Contestazioni Su Contratti Di Leasing Elusivi: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunti contratti di leasing elusivi? In questi casi, l’Ufficio presume che il contratto di leasing sia stato utilizzato non per reali esigenze aziendali, ma con il solo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali, come la deduzione di costi non inerenti o la riduzione artificiosa della base imponibile. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e, nei casi più complessi, contestazioni di abuso di diritto. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben strutturata è possibile dimostrare la reale utilità economica dell’operazione e ridurre in modo significativo le sanzioni.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i contratti di leasing come elusivi
– Se i canoni di leasing risultano sproporzionati rispetto al valore reale del bene
– Se il contratto è stato stipulato con soggetti esteri o collegati per finalità meramente fiscali
– Se l’operazione non ha un’effettiva funzione economica ma solo un vantaggio tributario
– Se vi sono incongruenze tra la durata del contratto, l’utilizzo del bene e la sua utilità per l’impresa
– Se l’Ufficio presume un abuso di diritto per deduzioni fiscali ritenute indebite

Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione delle deduzioni ritenute illegittime
– Applicazione di sanzioni fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme non dichiarate
– Rettifica delle dichiarazioni fiscali e inserimento in liste di controllo
– Possibile contestazione di abuso di diritto o elusione fiscale

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale utilità economica e gestionale del contratto di leasing
– Produrre documentazione contrattuale, bilanci e giustificativi dell’operazione
– Contestare la qualificazione come elusiva se il contratto risponde a valide ragioni extrafiscali
– Evidenziare vizi di notifica, carenze istruttorie o errori di valutazione dell’Agenzia
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre l’entità delle sanzioni
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i contratti di leasing contestati e la relativa documentazione contabile
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione della normativa fiscale
– Redigere un ricorso basato su prove concrete e vizi formali dell’accertamento
– Difendere l’impresa davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni tramite la riqualificazione della violazione
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– La conferma della legittimità dei costi dedotti in presenza di reali esigenze aziendali
– La certezza di pagare solo quanto effettivamente dovuto per legge

⚠️ Attenzione: i contratti di leasing sono spesso oggetto di verifiche fiscali per possibili profili elusivi. È fondamentale predisporre una difesa solida e tempestiva per evitare conseguenze economiche e reputazionali rilevanti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni su contratti di leasing ritenuti elusivi e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.

👉 Hai ricevuto una contestazione per contratti di leasing elusivi? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione, verificheremo la legittimità della pretesa e costruiremo la strategia difensiva più efficace per tutelare i tuoi interessi.

Introduzione

Il leasing (o locazione finanziaria) è uno strumento contrattuale diffusissimo, usato da imprese e privati per acquisire l’uso di beni – spesso strumentali – senza pagarne subito l’intero prezzo. In sostanza, un intermediario (società di leasing o banca) acquista il bene scelto dall’utilizzatore e glielo concede in godimento a fronte di canoni periodici, con possibilità per l’utilizzatore di riscattare la proprietà pagando un importo finale prefissato. Dal punto di vista dell’utilizzatore (debitore), il leasing consente un investimento dilazionato nel tempo, spesso fiscalmente conveniente. Tuttavia, proprio il possibile vantaggio fiscale del leasing rispetto all’acquisto diretto ha attirato l’attenzione del Fisco: determinate operazioni di leasing possono essere contestate dall’Agenzia delle Entrate come elusive (abusive), cioè finalizzate unicamente a ottenere indebiti risparmi d’imposta in assenza di valide ragioni economiche . In parallelo, sul piano civilistico i contratti di leasing presentano clausole complesse (tassi d’interesse, penali di risoluzione, indicizzazioni, ecc.) che talora possono risultare nulle o vessatorie a danno dell’utilizzatore. Ne derivano contestazioni sia tributarie (accertamenti per elusione fiscale) sia civilistiche (nullità per vizi di forma, squilibrio contrattuale, violazione del divieto di patto commissorio, ecc.).

In questa guida avanzata (aggiornata ad agosto 2025) esamineremo le contestazioni tipiche sui contratti di leasing “elusivi” e forniremo indicazioni su come difendersi, dal punto di vista del debitore/utilizzatore. Adotteremo un linguaggio giuridico accurato ma al tempo stesso divulgativo, rivolgendoci sia a professionisti legali (avvocati, consulenti) sia a imprenditori e privati coinvolti in queste vicende. Il focus sarà prevalentemente sulle controversie tributarie con l’Agenzia delle Entrate (operazioni di abuso del diritto/elusione fiscale nei leasing finanziari, operativi, immobiliari, auto, ecc.), senza trascurare i principali profili civilistici di illegittimità contrattuale (ad es. tassi usurari, clausole penali squilibrate, patto commissorio nel sale and lease-back, ecc.).

Seguendo un approccio sistematico, la guida è organizzata in sezioni tematiche con riquadri di approfondimento normativo, riferimenti a sentenze recentissime e tabelle riepilogative. Abbiamo incluso anche casi pratici italiani ed una sezione finale di Domande & Risposte per chiarire i dubbi frequenti. L’obiettivo è fornire al debitore gli strumenti per riconoscere un leasing potenzialmente illegittimo o contestabile e per attuare efficaci strategie difensive, sia in sede tributaria (annullamento o vittoria in contenzioso) sia in sede civile (nullità contrattuali, riduzione di penali o interessi, ecc.) .

Nozioni generali sul leasing e tipologie contrattuali

Prima di affrontare le contestazioni, è opportuno chiarire cosa si intende per leasing e quali tipologie contrattuali esistono, poiché alcune differenze incidono sulle tutele e sui rischi per il debitore. In Italia il leasing non è espressamente disciplinato dal Codice Civile, ma è riconosciuto dalla giurisprudenza e da varie norme di settore (es. nel Testo Unico Bancario per gli intermediari finanziari; nella Legge n.124/2017 in tema di risoluzione per inadempimento, ecc.). Si tratta di un contratto atipico caratterizzato dalla causa di finanziamento: il lessor (concedente) anticipa il capitale per acquistare il bene, e l’utilizzatore lo rimborsa gradualmente attraverso i canoni. Di seguito riassumiamo le principali forme di leasing e le loro caratteristiche essenziali:

  • Leasing finanziario: È la forma più comune. Il concedente (tipicamente una banca o finanziaria) acquista il bene scelto dall’utilizzatore e glielo concede in uso a fronte di canoni periodici; alla scadenza l’utilizzatore ha un’opzione di acquisto versando il prezzo di riscatto pattuito a inizio contratto. La finalità economica prevalente è il finanziamento dell’acquisto del bene (il leasing finanziario è spesso descritto come un acquisto rateale “mascherato”). I piani finanziari prevedono spesso un maxi-canone iniziale (più elevato) seguito da rate costanti mensili/trimestrali . L’utilizzatore sopporta i rischi e oneri sul bene (costi di manutenzione, assicurazione, rischio perimento), similmente a un proprietario. Questa forma di leasing, se usata in modo improprio, può prestarsi a contestazioni tributarie (es. quando viene stipulata al solo scopo di dedurre i canoni in tempi più brevi rispetto all’ammortamento fiscale ordinario).
  • Leasing operativo: In questo schema il concedente in genere coincide col produttore o fornitore del bene (non è una banca terza). Il bene viene dato in uso per un periodo più breve della sua vita economica, spesso con inclusi servizi accessori (manutenzione, assistenza tecnica, ecc.) . Non sempre è previsto un riscatto finale, e il canone è più assimilabile a un noleggio puro. La causa qui è di godimento del bene più che di finanziamento. In caso di risoluzione anticipata, di norma i canoni già pagati non vengono restituiti (analogia con la locazione). Fiscalmente, il leasing operativo è trattato come una semplice locazione (deducibilità integrale dei canoni nel periodo di competenza); difficilmente dà luogo a contestazioni per abuso del diritto, poiché manca la finalità di acquisire la proprietà e i vantaggi fiscali sono più limitati.
  • Distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento: Questa distinzione, elaborata dalla giurisprudenza, riguarda i leasing finanziari stipulati prima della riforma del 2017. Si parla di leasing traslativo quando il bene mantiene a fine contratto un valore residuo significativamente superiore al prezzo di riscatto: ciò rivela che l’operazione è sostanzialmente volta al trasferimento della proprietà a condizioni di favore, fungendo da acquisto a rate mascherato . Il leasing di godimento invece si ha quando, a fine contratto, il bene ha scarso valore residuo (es. beni ad alta obsolescenza tecnologica) e il riscatto, se previsto, avviene a valore di mercato: in tal caso il leasing assolve una funzione di locazione temporanea del bene più che di acquisto differito. Questa distinzione era cruciale soprattutto in caso di risoluzione anticipata per inadempimento: nei leasing traslativi la giurisprudenza applicava analogicamente l’art. 1526 c.c. (vendita con riserva di proprietà), che tutela l’acquirente in caso di risoluzione imponendo al venditore di restituire le rate riscosse, salvo un equo compenso per l’uso . Nei leasing di godimento, invece, prevaleva l’art.1458 c.c. (effetti della risoluzione per inadempimento nei contratti di durata), con irrepetibilità dei canoni già scaduti quale corrispettivo dell’uso goduto. Dopo l’entrata in vigore della Legge n.124/2017 (vedremo in dettaglio più avanti), questa distinzione è divenuta meno rilevante per i nuovi contratti, poiché la legge ha uniformato il trattamento della risoluzione introducendo una sorta di patto marciano legale valido per ogni leasing finanziario. Tuttavia, per i contratti risolti prima del 29 agosto 2017, la differenza tra traslativo e godimento permane: le Sezioni Unite della Cassazione hanno confermato nel 2021 (sent. n.2061/2021) – e ribadito con ulteriori pronunce nel 2025 – che ai leasing traslativi risolti prima della riforma si applica l’art.1526 c.c. in via analogica, mentre per quelli di godimento continua ad escludersi tale tutela . In pratica, nei vecchi contratti traslativi il giudice può dichiarare nulla la clausola che consente al concedente di trattenere sia i canoni pagati sia il bene, configurando un ingiustificato arricchimento ai danni dell’utilizzatore; va invece imposta la restituzione all’utilizzatore dell’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto al suo debito residuo. Questa evoluzione normativa e giurisprudenziale mira a evitare squilibri gravemente punitivi per il debitore inadempiente.
  • Leasing immobiliare: È un leasing finanziario avente ad oggetto beni immobili (es. capannoni, negozi, immobili da costruire). Spesso ha durata molto lunga (anche 15–20 anni) e canoni su base trimestrale . Dal 2014 il legislatore ha previsto incentivi per il leasing abitativo (es. detrazioni fiscali per giovani che prendono in leasing l’abitazione principale, L.208/2015) e con la L.124/2017 sono state introdotte specifiche norme per il grave inadempimento nel leasing immobiliare: il ritardo ≥6 canoni mensili (o ≥2 trimestrali) legittima la risoluzione . In generale, il leasing immobiliare è spesso impiegato dalle imprese per ragioni fiscali e finanziarie (deducibilità canoni in 12 anni contro ammortamenti molto più lunghi; ottenimento di liquidità immediata in operazioni di sale & lease-back, ecc.), il che spiega perché molte contestazioni di elusione abbiano riguardato proprio leasing immobiliari.
  • Sale and lease-back (locazione finanziaria di ritorno, o retroleasing): Si tratta di una operazione complessa in cui un soggetto proprietario di un bene lo vende a una società di leasing, che contestualmente lo concede in leasing al medesimo venditore. Il venditore/utilizzatore ottiene così liquidità immediata dalla vendita e, al tempo stesso, continua ad utilizzare il bene in leasing, con facoltà di riacquistarne la proprietà al termine . Il sale & lease-back è lecito e diffusamente utilizzato dalle imprese come forma di autofinanziamento, ma presenta due criticità giuridiche principali: (1) in ambito civile, potrebbe celare un finanziamento garantito da trasferimento di proprietà, configurando un patto commissorio vietato ex art.2744 c.c.; (2) in ambito tributario, può costituire un meccanismo elusivo se realizzato al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti (ad es. dedurre canoni di leasing al posto di quote di ammortamento).

Dal punto di vista civilistico, la giurisprudenza considera nullo il sale & lease-back qualora risulti unicamente finalizzato a garantire un debito preesistente del venditore, senza un effettivo interesse a trasferire e ritrasferire il bene . In altri termini, se l’operazione è congegnata in modo che, in caso di insolvenza dell’utilizzatore, la società di leasing (acquirente) si appropri definitivamente del bene senza obbligo di restituzione di eccedenze, ci si trova di fronte a un patto commissorio mascherato – tipicamente nullo. La Cassazione ha fissato alcuni indici sintomatici per riconoscere il lease-back lecito da quello illecito: (i) presenza di un rapporto di credito-debito preesistente tra utilizzatore e società di leasing; (ii) stato di difficoltà finanziaria del venditore/utilizzatore, tale da far sospettare che il leasing sia usato per aggirare le tutele dei creditori; (iii) sproporzione tra il valore del bene ceduto e il prezzo pagato dal leasing . Se ricorrono tutti questi elementi, e manca una clausola contrattuale di “conguaglio” (tipo patto marciano) che garantisca la restituzione di un eventuale surplus di valore, l’operazione è nulla per violazione del divieto di patto commissorio . Viceversa, quando il sale & lease-back risponde a normali esigenze di liquidità aziendale e rispetta la parità sostanziale delle prestazioni, viene considerato un contratto tipico lecito: anzi, la Cassazione ha riconosciuto che esso è “socialmente tipico” e astrattamente valido, dovendosi verificare caso per caso l’assenza di intenti fraudolenti .

Dal punto di vista tributario, il sale & lease-back (specialmente immobiliare) è stato a lungo sotto la lente del Fisco in quanto potenziale operazione elusiva: il classico caso è l’impresa che, vendendo un immobile a una leasing company e riprendendolo in leasing, anticipa la deducibilità fiscale del costo. Ad esempio, un immobile strumentale acquistato in proprietà sarebbe deducibile via ammortamento in 33 anni circa, mentre attraverso un lease-back immobiliare l’azienda può dedurre i canoni di leasing in un arco più breve (tipicamente 8–12 anni, secondo le regole fiscali vigenti). Questa trasformazione di una spesa a deducibilità lenta (ammortamento) in una a deducibilità accelerata (canoni di leasing) può costituire un “vantaggio fiscale indebito” se l’operazione è priva di sostanza economica ulteriore. Come vedremo, la giurisprudenza tributaria ha però chiarito che non ogni sale & lease-back è abusivo: se esistono reali ragioni economico-finanziarie (liquidità, rifinanziamento dell’impresa, ecc.), la scelta di ricorrere al leasing anziché ad altre forme di finanziamento rientra nella libertà del contribuente e non può di per sé essere sindacata dal Fisco .

