Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dagli enti previdenziali per presunto uso illecito degli esoneri contributivi destinati a giovani, donne o imprese del Sud? In questi casi, l’Ufficio ritiene che i benefici contributivi siano stati richiesti o applicati senza il rispetto dei requisiti di legge, contestando la fruizione indebita dell’agevolazione. Le conseguenze possono essere molto gravi: revoca del beneficio, recupero dei contributi non versati, applicazione di sanzioni e, nei casi più seri, ipotesi di reato per indebita percezione di aiuti pubblici. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa documentata è possibile dimostrare la legittimità della fruizione o ridurre l’impatto delle sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate o l’INPS contesta l’uso illecito dell’esonero contributivo
– Se non sono stati rispettati i requisiti previsti (età, residenza, genere, area geografica)
– Se l’assunzione agevolata è avvenuta in violazione dei divieti di cumulo o di sostituzione di personale già occupato
– Se l’impresa non era in regola con gli obblighi contributivi e assicurativi al momento della richiesta
– Se vengono rilevate dichiarazioni mendaci o irregolarità nelle comunicazioni telematiche
– Se vi sono incongruenze tra i dati dichiarati e le risultanze ispettive o documentali
Conseguenze della contestazione
– Revoca totale o parziale dell’esonero contributivo riconosciuto
– Recupero dei contributi non versati a causa dell’agevolazione
– Applicazione di sanzioni amministrative e interessi di mora
– Inserimento dell’impresa in liste di controllo per future agevolazioni
– Possibile denuncia per indebita percezione di erogazioni pubbliche
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa al momento dell’assunzione
– Produrre contratti di lavoro, comunicazioni obbligatorie e documentazione contributiva
– Contestare la qualificazione di “uso illecito” se si tratta di meri errori formali o di calcolo
– Evidenziare eventuali vizi di notifica, difetti istruttori o motivazioni insufficienti nell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione in termini meno gravosi per ridurre sanzioni e interessi
– Presentare ricorso agli organi competenti (Corte di Giustizia Tributaria o giudice del lavoro, a seconda dei casi)
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la normativa di riferimento e la posizione contributiva dell’impresa
– Verificare la legittimità della contestazione e l’effettivo possesso dei requisiti per l’esonero
– Predisporre un ricorso basato su prove concrete e vizi formali dell’accertamento
– Difendere l’azienda davanti ai giudici tributari o del lavoro
– Tutelare il patrimonio aziendale e gli amministratori da conseguenze sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La conferma della legittima fruizione dell’esonero contributivo
– La riduzione o eliminazione delle sanzioni accessorie e degli interessi
– La sospensione delle richieste di pagamento già notificate
– La certezza di mantenere i benefici previsti dalla normativa senza oneri indebiti
⚠️ Attenzione: gli esoneri contributivi rappresentano un ambito sotto stretta vigilanza degli enti di controllo. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e documentata per evitare conseguenze economiche e reputazionali molto gravi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, del lavoro e previdenziale – spiega come difendersi in caso di contestazioni sull’uso illecito degli esoneri contributivi e quali strategie adottare per tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
In Italia, negli ultimi anni, sono state varate numerose agevolazioni contributive per incentivare le assunzioni di determinate categorie di lavoratori: giovani under 36, donne “svantaggiate” e lavoratori nelle regioni del Sud (c.d. Decontribuzione Sud). Questi incentivi – previsti da leggi di bilancio 2021-2023 e vari decreti emergenziali (es. D.L. 104/2020 “Decreto Agosto”, Decreti Aiuti 2022) – consentono ai datori di lavoro esoneri o sgravî contributivi anche totali (100%) per un periodo determinato . Tuttavia, l’uso indebito di tali esoneri (cioè la fruizione senza averne i requisiti di legge) può comportare gravi contestazioni da parte dell’INPS, con richieste di restituzione dei contributi non versati, sanzioni civili (interessi e importi aggiuntivi) e persino conseguenze penali nei casi più gravi di frode. Dal punto di vista del datore di lavoro (il debitore chiamato a restituire l’incentivo), è essenziale conoscere come difendersi: quali sono le condizioni di legittimità degli esoneri, le procedure di accertamento dell’INPS, i rimedi amministrativi e giudiziari (es. opposizione ex art. 24 D.lgs. 46/1999 entro 40 giorni con il rito del lavoro ex art. 442 c.p.c.) e le possibili strategie difensive da adottare.
In questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – forniremo un quadro avanzato e approfondito, con riferimenti normativi recenti (Leggi di Bilancio 2021-2024, D.L. 104/2020, Decreti Aiuti ecc.), indicazioni tratte da circolari INPS e giurisprudenza aggiornata (comprese sentenze di Cassazione 2024-2025 e decisioni di tribunali di merito) per orientare avvocati, professionisti e imprese. Il taglio sarà giuridico ma divulgativo, con spiegazioni chiare, tabelle riepilogative dei requisiti e sanzioni, casi pratici simulati e una sezione di Domande & Risposte. L’obiettivo è mettere il lettore (in particolare il datore di lavoro debitore) in condizione di comprendere i propri diritti e doveri e di attuare efficaci strategie difensive sia in fase di interlocuzione con l’INPS sia nell’eventuale contenzioso giudiziario.
Le agevolazioni contributive under 36, donne e Sud: quadro normativo
In questa sezione riepiloghiamo le caratteristiche principali delle tre misure di esonero contributivo su cui si concentrano le contestazioni, vale a dire: (a) l’esonero per assunzioni stabili di giovani under 36, (b) l’esonero per assunzioni di donne svantaggiate, (c) la decontribuzione Sud per i datori di lavoro nel Mezzogiorno. Per ciascuna misura indicheremo la base normativa, il periodo di validità, la portata dello sgravio e i principali requisiti, così da comprendere in seguito in quali casi l’INPS può contestarne l’indebita fruizione.
Di seguito una tabella di sintesi delle tre agevolazioni:
Incentivo | Normativa (introd./proroghe) | Periodo assunzioni incentivabili | Misura dello sgravio | Durata | Massimale | Principali requisiti |
---|---|---|---|---|---|---|
Esonero giovani Under 36 | L. 178/2020, commi 10-15 (L. Bilancio 2021); L. 234/2021 (proroga 2022); L. 197/2022 (proroga 2023) | 1/1/2021 – 31/12/2023 (non prorogato per il 2024) | 100% dei contributi datoriali INPS (esclusi premi INAIL) | 36 mesi (48 mesi per sedi nel Sud) | €6.000 annui (circa €500/mese) | Under 36 anni all’assunzione; mai titolare in precedenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (anche con altri datori). Contratto a t.indet. (o stabilizzazione da t.d.). Nessun licenziamento nei 6 mesi precedenti in unità produttiva. Incompatibile con altri esoneri sullo stesso lavoratore. |
Esonero Donne svantaggiate | L. 178/2020, comma 16 (L. Bilancio 2021); L. 234/2021 (proroga 2022); L. 197/2022 (proroga 2023) – Ripreso nel 2024/25 con DL 48/2023 e DL 60/2024 (nuovo “Bonus donne”) | 1/1/2021 – 31/12/2023 (100% fino a €6.000 annui); NB: dal 1/9/2024 al 31/12/2025 nuova misura con massimale €650/mese . | 100% dei contributi datoriali INPS (esclusi INAIL), entro i limiti annui previsti (vedi colonna massimali) | 12 mesi (tempo determinato) o 18 mesi (tempo indeterminato) – raddoppiati a 24 mesi per la misura 2021-23 e per la nuova 2024-25 | €6.000 annui (2021-23); €650/mese (circa €7.800 annui) per 2024-25 | Donna “priva di impiego regolarmente retribuito”: disoccupata da ≥6 mesi se residente in regioni svantaggiate o settore con disparità di genere >25%; oppure disoccupata da ≥24 mesi ovunque . Oppure (2021-23): donna ≥50 anni disoccupata da ≥12 mesi. Contratto a t.indet. o t.det (in tal caso sgravio dimezzato). Compatibilità: cumulo con Decontribuzione Sud possibile fino a cap annuo (secondo indicazioni amministrative). |
Decontribuzione Sud | Art. 27 D.L. 104/2020 conv. L. 126/2020 (introd.); L. 178/2020, c.161 e segg. (estesa 2021-2029, autorizzata U.E.); varie proroghe attuative (es. autorizzazione UE sett. 2021 e dic. 2023) | 1/10/2020 – 31/12/2025 (esonero 30% fino al 31/12/2025; previsto poi scalare 20% 2026-27, 10% 2028-29 se confermato) . Autorizzazione UE attuale valida fino 30/6/2024 (proroga in corso) | 30% dei contributi previdenziali dovuti dal datore (quota INPS) – aliquota ridotta al 30% | Fino a 2025 (strutturale, con aliquote calanti dal 2026) | Nessun tetto individuale (lo sgravio è in % sulla contribuzione dovuta) | Datori di lavoro privati con sede/unità operativa in regioni “meno sviluppate” o “in transizione” del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria, Sardegna) . Esclusi settori agricolo e lavoro domestico ; di fatto esclusi (per interp. INPS) codici ATECO sezione “K” (finanziari/assicurativi) – v. caso agenti assicurativi infra. Necessaria autorizzazione UE in quanto aiuto di Stato . |
Note: Le fonti normative sopra indicate sono quelle principali; l’incentivo under 36 e donne al 100% sono stati introdotti dalla Legge di Bilancio 2021 (L. 178/2020) e prorogati fino alle assunzioni effettuate nel 2023 , ma non rinnovati per il 2024 (sostituiti da nuovi bonus mirati nel DL 48/2023 e DL 60/2024). La Decontribuzione Sud, inizialmente temporanea per il 2020-21, è stata estesa fino al 2025 e oltre (con aliquota decrescente) ma è soggetta a rinnovi di autorizzazione della Commissione UE .
