Hai ricevuto un accertamento dall’Agenzia delle Entrate per non aver dichiarato investimenti in ETF esteri? In questi casi, l’Ufficio presume che i redditi generati da tali strumenti finanziari non siano stati correttamente riportati nella dichiarazione e che sia stata omessa anche la compilazione del quadro RW per il monitoraggio fiscale. Le conseguenze sono molto gravi: tassazione dei redditi non dichiarati, applicazione di sanzioni proporzionali e rischio di controlli patrimoniali più ampi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben costruita è possibile regolarizzare la posizione o ridurre sensibilmente l’impatto delle sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’omissione di investimenti in ETF esteri
– Se non è stato compilato il quadro RW relativo al monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero
– Se non sono stati dichiarati i redditi di capitale o i redditi diversi derivanti dagli ETF
– Se l’intermediario estero non ha operato come sostituto d’imposta in Italia
– Se emergono incongruenze tra i movimenti bancari e quanto dichiarato ai fini fiscali
– Se l’Ufficio rileva la mancata tassazione di plusvalenze, dividendi o interessi collegati agli ETF
Conseguenze della contestazione
– Tassazione dei redditi di capitale e diversi non dichiarati
– Applicazione di sanzioni fino al 30% per la mancata indicazione nel quadro RW
– Interessi di mora sulle somme non versate
– Possibile contestazione di violazioni valutare con riferimento agli investimenti esteri
– Accertamenti patrimoniali più estesi su altri conti e strumenti finanziari detenuti all’estero
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’avvenuta dichiarazione dei redditi o la non imponibilità di alcune somme percepite
– Produrre documentazione bancaria e certificazioni rilasciate dagli intermediari esteri
– Contestare la qualificazione dei redditi come non dichiarati se già assoggettati a ritenuta in Italia
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di calcolo o carenze istruttorie nell’accertamento
– Valutare l’adesione a strumenti deflattivi del contenzioso per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione relativa agli ETF e ai redditi contestati
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta qualificazione fiscale degli investimenti
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio personale e familiare da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni tramite riqualificazione della violazione
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La possibilità di regolarizzare la posizione con costi ridotti
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: gli investimenti in ETF esteri sono sotto stretta vigilanza del Fisco, soprattutto per quanto riguarda il monitoraggio fiscale e la tassazione dei redditi finanziari. È essenziale predisporre una difesa solida e tempestiva per evitare conseguenze economiche pesanti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscale internazionale – spiega come difendersi in caso di contestazioni per omissione di investimenti in ETF esteri e quali strategie adottare per proteggere i tuoi interessi.
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Introduzione
L’Agenzia delle Entrate italiana ha intensificato i controlli sugli investimenti esteri detenuti da contribuenti residenti, sfruttando lo scambio automatico di informazioni finanziarie internazionali (Common Reporting Standard, CRS) . Ciò significa che conti correnti, partecipazioni ed ETF esteri non dichiarati possono essere facilmente individuati. Quando il Fisco accerta un’omissione – ad esempio investimenti in ETF domiciliati all’estero non indicati in dichiarazione – il contribuente rischia sanzioni elevate, interessi e persino conseguenze penali nelle ipotesi più gravi. Questa guida, aggiornata ad agosto 2025, offre un’analisi approfondita della normativa italiana vigente e delle strategie di difesa possibili, dal punto di vista del debitore tributario (il contribuente), con un taglio adatto a professionisti legali, imprenditori e privati esperti.
Analizzeremo dapprima il quadro normativo sugli investimenti esteri: il principio della tassazione mondiale, gli obblighi di dichiarazione dei redditi esteri e di monitoraggio fiscale (Quadro RW). In seguito, dettaglieremo la tassazione dei proventi da ETF esteri (capital gain, dividendi) – ad esempio fondi/ETF domiciliati in Irlanda o Lussemburgo – e cosa costituisce omissione agli occhi del Fisco. Descriveremo poi come l’Agenzia raccoglie informazioni (es. tramite CRS) e il procedimento tipico di accertamento fiscale in questi casi. Saranno approfondite le sanzioni amministrative previste (mancata compilazione RW, evasione imposte sui redditi esteri, IVAFE) e le eventuali implicazioni penali, con riferimenti alle più recenti sentenze della giurisprudenza (Corte di Cassazione 2023-2025) e circolari ufficiali.
Dal punto di vista difensivo, esamineremo gli strumenti a disposizione del contribuente: il ravvedimento operoso (per regolarizzare spontaneamente prima che il Fisco agisca) e, qualora sia già stato notificato un atto, i rimedi impugnatori (istanza di autotutela, accertamento con adesione, ricorso in Commissione Tributaria Provinciale con eventuale mediazione obbligatoria, ecc.). Verranno proposte tabelle riepilogative sulle sanzioni e sulle riduzioni applicabili, nonché simulazioni pratiche di casi tipici (confronto tra regolarizzazione volontaria e accertamento subito). Infine, una sezione di Domande e Risposte (FAQ) chiarirà i dubbi più frequenti – ad esempio: “Devo dichiarare un ETF estero che non ha prodotto redditi?”, “Cosa rischio se l’Agenzia mi scopre?”, “Posso evitare le sanzioni autodenunciandomi?”, “Come funziona il ricorso in Commissione Tributaria?”.
Nota bene: Le informazioni fornite fanno riferimento al quadro normativo e giurisprudenziale aggiornato al 2025. Le fonti utilizzate (normative, prassi dell’Amministrazione finanziaria e sentenze) sono citate nel testo per consentire ulteriori approfondimenti. L’obiettivo è offrire una guida completa in linguaggio giuridico ma chiaro, per consentire ai contribuenti (e ai loro difensori) di comprendere i propri obblighi e diritti, e di predisporre una difesa efficace di fronte ad accertamenti per omessa dichiarazione di investimenti in ETF esteri.
Quadro normativo: investimenti esteri e obblighi fiscali in Italia
Il sistema tributario italiano si fonda sul principio della tassazione mondiale (worldwide taxation): i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti a dichiarare tutti i redditi ovunque prodotti, compresi quindi quelli di fonte estera . Ciò è sancito dall’art. 3 del TUIR (D.P.R. 917/1986) e implica che, a parità di condizioni, un dividendo o una plusvalenza realizzata su un investimento estero è tassata in Italia come se fosse originata in Italia. Naturalmente, per evitare doppie imposizioni internazionali, i redditi esteri possono beneficiare del credito d’imposta per le imposte eventualmente pagate all’estero, secondo l’art. 165 TUIR e le convenzioni contro le doppie imposizioni . Ad esempio, se un ETF estero distribuisce un dividendo su cui è stata applicata una ritenuta fiscale all’estero, il contribuente italiano ha diritto a detrarre quella imposta estera dall’imposta dovuta in Italia, fino a concorrenza dell’ammontare della tassazione italiana su quel reddito . Importante, la Corte di Cassazione (sent. n. 10642/2025) ha chiarito che il diritto al credito per le imposte estere non decade automaticamente se non esercitato nell’anno di produzione del reddito: può essere fatto valere entro il normale termine di prescrizione decennale . Ciò significa che, anche in caso di omessa dichiarazione iniziale, il contribuente può successivamente rivendicare il credito d’imposta estero in sede di ravvedimento o contenzioso.
Oltre alla dichiarazione dei redditi esteri, l’ordinamento impone ai residenti un obbligo specifico di monitoraggio fiscale delle attività finanziarie estere. Questo obbligo, introdotto originariamente dall’art. 4 del D.L. 167/1990, si realizza tramite la compilazione del Quadro RW nella dichiarazione annuale dei redditi . Devono essere indicate nel Quadro RW tutte le attività estere di natura finanziaria o patrimoniale detenute dal contribuente, potenzialmente produttive di redditi imponibili in Italia . L’obiettivo è garantire la trasparenza sui trasferimenti di ricchezza da e verso l’estero e consentire il controllo della capacità contributiva anche con riferimento ai patrimoni detenuti oltre confine . In pratica, vanno monitorati conti correnti esteri, depositi bancari, partecipazioni in società estere, strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, fondi comuni, ETF), polizze assicurative estere, immobili all’estero, metalli preziosi detenuti fuori d’Italia, criptovalute in wallet esteri, ecc. . Anche se tali attività non generano redditi nell’anno (es. conto infruttifero, ETF che non distribuisce dividendi, immobile estero non affittato), l’obbligo di monitoraggio permane , poiché l’attività è potenzialmente idonea a produrre redditi o plusvalenze imponibili in futuro.
Vi sono alcune esenzioni specifiche dall’obbligo di Quadro RW, ma di portata limitata. In particolare :
- Conti correnti e depositi bancari esteri di modico valore: se l’ammontare massimo mai raggiunto nel periodo d’imposta non supera €15.000 e la giacenza media annua non supera €5.000, tali conti sono esonerati sia dal monitoraggio RW che dall’IVAFE . Questa è l’unica soglia generale di esenzione. Ad esempio, un conto estero con picco massimo di €10.000 e giacenza media di €4.000 non va indicato (nessun monitoraggio e niente IVAFE), mentre un conto con picco di €10.000 ma giacenza media €8.000 comporta obbligo di RW per versare l’IVAFE dovuta . Se invece il picco supera €15.000 (es. €20.000) ma la giacenza media è bassa (€4.000), scatta l’obbligo di monitoraggio (perché superata la soglia di consistenza), pur senza IVAFE (giacenza sotto soglia) .
- Attività estere affidate a intermediari finanziari italiani: se il contribuente detiene gli investimenti esteri tramite una banca o un intermediario residente (ad esempio tramite un dossier titoli presso una banca italiana, in regime di risparmio amministrato o gestito), non deve compilare il Quadro RW per tali attività . In tal caso, infatti, è l’intermediario italiano a fungere da sostituto d’imposta: esso applica le ritenute o imposte sostitutive sui redditi prodotti da quelle attività e comunica già all’Agenzia delle Entrate le consistenze e i flussi finanziari . Questa esenzione copre anche le attività estere inserite in un mandato fiduciario a favore di un intermediario residente che applica l’imposta sostitutiva (come chiarito dal Provv. Ag. Entrate 18/12/2013) .
- Lavoratori transfrontalieri (frontalieri): secondo la prassi (Circ. Ag. Entrate 38/E/2013, §1.3) un lavoratore italiano che lavora in via continuativa all’estero in zona di frontiera e mantiene un conto nel Paese di lavoro, utilizzato solo per accredito dello stipendio e spese correnti, può non indicarlo in RW entro certi limiti di valore . Attenzione: si tratta di un’esenzione “di favore” valutata caso per caso, non espressamente prevista da legge primaria.
- Contanti detenuti all’estero: il denaro contante posseduto fisicamente all’estero (es. in una cassetta di sicurezza) non va indicato nel Quadro RW, poiché il contante non depositato non è un investimento produttivo di reddito per sua natura . Resta però l’obbligo di dichiarazione doganale se si trasferiscono oltre €10.000 in contanti attraverso la frontiera, e possedere ingenti somme all’estero in contanti può far scattare presunzioni di evasione altrove. Ma, limitatamente al monitoraggio RW, il “contante sotto il materasso” all’estero non rientra tra le attività da dichiarare .
Al di fuori di queste specifiche esenzioni, qualunque attività finanziaria o patrimoniale estera detenuta da un residente va segnalata nel Quadro RW. A differenza dei conti bancari, non esiste alcuna soglia di esenzione per investimenti come partecipazioni, titoli, fondi, ETF, immobili, criptovalute: anche valori modesti (es. €1.000 investiti in ETF esteri) comportano l’obbligo di compilazione RW . In sintesi, solo i conti correnti di piccola entità beneficiano di una franchigia, mentre per gli ETF esteri – oggetto della nostra trattazione – vige sempre l’obbligo di monitoraggio, a meno che non siano detenuti tramite un intermediario italiano che già adempie (es. acquistati tramite banca italiana). L’omessa indicazione di un ETF estero in RW costituisce di per sé una violazione, indipendentemente dal fatto che abbia prodotto o meno un reddito nell’anno .