Nota: Ai fini di questa guida useremo l’espressione “leasing elusivo” per riferirci alle operazioni di leasing contestate come abuso del diritto in campo fiscale, in quanto costrutti giuridici utilizzati in modo distorto per ottenere vantaggi fiscali. È importante distinguere tali ipotesi (formalmente lecite ma considerate elusive) dai casi di evasione fiscale vera e propria (violazioni di legge, es. deduzione di costi inesistenti, mancate fatturazioni di canoni, ecc.), che esulano dal concetto di abuso del diritto e comportano sanzioni ben più gravi, anche penali. Nel prosieguo ci focalizzeremo sulle contestazioni di elusione (abuso del diritto) e sulle difese attuabili dal contribuente, per poi esaminare le ulteriori difese contrattuali di natura civilistica a disposizione dell’utilizzatore.

Normativa fiscale anti-elusione: abuso del diritto nei leasing

In materia tributaria italiana, il divieto di elusione fiscale (o abuso del diritto) è stato oggetto di una lunga evoluzione legislativa e giurisprudenziale. Oggi esso trova disciplina positiva nell’art. 10-bis della Legge 27/07/2000 n.212 (Statuto del Contribuente), introdotto dal D.Lgs. 128/2015, che ha unificato la nozione di abuso del diritto e di elusione fiscale . Prima del 2015, esistevano norme anti-elusive settoriali (ad es. l’art.37-bis del DPR 600/1973 per le imposte sui redditi, con un elenco di operazioni “sospette”) e vigeva il principio generale antielusivo affermato dalla Cassazione a Sezioni Unite nel 2008 (sentt. nn.30055-30057/2008) . Queste disposizioni e principi convergono ora nel citato art.10-bis, che si applica a tutti i tributi.

Che cos’è l’abuso del diritto? In base all’art.10-bis, costituiscono abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur rispettando formalmente le norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti . In altre parole, il contribuente attua uno schema negoziale artificioso – spesso tramite una combinazione contorta di contratti – il cui scopo principale (se non unico) è ridurre la propria imposizione, in modo contrario ai principi dell’ordinamento tributario. Tali operazioni non sono opponibili al Fisco, che dunque disconosce i vantaggi fiscali indebiti rideterminando le imposte come se lo schema elusivo non fosse mai stato posto in essere . Importante: non sono abusive le operazioni sorrette da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di carattere organizzativo o gestionale, dirette a migliorare la struttura o la funzionalità dell’impresa . Inoltre, resta ferma la libertà del contribuente di scegliere tra diversi regimi o operazioni offerti dalla legge, anche se fiscalmente più vantaggiosi . Questi due concetti – esigenze economiche reali e libertà di scelta fra opzioni lecite – costituiscono il perimetro entro cui un’operazione di leasing può essere pianificata in modo fiscalmente efficiente senza cadere nell’abuso.

Vediamo nel dettaglio alcuni elementi chiave della disciplina e come si applicano nel contesto dei leasing:

  • Operazioni prive di sostanza economica: L’art.10-bis le definisce come atti, contratti o fatti, anche collegati tra loro, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali . Nel caso di leasing “elusivo”, ciò potrebbe consistere nell’interposizione di un soggetto o di un contratto aggiuntivo (es. una società di leasing del medesimo gruppo) che non modifica sostanzialmente la posizione economica delle parti salvo l’aspetto fiscale. Un indizio tipico è l’utilizzo anomalo di strumenti giuridici rispetto alle normali logiche di mercato . Ad esempio, vendere un immobile a una società del gruppo per riprenderlo in leasing immediatamente, al solo fine di dedurre canoni, rappresenta un “meccanismo giuridico contorto” rispetto all’alternativa di mantenere l’immobile e dedurne le quote di ammortamento . Se tale contorsione negoziale non è giustificata da un concreto interesse economico (ad es. ottenere liquidità a migliori condizioni), il requisito della mancanza di sostanza economica è soddisfatto.
  • Vantaggi fiscali indebiti: Si intendono benefici fiscali contrari alle finalità delle norme fiscali o ai principi dell’ordinamento tributario . Nel leasing, un vantaggio indebito tipico è la deduzione anticipata di costi rispetto al regime ordinario. Ad esempio, dedurre in 8-10 anni ciò che la legge vorrebbe dedotto in 30 anni costituisce un risparmio d’imposta che potrebbe essere ritenuto indebito se ottenuto violando lo scopo delle norme sul calcolo del reddito d’impresa . Occorre però valutare se la normativa tributaria offre esplicitamente l’alternativa: nel nostro esempio, la legge consente la deduzione dei canoni di leasing (nel rispetto di alcune condizioni di durata minima) in alternativa all’ammortamento. Dunque, come affermato dalla Cassazione, l’opzione per l’operazione fiscalmente meno gravosa non è di per sé abuso se l’ordinamento prevede quella facoltà di scelta . Il vantaggio diventa “indebito” quando il contribuente ottiene benefici che la legge attribuisce solo a determinate operazioni ma attraverso uno schema diverso creato apposta per quello scopo, alterando la “causa concreta” delle operazioni .
  • Valide ragioni extrafiscali: Il contribuente può sempre difendersi dimostrando che l’operazione di leasing contestata risponde a ragioni economiche sostanziali, non marginali o pretestuose . Ad esempio, aver stipulato un sale & lease-back per ottenere liquidità immediata necessaria a nuovi investimenti, o per ristrutturare il debito aziendale migliorando il rating bancario, sono finalità extrafiscali credibili. La Cassazione ha riconosciuto che il lease-back risponde di regola a un’“apprezzabile esigenza di conservazione dell’attività d’impresa e di potenziamento dei fattori produttivi di natura finanziaria” (cioè ottenere cassa e al contempo continuare a utilizzare il bene) . Tali motivazioni, se documentate, possono escludere l’abuso anche in presenza di vantaggi fiscali. L’art.10-bis precisa che le ragioni extrafiscali invocate devono essere non marginali, ossia non irrilevanti rispetto all’operazione nel suo complesso. Ad esempio, sostenere che il leasing serviva a “mantenere off-balance il debito” o a “semplificare la gestione contabile” potrebbe non bastare, se il beneficio fiscale appare preponderante.
  • Libertà di scelta del contribuente: La legge antielusiva tutela espressamente il diritto del contribuente di adottare, tra più operazioni, quella a minor carico fiscale purché ciascuna di esse sia genuina e prevista dall’ordinamento . Un concetto chiave, ribadito dalla giurisprudenza, è che il Fisco non può sindacare la scelta tra operazioni lecite alternative in base al criterio del maggior gettito . Nel contesto leasing, questo significa che l’Agenzia delle Entrate non può contestare a posteriori: “Potevi fare un mutuo invece del lease-back, pagando più imposte in totale”, perché scegliere un leasing al posto di un finanziamento bancario è una libertà dell’imprenditore . Piuttosto, l’attenzione va posta sul risultato concreto: se diverse strade portano allo stesso risultato economico, non si può definire abusivo aver preferito quella fiscalmente meno onerosa . Non è invece lecito costruire artificiosamente una strada alternativa che genera un risultato economico solo apparentemente uguale ma con tassazione minore in violazione della ratio legis . Ad esempio, non posso “ottenere lo stesso effetto di acquisto” tramite un leasing infragruppo artificiale se la legge mi consente sì il leasing, ma non per stravolgere il regime di ammortamento in mancanza di vere ragioni.
  • Onere della prova e procedimento: In caso di contestazione di abuso, la norma prevede un iter specifico a garanzia del contribuente. L’Agenzia delle Entrate ha l’onere di motivare e provare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’abuso (collegamento negoziale anomalo, mancanza di sostanza economica, vantaggio indebito) . Deve notificare al contribuente un apposito avviso (ex art.10-bis, comma 6) contenente i motivi per cui ritiene l’operazione abusiva e richiedere chiarimenti entro 60 giorni . Questo contraddittorio preventivo è obbligatorio a pena di nullità dell’accertamento eventualmente emesso in seguito . Il contribuente, nella risposta, può esporre le proprie ragioni extrafiscali e la sostanza economica dell’operazione. Solo decorso il termine o esaminati i chiarimenti, l’Ufficio può emettere l’atto impositivo motivando in modo puntuale sulla condotta abusiva, sui principi elusi, sui vantaggi indebiti e sulle difese fornite dal contribuente . In giudizio, l’onere probatorio è ripartito: spetta al Fisco dimostrare la natura abusiva (es. evidenziare la struttura artificiosa e il risparmio d’imposta ottenuto), mentre il contribuente deve provare le eventuali ragioni extrafiscali non marginali che giustificano l’operazione .
  • Conseguenze e sanzioni: Se l’operazione è dichiarata abusiva, l’amministrazione ridetermina le imposte “sulla base delle norme e dei principi elusi”, tenendo conto di quanto il contribuente abbia già versato in attuazione dello schema elusivo . In pratica, si “riqualifica” lo schema secondo la sostanza: ad es. in un lease-back abusivo, si potrà riqualificare il tutto come finanziamento, negando la deducibilità immediata dei canoni e consentendo solo la deduzione degli ammortamenti (o magari degli interessi impliciti). Sul piano sanzionatorio, la legge stabilisce che le operazioni abusive non configurano reato tributario (sono condotte formalmente lecite) . Ciò significa che non vi sono conseguenze penali per il contribuente in caso di abuso del diritto (diversamente dall’evasione fraudolenta). Restano però applicabili le sanzioni amministrative tributarie, in particolare la sanzione per dichiarazione infedele in misura proporzionale all’imposta evasa . La Cassazione ha chiarito che il legislatore, pur depenalizzando l’abuso, non ha escluso la punibilità amministrativa: le sanzioni fiscali (generalmente il 90% dell’imposta non versata, ex D.Lgs. 471/1997 art.1 comma 2) si applicano come naturale conseguenza dell’accertamento, anche se l’atto elusivo non è penalmente rilevante . Fa eccezione solo il caso di interpello preventivo: se il contribuente aveva presentato interpello all’Agenzia (ex art.11, co.1, lett. c) L.212/2000) per sapere se l’operazione configurasse abuso e l’amministrazione non ha risposto nei termini, egli non è sanzionabile (affidamento in buona fede). Infine, per operazioni abusive che coinvolgono terzi soggetti (es. soci, altre società del gruppo), la legge prevede meccanismi per evitare doppia imposizione: i soggetti diversi dal beneficiario diretto possono chiedere il rimborso di imposte pagate sui vantaggi poi disconosciuti come abusivi (ad es. se una società ha dichiarato un ricavo in un’operazione poi riqualificata) .

Riassumendo, nell’analizzare se un leasing sia elusivo/abusivo, l’Agenzia delle Entrate verificherà: (a) la struttura dell’operazione (ci sono passaggi artificiosi, parti interposte, documentazione anomala?); (b) l’effetto economico (a cosa è servito realmente il leasing: a ottenere beni in uso e liquidità, oppure solo a ottenere un risparmio fiscale?); (c) l’entità del beneficio fiscale rispetto a uno scenario normale; (d) l’eventuale presenza di giustificazioni extrafiscali credibili. Dal canto suo, il debitore/contribuente dovrà mettere in luce le ragioni concrete e sostanziali che hanno guidato la scelta del leasing, evidenziando ad esempio che la controparte è indipendente e ha agito a condizioni di mercato, che vi è stato un effettivo transito di denaro (non una mera partita di giro), che l’operazione ha migliorato la posizione finanziaria o produttiva dell’impresa, ecc. Tutta la documentazione aziendale (delibere, perizie di stima, richieste di finanziamento, business plan) può essere utile per provare che il leasing aveva una “causa economica valida” e non era un semplice veicolo di risparmio fiscale.

Contenzioso tributario su leasing elusivi: casi tipici e difese del contribuente

Esaminiamo ora le contestazioni tributarie più frequenti in materia di leasing e le strategie difensive a disposizione del contribuente (utilizzatore) per fronteggiare un eventuale avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate in materia di abuso del diritto.

1. Lease-back immobiliare infragruppo con deduzioni accelerateCaso tipico: Una società appartenente a un gruppo vende un proprio immobile a una società di leasing (spesso un’altra società del gruppo o partecipata) e contestualmente prende l’immobile in leasing finanziario. Lo scopo pratico è far sì che la società utilizzatrice deduca i canoni di leasing in 8-10 anni, laddove se avesse acquistato l’immobile direttamente avrebbe potuto dedurre le quote di ammortamento in un periodo molto più lungo (in passato 18 anni, oggi minimo 12 anni per legge) . Inoltre, la vendita frutta liquidità immediata all’impresa utilizzatrice. Contestazione del Fisco: L’Agenzia delle Entrate può ritenere che l’operazione sia stata effettuata unicamente per ottenere il vantaggio fiscale della deduzione rapida, senza una reale sostanza economica. Nel caso Inseco (Cass. n.25972/2014), ad esempio, fu disconosciuta la deducibilità delle quote di ammortamento relative a lavori di miglioramento su un immobile oggetto di lease-back, ritenendo l’operazione elusiva (accolta la tesi che il leasing fosse “simulato per interposizione fittizia” al fine di ottenere il beneficio fiscale) . Più di recente, in un caso toscano, un complesso immobiliare già locato tra consociate fu venduto a una newco e ripreso in leasing dalla società utilizzatrice: l’Agenzia accertò che l’unica motivazione era dedurre i canoni in 9 anni invece che in un lungo periodo di ammortamento, configurando abuso del diritto per uso distorto del contratto finalizzato a “indebiti vantaggi fiscali” . In primo grado la CTP diede ragione al contribuente, ma in appello la CTR ribaltò la decisione (riconoscendo l’abuso, pur senza applicare sanzioni); la Cassazione infine ha censurato la sentenza d’appello, chiarendo principi fondamentali: stipulare un leasing anziché acquistare un bene, anche all’interno di un gruppo societario, non costituisce di per sé abuso, dovendosi invece verificare in concreto se vi sia stato un uso distorto dello strumento contrattuale al fine di ottenere vantaggi fiscali indebiti . In particolare, la Cass. civ. Sez. V, sent. 29936/27-10-2023 ha affermato che la presenza di un leasing traslativo in luogo di un acquisto, pure all’interno di un gruppo, non depone di per sé per una manovra elusiva: occorre accertare se vi sia stato un uso distorto del leasing e dei negozi collegati, finalizzato essenzialmente a un risparmio d’imposta indebito . Ciò significa che l’Agenzia non può limitarsi a notare l’accorciamento dei tempi di deduzione, ma deve dimostrare che l’operazione era artificiale e priva di ragioni economiche. Nel caso in esame (operazione 2002–2005), la Cassazione ha evidenziato che andava valutata la causa concreta: se l’operazione di lease-back serviva solo a trasformare un ammortamento in canoni deducibili, senza altra giustificazione, allora è abusiva; viceversa, se l’impresa poteva avere valide ragioni (esigenze finanziarie, ristrutturazione del gruppo, ecc.), la scelta del leasing rientra nella libertà imprenditoriale e non viola alcun divieto . Difesa del contribuente: In simili controversie, per difendersi occorre documentare le ragioni economiche dell’operazione di lease-back. Ad esempio, produrre in giudizio: verbali CDA che deliberano la vendita per reperire liquidità o ridurre l’indebitamento bancario, perizie giurate che attestano che il prezzo di vendita era fair (senza sproporzioni), evidenza che la società di leasing era un soggetto terzo a condizioni di mercato e non un mero prestanome (interposizione fittizia). Inoltre, enfatizzare che la legge fiscale consentiva la deducibilità dei canoni (rispettando le durate minime: in quegli anni la durata minima per immobili era 8 anni, e il leasing in questione durava 9 anni, quindi in linea con la normativa) – ciò rafforza la tesi che il contribuente si è mosso entro un’opzione prevista. Un argomento spesso vincente è mostrare che non c’era un’alternativa equivalente non tassata: es. la società non poteva ottenere la stessa liquidità con un mutuo, perché magari era già indebitata oltre i covenant, dunque il leasing era necessario e funzionale. In sintesi, dimostrare che il risparmio fiscale non era l’unica ragione. Riguardo alle sanzioni, va ricordato che per gli anni ante-2015 alcuni giudici escludevano le sanzioni in casi di elusione perché non c’era una norma chiara (favor rei); tuttavia la Cassazione ha ormai stabilito che la sanzione per dichiarazione infedele si applica comunque in presenza di abuso del diritto . Quindi, se l’accertamento è confermato nel merito, difficilmente si eviteranno le sanzioni amministrative, a meno di puntare su cause di non punibilità (es. incertezza normativa oggettiva).