Vediamo più in dettaglio ciascun incentivo:
- Esonero contributivo giovani under 36: introdotto dall’art. 1, commi 10-15, L. 178/2020, ha previsto per le nuove assunzioni a tempo indeterminato (o trasformazioni da tempo determinato) effettuate nel biennio 2021-2022 uno sgravio totale (100%) dei contributi previdenziali a carico del datore, per una durata massima di 36 mesi, elevati a 48 mesi per i datori di lavoro con sede nelle regioni del Sud . Il beneficio è subordinato a due condizioni fondamentali: (1) il lavoratore, all’atto dell’assunzione incentivata, non deve aver ancora compiuto 36 anni di età; (2) il lavoratore non deve essere mai stato occupato a tempo indeterminato nella sua vita lavorativa precedente (condizione “una tantum” che mira a favorire il primo impiego stabile) . In caso di violazione anche di una sola di queste condizioni, l’esonero non spetta. L’importo dello sgravio è limitato a 6.000 euro annui per lavoratore (riproporzionati mensilmente) . Questo incentivo – denominato anche “Incentivo occupazione giovani” (codice INPS GECO nei sistemi informativi) – è stato autorizzato dalla Commissione UE come aiuto di Stato nell’ambito del Temporary Framework COVID fino al 31/12/2021 , poi prorogato per le assunzioni 2022 e 2023 con successive decisioni europee. La Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ne ha esteso l’applicazione alle assunzioni effettuate durante tutto il 2023 , mantenendo le medesime condizioni e massimali (ma con tetto elevato a 8.000 euro annui per il solo 2023, in analogia con l’esonero donne – v. infra). Non vi è stata proroga per il 2024, perciò per le assunzioni dal 1° gennaio 2024 l’esonero under36 non è più fruibile (resta però in vigore l’esonero strutturale “Under 30” introdotto dalla L. 205/2017, ossia lo sgravio 50% fino 3.000€/anno per under 30 al primo impiego stabile ).
- Esonero contributivo per l’assunzione di donne svantaggiate: si tratta di un incentivo già previsto a regime (sebbene in misura ridotta) dalla Legge Fornero (L. 92/2012, art. 4, c. 8-11) e dal D.I. 17/2017, che la L. 178/2020, comma 16 ha potenziato al 100% per le assunzioni negli anni 2021-2022. La Legge di Bilancio 2023 ha prorogato tale esonero pieno anche alle assunzioni effettuate nel 2023. In sostanza, per l’assunzione di “donne svantaggiate” (definizione che comprende: donne di qualsiasi età, prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi se residenti in regioni svantaggiate o appartenenti a settori economici con forte disparità occupazionale di genere, oppure prive di impiego regolare da almeno 24 mesi ovunque; nonché le donne con almeno 50 anni di età disoccupate da oltre 12 mesi) si riconosce uno sgravio totale dei contributi a carico azienda . La durata dell’esonero è di 18 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato (ovvero 12 mesi se a termine, prorogabili in caso di trasformazione). Anche per questo incentivo vigeva il massimale di 6.000€/anno per lavoratrice. Esempio: un’azienda che assume nel 2022 una donna disoccupata da 2 anni beneficia per 18 mesi dell’azzeramento dei contributi INPS dovuti su quel rapporto di lavoro (entro il limite di circa €500/mese di sgravio) . Come per l’incentivo under36, anche lo sgravio “donne” al 100% è stato autorizzato dall’UE (in quanto eccedeva i limiti del regime de minimis). Attenzione: dal 2024 il regime speciale è scaduto; tuttavia, il Governo ha reintrodotto per il periodo 1° settembre 2024 – 31 dicembre 2025 un nuovo “Bonus donne” (art. 2, c. 9, D.L. 48/2023 conv. L. 85/2023, rifinanziato dal D.L. 60/2024) che ricalca l’agevolazione precedente ma con un tetto mensile di 650 € per lavoratrice . Pertanto, per le assunzioni di donne nel 2024-2025 si applica quest’ultimo massimale (anziché i 6.000€ annui). In ogni caso, le condizioni soggettive per qualificare una “donna svantaggiata” rimangono quelle previste dalla normativa originaria (6 o 24 mesi di disoccupazione, ecc. come sopra).
- Decontribuzione Sud: è un esonero contributivo rivolto a tutti i datori di lavoro privati del Mezzogiorno (esclusi solo il settore agricolo e il lavoro domestico) e consiste in una riduzione percentuale dei contributi previdenziali dovuti. Introdotto inizialmente per il quarto trimestre 2020 dal D.L. 104/2020 (c.d. Decreto Agosto), è stato poi esteso con la Legge di Bilancio 2021 (L. 178/2020, commi 161-169) all’intero periodo 2021-2029. In particolare, la misura prevede un esonero pari al 30% dei contributi pensionistici a carico del datore di lavoro per i rapporti di lavoro dipendente in aziende situate nelle regioni del Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna) . Questo sgravio generalizzato mira a ridurre il cuneo fiscale nelle aree economicamente svantaggiate. La sua applicazione, configurando aiuto di Stato, richiede però l’autorizzazione della Commissione Europea . La Commissione UE ha dapprima autorizzato la Decontribuzione Sud fino al 31/12/2021 nell’ambito delle misure emergenziali COVID, poi – valutata la misura nell’ambito degli aiuti regionali – ha concesso proroghe: da ultimo, a fine 2023 ha approvato l’estensione fino al 30 giugno 2024 , con prospettiva di ulteriore estensione fino al 2025. Pertanto, ad agosto 2025 la decontribuzione al 30% è fruibile (retroattivamente) fino a giugno 2024 ed è in attesa di nuovo via libera UE per coprire tutto il 2024 e il 2025. Dal 2026 in poi, la legge prevede aliquote ridotte (20% per 2026-27, 10% per 2028-29) salvo modifiche. Requisiti: il beneficio spetta per i rapporti di lavoro la cui sede di lavoro è in una delle regioni indicate. L’INPS ha chiarito che rileva la sede operativa/unità produttiva dove opera il lavoratore, e che sono ammessi anche gli studi professionali (non solo imprese) . Settori esclusi: ufficialmente l’agevolazione riguarda tutti i datori privati, ma inizialmente vi è stato un dubbio applicativo per il settore finanziario/assicurativo. In mancanza di un espresso divieto normativo, associazioni di categoria degli agenti di assicurazione hanno fatto domanda di sgravio; l’INPS tuttavia ha adottato un’interpretazione restrittiva, considerando tali attività come appartenenti alla sezione “K” della classificazione ATECO (attività finanziarie e assicurative) e quindi non meritevoli del beneficio (in quanto non PMI produttive) . Questo ha dato luogo a un contenzioso specifico (v. oltre). A parte tale situazione, la Decontribuzione Sud è cumulabile con altri incentivi entro il limite della contribuzione dovuta: ad esempio, per un datore meridionale che assume un giovane under36, lo sgravio under36 è al 100% e quindi “assorbe” anche il beneficio Sud (non potendo eccedere il totale dei contributi dovuti); viceversa, esaurito il triennio under36, l’azienda potrebbe usufruire del 30% Sud residuo fino al 2025, ove previsto.
In sintesi: gli esoneri in oggetto offrono vantaggi contributivi significativi (anche azzeramento totale dei contributi INPS dovuti) e sono stati ampiamente utilizzati da imprese e datori di lavoro, specie nelle regioni meridionali. Tuttavia, proprio la loro portata così estesa e le condizioni stringenti richieste hanno portato molti datori, in buona o mala fede, a fruirne anche quando non spettanti. Nelle sezioni seguenti analizzeremo quando l’INPS contesta l’illegittima fruizione di questi esoneri, quali sono le richieste che vengono avanzate (restituzione contributi e sanzioni), e come è possibile difendersi, facendo valere le proprie ragioni o puntando su vizi procedurali e strumenti legali per annullare o ridurre la pretesa.