Infine, il monitoraggio fiscale tramite Quadro RW è strettamente collegato ad alcune imposte patrimoniali introdotte dal legislatore italiano negli ultimi anni. In particolare, chi detiene attività estere è soggetto al pagamento di:
- IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere): pari al 2‰ (0,2%) annuo del valore delle attività finanziarie detenute all’estero. Si applica tipicamente al valore di conti correnti (dove però è dovuta solo se la giacenza media supera €5.000, come visto), depositi titoli esteri, partecipazioni non qualificate, strumenti finanziari e prodotti assicurativi esteri. L’IVAFE è calcolata nel Quadro RW ed è dovuta in misura proporzionale (per i conti correnti, in realtà, l’imposta minima è €34,20 annui, equivalente all’imposta di bollo minima sui conti italiani) . Nel caso di ETF esteri, essendo titoli finanziari, l’IVAFE si applica sul loro valore di mercato al 31/12 (o al termine del possesso, se dismessi prima), analogamente a come sui titoli italiani si applicherebbe l’imposta di bollo dello 0,2%. L’omessa indicazione in RW di un ETF comporta quindi anche omesso versamento dell’IVAFE relativa.
- IVIE (Imposta sul valore degli immobili esteri): pari allo 0,76% annuo del valore catastale o di mercato dell’immobile estero, dovuta se si posseggono proprietà immobiliari all’estero. (Nel contesto degli ETF ciò non rileva, salvo che l’ETF stesso non investa in immobili, ma in tal caso l’imposta patrimoniale ricade comunque sull’investitore come IVAFE sul valore delle quote, non come IVIE).
- IVCA (Imposta sul valore delle cripto-attività): introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, con decorrenza dal periodo d’imposta 2022 (dichiarazione 2023), è un’imposta patrimoniale dello 0,2% sul valore delle criptovalute e altri cripto-asset detenuti da residenti. Anch’essa viene calcolata nel Quadro RW a partire dal Modello Redditi 2024 . Non riguarda direttamente gli ETF, ma è menzionata per completezza.
In sintesi, la normativa italiana prevede un doppio livello di obblighi per il contribuente che investe in ETF esteri:
- Obblighi reddituali: dichiarare nel Modello Redditi i redditi finanziari derivanti dagli ETF (es. dividendi, interessi, plusvalenze da cessione) e pagarci le relative imposte (tipicamente un’imposta sostitutiva del 26%).
- Obblighi di monitoraggio e patrimoniali: dichiarare nel Quadro RW il possesso degli ETF esteri (indicando i valori di fine anno e l’eventuale valore massimo) e pagare le imposte patrimoniali dovute (IVAFE).
Nel prosieguo analizzeremo nel dettaglio come funziona la tassazione dei proventi da ETF esteri e quali fattispecie configurano un’omissione contestabile dall’Agenzia delle Entrate.
Tassazione degli ETF esteri: redditi di capitale e plusvalenze
Gli ETF (Exchange Traded Fund) esteri sono generalmente OICR – Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio – domiciliati in giurisdizioni straniere, spesso in Paesi UE a fiscalità favorevole per i fondi (come Irlanda o Lussemburgo nel caso di molti fondi armonizzati UCITS). Dal punto di vista del titolare residente in Italia, i proventi derivanti da un ETF estero rientrano nelle categorie di reddito di fonte estera che vanno dichiarate in Italia. In particolare, possiamo distinguere due tipologie principali di reddito generato da un ETF:
- Dividendi o proventi periodici distribuiti dall’ETF (tipici degli ETF a distribuzione): sono considerati redditi di capitale di fonte estera. Fiscalmente, sono soggetti in Italia a una aliquota del 26% a titolo d’imposta sostitutiva , la stessa aliquota prevista per i dividendi da partecipazioni non qualificate e per i proventi distribuiti dai fondi comuni italiani. Questi importi vanno indicati nel Quadro RM del Modello Redditi (Sezione dedicata ai redditi di capitale soggetti a tassazione separata), riportando il dividendo lordo percepito e l’eventuale imposta estera subita a titolo di credito d’imposta . Ad esempio, un dividendo estero di €1.000 sarà tassato in Italia al 26% (€260). Se sul dividendo la società di gestione o l’intermediario estero avessero applicato una ritenuta (poniamo del 15%, €150, come potrebbe accadere per dividendi USA su ETF non armonizzati), il contribuente italiano avrebbe diritto a detrarre €150 dal dovuto italiano, pagando in pratica €110 (pari al 26% di 1000 meno 150) . Va evidenziato che Irlanda e Lussemburgo generalmente non applicano ritenute sui proventi corrisposti a non residenti nei loro fondi, quindi i dividendi di un ETF irlandese/lussemburghese arrivano lordi e scontano interamente il 26% in Italia (fatto salvo il credito per eventuali imposte su dividendi “a monte” pagati dal fondo sulle sue partecipazioni, ma questo è a livello di fondo).
- Plusvalenze da cessione o rimborso di quote ETF (ivi comprese le eventuali differenze positive di valore per ETF ad accumulazione venduti a prezzo superiore a quello di acquisto): sono considerate redditi diversi di natura finanziaria. In altri termini, la vendita di quote di un ETF estero con guadagno genera una plusvalenza tassabile in Italia sempre con aliquota 26% (imposta sostitutiva sulle plusvalenze) . Queste plusvalenze vanno dichiarate nel Quadro RT del Modello Redditi (sezione relativa ai redditi diversi di natura finanziaria soggetti a imposta sostitutiva). Diversamente dai dividendi, le plusvalenze possono eventualmente essere compensate con minusvalenze pregresse dello stesso tipo (es. perdite su altre vendite di titoli) entro i limiti della normativa sulle compensazioni. Qualora sulla plusvalenza estera sia stata pagata un’imposta nello Stato estero (ipotesi rara per i fondi UE, più possibile per investimenti in Paesi extra-OCSE), il contribuente può chiedere il credito d’imposta, analogamente a quanto avviene per i redditi di capitale . In ogni caso, se l’ETF è domiciliato in un Paese white list (come Irlanda/Lussemburgo) e l’intermediario non è italiano, di norma nessuna tassazione viene applicata all’estero sulla plusvalenza, lasciando integralmente all’Italia il prelievo del 26%.
Un aspetto particolare riguarda gli ETF “ad accumulazione” (accumulating), ossia quelli che non distribuiscono dividendi periodici ma reinvestono gli utili nel fondo stesso. In tal caso, il possessore italiano non riceve redditi di capitale annuali da dichiarare; ciò nondimeno, l’eventuale crescita di valore della quota si concretizzerà in una plusvalenza tassabile al momento della vendita delle quote. Fino a qualche anno fa, la normativa italiana distingueva tra OICR armonizzati UE ed extraterritoriali con regole complesse (un tempo le plusvalenze su fondi non armonizzati potevano essere tassate in modo diverso, ad esempio come redditi di capitale maturati per trasparenza). Oggi, per i fondi/ETF esteri “non black list” (quali quelli UE), prevale il criterio appena descritto: niente imposizione durante il possesso (salvo IVAFE), tassazione al 26% al momento di distribuzioni o realizzo. Pertanto, se l’Agenzia delle Entrate accerta la detenzione di un ETF ad accumulazione non dichiarato, non contesterà redditi di capitale omessi per gli anni precedenti (non essendoci distribuzioni), ma potrà contestare comunque l’omessa indicazione RW e, nel caso in cui nel frattempo le quote siano state vendute con guadagno senza dichiarare la plusvalenza, anche l’omessa tassazione di tale plusvalenza.
Riepilogando, dal punto di vista fiscale un ETF estero produce per il residente due possibili categorie di reddito imponibile in Italia:
- Redditi di capitale esteri: dividendi o proventi periodici pagati dall’ETF (aliquota 26%, dichiarazione in Quadro RM) .
- Redditi diversi esteri: plusvalenze da cessione/rimborso di quote ETF (aliquota 26%, dichiarazione in Quadro RT) .
Queste regole valgono per gli ETF esteri detenuti senza intermediazione italiana. Se invece l’ETF estero è detenuto tramite un intermediario finanziario italiano (ad es. avete comprato un ETF irlandese tramite la vostra banca italiana), allora il regime del risparmio amministrato fa sì che sarà la banca ad applicare automaticamente il 26% sui dividendi ricevuti e sulle plusvalenze realizzate, nonché a prelevare l’IVAFE dovuta. In tale scenario, il contribuente non deve indicare nulla né in RM/RT né in RW per quegli ETF, poiché ci ha già pensato l’intermediario (come previsto dall’art. 4, comma 3, D.L. 167/90) .
Una questione spesso sollevata riguarda la localizzazione dell’ETF: “Un ETF domiciliato in Irlanda o Lussemburgo gode di qualche esenzione fiscale per il cliente italiano?”. La risposta è che, dal lato del cliente italiano, la tassazione è la medesima di qualsiasi altro investimento finanziario equivalente. Irlanda e Lussemburgo infatti offrono vantaggi fiscali a livello di veicolo (i fondi lì domiciliati sono tipicamente esenti da imposte sui redditi societari e non applicano ritenute ai non residenti), ma questo non cambia l’obbligo impositivo in capo all’investitore residente in Italia: i proventi restano imponibili qui (salvo credito d’imposta per eventuali prelievi esteri) . Anzi, proprio il fatto che in quei Paesi non vi sia prelievo alla fonte significa che il 26% in Italia si applica sull’intero ammontare lordo percepito.
Va inoltre sottolineato che la natura estera dell’ETF può rilevare ai fini delle presunzioni fiscali antievasione: in passato, gli investimenti in Paesi considerati “a regime fiscale privilegiato” (black list) erano soggetti a presunzioni legali di evasione in caso di mancata dichiarazione (art. 12, co. 2, D.L. 78/2009) . Oggi la “black list” ai fini del monitoraggio è ristretta (ad agosto 2025, ad esempio, Irlanda e Lussemburgo sono Paesi collaborativi, non black list). Per le attività in black list non dichiarate, il Fisco può presumere che “gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero […] si considerano costituiti, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione” . Ciò significa un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente: se avevate, ad es., un ETF domiciliato in un paradiso fiscale non dichiarato, l’Agenzia può assumere che i fondi investiti fossero redditi evasi e, in sede di accertamento, pretendere le imposte su quegli importi a meno che non dimostriate l’origine regolare del denaro. Questa presunzione non si applica agli ETF in Irlanda/Lussemburgo (Paesi white list), ma è importante saperlo per comprendere l’atteggiamento rigoroso del Fisco verso gli investimenti esteri non dichiarati.
Riassumiamo in una tabella le principali regole fiscali applicabili ai redditi derivanti da investimenti esteri, inclusi gli ETF, dal punto di vista di un contribuente residente in Italia:
Tipo di reddito estero | Quadro dichiarativo | Tassazione in Italia | Credito d’imposta per estero |
---|---|---|---|
Dividendi esteri (es. distribuzioni ETF) | Quadro RM (Redditi di Capitale) | 26% imposta sostitutiva . | Sì, per imposte estere sul dividendo . |
Interessi esteri (es. obbligazioni estere in portafoglio) | Quadro RM (Redditi di Capitale) | 26% imposta sostitutiva. | Sì, per eventuali ritenute estere. |
Plusvalenze da cessione titoli esteri (es. vendita quote ETF) | Quadro RT (Redditi Diversi) | 26% imposta sostitutiva . | Sì, se tassate all’estero (raro per titoli UE). |
Immobili esteri affittati | Quadro RL (Redditi Fondiari) + Quadro RW (IVIE) | Reddito fondiario tassato con aliquota IRPEF progressiva; IVIE 0,76% sul valore immobile . | Sì, credito per imposte estere sugli affitti. |
Conti correnti esteri (interessi) | Quadro RM (Redditi di Capitale) + Quadro RW (IVAFE) | Interessi 26%; IVAFE 0,2% annuo su saldo (se >€5.000 media) . | Sì, per ritenuta estera sugli interessi (di solito minima). |
Nota: Se le attività estere sono detenute tramite intermediario finanziario italiano con regime del risparmio amministrato/gestito, la dichiarazione dei redditi e il Quadro RW non vanno compilati per tali attività, poiché pensa a tutto l’intermediario (tassazione e comunicazioni) .
Omissione di investimenti in ETF esteri: cosa contesta il Fisco
Alla luce degli obblighi descritti, possiamo definire in cosa consiste l’“omissione” contestata dall’Agenzia delle Entrate riguardo investimenti in ETF esteri. In genere si tratta di una (o entrambe) delle seguenti violazioni:
- Omessa indicazione nel Quadro RW degli ETF esteri detenuti (violazione dell’obbligo di monitoraggio fiscale).