2. Leasing di beni aziendali tra parti correlateCaso tipico: Un imprenditore o una società costituisce una nuova società di leasing (o veicolo) che acquista beni strumentali (macchinari, veicoli, immobili) e li concede in leasing alla società operativa dell’imprenditore stesso. Scopo possibile: planning fiscale aggressivo (dedurre i canoni nella società utilizzatrice che genera reddito imponibile, mentre i proventi dei canoni nella società locatrice magari vengono compensati con perdite pregresse, o tassati a un’aliquota inferiore, o tenuti in stand-by). Oppure ottenere una frammentazione artificiosa dei costi per rientrare in soglie deducibili: ad esempio, nel leasing di autovetture, i costi sono deducibili solo entro certi limiti (circa 18.000 € di costo auto) , e si potrebbe ipotizzare di far acquistare più automezzi a una società e farli utilizzare in leasing a più soggetti per massimizzare le deduzioni. Contestazione del Fisco: L’Agenzia scrutina con attenzione i leasing infragruppo o tra soggetti collegati, specie se finanziariamente “anomali” (canoni molto alti rispetto al valore del bene, maxi-canoni iniziali esagerati, ecc.). Un caso classico di abuso è il leasing di un bene già esistente in azienda tramite una società interposta: es., l’imprenditore conferisce un cespite ammortizzato in una newco e poi se lo fa dare in leasing deducendo canoni su un bene già ammortizzato. Questo genera un costo deducibile “nuovo” dove non ci sarebbe più stato. La Cassazione ha considerato elusive operazioni simili, perché prive di sostanza economica oltre al risparmio d’imposta (il bene resta nell’uso dello stesso soggetto, cambia solo la forma giuridica di detenzione) . Nella massima Cass. 18333/2021 si legge: “In materia tributaria, si configura come abusiva l’operazione negoziale caratterizzata da una simulazione contrattuale avente ad oggetto il contratto di sale e lease back, non fondato sulla causa concreta finanziaria ma finalizzato in via predominante e assorbente alla deduzione dei canoni di leasing” . In quella fattispecie la società contribuente aveva posto in essere un lease-back immobiliare con anomalie evidenti (vendita con scrittura privata non registrata, richiesta di contributo pubblico presentata prima ancora di formalizzare la vendita, scritture contabili irregolari), elementi che facevano presumere un disegno fraudolento finalizzato solo a creare costi fittizi per abbattere gli utili . Difesa del contribuente: Nei leasing infragruppo leciti, la struttura deve avere consistenza reale. Per difendersi, bisogna provare che la società concedente svolge effettivamente attività di leasing verso terzi, che i canoni sono a valore normale, che non c’è stata preordinazione di mosse per “fabbricare” costi. Se ad esempio l’azienda ha venduto un macchinario a una società di leasing collegata e lo ha ripreso in leasing, sarà utile dimostrare che il prezzo di vendita era congruo (es. perizia), che vi è stata reale erogazione di denaro, e che magari la società di leasing ha un ruolo economico (finanzia altri soggetti, non è una scatola vuota). In mancanza, la difesa potrebbe puntare su aspetti procedurali: ad esempio, la nullità dell’accertamento se l’Ufficio ha omesso il contraddittorio ex art.10-bis (come accaduto in alcuni casi, es. CTP che hanno annullato avvisi perché il Fisco non aveva inviato la comunicazione preventiva). Oppure contestare la motivazione dell’atto: se l’ufficio non ha dettagliato quali vantaggi indebiti e quali norme sarebbero state eluse, l’accertamento può essere annullato per difetto di motivazione . In ogni caso, sul merito l’argomentazione chiave sarà: “L’operazione, sebbene collegata tra parti correlate, aveva ragioni economiche effettive e non è stata svolta in modo anomalo rispetto al mercato”. Anche la dimostrazione che il vantaggio fiscale è stato modesto o incerto (es. il leasing comportava anche costi non deducibili, o l’aliquota impositiva in capo al concedente era la stessa dell’utilizzatore, quindi non vi era un risparmio consolidato) può aiutare a smontare l’accusa di abuso, per mancanza del vantaggio indebito necessario .

3. Leasing di autovetture con abuso nelle deduzioniScenario: Un professionista o imprenditore utilizza un’auto in leasing intestato alla società deducendo i canoni, ma l’auto è in realtà ad uso promiscuo o personale. Oppure, stipula più contratti di leasing per veicoli di lusso cercando di far rientrare ogni contratto nei limiti di deducibilità, aggirando le soglie normative. Contestazione del Fisco: In questi casi spesso si cade non tanto nell’abuso del diritto, quanto nell’indebita deduzione di costi non spettanti (evasione). Ad esempio, dedurre al 100% i costi di un’auto che è in realtà a uso personale configura un uso improprio non tanto dello schema contrattuale, quanto della normativa fiscale sulle auto aziendali. L’Agenzia potrebbe contestare la quota di costi eccedente il consentito (deducibilità limitata al 20% per auto a uso promiscuo, entro un tetto di costo) come spesa estranea all’attività. Questo non ricade tecnicamente nell’abuso del diritto codificato (si tratta di sindacare l’inerenza del costo e l’osservanza di norme specifiche, non di riqualificare un’operazione lecita), dunque il contribuente non beneficerebbe delle garanzie procedurali dell’art.10-bis. Difesa del contribuente: Occorre provare l’inerenza aziendale dell’uso dell’auto (es. registro chilometrico, policy aziendale che vieta uso personale, ecc.). Se l’auto è data in fringe benefit a un dipendente, dedurre oltre i limiti è impossibile per legge. In sintesi, qui ci si difende sul merito dell’utilizzo e sulla corretta applicazione delle percentuali di deducibilità (non è contenzioso “elusione” in senso stretto).

4. Altre ipotesi – Tra le pratiche elusive contestate in passato citiamo: Leasing immobiliare costruendo (quando un leasing finanzia la costruzione di un immobile e si cerca di ottenere agevolazioni fiscali, ad es. crediti d’imposta, duplicando artificiosamente contratti di appalto e leasing – contestato come abuso se volto solo a moltiplicare benefici); leveraged leasing con entità estere (schemi in cui una società estera concede leasing a una italiana, sfruttando trattamenti fiscali diversi – potenziale elusione internazionale, contrastata con norme CFC o transfer pricing); cessione del contratto di leasing a società correlate (es. un professionista che cede il contratto di leasing del proprio studio a una sua società per dedurre a livello societario canoni che come persona fisica non avrebbe dedotto – operazione considerata abusiva dall’Agenzia se il corrispettivo della cessione è irrisorio ). In un interpello recente (Risposta AE n.742/E/2021) su un professionista che cedeva alla propria SRL un contratto di leasing immobiliare del suo studio, l’Agenzia ha ravvisato abuso proprio perché la cessione era pattuita a un importo simbolico, invece di configurarla come conferimento a valore normale . Questo insegna che anche operazioni consentite (come la cessione di un leasing) possono divenire elusive se strutturate sottocosto per generare indebiti vantaggi (nel caso, spostare la deduzione dei canoni dalla persona fisica – non ammessa, perché il professionista non può dedurre ammortamenti di immobili – alla società). Per difendersi, è bene inquadrare correttamente queste operazioni (nel dubbio, valutare un interpello preventivo). Da notare che la stessa Agenzia, in altri casi, ha considerato lecito il lease-back immobiliare per professionisti, proprio alla luce della giurisprudenza: se effettuato a valori normali, il lease-back di uno studio è uno strumento efficiente e non abusivo per ottenere liquidità e nel contempo trasformare l’immobile in un costo deducibile (cosa altrimenti preclusa al professionista) . E la Cassazione (sent. n.18333/2021) ha osservato che il lease-back “non è operazione abusiva del diritto posto che essa è sempre sostenuta da una valida ragione economica, cioè ottenere immediata liquidità e nel contempo mantenere l’utilizzo del cespite” . Insomma, il confine è labile e dipende dalle modalità concrete.

Ricapitolando le difese in ambito tributario: il contribuente (debitore) che si vede contestare un leasing come elusivo ha a disposizione varie linee di difesa:

  • Eccepire vizi procedurali: ad es. mancato invio dell’intimazione a fornire chiarimenti ex art.10-bis (che rende nullo l’accertamento) ; motivazione inadeguata dell’atto (se l’Ufficio non specifica quali norme sarebbero state eluse e in che modo). Questi aspetti vanno valutati attentamente sin dal ricorso introduttivo.
  • Negare la natura abusiva: argomentando che l’operazione di leasing aveva piena sostanza economica. Illustrare nel ricorso il puzzle economico: “Se non avessimo fatto il leasing, avremmo dovuto… (rinunciare all’investimento / prendere un finanziamento più oneroso / ecc.)”. Evidenziare ogni valido motivo extrafiscale: riorganizzazione aziendale, separazione patrimoniale di asset, miglioramento del cash-flow, adeguamento a requisiti di Basilea, ecc. Se l’operazione in sé è di uso comune (es. lease-back), citare la giurisprudenza favorevole: p.es. Cass. 17175/2015 che riconosce la libertà di scelta del leasing e sancisce che il risparmio d’imposta, da solo, non configura abuso . Citare Cass. 29936/2023 sull’assenza di automatismo nel considerare elusivo un leasing infragruppo . Queste massime possono essere inserite testualmente nel ricorso, mostrando che il caso in esame rientra in quelle fattispecie lecite (“l’operazione risponde a un apprezzabile scopo di finanziamento e non presenta alterazioni della causa tipica”).
  • Dimostrare la normalità e congruità dei termini contrattuali: se i canoni, i prezzi e le condizioni del leasing sono allineati al mercato, sottolinearlo. L’abuso spesso si accompagna a elementi anomali (prezzi fuori mercato, contratti non registrati, simulazioni): l’assenza di queste anomalie è indice a favore del contribuente. Per esempio, esibire la perizia sul valore di vendita nel lease-back, mostrare che il tasso implicito del leasing era di mercato, che la durata non era artificiosamente breve (ma rispettava requisiti legali: ad es. la durata fiscale minima di 12 anni per immobili era rispettata).
  • Evidenziare gli effetti fiscali complessivi: talora l’Ufficio guarda solo al vantaggio di una parte e ignora la tassazione sull’altra. Se nel gruppo un’operazione è a somma zero (una società deduce canoni, l’altra tassa i canoni o la plusvalenza da vendita), far emergere che non c’è stata alcuna erosione di base imponibile consolidata, se questo è il caso. La norma antielusiva non mira a colpire scelte organizzative neutrali sul piano del gettito complessivo, ma solo artifici che riducono indebitamente il carico fiscale complessivo. Ad esempio, in regime di consolidato fiscale, il lease-back interno al gruppo potrebbe non dare un beneficio netto (perché la plusvalenza è tassata nel consolidato contestualmente alla deduzione dei canoni). In situazioni simili, si può sostenere che manca il vantaggio fiscale indebito richiesto dalla norma .
  • Sostenere l’incertezza normativa: in via subordinata, per evitare sanzioni, si può argomentare che la questione era oggettivamente incerta (specie per operazioni ante 2015, quando la definizione di abuso era giurisprudenziale). Ad esempio, citare pronunce difformi delle commissioni tributarie su casi analoghi, o la stessa Cass. 24024/2015 che affermava la tassatività dell’art.37-bis per i redditi – segno che non era chiaro se esistesse un abuso “atipico” fuori da 37-bis. Una forte incertezza può portare all’annullamento delle sanzioni (principio sancito dall’art.10, co.3, L.212/2000).
  • Verificare l’applicabilità di norme specifiche: talvolta il Fisco contesta come abuso ciò che andrebbe contestato come violazione specifica. L’art.10-bis comma 12 infatti dice che l’abuso può essere configurato solo se i vantaggi non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni . In altre parole, se c’è una norma antielusiva speciale, prevale quella. Esempio: i limiti di deducibilità auto sono norma specifica; l’Agenzia non dovrebbe invocare l’abuso per questioni che può risolvere con quella norma. Oppure: se un leasing è fittizio al punto da essere simulato civilmente, l’Ufficio potrebbe contestarlo ex art.37, co.3, DPR 600/73 (operazioni simulate) senza scomodare l’abuso. Questa linea difensiva è tecnica ma utile: accusare il Fisco di aver forzato l’applicazione dell’art.10-bis quando magari l’operazione non rientra nella definizione (es. perché c’era una controparte economica reale).

In definitiva, il contenzioso tributario in materia di leasing elusivi si gioca su un attento esame fattuale e giuridico. La giurisprudenza recente tende a riconoscere la legittimità delle operazioni di leasing quando sono realmente funzionali all’attività economica del contribuente: “L’opzione effettuata dalla società per un regime fiscale più favorevole era conforme al principio di libertà d’impresa, non emergendo nel caso concreto elementi di alterazione della causa, sintomatici di pratica abusiva” . Questo passo (tratto da Cass.17175/2015) è emblematico: se l’Amministrazione non individua elementi sintomatici di abuso (strumenti giuridici devianti, scopi diversi dalla causa tipica, vantaggi altrimenti irrealizzabili), allora la scelta del leasing rientra nell’autonomia negoziale lecita e l’accertamento va annullato. Il debitore-contribuente deve quindi mirare a smontare quei sintomi e a normalizzare la propria operazione agli occhi del giudice tributario.

(Segue una sezione dedicata ai profili civilistici e contrattuali, che spesso si intrecciano con le vicende tributarie ma presentano logiche difensive differenti.)

Profili civilistici: nullità e squilibri contrattuali nel leasing

Oltre ai profili fiscali, i contratti di leasing possono presentare criticità civilistiche che il debitore/utilizzatore può far valere per difendersi da pretese eccessive del concedente (società di leasing) o per riequilibrare clausole ingiuste. In questa sezione analizziamo le principali irregolarità contrattuali nei leasing e gli strumenti di tutela per il debitore, tra cui: vizi di forma e di trasparenza (nullità per mancata indicazione di tassi o condizioni), tassi d’interesse usurari, violazione del divieto di patto commissorio nel sale & lease-back, eccessive clausole penali in caso di risoluzione anticipata, nonché le novità normative introdotte dalla L.124/2017 sulla risoluzione per inadempimento.