Contestazione dell’INPS per fruizione indebita dell’esonero: cause e conseguenze
L’INPS ha il compito di vigilare sul corretto utilizzo delle agevolazioni contributive. Negli anni 2022-2025 l’Istituto ha avviato campagne mirate di controllo (anche tramite le proprie sedi territoriali e gli ispettori del lavoro) per verificare se i datori di lavoro che hanno usufruito degli esoneri under36, donne e Sud avessero effettivamente diritto al beneficio. Da questi accertamenti stanno emergendo numerosi casi di fruizione indebita, dovuti principalmente a mancanza dei requisiti previsti per l’agevolazione.
Le cause tipiche di contestazione sono:
- Assenza dei requisiti soggettivi del lavoratore assunto con incentivo: ad esempio, nel caso degli incentivi giovani, è risultato spesso che il lavoratore aveva già avuto un rapporto a tempo indeterminato in passato (magari con un altro datore), venendo meno la condizione “mai occupato stabile” . Oppure il lavoratore aveva età superiore al limite (36 anni compiuti) al momento dell’assunzione. Nel caso del bonus donne, la contestazione più comune è che la lavoratrice non fosse effettivamente “svantaggiata” secondo i criteri di legge: a volte la donna risultava avere un impiego precedente nei mesi immediatamente prima (anche part-time o intermittente, ma tale da far venir meno lo status di “priva di impiego regolarmente retribuito”), oppure non risultavano rispettati i periodi di disoccupazione richiesti (6/24 mesi a seconda dei casi). Anche errori formali, come un’iscrizione al Centro per l’Impiego non rinnovata, possono aver tratto in inganno. Per la decontribuzione Sud, i problemi sorti riguardano per lo più la localizzazione geografica o il settore: l’incentivo non spetta se il rapporto di lavoro non si svolge in sede ubicata in regione agevolata (es. azienda con sede legale al Sud ma dipendenti operanti al Nord) oppure – come nel caso degli Agenti di assicurazione – perché l’INPS ha ritenuto il datore escluso per settore ATECO (equiparando l’agente alla compagnia assicurativa) . Queste situazioni hanno prodotto diffide di restituzione rivolte a moltissimi agenti nel 2023, giudicate “ingiuste” dalle loro associazioni.
- Violazione delle condizioni normative dell’incentivo: oltre ai requisiti del lavoratore, ogni esonero impone condizioni al datore, ad esempio il divieto di cumulo con altri incentivi contributivi sullo stesso lavoratore (oltre il limite del 100%). L’INPS verifica dalle denunce contributive UniEmens se, per errore o malizia, un datore abbia sommato indebitamente più esoneri. In tal caso, di solito l’Istituto contesta l’eccedenza (richiedendo almeno la restituzione della quota di incentivo eccedente il massimo consentito). Un’altra condizione è il rispetto di eventuali norme anti-licenziamento: ad esempio, per gli esoneri under36 e donne, era previsto che l’assunzione non avesse luogo in violazione del diritto di precedenza di altri lavoratori aventi diritto e che nei 6 mesi precedenti il datore non avesse effettuato licenziamenti nella stessa unità produttiva per mansioni equivalenti. In caso di accertato licenziamento in violazione di tali condizioni, l’INPS può revocare l’agevolazione. Anche la regolarità contributiva generale (DURC) e il rispetto delle norme sul lavoro (contrattazione collettiva) sono condizioni per godere dei benefici: un datore con DURC irregolare o sanzionato per violazioni gravi potrebbe vedersi annullare l’esonero.
- Errori o mutamenti successivi nei dati occupazionali: un caso peculiare è emerso per l’esonero under 36 in relazione a lavoratori il cui status occupazionale “pregresso” è cambiato a posteriori. È accaduto, ad esempio, che un lavoratore fosse stato assunto a tempo determinato da un altro datore e, dopo l’assunzione incentivata presso il nuovo datore, quel rapporto precedente sia stato “riqualificato” in tempo indeterminato in sede di contenzioso ispettivo. Ciò significa che, retroattivamente, quel lavoratore risulta aver avuto un rapporto indeterminato prima dell’assunzione agevolata. In tali casi l’INPS tende a disconoscere il diritto all’esonero. Tuttavia, con Messaggio n. 4178 del 24 novembre 2023, l’INPS ha chiarito che la restituzione dell’esonero fruito si rende necessaria solo se il datore attuale è lo stesso che aveva instaurato il rapporto poi riqualificato; viceversa, se il datore attuale è diverso, può mantenere legittimamente il beneficio, avendo assunto il giovane in buona fede ignorando la circostanza ostativa . Questo chiarimento (molto rilevante in ottica difensiva) riconosce dunque che il datore nuovo non può essere penalizzato per un fatto ignoto al momento dell’assunzione.
- Mancato rispetto di vincoli post-assunzione: alcuni incentivi richiedono di mantenere il rapporto per un certo periodo o di non effettuare licenziamenti dopo l’assunzione. Per gli esoneri under36/donne 2021-23, non era previsto un esplicito obbligo di stabilità (oltre alla durata dell’incentivo stesso), ma resta in vigore la regola generale anti-licenziamento per evitare l’aggiramento: se il datore licenzia il lavoratore agevolato durante il periodo di fruizione senza giusta causa o giustificato motivo, normalmente l’agevolazione decade per il periodo residuo. L’INPS potrebbe richiedere la restituzione parziale dello sgravio fruito nei mesi successivi al licenziamento (sebbene non debba restituire quanto legittimamente fruito fino a quel momento). Diverso è il caso di incentivi subordinati all’incremento occupazionale netto (non applicabile a under36/donne, ma ad es. in altri bonus): se l’azienda non mantiene l’incremento di organico, perde il beneficio e deve restituirlo.
Quando l’INPS riscontra una fruizione indebita – ad esempio tramite incrocio di banche dati (UniEmens, comunicazioni al Centro Impiego, estratti contributivi) o a seguito di un accertamento ispettivo – procede alla contestazione formale nei confronti del datore. Negli ultimi tempi, molti datori di lavoro hanno ricevuto dall’INPS comunicazioni via PEC relative a “accertamenti ispettivi” in cui l’Istituto revoca l’agevolazione concessa e richiede il pagamento dei contributi dovuti, oltre alle sanzioni previste . Si tratta spesso di diffide di pagamento, ovvero avvisi con cui l’INPS intima il datore a restituire l’incentivo indebitamente fruito. Ad esempio, l’INPS sta inviando PEC a numerosi datori che avevano fruito dell’esonero under36 dichiarando: in esito a verifiche, è mancato il requisito dell’assenza di precedenti rapporti indeterminati in capo al giovane assunto .
Conseguenze immediate della contestazione: Il datore di lavoro destinatario della diffida perde il diritto all’esonero per il futuro (ovviamente, se lo stava ancora utilizzando) e viene chiamato a pagare i contributi arretrati che avrebbe dovuto versare in assenza di incentivo. In più, deve pagare le sanzioni civili per omesso versamento, calcolate su ciascuna mensilità di contribuzione non pagata, dal momento in cui sarebbe stata dovuta. In pratica, l’INPS considera quei contributi come non versati alle scadenze di legge, applicando quindi gli interessi di mora e le somme aggiuntive previste dall’art. 116 della L. 388/2000 (di solito un interesse annuo intorno al 6-7%, con un minimo del 30% dell’importo evaso) a decorrere da ogni mese di utilizzo indebito. Il messaggio INPS n. 4618 del 21/12/2023 ha proprio chiarito che, se l’azienda ha fruito indebitamente dell’esonero under36, deve restituire l’agevolazione inserendo il codice apposito (“M472”) nel flusso UniEmens del primo mese utile dopo la notifica della diffida, e pagare le sanzioni civili maturate a partire dai mesi in cui ha goduto indebitamente dello sgravio .
Da notare che l’INPS non consente una restituzione “automatica” spontanea dopo la diffida senza sanzioni: il messaggio citato specifica che non è sufficiente per il datore inserire il codice di restituzione M472 per sanare la posizione dopo la diffida, perché comunque saranno dovuti gli interessi di mora . In altre parole, una volta notificata la contestazione formale, l’azienda deve pagare sia i contributi arretrati sia le relative sanzioni civili.
