva affatto i lavori condominiali. Quindi l’ufficio non può pretendere di revocare il bonus per questo motivo.
– Probabilmente l’Agenzia ha ignorato la norma semplificativa. Si allegano circolari esplicative (es. Circ. 30/E 2020 del MEF) e la copia della CILAS condominiale per rimarcare che la veranda non impediva nulla. In sostanza si fa valere che grazie alla CILAS la veranda abusiva è irrilevante ai fini del bonus.
– Si aggiunge che Mario ha anche presentato domanda di condono/sanatoria per la veranda nel frattempo, dimostrando la volontà di regolarizzare. Questo per sottolineare la sua buona fede e che l’abuso è tecnicamente sanabile.
– Risultato atteso: la Commissione presumibilmente annullerà l’atto perché la normativa esclude la decadenza in casi simili (difformità minori con CILAS). Se l’Agenzia fosse ostinata e il giudice, per scrupolo, non volesse applicare direttamente l’art. 119 c.13-ter, potrebbe magari decidere in via equitativa che il bonus spetta comunque perché la veranda non ha nulla a che vedere con cappotto e infissi. In ogni caso Mario conserverà integralmente il suo bonus, eviterà sanzioni, e provvederà poi a regolarizzare la veranda per evitare future questioni.
Sintesi: questo scenario dimostra la potenza delle modifiche normative del 2021: prima, una veranda abusiva avrebbe fatto decadere l’intero bonus di Mario; oggi, grazie alla CILAS semplificata, si può sostenere agevolmente che quella violazione formale non comporta la perdita del beneficio. La difesa qui combina normativa fiscale e considerazioni fattuali (la veranda non incide sui lavori, Mario la sta condonando). Ci si aspetta un esito positivo per il contribuente. Questo esempio evidenzia come un avvocato esperto sappia individuare la “scappatoia” legale introdotta a suo favore – in questo caso l’art.119 c.13-ter – e utilizzarla per neutralizzare la contestazione. Un non addetto ai lavori magari non avrebbe saputo di quella norma e avrebbe subìto un recupero ingiusto.
Questi esempi mostrano che, di volta in volta, la difesa richiede di combinare normativa fiscale e elementi fattuali, con creatività ma anche rigore. Il ruolo dell’avvocato esperto in Superbonus è proprio quello di orientare il cliente attraverso questo complesso panorama, valutando rischi, possibili soluzioni e strategie su misura del caso concreto.
Conclusione
Difendersi efficacemente da contestazioni relative al Superbonus 110% e agli altri bonus edilizi richiede un mix di conoscenza normativa aggiornata, capacità tecnico-probatorie e strategia legale. Abbiamo visto come il quadro normativo italiano abbia evoluto sia gli incentivi sia gli strumenti di tutela per i soggetti in buona fede (ad esempio limitando la responsabilità solidale ai casi di dolo/colpa grave, offrendo salvaguardie per cantieri in corso, semplificando le procedure con la CILAS). Allo stesso tempo, i controlli e le sanzioni si sono fatti più stringenti. Dal punto di vista del debitore (beneficiario chiamato a restituire l’agevolazione) possiamo enucleare alcuni punti chiave da portare avanti in ogni difesa:
- Dimostrare la propria diligenza e buona fede: un contribuente che può esibire tutti i documenti richiesti, che ha seguito le procedure previste (CILA, visti, asseverazioni) e che si è affidato a professionisti qualificati, parte già avvantaggiato. Nel diritto tributario ciò può tradursi nell’annullamento delle sanzioni amministrative per assenza di colpevolezza. Nei casi migliori, una condotta diligente può persino convincere l’Agenzia a desistere da pretese puramente formali prima di arrivare in giudizio. Ad esempio, se l’ufficio contesta la mancanza di un documento e tu glielo fornisci subito, è possibile che faccia marcia indietro in autotutela; oppure, se dimostri di aver agito secondo le regole e interpretazioni vigenti, potresti evitare le multe anche se il tributo viene recuperato.
- Usare sapientemente le norme a favore del contribuente: la materia è complessa e spesso in evoluzione, ma proprio per questo il legislatore ha introdotto nel tempo diverse “valvole di sfogo” a tutela dei cittadini. Un avvocato esperto sa individuare queste scappatoie legali e sfruttarle: come nel caso visto della CILA-Superbonus che evita la decadenza per abusi edilizi minori, o come la possibilità di definizioni agevolate e ravvedimenti operosi per sanare spontaneamente gli errori. Anche in giudizio, saper qualificare un errore come “non spettante” anziché “inesistente” può dimezzare la sanzione dovuta; oppure invocare la causa di non punibilità per obiettiva incertezza normativa può salvare da multe pesanti. Insomma, conoscere a fondo la normativa e i precedenti giurisprudenziali consente di ridurre l’impatto delle contestazioni, anche quando il contribuente ha commesso qualche passo falso in buona fede.