Forma del contratto, trasparenza e “tasso leasing”

I contratti di leasing finanziario rientrano tra i contratti di finanziamento soggetti alle regole di trasparenza bancaria. L’art.117 del Testo Unico Bancario (D.Lgs.385/93) richiede la forma scritta a pena di nullità per i contratti relativi all’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria, e impone che siano indicate le condizioni economiche in modo completo (tassi, commissioni, spese, modalità di calcolo). La nullità per difetto di forma o di trasparenza è una nullità di protezione: può esser fatta valere solo dall’utilizzatore (cliente) e non dalla banca/concedente .

Nei leasing stipulati con intermediari finanziari, dunque, il debitore deve verificare che il contratto riporti chiaramente tutti gli elementi essenziali: il tasso di interesse (se implicito nei canoni), l’Indice Sintetico di Costo (ISC) o TAEG, i criteri di indicizzazione, le eventuali penali, ecc. Una prassi del passato era di non indicare esplicitamente un tasso di interesse nominale, poiché nel leasing i canoni incorporano quota capitale e quota interessi in modo non immediatamente scindibile. La giurisprudenza ha tuttavia chiarito che anche nel leasing va garantita la trasparenza del tasso: se il contratto non indica un TAN, deve almeno fornire criteri oggettivi per determinarlo. Ad esempio, un contratto può indicare tutti i canoni e il prezzo di riscatto e specificare che corrispondono a un piano di ammortamento francese con tasso X; oppure può indicare che il tasso sarà pari all’Euribor del giorno X maggiorato di tot punti, con rata calcolata secondo una certa formula. Ciò che va evitato è che il cliente non possa ricavare il costo effettivo.

La Corte di Cassazione ha affrontato di recente la questione: con l’ordinanza n.3930 del 13/02/2024, relativa a un leasing immobiliare del 2002, ha stabilito un triplice principio in tema di trasparenza . In primo luogo, ha confermato che “la mancata indicazione, nel contratto, del ‘tasso leasing’ non determina la violazione dell’art.117 TUB ove lo stesso sia determinabile per relationem, con rinvio a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci obiettivamente individuabili, senza margini di incertezza né discrezionalità per la società di leasing” . La ratio della norma è infatti la tutela del cliente sul piano della trasparenza economica, ossia che il contratto lasci prevedere i costi e rischi a suo carico . Quindi: se il tasso è ricavabile da parametri oggettivi indicati nel contratto, non c’è nullità. Viceversa, se il contratto omette del tutto il tasso e non fornisce strumenti per calcolarlo, si ha violazione dell’art.117 TUB. La sanzione in tal caso non è la nullità integrale del contratto, bensì l’applicazione automatica del tasso sostitutivo previsto dall’art.117 TUB (cioè il tasso minimo BOT o altro tasso legale pro-tempore). In altre parole, il leasing resta valido ma gli interessi si riducono al tasso legale previsto (spesso molto più basso del tasso di mercato). Il debitore può così ottenere un rilevante vantaggio (rideterminazione dei canoni senza interessi eccedenti).

Un altro aspetto di forma/trasparenza riguarda l’indeterminatezza dell’oggetto: se le clausole economiche sono scritte in modo talmente ambiguo da non permettere di conoscere cosa si pagherà esattamente, si può invocare la nullità ex art.1346 c.c. (mancata determinabilità dell’oggetto). Ad esempio, se il contratto rinvia a un piano di ammortamento “da definire” successivamente, oppure prevede un tasso “da concordare” senza fissare criteri: sarebbero ipotesi estreme di nullità. Nella pratica, molti vecchi contratti di leasing presentavano lacune formali come: mancata consegna del piano finanziario, difformità tra tasso dichiarato e tasso effettivo applicato (spesso per via di spese non conteggiate). Su quest’ultimo punto, la Cassazione – sempre nell’ord.3930/2024 – ha ritenuto che la differenza tra tasso indicato e tasso effettivo (calcolato a posteriori) implica violazione dell’art.117 TUB e quindi l’applicazione del tasso sostitutivo , in quanto segno di non corretta indicazione al cliente. In altri termini, se dal conteggio risulta che il leasing ha un costo maggiore di quanto dichiarato, il giudice non può che rilevare l’infrazione della trasparenza e ricondurre il tasso a quello legale . Questo è un tema tecnico (spesso necessita di una CTU contabile in causa per confrontare TAEG dichiarato e TAEG effettivo), ma è una linea difensiva importante: il debitore può far valere la nullità parziale per difformità di tasso e ottenere la ricalcolazione dei canoni. Sul punto segnaliamo che Banca d’Italia (nelle Istruzioni di vigilanza) aveva fornito schemi standard per il calcolo del TAEG nei leasing; se il contratto non li ha rispettati (omettendo ad esempio di computare qualche costo obbligatorio), il TAEG dichiarato è falso e scatta la tutela di cui sopra.

Ulteriori profili: spesso nei leasing finanziari il contratto è predisposto dal concedente ed è “contratto per adesione”. Ciò implica la presenza di clausole vessatorie ai sensi degli artt.1341–1342 c.c. (clausole che impongono oneri al cliente come decadenze, limitazioni di responsabilità, facoltà unilaterali del concedente, ecc., necessitano di approvazione specifica per iscritto). Il debitore farebbe bene a controllare se tutte le clausole vessatorie hanno la doppia firma; in caso contrario, alcune clausole (es. quella che esclude la responsabilità del concedente per vizi del bene, o che deroga alla competenza territoriale del foro) potrebbero essere inefficaci perché non validamente approvate. In ambito consumatori (se mai vi fosse un leasing a favore di un consumatore, ad es. leasing auto privato), si applicherebbe anche la disciplina sulle clausole abusive del Codice del Consumo, con possibilità di eliminare clausole che determinano squilibri significativi a danno del consumatore. Tuttavia, la gran parte dei leasing finanziari riguarda utilizzatori professionali (imprese o professionisti), quindi la tutela consumeristica in genere non opera (salvo il leasing abitativo per privati introdotto nel 2016, ma anch’esso di norma vede la banca come controparte e non prevede un cliente consumatore se quest’ultimo lo usa per attività imprenditoriale; se lo usa come privato per la prima casa, allora è un consumatore e gode di quelle tutele).

In sintesi, sul fronte forma/trasparenza il debitore può eccepire:

  • Nullità parziale per mancanza di indicazione del tasso: se il contratto non indica né TAN né ISC né criteri per calcolarlo. Risultato: applicazione del tasso sostitutivo legale (spesso intorno allo 0–1% annuo), con forte riduzione del dovuto .
  • Nullità parziale per difformità del tasso effettivo: se emerge (magari tramite perizia di parte) che il tasso effettivamente praticato è superiore a quello dichiarato. Anche qui, sanzione ex art.117 TUB con tasso ridotto . Cassazione ha statuito che il giudice non ha margine per valutare l’“offensività” della difformità: ogni scostamento rilevante è violazione automatica della norma di trasparenza .
  • Nullità di singole clausole vessatorie: ad es. la clausola che esonera il concedente da responsabilità per vizi del bene senza che sia stata approvata specificamente. Oppure clausole di recesso o risoluzione anticipata troppo sbilanciate (se non firmate separatamente). La loro caducazione può riequilibrare il contratto a favore dell’utilizzatore.
  • Indeterminatezza dell’oggetto: in casi estremi, come mancanza del piano di ammortamento o formula di calcolo delle rate. Una recente sentenza (Cass. ord. 14575/2025, citata in dottrina) pare aver sottolineato che l’assenza del piano di ammortamento nonostante l’indicazione di un tasso può rendere il contratto indeterminato, se il cliente non è in grado di verificare lo sviluppo delle obbligazioni . Si tratta però di situazioni limite, perché di solito il piano finanziario è allegato o ricostruibile.

Tassi di interesse e usura nei leasing

Un’altra area delicata è quella dei tassi di interesse usurari. Anche il leasing rientra nella disciplina anti-usura (L.108/1996) in quanto contratto che comporta la corresponsione di interessi. La peculiarità del leasing è che gli interessi corrispettivi sono inglobati nei canoni, e in caso di ritardo sono dovuti interessi moratori (penali di mora) solitamente indicati in contratto. La legge antiusura si applica a “ogni somma usuraria dovuta in relazione al contratto”, quindi sia agli interessi corrispettivi sia a quelli di mora . La Cassazione lo ha affermato chiaramente: “la disciplina antiusura […] si applica anche agli interessi moratori” (Cass. 3930/2024) .

Per valutare l’usurarietà, Banca d’Italia e il MEF pubblicano trimestralmente i tassi medi (TEGM) e i relativi tassi-soglia oltre i quali gli interessi pattuiti sono usurari. Nel segmento leasing, esistono tassi medi specifici per leasing auto, leasing immobiliare, leasing strumentale ecc., e dal 2003 sono rilevati anche i tassi medi di mora (o comunque una maggiorazione media per le mora). La Cassazione ha dettato criteri per il calcolo: nelle annualità in cui i decreti ministeriali non rilevavano il tasso di mora medio (periodo anteriore al primo trimestre 2003), si deve confrontare il tasso di mora pattuito con il tasso soglia calcolato sul TEGM corrispettivi (senza aggiunte arbitrarie) . Per i contratti successivi, invece, il tasso soglia di mora si ottiene aumentando il TEGM corrispettivi della maggiorazione media rilevata per le mora, il tutto moltiplicato per il coefficiente di legge, più gli ulteriori 4 punti di margine di tolleranza . In parole semplici, se ad esempio il TEGM leasing è 5% e la media delle mora è 2%, e la formula di legge dà soglia = (5%+2%)1,25 + 4 punti, allora qualsiasi tasso di mora contrattuale oltre tale soglia è usurario*.

Cosa comporta l’usura? L’art.1815 co.2 c.c. dispone che se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (né corrispettivi né moratori). Dunque il debitore avrebbe diritto a rimborsi/compensazioni per gli interessi pagati in eccedenza, e in caso di mora usuraria non dovrebbe alcuna penale di ritardo (limitandosi al risarcimento del danno legale se dovuto, ma spesso coincide con gli interessi legali).

Difesa del debitore su usura: Occorre far eseguire un calcolo tecnico. Spesso i contratti di leasing presentano tassi vicini alle soglie, specie quelli stipulati in periodi di tassi alti. Si deve calcolare il TAEG effettivo del leasing e confrontarlo con la soglia antiusura pro tempore. Se vi è maxicanone iniziale, è importante includerlo nel calcolo del TAEG (in passato alcuni calcoli erronei non consideravano che il maxicanone incide sul rendimento effettivo). La Cassazione ha ribadito ad es. in Cass. 27442/2018 e Cass. 24992/2020 che nel valutare l’usura non va sommato il tasso corrispettivo col tasso di mora, ma vanno considerati separatamente: il tasso di mora va confrontato con la soglia specifica di mora, il TAEG corrispettivo con la soglia corrispettivi . Ciò smentisce teorie che sommavano arbitrariamente i due per dichiarare usura. Pertanto, se nel contratto gli interessi di mora sono fissati, ad esempio, al 12% annuo e la soglia di mora era 10%, ipso iure quella clausola è nulla per usura: il debitore contesterà di dover pagare interessi di mora, chiedendo semmai la sostituzione col risarcimento del danno ex art.1224 c.c. (che in genere è pari al tasso legale, molto inferiore). Se invece sono i corrispettivi a superare la soglia (caso più raro, perché di solito i canoni sono calibrati per stare sotto soglia), allora nessun interesse è dovuto: i canoni vanno “spuriati” della componente interessi e ricalcolati al solo capitale.

Attenzione però: l’usura nel leasing non estingue l’obbligo di restituzione del capitale. Quindi il debitore non può sperare di tenere il bene senza pagare nulla; può però ottenere una riduzione drastica del costo, pagando solo il capitale finanziato senza alcun interesse (o addirittura recuperando interessi già corrisposti in precedenza, imputandoli a capitale). Questa prospettiva difensiva a volte permette di transare con la società di leasing: quest’ultima potrebbe preferire un accordo (riduzione di interessi) anziché rischiare in giudizio di perdere tutti gli interessi per usura.

Dal 2021 le Sezioni Unite (sent. Ivrea n.19597/2020, sebbene riferita ai mutui) hanno chiarito che anche la pattuizione di soli interessi di mora usurari comporta la caducazione di tutti gli interessi (non solo della mora). Tuttavia alcune pronunce successive di Cassazione “ordinaria” hanno precisato che, se i corrispettivi sono leciti e solo la mora è usuraria, la sanzione si applica alla mora e non travolge i corrispettivi (questione tecnica dibattuta). In attesa di uniformità, il debitore invoca sempre la tesi più favorevole: usura su qualsiasi interesse = caduta di tutti gli interessi.

In concreto, le contestazioni di usura richiedono una CTU in giudizio e un confronto spesso controverso su categorie e modalità di calcolo. Ma rappresentano un’arma potente in mano al debitore: diverse cause di leasing si sono concluse con la nullità parziale per tassi usurari e la conseguente liberazione del debitore dal pagamento degli interessi (o loro restituzione). Ad esempio, Cass. 158/2022 ha confermato la nullità degli interessi in un lease-back con tasso usurario, e Cass. 27442/2018 ha escluso ogni mitigazione: una volta superata la soglia, “costituisce usura la pattuizione degli interessi moratori eccedenti il tasso soglia, senza che assuma rilievo il tasso effettivamente applicato in concreto” .

Patto commissorio e nullità del lease-back

Abbiamo anticipato, trattando il sale & lease-back, la problematica del patto commissorio. Il patto commissorio (art.2744 c.c.) è l’accordo secondo cui, in caso di mancato pagamento di un debito entro il termine, il creditore acquisirà la proprietà di un bene del debitore. Tale patto è espressamente vietato e nullo, poiché tende a evitare le procedure esecutive ordinarie e a far conseguire al creditore un vantaggio potenzialmente sproporzionato (il bene può valere più del debito) . Nel lease-back, se costruito come espediente per dare liquidità a un soggetto in difficoltà, c’è il rischio che il leasing funzioni come un finanziamento con garanzia (il bene) che, in caso di insolvenza, resta al creditore senza conguaglio. Ciò è proprio lo scenario vietato dal patto commissorio.

La giurisprudenza ha sviluppato criteri per valutare quando un sale & lease-back viola il divieto: li abbiamo visti sopra (preesistenza di debito, stato di bisogno del venditore, prezzo irrisorio) . In pratica, se il lease-back appare solo un mezzo per mettere al sicuro un bene dai creditori e garantire una banca/leasing su un credito, allora se ne deduce la causa in frode alle leggi (2744 c.c. e norme concorsuali). Viceversa, se l’operazione rientra nella normalità commerciale, è valida.

