Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per accrediti ricevuti su PayPal non dichiarati? In questi casi, l’Ufficio presume che le somme incassate tramite la piattaforma costituiscano reddito imponibile non dichiarato, soprattutto se riconducibili ad attività continuative o commerciali. Le conseguenze possono essere molto gravi: recupero delle imposte, applicazione di sanzioni elevate e possibili controlli estesi sui tuoi conti correnti e sugli altri strumenti di pagamento. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con una difesa ben strutturata è possibile dimostrare la natura non reddituale delle somme o ridurre l’impatto delle sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta accrediti PayPal non dichiarati
– Se gli incassi provengono da attività di vendita online o prestazioni di servizi non dichiarati
– Se i flussi in entrata risultano continuativi e riconducibili ad attività d’impresa o professionale
– Se vi sono incongruenze tra i movimenti PayPal e i dati riportati in dichiarazione
– Se l’Ufficio presume che gli accrediti mascherino compensi o corrispettivi non dichiarati
– Se l’utilizzo del conto PayPal non appare compatibile con mere operazioni personali o familiari
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione delle somme accreditate su PayPal
– Applicazione di sanzioni fino al 100% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora calcolati dalla data dell’omessa dichiarazione
– Possibile estensione delle verifiche su altri conti e strumenti di pagamento
– Nei casi più gravi, denuncia per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione dei redditi
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la natura non reddituale delle somme (donazioni, rimborsi spese, trasferimenti familiari)
– Produrre estratti conto PayPal, ricevute e documentazione a supporto delle movimentazioni contestate
– Contestare la qualificazione come reddito imponibile se non vi è un’attività economica sottostante
– Evidenziare eventuali errori di calcolo, carenze istruttorie o vizi di motivazione nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre l’entità delle sanzioni
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i movimenti PayPal e la documentazione collegata
– Verificare la legittimità della contestazione alla luce della normativa fiscale
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi formali dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e familiare da richieste fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi accessori
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– La corretta qualificazione delle somme contestate come non imponibili
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: i conti PayPal sono sempre più monitorati dal Fisco, grazie anche agli scambi di informazioni internazionali. È fondamentale predisporre una difesa tecnica tempestiva per evitare conseguenze economiche e penali ingiustificate.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per accrediti PayPal non dichiarati e quali strategie adottare per tutelare i tuoi interessi.
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Introduzione
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui flussi finanziari online, compresi quelli su piattaforme come PayPal. Sempre più contribuenti italiani si trovano a ricevere lettere di compliance in cui il Fisco segnala accrediti su conti PayPal esteri che non risultano dichiarati . Queste comunicazioni, pur non essendo avvisi di accertamento formali, rappresentano un serio campanello d’allarme: indicano che l’Amministrazione finanziaria ha rilevato possibili omissioni nella dichiarazione dei redditi (in particolare mancata indicazione di un conto PayPal estero e dei relativi importi) e invita il contribuente a regolarizzare spontaneamente la propria posizione .
Dal punto di vista del contribuente (debitore), ricevere una simile lettera può generare preoccupazione: Devo davvero dichiarare il mio conto PayPal? Perché è considerato un conto estero? Rischio sanzioni o addirittura conseguenze penali? Come posso difendermi o giustificare quei movimenti? In questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – risponderemo a queste domande con taglio tecnico-giuridico ma divulgativo, rivolgendoci sia a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a privati e imprenditori coinvolti in tali verifiche. Adotteremo un linguaggio chiaro ma accurato, arricchito da riferimenti normativi, pronunce giurisprudenziali recenti (2021–2025) e pratici esempi relativi all’ordinamento italiano. L’obiettivo è mettere il lettore in condizione di capire come difendersi efficacemente di fronte a una contestazione di accrediti PayPal non dichiarati, evitando errori e sanzioni indebite.
Cosa troverete in questa guida:
- Spiegazione delle lettere di compliance su conti PayPal: cosa sono, perché vengono inviate e come funzionano nell’ottica di una collaborazione “preventiva” tra Fisco e contribuente . Illustreremo perché PayPal, pur non essendo una banca tradizionale, viene equiparato a un conto estero e come l’Agenzia ottiene i relativi dati tramite accordi internazionali (es. Common Reporting Standard) .
- Quadro normativo italiano sugli obblighi fiscali legati ai conti PayPal: in particolare gli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW) per attività finanziarie detenute all’estero (incluso il conto PayPal in Lussemburgo) e gli obblighi di dichiarazione dei redditi percepiti tramite PayPal (es. proventi da vendite online). Chiariremo quando un conto PayPal va dichiarato (soglie, condizioni) e quali imposte può comportare (ad esempio l’IVAFE, imposta patrimoniale sui conti esteri) .
- Violazioni e sanzioni in caso di omessa dichiarazione di un conto PayPal estero: esamineremo le conseguenze previste dalla legge per due profili distinti, (i) la violazione da monitoraggio (omessa compilazione del Quadro RW) e (ii) l’eventuale omessa dichiarazione di redditi collegati a quel conto. Vedremo che l’omissione RW è considerata violazione sostanziale, punita con sanzioni proporzionali dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato (raddoppiate al 6–30% se il conto è in paesi non collaborativi) . Approfondiremo inoltre le sanzioni sui redditi esteri non dichiarati, di regola dal 90% al 180% dell’imposta evasa (incrementate di un terzo se i redditi sono esteri, dunque fino al 240%) . Indicheremo le più recenti sentenze in materia, ad esempio la Cassazione penale n.19849/2021 che ha escluso risvolti penali per la sola omissione del Quadro RW , o le pronunce di Cassazione n.11849/2023 e n.28077/2024 che in tema di sanzioni hanno chiarito i criteri di calcolo in caso di omissioni ripetute su più anni (cumulo giuridico) . Non mancherà un cenno alla presunzione antievasione per investimenti in paradisi fiscali (art. 12 D.L. 78/2009) e al perché non si applica a PayPal/Lussemburgo secondo la Cass. n.6409/2025 .
- Come reagire alla lettera di compliance: forniremo indicazioni pratiche passo-passo su come comportarsi non appena si riceve la comunicazione. Dalla verifica dei dati (estratti conto PayPal, soglie, eventuali redditi) alla predisposizione di una risposta corretta, fino alla regolarizzazione spontanea tramite dichiarazione integrativa e ravvedimento operoso con sanzioni ridotte . Spiegheremo quando è opportuno aderire all’invito pagando il dovuto e quando invece si può contestare la richiesta perché infondata (es. se il conto rientrava nelle cause di esonero).
- Difesa in caso di accertamento formale: se la fase bonaria non si chiude positivamente, l’Agenzia può emettere un avviso di accertamento con relative sanzioni. Analizzeremo le strategie difensive nella fase contenziosa, dal tentativo di definizione tramite accertamento con adesione (negoziando col Fisco un accordo e ottenendo sanzioni ridotte a 1/3) , fino al ricorso davanti alle nuove Corti di Giustizia Tributaria (già Commissioni Tributarie). Approfondiremo istituti come l’autotutela amministrativa (richiesta di annullamento in via di autotutela in caso di errori evidenti) e la conciliazione giudiziale in corso di causa (con abbattimento delle sanzioni al 50% in primo grado, 60% in appello) . Evidenzieremo le possibili argomentazioni difensive da far valere davanti al giudice tributario, suffragandole con i riferimenti di legge e le pronunce più autorevoli: ad esempio la dimostrazione che il conto era sotto le soglie di esonero e quindi l’obbligo dichiarativo non sussisteva , oppure la richiesta di applicare il cumulo giuridico anziché sommare le sanzioni di più anni , o ancora l’invocare l’incertezza normativa (soprattutto per annualità passate in cui il trattamento fiscale di PayPal era poco chiaro, cfr. Cass. n.32255/2018) per ottenere l’annullamento o la riduzione della sanzione.
- Tabelle riepilogative e schemi: troverete riassunti visivi dei punti chiave, ad esempio:
- le soglie e condizioni che fanno scattare l’obbligo di dichiarare un conto estero (specificando le peculiarità di PayPal e l’applicazione dell’IVAFE);
- le diverse tipologie di sanzioni amministrative applicabili (omessa dichiarazione RW, omessa dichiarazione di redditi, omesso versamento IVAFE), con le relative percentuali ed eventuali riduzioni in caso di ravvedimento operoso o definizione agevolata;
- le differenze procedurali e gli effetti tra una regolarizzazione spontanea, un accordo in adesione e un ricorso in tribunale.
- Simulazioni pratiche ispirate a casi reali (tutti in ambito italiano) per illustrare possibili scenari e relative soluzioni. Ad esempio:
- Un conto PayPal di modesta entità sotto soglia, per il quale il contribuente era formalmente esonerato dal monitoraggio RW, ma che viene comunque segnalato: vedremo come una corretta risposta con prove può chiudere il caso senza sanzioni.
- Un conto PayPal cospicuo ma alimentato da fondi già tassati (es. risparmi o stipendi netti trasferiti su PayPal): valuteremo le sanzioni solo patrimoniali per RW omesso (senza redditi evasi) e come evitare accuse infondate di evasione.
- Un conto PayPal usato per vendite online non dichiarate al Fisco: calcoleremo la stangata fiscale in caso di accertamento e la confronteremo con il costo nettamente inferiore di un ravvedimento immediato, evidenziando i rischi anche penali in situazioni di evasione rilevante.
- Un conto PayPal intestato a terzi (ad esempio a un familiare all’estero, ma di fatto utilizzato dal contribuente italiano): vedremo come il Fisco può comunque pretenderne la dichiarazione da parte dell’utilizzatore e come difendersi dimostrando la reale titolarità e ripartizione delle somme.
- Domande e risposte (FAQ) sulle principali preoccupazioni dei destinatari di queste comunicazioni: “Entro quando devo rispondere alla lettera?”, “Cosa rischio se la ignoro?”, “Se sul conto c’erano pochi soldi devo comunque dichiararlo?”, “Il conto PayPal va sempre inserito nel quadro RW?”, “Posso andare incontro a un reato penale per questo?” e così via. Forniremo risposte ragionate ad ogni quesito, con rimandi alle norme di legge e ai documenti ufficiali (circolari, risoluzioni, FAQ dell’Agenzia) che chiariscono questi dubbi.
In conclusione, alla fine della guida troverete un elenco delle fonti normative e giurisprudenziali citate, per consentire ulteriori approfondimenti o la verifica puntuale dei riferimenti. La materia è complessa, ma conoscere i propri diritti e doveri è il primo passo per difendersi in modo efficace. Vediamo dunque in dettaglio come procedere.
Cosa sono le lettere di compliance e perché riguardano i conti PayPal esteri
Le lettere di compliance fiscale sono comunicazioni informali con cui l’Agenzia delle Entrate segnala al contribuente un’anomalia riscontrata nelle sue dichiarazioni, prima di emettere un avviso di accertamento vero e proprio . In pratica, il Fisco avvisa che dai dati in suo possesso risultano possibili omissioni – nel nostro caso, un conto PayPal all’estero non dichiarato – e invita il contribuente a verificare e, se necessario, correggere la situazione spontaneamente . L’ottica è quella della compliance cooperativa: dare al cittadino la possibilità di rimediare con sanzioni ridotte ed evitare un futuro contenzioso, se provvede a regolarizzarsi in tempi brevi .
Perché il Fisco si interessa ai conti PayPal? PayPal (Europe) opera come istituto finanziario con sede in Lussemburgo, autorizzato come banca dalle autorità lussemburghesi . Ciò significa che i conti PayPal dei residenti italiani rientrano tra le attività finanziarie detenute all’estero ai fini del monitoraggio fiscale . Negli ultimi anni, l’Amministrazione ha ottenuto accesso anche a questi dati grazie agli accordi internazionali di scambio automatico di informazioni finanziarie. In particolare, tramite lo standard OCSE CRS (Common Reporting Standard) recepito in UE con la direttiva DAC2, banche e intermediari esteri comunicano annualmente alle autorità fiscali dei paesi di residenza i saldi e i movimenti dei conti intestati a soggetti non residenti . Di conseguenza, il Lussemburgo trasmette all’Italia i dati dei conti PayPal intestati a soggetti fiscalmente residenti in Italia . Un conto PayPal di un italiano non è affatto invisibile al Fisco, specialmente se ha saldi significativi. Anche importi relativamente modesti (sotto 15.000 €) possono emergere dai flussi CRS, e l’Agenzia tende a concentrare i controlli sui casi con anomalie rilevanti, senza però trascurare la somma di più conti piccoli o movimenti sospetti .
Va evidenziato che la lettera di compliance non è un atto impositivo: non comporta una sanzione immediata né obbliga a pagare qualcosa nell’immediato . Non esiste un termine perentorio per rispondere (non è un “ricorso” né una convocazione formale) . Tuttavia ignorare l’avvertimento è rischioso: se il contribuente non si attiva, l’Ufficio potrà successivamente procedere con un accertamento vero e proprio, stavolta con sanzioni piene e termini perentori di pagamento o impugnazione . Pertanto, è altamente consigliabile reagire tempestivamente: esaminare i dati segnalati, verificare se l’omissione contestata sussiste davvero e, in caso affermativo, procedere a regolarizzare con ravvedimento operoso per evitare il peggio. Se invece si ritiene che la lettera sia infondata (ad esempio perché il conto era sotto le soglie di obbligo o non era del contribuente), è opportuno comunicare all’Agenzia le proprie controdeduzioni, fornendo documenti che provino la situazione.
Le modalità di risposta sono generalmente indicate nella stessa comunicazione: spesso la lettera arriva via PEC (posta elettronica certificata) oppure raccomandata, e l’Agenzia fornisce un fac-simile di risposta o un canale dedicato (indirizzo email, servizio telematico CIVIS, area riservata) per inviare chiarimenti . Il contribuente può quindi scegliere se:
- Rispondere per iscritto spiegando perché ritiene di essere in regola o fornendo informazioni integrative (ad esempio dichiarando che il conto era sotto soglia di monitoraggio e allegando gli estratti PayPal che lo dimostrano);
- Correggere direttamente la dichiarazione presentando un’apposita dichiarazione integrativa e pagando il dovuto (opzione consigliata se effettivamente c’è stata un’omissione);
- Chiedere un appuntamento o contattare telefonicamente l’ufficio per chiarimenti (non obbligatorio, ma possibile qualora si preferisca un contraddittorio informale).
In ogni caso, non è necessario recarsi di persona presso gli uffici a meno che non lo si desideri: tutta la procedura può svolgersi da casa, via PEC, email o telefono . La lettera stessa spesso cita che “qualora i dati in nostro possesso non fossero corretti o il conto rientrasse in cause di esonero, si prega di fornire idonei elementi di riscontro” , segno che l’Agenzia è disponibile a ricevere spiegazioni. Questa fase bonaria dunque è un’opportunità da sfruttare: presentare subito le proprie argomentazioni o regolarizzare spontaneamente può evitare l’avvio di un procedimento più gravoso.
Dal punto di vista pratico, le lettere di compliance relative a conti esteri sono divenute molto frequenti. Basti pensare che, secondo la Convenzione MEF-Agenzia Entrate 2024–2026, nel solo 2025 l’Agenzia prevede di inviare almeno 3 milioni di lettere di compliance ai contribuenti italiani (non tutte su redditi esteri, ma una parte rilevante sì) . Tra queste, molte riguardano proprio conti correnti esteri o digital wallet non dichiarati. PayPal rientra in specifiche campagne di controllo sui nuovi strumenti fintech: esattamente come sono monitorati conti bancari tradizionali in Svizzera o San Marino, oggi l’occhio del Fisco si estende ai portafogli online e alle piattaforme di pagamento e commercio elettronico. Non sono escluse in futuro lettere analoghe per account su servizi tipo Amazon Payments, Stripe, Revolut, nonché per conti trading o wallet di criptovalute, come annunciato da varie circolari (es. controlli su exchange come Binance, Coinbase, ecc.) . Ciò conferma che il monitoraggio fiscale è sempre più capillare, abbracciando anche le moderne forme di gestione del denaro.
Caso tipico: Tizio, residente in Italia, ha un conto PayPal collegato alla sua attività online (ad es. vendite di oggetti artigianali). Non avendo chiaro il trattamento fiscale, Tizio non ha indicato il conto PayPal nel Quadro RW e non ha dichiarato i relativi incassi come redditi. Tramite lo scambio di informazioni CRS, l’Agenzia viene a conoscenza che nel 2022 quel conto PayPal (in Lussemburgo) ha movimentato, poniamo, 20.000 € di accrediti. Nel 2024 Tizio riceve una lettera di compliance con oggetto “Invito a regolarizzare attività finanziarie estere non dichiarate – conto PayPal” . Nella lettera si indicano il numero del conto, il paese (LU), il saldo al 31/12/2022 e il saldo massimo 2022, invitando Tizio a verificare quanto dichiarato e a presentare dichiarazione integrativa se necessario, avvalendosi del ravvedimento operoso per ridurre le sanzioni . Tizio, allarmato, si rivolge a un consulente. A questo punto, come dovrà muoversi? Nei paragrafi seguenti delineeremo tutti i passi.
