Contestazioni Per Mancata Dichiarazione Di Wallet Crypto: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per non aver dichiarato i tuoi wallet crypto? In questi casi, l’Ufficio presume che le criptovalute detenute in portafogli digitali costituiscano attività estere da monitorare nel quadro RW e che i redditi derivanti da cessioni, staking o altri utilizzi vadano assoggettati a tassazione. Le conseguenze possono essere molto pesanti: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni proporzionali e possibili accertamenti patrimoniali più ampi. Tuttavia, non sempre la contestazione è corretta: con una difesa ben documentata è possibile dimostrare la legittimità della propria posizione o ridurre l’impatto delle sanzioni.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta la mancata dichiarazione di wallet crypto
– Se non è stato compilato il quadro RW per il monitoraggio fiscale delle criptovalute detenute
– Se non sono stati dichiarati i redditi da plusvalenze derivanti da cessioni di crypto
– Se mancano dichiarazioni relative a proventi da staking, mining o attività simili
– Se i movimenti in entrata e uscita dai wallet non trovano riscontro nella dichiarazione dei redditi
– Se l’Ufficio presume che le crypto siano state utilizzate per occultare capitali o ricavi

Conseguenze della contestazione
– Tassazione dei redditi derivanti da criptovalute non dichiarati
– Applicazione di sanzioni fino al 30% per la mancata compilazione del quadro RW
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Rischio di accertamenti bancari e indagini patrimoniali più estese
– Possibile denuncia penale per omessa dichiarazione o dichiarazione infedele nei casi più gravi

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la corretta natura e l’uso dei wallet (custodial, non custodial, exchange esteri o italiani)
– Produrre estratti, report e documentazione delle piattaforme di scambio utilizzate
– Contestare l’inquadramento come attività estere nei casi di wallet privati non riconducibili a intermediari
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di calcolo o difetti istruttori nell’accertamento
– Valutare strumenti di regolarizzazione e definizione agevolata per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione relativa ai wallet e ai movimenti in crypto contestati
– Verificare la legittimità dell’accertamento alla luce della normativa italiana ed europea sulle criptovalute
– Redigere un ricorso fondato su elementi tecnici e giuridici a supporto del contribuente
– Difendere il cliente davanti ai giudici tributari e, se necessario, in sede penale
– Proteggere il patrimonio personale e familiare da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi applicati
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– La corretta qualificazione fiscale delle operazioni in crypto
– La certezza di regolarizzare la propria posizione pagando solo quanto realmente dovuto

⚠️ Attenzione: le criptovalute sono ormai oggetto di controlli sempre più stringenti da parte del Fisco. È fondamentale predisporre una difesa tecnica solida per evitare conseguenze economiche e penali sproporzionate.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscale internazionale – spiega come difendersi in caso di contestazioni per mancata dichiarazione di wallet crypto e quali strategie adottare per tutelare i tuoi interessi.

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Introduzione

Negli ultimi anni le criptovalute sono entrate prepotentemente nel mirino del Fisco italiano. La mancata dichiarazione di wallet crypto – cioè il mancato inserimento nelle dichiarazioni fiscali sia delle cripto-attività detenute sia degli eventuali redditi generati – può portare a contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate e, nei casi più gravi, anche a conseguenze penali. La normativa in materia si è evoluta rapidamente: fino al 2022 mancava una disciplina specifica, mentre dal 2023 le regole sono state chiarite e irrigidite dal legislatore . Oggi ogni contribuente residente in Italia che possieda criptovalute deve rispettare precisi obblighi dichiarativi, a prescindere dall’importo e dal luogo in cui le cripto sono custodite .

Questo guida – aggiornata ad agosto 2025 – offre un quadro avanzato della normativa italiana sulle criptovalute e fornisce indicazioni su come difendersi da contestazioni per omessa dichiarazione di wallet crypto. Adottando un linguaggio giuridico ma divulgativo, esamineremo gli obblighi fiscali (per privati, imprenditori e professionisti), le sanzioni amministrative e i possibili profili penali connessi alle omissioni, citando le fonti normative e le sentenze più recenti. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici (casi reali simulati in ambito italiano) e una sezione di domande e risposte frequenti. L’analisi è svolta dal punto di vista del debitore/contribuente, evidenziando gli strumenti di tutela e le strategie difensive per far valere le proprie ragioni di fronte al Fisco.

In breve: non dichiarare le proprie criptovalute o i relativi redditi non è un errore da prendere alla leggera. Le conseguenze possono essere pesanti – dalle sanzioni pecuniarie fino al processo penale – ma esistono anche modalità per regolarizzare la propria posizione ed elementi di difesa che possono essere fatti valere in sede di contraddittorio o contenzioso. Vediamo nel dettaglio il quadro normativo vigente e come muoversi in caso di contestazione.

Quadro normativo e obblighi dichiarativi

Evoluzione normativa: dalle analogie alle regole ad hoc (fino al 2022)

Fino al 2022 l’ordinamento italiano non prevedeva una disciplina positiva specifica per le criptovalute in ambito fiscale . In assenza di una legge dedicata, l’Amministrazione finanziaria ha applicato per analogia le regole pensate per le valute estere e per le attività finanziarie tradizionali. Già dal 2013 l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito, con la circolare 38/E/2013, che le attività estere detenute fuori dal circuito bancario italiano andavano indicate nel Quadro RW ai fini del monitoraggio fiscale (norme sul “monitoraggio” introdotte dal D.L. 167/1990) . Questa interpretazione è stata estesa di fatto anche alle criptovalute, almeno quando detenute tramite exchange esteri o wallet privati fuori dall’Italia . In altri termini, l’Agenzia considerava le criptovalute assimilabili a “valute estere”, soggette quindi agli obblighi di dichiarazione degli investimenti all’estero.

  • Obbligo di Quadro RW (ante 2023) – Pur non essendoci un esplicito riferimento normativo alle “monete virtuali” in quegli anni, i contribuenti sono stati progressivamente istruiti a inserire in RW le criptovalute detenute all’estero. Ad esempio, le istruzioni ministeriali avevano introdotto un apposito codice “14” per identificare le valute virtuali tra le attività finanziarie estere da monitorare . Tale obbligo, di natura formale, serviva a comunicare annualmente il valore delle cripto detenute e i trasferimenti da/verso l’estero, analogamente a conti correnti e investimenti finanziari esteri.
  • Soglia valutaria e redditi da trading – Per i redditi derivanti da operazioni in criptovaluta, prima del 2023 l’Agenzia delle Entrate richiamava la disciplina delle valute estere: le eventuali plusvalenze da conversione crypto-fiat erano tassate come “redditi diversi di natura finanziaria” solo se superavano la soglia di giacenza prevista per le valute estere (equivalente a €51.645,69 di giacenza media per almeno 7 giorni nel periodo d’imposta) . In pratica, l’Amministrazione equiparava il possesso di crypto a un deposito in valuta estera: al superamento di quella soglia, le conversioni con profitto generavano un imponibile tassabile al margine. Questa impostazione – derivante dall’art. 67 comma 1 lett. c-ter TUIR sulle plusvalenze da cambi valutari – ha creato molta incertezza applicativa. Ad esempio, veniva dibattuto se lo scambio fra criptovalute diverse configurasse un realizzo tassabile: la prassi tendeva a escluderlo quando di “stessa natura”, analogamente al cambio tra valute straniere (questo è stato poi confermato ufficialmente solo nel 2023) .

Nota: Diversi contribuenti, in mancanza di regole chiare, hanno interpretato in modo difforme i propri obblighi fiscali sulle cripto-attività. C’è chi ha ritenuto di non dover dichiarare le proprie criptovalute (specie se conservate in un hardware wallet personale in Italia, ritenendole non “attività estere”), oppure chi non ha dichiarato utili in crypto perché mai convertiti in euro. Queste posizioni, comprensibili alla luce del vuoto normativo, oggi possono essere fonte di contesa con il Fisco. Come vedremo, la normativa sopravvenuta ha colmato i vuoti, ma resta rilevante valutare caso per caso la “incertezza normativa oggettiva” pregressa, che può costituire un elemento di difesa nelle contestazioni (ad esempio per chiedere l’esclusione delle sanzioni amministrative in virtù dello Statuto del Contribuente, art. 6 co.2, quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza).