- Omessa dichiarazione dei redditi prodotti dagli ETF esteri (violazione dell’obbligo dichiarativo reddituale), quali dividendi non dichiarati, plusvalenze non dichiarate, e conseguente omesso versamento delle imposte relative (imposta sostitutiva 26% e/o IVAFE).
Quando l’Agenzia segnala un’“omissione di investimenti esteri”, spesso implica che il contribuente non ha compilato il Quadro RW per una o più annualità in cui possedeva l’ETF, e contestualmente può aver omesso di dichiarare i proventi finanziari derivanti dallo stesso. Ad esempio, un caso tipico: Tizio, residente in Italia, possiede dal 2019 un portafoglio titoli presso una banca estera contenente ETF irlandesi; non ha mai indicato tale posizione nel Quadro RW né riportato i dividendi annuali incassati, né ha pagato l’IVAFE sul conto. L’Agenzia potrebbe venire a conoscenza di questi asset attraverso lo scambio di informazioni e contestare a Tizio sia la mancata compilazione del Quadro RW dal 2019 in poi, sia l’omessa dichiarazione dei redditi di capitale percepiti (dividendi) e delle plusvalenze realizzate, con relative imposte evase.
Dal punto di vista giuridico-fiscale, l’omessa dichiarazione delle attività finanziarie estere non è considerata una mera irregolarità formale, bensì una violazione sostanziale. La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 28077/2024 (depositata il 30/10/2024), ha affermato che la mancata compilazione del Quadro RW non può essere sminuita a violazione formale “innocua”, in quanto compromette l’efficacia del sistema di monitoraggio fiscale . Anche se l’omissione di per sé non arreca un immediato danno all’Erario (ad esempio nel caso di investimenti che non hanno prodotto reddito nell’anno), essa impedisce al Fisco di conoscere l’esistenza di capitali all’estero e di controllarne i flussi, facilitandone l’eventuale sottrazione a tassazione . Pertanto la violazione è sostanziale e come tale sanzionabile severamente. Nella stessa sentenza, la Cassazione ha anche sottolineato che il regime sanzionatorio italiano per queste violazioni è proporzionato e differisce da quello spagnolo censurato dalla Corte di Giustizia UE nel caso Commissione vs Spagna (C-788/19, sentenza 27/01/2022) . In Spagna, infatti, le multe per mancata dichiarazione di attività estere (Modelo 720) erano astronomiche e con effetti di imprescrittibilità, ritenuti contrari al diritto UE; l’Italia invece prevede sanzioni dal 3% al 15% (variabili e applicate nel minimo nei casi appropriati), quindi su livelli considerati ragionevoli e compatibili col diritto comunitario secondo la Cassazione .
È importante comprendere che la contestazione dell’omissione RW può avvenire anche in assenza di imposte evase su redditi. Il Fisco può infatti contestare esclusivamente la violazione di monitoraggio: ad esempio, se l’ETF era ad accumulazione e non ha distribuito redditi per anni, l’Agenzia contesterà comunque l’omessa segnalazione del patrimonio estero (e il mancato versamento dell’IVAFE). In questo senso, come accennato, la sanzione per omessa compilazione del Quadro RW è dovuta a prescindere dall’effettiva evasione di imposta sul reddito . Ciò sfata un mito: alcuni contribuenti pensano erroneamente che “se non c’era reddito, non ho fatto danni, quindi non mi possono sanzionare”. Al contrario, possedere un ETF estero non dichiarato è di per sé un illecito amministrativo tributario, punito con sanzione proporzionale sul valore, anche se quell’ETF non ha generato redditi imponibili.
Naturalmente, nella pratica spesso le due omissioni (RW e redditi) vanno a braccetto: chi non dichiara l’esistenza di un investimento estero, solitamente non ne dichiara neppure i redditi. In tal caso, l’Agenzia emetterà un avviso di accertamento con duplice oggetto: recupero delle imposte sui redditi esteri evasi (con relative sanzioni per infedele/omessa dichiarazione dei redditi) e irrogazione della sanzione per il monitoraggio omesso. Dalla prospettiva del contribuente, è fondamentale analizzare entrambe le componenti per preparare una difesa: vi possono essere, ad esempio, motivi per contestare l’importo del reddito accertato o l’effettiva debenza di imposte (si pensi a un caso in cui il contribuente aveva diritto a un credito per imposte estere ma non lo aveva indicato, oppure a una plusvalenza che il Fisco calcola diversamente), così come vi possono essere argomenti per mitigare le sanzioni sul monitoraggio (ad esempio invocare la buona fede, o chiedere l’applicazione del minimo edittale, o il cumulo giuridico per più annualità, come vedremo).
Uno scenario particolare: se l’ETF estero era detenuto tramite un intermediario italiano ma il contribuente ha comunque omesso il Quadro RW, si può discutere se vi fosse obbligo. In genere, come detto, se l’intermediario italiano ha applicato imposte, il monitoraggio non è dovuto . Tuttavia, su questo tema la Cassazione ha chiarito che se l’intermediario italiano non svolge compiutamente il ruolo di sostituto d’imposta per quelle attività, l’obbligo di RW permane. È il caso, ad esempio, di intermediari esteri con stabile organizzazione in Italia o di rapporti fiduciari non statici: sono situazioni borderline in cui il contribuente potrebbe aver ritenuto (erroneamente) di non dover dichiarare, ma l’Agenzia può contestare l’omissione se ritiene che i requisiti di esonero non fossero soddisfatti. In un caso del genere, la difesa può vertere sulla dimostrazione che l’intermediario aveva effettuato le comunicazioni dovute e che l’omissione è scusabile.
Riassumendo, l’omissione contestata dall’Agenzia delle Entrate in relazione agli ETF esteri tipicamente comprende:
- Mancato monitoraggio (Quadro RW) dell’investimento estero, considerato violazione sostanziale e sanzionabile dal 3% al 15% del valore (o 6-30% se Paese black list) .
- Mancata tassazione dei proventi finanziari esteri (dividendi, interessi, plusvalenze), con recupero dell’imposta evasa (26% del reddito non dichiarato) e applicazione di sanzione dal 90% al 180% dell’imposta evasa .
- Omesso versamento di IVAFE sugli importi non dichiarati in RW: l’IVAFE evasa viene recuperata con sanzione pari al 30% dell’imposta non versata (in base alla regola generale sulle imposte patrimoniali dovute e non versate) salvo che il contribuente non si ravveda.
- Interessi di mora su tutte le somme (imposte e sanzioni pecuniarie) dal momento in cui erano dovute a quello del pagamento.
Nel prossimo paragrafo vedremo come l’Agenzia reperisce le informazioni su tali investimenti esteri non dichiarati e quali sono i passaggi dell’attività di accertamento, per poi analizzare in dettaglio sanzioni e strategie difensive.
Controlli fiscali sugli investimenti esteri: come il Fisco scopre le omissioni
Fino a qualche anno fa, chi deteneva patrimoni all’estero confidava spesso nella difficoltà per il Fisco italiano di venirne a conoscenza. Tuttavia, oggi viviamo in un’era di trasparenza finanziaria internazionale. Attraverso accordi multilaterali come il Common Reporting Standard (CRS) e, con riguardo agli USA, il FATCA, le amministrazioni fiscali di oltre 100 Paesi si scambiano automaticamente ogni anno i dati relativi ai conti finanziari dei rispettivi residenti. Ciò significa che le banche, le società di gestione e gli altri intermediari finanziari esteri trasmettono informazioni all’Agenzia delle Entrate italiana riguardo ai soggetti fiscalmente residenti in Italia che detengono attivi presso di loro . Ad esempio, se un contribuente italiano ha un conto titoli presso una banca in Lussemburgo con ETF per €100.000, quella banca (essendo in un Paese aderente al CRS) comunicherà annualmente alle autorità fiscali lussemburghesi il saldo e i redditi del conto; tali dati verranno poi automaticamente inoltrati all’Italia.
Secondo le tempistiche CRS, le informazioni di un dato anno arrivano in Italia entro settembre dell’anno successivo . L’Agenzia delle Entrate, tramite la sua struttura di analisi e compliance, incrocia questi dati con le dichiarazioni dei redditi presentate. Se emergono discrepanze – ad esempio un conto estero segnalato con saldi o redditi significativi a fronte di nessuna dichiarazione RW né redditi corrispondenti – il Fisco attiva delle procedure di controllo. In prima battuta, di solito, viene inviata una “lettera di compliance” al contribuente . Si tratta di comunicazioni “bonarie” che segnalano al contribuente la presenza di specifiche attività o redditi esteri non risultanti dalla dichiarazione e invitano a fornire chiarimenti o a regolarizzare la posizione . Ad esempio, la lettera potrà dire: “Gentile contribuente, dai dati in nostro possesso risulta che Lei ha detenuto nel 2022 un conto presso la Banca X alle Isole Y, non dichiarato nel quadro RW. La invitiamo a verificare la sua dichiarazione e a regolarizzare eventuali omissioni”. Situazioni tipiche che possono attivare una lettera di compliance per estero sono : – Conti correnti o depositi esteri non indicati in RW . – Redditi di fonte estera (interessi, dividendi, canoni, plusvalenze) non dichiarati nel quadro Redditi . – Investimenti in criptovalute tramite exchange esteri non dichiarati . – Immobili all’estero non dichiarati (né i redditi derivanti né ai fini IVIE) . – Anomalie nei flussi finanziari da/verso l’estero (bonifici rilevati dall’Anagrafe tributaria) che suggeriscono attività non dichiarate .
La lettera di compliance non è un atto impositivo né una contestazione formale: è un invito a mettersi in regola spontaneamente. Se il contribuente, ricevuta tale lettera, riconosce l’errore/omissione, può procedere a sanare la posizione tramite dichiarazione integrativa e ravvedimento operoso (vedi sezione dedicata più avanti) pagando imposte e sanzioni ridotte, evitando così guai maggiori . Se invece il contribuente ritiene che i dati dell’Agenzia siano errati (ad es. il conto estero segnalato era cointestato a un parente non residente, oppure era già stato chiuso prima del periodo segnalato, ecc.), può fornire una risposta difensiva all’Agenzia, anche tramite PEC o presentando documentazione, spiegando la propria situazione . In alcuni casi la segnalazione può essere frutto di scambio di dati incompleti o disallineati e si riesce a chiarire senza sanzioni.
Se però il contribuente ignora la lettera di compliance o non fornisce giustificazioni convincenti, l’Agenzia procederà con gli strumenti più incisivi di accertamento. Questi possono assumere due forme: 1. Emissione di un PVC (Processo Verbale di Constatazione) o invito a comparire, nel caso in cui il Fisco voglia effettuare verifiche più approfondite (ipotesi più frequente per contribuenti con situazioni complesse o di importo rilevante). Ad esempio, potrebbero convocare il contribuente per esibire documentazione dei conti esteri. 2. Notifica diretta di un Avviso di Accertamento (o atto di contestazione sanzioni), qualora i dati siano ritenuti chiari e univoci.
Nel contesto degli ETF esteri, spesso l’Agenzia utilizza il secondo approccio: i dati CRS mostrano un determinato patrimonio e relativi redditi non dichiarati, quindi si emette un accertamento per recuperare imposte e applicare sanzioni. L’avviso di accertamento è un atto impositivo formale, motivato, che dettaglia le violazioni riscontrate, le somme dovute e le modalità di calcolo . Tipicamente, un avviso del genere includerà: – La ricostruzione dei redditi esteri non dichiarati (es: “dividendi 2020 non dichiarati €X, plusvalenza 2021 €Y”) e l’imposta evasa corrispondente. – L’irrogazione delle sanzioni per infedele/omessa dichiarazione dei redditi (in percentuale sull’imposta evasa) e per omessa compilazione RW (in percentuale sul valore dell’investimento estero) . – L’indicazione degli interessi calcolati sulle imposte evase (dal giorno in cui il tributo sarebbe dovuto – generalmente il 30 giugno dell’anno successivo al reddito – fino alla data dell’accertamento). – L’indicazione del periodo d’imposta accertato e degli estremi normativi violati (es: art. 4 D.L. 167/90 per RW, art. 2 D.Lgs. 471/97 per imposta evasa, ecc.). – L’indicazione dei rimedi a disposizione del contribuente (facoltà di definizione agevolata, termini per presentare ricorso, ecc.).