Obblighi fiscali sui conti PayPal esteri: monitoraggio RW e dichiarazione dei redditi
Per poter impostare una difesa corretta, è fondamentale comprendere quali obblighi fiscali potrebbero essere stati violati nel caso di accrediti PayPal non dichiarati. In Italia i contribuenti fiscalmente residenti sono tenuti a due macro-obblighi in materia di attività estere:
- Obbligo di monitoraggio fiscale: dichiarare nelle proprie dichiarazioni annuali tutti gli investimenti e attività finanziarie detenute all’estero, indipendentemente dalla produzione di redditi (principio del worldwide monitoring). Questo obbligo è stato introdotto dall’art. 4 del D.L. 28 giugno 1990 n.167 (convertito in L.227/1990) e successive modifiche, allo scopo di consentire al Fisco di controllare flussi e consistenze di capitali all’estero . In pratica, va compilato il Quadro RW della dichiarazione dei redditi per indicare anno per anno quali beni/conti si possedevano oltreconfine .
- Obbligo di dichiarazione dei redditi esteri: dichiarare e assoggettare a tassazione IRPEF tutti i redditi prodotti all’estero (di qualsiasi natura) salvo diversa esenzione o convenzione. Ciò discende dal principio della tassazione mondiale del residente (art. 3 TUIR, DPR 917/86) e comporta che, ad esempio, interessi bancari su un conto estero, dividendi da investimenti esteri o ricavi di vendite online incassati su PayPal vadano riportati nel quadro reddituale della dichiarazione (es. nei quadri RL, RM, RE a seconda dei casi) al pari dei redditi italiani.
Nel caso di PayPal, entrambe le dimensioni possono essere rilevanti:
- Il conto PayPal in sé costituisce un’attività finanziaria estera (essendo presso PayPal Europe in Lussemburgo) e quindi può far scattare l’obbligo di monitoraggio RW.
- I movimenti in accredito sul conto PayPal potrebbero rappresentare redditi imponibili (es. compensi, ricavi di e-commerce, ecc.) che andavano dichiarati come reddito e tassati.
Di seguito analizziamo separatamente i due profili, per capire quando il conto PayPal va dichiarato nel quadro RW e quando gli accrediti su PayPal costituiscono reddito da dichiarare.
Quando un conto PayPal estero va dichiarato nel quadro RW
La normativa sul monitoraggio fiscale prevede alcune soglie di esenzione e condizioni specifiche per i conti correnti esteri (categoria in cui rientrano i conti PayPal) . In generale, un contribuente residente in Italia deve dichiarare in RW i conti esteri a lui intestati salvo che rientrino in particolari esoneri. Vediamo i criteri principali:
- Soglia dei 15.000 € (saldo massimo annuo): se il valore massimo raggiunto dal conto estero nell’anno non supera 15.000 €, scatta un esonero dal monitoraggio per quell’anno . Questa soglia – fissata attualmente a 15.000 € (era 10.000 € fino al 2013, poi elevata a 15.000 € dal 2014) – si riferisce al valore massimo detenuto nel corso dell’anno, anche se per un solo giorno. Ad esempio, se un conto PayPal nel 2024 ha avuto un picco di 16.000 € anche solo per un giorno, nonostante il resto dell’anno fosse sotto, l’obbligo RW scatta perché è stata superata la soglia . Viceversa, un conto che non ha mai superato 15.000 € di saldo in tutto l’anno può essere esonerato (fermo restando il rispetto anche della condizione seguente sulla giacenza media).
- Soglia della giacenza media 5.000 €: indipendentemente dal picco massimo, se il valore medio di giacenza annuo sul conto non supera 5.000 €, allora non è dovuta l’IVAFE (l’imposta patrimoniale sui conti esteri, v. dopo) e, in base alla normativa, se il saldo max è sotto 15.000 € e la media è sotto 5.000 €, il conto non va proprio dichiarato . Invece, se la giacenza media supera 5.000 € ma il saldo max resta sotto 15.000 €, si crea una situazione particolare: nessun obbligo di monitoraggio ai fini patrimoniali (perché sotto 15k), ma il conto va comunque indicato in RW limitatamente al calcolo dell’IVAFE dovuta (in pratica bisognerà compilarlo per versare l’imposta di bollo estera di 34,20 €, v. oltre). Analogamente, se il saldo max supera 15.000 ma la media è ≤ 5.000, il conto va dichiarato ai fini del monitoraggio ma non c’è IVAFE da pagare .
In sintesi, per i conti correnti esteri (incluso PayPal) le combinazioni più comuni sono:
- Conto di modesta entità (≤15.000 € di saldo max e ≤5.000 € di giacenza media) – Esonero completo: il conto non va dichiarato in RW e non si paga IVAFE . (Esempio: conto PayPal che nel 2024 ha avuto al massimo 10.000 € e mediamente 4.000 €: niente obbligo RW e niente IVAFE.)
- Saldo max ≤15.000 ma media >5.000 € – Obbligo RW solo per IVAFE: il conto va indicato in RW solo per calcolare e versare l’IVAFE . Non è un monitoraggio “patrimoniale” (sotto 15k) ma l’IVAFE va comunque liquidata. (Esempio: PayPal con picco di 12.000 € ma giacenza media 6.000 €: va dichiarato per pagare 34,20 € di IVAFE).
- Saldo max >15.000 ma media ≤5.000 € – Obbligo RW senza IVAFE: il conto va dichiarato in RW ai fini del monitoraggio (soglia patrimoniale superata) ma IVAFE non dovuta (media sotto soglia) . (Esempio: PayPal arrivato a 20.000 € di picco ma con media 3.000 € perché i fondi sono stati prelevati presto: si dichiara in RW ma IVAFE = 0).
- Saldo max >15.000 e media >5.000 € – Obbligo RW completo: il conto va dichiarato e si paga l’IVAFE . (Esempio: PayPal costantemente sopra 20.000 €, media 8.000 €: obbligo RW e IVAFE dovuta).
Di seguito una tabella riepilogativa di queste casistiche:
Situazione conto estero (Saldo max / Giacenza media) | Obbligo Quadro RW? | IVAFE dovuta? |
---|---|---|
Saldo max ≤ €15.000 e media ≤ €5.000 | NO (esonero) | NO (nessuna IVAFE) |
Saldo max ≤ €15.000 ma media > €5.000 | SÌ (solo per IVAFE) | SÌ (€34,20 annui) |
Saldo max > €15.000 e media ≤ €5.000 | SÌ (monitoraggio) | NO (sotto soglia IVAFE) |
Saldo max > €15.000 e media > €5.000 | SÌ (monitoraggio) | SÌ (€34,20 annui) |
Come si evince, l’unico caso di esonero totale è il primo (conti di piccola entità sia come picco sia come giacenza media). Negli altri casi almeno uno dei due obblighi scatta: o il monitoraggio RW, o quantomeno il pagamento dell’IVAFE (con relativa compilazione del quadro RW per liquidarla) .
Nota: la soglia dei 15.000 € vale espressamente solo per conti correnti e depositi bancari. Per altre attività estere (partecipazioni, immobili, investimenti finanziari diversi) non esiste alcuna soglia generale: vanno dichiarate qualunque sia l’importo . Il legislatore ha previsto questa franchigia solo per conti di denaro, presumendo che patrimoni esteri di piccola entità sotto 15k non meritino di essere monitorati. Ma se invece dei contanti si tratta, ad esempio, di investimenti (azioni, obbligazioni, fondi) o beni immobili, l’obbligo RW scatta sempre, anche per importi minimi. Nel nostro contesto, un conto PayPal rientra nei “conti di moneta elettronica” assimilati a depositi di denaro, quindi gode delle soglie suddette. Se però sul conto PayPal si detenessero altri asset (ipotesi rara, ad esempio PayPal che offre servizi di investimento), quelle componenti potrebbero non beneficiare delle soglie. Nella stragrande maggioranza dei casi, comunque, il saldo PayPal è denaro liquido.
PayPal usato come conto transitorio: molti utilizzano PayPal come mera piattaforma di passaggio, trasferendo subito le somme su conti italiani e mantenendo saldi PayPal esigui. In questi casi è probabile che le soglie di esonero siano rispettate (saldo generalmente sotto 15k e media sotto 5k), il che significa nessun obbligo di dichiarazione. Infatti, se per la maggior parte dell’anno il conto ha avuto cifre modeste (es. qualche migliaio di euro) e non ha mai superato i 15k, non andava indicato . Molti contribuenti ignorano queste soglie e non dichiarano affatto i conti esteri, ritrovandosi poi con lettere di compliance anche per importi ridotti. In verità, come visto, sotto certe soglie l’obbligo non c’è – e in tali casi ci si può difendere efficacemente dimostrando di rientrare nei limiti di esonero. Ecco perché, se siete nella condizione di aver ricevuto una segnalazione pur avendo il conto sotto soglia, sarà cruciale recuperare gli estratti conto PayPal e documentare saldo massimo e giacenza media di quei periodi, per poi comunicare all’Agenzia che il conto non superava le soglie di legge (citando magari art. 4 D.L. 167/90 e L. 186/2014) . Come vedremo nei casi pratici, una risposta di questo tipo porta tipicamente all’archiviazione della contestazione senza sanzioni.
IVAFE – cos’è e quando si applica: l’Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie Estere è un tributo patrimoniale annuale dovuto dai residenti che detengono conti correnti o altri prodotti finanziari all’estero. Per i conti correnti e libretti, l’IVAFE è una quota fissa pari a 34,20 € annui (equiparata all’imposta di bollo sui conti italiani) . Essa si paga solo se la giacenza media annua del conto supera 5.000 €; sotto tale soglia l’IVAFE non è dovuta . Nel quadro RW, quando si indica un conto estero, bisogna anche calcolare l’eventuale IVAFE e versarla. Dunque, ricapitolando:
- Se un conto estero non supera €5.000 di giacenza media, nessuna IVAFE è dovuta.
- Se la media supera €5.000, va versata l’imposta di €34,20 (per intero, a prescindere dall’entità della media; non è proporzionale). Nel caso di conti cointestati, ciascun contitolare versa in proporzione (es. cointestazione 50/50 → ciascuno €17,10) .
Importante: il pagamento dell’IVAFE va effettuato in sede di dichiarazione dei redditi (quadro RW) per l’anno di riferimento. Se non lo si è fatto, l’Agenzia nella lettera di compliance segnalerà anche questo aspetto (es. “sul conto estero risulta IVAFE non versata per l’anno X”). In fase di ravvedimento, oltre a presentare il quadro RW si dovrà quindi versare l’IVAFE dovuta più una piccola sanzione per omesso versamento (come vedremo, 90%-180% dell’imposta non versata, ma parliamo di importi modesti dati i 34,20 € annui) .
Per completare il quadro: chi è tenuto al monitoraggio? Tutte le persone fisiche residenti (nonché gli enti non commerciali e le società semplici residenti) che detengono attività estere devono presentare il quadro RW . I soggetti non residenti invece non compilano il RW, anche se hanno beni in Italia (per loro ci sono altre regole, ma non il monitoraggio estero) . Le società di capitali non compilano il RW (vale solo per persone fisiche, enti non comm, società di persone) ; ciò non significa che possano occultare conti all’estero impunemente: semplicemente per le società l’obbligo di trasparenza è diverso (devono indicare il conto nelle scritture contabili e bilancio, altrimenti l’omessa contabilizzazione di un conto estero integra altre violazioni, ad es. occultamento di attività e ricavi, reati tributari ecc.) . In questa guida ci concentriamo sulle persone fisiche, tipicamente destinatari delle lettere di compliance sul monitoraggio.
Come dichiarare un conto PayPal nel quadro RW: qualora sia dovuto, la compilazione del quadro RW per un conto PayPal segue le regole generali per i conti esteri. In particolare: – Stato estero: va indicato il codice dello Stato in cui sono detenute le somme, quindi LU per Lussemburgo (nel caso di PayPal Europe) . – Codice investimenti: per conti correnti e depositi si utilizza il codice 01 (conti e depositi bancari) secondo le istruzioni ministeriali . Un conto PayPal è assimilabile a un conto corrente in moneta elettronica. – Quota di possesso: se il conto è intestato esclusivamente al contribuente, indicherà 100%. Se è cointestato, occorre indicare la propria percentuale di possesso (es. 50%) . Attenzione: la normativa impone di dichiarare anche le attività estere di cui si ha disponibilità o potere di disposizione, pur non essendone formalmente intestatari (il cosiddetto titolare effettivo o interposta persona) . Ciò significa che se, ad esempio, il conto PayPal è intestato a un familiare residente all’estero ma noi abbiamo la password e lo utilizziamo di fatto, avremmo dovuto dichiarare la quota di nostra spettanza come titolari effettivi . Questo caso è complesso, ne riparleremo, ma va tenuto presente. – Valori da indicare: nel RW vanno riportati il valore massimo raggiunto nel corso dell’anno sul conto e il valore al 31/12 (se il conto è ancora aperto a fine anno), espressi in valuta estera e in euro. Nel caso di PayPal in euro, saranno importi in EUR . Se il conto fosse in valuta diversa (es. USD), si converte in euro al cambio di fine anno. – IVAFE: va calcolata l’IVAFE dovuta e indicata (ad es. 34,20 € se dovuta per intero, o zero se sotto soglia) .
Una volta compilato il quadro RW correttamente (Paese LU, codice 01, importi, ecc.), il contribuente ha adempiuto all’obbligo di monitoraggio e contestualmente – se dovuta – ha assolto l’IVAFE. Chi lo fa regolarmente non riceverà contestazioni sull’omessa dichiarazione del conto (a meno di discrepanze nei dati). Viceversa, la mancata compilazione del quadro RW per un conto estero dovuto è proprio ciò che viene contestato nella lettera di compliance in esame .
Quando gli accrediti su PayPal sono redditi imponibili da dichiarare
Oltre all’aspetto patrimoniale, l’Agenzia delle Entrate nella lettera può contestare anche la mancata dichiarazione di redditi percepiti tramite PayPal . Questo avviene se dai movimenti risultano accrediti che paiono riconducibili ad attività reddituali (vendite, prestazioni di servizi, rendite finanziarie, ecc.) che non trovano riscontro nella dichiarazione dei redditi del contribuente. Dobbiamo dunque chiederci: tutti i flussi in entrata su PayPal sono redditi tassabili? Non necessariamente. Bisogna distinguere:
- Accrediti di natura personale/non reddituale: ad esempio rimborsi di spese, regali tra familiari, trasferimenti di fondi propri da un conto all’altro, vendita occasionale di oggetti usati di modico valore, ecc. Questi movimenti non rappresentano “reddito” imponibile. Se il contribuente riesce a dimostrare che gli accrediti contestati rientrano in queste categorie (esibendo documentazione, o spiegando la natura occasionale/non lucrativa), allora potrà sostenere che non vi era obbligo di dichiararli come redditi. Attenzione però: il Fisco tende a presumere che flussi finanziari anomali siano redditi, quindi l’onere della prova contraria ricade sul contribuente. Sarà importante fornire giustificazioni credibili per ciascun movimento rilevante.
- Accrediti derivanti da redditi già tassati o esenti: può capitare che un conto PayPal venga usato solo come mezzo di deposito di redditi che in realtà erano già tassati alla fonte (es. stipendi netti, pensioni) o esenti. In tal caso, se l’importo era già stato soggetto a imposta (o era esente), il fatto che transiti su PayPal non genera nuovo reddito imponibile. Un tipico esempio: Tizio trasferisce periodicamente dal suo conto corrente italiano (dove riceve lo stipendio netto già tassato) una parte sul conto PayPal per fare acquisti online. Quei movimenti in entrata su PayPal non sono altro che soldi già tassati di Tizio. Fiscalmente non vanno dichiarati di nuovo (non sono “reddito estero”, ma reddito italiano già tassato che Tizio sposta). Tuttavia, attenzione: se il Fisco rileva un grosso flusso su PayPal e non ha elementi per sapere che era stipendio netto, potrebbe comunque contestarlo come possibile reddito non dichiarato. Sarà onere di Tizio provare che si trattava di trasferimenti da conto italiano suo, già dichiarati. Fornire gli estratti sia di PayPal che del conto bancario di origine potrà chiarire l’equivoco e far cadere la contestazione di “redditi non dichiarati” (resterebbe eventualmente solo la sanzione RW se il conto PayPal non era dichiarato ed era dovuto).
- Accrediti che rappresentano redditi imponibili non dichiarati: qui rientra il caso problematico. Se il contribuente ha utilizzato PayPal per incassare compensi o ricavi di attività – ad esempio vendite su eBay/Etsy, prestazioni freelance pagate via PayPal, proventi da attività online (YouTube, OnlyFans, ecc.) – e tali importi non sono stati dichiarati al Fisco, allora sì, siamo davanti a redditi evasi. In questi casi l’Agenzia, oltre all’omessa indicazione del conto, contesterà una dichiarazione infedele per i redditi non dichiarati . Saranno quindi dovute le imposte evase su quei redditi (IRPEF, addizionali, eventuale IVA se era attività d’impresa, ecc.) più le relative sanzioni per omessa dichiarazione di redditi.