La svolta del 2023: definizione di “cripto-attività” e nuova fiscalità

Le cose sono radicalmente cambiate con le ultime Leggi di Bilancio. La Legge n. 197/2022 (Bilancio 2023) – in vigore dal 1° gennaio 2023 – ha introdotto per la prima volta una disciplina organica sulle criptovalute nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). In particolare, la L. 197/2022 ha inserito la lettera c-sexies al comma 1 dell’art. 67 TUIR, qualificando formalmente le plusvalenze da cripto-attività come redditi diversi di natura finanziaria . Contestualmente, è stata fornita una definizione normativa di cripto-attività, intesa come: «rappresentazione digitale di valore o di diritti, che può essere trasferita e archiviata elettronicamente, utilizzata come strumento di investimento o di scambio, diversa da moneta avente corso legale e da strumenti finanziari» . Questa definizione legislativa ha il pregio di distinguere le cripto dagli strumenti finanziari tradizionali, pur assoggettandole a regole fiscali analoghe.

Ecco i punti chiave introdotti dalla manovra 2023:

  • Tassazione delle plusvalenze – Le cessioni a titolo oneroso di criptovalute (conversioni in valuta fiat, permute crypto-fiat, utilizzo di crypto per acquisti, ecc.) che generano un profitto costituiscono ora reddito imponibile per le persone fisiche residenti . La plusvalenza si determina come differenza tra il corrispettivo ricevuto (valore di realizzo) e il costo di acquisto delle criptovalute cedute. Su tali plusvalenze si applica un’imposta sostitutiva del 26%, in analogia alla tassazione delle rendite finanziarie . Per le annualità 2023 e 2024 era prevista una soglia di esenzione: se le plusvalenze complessive dell’anno non superavano €2.000, non era dovuta imposta; oltre tale soglia, la tassazione si applicava sull’intero importo della plusvalenza realizzata . Questo significa, ad esempio, che un contribuente che nel 2024 acquista crypto per €10.000 e rivende tutto a €18.000 realizza €8.000 di plusvalenza: applicando la franchigia di €2.000, rimangono €6.000 imponibili tassati al 26%, ossia €1.560 di imposta dovuta.
  • Monitoraggio fiscale nel Quadro RW – La legge del 2023 ha esteso espressamente l’obbligo di dichiarazione nel Quadro RW a tutti i detentori di cripto-attività . A differenza del passato, non rileva più il “luogo” in cui sono detenute le criptovalute: indipendentemente dal luogo di detenzione o dal tipo di strumento (wallet privato, exchange italiano o estero), le cripto vanno indicate in RW . In pratica, dal periodo d’imposta 2023 ogni contribuente residente deve monitorare il valore delle proprie criptovalute a fine anno, anche se custodite in un hardware wallet personale o su una piattaforma italiana. Questa precisazione ha eliminato le ambiguità precedenti: ora qualunque wallet crypto deve essere dichiarato, non solo quelli “esteri” . Le istruzioni attuali prevedono di indicare per ciascuna criptovaluta il valore al 31 dicembre (o il valore massimo nel corso dell’anno, secondo le istruzioni 2023-24) e il relativo codice identificativo (per le cripto rimane il codice 14) .
  • Imposta di bollo / IVAFE sulle cripto detenute – La Legge 197/2022 è intervenuta anche sul piano patrimoniale. Inizialmente è stata modificata la norma sull’IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere, art. 19 D.L. 201/2011) per estendere anche alle “valute virtuali” detenute all’estero l’applicazione dell’aliquota 0,2% annuo sul loro valore . Ciò significava, per il 2023, che oltre al monitoraggio RW il contribuente doveva pagare una sorta di “bollo” sulle cripto detenute su exchange esteri o su wallet privati: la stessa aliquota 2 per mille già prevista per conti correnti e investimenti esteri . Attenzione: questa imposta patrimoniale inizialmente riguardava le criptovalute “detenute all’estero” o su device personali, mentre per le cripto su piattaforme italiane si prospettava l’applicazione dell’imposta di bollo nazionale (anch’essa 0,2%). In sostanza, nel 2023 esisteva un doppio canale: se le cripto erano affidate a un intermediario italiano, questi avrebbe dovuto applicare l’imposta di bollo proporzionale; se invece erano all’estero o “self-custody”, il contribuente doveva autoliquidare l’IVAFE cripto del 2‰ in dichiarazione . Tale assetto è stato poi uniformato nel 2023 stesso, come vedremo a breve con l’introduzione dell’IVACA.
  • Regime di “sanatoria” per il passato – Consapevole del vuoto normativo pregresso, il legislatore del 2023 ha previsto una chance di regolarizzazione per chi non aveva dichiarato le proprie cripto-attività negli anni precedenti. In particolare, la L. 197/2022 (art. 1 commi 138-143) ha introdotto un’istanza di emersione per le cripto detenute al 31/12/2021 (o 2022), permettendo al contribuente di mettersi in regola pagando un forfait agevolato. Era possibile optare per l’affrancamento del valore delle criptovalute al 1° gennaio 2023 versando un’imposta sostitutiva del 14% sul valore delle cripto possedute , così da “rideterminare” il costo fiscale (simile alle rivalutazioni di partecipazioni e terreni fatte in passato). In alternativa (o in aggiunta), per sanare le violazioni pregresse il contribuente doveva versare una somma pari al 3,5% del valore delle cripto detenute al termine di ogni anno (o al momento della cessione) a titolo di imposta sostitutiva sulle plusvalenze omesse, oltre a un’ulteriore somma pari allo 0,5% per ciascun anno sul valore delle attività non dichiarate, a titolo di sanzione ridotta per il monitoraggio omesso . Tale procedura doveva essere perfezionata entro il 30 novembre 2023, con possibilità di rateazione. In sintesi, chi aveva criptovalute non dichiarate poteva evitare le pesanti sanzioni ordinarie versando circa 0,5% annuo sul valore (anziché il 3-15% per anno normalmente dovuto) e un 3,5% annuo forfettario a sanatoria dei redditi non dichiarati – importi significativamente inferiori alle aliquote ordinarie . Questa “voluntary disclosure” in salsa cripto richiedeva però che i fondi originariamente investiti fossero di provenienza lecita (il contribuente doveva attestare che non provenissero da reati).

Da sapere: La finestra di emersione delle cripto si è chiusa nel 2023. Chi non ne ha approfittato e viene oggi scoperto dal Fisco dovrà subire le sanzioni ordinarie, salvo tentare un ravvedimento operoso se ancora possibile. Nel paragrafo sulle strategie difensive vedremo come la scelta di non aderire alla sanatoria (o la mancata conoscenza della stessa) possa essere gestita nell’ottica difensiva.

Novità 2024-2025: innalzamento aliquote, IVACA e rivalutazione

Il Legislatore non si è fermato: con la Legge n. 213/2023 (Bilancio 2024) e poi con la Legge n. 207/2024 (Bilancio 2025) sono state introdotte ulteriori modifiche. Vediamo le principali, tenendo presente che dal 2025 il regime a regime sarà completamente operativo.