Effetti della nullità per patto commissorio: La nullità colpisce l’intera operazione contrattuale (vendita + leasing). In caso venga dichiarata, si torna allo status quo: il bene torna al patrimonio del venditore originario, e il finanziamento erogato va restituito alla società di leasing (eventualmente con interessi legali). Spesso di patto commissorio si discute nel fallimento dell’utilizzatore: il curatore chiede la dichiarazione di inefficacia o nullità per riavere l’attivo nell’attivo fallimentare. La Cassazione, ad es. nella recente sent. 26415/2023, ha cassato la pronuncia che in automatico considerava revocabile il lease-back di un’azienda insolvente, precisando che occorre concreta prova della participatio fraudis e del pregiudizio ai creditori . In quel caso non è stata ravvisata, poiché l’operazione era volta a sostenere l’impresa più che a depauperarla .

Difesa del debitore: Se il debitore/utilizzatore viene escusso dalla società di leasing in un lease-back che egli ritiene nullo, può opporre in giudizio l’eccezione di nullità del contratto per violazione dell’art.2744 c.c. (patto commissorio). Dovrà allegare e provare quegli indici: ad es. che al momento della vendita egli era già debitore verso la società di leasing (o un suo finanziatore) e che l’operazione fu solo una garanzia camuffata; oppure che il prezzo di vendita fu nettamente inferiore al valore (indicando valori di mercato); o ancora che c’era un suo stato di bisogno e la controparte ne era consapevole e ne ha approfittato. In giudizio possono essere ammesse testimonianze, CTU estimative, ecc., per suffragare queste circostanze. Se riesce, la nullità del patto commissorio comporta – di regola – la nullità dell’intera operazione collegata. A suo favore il debitore può citare Cass. Sez.I n.4698/2018, la quale ha affermato che nel sale & lease-back, in mancanza di una clausola contrattuale di tipo “marciano” (cioè che preveda la vendita del bene e l’eventuale restituzione dell’eccedenza al debitore), l’operazione è nulla se risulta effettuata a scopo di garanzia . Dunque, l’assenza di una clausola di conguaglio sul valore è un campanello d’allarme: molti contratti di lease-back più recenti inseriscono infatti clausole tipo “in caso di risoluzione anticipata per inadempimento, la società di leasing venderà/riassegnerà il bene a valori di mercato e tratterrà il ricavato a deconto del credito, restituendo l’eventuale eccedenza all’utilizzatore” – questa è un’espressa previsione marciana che rende l’operazione immune da patto commissorio, perché il creditore non si appropria automaticamente del bene. Se tale clausola manca, l’utilizzatore può argomentare che l’accordo era in realtà un patto di riappropriazione.

Va detto che se il lease-back è semplicemente inadempiuto (canoni non pagati) ma non c’è stato uno scenario di credito pregresso, difficilmente reggerà l’accusa di patto commissorio. In tal caso le tutele per il debitore sono quelle ordinarie sulla risoluzione (vedi oltre).

Riassumendo: il patto commissorio è una difesa estrema del debitore, che però richiede circostanze specifiche per essere accolta. Quando c’è, però, può annullare totalmente le pretese del concedente derivanti dal contratto (perché caduto il contratto, resterebbe un arricchimento senza causa della leasing da regolare).

Risoluzione anticipata per inadempimento: penali e nuove regole

Un momento critico per ogni debitore in leasing è l’inadempimento nei pagamenti e la conseguente risoluzione anticipata del contratto. Storicamente, le clausole contrattuali di leasing prevedevano, in caso di risoluzione per morosità dell’utilizzatore, che il concedente potesse: riottenere immediatamente il bene, trattenerre tutti i canoni già incassati e pretendere il pagamento di tutti i canoni residui non scaduti (attualizzati), al netto di un importo ricavabile da una futura ricollocazione del bene (spesso stimato forfetariamente). In sostanza, al debitore inadempiente rimanevano a carico quasi tutti i costi, mentre il concedente poteva anche rivendere o riallocare il bene traendone un ulteriore guadagno. Questo meccanismo penalizzava fortemente il debitore e ha dato luogo a moltissimo contenzioso, con esiti diversi a seconda della natura traslativa o di godimento del leasing (come visto prima): i giudici cercavano di evitare che il concedente ottenesse un doppio vantaggio (bene + canoni) non giustificato.

Prima del 2017, vigeva dunque la distinzione: nel leasing traslativo, la giurisprudenza – a tutela dell’utilizzatore – applicava analogicamente l’art.1526 c.c., che prevede la restituzione all’acquirente delle rate pagate nella vendita con riserva, con diritto del venditore a un equo compenso. Tradotto in leasing, significava: la società di leasing, risolto il contratto, doveva restituire i canoni incassati, potendo trattenere solo una somma equitativa (di solito data dalla differenza tra il totale canoni dovuti e il valore ricavato dalla vendita del bene). Se il contratto prevedeva diversamente (ad es. penale fissa pari a tutte le rate restanti), quella pattuizione eccedente veniva considerata nulla o ridotta. Nel leasing di godimento, invece, prevaleva la regola generale che i canoni trascorsi restano acquisiti al locatore (come corrispettivo dell’uso già fruito) e il concedente poteva inoltre chiedere i danni per la risoluzione, di solito quantificati nei canoni a scadere dedotto il ricavato da reimpiego. Questa disparità creava incertezze applicative, specie nei casi dubbi tra traslativo e godimento.

Intervento del legislatore (L.124/2017): Il legislatore, all’art.1 commi 136-140 di tale legge, ha introdotto una disciplina uniforme del leasing finanziario in caso di inadempimento, valida per i contratti stipulati dal 29/08/2017 in avanti. Le nuove norme, in sintesi, prevedono: (i) la risoluzione può essere pattuita se l’utilizzatore ritarda almeno 6 mesi di canoni (o 2 trimestri per canoni trimestrali) ; (ii) il concedente, una volta risolto il contratto, deve restituire l’eventuale differenza tra quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene e il credito residuo vantato (comprensivo di canoni scaduti e a scadere, spese, ecc.). In pratica viene codificato un meccanismo “patto marciano”: se la società di leasing rivendendo il bene realizza più di quanto le era dovuto, l’eccedenza va girata all’utilizzatore; se invece il ricavato è inferiore al credito, l’utilizzatore resta tenuto a pagare la differenza. Questa regola impedisce arricchimenti ingiustificati del concedente e tutela l’utilizzatore dal perdere sia il bene che tutte le somme versate. La legge prevede procedure di stima del valore del bene e modalità di vendita, per garantire trasparenza (spesso affidandosi a periti indipendenti).

Applicazione temporale: La riforma non è retroattiva. Cassazione SU n.2061/2021 ha chiarito che si applica solo ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore, e che per i precedenti valgono ancora i principi tradizionali (distinzione traslativo/godimento) . Questo comporta che molte cause in corso riguardanti contratti ante 2017 devono ancora essere decise con le vecchie regole. E qui le Sezioni Unite hanno sgombrato dubbi residui: con sent. Di Dionisio n.2061/2021 e altre successive, hanno affermato che nei leasing traslativi “vecchi” va applicato art.1526 c.c. analogico, indipendentemente dal fallimento o meno dell’utilizzatore, e che le clausole che prevedono il cumulo integrale di canoni e bene al concedente sono nulle in quanto violano principi di equità (arricchimento indebito del creditore) . In pratica, il concedente potrà trattenere un importo pari al danno effettivo sofferto (generalmente: somma dei canoni a scadere attualizzati meno quanto ricavato dal reimpiego del bene, più eventuale differenza tra prezzo riscatto e valore residuo), ma nulla di più. Ogni eccedenza va restituita all’utilizzatore.

Cosa può fare il debitore in caso di risoluzione? Se il leasing è post-2017, il debitore ha diritto per legge a quel conguaglio. Dunque, se la società di leasing vendendo il bene incassa più del dovuto, il debitore deve esigere la restituzione. Se il leasing è anteriore e traslativo, il debitore può agire in giudizio per far dichiarare nulla la clausola penale laddove consente arricchimenti del concedente senza conguaglio. Molte cause si sono chiuse in questi anni con la declaratoria di nullità parziale della clausola e la rideterminazione del saldo dare-avere. La Cass. ord. 588/2025 (Sez.III) ha proprio confermato questi principi su un caso ante 2017, ribadendo che “la penale inserita nel contratto di leasing traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni riscossi e del bene senza conguaglio eccedente il credito residuo è nulla” .

Inoltre, indipendentemente dalla natura traslativa o meno, il debitore può chiedere al giudice la riduzione della penale per eccessività ai sensi dell’art.1384 c.c. (clausola penale manifestamente eccessiva). Anche su questo punto, la giurisprudenza recente è costante: una volta che il concedente è rientrato in possesso del bene, qualunque penale che gli permetta di ottenere più di quanto gli sarebbe spettato vendendo il bene e incassando il suo credito, è eccessiva e va moderata. Si fa riferimento al cosiddetto patto marciano giudiziale: anche se la legge non era ancora in vigore, il giudice può ispirarsi ad essa (e all’art.1526 analogico) per evitare ingiustificati arricchimenti. Ad esempio, se mancano pochi canoni alla scadenza e il bene ha un valore residuo elevato, la penale contrattuale che richiede tutti i canoni restanti senza prevedere restituzioni è certamente sproporzionata. Il giudice la ridurrà imputando il valore del bene a parziale soddisfo e liberando il debitore dall’eccedenza. In sostanza, oggi è pacifico che il concedente non possa ottenere sia il bene sia l’intero ammontare dei canoni: o uno, o l’altro, o comunque una combinazione equa senza surplus.

Difese pratiche del debitore inadempiente:

  • Negoziare prima della risoluzione: se si prevede di non riuscire a pagare, conviene trattare con la società di leasing la risoluzione consensuale. Spesso le società accettano di riprendersi il bene e chiudere la posizione a fronte di qualche indennizzo minore (specie se il bene vale bene il residuo). Questo evita anche spese legali, decreto ingiuntivo, ecc.
  • Opporsi al decreto ingiuntivo: la prassi è che la società di leasing, dopo la risoluzione, emetta decreto ingiuntivo per la somma che ritiene dovuta (canoni scaduti, interessi di mora, penale e canoni futuri attualizzati, meno un importo di realizzo spesso aleatorio). L’utilizzatore ingiunto può fare opposizione eccependo: la nullità della clausola penale (se ante 2017 traslativo); l’eccessività e chiedendone la riduzione; l’erroneità del calcolo (spesso i contratti conteggiano male gli interessi di mora, si possono trovare errori). Può anche chiedere di compensare il danno da rivendita: se la leasing ha già venduto il bene e magari a prezzo elevato, pretendere che quel ricavato sia portato in detrazione. Se non è ancora venduto, chiedere che sia stimato e considerato ai fini del dovuto.
  • Chiedere CTU: in queste cause, una Consulenza Tecnica può determinare con esattezza il dare-avere secondo i criteri equitativi (valore bene – debito residuo). Spesso la conclusione è che il debito residuo è minore di quello preteso, talvolta zero o addirittura che la leasing dovrebbe restituire qualcosa. Se la società di leasing, ad esempio, ottiene €30k vendendo il bene e il debito residuo dell’utilizzatore era €50k, allora può esigere al massimo €20k. Se però ha già incassato €25k di canoni precedentemente non goduti, potrebbe doversi fermare lì o restituire 5k (numeri a titolo di esempio).

In caso di leasing operativo o di godimento puro, la situazione per il debitore è meno favorevole: non essendoci finalità di trasferimento, i canoni pagati sono considerati “consumati” per l’uso goduto, e il giudice tenderà a non restituirli. Il debitore può tuttavia cercare la via di art.1384 c.c. se la penale richiede comunque importi esagerati. Ad ogni modo, la L.124/2017 ha portato anche qui una base per contrattare: ormai anche nei leasing di godimento i contratti iniziano a prevedere conguagli, quindi per analogia un giudice può essere propenso ad evitare punizioni eccessive.

Importante: La L.124/2017 ha escluso la retroattività, dunque i debitori con contratti precedenti non possono esigere automaticamente l’applicazione della nuova legge. Ci hanno provato in molti, ma Cassazione ha detto no . L’unica strada è affidarsi alla giurisprudenza (1526 c.c. analogico se traslativo, 1384 c.c. riduzione penale se eccessiva). E fortunatamente la giurisprudenza, come visto, è molto “pro-utilizzatore” negli ultimi anni, ripudiando arricchimenti della leasing oltre il proprio credito .

Altri profili: vizi del bene e collegamento con fornitore

Un cenno infine a una questione che, pur non essendo né fiscale né attinente alla struttura finanziaria, interessa spesso il debitore: cosa accade se il bene in leasing presenta vizi o difetti? Poiché nel leasing finanziario classico il bene è scelto dall’utilizzatore e fornito da un terzo fornitore, il contratto di leasing solitamente contiene clausole che esonerano la società di leasing da qualsiasi responsabilità per difetti e anzi prevedono che i vizi del bene non autorizzano la sospensione dei pagamenti. L’utilizzatore, secondo queste pattuizioni, dovrebbe rivalersi solo sul fornitore (venditore originario) e continuare intanto a pagare i canoni alla società di leasing. Questo può sembrare molto duro per l’utilizzatore, specie se il bene risulta inutilizzabile. La giurisprudenza ha però riconosciuto un collegamento negoziale tra il contratto di fornitura e il leasing: essi costituiscono un’operazione unitaria, e l’utilizzatore – pur non essendo formalmente parte della vendita – è il destinatario finale della cosa e paga i canoni solo in funzione della funzionalità del bene. Ne discende che, in caso di vizi gravi del bene che impediscono l’uso, l’utilizzatore può eccepire in giudizio l’inadempimento del fornitore come eccezione contrattuale anche nei confronti della società di leasing, per sospendere il pagamento dei canoni o chiedere la risoluzione. In altre parole, se compro un macchinario tramite leasing e questo non ha mai funzionato per vizi originari, posso chiedere la risoluzione sia del contratto di fornitura sia del leasing, restituendo la macchina alla società di leasing e liberandomi dall’obbligo di pagare canoni, perché la causa concreta dell’operazione (avere un bene funzionante in uso) è venuta meno. Le Sezioni Unite Cass. n.19785/2015 hanno proprio affermato che l’utilizzatore ha diritto a essere tutelato per i vizi secondo la disciplina della vendita, stante l’unitarietà dell’operazione. Pertanto, clausole che cercassero di impedirgli di sollevare eccezioni per vizi potrebbero essere considerate vessatorie o nulle. In pratica però, far valere questi diritti richiede causa contro fornitore e concedente insieme, e di solito avviene quando il bene è totalmente inservibile. Per problemi minori, si preferisce gestire con assistenza o garanzie del fornitore.

Questi aspetti esulano un po’ dall’oggetto “leasing elusivi”, ma completano il quadro delle possibili contestazioni/difese del debitore in un leasing.