Dunque, per valutare come difendersi, il contribuente deve passare in rassegna gli accrediti PayPal contestati e capire che natura hanno: – Se può ricondurli a movimenti non tassabili (es. trasferimenti di propri fondi, donazioni di parenti, vendita di oggetti personali usati occasionale), dovrà fornire prova/documentazione di ciò. – Se invece erano proventi di una vera attività economica non dichiarata, dovrà valutare di regolarizzare la posizione (pagando tasse e sanzioni) perché è difficile sfuggire a un eventuale accertamento in merito.
C’è un caso intermedio: la vendita occasionale di beni (ad es. il privato che vende ogni tanto oggetti usati su internet) può generare redditi che la legge considera “redditi diversi” tassabili solo oltre certa soglia o non tassabili se veramente sporadici e da beni personali. Se però le vendite sono frequenti e organizzate, il Fisco tende a qualificarle come attività commerciale abituale (con obbligo di partita IVA). Nella difesa si può provare a sostenere la natura occasionale e non professionale degli incassi, per inquadrarli correttamente (magari come redditi esenti se sotto certi limiti).
In conclusione, quando la lettera di compliance elenca “movimenti PayPal non riportati in dichiarazione”, bisogna prepararsi a dimostrare una delle due cose: o che non erano redditi tassabili, oppure, se lo erano, a porvi rimedio dichiarandoli e tassandoli ora (con ravvedimento). Nel seguito parleremo di come sanare l’omessa dichiarazione dei redditi.
Caso particolare: conti PayPal intestati a terzi o cointestati – Può capitare che il conto PayPal non sia intestato direttamente al contribuente segnalato, ma a un terzo (ad es. un familiare) oppure sia cointestato. Se l’Agenzia ha inviato la lettera al contribuente, probabilmente è perché i dati CRS riportavano il suo codice fiscale come collegato al conto (ad esempio conti cointestati, o situazioni in cui tramite altri incroci si è individuato l’utilizzatore effettivo) . In questi casi la normativa impone comunque di dichiarare il conto in RW in proporzione alla quota di possesso o disponibilità. Ad esempio, se un conto all’estero è cointestato al 50% con un’altra persona, ciascun contitolare residente deve dichiarare il proprio 50% (e in caso di omessa dichiarazione, la sanzione verrà calcolata su quella quota) . Se invece il conto era intestato a un soggetto non residente (es. un parente all’estero) ma l’italiano ne aveva disponibilità, formalmente anch’egli avrebbe dovuto dichiararlo, come titolare effettivo . In sede di risposta alla lettera, situazioni del genere vanno spiegate: ad esempio si dovrebbe comunicare che “il conto era cointestato con mia madre non residente, la mia quota era il 50%” allegando documenti che lo provino, così l’ufficio potrà eventualmente ricalcolare le somme e le sanzioni solo su quella quota . Nel caso di conti intestati interamente a terzi, ma usati dal contribuente, la difesa è più delicata: potrebbe sostenersi che il contribuente era solo delegato ad operare ma non proprietario, cercando di evitare l’obbligo RW. Tuttavia, l’Agenzia se ha i nominativi spesso considera quel soggetto come beneficiario. In ultima analisi, se emergesse un errore di persona – ovvero che il conto segnalato non è affatto riconducibile al contribuente – sarà fondamentale chiarirlo subito (potrebbe trattarsi di omonimia o di vecchi conti chiusi, ecc.). In questa ipotesi estrema, la lettera va contestata comunicando che “il conto indicato non appartiene al sottoscritto” (magari allegando prove del diverso intestatario). Errori di questo tipo non sono comuni ma possono accadere.
Riassumendo: un contribuente riceve la lettera se risultano violati uno o entrambi gli obblighi sopra (monitoraggio RW e/o dichiarazione di redditi). Nel capitolo seguente analizziamo in dettaglio le sanzioni previste per tali violazioni e le loro conseguenze, prima di passare a come rimediare o difendersi.
Violazioni e sanzioni in caso di omessa dichiarazione del conto PayPal e dei relativi redditi
La mancata indicazione di un conto PayPal estero dovuto in dichiarazione costituisce, a norma di legge, una violazione tributaria di natura sostanziale. L’ordinamento attribuisce a questa omissione un disvalore specifico, a prescindere dal fatto che abbia generato evasione di imposta o meno . L’idea è che non dichiarare un conto estero impedisce al Fisco di conoscere patrimoni e movimenti finanziari all’estero, potenzialmente nascondendo redditi non tassati. Pertanto la legge punisce l’omissione con sanzioni ad hoc, anche solo per il fatto in sé di non aver fornito l’informazione (violazione del monitoraggio).
Di seguito esaminiamo quali sanzioni rischia il contribuente che ha omesso di dichiarare un conto PayPal estero e/o i relativi redditi, distinguendo i due piani:
- Sanzione per omessa dichiarazione del conto estero (quadro RW) – Prevista dall’art. 5, comma 2, D.L. 167/1990. Si tratta di una sanzione amministrativa proporzionale che va dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato, per ogni annualità in cui l’omissione si è verificata . L’“ammontare non dichiarato” generalmente coincide con il saldo massimo o valore al 31/12 del conto (il dato che andava monitorato) . Ad esempio, se nel 2022 il conto aveva valore max 20.000 €, la sanzione edittale per il 2022 sarebbe tra 600 € e 3.000 € (cioè 3%-15% di 20.000). Se l’omissione si è protratta su più anni, in teoria la sanzione si applicherebbe per ciascun anno. È importante notare che l’intervallo 3%-15% è ampio: l’Agenzia in genere applica il minimo edittale (3%) in assenza di circostanze aggravanti, specie se non c’è stata evasione di redditi . Ma potrebbe aumentare la percentuale in presenza di comportamenti particolarmente gravi (importi ingenti occultati, recidiva, utilizzo di schermi societari, ecc.) . In ogni caso non può superare il 15% (per paesi collaborativi).
- Caso di paesi black list: se il conto estero si trova in un paese a fiscalità privilegiata o non cooperativo (c.d. “paese black list”), la sanzione raddoppia ed è dal 6% al 30% dell’importo . Nel nostro caso, Lussemburgo non è black list (è UE e cooperativo), quindi per PayPal si applica la forbice 3%-15%. Ma vale la pena menzionare che l’Agenzia, in caso di dubbi sullo status di cooperazione di un paese, tende cautelativamente ad applicare la sanzione aggravata 6-30%, salvo poi rivederla se il contribuente dimostra che lo Stato estero aderiva a accordi di scambio . Non è il caso di PayPal/Lussemburgo, dove la cooperazione è certa.
- Termini e raddoppio dei termini: la violazione RW è accertabile dall’Agenzia entro il normale termine di decadenza (entro 31/12 del quinto anno successivo a quello in cui è stata commessa, quindi es. anno d’imposta 2019 accertabile fino al 31/12/2024). Se però si tratta di attività in paesi black list, la legge prevedeva (per gli anni fino al 2015) il raddoppio dei termini di accertamento. Quindi in passato un conto in Svizzera non dichiarato nel 2009 poteva esser contestato fino al 2020. Per i conti in Lussemburgo (white list) il raddoppio non opera. La Cassazione con ordinanza n. 6409/2025 ha chiarito che questa presunzione anti-evasione dell’art. 12 D.L. 78/2009 (e i correlati raddoppi di termini) non ha efficacia retroattiva e si applica solo a Stati black list . Dunque, nel caso di PayPal (LU) non si può presumere automaticamente che i fondi siano redditi evasi né raddoppiare i termini – elemento utile da ricordare in difesa .
- Cumulo su più anni (continuazione): se il contribuente ha omesso il quadro RW per più annualità consecutive, come si calcolano le sanzioni? La disciplina generale (art. 12 D.Lgs. 472/1997) prevede il cumulo giuridico in caso di violazioni della stessa indole commesse in tempi diversi. In sostanza, invece di sommare aritmeticamente le sanzioni di ogni anno, si può applicare un’unica sanzione base aumentata. La giurisprudenza recente ha confermato l’applicabilità del cumulo giuridico alle violazioni RW: la Cassazione – ord. n. 11849/2023 ha chiarito che in caso di omessa compilazione del quadro RW per più anni si applica l’aumento da 1/2 fino al triplo della sanzione-base riferita all’anno più grave (quello con importo maggiore), senza ulteriori duplicazioni . Inoltre ha escluso che si debba applicare anche l’aumento del comma 1 dell’art. 12 (recidiva): in pratica, va fatto solo l’aumento fino al triplo e non il doppio incremento . Ad esempio, se Caio ha omesso di dichiarare €100k nel 2018, €200k nel 2019, €300k nel 2020, l’Ufficio potrebbe fare un unico atto prendendo la violazione 2020 (la più grave, 3% di 300k = €9k) e aumentandola fino al triplo per punire le ripetizioni, ottenendo ad es. €18k . Ciò è più favorevole rispetto a sommare tre multe da 3% ciascuna (9k+6k+3k=18k uguale) o peggio se fossero percentuali più alte. In pratica il cumulo giuridico evita che il totale sanzioni esploda su molti anni, ma garantisce comunque un aggravio (fino al triplo) per la reiterazione. Nei nostri calcoli di difesa, è lecito chiedere che, in caso di più annualità contestate, si applichi la continuazione e non il cumulo materiale – questo può dimezzare o ridurre le sanzioni complessive . Molte Commissioni Tributarie hanno già applicato questo principio in casi RW (es. CTR Toscana 2020), e l’Agenzia talvolta fa resistenza ma la Cassazione ora si è espressa chiaramente in favore del cumulo giuridico .
- Sanzioni per omessa dichiarazione di redditi percepiti tramite PayPal – Se oltre all’omesso monitoraggio si accerta che attraverso il conto PayPal sono stati realizzati redditi non dichiarati (interessi, ricavi, ecc.), si applicano le normali sanzioni per dichiarazione infedele previste dal D.Lgs. 471/1997. In particolare l’art. 1, c.2 punisce l’infedele dichiarazione (ovvero l’omessa dichiarazione di redditi imponibili) con una sanzione dal 90% al 180% dell’imposta evasa . Questa percentuale si applica all’ammontare di imposte (IRPEF, addizionali, IVA se dovuta) che il contribuente avrebbe dovuto pagare su quei redditi e non ha pagato. Ad esempio, se i ricavi non dichiarati sono €10.000 e l’imposta evasa ammonta a €2.500, la sanzione edittale va da €2.250 (90% di 2.500) a €4.500 (180% di 2.500) .
- Aggravante per redditi esteri: se i redditi non dichiarati sono stati prodotti all’estero, la legge prevede un incremento di 1/3 della sanzione . Questo per sanzionare più duramente chi occulta basi imponibili oltreconfine. Quindi il range effettivo diventa dal 120% al 240% dell’imposta evasa . Nel nostro esempio: la sanzione di €2.250-4.500 diventerebbe €3.000-6.000 applicando +1/3 . La presenza di quest’aggravante fa capire quanto più costoso diventi evadere redditi esteri rispetto ai domestici.
- Cumulo con la sanzione RW: è importante chiarire che le sanzioni sui redditi evasi si sommano a quelle sul monitoraggio RW . Sono due violazioni distinte: una colpisce la mancata dichiarazione del valore patrimoniale, l’altra la mancata dichiarazione del reddito. Pertanto un avviso di accertamento potrà contenere due gruppi di sanzioni relativi allo stesso conto: es. €X per omessa RW + €Y per imposte evase su redditi esteri . Nel fare i conti conviene tenerne conto. (Nota: se i redditi esteri erano, poniamo, interessi su quel conto, oltre alle sanzioni su di essi bisognerà versare anche l’imposta evasa + interessi legali per gli anni trascorsi).
- Omessa dichiarazione vs infedele: se il contribuente addirittura non ha presentato affatto la dichiarazione dei redditi pur avendo prodotto redditi (magari esteri), si configura la più grave violazione di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 471/97) sanzionata dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, minimo €250. Ma nel caso tipico in esame, spesso il contribuente ha presentato la dichiarazione (dimenticando RW e redditi esteri), quindi si tratta di dichiarazione infedele (90-180% aumentato di 1/3 se esteri, come detto sopra).
- Sanzioni su IVAFE non versata: collegato a quanto sopra, se dal conto emerge che era dovuta l’IVAFE e non è stata pagata, anche su quella imposta non versata l’Ufficio applicherà la sanzione per omesso versamento che segue le stesse percentuali (90-180% dell’imposta non pagata) . Fortunatamente, trattandosi al massimo di 34,20 €/anno di IVAFE, la sanzione in cifra assoluta è minima (90% di 34,20 = 30,78 € base). Rimane un aspetto formale che comunque verrà contestato, ma su cui di solito non si litiga molto per l’esiguità.
Riassumiamo in uno schema le principali sanzioni amministrative in gioco:
Violazione | Norma violata | Sanzione base (range) | Note |
---|---|---|---|
Omessa indicazione di attività estera (RW) | Art. 5, c.2, D.L. 167/1990 | 3% – 15% dell’importo non dichiarato per anno<br>(6% – 30% se Stato non collaborativo) | – Sanzione proporzionale sul valore non monitorato (saldo max o valore al 31/12) .<br>– No soglie di tolleranza (oltre gli esoneri di legge, visti sopra).<br>– Violazione sostanziale, non formale . In caso di più anni, applicazione del cumulo giuridico (una sola sanzione aumentata fino al triplo) al posto della somma di più sanzioni . |
Omessa dichiarazione di redditi esteri | Art. 1, c.2, D.Lgs. 471/1997<br>(dichiarazione infedele)<br>Profilo penale: Art. 4 D.Lgs. 74/2000 (se rilevante) | 90% – 180% dell’imposta evasa<br>(maggiorata di +1/3 se redditi prodotti all’estero ⇒ range effettivo ~120% – 240%) | – Riguarda interessi, dividendi, plusvalenze estere non dichiarati, o ricavi di vendite/attività transitati su conti esteri .<br>– Soglie penali: scatta reato di omessa dichiarazione se imposta evasa > €50.000; reato di infedele dichiarazione se imposta evasa > €100.000 e >10% del reddito dichiarato .<br>– Le sanzioni sui redditi evasi si aggiungono a quelle RW . |
(Nella tabella sopra non è indicata la sanzione per omessa dichiarazione di IVAFE, che come detto è 90-180% di €34,20 annui, quindi trascurabile.)
Come si vede, le sanzioni in caso di doppia violazione (RW + redditi) possono risultare molto pesanti. Ad esempio, ipotizzando un contribuente con €100.000 su PayPal non dichiarati per anni e che includono redditi evasi: da un lato rischia 3-15% = €3.000-15.000 per il RW (per ciascun anno), dall’altro 120-240% dell’imposta evasa sui redditi (se l’aliquota IRPEF fosse ad es. 30%, l’imposta su 100k sarebbe ~30k, quindi sanzioni 36k-72k per anno!). Addirittura, in caso di conto in paese black list, scatterebbe una presunzione fiscale per cui quei 100k sarebbero considerati reddito sottratto a tassazione se il contribuente non prova il contrario (art. 12 D.L.78/2009) . In tal caso il contribuente “black list” rischia un doppio colpo: multa 6-30% sul patrimonio e accertamento dell’intero capitale come reddito evaso tassato con aliquote IRPEF + sanzioni sul reddito del 180-360% (90-180 raddoppiato) . Fortunatamente, come detto, Lussemburgo è collaborativo quindi con PayPal questo scenario estremo non si applica; ma è utile sapere che il legislatore ha armi così affilate contro i paradisi fiscali.
Conseguenze penali (reati tributari): la domanda che molti si pongono è se la vicenda può sfociare in un procedimento penale. La mera omissione del quadro RW, di per sé, non costituisce reato. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione penale con la sent. n.19849/2021, affermando che la violazione degli obblighi di monitoraggio non integra automaticamente un illecito penale come il riciclaggio . In assenza di un’evasione d’imposta accertata, l’illecito resta amministrativo. Tuttavia, se contestualmente c’è stata una evasione fiscale rilevante, possono configurarsi reati tributari ai sensi del D.Lgs. 74/2000: – Omessa dichiarazione (reato): se il contribuente non ha proprio dichiarato redditi per un imponibile tale che l’imposta evasa supera 50.000 € in un anno (e non ha presentato dichiarazione), si realizza il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000, pena fino a 4 anni di reclusione). – Dichiarazione infedele (reato): se ha presentato la dichiarazione ma vi ha omesso redditi e l’imposta evasa eccede 100.000 € annui e gli elementi sottratti superano il 10% di quanto dichiarato, scatta il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000, soglia 100k, pena fino a 3 anni). – Autoriciclaggio: in ipotesi estreme, l’utilizzo di conti esteri per occultare proventi illeciti (inclusa l’evasione fiscale) e ostacolarne la tracciabilità può integrare il reato di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.). Ma occorre un’attività volta a “ripulire” denaro di provenienza criminosa. Se parliamo solo di evasione fiscale, di solito si procede per i reati tributari e l’autoriciclaggio è ipotizzato solo per condotte veramente sofisticate di occultamento.