  • Abolizione della soglia di esenzione sulle plusvalenze – La Legge di Bilancio 2025 ha eliminato, a partire dal periodo d’imposta 2025, la franchigia annua di €2.000 sulle plusvalenze da cripto: tutte le plusvalenze, anche di modesto importo, ora concorrono integralmente a formare il reddito tassabile . Ciò significa che dal 1° gennaio 2025 anche un guadagno di pochi euro in criptovalute diviene imponibile e va dichiarato. Fino al 2024, invece, restava applicabile la soglia di esenzione già descritta.
  • Aumento dell’aliquota sulle plusvalenze – Per il 2025 resta in vigore l’aliquota del 26% (ancora come regime transitorio), ma dal 2026 la tassazione salirà al 33% . Il legislatore ha dunque deciso di equiparare la tassazione dei redditi crypto a quella dei redditi finanziari da capitale (dividendi, capital gain azionari, ecc., tradizionalmente tassati al 26% in Italia) solo per il biennio di avvio, per poi aumentarla di 7 punti percentuali. Questa scelta ha suscitato discussioni – in sede politica c’era chi ipotizzava aliquote ancor più elevate (si era perfino parlato del 42%), poi accantonate . In definitiva, dal 2026 le plusvalenze da cessione di cripto-attività saranno tassate un terzo del loro ammontare.
  • Imposta patrimoniale unificata (IVACA) – Nel 2023 si era creata una distinzione tra imposta di bollo (per intermediari italiani) e IVAFE (per cripto estere). Con il D.L. 73/2023 il regime è stato semplificato istituendo l’IVACA – Imposta sul Valore delle Cripto-Attività – che sostituisce l’IVAFE per le criptovalute . L’IVACA si applica a tutte le criptovalute, indipendentemente dal fatto che siano custodite in Italia o all’estero . In pratica è un’imposta patrimoniale annuale dello 0,2% sul valore di mercato delle cripto detenute al 31 dicembre . Se le cripto sono su piattaforme italiane, l’imposta viene prelevata automaticamente dall’intermediario (in modo analogo all’imposta di bollo sui conti titoli) e versata per conto del cliente . Se invece le cripto sono detenute su exchange esteri o in wallet non custodial, sarà il contribuente a dover calcolare e versare l’IVACA in dichiarazione, compilando il Quadro RW e indicando l’importo dovuto . L’aliquota è uguale (0,20%) e la base imponibile è il valore di mercato al 31/12 (se il token non ha un mercato liquido, si utilizza un valore nominale ragionevole e documentabile) . Questa unificazione semplifica gli adempimenti: di fatto dal 2023 in poi chi detiene criptovalute deve pagare lo 0,2% annuo sul loro valore, a prescindere da dove sono custodite – esattamente come accade per il bollo sui conti correnti (0,2% annuo) o l’IVAFE sulle attività estere. Importante: l’IVACA presenta le stesse esenzioni minori dell’imposta di bollo, ad esempio non è dovuta se l’importo annuo calcolato non supera €12 (sotto tale soglia si ha esonero dal pagamento) .
  • Aumento IVAFE per cripto in paradisi fiscali – Sempre in ottica 2024, segnaliamo che la L. 213/2023 ha raddoppiato dal 2‰ al 4‰ l’aliquota IVAFE per le attività finanziarie detenute in Paesi a fiscalità privilegiata (black list) . Ciò riguarda anche le criptovalute detenute presso intermediari esteri black list: dal 2024 in questi casi l’IVACA applicabile raddoppia al 0,4% . Per le cripto in Paesi “white list” o in Italia, invece, resta lo 0,2%. È un aspetto da considerare per chi utilizza exchange in giurisdizioni esotiche non cooperative.
  • Nuova rivalutazione (2025) – Un’ulteriore opportunità introdotta dalla L. 207/2024 è la rivalutazione del valore delle cripto possedute al 1° gennaio 2025. In pratica, analogamente a quanto fatto per il 2023, è data la possibilità di assumere come costo fiscalmente riconosciuto il valore a tale data, pagando un’imposta sostitutiva del 18% su tale valore . L’imposta va versata entro il 30 novembre 2025, in una massimo di tre rate (interessi 3% annuo sulle rate successive) . Questa misura consente di “consolidare” eventuali plusvalenze latenti al 2025 pagando il 18% ora, ed evitare di tassarle al 26% (o 33% dal 2026) quando si realizzeranno in futuro. Attenzione: la rivalutazione non genera alcuna minusvalenza deducibile – se il valore di acquisto originario era maggiore di quello al 1/1/2025, non ha senso aderire (anzi, conviene mantenere il maggior costo storico). Si tratta quindi di una scelta utile soprattutto a chi al 1° gennaio 2025 ha crypto cresciute di valore e intende mantenerle: pagando il 18% oggi, azzera la tassazione su quel gain pregresso e in futuro pagherà solo sulle plusvalenze ulteriori.

Di seguito un riepilogo della tassazione delle plusvalenze crypto nell’evoluzione recente:

Periodo d’impostaSoglia di esenzione plusvalenzeAliquota imposta sostitutiva sui gain cryptoNormativa di riferimento
Fino al 2022Nessuna disciplina ad hoc (regole analogiche valute estere: esenzione se giacenza < €51.645)N/A (tassazione per analogia: 26% oltre soglia, come da circolare AdE 2016)Prassi AdE (Circ. 38/E/2013, Risoluz. 72/E/2016)
2023 – 2024€2.000 annui (plusvalenze sotto tale soglia non imponibili)26% imposta sostitutiva sulle plusvalenze eccedentiL. 197/2022 (Bilancio 2023, art. 1 commi 126-128)
2025 (regime transitorio)0soglia abolita26% imposta sostitutiva (su tutte le plusvalenze)L. 207/2024 (Bilancio 2025, art. 1 commi 23-25)
Dal 2026 (regime a regime)033% imposta sostitutiva su ogni plusvalenzaL. 207/2024 (art. 1 comma 24)

(N.B.: Restano applicabili le regole generali sui redditi diversi: le minusvalenze da cripto possono essere portate in compensazione con future plusvalenze della stessa natura entro i 4 anni successivi.)

Sanzioni in caso di omessa dichiarazione di criptovalute

Passiamo ora alle sanzioni che il Fisco può irrogare quando contesta una mancata dichiarazione di wallet crypto. È fondamentale distinguere tra le violazioni amministrative tributarie – che comportano sanzioni pecuniarie e il recupero delle imposte evase – e le possibili fattispecie penali tributarie, che scattano solo al superamento di determinate soglie di gravità (imposta evasa di importo rilevante). Esaminiamo entrambe le categorie.

Violazioni tributarie e relative sanzioni (ambito amministrativo)

La tabella seguente riepiloga le principali violazioni connesse alle criptovalute e le relative sanzioni amministrative previste, secondo la normativa attuale, evidenziando anche se la condotta può integrare un reato tributario:

ViolazioneSanzione amministrativaProfili penali / Note
Omessa indicazione di cripto-attività nel Quadro RW (monitoraggio fiscale)Sanzione pecuniaria dal 3% al 15% del valore non dichiarato per ciascun anno (raddoppiata al 6%–30% se le attività sono detenute in Paesi black list) . Minimo €258 se la dichiarazione è presentata con ritardo entro 90 giorni.Violazione formale (art. 5, co. 2, D.L. 167/1990), priva di rilevanza penale autonoma . Nota: se l’omissione riguarda più anni, si applica il cumulo giuridico ex art. 12 D.Lgs. 472/1997 (continuazione): il contribuente può chiedere che la sanzione sia unica e aumentata fino al doppio, anziché tante sanzioni separate .
Omesso versamento dell’imposta sul valore delle cripto (IVAFE/IVACA)Sanzione pari al 30% dell’imposta non versata (ridotta al 25% per i versamenti omessi a partire dal 2024) , oltre agli interessi moratori.Violazione sostanziale (mancato pagamento di imposta dovuta). Non costituisce reato di per sé, salvo che l’importo dell’imposta non versata derivi da un’omessa dichiarazione di redditi imponibili sopra soglia penale (vedi infra). Di norma tale violazione si accompagna all’omessa dichiarazione in RW e/o all’omessa dichiarazione dei redditi.
Omessa dichiarazione di plusvalenze/rendite crypto (infedele dichiarazione dei redditi)Recupero dell’imposta evasa (26% sulle plusvalenze non dichiarate) + sanzione dal 90% al 180% dell’imposta evasa, ai sensi dell’art. 1, co.2 D.Lgs. 471/1997 (sanzione per dichiarazione infedele) . Se non è stata presentata alcuna dichiarazione affatto, si applica la sanzione per omessa dichiarazione, da €250 a €1.000 , oltre al 120-240% dell’imposta evasa.Può configurare il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) se ricorrono le condizioni di legge: imposta evasa > €100.000 e plusvalenze non dichiarate > 10% del reddito dichiarato oppure > €2.000.000 . In tal caso è prevista la reclusione 2–4 anni e 6 mesi . Se il contribuente non presenta affatto la dichiarazione pur avendo realizzato redditi da crypto, si può configurare il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se l’imposta evasa > €50.000 (pena 2–5 anni di reclusione).

Legenda: per omessa dichiarazione RW si intende la mancata compilazione del quadro RW (monitoraggio) pur avendo detenuto cripto-attività; per omessa dichiarazione di plusvalenze si intende non aver indicato nella dichiarazione dei redditi i redditi tassabili derivanti da operazioni in criptovalute.

Come si nota, la mancata compilazione del Quadro RW comporta solo sanzioni amministrative (anche piuttosto severe, fino al 15% annuo del patrimonio non dichiarato), ma non è di per sé un reato tributario . È infatti classificata come violazione formale di monitoraggio. Ben diverso è il caso della mancata dichiarazione di redditi da criptovalute (es. plusvalenze da trading, interessi da staking, etc.): qui siamo di fronte a una violazione “sostanziale” perché incide sul calcolo dell’imposta dovuta, e può facilmente sfociare nel reato di infedele dichiarazione qualora l’imposta evasa superi la soglia di punibilità di 100.000 € . L’autorità finanziaria, in sede di accertamento, cumula le due contestazioni: da un lato applicherà la sanzione del 3-15% sul valore delle cripto non monitorate (violazione RW) , dall’altro recupererà le imposte sui redditi evasi con la relativa sanzione (90% e oltre) . Entrambe le sanzioni possono sommarsi , perché si tratta di violazioni distinte – una formale, l’altra sostanziale. Ad esempio, un contribuente che nel 2022 non ha dichiarato un wallet su exchange estero contenente 50.000 € in crypto e non ha dichiarato 10.000 € di plusvalenze realizzate, potrà vedersi irrogare: (a) €1.500 (cioè il 3% di 50k) per l’omesso RW 2022, più (b) €2.600 di imposta evasa sui 10k di reddito non dichiarato, più circa €2.340 di sanzione (90% di 2.600). Totale oltre €6.400, oltre interessi. Si comprende quindi come le sanzioni possano assumere dimensioni importanti.