Effetti sul DURC: La notifica della diffida o, ancor più, l’emissione di un Avviso di Addebito (atto esecutivo con cui l’INPS ingiunge il pagamento) comporta che l’azienda risulti inadempiente verso l’INPS. Di conseguenza, fino a quando non avrà saldato il dovuto (o ottenuto una sospensione), l’INPS segnalerà la situazione di irregolarità contributiva e il datore perderà il DURC regolare . Ciò ha implicazioni gravi: senza DURC l’azienda non può partecipare ad appalti pubblici, non può ottenere benefici pubblici e potrebbe vedersi sospendere eventuali pagamenti da enti pubblici. Questo effetto si aggiunge alla pretesa economica e spesso mette forte pressione al datore affinché paghi o sistemi il contenzioso rapidamente, pena il blocco delle attività (si pensi a imprese edili che senza DURC non possono operare). Anche per tale ragione è fondamentale agire tempestivamente per contestare o regolarizzare la posizione, così da ripristinare la regolarità contributiva magari attraverso una rateizzazione (l’INPS consente di chiedere un piano di dilazione per i debiti contributivi, e un debito rateizzato e in corso di pagamento normalmente permette di ottenere un DURC regolare).
Riassumendo, a fronte di un utilizzo illecito dell’esonero contributivo, l’INPS revoca il beneficio e richiede: (1) pagamento dei contributi non versati, (2) interessi e sanzioni civili per tardivo pagamento, ed eventualmente (3) decadenza da eventuali esoneri futuri su quello stesso rapporto. In caso di inerzia, l’INPS procederà a iscrivere a ruolo il credito e ad emettere un Avviso di Addebito, che verrà notificato tramite PEC o raccomandata. Da quel momento decorre il termine (40 giorni) per proporre opposizione in sede giudiziaria (v. infra). Se il debitore non paga né impugna, l’Avviso diverrà definitivo ed esecutivo, con successiva attivazione di misure di recupero coattivo (fermo amministrativo, pignoramenti, ecc.).
Esempio pratico: Un’azienda ha assunto a gennaio 2021 un lavoratore trentaquattrenne fruendo dell’esonero under36. Nel 2023 riceve dall’INPS una PEC che contesta l’esonero perché da verifiche risulta che quel lavoratore aveva avuto un contratto a tempo indeterminato (ad esempio un apprendistato confermato) nel 2018 presso un altro datore. L’INPS allega la lista dei mesi per cui l’azienda ha applicato lo sgravio (gennaio-dicembre 2021, e poi gennaio 2022) e invita a restituire i contributi relativi a quei mesi, per un totale di, ipotizziamo, 8.000 euro, più 800 euro di sanzioni civili maturate fino ad allora. L’azienda, cadendo dalle nuvole (perché ignorava il precedente rapporto del lavoratore), si trova ora un debito di 8.800 € e il timore di non poter regolarizzare il DURC. In questa situazione dovrà valutare come difendersi: può fornire prove di buona fede e contestare la pretesa? Deve pagare subito per ottenere DURC? Può rivalersi sul lavoratore che ha omesso l’informazione? Su questi aspetti ci concentriamo nelle prossime sezioni.
Come difendersi: strumenti e strategie in sede amministrativa (prima del ricorso)
Di fronte a una contestazione di indebita fruizione dell’esonero contributivo, il datore di lavoro ha alcune possibilità di difesa già nella fase amministrativa, prima di arrivare davanti al giudice. Lo scopo è cercare di evitare – se possibile – che la diffida dell’INPS si traduca in un avviso di addebito esecutivo, oppure preparare al meglio il successivo contenzioso. Vediamo i passi consigliati:
1. Verificare la fondatezza della contestazione nei fatti: appena ricevuta la diffida o l’avviso dall’INPS, il datore dovrebbe ricostruire esattamente la situazione e capire se effettivamente il requisito mancante esiste o se c’è un errore. Ad esempio, se l’INPS sostiene che il giovane assunto aveva un rapporto a tempo indeterminato precedente, si dovrà verificare il curriculum lavorativo di quel dipendente: ottenere dall’ex lavoratore (o dal suo estratto contributivo INPS) la conferma dell’eventuale rapporto segnalato. Capita infatti che l’INPS si basi su proprie banche dati che potrebbero contenere errori o informazioni incomplete. Ad esempio, la scheda anagrafico-professionale (C2 storico) del Centro per l’Impiego o l’estratto contributivo potrebbero non riportare tutti i rapporti (specie se molto datati o in altre regioni) . In casi dubbi, l’azienda può chiedere al lavoratore una dichiarazione scritta integrativa o ulteriori prove. Se si scopre che c’è stato un equivoco (es. il rapporto “indeterminato” precedente era in realtà un contratto intermittente, o un apprendistato di I livello non convertito), questo sarà un elemento da utilizzare. Esempio: se l’esonero under36 è contestato per un rapporto di apprendistato che il lavoratore aveva tre anni prima, bisogna valutare se quell’apprendistato è considerato rapporto a tempo indeterminato ai fini del bonus (in genere sì, l’apprendistato è un rapporto a tempo indeterminato sui generis). Se però quell’apprendistato era stato cessato prima della qualificazione finale, potrebbe sostenersi che non ha mai prodotto un “impiego stabile duraturo”. Sono sottigliezze interpretative da analizzare. Per il bonus donne, un punto da verificare è il concetto di “impiego regolarmente retribuito”: ad esempio, se la lavoratrice ha avuto nei 6 mesi precedenti solo contratti di collaborazione con reddito basso, potrebbe ancora rientrare nella definizione di priva di impiego regolare (la normativa definisce infatti impiego regolarmente retribuito un lavoro da almeno 6.000 € annui o 30 giornate lavorative in un anno). Pertanto, se l’INPS avesse ignorato che il lavoro precedente della donna era sotto tali soglie, la contestazione è infondata. In sintesi, il datore deve raccogliere tutte le informazioni e documenti relativi al lavoratore e al proprio rapporto di lavoro per verificare punto per punto le affermazioni dell’INPS.
2. Interlocuzione con l’INPS (ricorso amministrativo in autotutela): Una volta appurati i fatti, se il datore ritiene che la contestazione sia erronea o che vi siano elementi a suo favore, è opportuno attivarsi subito presso l’INPS prima che scadano i termini per il ricorso giudiziario. In particolare, è possibile: (a) presentare un ricorso amministrativo interno all’INPS (un’istanza in autotutela o ricorso al Comitato provinciale INPS) illustrando le proprie ragioni, (b) chiedere un incontro o contatto con il funzionario che ha emesso la diffida, per fornire chiarimenti. Ad esempio, se dall’analisi emerge che il lavoratore under36 aveva sì un precedente rapporto indeterminato, ma con un datore diverso e quest’ultimo fu ignaro di doverlo trasformare (come nel caso del messaggio 4178/2023), il datore attuale può scrivere all’INPS citando quel messaggio e sostenendo di aver agito in buona fede, chiedendo l’archiviazione della diffida . Analogamente, un agente assicurativo del Sud la cui decontribuzione è stata revocata perché l’INPS gli ha assegnato un codice ATECO “65.20.00” (riassicurazioni), potrà inviare all’Istituto una lettera di contestazione dell’errata classificazione ATECO entro 30 giorni, chiedendo la correzione in “66.22.00 – attività di agenti assicurativi” e sostenendo di aver diritto all’esonero . Questa iniziativa è stata espressamente suggerita dalle associazioni di categoria (ANAPA) per creare un precedente amministrativo: se l’INPS accoglie la richiesta e rivede il codice, il datore potrebbe riottenere il DURC regolare ed evitare il recupero (anche se, come vedremo, in realtà il problema per gli agenti non si risolve con il solo cambio codice, essendo entrambi in Sez. K ).
Il ricorso amministrativo all’INPS (ex art. 37 D.P.R. 639/1970) in teoria non è più un passaggio obbligato prima di andare in giudizio (dal 2012 non è condizione di procedibilità), ma può essere utile presentarlo per mettere agli atti le proprie argomentazioni. Spesso però i Comitati INPS respingono queste istanze in modo formale. Più efficace può risultare l’autotutela: una memoria inviata al responsabile del procedimento (presso la Direzione provinciale INPS) con eventuale documentazione probatoria. Non di rado, se l’errore è evidente, l’INPS può annullare o rettificare la diffida. Ad esempio, se viene dimostrato che la lavoratrice rientrava nei requisiti perché iscritta nelle liste di disoccupazione da oltre 24 mesi, l’ente potrebbe fare marcia indietro. È chiaro che ciò avviene in casi lampanti; nelle situazioni più ambigue, difficilmente l’INPS rinuncerà alla propria pretesa in autotutela, e sarà necessario il giudizio.