Tempistiche (decadenza accertamenti): in materia di monitoraggio fiscale e redditi esteri valgono i termini ordinari di accertamento, salve eccezioni. Dopo la riforma del 2015, l’Agenzia delle Entrate ha generalmente 5 anni di tempo dalla presentazione della dichiarazione per accertare imposte evase o RW omessi. Ad esempio, per il periodo d’imposta 2019 (dichiarazione presentata nel 2020), il termine ordinario è il 31 dicembre 2025. Se la dichiarazione non è stata affatto presentata (dichiarazione omessa), il termine si estende a 7 anni (31 dicembre 2027 nel nostro esempio) . In passato il D.L. 167/90 prevedeva un raddoppio dei termini per violazioni relative a attività estere, ma questa disposizione è stata abrogata o comunque resa inapplicabile per contrasto col diritto UE e in seguito alle voluntary disclosure del 2015-2017. Pertanto, ad oggi il Fisco deve rispettare i termini di decadenza ordinari. Va però ricordato che se l’investimento estero proviene da redditi sottratti a tassazione in anni molto lontani, il Fisco può far valere la presunzione legale di evasione (per i Paesi black list) per recuperare a ritroso quei redditi come non dichiarati quando si formarono. Ma ciò attiene più alla determinazione del reddito evaso che ai termini.
In sintesi, l’Agenzia delle Entrate scopre le omissioni sugli ETF esteri prevalentemente tramite lo scambio di informazioni CRS, incrociando i dati con le dichiarazioni. Il contribuente viene solitamente avvisato tramite una lettera di compliance e invitato a regolarizzare . Se non lo fa, si procede con un vero e proprio accertamento fiscale, entro i termini di legge (5 o 7 anni), con richiesta di imposte arretrate, sanzioni e interessi . Nel prossimo capitolo quantificheremo queste sanzioni e illustreremo le opportunità di definizione agevolata (ad esempio l’adesione) o di difesa in giudizio.
Sanzioni in caso di accertamento: importi e criteri
Quando l’Agenzia delle Entrate accerta un’omissione relativa a investimenti esteri, applica una serie di sanzioni amministrative pecuniarie piuttosto onerose. È fondamentale conoscere la logica di tali sanzioni per poter poi valutare le mosse difensive (in sede di adesione o ricorso, infatti, uno degli obiettivi è spesso ridurre le sanzioni).
Le sanzioni si dividono principalmente in due categorie:
- Sanzioni per violazioni del monitoraggio fiscale (Quadro RW).
- Omessa compilazione del Quadro RW: comporta una sanzione dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati (ossia del valore dell’investimento estero non monitorato) . Se l’asset era detenuto in un Paese a fiscalità privilegiata (black list), la sanzione è raddoppiata, cioè dal 6% al 30% . Queste percentuali si applicano per ciascun anno per cui l’attività è stata omessa in RW. Ad esempio, se nel 2020 avevo €50.000 in ETF non dichiarati (Paese white list), potrei essere sanzionato da €1.500 fino a €7.500 per il 2020. Tali sanzioni sono previste dall’art. 5, comma 2, D.L. 167/90 (come modificato dal D.Lgs. 471/1997 e succ. mod) . Importante: se la dichiarazione dei redditi (e quindi il Quadro RW) viene presentata con ritardo non superiore a 90 giorni, la violazione è considerata “dichiarazione tardiva” e si applica invece una sanzione fissa di €258 (indipendentemente dal valore) . Questo €258 è la sanzione minima prevista dall’art. 5 D.L. 167/90; presentando entro 90 giorni si evita la percentuale. Tuttavia, oltre i 90 giorni si ricade nel regime proporzionale descritto.
- Quadro RW compilato in modo infedele (valori sotto-dichiarati): sanzione dal 3% al 15% sulla differenza omessa, con gli stessi criteri (doppio se Paese black list). Se ad esempio ho dichiarato in RW €10.000 ma in realtà erano €100.000, potrei subire la sanzione sul valore non dichiarato (€90.000). Nei casi di errori non totali potrebbe talvolta applicarsi il principio del cumulo giuridico (vedi oltre) o la sanzione potrebbe essere unica con aggravante, a seconda delle circostanze.
- Sanzioni per violazioni reddituali (imposte evase su redditi esteri).
- Dichiarazione infedele (omessa indicazione di redditi in dichiarazione): l’art. 1, comma 2, D.Lgs. 471/1997 prevede una sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta . Questo vale per qualsiasi imposta sui redditi evasa, compresa l’IRPEF sulle rendite finanziarie estere o l’imposta sostitutiva del 26%. In pratica, se su €10.000 di dividendi esteri non dichiarati dovevo €2.600 di imposta, la sanzione amministrativa base andrà da €2.340 (90% di 2.600) a €4.680 (180%). La misura esatta entro questo range viene fissata dall’ufficio in base alle circostanze: tipicamente si applica il minimo (90%) se il contribuente non ha precedenti e collabora, mentre percentuali maggiori in caso di condotte fraudolente o recidive. Da notare: se l’imposta evasa supera determinate soglie, scatta anche il profilo penale (vedi dopo). Ma qui parliamo di sanzioni amministrative.
- Omessa dichiarazione (dichiarazione dei redditi completamente omessa): se il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione annuale pur avendo un debito d’imposta, la sanzione amministrativa è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di €250. Questa però è ipotesi estrema (non presentare affatto la dichiarazione): nel nostro contesto, spesso il contribuente ha presentato la dichiarazione ma ha omesso solo la parte estera, quindi ricadiamo nella “dichiarazione infedele” parziale (90-180%) e non nell’omessa tout court.
- Omesso versamento di IVAFE/IVIE: queste imposte patrimoniali, se dovute e non versate, seguono la regola generale dell’omesso versamento: sanzione pari al 30% dell’imposta non pagata, ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 471/97, riducibile se il pagamento avviene con breve ritardo. In accertamento, se non le avete pagate del tutto, l’ufficio potrebbe anche trattarle come imposta evasa con sanzione 90%, ma solitamente IVAFE e IVIE vengono contestate separatamente con sanzione 30%. Ad ogni modo, l’omesso monitoraggio comporta comunque che “restano dovute le imposte (IVIE/IVAFE) non versate” oltre alla sanzione sul valore .
Oltre alle sanzioni pecuniarie, occorre aggiungere gli interessi moratori dovuti sulle imposte evase (generalmente al tasso di interesse legale, che in questi anni è stato molto basso, 0.05% annuo fino al 2021, poi 1.25% nel 2022, 5% nel 2023, 6% nel 2024 e 5% nel 2025 – l’aumento recente dei tassi ha rilevanza sugli interessi calcolati negli accertamenti odierni). Gli interessi maturano giorno per giorno dal momento in cui l’imposta andava versata (16 giugno o 30 giugno dell’anno successivo al reddito, nel caso di imposte sui redditi) fino alla data di notifica dell’avviso (dopo, semmai, interessi da ritardata iscrizione a ruolo).
Cumulo giuridico delle sanzioni RW su più annualità
Un elemento molto rilevante – e favorevole al contribuente – da considerare è la possibilità di ottenere il cumulo giuridico delle sanzioni relative al Quadro RW omesso in più anni. Spieghiamo: se un contribuente ha omesso il RW per, poniamo, 5 anni consecutivi (stessa violazione ripetuta), l’ufficio in teoria potrebbe sanzionare ciascun anno separatamente applicando il 3-15% per ognuno, cumulando materialmente le sanzioni (ad esempio 5 anni × 3% = 15% del valore totale, minimo). Tuttavia, il D.Lgs. 472/1997 all’art. 12 prevede il cumulo giuridico in caso di concorso formale o continuazione di violazioni: sostanzialmente, quando più violazioni della stessa indole sono commesse in esecuzione di un medesimo disegno o comunque ravvicinate, si applica una sanzione unica aumentata. La giurisprudenza ha oscillato nel definire se l’omessa dichiarazione RW per più anni configuri un’unica violazione continuata o tante distinte.
Ebbene, la Corte di Cassazione, Sez. Trib., con l’ordinanza n. 11849 del 5 maggio 2023 ha fatto chiarezza: qualora il contribuente ometta per diversi anni di presentare il Quadro RW, opera il cumulo giuridico ai sensi dell’art. 12, comma 5, D.Lgs. 472/97 . Ciò comporta l’applicazione di una sola sanzione (riferita, di regola, all’anno di maggior valore evaso) con un aumento fino al doppio. Nella fattispecie, la Cassazione ha stabilito che deve applicarsi “il solo cumulo giuridico […] escludendo ulteriori aumenti sanzionatori” . Tradotto: se Tizio ha omesso RW dal 2018 al 2021, invece di sommare quattro sanzioni al 3% ciascuna, si dovrà prendere una base (es. il 3% del valore massimo detenuto) e aumentarla – tipicamente della metà, visto il numero di anni – evitando la sommatoria integrale. Questo principio può far ridurre significativamente l’importo totale delle sanzioni RW in sede contenziosa. Attenzione: l’Agenzia in sede di accertamento spesso non applica di suo il cumulo e cumula materialmente (applicando ad es. sanzione minima 3% per ogni anno). Sarà quindi compito del contribuente, in sede di adesione o ricorso, far valere l’orientamento giurisprudenziale pro cumulo giuridico, ottenendo una rideterminazione al ribasso (come è successo nel caso deciso dalla Cassazione). In pratica, invece di pagare – poniamo – 15% del valore totale per 5 anni (3%×5), si potrebbe pagare 4.5% (3% + 50% di aumento) una tantum .
Lo stesso discorso vale, per analogia, se l’omissione riguarda più anni ma diversi investimenti: lì il cumulo giuridico potrebbe applicarsi per ciascun anno su violazioni formali multiple. È un tema tecnico, ma basti sapere che non sempre la somma delle sanzioni calcolata dall’ufficio è definitiva: esistono margini per ridurla facendo leva sulle norme sul concorso di violazioni.
Esempio pratico di calcolo sanzioni in accertamento
Facciamo un esempio numerico per capire l’entità delle somme in gioco in caso di accertamento versus una regolarizzazione spontanea (che vedremo dopo):
Scenario: Il contribuente aveva un ETF estero del valore di €100.000 dal 2019 al 2021, in un conto estero. L’ETF ha distribuito dividendi annui di €5.000 e nel 2021 il contribuente ha venduto le quote con una plusvalenza di €10.000. Nulla di tutto ciò è stato dichiarato. L’Agenzia, tramite CRS, scopre tutto e accerta nel 2025.
- Imposte evase: Dividendi 2019 (€5.000, imposta 26% = €1.300), Dividendi 2020 (€5.000, imposta €1.300), Dividendi 2021 (€5.000, imposta €1.300), Plusvalenza 2021 (€10.000, imposta 26% = €2.600). Totale imposte non versate = €6.500.
- Interessi: supponiamo €400 complessivi (interessi legali maturati su ciascuna imposta da metà 2020 per il 2019, ecc.).
- Sanzione imposte evase: 90% di €6.500 = €5.850 (ipotizziamo che l’ufficio applichi il minimo edittale, trattandosi di condotta omissiva ma senza frode). In assenza di adesione o ravvedimento, questa sarebbe la sanzione amministrativa.
- Sanzione RW: Valore non dichiarato: €100.000 per 2019, 2020, 2021. Per ciascun anno, 3% = €3.000; totale teorico €9.000. Ma con il principio del cumulo giuridico (3 annualità), potrebbe ridursi ad, ad esempio, €3.000 + 50% = €4.500 complessivi . Tuttavia, se l’ufficio non applica il cumulo, inizialmente contesterà €9.000.
- IVAFE non versata: 0,2% di €100.000 = €200 per ciascun anno 2019-2021, quindi €600 di imposta patrimoniale evasa. Sanzione per omesso versamento IVAFE: 30% di €600 = €180.
- Totale richiesto in accertamento: Imposte €6.500 + Sanzioni imposte €5.850 + Sanzione RW €9.000 + IVAFE €600 + sanzione IVAFE €180 + interessi €400 ≈ €22.530.