Nota sul cumulo giuridico: se un contribuente ha omesso la dichiarazione RW per più anni di seguito (violazioni della “stessa indole”), può invocare l’art. 12 D.Lgs. 472/97 per ottenere l’applicazione della sanzione unica (aumentata) anziché della somma aritmetica delle sanzioni per ciascun anno . La Corte di Cassazione ha confermato che in caso di omessa compilazione pluriennale del Quadro RW opera la continuazione: si applica il cumulo giuridico e non quello materiale . Questo aspetto può ridurre significativamente l’esborso sanzionatorio, ed è quindi rilevante farlo valere in sede difensiva.

Profili penali e soglie di punibilità

Come anticipato, la semplice detenzione di criptovalute non dichiarate non costituisce di per sé reato, a meno che non abbia comportato anche un’evasione d’imposta oltre soglia. In base al D.Lgs. 74/2000 (che disciplina i reati tributari), i delitti di infedele od omessa dichiarazione si configurano solo al superamento di specifici limiti quantitativi:

  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) – Si realizza quando il contribuente indica in dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo (o elementi passivi inesistenti) con dolo di evasione, se l’imposta evasa supera €100.000 e contemporaneamente l’ammontare degli elementi attivi sottratti a tassazione supera il 10% di quanto dichiarato oppure €2 milioni . Nel contesto crypto, ciò significa che omettere di dichiarare plusvalenze o altri proventi da criptovalute diventa penale solo se l’imposta evasa sul crypto-profitto > 100k € e il profitto non dichiarato > 2 milioni € (oppure >10% del reddito dichiarato). Esempio: Tizio ha realizzato nel 2024 plusvalenze in crypto per €800.000, su cui avrebbe dovuto pagare €208.000 di imposta sostitutiva (26%). Non dichiarando nulla, ha evaso oltre 100k € di imposta e il reddito sottratto (800k) supera i 2 milioni? (No, è sotto soglia) – quindi non integra reato, pur subendo ovviamente l’accertamento e le sanzioni amministrative. Se invece il profit fosse stato 3 milioni € (imposta evasa 780k €), tutti i presupposti sarebbero soddisfatti: dichiarazione infedele punibile penalmente. Pena prevista: reclusione da 2 anni a 4 anni e 6 mesi .
  • Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) – Si realizza quando il contribuente non presenta proprio la dichiarazione annuale pur essendovi obbligato, con l’intento di evadere. La soglia di punibilità è più bassa: il reato scatta se l’imposta evasa (complessiva) supera €50.000 . Nel nostro contesto, può riguardare il caso in cui un contribuente, avendo solo redditi da crypto, decida di non presentare il Modello Redditi; se il Fisco dimostra che doveva versare più di 50k € di imposte sulle sue operazioni crypto, scatterà l’accusa penale. Pena prevista: reclusione da 2 a 5 anni . (Va sottolineato che presentare la dichiarazione dei redditi ma “dimenticare” i redditi da crypto configura invece l’ipotesi precedente – infedele dichiarazione – non l’omissione totale.)
  • Altri reati tributari potenzialmente rilevanti: sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) potrebbe teoricamente essere contestata se il contribuente pone in essere atti fraudolenti per rendere inefficace la riscossione coattiva, ad esempio trasferendo scientemente il proprio patrimonio in criptovalute non tracciabili per evitare il pignoramento. Tuttavia, la giurisprudenza tende a escludere che la sola “conversione in crypto” costituisca di per sé atto fraudolento in assenza di artifici concreti . È necessario un quid pluris (simulazione di vendite, interposizione di prestanome, etc.) perché sia configurabile questo reato. Anche l’autoriciclaggio (art. 648-ter1 c.p.) potrebbe essere evocato qualora proventi da evasione fiscale vengano “ripuliti” attraverso operazioni in criptovalute, ma si tratta di ipotesi estreme e complesse da provare, subordinate comunque al fatto che vi sia un’evasione penalmente rilevante a monte.

In sintesi, detenere Bitcoin o altre criptovalute all’estero senza dichiararli non è di per sé un illecito penale . La Cassazione (Sez. VI pen., sent. 19849/2021) ha chiarito che la mera omissione del quadro RW, se non si accompagna a redditi evasi, non integra reato di infedele od omessa dichiarazione . Diventa penale soltanto l’omissione che comporta significative imposte evase, nei termini delle soglie sopra dette. La Cassazione più recente ha peraltro confermato l’orientamento opposto: quando i proventi crypto non dichiarati sono rilevanti, la loro omissione può integrare reato di dichiarazione infedele. Ad esempio, la sent. Cass. pen. n. 8269/2025 ha esaminato il caso di un artista che aveva ricavato ingenti somme tramite la vendita di NFT e criptovalute, confermando la rilevanza penale dell’omessa indicazione di tali ricavi in dichiarazione . Insomma, al crescere delle cifre in gioco si passa dal piano amministrativo a quello penale.

Sequestro di criptovalute e confisca: un cenno va fatto al tema del sequestro in sede penale. In caso di indagini per reati fiscali, può capitare che la Procura disponga il sequestro dei wallet o delle criptovalute del contribuente indagato, ritenendoli profitto dell’evasione. Su questo la giurisprudenza ha chiarito un punto cruciale: il profitto del reato tributario è il denaro corrispondente all’imposta evasa, non la criptovaluta in sé. Dunque, il sequestro di Bitcoin configurerebbe in realtà un sequestro per equivalente (mirato a bloccare un valore corrispondente al debito col fisco), e non un sequestro diretto del profitto . La Cassazione (Sez. III pen., sent. 1760/2025) ha annullato un sequestro probatorio di 1,88 BTC disposto dalla Procura proprio affermando questo principio: i Bitcoin non possono essere qualificati come “imposta evasa” in sé, quindi il loro sequestro non può essere automatico come corpo del reato, ma va trattato secondo le regole del sequestro per equivalente . In pratica, i giudici hanno detto che se il Fisco ha perso 120.000 € di tasse, quello è il profitto illecito; sequestrare 120k in Bitcoin è un sequestro per equivalente e come tale va valutato (nel caso specifico è stato annullato per vizi di motivazione) . Per il contribuente ciò significa che, in caso di procedimento penale, ci sono margini per contestare sequestri troppo estesi di criptovalute quando eccedano il valore dell’imposta evasa.

Come difendersi: strumenti e strategie del contribuente

Di fronte a una contestazione del Fisco per mancata dichiarazione di criptovalute, il contribuente (sia esso un privato cittadino, un imprenditore o un professionista) non è privo di tutele. Esistono vari strumenti, sia preventivi che difensivi, per gestire al meglio la situazione ed eventualmente ridurre sanzioni e rischi. In questa sezione vediamo come ci si può muovere:

  • Ravvedimento operoso (prima della contestazione) – Se il contribuente si rende conto di non aver dichiarato correttamente le proprie cripto, la prima cosa da valutare è il ravvedimento operoso. Questo istituto consente di sanare spontaneamente le omissioni dichiarative pagando le imposte dovute più sanzioni ridotte in misura crescente col ritardo (art. 13 D.Lgs. 472/97) . La condizione essenziale è che il ravvedimento avvenga prima che la violazione sia già stata constatata o che siano iniziate verifiche (in pratica, prima di ricevere notizie dall’Agenzia). Per fare un esempio, se non abbiamo incluso le cripto nel Redditi 2024, possiamo ancora presentare una dichiarazione integrativa e pagare quanto dovuto con sanzioni molto ridotte: entro 90 giorni la sanzione RW scende addirittura a 1/10 del minimo, quindi circa 0,3% (invece del 3%) ; entro un anno è 1/8 (0,375%), e così via. Anche le sanzioni sulle imposte evase si riducono (ad esempio al 15% invece che 90%). Il ravvedimento, insomma, permette di mettersi in regola pagando il dovuto con uno “sconto” sulle punizioni . È la strada consigliata se si è in ritardo ma non ancora nel mirino del Fisco. Oltre 2 anni di ritardo, però, gli sconti si attenuano fino a sparire , quindi conviene agire rapidamente.
  • Compliance su invito dell’Agenzia – Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha fatto largo uso delle lettere di compliance: comunicazioni ai contribuenti in cui segnala possibili anomalie (es. segnalazione di conti esteri non dichiarati) e invita a regolarizzare con ravvedimento. In caso di omessa compilazione del quadro RW per cripto, sono state inviate diverse lettere di compliance (spesso a seguito di scambi di informazioni finanziarie internazionali). Se si riceve una comunicazione bonaria, è possibile correggere la dichiarazione entro il termine indicato beneficiando ancora del ravvedimento (sanzioni ridotte a 1/6 del minimo) . Rispondere per tempo a queste lettere evita l’iscrizione a ruolo delle sanzioni piene e soprattutto evita che la violazione sfoci in segnalazioni penali se i numeri sono importanti.
  • Difesa in sede di accertamento tributario – Se invece l’Agenzia ha già emesso un avviso di accertamento contestando l’omessa dichiarazione, il contribuente può valutare un ricorso in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria). In sede contenziosa si possono far valere vari argomenti difensivi:
  • L’incertezza normativa degli anni passati, che può giustificare l’annullamento o la riduzione delle sanzioni amministrative (in base allo Statuto del Contribuente) se la materia era obiettivamente poco chiara. Ad esempio, per annualità ante 2023 si può sostenere che nessuna norma primaria imponeva il quadro RW per le cripto e che il contribuente poteva essere indotto in errore dalle lacune legislative.
  • Errori dell’accertamento: verificare sempre se l’Ufficio ha calcolato correttamente il valore delle criptovalute e le imposte. Talvolta potrebbero aver considerato realizzi inesistenti (es. scambi cripto-cripto tassati per errore, mentre la circolare 30/E/2023 li esclude espressamente da tassazione se omogenei) . Oppure potrebbero aver valorizzato male le partecipazioni in DeFi (es. conteggiando come saldo a fine anno anche importi bloccati in smart contract).
  • Cumulo giuridico: come detto, se le sanzioni RW sono state cumulate per più anni senza applicare la continuazione, è possibile chiedere al giudice tributario il ricalcolo ai sensi dell’art.12 D.Lgs.472/97, riducendo sensibilmente l’importo totale .
  • Cause di non punibilità amministrativa: oltre all’incertezza normativa, si può invocare l’art. 6 comma 5-bis D.Lgs. 472/97 (forza maggiore) in casi eccezionali – ad esempio, se il contribuente ha perso l’accesso ai wallet e ciò gli ha impedito di dichiarare importi corretti. A tal proposito la circolare AdE 30/E/2023 ha chiarito che se le chiavi private sono state smarrite o le criptovalute rubate e ciò è comprovato (denuncia all’Autorità), non sussiste obbligo di dichiararle in RW . Dunque, in una contestazione è possibile difendersi dimostrando che quei fondi erano inaccessibili e che si rientra nel caso di esonero.
  • Proporzionalità delle sanzioni: soprattutto se le somme non dichiarate erano modeste o se il contribuente ha agito senza dolo, è possibile chiedere in via equitativa la riduzione delle sanzioni al minimo edittale. Si può sottolineare l’assenza di precedenti e la collaborazione mostrata, elementi che in qualche caso inducono l’Ufficio stesso (in adesione) o il giudice a contenere la sanzione.
  • Definizione agevolata o accertamento con adesione – Un’altra via da considerare, quando l’accertamento è fondato nel merito, è cercare di risolvere senza causa. L’istituto dell’accertamento con adesione consente di trovare un accordo con l’Agenzia prima del ricorso, ottenendo in cambio la riduzione delle sanzioni ad 1/3. In alternativa, se normative di “pace fiscale” lo consentono (nel 2023-25 ci sono stati provvedimenti di definizione agevolata su liti pendenti e avvisi bonari, ma non specificamente tarati sulle cripto), si può aderire per chiudere la partita con sanzioni ridotte. La scelta va ponderata: in adesione si rinuncia a difese giuridiche, ma si ha certezza di chiudere la questione e non incorrere in risvolti penali (nel verbale di adesione spesso l’Agenzia si accontenta della sanzione amministrativa e non procede oltre).
  • Tutela penale: il pagamento del debito per evitare il reato – Se la contestazione ha rilievo penale (cioè se l’imposta evasa supera le soglie), la priorità diventa evitare il processo e, soprattutto, evitare condanne. Il D.Lgs. 74/2000, all’art. 13, prevede una causa di non punibilità molto importante: il pagamento del debito tributario (imposte, sanzioni, interessi) prima del dibattimento estingue i reati di infedele e omessa dichiarazione . In altre parole, se il contribuente paga integralmente tutto il dovuto al Fisco prima che si apra il giudizio penale, non si procede penalmente. Questa è una potente arma difensiva: ad esempio, se arriva una notifica di indagine penale per infedele dichiarazione su crypto, reperire le risorse per saldare il debito fiscale (magari tramite adesione o ravvedimento) consente di evitare la prosecuzione dell’azione penale. Ovviamente non sempre è facile pagare somme ingenti in breve tempo, ma va tenuto presente che anche in fase penale si possono talvolta ottenere termini o rateizzazioni per perfezionare il pagamento ed accedere alla non punibilità.
  • Strategie processuali penali – Nel caso si arrivi comunque davanti al giudice penale, le linee difensive possibili includono: contestare la sussistenza del dolo evasivo (sostenere che l’imputato era convinto in buona fede di non dover dichiarare, data la normativa incerta – argomento che però ha successo limitato, poiché la legge penale tributaria richiede il dolo specifico di evasione, non la mera colpa); far valere eventuali errori di calcolo dell’imposta evasa (se si riesce a dimostrare che l’imposta evasa è sotto soglia, il reato non sussiste); invocare la causa di speciale tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) se l’evasione è di poco superiore alla soglia e le circostanze sono lievi; oppure optare per riti alternativi (come il patteggiamento) per ridurre le pene ed evitare pubblicità negativa. In ogni caso, con un buon supporto legale è spesso possibile ottenere sanzioni contenute o soluzioni alternative al carcere (ad es. la sospensione condizionale della pena, se incensurati).

In conclusione, difendersi è possibile. Come afferma lo Studio legale Monardo, specializzato in queste materie, non tutte le contestazioni fiscali in ambito crypto sono fondate: si tratta di un terreno nuovo dove anche il Fisco può commettere errori interpretativi . L’importante è attivarsi tempestivamente, analizzare nel dettaglio le contestazioni e sfruttare tutti gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione, dalla sede amministrativa (ravvedimento, adesione) fino alle aule di giustizia tributaria o penale, se necessario. Nel prossimo paragrafo illustreremo alcuni casi pratici tipici per capire in concreto come applicare queste difese.

Casi pratici (simulazioni) di contestazioni e difese

Di seguito presentiamo due scenari ipotetici – basati su situazioni ricorrenti – per mostrare come possono originarsi le contestazioni e quali difese adottare dal punto di vista del contribuente.

Caso 1: Imprenditore con wallet estero non dichiarato

Scenario: Un piccolo imprenditore italiano (ditta individuale) ha iniziato a investire in criptovalute nel 2018, aprendo un account su un exchange estero (ad es. Binance). Nel periodo 2018–2021 ha accumulato in quel wallet l’equivalente di circa €100.000 in criptovalute, senza mai prelevare in banca. Non avendo ben chiari gli obblighi fiscali, non ha mai indicato queste attività nel quadro RW né dichiarato eventuali piccole plusvalenze realizzate (ha fatto qualche trading crypto-crypto, convertendo talvolta in stablecoin e ricomprando, ma non ha mai convertito in euro). Nel 2023, a seguito dello scambio di informazioni finanziarie internazionali o di altre indagini (es. movimentazioni bancarie collegate), l’Agenzia delle Entrate lo individua e gli notifica un avviso di accertamento per gli anni 2019–2021, contestando: (a) l’omessa compilazione del quadro RW per il wallet estero, con sanzione del 3–15% annuo sul valore (stimato sui 100k); (b) l’omessa dichiarazione di presunte plusvalenze tassabili per complessivi €20.000 (derivate dal trading di crypto), con recupero dell’imposta evasa e sanzione al 90%. L’importo totale delle sanzioni e imposte richieste è molto elevato (oltre €50.000). Inoltre, l’importo delle imposte evase (circa €5.200) supera la soglia penale di €50.000? – No, l’imposta evasa è €5.200, sotto i 50k, quindi non scatta il penale in questo caso.