3. Valutare il pagamento (anche parziale) o la rateazione per ridurre danni immediati: Se la posizione del datore non è solida (cioè se effettivamente il requisito mancava) e soprattutto se mantenere il DURC regolare è vitale per l’attività, una strategia può essere regolarizzare subito il debito versando i contributi dovuti (magari chiedendo la rateizzazione). Questo non preclude di poi agire in giudizio per chiedere rimborso qualora si vinca la causa. In pratica, il datore paga (eliminando il problema del DURC negativo e fermando le sanzioni civili ulteriori) e successivamente propone ricorso al tribunale per dimostrare che il credito INPS non era dovuto e dunque ottenere la ripetizione di quanto versato. È una strada percorribile, anche se va ponderata perché anticipa l’esborso. Alternativamente, se l’importo è elevato e non pagabile in un’unica soluzione, si può presentare all’INPS una domanda di dilazione: l’INPS (come Equitalia per i ruoli) consente piani di rientro mensili sino a 24 rate o più, a seconda dell’entità del debito. Con la lettera di concessione della rateazione, il DURC torna positivo (purché le rate siano pagate regolarmente). Questa soluzione “pagare e poi litigare” ha il vantaggio di mettere in sicurezza l’azienda nell’immediato, evitando fermi o esclusioni da appalti, ma ha lo svantaggio di dover sborsare comunque denaro (oltre tutto, se poi non si vince la causa, non lo si recupererà). Spesso viene adottata quando l’azienda non è sicura di vincere in tribunale e preferisce almeno evitare aggravamenti (ad esempio, aziende coinvolte nelle contestazioni Decontribuzione Sud hanno scelto di pagare per sbloccare situazioni urgenti, e poi supportare le azioni collettive per farsi restituire il dovuto in caso di esito positivo delle cause pilota).
4. Preparare la difesa tecnica per l’eventuale giudizio: sin da questa fase è bene raccogliere normative, circolari e – soprattutto – precedenti giurisprudenziali favorevoli riguardanti casi analoghi. Come vedremo, già nel 2024-2025 vi sono state sentenze di merito (Tribunali del Lavoro) che hanno dato ragione ai datori di lavoro su alcuni fronti: ad esempio, il Tribunale di Bari con sentenza n. 2368/2025 ha accolto il ricorso di un agente di assicurazioni, annullando l’atto INPS che gli negava l’esonero Sud per un’errata classificazione di codice attività, e condannando l’INPS alle spese . Altra pronuncia (Tribunale Teramo, marzo 2025) ha sospeso l’esecuzione di un avviso di addebito INPS a carico di un agente, riconoscendo la fondatezza (fumus) delle sue ragioni e il grave danno (periculum) che avrebbe subito pagando l’importo richiesto . Questi precedenti possono essere allegati o citati già in sede amministrativa per cercare di convincere l’INPS della bontà delle proprie ragioni (moral suasion). Ad esempio, un agente potrebbe scrivere: “si rappresenta che la questione in oggetto è già stata decisa in senso favorevole ai datori con Trib. Bari 2368/2025, che ha riconosciuto l’erroneità dell’operato INPS…”. Ovviamente l’INPS non è tenuta a conformarsi a una sentenza di primo grado, ma più casi simili pendono, più l’ente potrebbe attendere prima di agire coattivamente (magari in attesa di orientamenti consolidati).
5. Attenzione ai termini di ricorso: l’avvio di interlocuzioni con l’INPS non sospende i termini per ricorrere in giudizio . Dunque, se trascorrono ad es. 40 giorni dalla notifica di un Avviso di Addebito INPS senza che sia stato depositato ricorso al Tribunale, il datore perde la possibilità di far valere i motivi nel merito (il debito diverrà definitivo) . Pertanto, fare ricorso amministrativo non allunga i termini processuali: il consiglio è di presentare comunque il ricorso giudiziario entro i termini, anche se si è in attesa di esito dall’INPS, per non decadere dal diritto. L’ideale è muoversi su due binari paralleli: chiedere all’INPS l’autotutela e contestualmente prepararsi al ricorso al giudice del lavoro nel caso in cui l’ente non receda. Se l’INPS poi annulla la richiesta, il ricorso potrà sempre essere ritirato.
In sintesi, in sede amministrativa il debitore può: chiarire e documentare la propria posizione, presentare ricorso interno o memoria difensiva per correggere eventuali errori dell’INPS, e mitigare gli effetti immediati (pagando o rateizzando per salvare il DURC). Queste mosse spesso preludono – se l’ente non accoglie le istanze – all’azione in sede giudiziaria, che esaminiamo nel dettaglio di seguito.
Il ricorso giudiziario contro l’INPS: termini, procedura e rimedi
Quando l’INPS emette un Avviso di Addebito con valore di titolo esecutivo (che ha sostituito la cartella esattoriale per i crediti contributivi), il datore di lavoro che intenda contestarlo deve attivarsi in sede giudiziaria. La normativa speciale di riferimento è l’art. 24 del D.Lgs. 46/1999, il quale stabilisce che le opposizioni a ruoli e avvisi di addebito relativi a crediti previdenziali vanno proposte davanti al giudice del lavoro entro 40 giorni dalla notifica dell’atto . Si tratta di un termine decadenziale perentorio: scaduti i 40 giorni senza ricorso, il debitore non può più far valere nel merito le proprie ragioni (il debito diviene definitivo) . L’eventuale ricorso amministrativo presentato all’INPS non sospende né interrompe questo termine. Dunque, è fondamentale calendariare la scadenza a partire dalla data in cui l’avviso (o la cartella) è stato notificato via PEC o posta.
Giurisdizione e rito: le controversie in materia di contributi previdenziali appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, anche se il credito è ormai affidato all’agente di riscossione . Pertanto, il ricorso va depositato innanzi al Tribunale – Sezione Lavoro competente per territorio (in genere, il tribunale del luogo dove ha sede l’azienda debitrice o dove è sorta l’obbligazione contributiva). La procedura segue il rito del lavoro, come stabilito dall’art. 442 c.p.c., che richiama gli artt. 409 e segg. c.p.c. Questo comporta alcune caratteristiche: il ricorso si propone con ricorso introduttivo depositato in tribunale (non con citazione ordinaria), viene designato un giudice del lavoro che fissa l’udienza di comparizione in tempi relativamente brevi (in media 2-4 mesi), e vigono le regole del processo del lavoro (possibilità di conciliazione, concentrazione delle memorie difensive, ecc.). Nel giudizio devono essere convenuti sia l’INPS (ente impositore del credito) sia l’Agente della Riscossione (es. ADER – ex Equitalia), in quanto formale titolare del titolo esecutivo. Questo perché l’opposizione ai sensi dell’art. 24 D.lgs. 46/99 cumula in sé due tipi di contestazione: l’opposizione all’accertamento del credito (che coinvolge l’INPS, riguardo alla fondatezza della pretesa contributiva) e l’eventuale opposizione agli atti esecutivi (che coinvolge anche l’agente della riscossione, per vizi formali della cartella/avviso). In pratica, però, entrambi i convenuti possono essere citati con unico ricorso, e sarà il giudice del lavoro a decidere sia sul merito del credito sia su eventuali vizi di forma.
Contenuto del ricorso: Nel ricorso giudiziario, il datore di lavoro (opponente) deve esporre i motivi di opposizione, che possono essere di due tipi: motivi di merito (es. “l’esonero mi spettava, quindi non devo quei contributi”) e/o motivi di forma/procedura (es. “l’avviso è nullo perché carente di motivazione, o notificato invalidamente”). È importante sollevare tutti i motivi noti entro il ricorso e le prime memorie, perché nel rito lavoro c’è concentrazione delle difese: ragioni non tempestivamente eccepite potrebbero essere precluse. Ad esempio, se il datore ritiene che il credito sia prescritto (5 anni decorso senza atti interruttivi), deve eccepirlo subito; se lamenta che l’atto non spiega le ragioni del recupero, altrettanto (questo è un vizio di motivazione). Spesso gli avvisi di addebito INPS sono sintetici (riportano un importo e un codice causale). La Cassazione ha però affermato che anche per i crediti previdenziali vale l’obbligo di motivazione sufficiente nei ruoli: se l’azienda non è messa in grado di capire da cosa origina il debito, l’atto può essere annullato per carenza di motivazione. Quindi, contestare eventuali lacune (es. “l’avviso non indica che trattasi di esonero under36 indebito né i mesi cui si riferisce”) può essere una linea difensiva.