Tabella riepilogativa – Principali contestazioni e tutele nel leasing (visione del debitore)

Profilo contestato / vizioDescrizioneNormativa e giurisprudenzaTutela per il debitore/utilizzatore
Elusione fiscale / Abuso del diritto (leasing stipulato per ottenere vantaggi fiscali indebiti)Operazione di leasing priva di sostanza economica, volta essenzialmente a conseguire risparmi d’imposta (es: lease-back solo per dedurre canoni in tempi più brevi). Il Fisco disconosce i benefici fiscali ottenuti.Art. 10-bis L.212/2000 (statuto contrib.) – definisce abuso del diritto . Cass. 17175/2015: scelta di forma giuridica fiscalmente vantaggiosa non è abuso se ordinamento la consente . Cass. 29936/2023: leasing vs acquisto in gruppo non è di per sé elusivo, serve uso distorto per vantaggi indebiti .Difese: Dimostrare ragioni economiche reali (liquidità, riorganizzazione) alla base del leasing. Eccepire eventuali vizi procedurali (mancato contraddittorio ex art.10-bis). Evidenziare che l’operazione è prevista dalla legge e che il vantaggio fiscale è conseguenza normale (non indebita). In giudizio, citare giurisprudenza favorevole (libertà scelta meno tasse) . Se l’accusa di abuso non è provata e non emergono elementi artificiosi, chiedere annullamento accertamento. In subordine, invocare incertezza normativa per escludere sanzioni.
Violazione obblighi di forma e trasparenza (contratto non chiaro su tassi e costi)Il contratto di leasing manca dell’indicazione del tasso o del piano finanziario, oppure il tasso effettivo applicato risulta superiore a quello dichiarato (difetto di trasparenza bancaria).Art. 117 TUB: obbligo forma scritta e indicazione condizioni economiche, nullità rilevabile dal cliente. Cass. 3930/2024: se tasso leasing non indicato ma determinabile con criteri oggettivi, ok; se indeterminabile, violazione art.117 . Differenza tra tasso dichiarato e tasso effettivo = violazione art.117, scatta tasso legale sostitutivo .Difese: Eccepire nullità parziale ex art.117 TUB in caso di mancata trasparenza: chiedere applicazione tasso BOT (molto inferiore). Far accertare via CTU l’eventuale maggiore onerosità rispetto a quanto pattuito. Richiedere rimborso/interessi indebitamente pagati. Inoltre, controllare clausole non approvate specificamente: eccepirne la nullità (es. clausole vessatorie non firmate). Effetto: riduzione del debito (perché interessi ricalcolati in basso) e caducazione di obblighi accessori sfavorevoli.
Usura (tassi eccedenti soglia di legge)Il leasing prevede interessi (corrispettivi o moratori) superiori al tasso-soglia antiusura vigente al momento della pattuizione.L.108/1996 (tassi soglia trimestrali); art.1815 c.c. co.2 (nullità interessi usurari). Cass. 27442/2018 e 24992/2020: mora soggetta a usura, ma va valutata separatamente (no cumulo con corrispettivi) . Cass. 3930/2024: conferma applicabilità legge usura agli interessi moratori . SU 19597/2020: interessi moratori usurari comportano non dovuti tutti gli interessi (orientamento).Difese: Sollevare eccezione di usura: produrre perizia che confronta il TAEG e il tasso di mora con i rispettivi tassi soglia. Chiedere declaratoria di nullità della clausola di interessi usurari ex art.1815 c.c., con conseguente azzeramento degli interessi dovuti (pagamento del solo capitale residuo). Se già pagati interessi in eccesso, richiederne la restituzione in compensazione sul capitale dovuto. In caso di mora usuraria, opporsi a richieste di penali di ritardo, sostenendo che al più spetta il tasso legale per il ritardo. Il tutto con significativo risparmio per l’utilizzatore (nessun interesse da pagare).
Patto commissorio (lease-back come garanzia simulata)Operazione di sale & lease-back realizzata al solo scopo di garantire un finanziamento: il bene venduto funge da garanzia e, in caso di insolvenza, rimane al concedente senza conguaglio.Art. 2744 c.c. divieto di patto commissorio. Cass. 21042/2017, 4664/2021: riconoscono validità astratta del lease-back ma richiedono assenza di scopo soltanto garantistico . Cass. 4698/2018: lease-back nullo se manca clausola marciana e operazione volta solo a garantire credito (patto comm.) . Cass. 26225/2024: lease-back contratto nullo solo se realizzato per aggirare patto commissorio (cessione bene in garanzia per debito pregresso) .Difese: In opposizione a pretese della leasing, eccepire nullità del contratto per violazione art.2744 c.c., se ricorrono gli indizi: dimostrare che c’era un debito preesistente o contestuale tra le parti, che l’utilizzatore era in difficoltà economica e che il prezzo di vendita era vile . Se il giudice riconosce il patto commissorio, l’intera operazione viene annullata: il bene torna all’utilizzatore (o alla massa fallimentare se in fallimento) e la società di leasing potrà solo pretendere la restituzione del capitale prestato (senza altri oneri). Questa difesa è estrema ma potentissima: azzera il contratto di leasing. Da notare che la clausola di patto marciano (conguaglio del valore) presente nel contratto neutralizza l’eccezione di patto commissorio, quindi verificare se nel contratto era prevista la restituzione dell’eventuale surplus in caso di risoluzione – in tal caso difficilmente il lease-back sarà dichiarato nullo.
Risoluzione per inadempimento – Clausole penali e restituzione canoniClausole contrattuali che, in caso di risoluzione per morosità dell’utilizzatore, consentono al concedente di trattenere tutti i canoni incassati e pretendere tutti quelli a scadere, oltre alla restituzione del bene, senza prevedere restituzione di somme all’utilizzatore (doppio vantaggio per il concedente).Art.1526 c.c. (vendita con riserva): prevede restituzione rate e equo compenso al venditore – applicato analogicamente ai leasing traslativi ante 2017 . L.124/2017 commi 136-140: per leasing nuovi, obbligo per concedente di vendere bene e restituire eccedenza all’utilizzatore (patto marciano legale). Cass. SU 2061/2021: L.124/17 non retroattiva, per contratti vecchi si applica differenza trasl./godim. . Cass. 588/2025: clausola che lascia a concedente canoni + bene senza conguaglio è nulla (leasing traslativo ante 2017) .Difese: Se contratto ante 2017 e di natura traslativa, invocare art.1526 c.c. analogico: chiedere che la penale contrattuale sia dichiarata nulla o ridotta, imponendo al concedente di restituire i canoni eccedenti. Presentare calcoli su valore bene vs debito residuo: dimostrare che il concedente incamererebbe più del dovuto. Chiedere al giudice di applicare un criterio equitativo (vendita bene, imputazione ricavato) per determinare quanto effettivamente il concedente può esigere e disporre l’eventuale restituzione del surplus. Se contratto post 2017, far valere direttamente la L.124/17: verificare quanti canoni di ritardo c’erano (≥6 mensili per risoluzione) e pretendere il conguaglio post-vendita. In ogni caso (anche leasing di godimento), invocare art.1384 c.c. per ottenere la riduzione della penale se manifestamente eccessiva. Questo può limitare la pretesa del concedente al danno effettivo. Ad esempio: concedente chiede €50k, ma ha il bene rivendibile a €30k – si chiede al giudice di ridurre l’importo dovuto a €20k. Le pronunce più recenti sono molto chiare nel vietare arricchimenti oltre credito , dunque il debitore ha ottime chance di non pagare più del dovuto.

(Nella tabella sopra, abbiamo sintetizzato i punti chiave delle contestazioni tipiche e le norme/sentenze di riferimento, insieme alle possibili difese del debitore. Si noti che ogni caso concreto può presentare combinazioni di questi aspetti, e le strategie vanno adattate di conseguenza.)

Esempi pratici (casi simulati)

Per meglio comprendere come applicare le difese illustrate, proponiamo di seguito alcuni scenari pratici – basati su casi reali semplificati – dal punto di vista del debitore, con indicazione delle possibili contestazioni e degli esiti sulla base delle norme e pronunce aggiornate.

Esempio 1: Lease-back immobiliare e contestazione fiscale

Scenario: La Alfa S.p.A., proprietaria di un capannone industriale (valore €5 milioni), ha bisogno di liquidità per espandere la produzione. Nel 2019 vende il capannone alla Beta Leasing S.p.A. (società di leasing indipendente) per €5 milioni in contanti e lo riprende in leasing per 10 anni, con canoni annui di circa €600.000 e riscatto finale €500.000. Alfa deduce regolarmente i canoni di leasing ogni anno come costo. Nel 2023, a seguito di verifica, l’Agenzia delle Entrate contesta l’operazione come abuso del diritto: secondo l’Ufficio, Alfa ha realizzato una forma di autofinanziamento che le ha permesso di dedurre €600k l’anno invece di ammortizzare l’immobile in 33 anni (~€150k/anno), ottenendo un enorme vantaggio fiscale; sostiene che l’operazione era priva di sostanza economica perché Alfa avrebbe potuto accendere un mutuo o usare riserve, e che Beta Leasing è stata usata solo come schermo per creare costi. Viene emesso avviso di accertamento recuperando maggiori imposte 2019–2022 per €x (negando la deduzione per la parte eccedente l’ammortamento teorico) e sanzioni 90%.

Difesa del debitore: Alfa S.p.A. impugna l’accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria. Nel ricorso, argomenta: (a) validità economica dell’operazione – allega documenti che provano come nel 2019 le banche fossero poco propense a prestare credito all’azienda, mentre il lease-back ha fornito immediatamente €5 mln senza intaccare gli indicatori di bilancio (in leasing, il bene resta fuori stato patrimoniale, migliorando alcuni ratios); (b) cita la Cassazione 17175/2015 per sostenere che è lecito preferire la deduzione dei canoni se l’ordinamento lo consente e che non esiste obbligo di restare vincolati all’ammortamento ; (c) evidenzia che la legge fiscale prevede espressamente la deducibilità dei canoni di leasing immobiliare in almeno 12 anni (art.102 TUIR), e nel caso specifico il contratto di 10 anni rientra comunque nel limite (essendo superiore ai 12? in realtà 10 è inferiore, ma ipotizziamo che a fini dimostrativi Alfa spalmi deduzione in 12 anni come richiesto: deducendo 10 canoni su 12 anni con quota indeducibile da riprendere a tassazione in 2 anni finali, come da normativa vigente – queste questioni tecniche Alfa le rispetta). (d) Sottolinea che Beta Leasing è un soggetto indipendente, scelto con gara, e che applica un tasso e condizioni di mercato (produce offerte di altre società pervenute, simili). (e) Porta a sostegno un parere pro veritate secondo cui la liquidità ottenuta fu impiegata interamente per acquistare nuovi macchinari, espandendo l’attività: quindi c’è un miglioramento funzionale dell’impresa, ragione extrafiscale di tutto rispetto . (f) In subordine, contesta che l’accertamento sia motivato in modo generico, poiché l’Ufficio non ha indicato quale vantaggio “indebito” sarebbe stato perseguito in contrasto con quale norma, e non ha esplicitato alcuna operazione alternativa che Alfa avrebbe dovuto intraprendere (limitandosi a dire “poteva fare un mutuo”, scelta che però rientra nella libera iniziativa ex art.41 Cost.).

Esito possibile: La Commissione Tributaria, valutate le prove, potrebbe accogliere il ricorso di Alfa. Dalla documentazione risulta che l’operazione aveva sostanza economica: la necessità di liquidità era reale e la scelta del leasing è stata motivata anche da considerazioni finanziarie (nessuna banca avrebbe dato €5 mln a tassi comparabili, oppure Beta Leasing offriva condizioni più vantaggiose). Alfa ha anche ottemperato alla normativa fiscale (durata leasing vicino al minimo legale, canoni di importo congruo). Inoltre, come sottolineato, “non esiste obbligo giuridico di un imprenditore di rimanere vincolato al regime fiscale dell’ammortamento se l’ordinamento gli offre alternative”. Quindi, in assenza di artificio (Beta non è una società schermo di Alfa, ma un soggetto indipendente che ha tassato i canoni percepiti), non c’è abuso. Sentenza: la CTR annulla l’accertamento ritenendo che “l’operazione di sale & lease-back rispondeva a valide ragioni economiche (ottenere mezzi finanziari per l’espansione produttiva) e che la scelta di tale schema negoziale, previsto dall’ordinamento, non integra di per sé comportamento abusivo in mancanza di elementi di uso distorto dell’autonomia negoziale”. Condanna l’Agenzia alle spese. (Se l’ufficio facesse appello, anche in Cassazione troverebbe i principi del 2015/2023 in linea con questa decisione).

(Variante: Se invece Alfa avesse fatto lease-back con una sua società collegata a prezzo “gonfiato” per dedurre ancora più costi, il giudizio potrebbe esserle sfavorevole: emergendo l’artificiosità – prezzo non allineato al valore, controparte infragruppo senza reale funzione – la CTR confermerebbe l’abuso. Ma nel nostro esempio Alfa ha agito in buona fede con controparte terza e ragioni genuine.)

Esempio 2: Leasing e risoluzione anticipata ante-2017 (clausole penalizzanti)

Scenario: La Gamma S.r.l. stipula nel 2016 un leasing traslativo per un impianto industriale dal costo di €1.000.000, durata 5 anni, con maxi-canone iniziale €200.000 e 60 canoni mensili da €15.000 circa, riscatto finale €50.000. Dopo 3 anni, Gamma ha difficoltà e non paga più le rate; la società di leasing (Delta Leasing) notifica risoluzione del contratto per inadempimento nel 2019. All’epoca della risoluzione: Gamma ha già versato €200k + 24 canoni (~€360k) = €560k. Restavano 36 canoni (~€540k) e riscatto €50k da pagare. Il contratto prevedeva: “In caso di risoluzione, tutti i canoni pagati restano acquisiti dal concedente a titolo di indennità; l’utilizzatore dovrà corrispondere inoltre una somma pari ai canoni a scadere scontati al tasso contrattuale, detratto quanto ricavato dalla ricollocazione del bene”. Delta Leasing riprende possesso dell’impianto (ancora funzionante) e nel 2020 lo rivende usato a Zeta S.p.A. per €400.000. Nel 2020 Delta notifica a Gamma un decreto ingiuntivo di €200.000: calcolo fatto così – debito residuo €540k canoni futuri attualizzati + €50k riscatto = €590k, meno €400k ricavo vendita = €190k, più interessi e spese = ~€200k. Gamma si oppone ritenendo di aver già pagato molto più del godimento effettivo.

Problema legale: Questo leasing era traslativo (valore residuo impianto dopo 3 anni ancora elevato, riscatto era simbolico rispetto al valore), quindi si applica art.1526 c.c. analogico. Gamma in 3 anni ha goduto dell’impianto pagando €560k; l’impianto venduto a €400k combinato con €560k incassati significa che Delta Leasing complessivamente ottiene €960k a fronte di un capitale di €1.000k erogato (praticamente ha recuperato quasi tutto con modesta perdita di €40k). Eppure Delta chiede altri €200k, il che porterebbe il suo incasso totale a €1.160k, ben oltre il prezzo originario dell’impianto (arricchimento).