Quasi un quarto del capitale estero, in questo esempio, verrebbe eroso da tasse e sanzioni. Se invece il contribuente avesse regolarizzato spontaneamente prima di essere scoperto (ravvedimento operoso): – Avrebbe pagato i €6.500 di imposte dovute. – Gli interessi sarebbero stati inferiori (perché pagando prima, maturati per meno tempo, diciamo €300). – Sanzione ridotta su imposte evase: col ravvedimento a distanza di qualche anno, la sanzione del 90% può ridursi ad esempio a 1/6 (se oltre 2 anni) cioè al 15% dell’imposta . Quindi 15% di €6.500 = €975. – Sanzione RW ridotta: anch’essa ravvedibile. Sul valore €100.000 ogni anno base 3% (€3.000). Pagando nel 2023 per gli anni fino al 2021, la sanzione per ciascun anno può scendere a 1/8 del minimo (circa 0,375% per anno) . Quindi ~€375 per anno, totale ~€1.125 (invece di 9.000). Più in generale, il ravvedimento riduce dell’85% circa queste sanzioni . – IVAFE arretrata €600 + interessi modesti + sanzione ravveduta: sul 30% di 600, ravvedimento entro 2 anni riduce a 1/8 = 3.75%, quindi sanzione ~€22. – Totale in caso di ravvedimento spontaneo: imposte €6.500 + interessi €300 + sanzioni ravvedute (€975 + €1.125 + €22) ≈ €8.922.
La differenza è evidente: €22.500 vs €8.900 nell’esempio, quasi il triplo a carico di chi subisce l’accertamento rispetto a chi si autodenuncia. Va detto che ogni caso fa storia a sé, ma la morale è che le sanzioni possono gonfiare enormemente il conto finale se non si agisce per tempo.
Prima di passare alle strategie di difesa, spendiamo qualche parola sulle conseguenze penali nei casi di omessa dichiarazione di investimenti esteri, perché il contribuente deve essere consapevole anche di questo profilo.
Rischi penali: reati tributari e sentenze recenti
L’omessa dichiarazione di redditi derivanti da investimenti esteri, soprattutto se di importo elevato, può integrare alcune fattispecie di reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000. I principali da tenere presenti sono:
- Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): si configura quando nella dichiarazione annuale dei redditi si occultano elementi attivi (ricavi, proventi) o si indicano elementi passivi fittizi, in modo da evadere le imposte per un ammontare superiore a determinate soglie. Attualmente, la dichiarazione infedele è reato se l’imposta evasa supera €100.000 e l’ammontare degli elementi sottratti a imposizione supera il 10% del reddito dichiarato o comunque €2 milioni. Nel contesto di redditi finanziari esteri, la soglia rilevante è l’IVA o l’IRPEF evasa > €100.000. La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni (nel 2020 è stata aumentata). Ad esempio, se un contribuente ha omesso di dichiarare €500.000 di plusvalenze su cui avrebbe dovuto pagare €130.000 di imposte, rientra nella dichiarazione infedele penalmente rilevante.
- Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): riguarda chi non presenta affatto la dichiarazione pur essendovi obbligato, con imposta evasa > €50.000. La pena va da 2 a 5 anni di reclusione. Per quanto riguarda gli investimenti esteri, questo reato si applica se, ad esempio, un contribuente non presenta il Modello Redditi (quindi neanche il Quadro RW) avendo imposte su redditi esteri dovute sopra €50.000. Non si applica invece a chi ha presentato la dichiarazione “dimenticando” solo i redditi esteri (in tal caso è infedele, non omessa).
- Omesso versamento di ritenute o IVA (artt. 10-bis e 10-ter): non rilevanti in questo contesto, perché riguardano chi non versa IVA o ritenute certificate. Gli investimenti esteri non c’entrano.
- Autoriciclaggio (art. 648-ter 1 c.p.): reato comune (non tributario) introdotto nel 2015, punisce chi impiega, trasferisce, sostituisce denaro o beni provenienti da un delitto tributario in attività economiche o finanziarie per ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Ad esempio, un contribuente che abbia evaso cifre rilevanti e le abbia collocate su conti o investimenti esteri, o le reinvesta in altre operazioni, potrebbe in teoria essere accusato anche di autoriciclaggio. La pena è pesante (reclusione 2-8 anni) . Si tratta di casi estremi e richiede dolo specifico di mascheramento; di solito entra in gioco se vi sono condotte fraudolente, schermi societari, trasferimenti complessi.
E il Quadro RW? Di per sé, l’omessa compilazione del Quadro RW non è qualificata come reato. È un illecito amministrativo punito con sanzione pecuniaria, ma non rientra tra i reati tributari del D.Lgs. 74/2000 . Quindi non si va in galera “solo” per non aver compilato RW. Questo è stato ribadito dalla Cassazione Penale in più occasioni, da ultimo con la sentenza n. 20649 depositata il 4 giugno 2025 . In quel caso la Cassazione ha escluso che la sola sottrazione al pagamento della sanzione RW possa integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) . La vicenda riguardava un contribuente sanzionato per oltre €1,7 milioni per RW omessi e che aveva spostato beni per evitare la riscossione: la Procura voleva contestargli il reato di sottrazione fraudolenta, ma i giudici (Tribunale del Riesame prima, Cassazione poi) hanno chiarito che la sanzione RW ha natura patrimoniale e non è direttamente collegata a un’obbligazione tributaria su redditi o IVA, per cui il mancato pagamento di essa non integra il presupposto di quell’art. 11 . Inoltre, la presunzione di evasione di cui all’art. 12 D.L. 78/2009 (investimenti black list presunti redditi evasi) non fa scattare automaticamente il penale: serve comunque l’omesso versamento di un’imposta sui redditi per configurare il reato . In parole semplici, non è reato nascondere dei capitali all’estero se ciò non comporta evasione di imposta, mentre lo diventa se contestualmente si evadono imposte su quei capitali sopra le soglie di punibilità.
Pertanto, nel nostro esempio tipico di investimenti in ETF esteri, il contribuente rischia sanzioni penali solo se l’ammontare delle imposte evase sui redditi esteri supera le soglie (50k per omessa dich., 100k per infedele). Se i redditi erano modesti, non vi sarà procedimento penale, ma solo sanzioni amministrative (che comunque, come abbiamo visto, possono essere cospicue).
Va anche detto che, in caso di avvio di un procedimento penale, vi sono possibilità di estinzione del reato per condotta riparatoria: infatti l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede cause di non punibilità se il contribuente paga integralmente il debito tributario prima dell’apertura del dibattimento (o talora entro la sentenza di primo grado). Ad esempio, per dichiarazione infedele o omessa, il pagamento di tutte le imposte, sanzioni e interessi dovuti, anche a seguito di ravvedimento operoso o adesione, estingue il reato. Questo è un forte incentivo a regolarizzare le posizioni anche una volta avviato un accertamento, al fine di evitare conseguenze penali.
In sintesi, dal punto di vista penale: – La mancata dichiarazione di attività estere in sé non è reato, ma può costituire indizio o parte di una condotta più ampia di evasione. – Se le imposte evase relative superano i limiti di legge, si incorre nei reati di dichiarazione infedele (oltre 100k € evasi) o omessa dichiarazione (oltre 50k € evasi, se dichiarazione totalmente omessa) con pene detentive. – La Cassazione 2025 ha escluso che la sola sanzione RW impagata faccia scattare reati di sottrazione fraudolenta: serve un debito da imposte sui redditi o IVA per quei reati . – In casi di rilevante evasione internazionale, potrebbe configurarsi anche autoriciclaggio per l’occultamento e reimpiego dei proventi evasi, ma sono situazioni estreme. – Pagare il dovuto (magari tramite ravvedimento o adesione) può salvare dal penale, estinguendo il reato prima che la cosa degeneri .
Questa consapevolezza è utile anche in ottica difensiva: ad esempio, un avvocato difensore potrà far leva sul fatto che il proprio cliente ha regolarizzato spontaneamente appena ricevuta contestazione (indice di ravvedimento operoso e di buona fede) per evitare conseguenze penali, o potrà chiedere la non punibilità se tutte le somme sono state versate. Inoltre, sapere che il Quadro RW omesso non è reato evita mosse improprie del Fisco (ad esempio talvolta veniva minacciata la confisca per equivalente sui capitali esteri non dichiarati, ma la Cassazione ha escluso tale possibilità proprio perché non c’è un reato sottostante se non c’è imposta evasa ).
Passiamo ora alla parte costruttiva: come può difendersi il contribuente che si trova nella situazione di aver omesso investimenti in ETF esteri, sia preventivamente (tramite regolarizzazione volontaria) sia successivamente all’accertamento (tramite gli strumenti contenziosi).
Regolarizzare prima dell’accertamento: il ravvedimento operoso
Se il contribuente si rende conto di aver commesso un’omissione (o riceve una lettera di compliance) prima che l’Agenzia delle Entrate notifichi un formale atto di accertamento o avvii verifiche a suo carico, la strada più efficace e vantaggiosa è quella del ravvedimento operoso. Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) consente di sanare volontariamente le violazioni tributarie commesse, beneficiando di una consistente riduzione delle sanzioni, a patto di versare spontaneamente imposte dovute, interessi e sanzioni ridotte entro determinati termini .
Principi chiave del ravvedimento operoso: – Può essere utilizzato per quasi tutte le violazioni tributarie, comprese l’omessa dichiarazione di redditi esteri e l’omesso Quadro RW . – È precluso solo se sono già iniziate certe attività di controllo: ad esempio, se il contribuente ha già ricevuto un verbale di contestazione o un avviso di accertamento relativo a quella violazione, non può più ravvedersi su quella (il ravvedimento è possibile finché l’Amministrazione finanziaria non ha conoscenza della violazione) . – Richiede il pagamento di tutto il dovuto: in particolare, occorre presentare una dichiarazione integrativa per l’anno (o gli anni) omesso, includendo i redditi esteri dimenticati e/o compilando il Quadro RW mancante, e contestualmente versare: – la quota di imposta dovuta in più (es. il 26% sui dividendi o plusvalenze non dichiarati, l’IVAFE dovuta, ecc.); – gli interessi legali calcolati giorno per giorno sull’imposta (dal termine originario al giorno del pagamento); – la sanzione in misura ridotta, calcolata in percentuale (fortemente abbattuta) rispetto alla sanzione piena.
L’entità della riduzione della sanzione dipende da quanto tempestivamente si interviene. Le riduzioni previste (art. 13 D.Lgs. 472/97) sono le seguenti: – Se ci si ravvede entro 15 giorni dalla violazione (ravvedimento sprint): sanzione ridotta a 1/10 del minimo. – Entro 90 giorni dalla violazione (o entro 90 gg dal termine di presentazione dichiarazione, nel caso di dichiarazioni): sanzione ridotta a 1/9 del minimo . – Oltre 90 giorni ma entro 1 anno dall’omissione (cioè entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo): sanzione a 1/8 del minimo. – Entro 2 anni dall’omissione: sanzione a 1/7 del minimo. – Oltre 2 anni dall’omissione: sanzione a 1/6 del minimo. – Se la violazione afferisce a dichiarazione omessa (ma presentata spontaneamente entro il termine per quella dell’anno successivo): sanzione ridotta a 1/5 del minimo. – Se la violazione è già stata constatata (es. PVC) ma non ancora notificato accertamento: sanzione a 1/5.
(Nota: le frazioni 1/10 e 1/8 sono riferite al caso di tributi dovuti; per alcuni casi di violazioni formali le riduzioni differiscono leggermente. Ma per semplicità restiamo su queste.)