Possibili difese: In questa situazione l’imprenditore può innanzitutto valutare un accertamento con adesione: se le plusvalenze contestate sono reali, potrebbe chiudere pagando il dovuto con sanzioni ridotte a 1/3. Tuttavia, potrebbe anche avere margini per contestare nel merito: ad esempio, potrebbe sostenere che le operazioni crypto-crypto non generavano reddito imponibile (se erano permute di cripto della stessa natura, come BTC con ETH, la circolare 30/E lo conferma non tassabile) – riducendo così la base dell’accertamento. Sul fronte quadro RW, essendo anni precedenti al 2023, si può argomentare che fino al 2022 mancava base legislativa primaria per imporre la dichiarazione delle criptovalute: il D.L. 167/1990 parlava di investimenti all’estero, ma non menzionava le valute virtuali . Si potrebbe citare la giurisprudenza di merito (Commissioni Tributarie) che in alcuni casi ha dato ragione ai contribuenti su questo punto, ritenendo illegittime sanzioni RW in assenza di norma (purtroppo non c’è ancora un orientamento univoco). Anche l’incertezza normativa generale fino al 2022 può essere enfatizzata per chiedere quantomeno la non applicazione delle sanzioni (art. 6 co.2 Statuto Contribuente). In parallelo, visto che il cliente è un imprenditore, potrebbe giovarsi di un conteggio cumulo: tre anni di RW omesso costituiscono violazione continuata, dunque la sanzione non dovrebbe essere triplicata ma unificata con aumento. Questo abbatterebbe molto la pretesa sul monitoraggio .

Esito ipotetico: tramite il contraddittorio, l’Agenzia riconosce alcune ragioni: ricalcola le sanzioni RW in cumulo giuridico (applicando ad es. il 6% una tantum sui 100k invece del 3%*3 anni), e accetta che una parte delle operazioni crypto-crypto non fossero imponibili, riducendo le plusvalenze accertate magari a €10.000. L’imposta evasa scende a €2.600, e si concorda una sanzione del 60% (in adesione) pari a €1.560. Sommando la sanzione RW (diciamo €6.000, il 6% di 100k) e il resto, l’imprenditore potrebbe chiudere la vicenda con circa €10.000 tra imposte e sanzioni. Avrà imparato a sue spese l’importanza di dichiarare: dal 2023 in poi dovrà indicare quel wallet (o spostarlo su un exchange italiano) e versare annualmente l’IVACA, oltre a dichiarare i futuri cash-out.

Nota: In questo esempio non è stato sfiorato il penale, ma se i numeri fossero stati maggiori (imposte evase >100k), l’imprenditore avrebbe dovuto attivarsi per pagare il dovuto ed evitare la denuncia penale. Essendo un imprenditore, va anche considerato che se quelle criptovalute in realtà celavano ricavi aziendali non fatturati (evasione IVA, ecc.), il discorso si complica: entrerebbero in gioco altri reati (dichiarazione fraudolenta, sottrazione fraudolenta) e il profilo difensivo dovrebbe allargarsi alla dimostrazione dell’origine lecita e dichiarata dei fondi investiti in crypto.

Caso 2: Privato con wallet DeFi non dichiarato

Scenario: Un privato appassionato di finanza decentralizzata ha spostato una parte dei suoi risparmi in criptovalute e utilizza esclusivamente wallet non custodial (ad es. MetaMask) interagendo con piattaforme DeFi. Non ha mai usato exchange centralizzati; acquista crypto tramite DEX e le conserva nel suo hardware wallet. Nel 2022 ha ottenuto interessi da staking per circa €5.000 (pagati in crypto) e ha realizzato alcune plusvalenze da trading per €8.000, ma non ha convertito nulla in euro sul conto bancario. Pensava che, non avendo conti esteri né bonifici collegati, il Fisco non potesse saperne nulla e – erroneamente – che finché non converte in fiat non ci fossero tasse. Dunque non ha dichiarato né il possesso delle crypto né i 13k di proventi. Nel 2025, però, l’Agenzia delle Entrate lo convoca: a quanto pare, attraverso fonti aperte o indagini mirate, la Guardia di Finanza ha collegato la sua identità a determinati indirizzi blockchain (magari perché in passato ha fatto un piccolo cash-out identificato, oppure tramite l’OAM o l’analisi dei dati di exchange vicini). Viene contestata l’omessa dichiarazione RW 2022 sul valore del wallet (pari a €50.000) e l’omessa dichiarazione di €13.000 di redditi crypto 2022, con imposta evasa €3.380. Siamo sotto la soglia penale dei 100k, quindi niente reato infedele, ma le sanzioni amministrative vengono applicate.

Possibili difese: Questo caso è interessante perché riguarda crypto detenute in proprio, senza intermediari. Fino al 2022, molti ritenevano (in buona fede) che un hardware wallet in casa non configurasse attività estera, quindi non soggetto a RW. Il contribuente potrà far valere questa interpretazione, sottolineando la peculiare “aterritorialità” delle criptovalute: se la chiave privata è in suo possesso, l’attività non è localizzabile estero . È un argomento sofisticato che alcuni ricorsi hanno sollevato, anche citando documenti BCE e normativa antiriciclaggio (che definisce valute virtuali in modo separato) . Non è detto che il giudice lo accolga, specie ora che la legge 197/2022 ha chiarito l’obbligo RW ovunque, però potrebbe servire a dipingere l’assenza di dolo e l’affidamento del contribuente su un quadro normativo incerto. Per i proventi da staking, si può discutere sulla loro qualificazione: sono redditi imponibili sì, ma di che natura? L’Agenzia li considera “redditi diversi” soggetti a 26%, assimilati a interessi . Forse il contribuente ignorava ciò; la sua cooperazione nel quantificarli ora può giocare a suo favore per ottenere sanzioni ridotte. Inoltre, essendo un privato non imprenditore, potrebbe chiedere la definizione agevolata se esistessero provvedimenti di tregua fiscale applicabili (es. sanatoria delle dichiarazioni 2022). Se l’accertamento è corretto, il ravvedimento ormai non è più possibile, ma potrebbe ancora presentare una dichiarazione tardiva entro 90 giorni dalla scadenza originaria se i tempi lo consentono – altrimenti è accertamento classico.

Esito ipotetico: Il contribuente dimostra di aver perso l’accesso ad un wallet secondario nel 2023 per hacking e che quindi parte dei fondi non erano disponibili – l’Agenzia, seguendo la circolare 30/E, esclude almeno quei fondi dal monitoraggio (nessun RW dovuto su quelli) . Per il resto, si procede con un accertamento con adesione in cui il contribuente paga l’IVAFE/IVACA dovuta per il 2022, l’imposta sui 13k di redditi e una sanzione ridotta del 1/3. In totale sborsa magari €5.000. Fa tesoro della vicenda e dal 2023 in poi compila il Quadro RW indicando i propri wallet DeFi (usando il codice 14) e dichiara i reward da staking annualmente.

Nota: Questo esempio mostra come anche chi opera interamente in DeFi non sia invisibile. I canali attraverso cui il Fisco può scoprire tali attività includono: strumenti di tracciamento blockchain sempre più sofisticati, incroci con dati bancari (se mai si converte qualcosa in euro, lascia traccia), obblighi di registrazione OAM per operatori crypto italiani, e dal 2024 l’implementazione della Travel Rule UE che impone agli exchange e provider di trasmettere i dati del mittente/destinatario per trasferimenti sopra €1.000 . Inoltre, la prossima direttiva DAC8 in ambito UE richiederà agli operatori di servizi crypto (anche non UE) di comunicare alle autorità fiscali le giacenze e movimentazioni dei clienti UE. Insomma, la privacy “assoluta” delle DeFi è in parte un’illusione: prima o poi le informazioni affiorano, e non conviene rischiare. Dal punto di vista difensivo però, la mancanza di intermediazione tradizionale e la novità del fenomeno possono essere usate per sostenere che l’errore del contribuente è comprensibile e non doloso, mirando così a un trattamento sanzionatorio più mite.

Domande frequenti (FAQ)

Domanda: Devo dichiarare le criptovalute anche se non le ho mai convertite in euro?
Risposta: Sì. Il possesso di criptovalute va sempre indicato nel Quadro RW (o nel quadro W del modello 730) a fine anno, a prescindere dal fatto che siano state o meno convertite in euro . Anche solo detenere €1 in crypto fa scattare l’obbligo dichiarativo . Inoltre, se hai realizzato proventi in criptovalute (ad esempio utilizzandole per comprare beni/servizi, o scambiandole con altre valute), devi dichiararli come redditi, anche se non li hai trasformati in denaro fiat. Il principio fiscale è che conta l’arricchimento, non la conversione in euro: se la tua disponibilità economica aumenta grazie alle crypto, quell’aumento è potenzialmente tassabile .