Procedimento e provvedimenti cautelari: L’opponente può chiedere al giudice, sin dal ricorso, di sospendere in via d’urgenza l’esecuzione dell’avviso di addebito (ossia la riscossione) ex art. 24, co.5, D.lgs.46/99 qualora sussistano gravi motivi. Il giudice, se ritiene fondati i motivi (fumus boni iuris) e grave il danno in caso di pagamento immediato (periculum in mora), può disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’atto fino all’esito della causa . Ad esempio, il Tribunale di Teramo nel 2025 ha concesso la sospensiva a un agente di assicurazione, evidenziando che le somme richieste dall’INPS avrebbero potuto “compromettere gravemente la stabilità economica” sua e di molti colleghi, e che il ricorso appariva dotato di fumus (cioè vi erano validi argomenti giuridici) . La sospensione è un risultato importante perché evita che nel frattempo partano pignoramenti o che maturino ulteriori interessi. In mancanza di sospensione, l’Agente della Riscossione potrebbe – trascorsi i 60 giorni dalla notifica dell’avviso – avviare azioni esecutive (salvo il caso in cui l’INPS, essendo a conoscenza del ricorso pendente, usi cautela). In ogni caso, richiedere la sospensione è fortemente consigliato quando il credito è consistente; va supportata con documenti (es. bilanci che mostrino l’impatto, contratti d’appalto persi in mancanza di DURC, ecc.).
Durante il giudizio, l’INPS si costituirà tramite un proprio legale (avvocato interno o esterno) difendendo la legittimità del recupero. Il giudice potrà, se necessario, assumere prove (ad es. acquisire d’ufficio il fascicolo amministrativo INPS, documenti sui precedenti rapporti del lavoratore, ecc.). Trattandosi spesso di questioni documentali o interpretative di norme, i processi in questi casi si decidono principalmente sugli atti e sulle norme applicabili; difficilmente servono testimonianze (tranne in ipotesi di contestazione di fatti – es. la conoscenza o meno di una certa circostanza da parte del datore, ma sono marginali e comunque la buona fede soggettiva raramente incide sul diritto all’esonero in sede civile, se il requisito oggettivo manca).
Esito del giudizio di primo grado: Il Tribunale può accogliere totalmente o parzialmente il ricorso. Se accoglie, dichiarerà che il credito non è dovuto (in tutto o in parte) e annullerà l’avviso di addebito impugnato, con condanna dell’INPS alle spese legali. Ciò significa che il datore non dovrà pagare le somme indebitamente pretese e, se aveva già versato qualcosa, ha diritto alla restituzione (o compensazione con altri debiti). Se invece il Tribunale rigetta il ricorso, l’avviso resta valido e il debito va pagato (salvo appello). Il giudice potrebbe anche prendere decisioni intermedie: ad esempio, riconoscere che l’esonero spettava solo per un periodo ridotto, disponendo la restituzione parziale (ad esempio, se un requisito è venuto meno a metà del periodo agevolato). In tal caso l’avviso potrebbe essere annullato in parte (oggi l’Avviso di Addebito è indivisibile e l’opposizione in teoria è sul tutto, ma in sentenza il giudice può accertare la minor somma dovuta).
Appello e fasi successive: La sentenza del Tribunale è appellabile entro 30 giorni (se notificata) o 6 mesi (dalla pubblicazione) presso la Corte d’Appello (sez. lavoro). L’appello non sospende automaticamente l’esecutività: ciò significa che, se il datore ha perso in primo grado, l’INPS potrebbe chiedere all’agente di riprendere la riscossione, a meno che si ottenga una nuova sospensione in appello (non facile). Viceversa, se il datore ha vinto, di solito l’INPS sospende il recupero in attesa dell’esito finale (anche se potrebbe teoricamente procedere se non c’è sospensiva, ma sarebbe contraddittorio se ha perso). Dopo l’appello è eventualmente possibile il ricorso in Cassazione.
Da notare che alcuni profili (come le sanzioni civili) vengono normalmente riconsiderati dal giudice solo se il credito principale è dovuto: non c’è molto margine di riduzione delle sanzioni se non in caso di vittoria totale (in cui nulla è dovuto). Tuttavia, il giudice potrebbe dichiarare dovuti i contributi ma non le sanzioni se, ad esempio, riconoscesse un errore scusabile o un contrasto interpretativo serio: le sanzioni civili in ambito previdenziale però non sono sanzioni “punitive” ma interessi, quindi non possono essere annullate discrezionalmente (sono dovute per legge se il pagamento è omesso). Solo in sede amministrativa l’INPS ha a volte facoltà di ridurre le sanzioni (ad es. applicare il minimo). In giudizio, l’unico modo di evitare gli interessi è far retrodatare la non debenza (ossia stabilire che quei contributi non erano dovuti in origine, quindi nessun ritardo si è verificato in realtà).
Ricapitolando i punti chiave del contenzioso giudiziale:
- Termine di 40 giorni dalla notifica dell’avviso/cartella per ricorrere al Tribunale (rito lavoro) .
- Ricorso depositato in Tribunale Lavoro contro INPS (e agente riscossione), con cui si fanno valere motivi sia di merito (diritto all’esonero) sia formali (vizi dell’atto, prescrizione, difetto di motivazione, ecc.).
- Possibilità di chiedere sospensione immediata dell’esecutività (il giudice la concede se sussistono fumus e periculum) .
- Onere della prova: è ripartito. Il datore opponente deve provare i fatti che danno diritto all’esonero (ad es. che il lavoratore era privo di impiego regolare da tot mesi, magari producendo schede anagrafiche, autocertificazioni, ecc.). L’INPS, dal canto suo, deve provare i fatti costitutivi del credito (cioè l’assenza di requisiti): in pratica, se contesta che c’era un precedente rapporto, deve esibire evidenza di tale rapporto (ad es. estratto contributivo che lo attesta). In giudizio emergeranno questi dati e il giudice valuterà.
- Il giudice decide se l’esonero spettava o no in base all’interpretazione delle norme e alle prove documentali sui requisiti.
- Sentenza di annullamento = il datore non deve pagare e ottiene eventualmente rimborso; Sentenza di rigetto = l’avviso rimane valido e si deve pagare (salvo appello).
- È bene farsi assistere da un avvocato specializzato in diritto del lavoro/previdenza data la tecnicalità del rito e della materia.
Nel prossimo paragrafo vedremo strategie difensive specifiche nel merito delle contestazioni – ossia quali argomenti legali e fattuali invocare per vincere o ridurre la pretesa – e successivamente affronteremo i profili penali connessi alle fruizioni indebite (quando cioè l’uso illecito dell’esonero può configurare un reato).
Strategie difensive nel merito delle contestazioni INPS
Affrontare con successo un contenzioso su esoneri contributivi indebiti richiede di mettere in campo argomentazioni solide sia sui fatti (dimostrare che i requisiti in realtà c’erano, o che l’azienda era in buona fede) sia sul diritto (interpretare le norme in senso favorevole al datore, evidenziare eventuali vuoti normativi o violazioni procedurali dell’INPS). Di seguito analizziamo le possibili strategie difensive, distinguendo per tipologia di incentivo e motivi di contestazione.
A) Dimostrare la sussistenza dei requisiti o l’errore dell’INPS: la difesa più diretta consiste nel provare che, contrariamente a quanto sostiene l’INPS, il datore aveva diritto all’esonero perché i requisiti erano rispettati. Ciò può avvenire, ad esempio, producendo documenti ufficiali che attestino lo status del lavoratore:
- Per gli incentivi giovani under36: Se l’INPS contesta un precedente rapporto a tempo indeterminato, il datore può cercare di dimostrare che tale rapporto era di natura diversa o non rilevante. Ad esempio, se l’INPS indica che il lavoratore Tizio ha avuto un contratto indeterminato con la Ditta Alfa nel 2019, ma tale contratto era un apprendistato di I° livello (formativo) durato pochi mesi e poi cessato, si potrebbe sostenere che quell’esperienza non lo qualifica come “già occupato a tempo indeterminato” ai fini dell’esonero, poiché non ha consolidato una vera posizione permanente (questa tesi è controversa, ma qualche giudice potrebbe accoglierla se la norma non è chiara). Oppure, se risultava un contratto indeterminato part-time di poche ore, si potrebbe argomentare sull’eventuale assimilabilità a lavoro intermittente. Importante è raccogliere dall’ex datore o dal lavoratore stesso eventuali dichiarazioni/certificazioni: es. una dichiarazione sostitutiva del lavoratore in cui afferma che “il contratto presso Alfa Srl del 2019, segnalato dall’INPS, era in realtà a tempo determinato ma convertito in indeterminato solo per un errore formale, mai effettivamente stabilizzato” – se vera, può incidere. Inoltre, si può invocare l’interpretazione favorevole delle norme agevolative: la Cassazione ha spesso affermato che gli incentivi all’occupazione vanno interpretati in senso conforme alla loro ratio, che è di promuovere nuove assunzioni. Dunque, laddove ci sia dubbio, dovrebbe privilegiare l’interpretazione che concede l’agevolazione al datore in buona fede che assume. Ad esempio, se il precedente rapporto era con lo stesso datore e fu mascherato da finto apprendistato, l’INPS ha ragione nel revocare; ma se era con altro datore e del tutto sconosciuto all’attuale, il giudice potrebbe considerare sproporzionato far decadere l’incentivo (anche se formalmente la legge lo prevedrebbe). Una leva difensiva qui è la buona fede e l’affidamento: il datore ha effettuato l’assunzione confidando nell’esito delle verifiche possibili (C2 storico, Uniemens), che non hanno segnalato rapporti a tempo indeterminato in capo al giovane . Se il datore ha diligentemente controllato (magari richiedendo al lavoratore un’autocertificazione o usando l’utility INPS, sebbene non certificativa ) dimostra di aver fatto il possibile. Ciò non cambia il fatto oggettivo (l’incentivo formalmente non spettava se il requisito mancava), ma potrebbe influenzare la decisione sulle sanzioni: un giudice potrebbe ad esempio non applicare le sanzioni civili (o ridurle al minimo) se riconosce che l’errore è scusabile. Va detto che la legge non esonera dal pagamento degli interessi in base alla buona fede; però, in alcune pronunce, i giudici – riconoscendo l’assoluta difficoltà per il datore di conoscere i rapporti pregressi del lavoratore – hanno mostrato comprensione, talora invitando l’INPS a compensare le sanzioni.