- Cooperazione e dialogo con l’Amministrazione: salvo situazioni di frode conclamata, spesso è possibile trovare soluzioni condivise con l’ufficio fiscale. Questo riflette anche un orientamento moderno del Fisco: ad esempio, di fronte a un contribuente disponibile a pagare il dovuto dimostrando di non aver avuto dolo, l’Agenzia può concordare la rinuncia alle sanzioni o un pagamento rateale sostenibile. D’altronde, imporre a famiglie e imprese oneste oneri insostenibili non conviene a nessuno – si rischierebbe solo un’ondata di contenziosi e fallimenti, e magari di non riscuotere comunque nulla. Abbiamo visto casi in cui l’ufficio, preso atto della buona fede del contribuente, ha fatto marcia indietro in autotutela appena mostrata la prova mancante (Caso 3), oppure ha accettato definizioni con sanzioni simboliche pur di chiudere la partita (Caso 1). Quindi è importante non erigere muri: la contrapposizione sterile col Fisco spesso peggiora le cose, mentre un approccio professionale ma costruttivo può portare a esiti sorprendentemente positivi.
- Tutela dei diritti del contribuente anche verso terzi: non bisogna dimenticare la dimensione privatistica di queste vicende. Il beneficiario che subisce un danno (perdita del bonus) non è privo di rimedi verso chi ha concorso a causarlo. Le imprese appaltatrici, i progettisti, i fiscalisti, i cessionari – ciascuno nel proprio ruolo – rispondono delle proprie condotte. Come evidenziato, un approccio olistico prevede di attivare, parallelamente alla difesa tributaria, le dovute azioni civili (o denunce penali) per spostare il peso economico su chi effettivamente ha sbagliato o frodato. In questo modo, il contribuente può aspirare a non rimanere l’unico “anello debole che paga per tutti”. Certo, recuperare da terzi può essere arduo, ma val la pena tentare e, ove possibile, cautelarsi a monte con contratti ben fatti e verifica delle polizze assicurative dei tecnici.
- Importanza della consulenza preventiva e della compliance: in ultimo, vale il vecchio adagio che prevenire è meglio che curare. Questa guida – concepita per un pubblico avanzato – ci tiene a sottolineare che evitare le contestazioni è la miglior difesa. Nel contesto futuro, con aliquote ridotte (65% e meno) e maggiori vincoli, chi vorrà ancora fruire di bonus edilizi dovrà farlo con una pianificazione attenta: verifiche urbanistiche preliminari, studio dei requisiti normativi e monitoraggio costante dell’evoluzione legislativa. Un avvocato esperto in materia, affiancato da tecnici qualificati, può offrire un servizio di audit e consulenza preventiva per assicurare che l’operazione di ristrutturazione sia impermeabile ai rilievi del Fisco. Ad esempio, revisionare la pratica prima dell’invio all’ENEA, controllare che tutti i documenti siano a posto, simulare possibili controlli incrociati, ecc. In un periodo in cui le percentuali di detrazione si abbassano e la tolleranza del Fisco verso gli abusi è zero, la compliance proattiva diventa fondamentale: chi gioca d’anticipo difficilmente sarà colto in fallo, chi invece improvvisa rischia di trovarsi a dover combattere una battaglia difensiva successiva, con costi e incertezze.
In conclusione, la materia dei bonus edilizi e delle relative contestazioni è complessa ma non priva di tutele per il contribuente onesto. Il consiglio finale per avvocati, professionisti e contribuenti è di studiare a fondo ogni contestazione, non dare mai per scontato che l’Agenzia abbia ragione (spesso, come abbiamo visto, un dettaglio normativo può ribaltare la situazione), e di farsi assistere da esperti del settore. Con una difesa ben preparata, molti atti inizialmente “perdenti” si sono risolti positivamente. L’importante è agire tempestivamente, raccogliere le prove, conoscere i propri diritti e non scoraggiarsi di fronte alla mole di norme e burocrazia: con l’aiuto giusto, anche il contribuente può far valere le proprie ragioni e difendere con successo i bonus fiscali di cui ha beneficiato.