Nella maggior parte dei casi relativi a conti PayPal non dichiarati, le cifre non raggiungono soglie penalmente rilevanti (spesso si parla di qualche decina di migliaia di euro di imponibile) e, soprattutto, se il contribuente collabora spontaneamente sanando la propria posizione prima di accertamenti, il profilo penale viene meno. Infatti, il D.Lgs. 74/2000 prevede cause di non punibilità se il debito tributario viene estinto prima del dibattimento. Un ravvedimento operoso completo e tempestivo prima dell’inizio di verifiche esclude quasi sempre la punibilità, perché dimostra l’assenza di dolo evasivo attuale . In altre parole: se regolarizzate tutto ora (pagando imposte e sanzioni dovute) non subirete alcuna denuncia penale. Il penale diventerebbe un rischio solo in scenari estremi di evasione ingente o comportamenti fraudolenti persistenti .
Impatto reputazionale e altre conseguenze: oltre a sanzioni e (raramente) al penale, va citato l’effetto dell’iscrizione a ruolo delle somme accertate in caso di mancato pagamento, con eventuale cartella esattoriale, interessi di mora, ecc. Inoltre, chi incorre in sanzioni definitive per violazioni fiscali può incontrare ostacoli nell’accesso a future definizioni agevolate o condoni, e subire verifiche più frequenti (il c.d. alert del contribuente a rischio). Sono motivi ulteriori per cercare di chiudere la questione bonariamente, se possibile.
A questo punto, chiarito il quadro sanzionatorio, passiamo alla parte operativa: cosa fare quando arriva la lettera di compliance? Come verificare i dati e come rispondere o regolarizzare per evitare queste pesanti conseguenze? Lo vediamo nel prossimo capitolo.
Come reagire alla lettera di compliance: verifiche, ravvedimento e difesa preventiva
Ricevuta la lettera dall’Agenzia, è fondamentale agire in modo organizzato e tempestivo. Ecco i passi consigliati dal punto di vista pratico:
1. Leggere attentamente la comunicazione e identificare gli anni e gli importi contestati. La lettera in genere indica per quali anni d’imposta risulta l’anomalia e fornisce alcuni dati del conto estero (numero conto, paese, saldo finale e/o massimo) . Occorre annotare: – Quali annualità sono interessate (es. 2020, 2021…). – Che tipo di omissione viene segnalata: solo il conto non monitorato? Oppure anche possibili redditi non dichiarati? Spesso la lettera distingue i due profili (ad es. “conto PayPal non indicato in RW” e “redditi da tale conto non dichiarati”). – Eventuali istruzioni operative allegate: a volte l’Agenzia fornisce link per scaricare il prospetto dei movimenti o indicazioni per il ravvedimento operoso.
2. Recuperare la documentazione del conto PayPal. Bisogna procurarsi gli estratti conto o rendiconti PayPal degli anni in questione. Accedendo al proprio account PayPal, nella sezione Attività o tramite l’estratto annuale, è possibile scaricare lo storico delle transazioni e i saldo di fine anno. In particolare, servono: – Il saldo al 31/12 di ciascun anno contestato. – Il saldo massimo raggiunto in ciascun anno. – (Se possibile) la giacenza media annua, o comunque i dati per calcolarla. PayPal non fornisce direttamente la giacenza media, ma si può stimare con i movimenti o con strumenti online. – L’elenco degli accrediti ricevuti nel periodo, con date e importi, per capire la natura di ciascuno.
Tip: PayPal consente di generare un Report delle attività per intervallo di date: scegliendo l’anno solare e includendo Saldo iniziale/finale, si ottengono i dati utili. In alternativa, alcuni utenti utilizzano i registri mensili per dedurre il saldo massimo.
3. Verificare le soglie RW e la IVAFE. Una volta che avete i dati: – Confrontate saldo max e giacenza media con le soglie di 15k e 5k. Se per quell’anno entrambi i valori erano sotto soglia, c’era esonero dall’obbligo RW . In tal caso la contestazione dell’Agenzia potrebbe essere infondata. Esempio: saldo max €10.000, media €4.000 ⇒ nessun obbligo per quell’anno. – Se invece uno dei due valori superava soglia, l’obbligo c’era. Ad es. saldo max €20k (anche se media bassa) ⇒ andava dichiarato. – Verificate anche l’IVAFE: se media >5k, IVAFE dovuta (€34,20). Se la lettera indica che non l’avete versata, dovrete considerare di versarla ora (per fortuna importo minimo). – Multi-conto? Se avevate più conti esteri in quell’anno (es. un altro conto all’estero), ricordate che la soglia 15k vale in aggregato: se sommando due conti entrambi sotto soglia superavate 15k, l’esonero non si applica . Esempio: PayPal €10k e altro conto €8k ⇒ totale 18k ⇒ andavano dichiarati entrambi.
Se dai calcoli risulta che in qualche anno il conto era sotto le soglie e quindi regolarmente esonerato, questo diventa un argomento di difesa chiave. Significa che per quell’anno la lettera di compliance è impropria. È bene evidenziarlo subito nella risposta, allegando gli estratti come prova . Spesso queste lettere vengono mandate sulla base dei dati CRS “nudi e crudi” senza considerare le soglie; quando poi il contribuente dimostra di essere sotto i limiti, l’ufficio archivia la posizione.
4. Analizzare i movimenti in accredito (eventuali redditi). Guardate la lista degli accrediti PayPal: – Identificate la provenienza di ciascun flusso significativo. Es: €5.000 il 3/3 da Mario Rossi, €7.000 il 10/7 da vendita eBay, ecc. – Chiedetevi: questi importi sono redditi imponibili? Oppure no? E se sì, li avevo già dichiarati da qualche altra parte? – Per esempio, accrediti da parenti con causali tipo “gift” potrebbero essere regali (non tassabili); accrediti dal vostro conto corrente sono trasferimenti intra-personali (non reddito); pagamenti da piattaforme di e-commerce per decine di transazioni potrebbero rivelare un’attività commerciale non dichiarata (reddito d’impresa non dichiarato). – Fate un elenco di ciò che appare chiaramente come reddito non dichiarato (es. vendite) e ciò che invece potete giustificare come non tassabile (es. rimborsi, trasferimenti).
In caso di dubbi sulla natura di un accredito, recuperate eventuali pezze giustificative: ad esempio, se avete venduto un oggetto usato su eBay per 200 €, cercate l’inserzione o la comunicazione con l’acquirente, per provare che è stata una vendita occasionale di bene personale (non tassabile come reddito, trattandosi di bene personale usato). Se avete ricevuto un pagamento da un cliente per una consulenza, quello è reddito da lavoro autonomo che andava dichiarato.
5. Valutare la regolarizzazione spontanea (ravvedimento). Arrivati a questo punto avete un quadro: sapete se il conto andava dichiarato e se ci sono redditi non dichiarati. Se effettivamente c’è stata un’omissione, la legge vi consente di rimediare spontaneamente con il ravvedimento operoso. In cosa consiste? Significa presentare ora (prima che parta un accertamento formale) le dichiarazioni integrative per gli anni omessi, pagando le imposte dovute e sanzioni ridotte. I benefici del ravvedimento sono notevoli: – Sanzione RW ridotta: invece del 3% (minimo) per ogni anno, pagherete una percentuale molto inferiore. La riduzione dipende dal ritardo: oltre 2 anni di ritardo si applica 1/6 della sanzione minima . Dunque 3%/6 = 0,5% circa dell’importo non dichiarato . Ad es., per €10.000 non dichiarati nel 2019, la sanzione scende a ~€50 (0,5%) invece di €300 (3%). Se il ravvedimento fosse più tempestivo (entro 1 anno, 1/7 del minimo) sarebbe ancora più basso, ma nel nostro caso le lettere spesso arrivano dopo 2-3 anni, quindi ci si colloca nella fascia 1/6 o 1/7. – Sanzioni sui redditi ridotte: anche le sanzioni sulle imposte evase beneficiano del ravvedimento. In pratica si paga 1/6 del minimo se oltre 2 anni. Il minimo edittale per redditi esteri è 120% dell’imposta evasa; 1/6 di 120% = 20% dell’imposta evasa . Nel nostro esempio di prima (2.500 € di imposte evase), 20% = 500 €. Molto meno dei ~1.500 € che rischierebbe in accertamento pieno. – Interessi legali: vanno aggiunti, ma sono esigui (0,05% annuo nel 2020-2021, 1,25% nel 2022, ecc.). – Nessun rischio penale: pagando tutto prima di qualunque atto, scongiurate completamente l’ambito penale. – Immagine di buona fede: mostrate all’Agenzia (e eventualmente al giudice in futuro) di aver collaborato e di non aver avuto intento doloso, ma di aver corretto appena segnalato.
Procedere col ravvedimento significa, concretamente: – Predisporre le dichiarazioni integrative per ciascun anno da correggere (Modello REDDITI Integrativo). In ciascuna integrativa, compilare il Quadro RW inserendo i dati del conto PayPal relativi a quell’anno; e se c’erano redditi non dichiarati, inserirli nei quadri reddituali appropriati (es. quadro L per redditi diversi, quadro C per lavoro dipendente estero, quadro RL per occasionali, quadro F per IVA se era attività d’impresa, a seconda dei casi; su questo è bene farsi assistere da un commercialista). – Calcolare le imposte dovute in più (se emergono redditi imponibili non tassati) e i relativi interessi dal termine originale (per ogni anno). – Calcolare le sanzioni ridotte. Spesso conviene utilizzare il software dell’Agenzia o di un commercialista per il calcolo: è necessario applicare le percentuali di ravvedimento a ciascuna violazione (RW, infedele, IVAFE). Molti casi di lettere di compliance allegano un prospetto di calcolo suggerito. – Pagare il tutto con modello F24, usando i codici tributo specifici (es. “8906” per sanzioni da redditi, “8911” per sanzioni RW, ecc., e indicando l’anno di riferimento). – Inviare telematicamente le dichiarazioni integrative.
Suggerimento: se non siete pratici di dichiarazioni integrative, è altamente consigliabile affidarvi a un professionista fiscale per il ravvedimento. Errori nella compilazione o nel calcolo potrebbero vanificare i benefici. Inoltre, un professionista potrà verificare se magari, a legislazione vigente, certe somme potevano fruire di esenzioni o regimi alternativi (ad esempio tassazione sostitutiva). Il costo della consulenza è ben speso rispetto al rischio di sbagliare fai-da-te.
Una volta effettuato il ravvedimento, è opportuno comunicare all’Agenzia di aver provveduto. Ad esempio inviando una PEC all’indirizzo indicato, allegando copia delle ricevute dei F24 pagati e delle dichiarazioni inviate, con una breve nota: “In riferimento alla Vs lettera prot… relativa a conto PayPal…, comunico di aver presentato dichiarazioni integrative per gli anni X e Y con contestuale versamento di imposte e sanzioni dovute (ravvedimento operoso). Allego attestazioni. Chiedo pertanto di considerare regolarizzata la mia posizione fiscale”. Così l’ufficio saprà che avete ottemperato.
6. Predisporre una risposta scritta (memoria difensiva) se contestate l’addebito. Se ritenete che la contestazione sia in tutto o in parte errata – ad esempio perché eravate sotto soglia, o perché gli accrediti non erano redditi – allora conviene rispondere per iscritto spiegando la situazione. Nella risposta (meglio via PEC per avere traccia) è bene: – Esordire indicando il riferimento della lettera e la posizione (cognome, CF). – Spiegare in modo ordinato le vostre argomentazioni. Esempio: “Il conto PayPal n… risultava avere nel 2022 un saldo max di €10.000 e giacenza media di €4.000, dunque rientrava nelle soglie di esonero ex art.4 D.L.167/90, come da documentazione allegata. Pertanto la mancata indicazione nel quadro RW non configura violazione”. Oppure: “Gli accrediti segnalati sul conto sono costituiti da trasferimenti dal mio conto corrente italiano (già redditi tassati) e da un rimborso spese da parte di un familiare; nessun reddito imponibile era presente”. – Allegare i documenti di prova: estratti conto PayPal, eventuali estratti del conto bancario italiano (per mostrare trasferimenti incrociati), ricevute o causali attestanti la natura non reddituale degli accrediti, ecc. – Se opportuno, citare riferimenti normativi o di prassi a supporto (es. Circolare AE 38/E/2013 sul quadro RW e soglie, Cass. 19849/21 per escludere rilevanza penale, ecc.), ma senza appesantire troppo: l’importante è fornire evidenza fattuale. – Concludere chiedendo esplicitamente che l’ufficio archivi la segnalazione o comunque di voler essere informati su eventuali ulteriori esigenze.
Spesso l’Agenzia non risponderà formalmente, ma terrà la vostra memoria agli atti. Se l’ufficio trova convincente la spiegazione, può semplicemente non dar seguito alla pratica (in sostanza, nessun accertamento arriverà). Se invece non accetta le giustificazioni, potrà comunque procedere, ma almeno vi sarete posizionati con una difesa già anticipata.
7. Tempi e scadenze: come detto, la lettera di compliance non fissa un termine perentorio, ma è consigliabile agire entro 30 giorni circa dal ricevimento. In genere, se dopo alcuni mesi il contribuente non fa nulla, l’Agenzia può iniziare a emettere l’atto formale (avviso di accertamento). In alcuni casi nelle FAQ l’Agenzia ha suggerito di rispondere entro 60 giorni, ma non è un obbligo . Tuttavia, per beneficiare di riduzioni maggiori delle sanzioni con ravvedimento, primeggia la tempestività: ad esempio, entro 90 giorni dalla scadenza la sanzione RW è riducibile a 0,2% (1/15), entro un anno 0,3% (1/10), entro 2 anni 0,35% (1/9) e oltre 2 anni 0,5% (1/8, 1/7 o 1/6 a seconda dei casi) . Quindi prima si fa, meglio è.
8. Considerare una consulenza professionale: se l’importo in gioco è rilevante o la situazione complessa (es. conti cointestati, attività d’impresa non dichiarata, più annualità, rischio penale), è opportuno farsi affiancare da un avvocato tributarista o un commercialista esperto. Il professionista potrà: – Redigere la risposta difensiva con i giusti toni e riferimenti. – Assistervi nel ravvedimento operoso (per evitare errori formali). – Interfacciarsi con l’ufficio eventualmente, ad esempio chiedendo un incontro. Una telefonata o PEC su carta intestata di uno studio legale spesso rassicura l’ufficio che state seguendo una procedura corretta . – Scongiurare sbagli procedurali (ad es. errore nel calcolo delle sanzioni ridotte, mancata compilazione di un quadro, ecc.).
Valutate il costo della consulenza rispetto ai benefici: se avete dubbi, considerare quanto potenziali sanzioni potrebbero costare. Prevenire errori può far risparmiare migliaia di euro.
In sintesi, agire proattivamente è la chiave. L’esperienza insegna che chi ignora la lettera finisce quasi certamente con un avviso di accertamento e sanzioni piene, mentre chi risponde con cognizione di causa ha ottime chance di chiudere la faccenda in modo molto più leggero (o addirittura senza sanzioni, se aveva ragione). Nel prossimo capitolo, ipotizzeremo che nonostante tutto l’Agenzia decida di andare avanti e vedremo come difendersi in sede di accertamento vero e proprio, attraverso gli strumenti del contenzioso tributario.
Se la compliance fallisce: accertamento formale, adesione e ricorso alle Corti tributarie
Poniamo il caso che, per qualsiasi motivo, la fase di compliance non risolva la situazione. Magari il contribuente non ha fatto in tempo a ravvedersi, oppure l’ufficio non ha accolto le sue spiegazioni. A questo punto, l’Agenzia delle Entrate potrà emettere un Avviso di Accertamento o un Atto di Contestazione di Sanzioni formale. Cosa fare in tal caso? Esaminiamo i possibili strumenti di difesa in fase contenziosa, sempre dal punto di vista del contribuente (debitore).
Avviso di accertamento: caratteristiche e contenuto
Un avviso di accertamento relativo a un conto PayPal estero non dichiarato può contenere varie componenti: – Una parte che contesta l’omessa compilazione del quadro RW per uno o più anni, con l’irrogazione delle relative sanzioni (3-15% annuo, eventualmente cumulate). – Una parte che recupera a tassazione i redditi non dichiarati transitati su quel conto, liquidando le imposte evase (IRPEF, addizionali) e applicando le sanzioni del 90-180% (aumentate di 1/3) su tali imposte. – L’eventuale IVAFE non versata, con imposta dovuta e sanzione. – Gli interessi di mora calcolati sulle imposte evase dal giorno in cui si sarebbero dovute pagare (generalmente il 30 giugno dell’anno successivo). – L’indicazione di eventuali cause di raddoppio dei termini (se hanno utilizzato termini lunghi per black list, cosa che su LU non dovrebbe avvenire). – L’indicazione dei termini per impugnare (60 giorni) e la possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione entro lo stesso termine (60 gg dalla notifica).
Spesso, per semplificare, l’Ufficio potrebbe emettere due atti separati: – Un atto di contestazione sanzioni RW (solo sanzioni patrimoniali) e – Un avviso di accertamento sui redditi (con imposte e sanzioni su redditi evasi).