Nel contesto investimenti esteri/Quadro RW, abbiamo due tipologie di sanzioni da ravvedere: – La sanzione per omessa dichiarazione dei redditi esteri (90-180% imposta evasa). Ravvedendosi, la base è il minimo 90% (visto che non c’è più discrezionalità, la legge dice che ai fini del ravvedimento si considera la sanzione minima) . Su questa base del 90%, si applica la riduzione in base al tempo. Ad esempio, ravvedersi entro 1 anno comporta 1/8 di 90%, cioè il 11,25% dell’imposta evasa ; oltre 2 anni ma prima di accertamento, 1/6 di 90% = 15% dell’imposta evasa. Come visto nell’esempio prima, invece di pagare una sanzione del 90%, si paga tra il 15% e l’11% circa, cioè un abbattimento dell’85-89%. – La sanzione per omessa compilazione del Quadro RW (3-15% valore). Anche qui, in sede di ravvedimento conta la sanzione minima edittale (3% o, se black list, 6%). E la norma prevede un meccanismo particolare: se la dichiarazione (Quadro RW) viene presentata entro 90 giorni dal termine originario, c’è la sanzione fissa €258 ridotta a 1/10 , quindi circa €25,80. Oltre 90 giorni, si passa alla misura proporzionale con le riduzioni generali. Di fatto, ravvedersi oltre 90 gg ma entro l’anno fa sì che il minimo 3% si riduca a 3% × 1/8 = 0,375% del valore . Ravvedendosi dopo 2 anni: 3% × 1/6 = 0,5% del valore. Quindi, per dare un’idea: omettere di dichiarare €100.000 di asset esteri espone a €3.000 di multa per ogni anno; ravvedendosi dopo qualche tempo se la cava con €500 per anno (0,5%), o persino €375 se in tempi più brevi. Questo spiega affermazioni come “col ravvedimento la sanzione RW si riduce fino all’85% in meno” .
Importante: per ravvedersi occorre presentare la dichiarazione integrativa per gli anni passati. Dal 2015 in poi non c’è più un limite temporale stretto: si può integrare anche dichiarazioni di molti anni addietro (purché nei limiti della prescrizione per riscuotere, che però è anch’essa 5 anni dopo l’anno di violazione per le sanzioni). In pratica, è possibile ravvedere violazioni risalenti anche a 5-6-7 anni, salvo che l’amministrazione non le abbia già contestate . Quindi se nel 2025 mi accorgo di non aver dichiarato un ETF nel 2018, posso comunque inviare un Modello Redditi Integrativo 2019 (per l’anno 2018) con Quadro RW e redditi aggiornati, e pagare il dovuto con ravvedimento.
Non va confuso il ravvedimento operoso ordinario con altre forme straordinarie di regolarizzazione: – Nel 2015 e 2017 vi sono state le Voluntary Disclosure (collaborazioni volontarie) specifiche per capitali esteri, ormai concluse, che permettevano di sanare pagando tutte le imposte ma con riduzioni di sanzioni penali. Oggi non sono aperte. – La Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha introdotto un cosiddetto “ravvedimento speciale” per le violazioni tributarie 2016-2019, che consentiva di pagare 1/18 del minimo delle sanzioni. Tuttavia erano espressamente escluse da questa procedura le violazioni sul Quadro RW e quelle da monitoraggio di attività estere . Il legislatore ha infatti evitato di riaprire una sanatoria generalizzata sui capitali esteri, probabilmente per non entrare in conflitto col quadro europeo (come successo alla Spagna). Quindi per RW omessi l’unica via rimane il ravvedimento ordinario. – La stessa legge 197/2022 ha previsto una definizione agevolata delle violazioni formali, pagando 200€ a violazione. Ma poiché, come visto, l’omessa compilazione RW non è considerata formale bensì sostanziale , anche questa scorciatoia non è applicabile per gli ETF esteri non dichiarati.
In definitiva, il ravvedimento operoso ordinario è lo strumento principe per chi vuole regolarizzare volontariamente investimenti esteri non dichiarati, evitando il peso pieno delle sanzioni e soprattutto il rischio di illeciti penali. I vantaggi del ravvedimento includono : – Sanzioni ridotte (fino a 1/10 o 1/8 del minimo, come spiegato). – Niente sanzioni accessorie o altre conseguenze: il ravvedimento è visto positivamente e di norma l’ufficio non prosegue con altre azioni se tutto è pagato. – Esclusione del profilo penale: regolarizzare prima di controlli dimostra buona fede e, se comunque c’era reato, il pagamento integrale prima del dibattimento lo estingue. – Possibilità di rateizzare eventualmente le somme dovute se elevate (pagando poi gli interessi sulle rate successive, ma quantomeno diluendo l’esborso).
Si consiglia di farsi assistere da un tributarista o avvocato esperto in fiscalità internazionale per calcolare correttamente le somme e presentare le dichiarazioni integrative. Ad esempio, lo Studio dell’Avv. Monardo (da cui traiamo vari spunti) sottolinea che agire rapidamente è essenziale: più ci si avvicina al momento in cui l’Agenzia scopre l’omissione, minori sono i benefici del ravvedimento .
Riassumiamo in tabella le principali sanzioni e il loro trattamento in caso di ravvedimento operoso per le violazioni che stiamo trattando:
Violazione | Sanzione ordinaria | Sanzione con ravvedimento (esempi) |
---|---|---|
Omessa compilazione Quadro RW | 3% – 15% del valore (6%–30% se black list) .<br>€258 se dich. presentata entro 90 gg . | – Se integrata entro 90 gg: €258 → €25,80 (1/10) .<br>– Se oltre 90 gg: es. minimo 3% → 3%×1/8 = 0,375% se entro 1 anno ; oppure 3%×1/6 = 0,5% se oltre 2 anni.<br>(In sostanza riduzione ~85% della sanzione.) |
Infedele dichiarazione Redditi (imposte evase) | 90% – 180% dell’imposta evasa . (Se >100k evasi scatta reato) | – Ravvedimento: si calcola sul 90% (minimo) .<br>Entro 90 gg: 90%×1/9 ≈ 10% dell’imposta.<br>Entro 1 anno: 90%×1/8 = 11,25% dell’imposta.<br>Oltre 2 anni: 90%×1/6 = 15% dell’imposta . |
Omessa dichiarazione Redditi (dich. non presentata) | 120% – 240% imposta dovuta (min €250). Reato se >50k evasi. | – Se dich. presentata entro 1 anno (tardiva): sanzione ridotta a 1/10 (€250→€25) entro 90gg, poi 1/8 minimo .<br>– Ravvedimento speciale (2023) non ammesso per RW, mentre qui teorico 1/18 se rientrava (ma tralasciamo). |
Nota: Il ravvedimento è possibile solo prima che la violazione sia già contestata/formalizzata dal Fisco . Se si riceve una lettera di compliance (che non è un atto formale) si è ancora in tempo per ravvedersi , ma se arriva un Processo Verbale o un avviso di accertamento, è troppo tardi e occorre passare agli strumenti difensivi dell’accertamento.
Nel caso in cui il contribuente abbia già ricevuto un accertamento, oppure abbia scelto comunque di non ravvedersi e contrastare la pretesa del Fisco, entrano in gioco gli strumenti di difesa e impugnazione, che vediamo qui di seguito.
Difendersi dopo un accertamento: autotutela, adesione e ricorso
Quando l’Agenzia delle Entrate ha già emesso un avviso di accertamento per omessa dichiarazione di investimenti esteri (ETF) – dunque quando ci si trova di fronte al fatto compiuto – il contribuente ha comunque diversi strumenti per difendersi o quantomeno ridurre le conseguenze. È fondamentale agire tempestivamente, poiché gli accertamenti diventano definitivi se non contrastati entro i termini.
Le principali strategie difensive post-accertamento sono:
- Istanza di autotutela: è un’istanza (facoltativa) che il contribuente può presentare allo stesso ufficio dell’Agenzia che ha emesso l’atto, evidenziando eventuali errori o elementi a discarico e chiedendo l’annullamento o la rettifica dell’atto in via di autotutela. L’autotutela è a discrezione dell’amministrazione: tipicamente utile se vi sono errori evidenti nell’accertamento (ad es. doppia imposizione, persona sbagliata, investimenti che risultano già dichiarati, scambi di codici fiscali, calcoli palesemente errati, ecc.). Se il contribuente fornisce prove solide (es. documenti bancari che contraddicono quanto contestato) l’ufficio potrebbe annullare in tutto o in parte l’atto. In materia di investimenti esteri, l’autotutela potrebbe essere accolta ad esempio se si dimostra che l’asset contestato era cointestato con un soggetto estero e quindi per metà non soggetto, oppure se i redditi erano esenti per convenzione e l’ufficio li ha tassati comunque, ecc. È bene presentare l’istanza in tempi brevi, preferibilmente entro i 60 giorni utili per il ricorso, così da sospendere eventualmente la riscossione . Tuttavia, il contribuente non può affidarsi solo all’autotutela: poiché non sospende i termini del ricorso, è prudente preparare comunque il ricorso tributario entro 60 giorni, a meno che l’ufficio non annulli per tempo. L’autotutela, insomma, è un tentativo interno di soluzione bonaria, spesso con esiti incerti, ma da tentare se ci sono argomenti convincenti.
- Accertamento con adesione: è uno strumento deflattivo del contenzioso previsto dal D.Lgs. 218/1997. Consente al contribuente di chiedere un confronto con l’ufficio accertatore per eventualmente pervenire a un accordo sull’accertamento. La domanda va presentata entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (in alternativa alla presentazione immediata del ricorso) e produce la sospensione dei termini di impugnazione per 90 giorni. In sede di adesione, il contribuente e i funzionari possono discutere il merito: l’ufficio, se vengono addotti elementi nuovi, può rivedere parzialmente la pretesa (ad esempio riconoscere un credito d’imposta estero non considerato inizialmente, o ridurre l’importo di una plusvalenza contestata, o ricondurre la sanzione al minimo). Spesso l’adesione si traduce in un “compromesso” in cui il contribuente accetta di pagare le imposte dovute, magari con qualche riduzione su sanzioni e interessi. Vantaggi dell’adesione: se si raggiunge l’accordo, le sanzioni sono automaticamente ridotte ad 1/3 del minimo previsto per legge (art. 3 D.Lgs. 218/97), inoltre è possibile rateizzare l’importo fino a 8 rate trimestrali. Nel nostro caso, se c’è poco da contestare sul merito (i redditi c’erano ed erano imponibili) ma magari si vuole puntare a una riduzione sanzionatoria, l’adesione è una via percorribile: si potrebbe chiudere, ad esempio, con sanzione RW applicata al minimo 3% e ridotta a 1% per adesione, e sanzione imposte evase ridotta anch’essa di un terzo del minimo. Ciò chiaramente conviene se l’ufficio è disponibile. Di solito, l’ufficio aderisce al minimo se il contribuente non ha mostrato volontà fraudolenta e accetta di pagare tutto subito. Se invece il contribuente ha elementi per farsi annullare gran parte della pretesa, allora punterà al ricorso (l’adesione è più utile in casi “grigi” di errore del contribuente).
- Reclamo e mediazione tributaria: se l’ammontare del contenzioso (imposte + sanzioni) non supera €50.000, il contribuente che intende fare ricorso deve prima presentare un reclamo/istanza di mediazione (procedura obbligatoria introdotta dal D.lgs. 156/2015 e modifiche). In pratica, il ricorso che si predispone per la Commissione Tributaria va inizialmente inviato all’Ufficio come reclamo, e l’Ufficio ha 90 giorni per valutare se accogliere in tutto o in parte o proporre mediazione. Spesso, in sede di mediazione, l’Ufficio può offrire una riduzione delle sanzioni del 40% (art. 17-bis D.Lgs. 546/92) se si concilia. Se entro 90 giorni non c’è accordo, il reclamo si intende respinto e il ricorso prosegue in CTP. Nel nostro contesto, molti casi di investimenti esteri possono superare i 50k di imponibile contestato e quindi di valore, però se il valore contestato è piccolo, questa strada è un ulteriore tentativo di chiudere bonariamente. Ad esempio, se contestano €10.000 di investimenti esteri non dichiarati, il valore del ricorso (tipicamente la somma delle imposte e sanzioni) potrebbe essere sotto 50k e quindi reclamo-mediazione applicabile.
- Ricorso in Commissione Tributaria Provinciale (CTP): è la strada giudiziale vera e propria. Va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (salvo sospensioni per adesione) alla CTP competente (di solito quella della provincia del domicilio fiscale del contribuente). Nel ricorso si possono far valere tutti i motivi di illegittimità o infondatezza dell’accertamento, sia sul merito (es: i redditi non erano imponibili, o erano minori, o c’era già stata tassazione, o ho diritto a esenzioni, o il calcolo è sbagliato, ecc.) sia sulla procedura (es: vizi formali dell’atto, decadenza termini, difetto di motivazione, ecc.). Nel nostro caso di ETF esteri, possibili eccezioni di merito potrebbero essere:
- Dimostrare che il reddito era già tassato altrove e andava esente o con credito (es. dividendi con credito non riconosciuto).