- Per l’esonero donne: qui la difesa centrale è dimostrare che la lavoratrice rientrava nei parametri di “donna svantaggiata”. Bisogna dunque provare, ad esempio, che era disoccupata da oltre 6 mesi e che apparteneva a una categoria giusta. Se l’INPS dice “non spettava perché la signora aveva lavorato 3 mesi nell’anno precedente”, il datore può replicare che quel lavoro era “non regolarmente retribuito” in quanto part-time di poche ore, e produrre la busta paga totale inferiore ai minimi (il D.I. 17/2017 definisce “priva di impiego regolarmente retribuito” chi negli ultimi 6 mesi non ha avuto lavoro subordinato superiore a 6.000 € o autonomo sopra 4.800 €). Oppure, magari la donna è stata assunta in regioni del Nord e non aveva 24 mesi di disoccupazione: in tal caso occorre vedere se la legge di bilancio 2021 richiedeva comunque 24 mesi ovunque o prevedeva anche i 6 mesi per settori underrepresented; a seconda dell’interpretazione, si può sostenere che quell’assunzione fosse incentivabile se la donna proveniva da un settore con disparità di genere (ci sono elenchi ISTAT di settori “over 25% gap”). Presentare ad esempio l’iscrizione al Centro per l’Impiego della lavoratrice, con la data di inizio dello stato di disoccupazione, è fondamentale: se il centro per l’impiego attesta che era disoccupata da X mesi, ciò fa piena prova amministrativa. Altro esempio: l’INPS potrebbe aver disconosciuto l’esonero perché la lavoratrice risulta aver avuto un contratto intermittente fino a 3 mesi prima dell’assunzione. Ma se quell’intermittente non raggiungeva la soglia di reddito su base annua, si rientra comunque nello status di priva di impiego. In sintesi, occorre entrare nei dettagli dei requisiti normativi e dimostrare numericamente che la condizione era soddisfatta. Se si riesce, il giudice annullerà la pretesa dell’INPS in toto.
- Per la Decontribuzione Sud: la difesa di merito qui può essere giuridico-interpretativa. Nel caso dei Agenti di assicurazione, la tesi è che da nessuna parte nella legge è scritto che le attività assicurative sono escluse: l’INPS avrebbe arbitrariamente escluso gli agenti interpretando il riferimento alle PMI in senso restrittivo. Si può far notare che molti agenti sono micro-imprese che operano in proprio, distinti dalle compagnie, e dunque rientrano tra i destinatari dell’incentivo. Tribunali come Bari e Teramo hanno dato ragione agli agenti, evidenziando l’“errata comunicazione del codice Ateco” da parte dell’INPS e annullando di conseguenza le richieste dell’ente . In giudizio, un agente contesterà innanzitutto la motivazione dell’avviso: spesso l’INPS inviava solo un generico “richiesta di rimborso per esonero non spettante”, senza chiarire perché. Questo difetto di motivazione può costituire vizio formale (violazione art. 3 L.241/90) sufficiente ad annullare l’atto, o quantomeno costringere l’INPS a spiegarsi in giudizio (dove poi emergerebbe la questione del codice Ateco). Inoltre, la difesa qui è corroborata dal fatto che lo Stato stesso ha riconosciuto il problema: il Ministero del Lavoro ha dichiarato in Parlamento (Min. Calderone, 2023) di voler risolvere la vicenda a favore degli agenti . Quindi l’avvocato del datore potrà citare queste dichiarazioni ufficiali, enfatizzando che l’azione INPS appare “ingiustificata e discriminatoria” come detto anche da associazioni e autorità . In attesa di un intervento normativo chiarificatore, i giudici potrebbero essere persuasi a sospendere o annullare le richieste INPS per palese iniquità. Fuori dal caso agenti, per la decontribuzione Sud difendersi sul merito significa provare che si aveva diritto: ad esempio, se l’INPS contesta che la sede operativa non fosse al Sud, il datore può provare che invece il lavoratore operava stabilmente nella filiale meridionale (con timbrature, contratti di affitto della sede locale, ecc.). Se contesta che l’unità non fosse indicata correttamente nelle comunicazioni, si può far leva su eventuali errori formali sanabili.
B) Contestare l’eccesso della pretesa (difese parziali): in alcuni casi il datore può non negare completamente di dover qualcosa, ma puntare a ridurre l’importo richiesto. Ad esempio:
- Calcolo delle sanzioni civili: verificare che l’INPS abbia applicato correttamente la misura delle sanzioni. Talvolta potrebbero essere stati applicati interessi su somme già restituite o un tasso errato. Se il datore ha adito il giudice e versa spontaneamente il dovuto durante il processo, può chiedere che le sanzioni cessino a quella data. Inoltre, come detto, può invocare equità per ridurle. Anche se la legge vincola, esistono pronunce in cui, riconoscendo l’incertezza normativa oggettiva, i giudici hanno disapplicato le sanzioni. Ad esempio, se il datore dimostra che sul punto c’erano circolari fuorvianti o interpretazioni altalenanti, potrebbe chiedere di non essere gravato di sanzioni.
- Prescrizione del credito: una strategia tecnica è valutare se i contributi richiesti siano caduti in prescrizione (il termine è 5 anni ex L. 335/1995). Se l’INPS ha notificato l’avviso oltre 5 anni dopo il periodo contestato e nel frattempo non c’erano stati atti interruttivi validi, il datore può eccepire prescrizione. Ad esempio, contributi di gennaio 2017 (ipotizzando un incentivo di allora) non reclamati entro gennaio 2022 sarebbero prescritti. Nel nostro contesto (incentivi 2021-23) è difficile che siano trascorsi 5 anni, ma è una verifica da fare.
- Incompatibilità già sanzionate altrove: se l’INPS contesta la fruizione perché il datore cumulò due incentivi, e per uno dei due ha già restituito in altra sede, può evitare duplicazioni. Ad esempio, se il datore aveva fruito sia di esonero under36 sia di un incentivo regionale e l’INPS dice “non cumulabili, restituisci under36”, ma l’ente regionale aveva già revocato il suo incentivo, si può far valere che va sottratto l’importo già ridato all’altro ente (per evitare un paradosso di restituire entrambi i benefici).
- Vizi di notificazione o forma: questi possono portare ad annullare l’atto senza entrare nel merito. Esempio: l’avviso di addebito è stato notificato a un indirizzo PEC errato o a un soggetto non legittimato? Oppure manca la firma digitale? Oppure l’intimazione di pagare era prima dei 30 giorni dalla diffida? Sono questioni procedurali che, se presenti, vanno sfruttate. L’annullamento per vizio formale spesso non preclude all’INPS di ripetere la notifica correttamente, ma magari nel frattempo può intervenire la prescrizione, o comunque si guadagna tempo (e forse un accordo transattivo).