Domanda: Quali sanzioni rischio se non dichiaro al Fisco i miei redditi da criptovalute?
Risposta: Se ometti di dichiarare redditi (plusvalenze, interessi da staking, ecc.) derivanti da criptovalute, l’Agenzia delle Entrate può recuperare l’imposta evasa (26% dell’importo non dichiarato) più una sanzione amministrativa per dichiarazione infedele che va normalmente dal 90% al 180% dell’imposta evasa . Ad esempio, su €10.000 di plusvalenze non dichiarate (imposta dovuta €2.600) la sanzione potrebbe oscillare tra €2.340 e €4.680, oltre naturalmente al pagamento dei €2.600 dovuti e agli interessi. Inoltre, se non hai compilato il Quadro RW per i tuoi wallet, si aggiunge la sanzione formale dal 3% al 15% del valore non dichiarato . Queste sanzioni si sommano e possono risultare molto salate . Va detto che è possibile ridurle facendo ravvedimento operoso (sanzioni ridotte se ti autodenunci prima dei controlli) o aderendo agli inviti a regolarizzare inviati dal Fisco. Infine, se le somme non dichiarate superano certe soglie, rischi anche sanzioni penali (vedi prossima domanda).

Domanda: Quando l’omissione di criptovalute in dichiarazione diventa reato penale?
Risposta: Diventa penalmente rilevante solo nei casi più gravi, cioè quando c’è stata una evasione d’imposta significativa. In particolare: omettere di dichiarare plusvalenze o redditi da crypto configura il reato di dichiarazione infedele se l’imposta evasa supera €100.000 e i redditi non dichiarati superano €2 milioni (oppure il 10% di quanto dichiarato) . Omettere del tutto la dichiarazione dei redditi (in cui avresti dovuto indicare guadagni da crypto) è reato di omessa dichiarazione se l’imposta evasa supera €50.000 . Sotto tali soglie resti nell’illecito amministrativo (multa). Esempio: se non dichiari €30.000 di plusvalenze (imposta evasa €7.800), non è reato perché l’imposta evasa è sotto 100k; pagherai le sanzioni fiscali ma non avrai conseguenze penali. Viceversa, se occulti enormi profitti crypto per milioni di euro, superando quelle soglie, allora scatta la denuncia penale. Ricorda comunque che la mancata compilazione del solo quadro RW (monitoraggio di asset all’estero) di per sé non è reato – diventa reato solo se collegata a imposte evase sopra soglia .

Domanda: Posso evitare il processo penale se mi metto in regola dopo?
Risposta: , la legge prevede una sorta di “scudo” penale se regolarizzi completamente la tua posizione fiscale prima che il procedimento penale entri nel vivo. In base all’art. 13 D.Lgs. 74/2000, per i reati di infedele o omessa dichiarazione non si procede (cioè il reato è estinto) se il contribuente paga integralmente le imposte evase, le sanzioni amministrative e gli interessi prima della dichiarazione di apertura del dibattimento . In pratica, se dopo aver ricevuto una contestazione penale saldi tutto il dovuto al Fisco, il processo penale si ferma. È una opportunità importantissima: significa che anche se hai commesso un reato fiscale, puoi “rimediare” pagando il debito fiscale e così evitare condanne penali. Attenzione però: il pagamento deve essere integrale e tempestivo. Se paghi solo in parte, il penale rimane (anche se magari il giudice valuterà positivamente lo sforzo). Dunque, in caso di contestazione grave, la mossa più efficace è trovare le risorse per sanare il dovuto al più presto, magari chiedendo una rateazione concordata che comunque sospenda l’azione penale in attesa del pagamento completo.

Domanda: Se ho perso l’accesso ai wallet (chiavi private smarrite), devo comunque dichiararli?
Risposta: No, purché tu sia in grado di provare lo smarrimento o il furto delle chiavi. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non vanno indicate in RW le cripto-attività per le quali il contribuente ha perso le chiavi private, rendendole di fatto irreversibilmente inaccessibili . Chiaramente, serve una pezza giustificativa: ad esempio una denuncia di smarrimento/furto alle autorità, o altra documentazione che attesti l’inaccessibilità dei fondi (eventualmente anche una dichiarazione sostitutiva di atto notorio). Se riuscirai a dimostrare ciò, quelle criptovalute saranno considerate inesistenti ai fini del monitoraggio fiscale – d’altronde non costituiscono più un tuo patrimonio fruibile. Questo vale anche come difesa: se il Fisco ti contestasse l’omessa dichiarazione di un wallet cui non hai più accesso, potrai eccepire che l’obbligo dichiarativo non sussisteva (o chiedere quantomeno l’esonero da sanzioni, dato che non vi era volontà di occultare).

Domanda: I proventi da staking vanno dichiarati? E come sono tassati?
Risposta: , i “premi” o interessi ottenuti dallo staking di criptovalute sono redditi imponibili. In base alle interpretazioni attuali (Agenzia delle Entrate), tali proventi rientrano negli “altri proventi” da cripto-attività equiparati ai redditi diversi di natura finanziaria . In pratica, vengono tassati col regime delle plusvalenze: imposta sostitutiva del 26% sull’ammontare percepito in ciascun anno. Dovrai dichiararli nel Quadro RT (o nel nuovo Quadro T del 730) alla riga degli “altri redditi” da cripto, separatamente dalle plusvalenze da cessione. Nota: se i proventi da staking ti vengono accreditati in token, dovrai valutarli in euro al momento della percezione. Da quel punto in poi, eventuali variazioni di valore di quei token concorreranno poi alle plusvalenze/minusvalenze come qualsiasi valuta detenuta. È un meccanismo complesso, ma semplificando: dichiari il controvalore in € dei token ricevuti come ricavo da staking (26% su quello); poi, quando li rivendi, la differenza rispetto al valore già tassato andrà a plusvalenza ulteriore. Infine, ricorda che se fai staking tramite un intermediario estero (es. piattaforme DeFi), dovrai anche monitorare il wallet in RW, mentre se usi un intermediario italiano che funge da sostituto d’imposta, potrebbe tassare alla fonte (ma al momento casi del genere sono rari, la maggior parte delle piattaforme italiane non offre staking con ritenuta).

Domanda: Come può il Fisco scoprire le mie criptovalute non dichiarate?
Risposta: I canali di scoperta si stanno moltiplicando. Primo, lo scambio automatico di informazioni finanziarie internazionali (Common Reporting Standard dell’OCSE, accordi bilaterali, etc.) fornisce ogni anno all’Agenzia Entrate dati su conti esteri di residenti italiani . Se hai collegato un conto bancario a exchange esteri o fintech che riportano i dati, l’Agenzia potrebbe venirne a conoscenza. Secondo, l’Anagrafe dei rapporti finanziari nazionale raccoglie informazioni su conti correnti, carte e ora anche sulle attività in cripto presso operatori italiani registrati: dal 2022 gli exchange italiani e gli altri prestatori di servizi di valuta virtuale devono iscriversi al registro OAM e comunicare periodicamente i dati aggregate dei clienti. Inoltre, con la Travel Rule europea recepita nel 2024, ogni trasferimento di criptovaluta sopra €1.000 da/verso un provider comporterà la trasmissione dei dati identificativi del mittente e destinatario alle autorità . Terzo, esistono società specializzate in blockchain analytics: la Guardia di Finanza se ne avvale per collegare indirizzi crypto a persone fisiche, soprattutto seguendo la traccia quando le cripto vengono convertite in denaro o spostate su piattaforme notissime (KYC). Infine, metodi tradizionali: se spendi le tue cripto (es. compri un’auto con Bitcoin tramite un merchant), quell’operazione può emergere in verifiche incrociate. In sintesi, l’era del “se non converto in euro nessuno lo saprà” sta finendo: le autorità fiscali, in Italia e all’estero, stanno ottenendo sempre più dati sulle cripto-transazioni dei contribuenti. La Direttiva DAC8 UE di prossima implementazione obbligherà gli exchange a comunicare alle Entrate europee le consistenze crypto dei clienti UE, analogamente ai conti bancari. Il consiglio è di non contare sul anonimato, ma di dichiarare spontaneamente le proprie attività crypto onde evitare guai successivi.