Fonti normative e giurisprudenziali principali citate: Decreto Rilancio (D.L. 34/2020) art. 119-121 conv. L.77/2020; DL 157/2021 conv. L.216/2021 (Decreto Antifrodi); DL 77/2021 conv. L.108/2021 (CILAS Superbonus); Legge 234/2021 (Bilancio 2022); DL 50/2022 conv. L.91/2022 (Decreto Aiuti); DL 115/2022 conv. L.142/2022 (Aiuti-bis, art.33-ter responsabilità cessionari); Circolare AdE 23/E/2022 (indici di rischio cessioni); Circolare AdE 33/E/2022 (dolo/colpa grave cessionari); DL 11/2023 conv. L.38/2023 (Stop cessioni, documenti cessionari art.121 co.6-bis e ss.); DL 212/2023 conv. L.14/2024 (Salva-Superbonus); D.Lgs. 13/2024 e D.Lgs. 87/2024 (riforma sanzioni tributarie, definizioni credito non spettante/inesistente); Statuto Contribuente art.10 c.3 (no sanzioni se contribuente seguiva indicazioni poi mutate); D.Lgs. 472/97 art.6 co.2-5 (non punibilità per obiettiva incertezza, errore scusabile); D.Lgs. 74/2000 art.10-quater (indebita compensazione); Codice Penale art.640-bis (truffa aggravata per erogazioni); Cass. SS.UU. nn. 34419 e 34452/2023 (definizione credito inesistente vs non spettante); Cass. pen. Sez. II n. 3108/2024 (sequestro crediti anche se cessionario in buona fede); Cass. pen. Sez. II n. 45868/2024 (truffa aggravata anche senza utilizzo, basta ottenimento credito fraudolento). (Le note e citazioni incorporate nel testo rimandano ai riferimenti completi).
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Vuoi sapere cosa rischi e come difenderti da queste accuse?
👉 Prima regola: dimostra l’effettiva esecuzione dei lavori, la presenza del cantiere e la tracciabilità delle spese sostenute.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Presentazione di pratiche edilizie per lavori mai avviati o non realizzati;
- Utilizzo di fatture false o gonfiate relative a cantieri inesistenti;
- Richiesta di bonus edilizi (ecobonus, sismabonus, superbonus) senza documentazione tecnica a supporto;
- Mancanza di asseverazioni valide da parte dei professionisti;
- Cessione del credito o sconto in fattura basati su lavori mai eseguiti.
📌 Conseguenze della contestazione
- Revoca del beneficio fiscale e recupero delle detrazioni o crediti d’imposta;
- Applicazione di sanzioni fiscali e interessi sulle somme contestate;
- Responsabilità solidale tra contribuente, tecnici e imprese esecutrici;
- Rischio di denunce penali per truffa ai danni dello Stato, falso in atto e dichiarazione fraudolenta;
- Possibile esclusione da futuri bonus o incentivi fiscali.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Il cantiere è stato realmente avviato e documentato?
- Esistono prove (foto, relazioni tecniche, collaudi, SAL) dell’avanzamento lavori?
- Le fatture corrispondono a prestazioni effettivamente eseguite?
- Le asseverazioni e certificazioni erano corrette e complete?
- L’accertamento si basa su dati oggettivi o su semplici presunzioni?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Titoli edilizi (CILA, SCIA, permessi) e autorizzazioni comunali;
- Stati avanzamento lavori (SAL) e certificati di collaudo;
- Fatture, bonifici parlanti e quietanze di pagamento;
- Relazioni tecniche, asseverazioni e documentazione ENEA;
- Foto, planimetrie e rapporti di sopralluogo.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la reale esistenza e operatività del cantiere;
- Contestare la riqualificazione come “cantiere fantasma” con prove documentali e tecniche;
- Evidenziare la buona fede e l’affidamento legittimo in professionisti e imprese;
- Eccepire vizi di forma e motivazione nell’accertamento;
- Richiedere annullamento in autotutela o presentare ricorso entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria;
- Difesa penale mirata in caso di accuse di truffa o false fatturazioni.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la documentazione tecnica e fiscale legata al cantiere;
📌 Valuta la legittimità della contestazione e i punti deboli dell’accusa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce soluzioni preventive per una gestione sicura dei bonus edilizi.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e bonus edilizi;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su cantieri fantasma e false fatturazioni;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni per cantieri fantasma nei bonus edilizi sono tra le più gravi, ma non sempre fondate: spesso si basano su presunzioni o errori di valutazione.
Con una difesa mirata puoi dimostrare l’effettiva esistenza dei lavori, ridurre o annullare la pretesa fiscale e contenere i rischi penali.
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