- Contestare il valore su cui è applicata la sanzione RW (magari l’ufficio ha preso il valore massimo dell’anno mentre la norma parla di valore al 31/12, a seconda delle istruzioni).
- Far valere che l’investimento era all’estero ma con intermediario italiano (quindi non c’era obbligo RW secondo contribuente) .
- Chiedere l’applicazione del cumulo giuridico sulle sanzioni RW pluriennali, citando Cass. 11849/2023 .
- Invocare la disproporzione della sanzione e chiedere al giudice di ridurla al minimo edittale (il giudice tributario può ridurre le sanzioni entro i minimi se ritiene che l’ufficio non abbia motivato adeguatamente il perché di una sanzione superiore al minimo).
- Contestare eventuale violazione del principio del ne bis in idem, se l’ufficio sanziona due volte la stessa cosa (ad es., anche se raro, sanzione RW e anche sanzione per omesso versamento IVAFE potrebbero colpire due aspetti del medesimo fatto; di solito no, ma la difesa può provarci).
- Sollevare questioni di legittimità, come eventualmente la non applicabilità di presunzioni (se black list) senza prova concreta.
- Verificare la correttezza della notifica e altri aspetti procedurali (gli atti vanno motivati anche sulle ragioni per cui non si è accolto l’eventuale risposta del contribuente alla lettera di compliance, ecc.).
Nel ricorso si possono chiedere anche provvedimenti cautelari: ad esempio la sospensione dell’atto, se nel frattempo l’importo è iscritto a ruolo e si rischia l’esecuzione forzata. La CTP può concedere la sospensione dell’esecutività se c’è periculum e fumus (rischio per il contribuente e fondatezza del ricorso).
Il processo tributario per vicende di questo tipo consente di arrivare, se necessario, sino alla Cassazione (CTP -> appello in CTR -> ricorso in Cassazione), ma ovviamente tempi e costi sono da valutare. Spesso si cerca di risolvere prima con adesione o reclamo, e si va in giudizio se ci sono buone probabilità di successo su questioni importanti o di principio.
- Conciliazione giudiziale: anche dopo aver presentato ricorso, c’è la possibilità di trovare un accordo col Fisco in sede processuale, attraverso la conciliazione. Se si concilia in primo grado, le sanzioni sono ridotte al 40% di quelle irrogate (vantaggio un po’ minore rispetto all’adesione, che era 1/3). In appello, riduzione al 50%. La conciliazione può essere utile se emergono elementi nuovi durante il processo che aprono a un compromesso.
- Definizioni agevolate o condoni: ogni tanto il legislatore introduce sanatorie per i giudizi pendenti (come quella del 2023 che permetteva di chiudere liti fino a certo importo con un pagamento ridotto). Bisogna stare attenti a eventuali novità normative: ad esempio, se c’è la possibilità di definire la lite con lo sconto del 90% delle sanzioni, potrebbe convenire aderire. Queste sono misure straordinarie, non prevedibili a priori.
In tutto questo, può essere cruciale il supporto di un difensore esperto (avvocato tributarista o commercialista) che sappia dosare bastone e carota: a volte conviene mostrarsi collaborativi per ottenere il minimo, altre volte irrigidirsi e contestare tutto. D’altronde, come sottolineano gli esperti, “le sanzioni per errori o omissioni nel Quadro RW possono essere molto pesanti, ma spesso possono essere ridotte o annullate con una difesa ben strutturata” .
Ad esempio, l’Avv. Monardo (esperto in queste materie) evidenzia che, ricevuto l’atto sanzionatorio o l’avviso, il suo approccio è: – Analizzare dettagliatamente il contenuto e verificare i presupposti dell’obbligo RW . – Redigere se del caso istanze di autotutela o memorie difensive all’ufficio per convincerli a rivedere le sanzioni . – Se necessario, proporre ricorso in CTP e rappresentare il contribuente nel contenzioso . – Valutare anche strumenti alternativi, come la richiesta di ravvedimento speciale (quando c’era nel 2023) o altre forme se disponibili .
In ogni caso, è bene tenere a mente che ignorare un accertamento fiscale è la scelta peggiore: l’atto diverrà definitivo e verrà iscritto a ruolo, portando a cartelle esattoriali, fermi amministrativi, ipoteche, ecc. Anche se le somme contestate appaiono insostenibili, è preferibile attivarsi per trovare soluzioni (dilazioni, riduzioni, conciliazioni) piuttosto che subire inerzialmente.
Suggerimento pratico: All’arrivo di un avviso di accertamento per investimenti esteri non dichiarati: 1. Verificare il termine di 60 giorni e segnarsi la scadenza per il ricorso. 2. Esaminare se l’importo rientra sotto €50k per predisporre eventuale reclamo/mediazione obbligatoria. 3. Considerare se conviene presentare istanza di adesione (sospende termini per 90 gg e apre dialogo). 4. Raccogliere tutta la documentazione estera utile (estratti conto, certificati di dividendi, eventuali moduli fiscali esteri) per sostenere il proprio caso. 5. Se si riconosce l’errore e non si vuole contestare, valutare l’acquiescenza: pagando entro 60 giorni senza fare ricorso, si ha la riduzione delle sanzioni ad 1/3 (art. 15 D.Lgs. 218/97). Ad esempio, una sanzione del 90% verrebbe ridotta al 30%. L’acquiescenza è utile se l’atto è corretto e si vuole solo lo sconto legale sulle sanzioni. Attenzione però: l’acquiescenza fa perdere ogni possibilità di contestazione successiva. 6. In caso di ricorso, richiedere eventualmente la sospensione se l’importo è alto e si rischia l’esecuzione. 7. Preparare una strategia argomentativa solida, citando magari le sentenze di Cassazione rilevanti a proprio favore (es. Cass. 11849/2023 su cumulo, Cass. 28077/2024 su natura sostanziale – quest’ultima però avversa al contribuente sul formalismo, quindi da usare solo se serve a giustificare l’operato del Fisco).
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito rispondiamo ad alcuni quesiti comuni in materia di accertamenti su investimenti esteri non dichiarati, dal punto di vista del contribuente.
D: Devo dichiarare gli ETF esteri anche se non ho guadagnato nulla nell’anno?
R: Sì. Come spiegato, l’obbligo di monitoraggio scatta a prescindere dalla produzione di reddito . Ciò che conta è detenere attività finanziarie estere potenzialmente idonee a produrre redditi imponibili. Un ETF estero, anche se ad accumulazione e senza dividendi, va indicato in RW per il valore che ha, e l’eventuale plusvalore maturato verrà tassato al momento della vendita. L’unico caso di esonero è per conti correnti sotto le soglie di valore (max €15.000 e giacenza media €5.000) . Nessuna esenzione invece per titoli, partecipazioni, fondi, criptovalute: vanno sempre dichiarati, anche se l’importo è piccolo .
D: Se l’ETF estero è tramite una banca italiana, devo comunque fare il Quadro RW?
R: No, se l’intermediario italiano funge da sostituto d’imposta (risparmio amministrato o gestito). In tal caso il quadro RW non va compilato per quegli investimenti, perché l’intermediario residente ha già comunicato e tassato tutto . Questo vale anche per depositi fiduciari presso fiduciarie italiane e per certi casi di polizze. Attenzione però: se avete un rapporto con una piattaforma estera anche se ha succursale in Italia (per esempio alcune piattaforme di trading estere), assicuratevi che rientri nell’esonero; in caso di dubbio, meglio dichiarare. In generale: ETF su conto estero = dichiarare; ETF su conto italiano = no (già tassato alla fonte). Anche in dubbio, dichiarare non comporta svantaggi, mentre non dichiarare quando dovevate farlo sì.
D: Cos’è l’IVAFE e devo pagarla sugli ETF?
R: L’IVAFE è l’imposta sul valore delle attività finanziarie estere, pari allo 0,20% annuo. Va calcolata sul valore di mercato degli strumenti finanziari detenuti all’estero (inclusi ETF) al 31/12. Se l’ETF è su un conto estero, sì, dovete pagarla (ad esempio, €50 su €25.000 di valore). Se l’ETF è su un dossier presso banca italiana, no (pagherete l’imposta di bollo equivalente già trattenuta). L’IVAFE si dichiara e paga tramite il Quadro RW. Se non l’avete pagata per anni, l’accertamento vi chiederà gli arretrati con sanzione e interessi .
D: Ho ricevuto una “lettera di compliance” che mi segnala un conto/ETF estero non dichiarato. È un accertamento? Cosa devo fare?
R: La lettera di compliance non è un accertamento: è un invito amichevole a verificare e regolarizzare . Non ha valore impositivo e non va in Commissione. Ma non ignoratela! È il momento di agire con ravvedimento operoso. Se effettivamente avete omesso qualcosa, conviene approfittare della chance di ravvedersi ora pagando sanzioni ridotte (1/9 del minimo se entro 90 giorni dal ricevimento, come specificato nelle istruzioni). Nella lettera di solito vi indicano anche come fare (ci sono moduli e istruzioni sul sito AdE). Se invece ritenete che i dati siano sbagliati (ad es. segnalano un conto che non è vostro o già dichiarato), potete rispondere all’Agenzia spiegando e allegando prove. In ogni caso entro 30 giorni sarebbe opportuno fornire un riscontro. Se non fate nulla, è molto probabile che arrivi un accertamento vero e proprio con sanzioni piene .
D: L’Agenzia mi contesta investimenti in un Paese black list (es. ETF su conto a Singapore) non dichiarati. È vero che considerano tutti quei soldi come reddito evaso?
R: In base all’art. 12 del D.L. 78/2009, se detenete attività in paradisi fiscali non dichiarate, scatta una presunzione legale per cui l’intero ammontare si presume finanziato con redditi non tassati in Italia . In sede di accertamento, ciò può tradursi nel tentativo del Fisco di tassare tali importi come redditi sottratti (tipicamente come reddito diverso). Tuttavia, questa presunzione è relativa: potete vincerla dimostrando che quei capitali hanno origine lecita e già tassata (ad esempio, trasferimenti da conti italiani dichiarati, eredità, ecc.). La Cassazione ha chiarito che la sola esistenza della presunzione non basta per configurare un reato , ma a livello amministrativo la sanzione RW raddoppiata (6-30%) si applica comunque. Quindi in un contesto black list, la difesa è più difficile: dovrete fornire pezze d’appoggio dettagliate per ogni flusso di denaro, se non volete che li tassino come reddito.
D: Ho già pagato delle imposte sul reddito dell’ETF all’estero, devo pagarle di nuovo in Italia?
R: No, niente doppia imposizione. Se, ad esempio, un dividendo dall’ETF ha scontato una ritenuta estera del 15%, in Italia applicherete il 26% ma con diritto a detrarre quel 15%, pagando solo la differenza (11% circa). Questo meccanismo del credito d’imposta estero è sancito dall’art. 165 TUIR e permette di evitare la doppia tassazione . L’importante è indicare nella dichiarazione italiana l’ammontare dell’imposta estera già pagata. Anche in sede di ravvedimento o accertamento, se il Fisco non vi avesse riconosciuto inizialmente il credito (perché non lo avevate chiesto), potete pretenderlo: c’è giurisprudenza (Cass. 10642/2025) che conferma che il credito può essere richiesto tardivamente entro il limite di prescrizione decennale . Quindi assicuratevi di non pagare più tasse del dovuto: se avete prove delle imposte pagate fuori, presentatele.
D: Entro quando posso ravvedermi per non rischiare il penale?
R: In linea generale, finché l’Agenzia non vi ha notificato un accertamento o avviato una verifica, siete nei tempi per il ravvedimento . Non c’è un termine ultimo fisso in anni: potete ravvedere anche violazioni di 5-6 anni fa, se ancora non contestate. Ovviamente, prima lo fate meglio: se ravvedete prima che arrivi qualunque comunicazione, sarete certamente fuori da sanzioni penali. Se ravvedete dopo aver ricevuto una lettera di compliance ma prima dell’accertamento, siete ancora a posto (la lettera di compliance non preclude il ravvedimento). Una volta notificato l’avviso o iniziata un’ispezione, invece, il ravvedimento non è più ammesso . In quel caso resta la possibilità di chiudere in adesione o di pagare tutto prima del dibattimento per estinguere eventualmente il reato, ma formalmente non è un ravvedimento operoso. Quindi il consiglio è: appena vi accorgete di avere attività estere non dichiarate, ravvedetevi subito – idealmente entro l’anno successivo, così le sanzioni sono minime . Non aspettate la fine dei termini, perché col CRS è facile che l’Agenzia vi anticipi.