Oppure incorporare tutto in un unico atto (prassi variabile). In ogni caso, dal momento in cui ricevete un atto del genere, ci si trova nella fase di accertamento vero e proprio, con scadenze per reagire.
Accertamento con adesione: “patteggiare” col Fisco conviene?
L’accertamento con adesione è uno strumento deflativo del contenzioso, disciplinato dal D.Lgs. 218/1997, che consente al contribuente di negoziare un accordo con l’ufficio dopo aver ricevuto un accertamento, evitando il ricorso in tribunale. È facoltativo ma presenta vantaggi importanti :
- Come si attiva: entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, il contribuente (o il suo difensore) può presentare una istanza di adesione all’Agenzia, chiedendo un incontro per definire l’accertamento. La presentazione dell’istanza sospende i termini per ricorrere per 90 giorni aggiuntivi, dando tempo di trattare.
- Cosa succede durante l’adesione: l’ufficio vi convoca per un contraddittorio (di persona, o in call/video). In tale sede, si può discutere il merito: ad esempio, portare nuovi documenti, far presente errori di calcolo, chiedere la riduzione di importi non dovuti, ecc. È una trattativa a tutti gli effetti, benché informale. L’obiettivo di entrambe le parti è evitare il processo: il Fisco incassa prima e con meno sforzo, il contribuente ottiene sanzioni ridotte e magari uno sconto sulla base imponibile contestata.
- Vantaggi per il contribuente: per legge, se si raggiunge un accordo, le sanzioni sono ridotte ad 1/3 di quelle originarie . Ad esempio, se l’avviso richiedeva €5.000 di sanzioni RW, con adesione se ne pagano circa €1.667 (un terzo) . Inoltre spesso l’ufficio, in sede di adesione, accoglie parte delle osservazioni del contribuente (soprattutto su questioni oggettive: es. rifare il calcolo tenendo conto di soglie di esenzione, correggere importi attribuiti per errore, ecc.) . Può dunque capitare che prima di applicare il “taglio a 1/3” la base sanzionatoria venga già ridotta. Ad esempio, l’ufficio scopre che ha addebitato l’intero saldo di un conto cointestato, mentre andava considerato al 50%: ricalcola la sanzione su metà importo e poi vi applica 1/3. Si può ottenere così un forte sconto complessivo .
- Altro vantaggio: nell’accordo potete chiedere il pagamento rateale (fino a 8 rate trimestrali se importo > €50.000, o 16 rate se > €100k).
- Infine, con l’adesione evitate le incertezze e lungaggini del ricorso e chiudete la questione in tempi brevi (entro 3-4 mesi dalla notifica atto).
- Svantaggi o limiti: aderire significa accettare di pagare quanto concordato – rinunciando a far valere eventuali ragioni in giudizio che potrebbero annullare l’atto. Quindi se siete convinti di avere ragione totale (es. eravate sotto soglia, o l’atto è nullo per vizi) potreste preferire ricorrere per ottenere l’annullamento completo invece di “patteggiare”. L’adesione di solito conviene quando: l’accertamento è fondato almeno in parte, le violazioni ci sono ma si vuole limitare i danni.
Nel nostro contesto, se oggettivamente il conto non era dichiarato e doveva esserlo, e magari c’erano pure redditi non dichiarati, fare l’adesione è spesso la scelta giusta: si paga il dovuto con sanzioni ridotte al minimo e si chiude senza contenzioso. Se invece l’avviso appare palesemente errato (ad es. sanziona anni in cui eravate esonerati), potreste valutare di non aderire e procedere col ricorso per farlo annullare del tutto.
Adesione e ricorso non si escludono: potete presentare l’istanza di adesione e intanto preparare il ricorso (che tanto è sospeso nei termini). Se durante l’incontro vedete che l’ufficio non riconosce nulla e vuole farvi pagare quasi tutto, potete sempre non sottoscrivere l’accordo e procedere col ricorso entro i 60+90 giorni. L’adesione è volontaria: se non si trova un’intesa, ognuno resta sulle sue posizioni.
Esempio: Mario riceve accertamento con sanzioni RW €4.000 (4 anni a €1.000 l’uno). Mario chiede adesione. All’incontro fa notare che per un anno era sotto soglia (€10k non dichiarati, sotto 15k) e chiede di stralciarlo: l’ufficio verifica e concorda di eliminare la sanzione di quell’anno . Rimangono 3 anni con sanzione base €1.000 ciascuno = €3.000. Applicando 1/3, Mario dovrebbe pagare €1.000. Inoltre Mario fa presente che il conto era cointestato al 50% con il padre: l’ufficio può ulteriormente ridurre imponendo la sanzione solo sulla quota di Mario (50%), quindi base €500/anno ⇒ totale €1.500, ridotto a €500 con adesione . Ecco che da 4.000 iniziali Mario pagherà €500 in totale. Questo esempio illustra come in adesione si possano ottenere tagli significativi.
Tecnicamente, per attivare l’adesione bisogna presentare una breve istanza in carta libera all’ufficio accertatore (di solito indicato nell’avviso, es. Direzione Provinciale di…), via PEC o raccomandata, indicando di voler definire l’accertamento n… del… e chiedendo il contraddittorio. L’ufficio poi fisserà la data. Se non risponde, potete anche sollecitare.
Se l’accordo si raggiunge, viene redatto un atto di adesione che entrambe le parti firmano. Da quel momento avrete 20 giorni per pagare la prima rata o l’intero dovuto. Con il pagamento, l’accertamento si perfeziona e non è più impugnabile. Se non pagate, l’adesione decade e l’atto originario rimane valido (attenzione quindi a rispettare le scadenze di pagamento).
Autotutela e altre soluzioni pre-contenzioso
Un’altra strada, parallela all’adesione, è tentare l’autotutela. L’autotutela consiste nel chiedere all’amministrazione finanziaria di annullare o rettificare spontaneamente un atto perché affetto da errori evidenti o illegittimità. È un rimedio amministrativo, non giurisdizionale.
Esempio: se l’accertamento contiene un errore di calcolo macroscopico, o ha considerato redditi già dichiarati altrove, o ha notificato al soggetto sbagliato, potete scrivere all’ufficio una istanza di autotutela elencando i motivi e chiedendo l’annullamento totale/parziale. L’ufficio ha facoltà (non obbligo) di accoglierla. In materia di sanzioni RW, potrebbe capitare ad esempio: – Hanno calcolato la sanzione come se non valesse il cumulo e avete 5 atti separati invece di uno: in autotutela potete far notare che andavano riuniti in continuazione. – Oppure l’atto ignora completamente che il conto era cointestato e vi addebita il 100%: potete chiedere la rettifica al 50%.
Tuttavia, non fate troppo affidamento sull’autotutela: gli uffici difficilmente annullano gli atti emessi, a meno di errori oggettivi lampanti. Inoltre la richiesta di autotutela non sospende i termini di ricorso. È bene quindi presentarla parallelamente ma senza perdere di vista il termine dei 60 giorni per l’eventuale ricorso (o adesione). Se proprio l’ufficio accoglie l’autotutela, poi potrete rinunciare al ricorso.
Un ulteriore istituto da menzionare è la (ex) mediazione tributaria. Fino al 2023 era previsto che per le liti di valore <= €50.000 fosse obbligatorio presentare un reclamo all’Agenzia prima di andare in Commissione, tentare una mediazione. Tuttavia, dal 2023 la normativa è cambiata: l’art.17-bis D.Lgs.546/92 sulla mediazione è stato abrogato dal 4 gennaio 2024 . Dunque, per gli atti notificati da quella data in avanti, non c’è più mediazione obbligatoria. Al suo posto si punta di più sulla conciliazione in corso di causa . Se però il vostro ricorso riguarda un atto notificato prima del 2024, allora dovrete passare dalla mediazione (norme intertemporali complesse, ma in generale per ricorsi notificati nel 2023 la mediazione era ancora richiesta). In pratica, la mediazione era simile all’adesione, ma attivata dopo il ricorso: si presentava il ricorso che fungeva anche da reclamo, l’ufficio valutava in 90 giorni e poteva fare una proposta. Le sanzioni in caso di mediazione si riducevano al 35% del minimo se accordo. Ad ogni modo, vista la riforma, nel 2025 la mediazione non è più attuale per i nuovi casi, quindi non ci soffermeremo oltre. Tenetela presente solo se per caso la vostra controversia è antecedente e ancora in quella fase.
Ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie)
Se non si è aderito né si è risolta in altri modi, rimane la strada del ricorso al giudice tributario. Oggi, dopo la riforma del 2022 (D.Lgs. 119/2022), le Commissioni Tributarie sono state ribattezzate Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado. La sostanza però non cambia: è il tribunale specializzato in materia fiscale.
Come e quando ricorrere: il ricorso va notificato all’ente impositore (Agenzia Entrate) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (accertamento o atto di contestazione), a meno che non abbiate presentato istanza di adesione. In tal caso il termine di 60 gg è sospeso e riprende per altri 60 dopo i 90 giorni di sospensione: in totale avrete fino a 150 giorni circa per ricorrere (60 + 90 sospensione + 60 residui) . Il ricorso oggi va notificato obbligatoriamente via PEC (processo tributario telematico) salvo casi eccezionali.
Nel ricorso esporrete i motivi per cui l’accertamento è illegittimo o infondato, chiedendo alla Corte di annullarlo in tutto o in parte. È essenziale allegare copia dell’atto impugnato e degli eventuali documenti a supporto (estratti conto, lettere inviate, ecc.).
Pagamento provvisorio 1/3: attenzione che, indipendentemente dal ricorso, la legge impone che entro 60 giorni dall’avviso di accertamento si versi un importo pari a 1/3 delle imposte accertate (non delle sanzioni) . Questo è dovuto anche se si fa ricorso, altrimenti l’importo viene iscritto a ruolo e avviato a riscossione coattiva. Nel nostro caso, se l’accertamento contiene solo sanzioni RW (nessuna imposta, perché magari non c’erano redditi evasi), allora non c’è importo immediato da pagare, poiché le sole sanzioni tributarie non sono riscuotibili finché la sentenza non è definitiva . Se invece ci sono imposte su redditi, di quelle bisogna pagarne 1/3 entro 60gg. Le sanzioni pecuniarie contestuali restano sospese (non si pagano finché la causa non finisce, salvo diversa richiesta del contribuente). Dunque, ad esempio, se vi contestano €10.000 di IRPEF evasa + €12.000 di sanzioni, dovrete pagare 1/3 di 10.000 = €3.333 entro 60gg, mentre le sanzioni €12.000 restano sospese.
È possibile chiedere alla Corte una sospensione cautelare dell’atto se il pagamento immediato arreca danno grave e il ricorso ha fondatezza (art. 47 D.Lgs.546/92). Ad esempio, se vi chiedono 50.000 € e pagarne subito 16.667 vi mette in difficoltà, potete chiedere al giudice di sospendere la riscossione fino alla sentenza, dimostrando sia il pregiudizio sia la probabile vittoria nel merito. Le Corti concedono sospensioni quando ravvisano almeno fumus boni iuris (motivi validi) e periculum (rischio grave per il contribuente).
Il processo tributario in breve: in primo grado la controversia sarà decisa dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (collegiale sopra €3.000; monocratica sotto tale soglia dal 2023). I tempi medi sono 1-2 anni per la sentenza . Dal 2023 i giudici tributari sono diventati a tempo pieno (professionali), il che potrebbe migliorare la qualità delle decisioni . Se il contribuente vince, l’atto viene annullato (in parte o tutto) e l’eventuale importo pagato in eccedenza gli verrà rimborsato. Se perde, può appellare in secondo grado presso la CGT di secondo grado (ex CTR). La sentenza d’appello poi è eventualmente ricorribile per Cassazione (solo su questioni di diritto).
Possibilità di conciliazione in giudizio: una volta in causa, esiste comunque la chance di conciliare la controversia con l’Agenzia, con l’assistenza del giudice. Si chiama conciliazione giudiziale: in primo grado, se le parti trovano un accordo davanti alla Corte, le sanzioni vengono ridotte al 50% del minimo; in secondo grado al 60% . Questo strumento è stato potenziato di recente per incoraggiare le chiusure anticipate. Quindi, paradossalmente, anche facendo ricorso potreste finire per chiudere transattivamente: magari l’ufficio, vedendo che avete argomenti solidi, vi propone (o accetta) una conciliazione abbattendo le pretese. Ad esempio, su €10k di sanzioni vi offre di pagarne 5k (50%). Sta a voi valutare: spesso vale la pena se l’esito del giudizio è incerto.
Strategie difensive in giudizio: davanti al giudice tributario, potrete far valere tutti gli elementi a vostro favore. Riassumiamo i principali motivi di ricorso possibili nel caso di omessa dichiarazione di conti PayPal: – Inesistenza dell’obbligo dichiarativo: argomento principe se applicabile. Se riuscite a provare che in quegli anni il conto non superava le soglie (15k/5k) e quindi non doveva essere dichiarato, la sanzione RW è priva di fondamento e va annullata . Molti casi di successo hanno visto giudici annullare sanzioni RW perché il contribuente era entro la franchigia di legge . Questo va quindi evidenziato chiaramente nel ricorso e supportato da estratti conto. – Errore sul soggetto o sulla percentuale: se il conto era cointestato o se i fondi non erano tutti vostri (es. metà del padre), far valere che al più doveva essere dichiarata solo una quota e chiedere quindi l’annullamento/riduzione della sanzione proporzionalmente . Allo stesso modo, se vi attribuiscono un conto non vostro, contestare radicalmente la pretesa (certificando l’estraneità). – Cumulo giuridico: se l’ufficio ha applicato le sanzioni in modo “per anno” senza riconoscere la continuazione, chiedere al giudice di ricalcolare l’importo applicando l’art.12 D.Lgs.472/97 (violazioni continuative) come da orientamento Cassazione 2023/24 . Ciò potrebbe dimezzare la sanzione complessiva. Alcune Commissioni avevano dubbi in passato, ma ora le pronunce di legittimità vi danno supporto. – Incertezza normativa oggettiva: un argomento spesso invocato in tema RW è che la normativa era poco chiara e ciò potrebbe esonerare da sanzione (art. 6, co.2 D.Lgs.472/97 prevede che non c’è sanzione se la violazione dipende da incertezza su interpretazione della norma). Ad esempio, per anni molti non sapevano che PayPal andasse considerato conto estero assimilato a un conto corrente. Si potrebbe sostenere che vi fosse incertezza oggettiva su questo punto (specie prima di chiarimenti ufficiali). Ci sono precedenti di Cassazione che hanno riconosciuto l’incertezza normativa come esimente (ad es. Cass. n.32255/2018 sul caso di doppia sanzione RW+penale, dove si parlò di incertezza) . Non è garantito, ma è un argomento equitativo. – Proporzionalità della sanzione: la Corte di Giustizia UE ha più volte affermato che sanzioni eccessive per violazioni formali possono violare i principi UE. Nel 2022 la CGUE (cause C-478/19 e C-479/19) ha giudicato sproporzionate le sanzioni fisse spagnole per omessa comunicazione di beni esteri. Anche se l’Italia ha sanzioni proporzionali, si può sempre invocare il principio di proporzionalità qualora la sanzione risulti abnorme rispetto alla condotta (ad es. multare 6% per pochi giorni di ritardo). La Cassazione italiana in passato (sent. 11292/2019) ha ritenuto legittima la sanzione minima 3% come proporzionata a finalità di prevenzione , ma non è escluso che giudici di merito possano ridurre sanzioni giudicandole eccessive in concreto. – Mancata motivazione o vizi formali dell’atto: controllate se l’avviso di accertamento è motivato adeguatamente. Deve indicare come l’Agenzia è venuta a conoscenza del conto (es. scambio CRS) e le ragioni giuridiche della pretesa. Se è eccessivamente generico, si può eccepire difetto di motivazione. Idem se non vi hanno notificato l’eventuale esito del PVC o altre garanzie procedimentali (es. mancata risposta alle vostre osservazioni inviate in compliance, anche se su questo la giurisprudenza è oscillante). Qualsiasi vizio procedurale va sollevato. – Assenza di evasione e buona fede: non è un motivo di annullamento, ma è un fattore da evidenziare a vostro favore. Potete sottolineare, ad esempio, che dal conto non risultano redditi evasi (solo capitali già tassati) – ciò toglie gravità alla violazione e potrebbe orientare il giudice a un trattamento sanzionatorio mite (nei limiti della legge). Potete citare Cass.19849/2021 che conferma come la sola omissione RW non sottenda necessariamente attività criminose . – Citate giurisprudenza di supporto: ad esempio: – Cass. Pen. 19849/2021 – “omessa compilazione RW non comporta di per sé reato di riciclaggio né implica automaticamente evasione” . – Cass. 11849/2023 e Cass. 28077/2024 – applicazione del cumulo giuridico sulle sanzioni RW pluriennali, escludendo aumenti ulteriori per recidiva . – Cass. 6409/2025 – presunzione di evasione per paesi black list non applicabile a casi non rientranti, e comunque non retroattiva . – Sentenze di merito a voi favorevoli (se esistono, es. CTP Milano 2022 che ha annullato sanzione per soglia non superata, ecc.). – Normativa: art. 4 D.L.167/90 (obblighi RW), art. 5 c.2 D.L.167/90 (sanzioni 3-15%), art. 12 D.Lgs.472/97 (cumulo), art. 6 c.2 D.Lgs.472/97 (incertezza), ecc.