Domanda: Posso compensare perdite e profitti tra diverse criptovalute?
Risposta: , entro certi limiti. Le regole di compensazione delle plus/minusvalenze da cripto sono le stesse previste per i redditi diversi finanziari (es. guadagni di Borsa). Questo significa che minusvalenze derivanti da vendite di cripto (o altri eventi imponibili in perdita) possono essere portate a compensazione delle plusvalenze della stessa natura realizzate nello stesso anno e, se eccedenti, nei quattro anni successivi . Ad esempio, se nel 2024 realizzi €5.000 di guadagni e €2.000 di perdite, pagherai il 26% solo su €3.000 netti; se invece hai più perdite che guadagni, la parte di perdita non utilizzata potrà abbattere futuri gain fino al 2028. La compensazione avviene all’interno del quadro RT/T, senza particolari complessità (basta indicare le minus pregresse nelle relative colonne). Tieni presente però che le minusvalenze da criptovalute sono compensabili solo con plusvalenze della stessa categoria (redditi diversi finanziari). Non puoi cioè usarle per compensare altri redditi (es. reddito da lavoro). Inoltre, alcuni redditi come gli interessi da staking o air-drop non generano minusvalenze in caso di perdite, trattandosi di proventi e non di cessioni. In ogni caso, una buona tenuta del prospetto delle operazioni ti aiuterà a sfruttare al meglio le compensazioni consentite, riducendo il carico fiscale complessivo.

Domanda: Le sanzioni per Quadro RW e per imposte evase possono cumularsi?
Risposta: , purtroppo sono violazioni distinte e cumulative. La mancata indicazione di attività estere (Quadro RW) comporta la sanzione dal 3% al 15% del valore non dichiarato, mentre l’eventuale evasione d’imposta sui redditi generati da quelle attività comporta la sanzione dal 90% in su sull’imposta evasa . Non essendo la stessa violazione, l’Agenzia applica entrambe. Ad esempio, se non dichiari un wallet con 10.000 € e anche 1.000 € di guadagni da quello, rischi sia €300-1.500 di multa RW sia €234-468 di sanzione sul migliaio di euro evaso (oltre a pagarne €260 di imposta). L’unico temperamento è il cumulo giuridico per violazioni della stessa indole: come spiegato, se hai omesso RW per 3 anni di fila, puoi chiedere di applicare una sanzione unica (es. 6%) anziché tre separate (3%+3%+3%) . Ma resta distinto il filone “RW” dal filone “tasse evase”. In sintesi, l’omissione del quadro RW non ti salva dalla sanzione sulle imposte evase, e viceversa. Bisogna sanare entrambe le posizioni per essere completamente in regola.

Domanda: Se utilizzo un exchange italiano, devo comunque indicare le cripto in dichiarazione?
Risposta: In generale , devi comunque segnalarle. La normativa prevede l’obbligo di monitoraggio indipendentemente dal luogo di detenzione . Dunque anche se usi un exchange con sede in Italia (iscritto all’OAM), devi compilare il Quadro RW o il quadro W del 730 indicando il controvalore delle cripto a fine anno. La differenza è che sulle cripto presso intermediario italiano non dovrai versare l’IVACA tu stesso, perché l’intermediario applicherà l’imposta di bollo automaticamente (0,2% sulle tue consistenze) . In tal caso, in dichiarazione barrerai la casella “solo monitoraggio” per quelle attività, segnalando che il bollo è già stato assolto . Ma l’attività va comunque monitorata. Quindi, ad esempio, se hai €5.000 in Bitcoin su Young Platform (Italia), a febbraio l’exchange ti addebiterà €10 di bollo dal conto euro e a fine anno dovrai indicare in RW quei €5.000 (mettendo l’importo a zero in colonna IVAFE, perché già pagata). Questa doppia segnalazione potrà sembrare ridondante, ma serve al Fisco per avere contezza completa di tutte le tue attività finanziarie. Tieni anche presente che gli exchange italiani, pur applicando il bollo, non fungono da sostituti d’imposta sulle plusvalenze (salvo tu abbia attivato il regime amministrato se/quando sarà disponibile): quindi i redditi da crypto vanno comunque dichiarati da te nel quadro RT/T, anche se le crypto sono su piattaforma domestica.

Domanda: Conviene trasferire le mie crypto su un exchange italiano per essere in regola?
Risposta: Non è strettamente necessario, ma può essere utile sotto certi aspetti. Dal punto di vista fiscale, come detto, anche se le tieni su un exchange italiano devi dichiararle in RW e pagare le tasse sui redditi: quindi non è una “soluzione magica” per evitare adempimenti. Tuttavia, utilizzare un intermediario italiano regolamentato offre alcuni vantaggi: 1) il pagamento automatico dell’imposta di bollo (IVACA) ti semplifica la vita sul fronte patrimoniale; 2) gli exchange italiani spesso forniscono reportistica fiscale facilitata per il calcolo delle plusvalenze; 3) in futuro potrebbe essere introdotto un regime del risparmio amministrato anche per cripto, che ti permetterebbe di delegare all’exchange il calcolo e pagamento delle imposte sulle plusvalenze, con tassazione alla fonte (in quel caso dichiareresti poco o nulla). Inoltre, avere le crypto su un soggetto vigilato riduce il rischio di contestazioni su stime di valore o su provenienza dei fondi, perché c’è maggiore tracciabilità. Di contro, spostare crypto su exchange comporta rischi di controparte (fallimenti tipo FTX) e minore privacy. Quindi la scelta va ponderata: ai fini di “essere in regola” la cosa fondamentale è dichiarare e pagare il dovuto, a prescindere dal luogo di detenzione. Tenere tutto su hardware wallet è legittimo, ma richiede maggiore disciplina nell’adempiere autonomamente a RW e IVACA.

Fonti

  • CIRC. N. 35/2024 Aumento Aliquote Ivie e Ivafe Nuovo obbligo Ivafe per Cripto-attività | Studi professionali associati
  • La fiscalità delle cripto attività alla luce della L. 197/22

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la mancata dichiarazione di wallet crypto detenuti su exchange o piattaforme estere? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la mancata dichiarazione di wallet crypto detenuti su exchange o piattaforme estere?
Vuoi sapere quali sono i rischi e come difenderti in modo mirato?

👉 Prima regola: distingui se il wallet era custodial (gestito da un intermediario) o non custodial (autonomo), e verifica se vi erano obblighi dichiarativi concreti.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Omissione del quadro RW (monitoraggio fiscale) per wallet detenuti all’estero o su piattaforme straniere;
  • Mancata dichiarazione di plusvalenze realizzate con la vendita o conversione di criptovalute;
  • Omissione di staking, airdrop o rendite passive generate dal wallet;
  • Incongruenze tra i movimenti sulle blockchain e quanto dichiarato al fisco;
  • Rilevazioni da segnalazioni bancarie o indagini sulle piattaforme di scambio.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Sanzioni per omessa compilazione del quadro RW (dal 3% al 15% del valore non dichiarato, raddoppiate per Paesi a fiscalità privilegiata);
  • Recupero delle imposte su plusvalenze e redditi non dichiarati;
  • Interessi di mora sulle somme dovute;
  • Rischio di accertamento penale in caso di importi elevati e condotte considerate elusive;
  • Responsabilità patrimoniale personale e possibile segnalazione antiriciclaggio.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Il wallet era effettivamente detenuto su piattaforma estera o in autocustodia?
  • Le criptovalute erano ferme o hai effettuato operazioni di scambio/vendita?
  • Hai generato plusvalenze imponibili oppure no?
  • Sono stati già assolti obblighi fiscali tramite intermediari residenti?
  • L’accertamento si basa su dati concreti (tracciamenti blockchain, report di exchange) o su presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Estratti conto e report scaricati dalle piattaforme di scambio;
  • Prove di transazioni on-chain (hash, explorer blockchain);
  • Documentazione bancaria di eventuali bonifici collegati;
  • Dichiarazioni fiscali degli anni contestati;
  • Eventuali consulenze fiscali preventive acquisite.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la natura non imponibile delle somme se non ci sono state plusvalenze;
  • Contestare la riqualificazione del wallet come “attività estera” se non vi era custodia da terzi;
  • Evidenziare la buona fede e la complessità normativa del settore crypto;
  • Richiedere la riduzione delle sanzioni tramite ravvedimento operoso o definizione agevolata;
  • Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini;
  • Difesa penale mirata in caso di contestazioni per omessa dichiarazione di attività finanziarie estere.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i movimenti del wallet e la documentazione disponibile;
📌 Valuta la fondatezza della contestazione e i margini di difesa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e, se necessario, nei procedimenti penali;
🔁 Fornisce strategie preventive per una corretta gestione e dichiarazione delle criptovalute.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità delle criptovalute e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su wallet crypto e investimenti digitali;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulla mancata dichiarazione dei wallet crypto non sempre sono fondate: spesso derivano da incertezze normative, errori formali o interpretazioni eccessivamente restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta gestione dei wallet, ridurre le sanzioni ed evitare pesanti conseguenze fiscali e penali.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti fiscali sulle criptovalute inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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