D: Quali sanzioni rischio se non faccio nulla e vengo scoperto?
R: Rischiate: – Sanzioni pecuniarie pesanti: 3-15% del valore non dichiarato (RW) per anno , 90-180% delle imposte evase . In casi gravi, sommando annualità, possono superare anche il capitale investito. Nel peggiore degli scenari, si può arrivare (teoricamente) al 240% di quanto dovuto, considerando tutte le componenti . – Rischio penale: se l’imposta evasa > €50.000 annui, l’omissione può portare a indagine penale per dichiarazione infedele/omessa . Ciò significa possibili perquisizioni, sequestro di beni e un procedimento con esito incerto (anche se spesso, pagando, il procedimento viene archiviato, il solo fatto di subirlo è un disagio enorme). – Misure cautelari sul patrimonio: l’Agenzia, se teme di non riscuotere, può chiedere un sequestro conservativo o iscrivere ipoteca sui vostri beni. La Cassazione ha limitato il sequestro per sole sanzioni RW , ma se c’è imposta evasa può comunque scattare. – Presunzioni a vostro sfavore: come detto, in caso di black list presumono evasione e starà a voi discolparvi. Inoltre, in caso di contenzioso, sarete voi a dover spesso provare la fonte delle somme estere. – Interessi di mora: ogni anno di ritardo aumenta il debito per via degli interessi. – Cartella esattoriale e aggravio: dopo l’accertamento (se definitivo) arriva la cartella con aggi di riscossione, ecc., e poi eventualmente pignoramenti.
In sintesi, non fare nulla espone al massimo delle conseguenze. Invece, reagire attivamente (ravvedimento, difesa, accordo) può ridurre drasticamente il danno economico e azzerare il rischio penale .
D: In caso di ricorso, quali sono le chance di successo?
R: Dipende dai punti contestati. Se il fatto (possedere ETF esteri non dichiarati) è documentato dall’Agenzia e non contestabile, sul merito delle imposte c’è poco da fare: le norme son chiare che erano dovute. Le chance spesso si giocano sulle sanzioni e su eventuali errori procedurali. Ad esempio, molti ricorsi ottengono la riduzione delle sanzioni al minimo (3% RW, 90% imposte) se l’ufficio aveva applicato una percentuale maggiore senza motivare. Oppure si ottiene il cumulo giuridico tra annualità, come stabilito dalla Cassazione , riducendo molto la somma totale. In alcuni casi si riesce a far annullare sanzioni se si dimostra “obiettiva incertezza” normativa (difesa rara, ma possibile se la disciplina era ambigua; tuttavia sul RW la Cassazione dice che l’obbligo è sostanziale e chiaro ). Se l’Agenzia ha commesso vizi formali (es. notifica nulla, motivazione insufficiente) si può vincere anche totalmente, ma poi è possibile un nuovo accertamento sanando il vizio. Quindi realisticamente, un ricorso ben argomentato può portare a: – Riduzioni sanzioni (anche forte, es. da 15% a 3%). – Riconoscimento di crediti d’imposta esteri non conteggiati inizialmente (abbattendo l’imposta dovuta). – Applicazione cumulo anziché somma (se più anni). – Annullamento per prescrizione di anni troppo vecchi (se l’Agenzia avesse sforato i termini, ma di solito stanno attenti). – Cancellazione di pretese infondate (capita se scambiano soggetti o se considerano reddito qualcosa che non lo è).
In conclusione, spesso il contenzioso si chiude con un ridimensionamento significativo dell’importo originariamente preteso (talora attraverso conciliazione). È però un percorso lungo e costoso (spese legali, ecc.), da valutare rispetto a un’adesione immediata. In ogni caso, mai arrendersi senza analisi: anche se avete sbagliato, potreste pagare molto meno di quanto vi chiedono inizialmente, difendendovi con gli strumenti giusti .
D: In futuro, come posso evitare problemi col Fisco per i miei investimenti esteri?
R: La parola chiave è compliance preventiva. Assicuratevi ogni anno di: – Dichiarare tutti i vostri redditi, inclusi quelli esteri (il vostro commercialista deve sapere se avete conti o investimenti fuori, fornitegli gli estratti e i documenti). – Compilare accuratamente il Quadro RW per ogni attività estera detenuta, salvo quelle espressamente esonerate (conti sotto soglia, investimenti tramite banche italiane) . – Pagare IVAFE/IVIE dovute. – Conservare documentazione di supporto (ad es. le certificazioni degli intermediari esteri sui redditi, i valori a fine anno, etc., e le prove delle imposte pagate all’estero). – Aggiornarvi sulle novità normative: ad esempio dal 2022 ci sono regole su cripto, nel 2023 c’è stata la soglia black list abolita per la Svizzera (diventata white list) , ecc. – Se avete dubbi interpretativi, consultate un esperto prima di decidere di non dichiarare. È meglio dichiarare un’attività in più (magari non serviva) che ometterne una dovuta.
Come evidenziato, dormire “sonni tranquilli” si può: basta rispettare gli obblighi ogni anno, e anche se qualcosa va storto, ravvedersi subito appena si scopre l’errore .
Conclusione
Gli investimenti in ETF esteri offrono indubbi vantaggi finanziari (diversificazione, efficienza, etc.), ma comportano anche una serie di adempimenti fiscali in Italia che non vanno sottovalutati. Il punto di vista del contribuente (debitore) deve essere pragmatico: prevenire è meglio che curare. Dalla panoramica sopra fornita emerge chiaramente che: – Dichiarare correttamente da subito le attività estere e i loro redditi evita sanzioni e seccature future. – In caso di omissione, intervenire spontaneamente con ravvedimento riduce l’impatto a livelli gestibili, mentre essere accertati porta a esborsi molto superiori. – Il sistema sanzionatorio italiano, pur severo, prevede opportunità di riduzione sia in via amministrativa (ravvedimento, adesione) sia in via giudiziale (cumulo giuridico, minima edittale, conciliazioni). Sfruttare queste opportunità fa la differenza tra una sanzione rovinosamente alta e una penalità sopportabile. – La giurisprudenza recente è in parte dalla parte del contribuente su punti chiave (no sanzioni plurime esagerate per RW, no automaticità di reati per mere omissioni patrimoniali) .
In ultima analisi, il contribuente che riceve un accertamento per ETF esteri non dichiarati ha diversi mezzi per difendersi e tutelare il proprio patrimonio: può ottenere annullamenti, riduzioni, dilazioni. È però fondamentale agire con tempestività e cognizione di causa, possibilmente facendosi assistere da professionisti esperti in fiscalità internazionale e contenzioso tributario. Solo con una strategia ben strutturata si possono ridurre o perfino annullare gli effetti di un’omissione che, se trascurata, avrebbe conseguenze pesanti . Questa guida, con fonti normative e giurisprudenziali aggiornate al 2025, fornisce gli strumenti conoscitivi necessari: starà poi al singolo caso concreto applicarli al meglio per conseguire la soluzione più favorevole possibile di fronte all’Agenzia delle Entrate.
Fonti principali: – D.P.R. 917/1986 (TUIR), art. 3 (tassazione mondiale) e 165 (credito imposte estere).
– D.L. 167/1990, art. 4 (monitoraggio attività estere) e art. 5 (sanzioni) .
– D.Lgs. 74/2000 (reati tributari), artt. 4,5,10-ter,11 e succ. mod.
– D.Lgs. 471/1997, art. 1 (sanzione infedele dichiarazione), art. 5 co.2 (sanzioni monitoraggio, modif. 2017) , art. 13 (omessi versamenti).
– D.Lgs. 472/1997, art. 12 (cumulo giuridico violazioni), art. 13 (ravvedimento operoso).
– Cassazione Civ. Sez. Trib. 11849/2023 (ord. 5/5/2023): cumulo giuridico per RW omesso pluriennale .
– Cassazione Civ. Sez. Trib. 28077/2024 (sent. 30/10/2024): violazione RW sostanziale, sanzioni proporzionate 5% ok .
– Cassazione Pen. Sez. III 20649/2025 (sent. 4/6/2025): sanzione RW non è debito d’imposta rilevante per reato art.11 D.Lgs.74/2000 .
– Cassazione Civ. Sez. Trib. 10642/2025: credito d’imposta estero esercitabile tardivamente (principio di decadenza decennale) .
– Circ. Ag. Entrate 19/E/2012, 38/E/2013: chiarimenti su soglie conti €15k, esoneri frontalieri e intermediari .
– Provvedimento Ag. Entrate 18/12/2013: esonero RW per attività in amministrazione presso intermediari residenti .
– Legge 186/2014 (voluntary disclosure I), D.L. 193/2016 conv. L. 225/2016 (voluntary bis).
– Legge 197/2022 (Bilancio 2023), commi 138-148 (tassazione cripto e sanatoria cripto), 166-173 (definizione formale violazioni), 174-178 (ravvedimento speciale) .
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la mancata dichiarazione di investimenti in ETF esteri? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la mancata dichiarazione di investimenti in ETF esteri?
Vuoi sapere cosa rischi e come predisporre una difesa efficace?
👉 Prima regola: chiarisci la natura degli ETF detenuti all’estero, dimostra l’avvenuta tassazione (se c’è stata) e la buona fede nell’adempimento degli obblighi dichiarativi.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Omissione del quadro RW (monitoraggio fiscale) per ETF detenuti su conti o piattaforme estere;
- Mancata tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita di quote ETF;
- Omissione della tassazione dei dividendi o proventi periodici percepiti;
- Disallineamenti tra dati comunicati dalle piattaforme estere e dichiarazione dei redditi italiana;
- Investimenti in ETF armonizzati/non armonizzati trattati in modo errato.
📌 Conseguenze della contestazione
- Sanzioni per omessa compilazione del quadro RW (dal 3% al 15% del valore non dichiarato, raddoppiate per Paesi “black list”);
- Recupero delle imposte non pagate su plusvalenze e proventi;
- Interessi di mora su imposte e sanzioni;
- Rischio di contestazioni penali per omessa dichiarazione di attività finanziarie all’estero, se le somme sono rilevanti;
- Responsabilità patrimoniale personale del contribuente.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Gli ETF erano custoditi presso un intermediario residente (che funge da sostituto d’imposta) o presso un broker estero?
- I redditi sono stati già tassati all’estero o in Italia?
- La tipologia di ETF (armonizzato o non armonizzato) era stata correttamente identificata?
- Sono state rispettate le soglie minime di dichiarazione?
- L’accertamento si basa su dati concreti (scambi, proventi) o solo su presunzioni?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Estratti conto della piattaforma o della banca estera;
- Prospetti periodici di rendicontazione dell’ETF;
- Documenti fiscali relativi a dividendi, cedole e plusvalenze;
- Copia delle dichiarazioni dei redditi degli anni contestati;
- Eventuali certificazioni rilasciate dall’intermediario.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la buona fede e l’assenza di volontà evasiva, soprattutto se si tratta di errori formali;
- Contestare le sanzioni quando sproporzionate rispetto alla violazione;
- Evidenziare eventuali imposte già assolte all’estero o in regime di risparmio amministrato/gestito;
- Richiedere la riduzione delle sanzioni tramite ravvedimento operoso o definizione agevolata;
- Presentare ricorso entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria;
- Difesa penale mirata se contestata l’omessa dichiarazione di attività estere.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la tipologia di ETF e il regime fiscale applicabile;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione e i margini di difesa;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e, se necessario, nei procedimenti penali;
🔁 Suggerisce strategie preventive per la corretta dichiarazione degli investimenti esteri.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su investimenti e redditi esteri;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sugli ETF esteri non dichiarati non sempre sono fondate: spesso derivano da errori formali o da incertezze interpretative tra intermediari italiani ed esteri.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza degli adempimenti, ridurre le sanzioni e contenere le conseguenze fiscali e patrimoniali.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sugli ETF esteri inizia qui.