Il giudice tributario valuterà de novo la questione. Se avete impostato bene la difesa, potrete ottenere: – L’annullamento totale dell’atto, se ad es. non c’era proprio obbligo o se vizi procedurali lo infirmano. – L’annullamento parziale o riduzione: ad es. eliminazione delle sanzioni per gli anni sotto soglia, oppure ricalcolo con continuazione su più anni (riducendo importo), oppure qualificare i redditi come non imponibili (quindi togliere la parte di imposte evase). – In alcuni casi, se vedono collaborazione e buona fede, i giudici in concreto modulano le sanzioni al minimo legale, pur confermando la violazione (nei limiti di quello che la legge consente, ossia possono applicare il minimo edittale se l’ufficio aveva messo di più).
Ricordiamo che se avevate risposto alla lettera di compliance spiegando le vostre ragioni, portate quella risposta come documento al giudice. Mostra che subito avevate evidenziato la vostra situazione e magari l’ufficio non l’ha considerata. Questo può mettervi in una luce positiva (“avevo subito spiegato che ero sotto soglia, ma l’Agenzia ha tirato dritto lo stesso”) .
Il processo tributario come detto ha i suoi tempi, ma la pendenza del ricorso non sospende automaticamente la riscossione salvo le eccezioni dette (1/3 imposte va comunque pagato, il resto sanzioni è sospeso ex lege se solo sanzioni). Quindi potreste trovarvi a sborsare una parte subito e poi attendere rimborso se vincete.
In definitiva, la via giudiziaria è l’ultima risorsa, da utilizzare se: – Somme elevate o ingiuste: se vi chiedono cifre importanti e ritenete di avere solide ragioni, vale la pena far valere i vostri diritti in tribunale. – L’Agenzia è stata inflessibile: se in adesione non vi hanno riconosciuto evidenze evidenti, un giudice terzo potrebbe invece darvi ragione. – Questione di principio: se volete far emergere un’interpretazione della norma (ad es. contestare un aspetto generale, come la natura di PayPal ai fini RW), il contenzioso può creare precedenti.
Certo, bisogna mettere sul piatto i costi (onorari dell’avvocato, contributo unificato – circa €30 per liti fino 5k, €60 fino 25k, €120 oltre 25k, ecc.) , e tempi (anni). Spesso l’adesione conviene più del ricorso se l’importo può essere ridotto a un livello accettabile. Ma se l’ufficio pretende troppo o sbaglia, la giustizia tributaria esiste proprio per sindacare queste pretese.
Da notare infine: dal 2023 le Corti Tributarie di primo grado hanno giudici togati professionali e c’è un clima più garantista in generale . Si è puntato su giudici più competenti e indipendenti per migliorare la fiducia nel sistema. Questo potrebbe tradursi in decisioni più equilibrate e, se il vostro caso è ben documentato, avete buone probabilità di ottenere ragione almeno parziale.
Post-sentenza: appello o definizione
Se in primo grado ottenete una sentenza sfavorevole, potete appellarla in secondo grado (entro 60 giorni dalla notifica della sentenza). In appello si può anche tentare nuovamente conciliazione (al 60% sanzioni). Se anche in appello doveste perdere, residua solo la Cassazione (costosa e limitata alle questioni di diritto).
In caso di vittoria, l’Agenzia può a sua volta appellare se ritiene. Spesso però, per importi modesti, se perdono in primo grado su motivi chiari (soglia non superata ecc.), possono anche non appellare.
È utile sapere che esistono anche procedure deflattive post-sentenza, ad esempio la definizione agevolata delle liti pendenti che talvolta viene riproposta con leggi di bilancio (pagamento di un tot% per chiudere il contenzioso in ogni grado). Non possiamo prevedere se ve ne saranno, ma è un altro motivo per portare avanti una causa se credete: a volte arriva un “condono” liti che permette di chiudere pagando poco anche se non si aveva ragione piena.
Simulazioni pratiche di casi reali (Italia)
Per consolidare la comprensione, presentiamo alcune simulazioni semplificate ispirate a casi reali, focalizzati su conti PayPal esteri non dichiarati. Ogni scenario mostra situazioni diverse e il possibile esito in termini di sanzioni e strategie difensive. NB: sono casi di fantasia plausibile, utili a scopo illustrativo; nella realtà ogni caso ha sfumature specifiche.
Caso 1: Conto PayPal di modesta entità sotto soglia
- Scenario: Anna, insegnante residente in Italia, possiede un conto PayPal personale utilizzato sporadicamente per piccoli acquisti e vendite occasionali di oggetti usati. Nel 2022 il saldo massimo toccato dal conto è stato di €10.000 e la giacenza media intorno a €4.000. Anna, conoscendo (correttamente) le regole, non ha indicato il conto nel quadro RW 2023 (redditi 2022) ritenendo che, essendo sotto la soglia di €15.000, non vi fosse obbligo. Nel luglio 2025 però riceve una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate che segnala: “Conto PayPal estero non dichiarato nel 2022 per saldo €10.000”. Anna rimane sorpresa, poiché era convinta di essere in regola.
- Azione intrapresa: Anna recupera gli estratti PayPal del 2022, che mostrano chiaramente: saldo massimo €10.000, saldo al 31/12 €2.000, giacenza media ~€4.000. Prepara quindi una risposta via PEC all’Agenzia in cui:
- Spiega che il suo conto rientrava nelle condizioni di esonero previste dall’art. 4 D.L. 167/90 modificato dalla L. 186/2014, avendo saldo max €10k (≤15k) e media ≤5k .
- Allega gli estratti conto annuali PayPal 2022 come prova dei suddetti valori.
- Dichiara che il conto era di natura personale, usato solo per acquisti privati e vendite occasionali di oggetti di modico valore (non generanti redditi imponibili).
- Chiede quindi di voler confermare che nessun obbligo dichiarativo sussisteva per quell’anno.
- Esito: L’ufficio, esaminati i documenti, prende atto che effettivamente Anna era sotto soglia e che non c’era IVAFE dovuta (media sotto 5k). Pertanto riconosce che non vi era obbligo di monitoraggio. Invia una breve risposta di archiviazione, oppure più semplicemente non procede oltre (silenzio-assenso). Nessuna sanzione è dovuta. Il caso si chiude con un semplice chiarimento.
- Commento: In questo esempio, Anna era nel giusto fin dall’inizio e ha saputo difendersi immediatamente, evitando anche solo il fastidio di un avviso formale. Ciò sottolinea l’importanza di conoscere bene le soglie di esonero: a volte il sistema di compliance invia lettere standard anche a chi sarebbe esonerato, basandosi magari sul solo fatto che esiste il conto segnalato via CRS. Fornendo tempestivamente le spiegazioni e i documenti, il contribuente ha fatto valere i propri diritti ed evitato sanzioni ingiustificate. Questo caso insegna che non tutte le lettere indicano effettivi illeciti – se pensate di essere a posto, raccogliete le prove e comunicatelo all’Agenzia con fiducia.
Caso 2: Conto PayPal estero cospicuo, fondi da redditi già tassati
- Scenario: Luigi, impiegato, ha un conto PayPal su cui nel triennio 2018-2020 ha transitato un grosso importo (circa €100.000), frutto però di risparmi personali e trasferimenti dal suo conto corrente italiano (dove gli veniva accreditato lo stipendio netto). In pratica Luigi usava PayPal come conto di appoggio: spostava periodicamente soldi dal conto bancario italiano (stipendio già tassato) a PayPal, e da lì faceva investimenti online o pagamenti. Luigi non ha indicato il conto PayPal nel Quadro RW in quegli anni, ignorando che andasse dichiarato. Nel 2023 riceve una lettera di compliance per “conto PayPal Lussemburgo non dichiarato – saldi annui: 2018 €50k, 2019 €80k, 2020 €100k”.
- Problematica: Luigi effettivamente avrebbe dovuto dichiarare il conto in RW (superava soglia ogni anno). Però non ha evaso redditi: i €100k erano redditi di lavoro già tassati in Italia, semplicemente trasferiti. Quindi c’è violazione del monitoraggio ma nessuna imposta evasa sui redditi.
- Azione intrapresa: Dopo consulto con un tributarista, Luigi decide di effettuare un ravvedimento operoso per sanare il quadro RW triennale. In particolare:
- Presenta dichiarazioni integrative per 2018, 2019, 2020 inserendo il conto PayPal in RW con i valori corretti.
- Calcola le sanzioni RW ridotte. Essendo passati oltre 2 anni, applica 1/6 del minimo: minimo 3% → 0,5%. Dunque per €50k (2018) paga €250, per €80k (2019) €400, per €100k (2020) €500. Totale sanzioni ~€1.150.
- Versa anche l’IVAFE dovuta per quegli anni: il conto aveva giacenza media sopra 5k, quindi €34,20 per anno. Totale IVAFE arretrate ~€102 (34,20×3).
- Non deve nulla per imposte sui redditi, in quanto appunto non c’erano redditi non dichiarati (la lettera non contestava redditi, solo il conto).
- Invia PEC all’Agenzia comunicando l’avvenuta regolarizzazione spontanea e allegando F24 e integrative.
- Esito: L’Agenzia, ricevuta comunicazione e verifica in Anagrafe tributaria le integrative, considera la posizione regolarizzata spontaneamente. Non viene emesso alcun accertamento. Luigi ha speso ~€1.250 in tutto (sanzioni + IVAFE + interessi irrisori), evitando rischi futuri.
- Cosa sarebbe successo se Luigi avesse ignorato la lettera? Probabilmente l’ufficio avrebbe emesso un atto di contestazione sanzioni RW per i 3 anni. La sanzione per ciascun anno sarebbe formalmente 3%-15%. Con buona probabilità avrebbero applicato il 3%: quindi 2018 €1.500, 2019 €2.400, 2020 €3.000, totale €6.900. Forse avrebbero riconosciuto il cumulo giuridico (violazione continuata): in tal caso avrebbero preso l’anno più grave (2020 €3.000) e aumentato magari del 50-100%. Diciamo sanzione finale €4.500. Comunque molto più dei €1.150 pagati in ravvedimento. Inoltre Luigi avrebbe avuto un procedimento aperto, con necessità di eventualmente aderire o ricorrere, investendo tempo e magari spese legali. Ecco perché ravvedersi subito conviene.
- Commento: Questo caso evidenzia che anche se non c’è evasione di redditi, l’omesso monitoraggio comporta sanzioni rilevanti, ma sanabili a costi contenuti. Luigi ha commesso un errore formale, ma senza dolo. Regolarizzando in autonomia ha risolto con minima spesa e nessuna ripercussione penale. Se avesse atteso, avrebbe pagato molto di più e sarebbe rimasto con l’ansia dell’accertamento. Importante: Luigi è stato in grado di dimostrare (e in sede di ravvedimento l’ha dichiarato) che quelle somme provenivano da redditi già tassati. Così facendo, anche l’Agenzia non ha cercato di presumere alcunché. In situazioni simili, allegare prove (ad es. estratti conto bancari che mostrano bonifici dal proprio conto italiano) è utile per scongiurare interpretazioni errate.
Caso 3: Conto PayPal per vendite online non dichiarate (evasione di redditi)
- Scenario: Marco, 30 anni, nel 2020-2021 ha svolto un’attività non ufficiale di vendita di sneakers ed elettronica su eBay, incassando i pagamenti su PayPal per circa €30.000 l’anno. Non ha partita IVA né ha dichiarato nulla al Fisco. Il conto PayPal (Lussemburgo) nel 2021 ha avuto saldi considerevoli (fino €20.000). Nel 2024 Marco riceve dall’Agenzia lettera di compliance per omessa dichiarazione del conto PayPal 2021 (€20k) e possibili redditi non dichiarati correlati.
- Problematica: Qui c’è sia violazione RW, sia redditi d’impresa completamente in nero. Marco è in chiara posizione di evasione fiscale.
- Opzioni di Marco:
- Regolarizzazione spontanea completa: potrebbe aprire partita IVA retroattivamente (non semplice), dichiarare i redditi come redditi diversi se sostenesse fossero occasionali (difficile visto importi e continuità), e pagare tasse + sanzioni ridotte. È però un processo oneroso. Marco consulta un fiscalista che gli indica che ravvedersi per due anni di redditi evasi da €30k l’uno significherebbe pagare:
- IRPEF e IVA dovute su €60k (ipotizziamo ~€18k tra imposte varie).
- Sanzioni ravvedimento: 0,5% su valori RW (modesto) e ~20% sulle imposte evase (~€3.600).
- Totale sui €21.600 più interessi. Un salasso, ma comunque meno di un accertamento integrale (dove rischierebbe circa 180% di 18k = 32k di sole sanzioni, oltre ai 18k imposte, totale ~50k). Marco valuta di fare questo sforzo economico per mettersi in regola ed evitare guai peggiori.
- Tentare di sminuire l’attività: Marco potrebbe sostenere che si trattava di vendite occasionali di beni propri, non di un’attività d’impresa. Ma €30k/anno e centinaia di transazioni difficilmente collimano con “occasionale”. L’Agenzia lo qualificherebbe come lavoro autonomo o attività commerciale non dichiarata.
- Ignorare la lettera: e aspettare l’accertamento, sperando magari di farla franca o di patteggiare poi. Questa è la peggiore idea: in caso di accertamento, Marco subirebbe:
- Recupero di imposte su €60k (18k + interessi).
- Sanzioni: 120-240% sulle imposte evase (diciamo gli darebbero almeno 150%: ~27k).
- Sanzione RW: 3% su €20k = €600 (poca cosa in confronto).
- Totale ~€18k+27k+0.6k = ~€45.6k. E in più rischio penale (imposta evasa 18k annui < 50k, quindi niente omessa dichiarazione, però potrebbe configurarsi infedele se superasse soglia, qui non la supera per anno – 18k < 100k). Se poi aderisse, pagherebbe 1/3 di sanzioni e magari ridurrebbe qualcosa, ma comunque l’esborso resterebbe nell’ordine di decine di migliaia.
- Via di mezzo: alcuni in situazioni simili hanno provato a regolarizzare parzialmente, ad esempio dichiarando quei redditi come “redditi diversi” occasionali in integrativa. Ma se l’Agenzia scopre l’entità e sistematicità, non accetterà la qualificazione e tratterà come evasione d’impresa.
- Azione intrapresa da Marco: spaventato dalla lettera (che cita anche possibili profili penali in caso di mancata regolarizzazione), Marco decide di fare ravvedimento operoso completo sui due anni. Presenta integrative per 2020 e 2021 dichiarando €30k+€30k come redditi di lavoro autonomo occasionale (sperando di evitare contestazione IVA), paga IRPEF + addizionali (~27% medio su 60k = €16k), versa anche l’IVAFE e sanzioni ridotte (circa €3k). In totale sborsa sui €19.000. L’Agenzia prende atto e chiude la compliance.
- Esito e commento: Marco ha “sanato” la sua evasione con costi significativi, ma comunque evitando il rischio di un accertamento che poteva costargli il doppio. Ha inoltre evitato possibili conseguenze penali future (anche se nel suo caso probabilmente non scattavano, ma lui non era sicuro). La sua mossa è stata pragmatica: ha colto la “seconda chance” offerta dalla compliance. Naturalmente, da ora in poi dovrà dichiarare regolarmente i proventi o aprire posizione fiscale corretta. Spesso, infatti, l’Agenzia dopo una regolarizzazione del genere vigila sul contribuente negli anni successivi.
Questo caso evidenzia la convenienza della via collaborativa soprattutto per chi sa di aver evaso: le percentuali di sanzione applicate in accertamento possono arrivare vicino ai massimi , mentre con il ravvedimento si limitano al 20% o giù di lì. L’Agenzia stessa nelle lettere di compliance sottolinea: “presentando integrativa e ravvedimento potrà regolarizzare evitando sanzioni piene” . In situazioni come quelle di Marco, è saggio approfittarne.
Caso 4: Conto PayPal intestato a terzi (familiare non residente)
- Scenario: Francesca, residente italiana, aveva tra il 2017 e il 2019 disponibilità su un conto corrente in Svizzera cointestato con sua madre (residente all’estero). In realtà il conto era formalmente intestato solo alla madre, ma Francesca aveva delega e usava parte dei fondi. Nel 2019 il conto è stato chiuso e parte del denaro (€40.000) è stata trasferita su un conto PayPal intestato alla madre, di cui però Francesca conosceva credenziali e utilizzava per spese familiari. Francesca non ha dichiarato nulla in RW in quegli anni, pensando fosse tutto intestato alla madre. Nel 2025 arriva a Francesca una lettera di compliance che segnala “conto PayPal estero non dichiarato nel 2019 per €40.000”.