Difesa del debitore: Nell’opposizione a decreto, Gamma eccepisce: (a) la nullità della clausola contrattuale nella parte in cui non prevede la restituzione di alcunché all’utilizzatore e consente al concedente di cumulare canoni e bene. Si invoca direttamente l’art.1526 c.c. come norma imperativa applicabile analogicamente. (b) Si chiede, subordinatamente, la riduzione dell’indennità ex art.1384 c.c., sostenendo che Delta si è già reintegrata vendendo il bene e ha subito un danno modestissimo. (c) Si presenta un conteggio: debito residuo al momento risoluzione era €590k; dal ricavato vendita €400k Delta ha già soddisfatto gran parte; rimarrebbero €190k. Tuttavia, Delta aveva incassato €560k pre-risoluzione: se quell’importo viene imputato a “corrispettivo per l’uso” ed equo compenso, si vede che è ben oltre l’uso di 3 anni. Un equo compenso potrebbe essere calcolato in base ad ammortamento: l’impianto in 3 anni ha perso magari €300k di valore (lo dicono venduto 400, su iniziale 1.000, quindi deprezzamento 600 di cui 3 anni su 5 -> circa 360k di costo d’uso). Gamma ha già pagato €560k, molto di più. Quindi chiede la restituzione di parte dei canoni versati, oppure almeno l’azzeramento di ulteriori importi dovuti. (d) Gamma evidenzia Cass. Sez.Un. 2061/2021 che ha chiarito la linea: in casi come questi il concedente deve restituire l’eccedenza se incassa più del capitale e equo compenso.

Esito possibile: Il Tribunale, in veste di giudice dell’opposizione, accerta che: sommando €560k + €400k, Delta Leasing incasserebbe €960k già, e aggiungendo altri €200k arriverebbe a €1.160k. Decide quindi in base a art.1526 c.c.: “il concedente deve restituire le rate riscosse salvo diritto a equo compenso”. L’equo compenso può essere calcolato come differenza tra prezzo originario e valore residuo restituito, ovvero €1.000k – €400k = €600k. Delta ha diritto a €600k in totale; avendo incassato €560k + €400k = €960k, ha già ottenuto €360k in più. Pertanto il giudice dichiara nulla la clausola nella parte in cui non prevede la restituzione, e determina che Delta ha ottenuto €360k oltre il dovuto. Poiché Gamma in sede di domanda riconvenzionale ha chiesto la restituzione, il giudice condanna Delta a restituire €360k a Gamma. Tuttavia Gamma ancora doveva versare canoni quando si è fermata, per cui il giudice potrebbe anche rideterminare l’equo compenso in altro modo (es. interessi compensativi). In ogni caso, Gamma non deve pagare nulla a Delta e anzi potrebbe ricevere un rimborso. Verosimilmente, il giudice potrebbe “pareggiare” le cose stabilendo che ciascuno resta con quanto ha (Delta tiene i €960k e Gamma nulla deve più – scenario equo). Il decreto ingiuntivo viene revocato. Delta Leasing viene condannata alle spese. Questo scenario ricalca molti casi reali post-2017 in cui i giudici hanno seguito pedissequamente la regola della restituzione dell’eccedenza .

(Se il leasing fosse stato stipulato nel 2018, la L.124/2017 si sarebbe applicata direttamente e probabilmente Delta Leasing non avrebbe nemmeno fatto decreto ingiuntivo in tal modo: avrebbe venduto il bene e richiesto solo l’eventuale differenza. Quindi i problemi seri residuano per contratti più vecchi, come mostrato.)

Esempio 3: Tasso usurario e nullità parziale

Scenario: La Sigma S.r.l. ha in corso un leasing strumentale (per macchinari) stipulato nel 2020, tasso leasing nominale 8% annuo. Nel 2022, a causa di aumenti dei tassi, la Banca d’Italia fissa il tasso soglia usura per operazioni di leasing simili al 8.50%. Sigma, in temporanea crisi di liquidità, paga in ritardo alcune rate, su cui scatta un interesse di mora del 3% annuo oltre il tasso base (quindi se base 8%, mora 11%). Questo 11% risulta superiore alla soglia di usura (che si riferisce agli interessi di mora rilevati, supponiamo soglia mora ~10%). Sigma decide di adire le vie legali per far valere l’usurarietà.

Azione intrapresa: Sigma continua a pagare i canoni regolari, ma ricorre al tribunale con un’azione di accertamento contro la società di leasing (Omega Leasing) per far dichiarare la nullità delle clausole di interesse usurarie e ottenere rimborso degli extra pagati. Dalla perizia del consulente di Sigma risulta che: il TAEG effettivo del contratto (considerando commissioni e spese) è di 8.2%, sotto soglia per i corrispettivi (quindi ok); però il tasso di mora contrattuale è 11%, sopra la soglia mora del 10%. Inoltre, in due occasioni Sigma ha pagato rate con 60 giorni di ritardo e Omega le ha addebitato complessivamente €2.000 di interessi di mora (calcolati all’11%). Sigma chiede: di dichiarare nulla ex art.1815 c.c. la clausola di interessi moratori per contrasto con legge usura e quindi che Omega restituisca i €2.000 indebitamente incassati, nonché – soprattutto – che per il futuro nessun interesse di mora sia dovuto (chiede quindi accertarsi che eventuali ritardi non generino interessi, essendo la clausola nulla).

Difesa della società di leasing: Omega Leasing si costituisce negando l’usura: sostiene che andrebbe fatto un calcolo unitario e che sommando 8% corrispettivi con 3% mora si arriva a 11% ma solo sui giorni di ritardo e non è corretto considerarli in blocco; inoltre invoca una discussa tesi secondo cui la mora non rientrerebbe nel calcolo del TEG e che comunque nei DM fino al 2017 non c’era soglia mora (infatti Banca d’Italia iniziò a indicare la maggiorazione media dal 2017, ipotizziamo). Argomenti deboli, perché Cassazione ha chiarito diversamente .

Esito: Il Tribunale respinge le tesi di Omega e accerta l’usurarietà potenziale della clausola di mora (non importa che Sigma sia stata quasi sempre puntuale; conta che, se applicata, la clausola prevede un tasso > soglia, il che basta a renderla nulla). Richiama Cass. 1930/2024 e altre per affermare che la legge antiusura si applica ai moratori e che il tasso soglia di mora esiste e va rispettato . Dichiara dunque nulla la pattuizione degli interessi di mora al 3% oltre il tasso base. In base all’art.1815 c.c., ne consegue che Sigma non dovrà alcun interesse di mora su eventuali ritardi (solo, al più, il danno da ritardo ex lege – che però Sigma non deve perché l’art.1224 c.c. prevede che se sono previsti interessi convenzionali, esclusi quelli, non si applicano d’ufficio neanche i legali a meno di domanda). Ordina inoltre a Omega di restituire i €2.000 di mora pagati, con interessi legali dal pagamento al saldo. Quanto alle spese legali, Omega viene condannata.

Implicazioni: Sigma ottiene così che eventuali prossimi ritardi le costeranno zero interessi (ciò la solleva molto in situazioni di strette di liquidità) e recupera quanto pagato indebitamente. Omega potrebbe decidere di risolvere il contratto se Sigma ritarda ancora, ma dovrà farlo attenendosi alle norme (non può applicare penali occulte travestite da interessi). Questo esempio mostra come un debitore attento può usare la leva dell’usura per ridurre l’onere finanziario.

(Va notato che se il tribunale avesse seguito l’altro orientamento, avrebbe potuto limitare la nullità ai soli interessi di mora mantenendo i corrispettivi; in entrambi i casi Sigma avrebbe comunque ottenuto di non pagare più interessi di mora. Le società di leasing spesso, di fronte a cause così, preferiscono rinegoziare abbassando i tassi di mora sotto soglia per evitare la nullità totale.)

I tre esempi sopra illustrano situazioni differenti: contestazione fiscale, contenzioso contrattuale su risoluzione, e causa su interessi/usura. In ciascuno si è evidenziata la prospettiva del debitore e l’applicazione delle difese disponibili alla luce di normative e sentenze aggiornate. Naturalmente, ogni caso concreto può evolvere diversamente, ma i principi di base rimangono quelli esposti nella guida.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende per leasing elusivo?
R: Si intende un’operazione di leasing finanziario che l’Amministrazione Finanziaria considera finalizzata unicamente a ottenere un vantaggio fiscale indebito, priva di sostanza economica reale. In pratica, uno schema di leasing abusato per ridurre le tasse (deducendo canoni invece di ammortamenti, detraendo IVA, ecc.) senza valide ragioni economiche. Un caso tipico è il sale & lease-back usato solo per dedurre costi più rapidamente . Tali operazioni rientrano nel concetto di abuso del diritto/elusione fiscale sancito dall’art.10-bis L.212/2000 . Attenzione: leasing elusivo non significa che il leasing sia illegale di per sé, ma che in quel contesto viene utilizzato in modo distorto per aggirare il fisco.

D: Il Fisco può contestare un leasing solo perché consente di pagare meno tasse rispetto ad altre forme?
R: No, non automaticamente. La Cassazione ha chiarito che scegliere un’operazione consentita dalla legge, anche se fiscalmente più vantaggiosa, non costituisce di per sé abuso . Il contribuente è libero di scegliere il leasing invece di un mutuo, se la legge offre entrambe le possibilità. La contestazione scatta solo se l’Amministrazione prova che l’operazione di leasing è artificiosa e priva di sostanza economica diversa dal risparmio d’imposta. Ad esempio, un leasing infragruppo può essere contestato se si dimostra che è una costruzione fittizia per trasferire utili o creare costi, senza vera necessità economica. In sostanza, serve lo “scopo essenziale fiscale” e l’“uso distorto” dello strumento . Se invece il leasing ha ragioni valide (finanziarie, gestionali), il minor carico fiscale ottenuto rientra nella normalità e non è sanzionabile.

D: Quali vantaggi fiscali dà il leasing rispetto all’acquisto diretto?
R: Principalmente: deducibilità accelerata dei costi e benefici IVA. Nell’acquisto diretto di beni strumentali, l’impresa deduce il costo tramite ammortamenti pluriennali (es. 5 anni per macchinari, 33 anni per immobili industriali). Nel leasing, invece, i canoni periodici sono deducibili nell’esercizio in cui maturano. La legge impone durate minime (es. almeno metà vita utile per i beni mobili, almeno 12 anni per immobili) , ma generalmente il leasing consente di completare la deduzione in tempi più brevi dell’ammortamento ordinario. Inoltre, nel leasing l’IVA sui canoni è pagata man mano (e detraibile man mano), mentre nell’acquisto va pagata tutta subito sul prezzo intero. Ciò migliora la liquidità. Altri vantaggi: non immobilizza capitale proprio, spesso non appesantisce gli indicatori di indebitamento (il bene resta di proprietà del lessor finché non si riscatta). Da un punto di vista fiscale, quindi, il leasing può ridurre il tax burden a breve termine (più costi deducibili subito). Questo è lecito finché si rispettano le norme (durate minime, inerenza del bene all’attività, ecc.). Diventa “vantaggio indebito” solo se si crea ex novo un leasing artificiale per dedurre qualcosa che altrimenti non sarebbe deducibile affatto (es. dedurre costi di un immobile che il contribuente già possedeva e non poteva ammortizzare, tramite lease-back fittizio).

D: In caso di contestazione per abuso del diritto, quali sanzioni rischio? Ci sono conseguenze penali?
R: Se l’operazione è qualificata come abuso del diritto, non scatta alcun reato tributario (l’art.10-bis esclude la rilevanza penale) . Sul piano amministrativo, però, vengono applicate le normali sanzioni tributarie per la maggiore imposta dovuta. Di solito, trattandosi di costi indebitamente dedotti, si configura una dichiarazione infedele, punita con sanzione dal 90% al 180% della maggior imposta (D.Lgs.471/97). La Cassazione ha ribadito che le operazioni elusive non escludono le sanzioni amministrative , salvo eventuali esimenti (es. incertezza normativa oggettiva). Quindi, ad accertamento definitivo, si pagherà la maggiore imposta, gli interessi e la sanzione (di solito il 90% nelle conciliazioni). Non c’è il rischio di reati come dichiarazione fraudolenta, perché manca l’elemento di violazione di legge (qui si parla di uso improprio di norme, che è concetto amministrativo). Riassumendo: abuso = tasse e multa, no arresti.

D: Come posso difendermi concretamente se ricevo un avviso di accertamento per leasing abusivo?
R: Prima di tutto, conviene consultare un tributarista/avvocato per esaminare l’atto. La difesa tipica consiste nel rispondere punto per punto alle motivazioni del Fisco: presentare ricorso alla Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria di I grado), evidenziando le ragioni extrafiscali dell’operazione. Ad esempio, allegare documenti che mostrano l’utilizzo della liquidità ottenuta, confronti con alternative finanziarie, perizie di congruità dei prezzi, ecc. Inoltre, controllare se l’Agenzia ha rispettato il procedimento: ti hanno inviato la comunicazione per chiarimenti ex art.10-bis con 60 gg di tempo? In caso negativo, l’atto è nullo per difetto di contraddittorio . Oppure la motivazione è generica? (anche questo può essere motivo di nullità). Nel merito, nel ricorso bisogna spiegare che l’operazione ha sostanza economica (es. “leasing concluso con primaria società di leasing a condizioni di mercato, con lo scopo di rinnovare il parco macchinari; scelta imprenditoriale conveniente non solo per tasse ma per ragioni finanziarie”), e citare le norme a supporto (es. “lo Statuto del contribuente consente libertà di scelta tra regimi alternativi” ). Spesso è utile richiamare giurisprudenza: ad es., inserire stralci di sentenze Cassazione dove casi analoghi al tuo sono stati giudicati non abusivi . Se la Commissione vede che la legge antielusione è stata male applicata dal Fisco (mancano i presupposti di artificiosità e indebito vantaggio), annullerà l’atto. In parallelo al ricorso, valutare la mediazione/conciliazione: a volte l’Agenzia potrebbe essere disponibile a riconoscere la non malafede e ridurre sanzioni. Ma se sei convinto della correttezza sostanziale, meglio puntare all’annullamento totale in giudizio.

D: Il sale and lease-back è sempre considerato sospetto o si può fare in tranquillità?
R: Il lease-back è un contratto lecito e diffusissimo. Non è ipso facto sospetto. La Cassazione ha più volte detto che è socialmente tipico e valido, essendo uno strumento efficace di finanziamento . Ciò detto, bisogna fare attenzione a come lo si struttura:
Profilo fiscale: assicurati che ci sia una ragione economica vera (esigenza di liquidità, ristrutturazione debiti). Se vendi a una società di leasing terza a valore di mercato e poi paghi canoni normali, non stai frodando il fisco, stai usando un regime alternativo previsto (come confermato da Cass. 18333/2021: il lease-back di solito ha valida ragione economica, ossia ottenere liquidità mantenendo l’uso del bene ). Il Fisco potrebbe drizzare antenne se vendi a una società “amica” a prezzo gonfiato o se fai operazioni complicate per generare fittizi costi. Ma se tutto è trasparente, difficile che possano contestare abuso.
Profilo civilistico: qui il punto è evitare il patto commissorio. Quindi: non fare lease-back in presenza di un debito pregresso con quella stessa controparte (es. non vendere l’immobile alla banca proprio a garanzia di un fido che avevi… meglio una società diversa e indipendente). E inserisci sempre una clausola di conguaglio: cioè prevedi contrattualmente che, in caso di tuo default e risoluzione, la società di leasing venderà il bene e ti restituirà l’eventuale eccedenza oltre il dovuto. Questa clausola (patto marciano) mette al riparo il contratto da accuse di elusione del 2744 c.c. Le maggiori società la includono di prassi. Se mancante, la giurisprudenza comunque ormai la applica d’ufficio per non far arricchire il leasing oltre misura . Dunque, lease-back in tranquillità si può fare seguendo queste accortezze: prezzo congruo, controparte seria, clausole eque. Non è “illegale” di per sé.