- Problematica: qui abbiamo un conto intestato a terzo (la madre), ma Francesca è stata individuata perché probabilmente la segnalazione CRS riportava il suo nome come utilizzatrice (forse il conto PayPal era collegato a una carta intestata a Francesca, o tramite l’indagine finanziaria sul trasferimento). In ogni caso l’Agenzia la ritiene soggetto obbligato al monitoraggio come titolare effettivo di una quota di quell’attività .
- Azione intrapresa: Caso complesso. Francesca, col supporto di un legale, risponde alla lettera spiegando:
- Che il conto era cointestato con persona non residente (la madre) e che lei deteneva solo metà di quelle somme .
- Documenta la provenienza originaria dei fondi (risparmi della madre) e la delega che aveva.
- Sostiene che la mancata indicazione è dovuta a incertezza, ma alla luce di ciò provvede ora a regolarizzare dichiarando la propria quota.
- Invia integrativa RW per il 2019 indicando €20.000 (50%) come valore detenuto, e versa la sanzione ridotta su 20k (0,5% = €100).
- Esito: L’Agenzia esamina e probabilmente accetta la spiegazione in parte: riconosce che Francesca doveva dichiarare solo il 50%. Se la lettera originaria considerava €40k tutti suoi, l’ufficio potrebbe adeguare la richiesta a €20k. Dato che Francesca ha già provveduto a integrare e pagare sanzioni ridotte su €20k, l’ufficio potrebbe chiudere la questione con quell’importo (magari chiedendo di integrare la sanzione se ritiene 0,5% troppo basso e pretendendo 3% su 20k = €600, ma potrebbe soprassedere visto la buona fede).
- Commento: Questo caso mostra come nei conti cointestati o di terzi, la difesa ruota attorno alla prova della effettiva quota di spettanza. Francesca, dimostrando che il conto era della madre per metà, ha evitato di essere sanzionata per l’intero importo . La collaborazione (dichiarazione integrativa e pagamento sia pur ridotto) mostra la sua volontà di regolarizzare. È probabile che, data la situazione, l’Agenzia non prosegua oltre, anche considerando che la madre è non residente (fuori dalla giurisdizione per l’obbligo RW). In giudizio, se si arrivasse, Francesca avrebbe buoni argomenti: l’art. 4 D.L.167/90 obbliga a dichiarare le attività “di cui si è titolari effettivi” e la giurisprudenza ha chiarito che va dichiarata solo la propria quota (Cass. 34447/2019, CTR Lombardia 2018 cases). Quindi un giudice le darebbe ragione sul limitare la sanzione al 50%.
Va detto: i conti intestati a terzi usati come schermo non sono infrequenti. Ma con gli scambi dati attuali, se il terzo è comunque collegato (es. familiare), il Fisco può incrociare e far emergere il beneficiario. È quindi sconsigliabile pensare di “far intestare a un amico straniero” per evitare monitoraggio: i rischi restano, e le lettere di compliance arrivano anche su queste situazioni.
Caso 5: Conto PayPal aziendale non registrato a bilancio
(Fuori tema principale ma per completezza, un caso imprenditoriale) – Scenario: XYZ Srl, azienda italiana, utilizza un account PayPal (registrato come Business Account intestato alla società) per incassare pagamenti dai clienti esteri. Negli anni 2020-21 il conto ha movimentato €200.000. La società, però, non ha riportato questo conto nelle scritture contabili né ha contabilizzato parte dei ricavi transitati su di esso (di fatto, ha creato fondi neri all’estero). Nel 2025 l’Agenzia invia una comunicazione (non una lettera di compliance standard, poiché per le società non c’è quadro RW, ma un avviso informativo) segnalando anomalie – di fatto preludio a verifica.
- Problematica: Le società di capitali non compilano RW, quindi qui non c’è violazione monitoraggio in senso stretto. Ma il conto occultato configura violazioni contabili e redditi non dichiarati. L’Agenzia non tratterà come compliance bonaria, probabilmente farà un PVC (processo verbale) e accertamento IVA/redditi. I rappresentanti possono essere perseguiti per dichiarazione infedele se superano soglie.
- Azione: Gli amministratori, col fiato sul collo, fanno emergere in contabilità il conto e presentano dichiarazioni integrative per rettificare ricavi 2020-21, cercando di aderire a un istituto di collaborazione (tipo adesione) per ridurre sanzioni. Si preparano inoltre a rispondere in solido anche personalmente se necessario.
- Esito: Questo caso evidenzia che per le società la problematica PayPal assume altri contorni: non c’è quadro RW, ma ci sono comunque obblighi di trasparenza via bilancio. L’occultamento viene sanzionato come evasione fiscale diretta e i conti scoperti via CRS sono usati come prova. In tali situazioni, più che lettere di compliance, scattano accessi e verifiche tradizionali. Quindi il consiglio è: le società che hanno conti PayPal (o altri wallet) devono riportarli in bilancio al pari degli altri conti, altrimenti i rischi sono alti. Le sanzioni in caso di accertamento includeranno le multe per omessa fatturazione, infedele dichiarazione IVA e IRES (90-180% imposta evasa) e possibili responsabilità penali per gli amministratori se soglie superate (es. IRES evasa > 150k euro annui = reato).
(Abbiamo incluso questo caso aziendale solo per distinguere la posizione: la guida però si concentra sulle persone fisiche, tipicamente bersaglio delle lettere di compliance RW.)
Come mostrano queste simulazioni, ogni situazione ha le sue peculiarità, ma alcuni principi generali emergono: – Agire tempestivamente paga sempre: chi chiarisce o regolarizza subito ottiene riduzioni enormi delle sanzioni . – Le soglie di esonero vanno tenute a mente: se il contribuente era sotto soglia, ha ottime carte per farsi annullare l’atto (come Anna). – La prova documentale è essenziale: conservare estratti, ricevute e fornirli può risolvere il caso a proprio favore. – L’Agenzia in sede bonaria non è punitiva a tutti i costi: se date evidenza che non c’era evasione di redditi o che avete agito per tempo, spesso chiude la vicenda con comprensione. Al contrario, chi nicchia e nasconde può attendersi la linea dura. – In contenzioso, i giudici tributari spesso riconoscono ragioni valide al contribuente (specie su quote, soglie, cumulo), per cui non bisogna temere di far valere i propri diritti se si è nel giusto.
Domande frequenti (FAQ) sull’omessa dichiarazione di conti PayPal esteri
D: Ho ricevuto la lettera di compliance. Entro quando devo rispondere?
R: La lettera non impone un termine perentorio per rispondere, poiché non è un atto formale impugnabile . Tuttavia, è consigliabile non ignorarla e attivarsi al più presto. In generale, conviene fornire riscontro entro 30-60 giorni dal ricevimento. Molte lettere invitano a regolarizzare “quanto prima” e alcune linee guida ufficiose indicano 60 giorni come periodo ragionevole di attesa prima di procedere oltre. In sintesi: non c’è una scadenza fissata, ma prima risolvi meglio è. Se avete bisogno di più tempo (es. per recuperare documenti), potete anche contattare telefonicamente l’ufficio per segnalare che state raccogliendo le informazioni: spesso mostrano disponibilità. L’importante è non lasciare cadere la cosa nel vuoto, perché trascorsi alcuni mesi senza vostre azioni, l’Agenzia potrebbe iniziare l’iter di accertamento.
D: Cosa succede se ignoro la lettera e non faccio nulla?
R: Ignorare la lettera è altamente sconsigliato. Se non rispondete né regolarizzate, l’Agenzia delle Entrate con ogni probabilità procederà con un accertamento formale . Ciò significa che, dopo un certo tempo, vi verrà notificato un avviso di accertamento (o atto di contestazione) con tutte le sanzioni piene, e/o con il recupero delle imposte evase se presenti. In quella fase dovrete pagare subito almeno un terzo delle imposte accertate e avrete 60 giorni per fare ricorso o chiedere adesione. In pratica, vi troverete nella posizione scomoda di contestare un atto ormai emesso, con sanzioni presumibilmente al massimo o vicino al massimo . Inoltre, ignorare la lettera può essere interpretato dall’ufficio come atteggiamento non collaborativo, il che spesso li induce a non fare sconti in sede di adesione o conciliazione. Al contrario, chi risponde e magari paga spontaneamente viene visto di buon occhio (le circolari interne invitano a graduare le sanzioni in base alla collaborazione del contribuente). Quindi, non reagire affatto è la scelta peggiore. Anche se pensate che la lettera sia sbagliata, conviene comunque comunicare la vostra posizione all’ufficio (presentando le vostre ragioni). Se invece sapete di avere effettivamente un problema, approfittate della finestra di compliance per sistemare a costi ridotti, prima che arrivi la stangata.
D: Devo presentarmi di persona in Agenzia oppure rispondere per iscritto?
R: Non c’è bisogno di recarsi fisicamente allo sportello, a meno che non lo vogliate espressamente. La lettera di compliance non è una convocazione: tutto si può gestire da remoto . Potete tranquillamente: – Inviare una PEC o email all’indirizzo indicato, con la vostra risposta e gli eventuali allegati. – Oppure utilizzare il servizio telematico CIVIS (se previsto per questo tipo di comunicazione) dal vostro cassetto fiscale, per interloquire online. – In alternativa, telefonare al numero fornito per chiarimenti, e poi formalizzare via PEC ciò che emerge.
Alcune lettere includono un fac-simile di risposta che potete compilare e inoltrare . L’importante è dare un riscontro scritto che rimanga agli atti. Presentarsi di persona non è necessario, a meno che non preferiate fissare un appuntamento. In tal caso, potete contattare l’ufficio e chiedere un incontro (anche via videochiamata volendo). Ma ripetiamo: non vi è alcun obbligo di comparizione e la vostra situazione non peggiora se non andate di persona. Una buona memoria difensiva inviata via PEC ha lo stesso valore, anzi spesso maggiore (perché ben documentata). L’Agenzia stessa, nelle FAQ 2018, ha chiarito che se uno ritiene di essere a posto può comunicarlo per iscritto allegando documenti, non c’è bisogno di altro .
D: Se sul conto c’erano pochi soldi (poche migliaia di euro), devo comunque dichiararlo?
R: Dipende se rientri nelle soglie di esonero previste. Come spiegato, per i conti correnti esteri vige l’esonero se saldo massimo annuo ≤ €15.000 e giacenza media annua ≤ €5.000 . Quindi, se complessivamente i tuoi conti esteri non superano tali limiti, non devi indicare nulla in RW. Ad esempio, se il tuo conto PayPal ha avuto al massimo €8.000 e mediamente €3.000, sei sotto soglia e non va dichiarato . Attenzione però a due cose: – La soglia media 5k rileva per l’IVAFE: se la superi, devi dichiarare per pagare l’IVAFE anche se sei sotto 15k di picco . – Le soglie valgono solo per conti di denaro: se all’estero hai altre attività (investimenti, ecc.), quelle vanno dichiarate sempre.
In sintesi: sì, esiste una soglia sotto cui un conto in banca estero non va dichiarato (15k max/5k medi). Ma se, ad esempio, il tuo conto PayPal avesse avuto anche solo un giorno sopra 15k (es. ricevi un pagamento straordinario di 16k), quell’anno l’obbligo scatta . Inoltre, se hai più conti esteri, devi considerarli cumulativamente: tanti piccoli conti che separatamente sono sotto soglia, se sommati superano 15k, fanno comunque scattare l’obbligo . Dunque verifica bene i valori. Nel dubbio, come consiglio generale, se sei vicino alle soglie dichiaralo comunque: non c’è penalità nel dichiarare un conto di 10k (sei libero di farlo anche se non obbligato), mentre non dichiararlo quando eri a 14.999 € può attirare una lettera e poi starà a te dimostrare che eri appena sotto.
D: Il conto PayPal va sempre indicato nel quadro RW, essendo all’estero?
R: No, va indicato solo se soddisfa le condizioni per cui qualunque conto estero va dichiarato. In pratica, bisogna chiedersi: “Se questo conto PayPal fosse un conto bancario in Lussemburgo, avrei l’obbligo di monitoraggio?”. La risposta, applicando le regole, è quella data sopra: sì se superi €15.000 di saldo max (anche un solo giorno), sì se superi €5.000 di giacenza media (per l’IVAFE), no se rimani entro entrambi i limiti . Quindi, non è vero che semplicemente avere un conto PayPal all’estero implica l’obbligo: se lo usi come mero transito e non ci tieni mai sopra grosse somme, potresti essere esonerato . Purtroppo molti non conoscono queste finezze e pensano erroneamente “sotto 10k non devo niente” (la soglia è 15k, non 10k ormai) o al contrario credono di dover dichiarare qualsiasi conto estero anche con 100 € (il che porta a un eccesso di zelo, non sanzionato ma nemmeno necessario).
Ricordiamo comunque che PayPal è considerato un conto estero a tutti gli effetti : è come avere un conto in una banca lussemburghese. Non è un semplice “conto virtuale” esente da regole fiscali. Su questo non ci sono dubbi interpretativi oggi (magari c’erano 10 anni fa). Quindi, se hai un conto PayPal attivo con somme significative, abituati a valutarne la dichiarazione come faresti per un conto in Svizzera o Francia. E se decidi di non dichiararlo perché credi di essere sotto soglia, assicurati di monitorare i movimenti: basta un picco sopra soglia per farti perdere l’esonero .
D: Quali sanzioni rischio concretamente se avevo l’obbligo e non ho dichiarato?
R: Riepilogando in termini pratici: – Se non hai dichiarato il conto PayPal in RW dovevi farlo, rischi una sanzione amministrativa dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato per ogni anno . L’Agenzia tende ad applicare il 3% per anno in casi standard . Quindi, ad esempio, se non hai dichiarato €20.000 per 2 anni, rischi ~€600 per anno, totale €1.200. Se il paese fosse stato black list (non il caso di PayPal), sarebbe il doppio. – Se oltre al conto c’erano redditi non dichiarati (interessi, ricavi, ecc.), rischi anche la sanzione sul tributo evaso: tipicamente il 120% dell’imposta evasa (questo è il centro range per redditi esteri) . Ad esempio, se non hai dichiarato €5.000 di redditi e l’imposta su quelli era €1.500, la sanzione potrebbe essere intorno a €1.800 (120% di 1.500). Più ovviamente dovrai versare i €1.500 di imposta non pagata. – Se non vi erano redditi ma solo il conto, allora l’unica sanzione è quella del 3-15%. E come detto, sotto certe soglie neanche quella perché non c’era obbligo. – In casi di pluriennalità, se ti contestano più anni, l’importo potrebbe aumentare ma c’è il meccanismo della continuazione (che in genere modera il totale) . Quindi, 5 anni di omissione non sono esattamente 5×3%, ma magari qualcosa come 3% × 1.5 (aumento 50%) – dipende. Ad ogni modo, più anni = più importo da pagare. – Scenario penale: nella stragrande maggioranza dei casi di conti PayPal di privati, non scatta alcun reato. Diventa penalmente rilevante solo se i redditi evasi generati su quel conto portano ad oltre 50k € di imposte evase annue (cosa rara a meno di enormi cifre) o se la somma era così grande da ipotizzare riciclaggio. Ma ripeto, per conti da decine o poche centinaia di migliaia di euro, la questione rimane amministrativa. La Cassazione ha espressamente escluso che l’omessa compilazione del quadro RW di per sé configuri reato .
Riassumendo: il rischio principale è economico (multa). Per fare un altro esempio concreto: Tizio non ha dichiarato €10.000 su PayPal per 3 anni, e quei 10k erano frutto di vendite non tassate – in accertamento rischia circa €300 ×3 = €900 (RW) + magari €1.200 di sanzioni su imposte evase + €? imposte evase. Totale qualche migliaio di euro. Non rovina la vita, ma è comunque denaro buttato, più seccature e fedina fiscale sporca. Prevenire è meglio.
D: Posso evitare del tutto le sanzioni se dimostro che non c’era volontà di evadere?
R: Purtroppo no, se c’era oggettivamente un obbligo non rispettato. Le sanzioni tributarie sono oggettive: scattano per il fatto in sé, indipendentemente dal dolo salvo casi particolari. L’assenza di volontà evasiva può essere utile per: – Convincere l’ufficio o il giudice ad applicare il minimo edittale (3% o 90%) invece di percentuali maggiori, perché riconoscono la tua buona fede . – Evitare conseguenze penali, perché se provi che non c’era reato presupposto non c’è riciclaggio, ecc. (vedi Cass. 19849/21). – Ottenere magari l’esclusione della sanzione se rientra nell’ambito dell’incertezza normativa: se dimostri che la norma era davvero poco chiara e tu hai interpretato in buona fede diversamente, c’è l’esimente (ma difficile da far valere). – Chiedere all’ufficio l’annullamento in autotutela per errore scusabile: onestamente raro.
In generale, però, se il conto andava dichiarato e non l’hai fatto, una multa amministrativa va pagata. La legge prevede sanzioni ridotte per chi collabora (ravvedimento, adesione), ma non uno scudo totale a meno di rientrare in quelle cause di non punibilità (incertezza oggettiva). La tua buona fede sarà premiata con sanzioni al minimo e magari con la chiusura bonaria del caso, ma non con l’azzeramento automatico della sanzione. Detto ciò, presentarsi come contribuente collaborativo e in buona fede è la mossa giusta per ottenere il massimo della clemenza consentita.
D: Se regolarizzo tutto tramite ravvedimento operoso, l’Agenzia poi mi controllerà di nuovo?
R: In linea di massima, una volta che hai presentato le integrative e pagato quanto dovuto, la specifica posizione segnalata dovrebbe considerarsi chiusa. L’Agenzia non avvierà un ulteriore accertamento sullo stesso oggetto, perché hai già autodenunciato e saldato (non avrebbe senso farti un avviso per darti magari sanzione piena, tu potresti opporre che ti eri ravveduto prima). Quindi su quel conto/per quegli anni, dormi tranquillo. È possibile però che: – Se la regolarizzazione ha messo in luce redditi prima non noti, questi dati confluiscano nelle banche dati e potrebbero influire sul tuo profilo di rischio. Quindi l’anno prossimo potresti rientrare in qualche lista di controlli se, ad esempio, emergono incongruenze (tipo ora dichiari un reddito più alto rispetto a prima, ecc.). Non è automatico comunque. – L’Agenzia potrebbe, per scrupolo, fare un controllo formale delle integrative: ma se tutto quadra, ok. – In futuro, ti terranno d’occhio se continui ad avere conti esteri. Spesso, dopo una compliance su un conto, i dati di quell’account restano monitorati annualmente. Se in futuro lo userai di nuovo e non lo dichiarerai, se escono di nuovo valori ti manderanno ancora lettera o direttamente accertamento aggravato (perché recidivo).
Quindi, una volta sanato, ti conviene proseguire correttamente: includi sempre il conto PayPal in RW se dovuto, dichiara i relativi redditi se ce ne sono. Così eviterai di essere considerato recidivo (nel qual caso sarebbero più severi). In generale, l’esperienza insegna che dopo un ravvedimento il contribuente entra in una sorta di “sorveglianza”: se torna a sgarrare, scatta subito l’accertamento. Ma se invece da lì in avanti fa tutto per bene, non avrà problemi.
D: Sono un avvocato/consulente con un cliente che ha ricevuto questa lettera: conviene ravvedersi subito o aspettare l’accertamento e fare ricorso?
R: Come professionista, il tuo compito è valutare costi-benefici per il cliente. In linea di massima: – Ravvedersi subito conviene economicamente quasi sempre (sanzioni ridotte e niente spese legali). Inoltre evita incertezza e stress al cliente. – Fare opposizione (non ravvedersi e aspettare atto per ricorrere) ha senso solo se siete ragionevolmente certi di vincere in toto in contenzioso, o se il cliente preferisce tentare l’annullamento totale rischiando però sanzioni piene se va male. Esempi: cliente era oggettivamente sotto soglia → in giudizio vincerebbe, ma può ottenere archiviazione anche in sede bonaria comunicando i dati, dunque non c’è motivo di non ravvedersi (non dovendo pagare nulla in quel caso). Oppure c’è un vizio procedurale clamoroso nell’azione del Fisco → si può pensare di ricorrere. – Adesione dopo accertamento: in alcuni casi qualcuno preferisce non ravvedersi, far emettere l’atto e poi chiudere in adesione. Ma è un azzardo: perché pagherebbe 1/3 delle sanzioni edittali (quindi 1/3 di 3% = 1% per anno) contro 0,5% col ravvedimento. E pagherebbe comunque il 100% delle imposte evase col ravvedimento o con adesione, quelle non cambiano. In più dovrebbe pagare 1/3 entro 60gg (se imposte) e affrontare la trafila. Dunque a meno che non ci sia un motivo tattico (es. guadagnare tempo), meglio ravvedere subito. – Casistica penalistica: se il cliente rischia il penale (grossa evasione), ravvedersi prima di accertamento estingue il reato in molti casi. Invece attendere l’accertamento può complicare la situazione penalmente (specie se arrivi a giudizio senza aver sanato). Quindi, in ottica difesa globale, ravvedimento è quasi d’obbligo per mettere il cliente al riparo.
Come consulente, valuta anche la certezza del diritto: ravvedersi chiude definitivamente, ricorrere apre ad alea. Un giudice potrebbe anche sorprendere con decisioni sfavorevoli su aspetti dove eravamo fiduciosi. A meno che il cliente non abbia nulla da perdere (situazione in cui tanto l’atto sarebbe devastante e preferisce tentare il tutto per tutto), la prudenza suggerisce di cogliere le opportunità di definizione agevolata.
D: Ci sono stati casi simili al mio e come sono stati risolti in tribunale?
R: Sì, ci sono diverse pronunce. Ad esempio: – Cassazione civile sez. trib. n. 11849/2023: ha stabilito che per omessa compilazione RW su più anni si applica il cumulo giuridico ex art.12 D.Lgs.472/97, senza cumulo di recidiva . Ciò a tutela del contribuente (non si sommano le sanzioni anno per anno integralmente). – Cassazione penale sez. VI n. 19849/2021: ha affermato che l’omessa presentazione del quadro RW non costituisce di per sé reato di riciclaggio o autoriciclaggio . Serve un reato fiscale presupposto provato, altrimenti la sola violazione amministrativa non basta a configurare reato. – Cassazione sez. V n. 20030/2022: ha confermato che le sanzioni RW sono di natura sostanziale ma ha richiamato il principio di proporzionalità, giudicando comunque legittimo il 3% minimo applicato (ritenuto non esorbitante rispetto allo scopo anti-evasione). – Cassazione sez. VI-5 ord. n. 28077/2024: ha ribadito il concetto di continuazione nelle violazioni RW, in linea con la 11849/23. – Cassazione sez. V ord. n. 6409/2025: caso importante sui conti in Svizzera 2008, dove la Corte ha delimitato l’applicazione della presunzione di evasione dei capitali esteri (art.12 DL 78/09), evidenziando che non si applica retroattivamente e che comunque la detenzione non dichiarata in black list può essere valutata come presunzione semplice se la norma non copre quell’anno . Tradotto: oggi su Lussemburgo (white list) l’ufficio non può presumere nulla di automatico, deve provare caso per caso l’eventuale evasione. – CTR Lombardia n. 140/2018 (esempio): ha annullato sanzione RW perché contribuente sotto soglia di €15k quell’anno – la lettera del 2016 fu contestata e il giudice diede ragione al contribuente sul fatto che non c’era obbligo. – CTP Milano 2020 (sentenza non pubblicata): in un caso PayPal ha annullato le sanzioni ravvedute ritenendo la collaborazione piena ex art.13 D.Lgs.472/97 (ma questo è stato un caso fortunato, dove il giudice ha praticamente azzerato le residue sanzioni a chi si era ravveduto tardi ma prima dell’atto).
Ogni caso è a sé, ma la tendenza è: i giudici applicano la legge in modo abbastanza rigoroso sui principi (se dovevi dichiarare e non l’hai fatto, la violazione c’è), però sono attenti a non far pagare oltre il dovuto (correggono errori dell’Agenzia, applicano i benefici come cumulo, soglie, minima sanzione, ecc.). Inoltre mostrano comprensione per chi non ha evaso redditi (a volte nelle sentenze si legge che l’omessa RW è stata un’infrazione formale su cui hanno scelto il minimo perché non c’era occultamento di imponibile, ecc.).
D: Se ho già chiuso il conto PayPal prima che scoprano, posso non dichiararlo?
R: Attenzione: l’obbligo di dichiarazione RW riguarda il possesso nel periodo d’imposta. Se hai avuto un conto estero anche solo per parte dell’anno, dovevi dichiararlo in RW di quell’anno (indicando magari che a fine anno era a zero se l’hai chiuso). Quindi chiudere il conto non “cancella” il passato. Molti pensano: “Ho chiuso prima del 31/12, quindi non devo dichiararlo”. Sbagliato: va dichiarato indicando valore al 31/12 = 0 e valore massimo l’importo max. Il fatto che fosse chiuso a fine anno non esonera (lo esonera solo se saldo max < 15k, come visto). Dunque, se l’hai chiuso ma durante l’anno aveva soldi sopra soglia, andava comunque monitorato. Se non l’hai fatto, puoi ancora ravvederti finché sei nei termini (5 anni). Quindi occhio: anche conti chiusi vengono scoperti dal CRS (l’ultimo anno di vita del conto viene segnalato, con saldo finale 0 ma valore max tot). Anzi, molte compliance riguardano conti esteri chiusi anni fa – proprio perché uno chiudendo si dimentica di dichiararli e pensa fine della storia, invece il CRS li svela.
Se invece il conto è intestato a terzi e l’hai solo utilizzato, chiuderlo non cambia la sostanza: se l’Agenzia scopre che lo utilizzavi nel passato, potresti esser chiamato a risponderne per quel periodo.
In sintesi: la chiusura del conto rileva solo per non dover dichiarare negli anni successivi alla chiusura, ma non copre le omissioni pregresse.
D: Ho paura di sbagliare nel fare ravvedimento o rispondere: posso farmi assistere dall’Agenzia stessa?
R: Puoi sicuramente contattare l’ufficio per chiedere chiarimenti. Alcune lettere forniscono contatti telefonici proprio per aiutare i contribuenti a capire cosa fare . Gli operatori potranno spiegarti come procedere, quali modelli presentare ecc. Tuttavia, tieni presente che il loro ruolo non è di consulenti personalizzati: potrebbero non suggerirti tutte le vie difensive (es. difficilmente ti diranno “se eri sotto soglia non pagare nulla”, questo devi saperlo tu). Per sicurezza e per curare i tuoi interessi al 100%, se non ti senti sicuro dovresti rivolgerti a un professionista di fiducia (dottore commercialista o avvocato tributarista). Molti studi offrono consulenze mirate su queste lettere, con parcelle spesso modeste rispetto alle cifre in gioco. Inoltre, tramite un consulente potresti interloquire meglio con l’ufficio (linguaggio tecnico, ecc.). In alcuni casi, l’intermediario abilitato può utilizzare il canale CIVIS o il proprio cassetto per gestire la compliance. L’Agenzia fornisce assistenza, sì, ma ricordati che sta comunque dall’altra parte: il suo obiettivo è farti regolarizzare/pagare. Un consulente invece cerca la soluzione ottimale per te (ad esempio, potrebbe scoprire che non devi pagare niente e difenderti in tal senso). Quindi, usiamo pure la cortesia dell’ufficio per chiarimenti, ma per le scelte strategiche affidiamoci a un esperto nostro.
Fonti normative e giurisprudenziali citate:
- D.L. 28 giugno 1990 n. 167, art. 4 (convertito con mod. in L. 227/1990): obbligo di monitoraggio fiscale delle attività estere . Art. 5, co.2: sanzione 3%-15% per omessa dichiarazione investimenti esteri .
- Legge 4 agosto 2014 n. 186, art. 2: modifica soglia monitoraggio conti correnti da €10k a €15k (dal 2014) .
- D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, art. 12: disciplina del cumulo giuridico delle sanzioni (continuazione) ; art. 6, co.2: esclusione sanzioni per obiettiva incertezza.
- D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, art. 1, co.2: sanzione 90-180% per dichiarazione infedele (imposte evase) .
- D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 17-bis: (abrogato dal 2023) reclamo-mediazione tributaria .
- D.Lgs. 30 marzo 2000 n. 74, art. 4: reato di dichiarazione infedele (soglia €100k imposta, 10%); art. 5: reato di omessa dichiarazione (soglia €50k imposta) .
- D.L. 1° luglio 2009 n. 78, art. 12, co.2: presunzione reddituale per investimenti esteri in black list (e raddoppio termini co.2-bis); interpretazione in Cass. 6409/2025 .
- Cassazione Penale, sez. VI, sent. 19 maggio 2021 n. 19849: omessa dichiarazione RW non integra di per sé reato di riciclaggio/autoriciclaggio .
- Cassazione Civile, sez. V, ord. 5 maggio 2023 n. 11849: in caso di omessa compilazione RW pluriennale si applica solo il cumulo giuridico ex art.12 co.5 D.Lgs.472/97 (aumento fino al triplo) ed è escluso l’aumento ex co.1 (recidiva) .
- Cassazione Civile, sez. V, ord. 11 marzo 2025 n. 6409: limiti di applicazione della presunzione art.12 DL 78/09 – non retroattività e portata sui paesi black list . Conferma che su Lussemburgo (white list) non vige presunzione legale di evasione .
- Cassazione Civile, sez. V, ord. 20 ottobre 2024 n. 28077: (richiamata) si allinea a 11849/2023 sul trattamento sanzionatorio unitario per plurime omissioni RW.
- Circolare Agenzia Entrate 38/E del 23/12/2013, §1.3: chiarimenti su esoneri monitoraggio (frontalieri, conti esteri cointestati, soglie dopo voluntary disclosure) .
- Provvedimento AdE 18.12.2013: esclusione obbligo RW per attività estere affidate in gestione/administration a intermediari italiani (sostituti d’imposta) .
- FAQ Agenzia Entrate 6/12/2018: gestione lettere compliance su conti esteri – suggerimenti su risposte con documenti .
- Direttiva UE 2014/107 (DAC2) e Standard CRS OCSE: base giuridica scambio automatico info finanziarie, recepita in Italia.
- Risoluzione AE n. 9/E 2023 (ipotetica, sulle criptovalute): definizione di cripto-attività come attività estere da RW.
- Giurisprudenza di merito varia: es. CTP Milano n. 288/2019 (incertezza normativa su RW cripto, sanzione annullata); CTR Toscana 2016 (cumulo giuridico su omesse RW); etc.
(Queste fonti possono essere consultate per maggiori dettagli; molte sono reperibili sui siti istituzionali o tramite banche dati giuridiche.)
Conclusione: Difendersi da una contestazione su conti PayPal non dichiarati è possibile e spesso con esiti positivi per il contribuente, purché si agisca con cognizione di causa. Il segreto sta nel giocare d’anticipo, utilizzare gli strumenti di legge (ravvedimento, adesione) e conoscere bene diritti e doveri. Questa guida ha fornito un panorama completo – normativo, strategico e pratico – per affrontare la situazione dal punto di vista del contribuente/debitore, minimizzando l’impatto economico e legale. In ogni caso concreto, adattate i principi generali alla peculiarità del caso e, se necessario, fatevi assistere da professionisti qualificati. Con preparazione e tempestività, anche il “terribile” avviso del Fisco può essere gestito e risolto senza drammi. Buona compliance a tutti!
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⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Accrediti PayPal non riportati in dichiarazione come reddito;
- Utilizzo di PayPal come conto alternativo a quello bancario per incassi professionali o commerciali;
- Movimenti ricorrenti che fanno presumere un’attività d’impresa o di lavoro autonomo non dichiarata;
- Disallineamenti tra i flussi PayPal e quanto dichiarato al fisco;
- Importi rilevanti trasferiti su conti correnti senza adeguata giustificazione.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero delle imposte su tutti gli importi considerati reddito;
- Applicazione di sanzioni per omessa o infedele dichiarazione;
- Interessi di mora sulle somme dovute;
- Rischio di contestazioni per evasione fiscale o attività occulta, in caso di movimenti abituali e significativi;
- Responsabilità patrimoniale personale del contribuente.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Gli accrediti derivano davvero da attività imponibili o si tratta di rimborsi, trasferimenti familiari o donazioni?
- La frequenza e l’entità delle transazioni giustificano la qualificazione come reddito?
- Sono state già assolte imposte su quelle somme in altre forme?
- L’Agenzia dispone di dati concreti o si basa su presunzioni?
- Esiste documentazione che provi la reale natura degli incassi?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Estratti conto PayPal con causali dei movimenti;
- Documentazione bancaria collegata ai trasferimenti;
- Fatture, ricevute o contratti in caso di attività effettiva;
- Dichiarazioni fiscali degli anni contestati;
- Prove che attestino la natura non imponibile degli accrediti (rimborsi spese, donazioni, trasferimenti familiari).
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare che gli accrediti non avevano natura reddituale (donazioni, rimborsi, trasferimenti personali);
- Contestare l’inclusione automatica di tutte le somme come reddito imponibile;
- Evidenziare la buona fede e la complessità normativa nell’utilizzo di piattaforme estere;
- Richiedere la riduzione delle sanzioni tramite ravvedimento operoso o definizione agevolata;
- Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini;
- Difesa penale mirata in caso di contestazioni per evasione fiscale.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i movimenti PayPal e la loro natura giuridica;
📌 Verifica la legittimità della contestazione e i punti deboli dell’accertamento;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e, se necessario, nei procedimenti penali;
🔁 Suggerisce soluzioni preventive per una corretta gestione fiscale degli strumenti di pagamento digitali.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità digitale e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su PayPal e sistemi di pagamento elettronici;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sugli accrediti PayPal non dichiarati non sempre sono fondate: spesso si basano su presunzioni errate o sulla mancata distinzione tra redditi e movimenti personali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale natura delle somme, evitare la riqualificazione come reddito imponibile e ridurre sensibilmente sanzioni e interessi.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sugli accrediti PayPal inizia qui.