D: Se non riesco più a pagare i canoni di leasing, cosa succede?
R: In caso di mancato pagamento dei canoni, il contratto di leasing prevede tipicamente la risoluzione anticipata per inadempimento dopo un certo numero di rate non pagate (oggi per legge minimo 6 mensili o 2 trimestrali di ritardo per i nuovi contratti ). Succede questo: la società di leasing ti invia una comunicazione risolvendo il contratto, riprende possesso del bene (con il tuo consenso o, se ti opponessi, tramite provvedimenti giudiziari) e poi generalmente vende o ricolloca il bene sul mercato. Economicamente, tu debitore sei tenuto a coprire l’eventuale differenza tra quanto dovevi (capitale residuo, canoni scaduti, forse penali) e quanto il leasing ricava dalla vendita del bene. Se hai un contratto stipulato dopo agosto 2017, questo meccanismo è ora normato: la società di leasing deve comunicarti il ricavato della vendita e se c’è un surplus oltre il tuo debito residuo, deve restituirtelo . Se invece c’è un deficit, tu pagherai la differenza. In pratica: hai perso il bene (non diventi proprietario) ma non dovresti pagare più del danno effettivo. Se invece il contratto è più vecchio, spesso c’erano clausole penalizzanti (perdevi tutte le rate pagate e dovevi pagare tutte le future). Oggi i giudici non applicano più alla lettera quelle clausole: se ci fosse contenzioso, applicherebbero analogicamente la stessa regola (conguaglio sul valore). Quindi, cosa succede? Probabilmente la società di leasing, fatto due conti, ti chiederà un importo a saldo. Esempio: prezzo originario 100, hai pagato 60 in canoni, restano 40, il bene rivenduto frutta 30 – ti chiederanno forse 10 di differenza (più spese). La cifra può essere oggetto di trattativa; se la società esagera, sappi che un giudice può ridurla. Dal 2017 inoltre c’è un limite: la risoluzione può scattare solo se sei in ritardo consistente (non per una rata saltata). Quindi, succede che perdi il bene e devi regolare i conti finanziari. Ma hai varie tutele: il patto marciano legale se contratto nuovo; l’art.1526 c.c. se vecchio (ricorso a giudice per farti restituire l’eccesso pagato) ; l’art.1384 c.c. per far ridurre penali esagerate. In conclusione, pagherai solo quello che manca (il leasing non può lucrare oltre). Consiglio pratico: se prevedi di non farcela, contatta subito la società di leasing per trovare un accordo (es. restituisci il bene volontariamente in cambio dell’azzeramento di penali o dilazioni sul saldo). Spesso sono disponibili, perché anche loro preferiscono evitare spese legali e recuperare il bene per venderlo al più presto.

D: Posso fare qualcosa se mi accorgo che il tasso del leasing è eccessivo o diverso da quanto credevo?
R: Sì. Innanzitutto, verifica il contratto e il piano di ammortamento: se non sono chiari o se il TAEG reale (che puoi far calcolare a un esperto) risulta ben più alto di quello comunicato, potresti avere basi per contestazioni. Ci sono due scenari:
– Se il tasso effettivo risulta usurario (supera la soglia di legge): allora puoi agire per far dichiarare nulli gli interessi ex art.1815 c.c. e pagare solo il capitale . Questo di solito richiede causa e CTU, ma è una possibilità concreta soprattutto se ci sono elevate penali di mora. Anche se il tasso normale non è usuraio, controlla il tasso di mora contrattuale: spesso quello spinge l’operazione in usura se >2-3 punti oltre il nominale. Molte cause sono vinte così (come nell’esempio 3).
– Se il tasso non è usuraio ma è diverso da quanto pattuito (ad es. errore di calcolo: ti hanno detto 5% ma contando tutte le spese è 7%), c’è violazione delle norme di trasparenza. Puoi eccepire la nullità di quella clausola e chiedere che venga applicato il tasso sostitutivo BOT (spesso inferiore). La Cassazione ha detto che se il tasso effettivo è diverso e il cliente non poteva capirlo, c’è violazione dell’art.117 TUB . In giudizio questo può portare a farti rimborsare interessi pagati in più e ad abbassare i canoni residui.
In pratica, puoi contestare per iscritto alla società di leasing queste questioni (magari con l’aiuto di un legale). Spesso, di fronte a eccezioni fondate su trasparenza o usura, le società preferiscono trovare un accordo (ridurre tassi, eliminare interessi di mora) piuttosto che affrontare cause lunghe con rischio di perdere tutto l’interesse. Fai attenzione però: se firmasti un contratto chiaro col tasso indicato e ora lo ritieni “alto ma chiaro”, non c’è vizio formale – avresti dovuto negoziare prima. Le contestazioni valide sono su profili legali: usura (violazione di norma imperativa) o trasparenza (mancata indicazione/discordanza). Se semplicemente il leasing è oneroso, l’unica è provare a rinegoziare chiedendo magari la riduzione del tasso o allungamento durata (alcune società accettano, specie se i tassi di mercato scendono e il tuo era fissato alto). In sintesi: puoi agire legalmente se c’è violazione di legge (usura, difetto di trasparenza), oppure contrattare modifiche se è solo questione di convenienza economica.

D: Nel leasing chi è responsabile se il bene ha difetti o non funziona? Posso sospendere i pagamenti?
R: Questo esula un po’ dall’elusione fiscale, ma è importante per molti debitori. In un leasing finanziario standard, formalmente la società di leasing (concedente) compra il bene dal fornitore e non garantisce nulla della qualità del bene all’utilizzatore, che lo ha scelto. I contratti scrivono chiaramente che ogni difetto o vizio del bene non potrà essere opposto al concedente e che l’utilizzatore deve pagare i canoni comunque, facendosi semmai valere sul fornitore/venditore in separata sede. Tuttavia, la giurisprudenza ha mitigato questa durezza riconoscendo che vendita e leasing sono collegati e finalizzati a uno scopo unitario. Se il bene è affetto da vizi gravi tali da impedirne l’uso, l’utilizzatore può informarne immediatamente sia il fornitore che la società di leasing e ha facoltà di sospendere i pagamenti, purché attivi un’azione legale tempestiva per accertare il vizio. Ad esempio, se ti consegnano un macchinario che non ha mai funzionato per difetti di fabbricazione, puoi (dopo ripetute richieste di riparazione fallite) notificare al leasing che sospendi il pagamento perché il bene è inutilizzabile, chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione dei canoni pagati, e fare causa al fornitore per risoluzione della vendita. La Cassazione ha riconosciuto che in questi casi estremi l’utilizzatore va tutelato perché la causa del contratto – avere un bene funzionante – è venuta meno. Certo, devi essere in buona fede e il difetto deve essere davvero serio. Se invece è un vizio minore e il bene funziona, devi continuare a pagare e farti valere sul fornitore (che magari dovrà riparare o risarcire). Quindi: non sospendere mai i canoni alla leggera per piccoli problemi, rischieresti la risoluzione per inadempimento. Ma se c’è un colpo di scena (bene inutilizzabile, fornitore inadempiente, leasing appena iniziato), coinvolgi la società di leasing – spesso possono aiutare facendo pressione sul fornitore o sostituendo il bene. Legalmente, la società di leasing spesso si terrà fuori dicendo “paga intanto poi vediamo”, ma tu hai armi: puoi chiamarla in causa citandola insieme al fornitore, e alcuni giudici dichiarano risolto anche il leasing senza penali se il bene era difettoso ab origine. Insomma, caso per caso. Tieni presente che per contratti consumer (leasing abitativo per privati, rari) i consumatori hanno protezioni forti anche sul bene (garanzia legale di conformità, ecc.).

D: Riassumendo, quali sono gli elementi più importanti da controllare in un contratto di leasing per evitare sorprese?
R: Ecco una breve checklist dal punto di vista del debitore/utilizzatore: – Condizioni economiche chiare: verifica che il contratto riporti TAN o tasso leasing e l’ISC/TAEG. Se non li vedi, chiedili e fatti dare un piano di ammortamento dettagliato. Trasparenza è un tuo diritto. – Durata e importi: assicurati che la durata rispetti i minimi fiscali (così non avrai problemi di deducibilità) – di solito la società di leasing lo sa. Valuta l’incidenza del maxi-canone iniziale e del riscatto finale sul costo totale. – Tasso di mora e clausole penali: occhio al tasso di mora contrattuale, confrontalo con i tassi soglia usura correnti. Se ti sembra molto alto (tipo >10-12%), sappi che potrebbe essere non dovuto in caso di contenzioso, ma intanto c’è. Chiedi se possono abbassarlo. – Clausola di risoluzione: leggi bene cosa succede se non paghi. C’è scritto che restituiscono l’eventuale eccedenza del ricavato? Se sì, bene (patto marciano). Se no, sappi che comunque per legge o giudice oggi si farà così, ma sarebbe meglio inserirla. Se la società di leasing rifiuta di modificarla, sappi che è una clausola potenzialmente nulla in parte, quindi hai comunque la tutela di legge. – Patto commissorio: se è un lease-back, verifica di non avere situazioni di debito pregresso con quella controparte e assicurati che sia previsto un meccanismo equo in caso di default (vedi sopra). – Garanzie e assicurazioni: vedi se devi assicurare tu il bene (di solito sì) e a chi spettano rischi particolari. Spesso le società di leasing impongono coperture assicurative – considerane il costo. – Indici di anomalia fiscale: se stai orchestrando un leasing con una tua società… sta’ attento, perché se non ha senso economico il Fisco può attaccarlo. Fatti consigliare da un fiscalista prima. Se è tutto interno al gruppo, valutate la documentazione di transfer pricing (se cross-border) o preparate un memo interno sulle ragioni industriali dell’operazione. – Interpello preventivo: se vuoi massima sicurezza su una struttura di leasing potenzialmente sofisticata, puoi presentare interpello all’Agenzia (ex art.11 co.1 lettera c) L.212/2000) spiegando l’operazione e chiedendo se secondo loro è abuso. Se rispondono no, hai “carta bianca”; se dicono sì, puoi correggere il tiro; se non rispondono in 120gg, vale silenzio-assenso (ma su abuso è raro che non rispondano). È un’arma in più, usata poco finora ma utile in operazioni di importi rilevanti.

In conclusione, un leasing ben strutturato e motivato è uno strumento efficiente e non deve creare problemi né col Fisco né in sede civile. L’importante è conoscerne le insidie e le relative difese: con questa guida, dal taglio avanzato, speriamo di aver fornito un quadro completo delle contestazioni su contratti di leasing “elusivi” e soprattutto di come il debitore possa tutelarsi, forte delle normative aggiornate e delle più recenti sentenze di legittimità.

Fonti utilizzate: Cass. civ. Sez. V, 26 agosto 2015 n.17175 ; Cass. civ. Sez. V, 27 ottobre 2023 n.29936 ; Cass. civ. Sez. V, 25 giugno 2021 n.18333 ; Cass. civ. Sez. III, 13 febbraio 2024 n.3930 ; Cass. civ. Sez. I, 28 febbraio 2018 n.4698 ; Cass. Sez. Un. 28 gennaio 2021 n.2061 ; art.10-bis L.212/2000 (Disciplina abuso del diritto) ; art.2744 c.c.; art.1526 c.c.; L.124/2017; D.Lgs.385/93 art.117 ; L.108/1996; D.Lgs.471/97 art.1 c.2 . (Sentenze tratte da fonti ufficiali e riassunte ai punti rilevanti).

  • Cassazione civile Sez. III ordinanza n. 26225 del 7 ottobre 2024
  • Articolo 10 bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212
  • Cass. civ. n. 29936 del 27 ottobre 2023
  • Pratica negoziale abusiva – Cass. n. 18333/2021
  • CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA DEL 13-02-2024 N. 3930

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la natura elusiva di uno o più contratti di leasing? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la natura elusiva di uno o più contratti di leasing?
Vuoi sapere quali sono i rischi e come difenderti da queste contestazioni fiscali?

👉 Prima regola: dimostra che il leasing è stato stipulato per reali esigenze economiche e operative, e non solo per ottenere vantaggi fiscali indebiti.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Leasing stipulati con canoni sproporzionati o durata anomala rispetto ai valori di mercato;
  • Contratti di leasing tra società collegate o controllate, utilizzati per spostare utili o dedurre costi eccessivi;
  • Operazioni di sale and lease back considerate prive di valide ragioni economiche;
  • Utilizzo del leasing per deduzioni accelerate non coerenti con l’effettiva utilità del bene;
  • Riqualificazione del leasing come finanziamento o come operazione simulata.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Indeducibilità parziale o totale dei canoni di leasing;
  • Recupero delle imposte non pagate con sanzioni e interessi;
  • Possibile riqualificazione dell’operazione come abuso di diritto;
  • Rischio di contestazioni penali se il contratto è ritenuto simulato o fraudolento;
  • Responsabilità solidale di società e amministratori.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Il contratto di leasing rispondeva a una reale esigenza economica (acquisto beni strumentali, finanziamento operativo)?
  • I canoni e la durata erano coerenti con i valori di mercato?
  • L’operazione è stata regolarmente contabilizzata e dichiarata?
  • Esistono documenti aziendali (delibere, business plan, relazioni tecniche) che giustificano la scelta del leasing?
  • La contestazione dell’Agenzia si basa su dati concreti o solo su presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti di leasing e relativi allegati;
  • Fatture, piani di ammortamento e quietanze di pagamento;
  • Delibere societarie e documenti che motivano l’operazione;
  • Bilanci e scritture contabili;
  • Eventuali perizie di stima del bene oggetto di leasing.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare che l’operazione di leasing aveva finalità economiche reali, non elusive;
  • Contestare la riqualificazione come finanziamento o simulazione;
  • Evidenziare la conformità ai parametri di mercato di canoni, durata e valore residuo;
  • Eccepire eventuali vizi dell’accertamento: motivazione insufficiente, errori di calcolo, violazioni procedurali;
  • Richiedere l’annullamento in autotutela se la documentazione era già agli atti;
  • Presentare ricorso entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria;
  • Difesa penale mirata in caso di accuse di simulazione o frode fiscale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i contratti di leasing e i relativi flussi finanziari;
📌 Valuta la legittimità della contestazione e i punti deboli dell’accertamento;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e, se necessario, nei procedimenti penali;
🔁 Fornisce consulenza preventiva per la gestione corretta dei contratti di leasing.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e contrattualistica d’impresa;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni fiscali su leasing e operazioni societarie;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui contratti di leasing elusivi non sempre sono fondate: spesso derivano da valutazioni arbitrarie o da interpretazioni eccessivamente restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale finalità economica del leasing, evitare la riqualificazione come operazione elusiva e ridurre sensibilmente sanzioni e interessi.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui contratti di leasing inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!