C) Buona fede, errore scusabile e altre esimenti: Dal punto di vista strettamente civilistico, la buona fede del datore di lavoro non elimina l’obbligo di pagare i contributi non versati. Tuttavia, sottolineare la buona fede può avere due scopi: (1) evitare (o ridurre) l’applicazione di sanzioni aggiuntive; (2) evitare conseguenze penali (v. prossimo capitolo). In sede civile, come detto, il giudice potrebbe riconoscere che si trattava di una situazione ingannevole – ad esempio l’INPS stessa ammette che i suoi strumenti di verifica (C2 storico, utility online) “non sono del tutto affidabili” per controllare il requisito – e quindi l’errore dell’azienda è comprensibile. Ciò potrebbe portare quantomeno a non condannare l’azienda alle spese legali (in caso di soccombenza) oppure, se c’è margine, a soluzioni equitative. Ad esempio, ipotizziamo che un giudice ritenga che l’INPS abbia tardato eccessivamente nel controllo creando un affidamento nel datore: magari potrebbe ritenere non dovuti gli interessi per il periodo di ritardo imputabile all’INPS. Non è garantito, ma vale la pena sollevare anche profili equitativi e di correttezza. Specie se l’azienda ha creato nuova occupazione confidando in una legge dello Stato e dopo anni si vede richiesta la restituzione, c’è un elemento di “affidamento tradito” che, pur non avendo una tutela codificata forte, può influire nella narrazione del caso.
D) Precedenti giurisprudenziali e orientamenti normativi: Citare nel ricorso sentenze favorevoli (anche di altre regioni) può orientare il giudice. Ad esempio, nel caso agenti, oltre alle sentenze di Bari e Teramo già menzionate, si può citare che anche il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (sent. n. 395/2017) in passato affermò che l’esclusione di una categoria da un incentivo senza base normativa è illegittima (sto ipotizzando, ma spesso si trovano precedenti su analoghe questioni di incentivi). Anche le circolari ministeriali se favorevoli vanno usate: p.es., il Ministero del Lavoro potrebbe aver emanato FAQ chiarendo dubbi (spesso lo ha fatto per under36 e donne). Se esistono, allegarle. L’INPS stesso ha risposto a interpelli del Consiglio Nazionale dell’Ordine (CNO consulenti lavoro) su questi incentivi – ad esempio messaggio INPS n. 72/2021 e messaggio 3389/2021 hanno dato indicazioni; conoscere questi atti può rivelare incongruenze nell’operato successivo.
E) Soluzioni transattive: Durante il giudizio, specie se emergono rischi per entrambe le parti, c’è spazio per accordi transattivi: l’azienda potrebbe proporre di pagare solo i contributi senza sanzioni, o solo una percentuale, per chiudere il contenzioso. L’INPS raramente fa transazioni sul dovuto (trattandosi di denaro pubblico ha margini stretti), però a livello locale a volte concorda su rateazioni lunghe o riduzione di sanzioni minori per evitare il giudizio. Una transazione può essere formalizzata in sede di conciliazione giudiziale con un verbale ex art. 420 c.p.c. che preveda il pagamento, magari senza interessi ulteriori. È un’opzione se la posizione è debole ma si vuole evitare una condanna piena.
In conclusione, la strategia di difesa nel merito va calibrata sul caso specifico, combinando contestazioni fattuali (il requisito in realtà c’era; l’INPS sbaglia i conti; ecc.) e contestazioni giuridiche (l’interpretazione esatta della norma mi dà ragione; l’atto è nullo per vizio; ecc.). Nel farlo, è utile evidenziare l’impatto economico-sociale della questione – molti giudici del lavoro sono sensibili al fatto che revocare un incentivo potrebbe vanificare sforzi occupazionali – senza però fare affidamento solo sulla pietà: servono basi legali solide.
Va ricordato che se, nonostante gli sforzi difensivi, la sentenza finale obbliga l’azienda a restituire l’incentivo, esiste comunque la possibilità di chiedere una rateazione o dilazione all’INPS anche dopo la sentenza, per attenuare l’impatto finanziario, oppure utilizzare strumenti come la compensazione in F24 (ad es. se si hanno crediti verso la PA o crediti d’imposta, con la dovuta autorizzazione).
Nei casi in cui l’azienda ritenga di aver subito un’ingiustizia macroscopica (ad es. cambio di interpretazione retroattivo), valutare se vi sono gli estremi per un’azione di rivalsa: ad esempio, contro il consulente del lavoro che avesse mal consigliato la fruizione dell’esonero o contro il lavoratore che ha reso false dichiarazioni sui propri precedenti (quest’ultimo può essere citato per danni, anche se la praticità di recupero è dubbia). Queste azioni non influiscono sul dovuto verso INPS, ma possono recuperare parte del danno subito dall’azienda in caso di soccombenza.
Passiamo adesso ad esaminare i profili penali, perché l’indebita fruizione di un beneficio pubblico – quale è anche un esonero contributivo – può configurare specifici reati a carico dell’imprenditore (e della società stessa, ai sensi del D.Lgs. 231/2001). È importante comprendere in quali casi scatta il penale e quali sono le possibili difese in tal sede.
Profili penali: indebita percezione di erogazioni pubbliche e truffa ai danni dello Stato
L’utilizzo illecito di esoneri contributivi, se caratterizzato da dolo (intenzionalità) e se consente al datore di ottenere un vantaggio economico indebito, può integrare gli estremi di reato. In particolare, vengono in rilievo due fattispecie del codice penale:
- l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.),
- la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.).
La distinzione tra le due è sottile ma importante: in termini generali, l’art. 316-ter punisce chiunque, mediante condotte non connotate da artifici o raggiri particolarmente ingegnosi (quindi anche mediante una semplice dichiarazione omissiva o falsa), ottiene dallo Stato o da un ente pubblico contributi, finanziamenti, o altre erogazioni non dovute. La truffa aggravata 640-bis invece richiede l’elemento dell’inganno artificioso (artifizi o raggiri) per ottenere indebitamente fondi pubblici, ed è punita più severamente.
Nel caso degli esoneri contributivi, la giurisprudenza ha a lungo dibattuto se il semplice risparmio di spesa derivante dal non versare contributi possa configurare il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (316-ter), dato che in apparenza non c’è un “esborso” di denaro da parte dello Stato ma solo un mancato incasso. La questione è stata risolta di recente: le Sezioni Unite Penali della Cassazione con sentenza n. 11969 depositata il 26 marzo 2025 hanno stabilito principi chiari in materia . Hanno affermato che “integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) l’indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali e alla riduzione dei contributi dovuti […] per effetto dell’omessa comunicazione dell’esistenza di una condizione ostativa prevista dalla legge”, a nulla rilevando il fatto che il vantaggio sia ottenuto tramite un risparmio di spesa e non con la dazione diretta di denaro . Dunque, ad esempio, un imprenditore che ometta di comunicare un fatto che gli farebbe perdere il diritto all’esonero – come nel caso giudicato, l’esistenza di una causa ostativa all’esonero per l’assunzione di lavoratori in mobilità – commette reato se fruisce indebitamente dello sgravio contributivo. Inoltre, le Sezioni Unite hanno chiarito che, se il beneficio economico viene erogato in ratei periodici, il reato è unitario e a consumazione prolungata, che si perfeziona solo con la percezione dell’ultimo rateo (ossia l’ultimo mese di contributi non pagati) . Ciò significa che la condotta di godere di uno sgravio per più mesi costituisce un unico reato continuato, e il termine di prescrizione decorre dall’ultimo atto (questo dettaglio evita di considerare ogni mensilità come reato a sé e consente di superare la soglia di punibilità).
Questa pronuncia era stata preceduta da orientamenti non uniformi: alcune sentenze passate escludevano il 316-ter per i contributi, ritenendo mancasse un’erogazione “positiva” di denaro. Ora però è pacifico: usufruire indebitamente di uno sgravio contributivo è equiparato a incassare indebitamente un contributo pubblico, e quindi punibile ai sensi dell’art. 316-ter c.p. .
Vediamo dunque la cornice sanzionatoria: l’art. 316-ter punisce chi percepisce indebitamente erogazioni pubbliche di importo superiore a €4.000 con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Se l’importo è pari o inferiore a €4.000, non vi è reato bensì un illecito amministrativo punito con una sanzione pecuniaria da €5.164 fino a €25.822 (comunque non oltre il triplo del beneficio conseguito) . In sostanza, €4.000 è la soglia di rilevanza penale: sotto tale limite l’ordinamento considera il fatto bagatellare e punisce solo con multa amministrativa, sopra scatta il penale . Si noti che se il datore fruisce di, poniamo, €10.000 di esoneri indebitamente, è integrato il reato; se furono ad esempio €3.000, sarà soggetto solo a una sanzione amministrativa pecuniaria (di regola pari al triplo, quindi €9.000 in quel caso) . Tale soglia è cumulativa per più percezioni connesse allo stesso fatto: come chiarito dalle S.U., se uno sgravio è fruito per 12 mesi, occorre sommare il risparmio complessivo – se supera €4.000, c’è reato unico, se resta sotto no. (Attenzione: se un’azienda commette episodi distinti di indebita percezione su incentivi diversi non connessi, ciascuno va valutato rispetto alla soglia).
La differenza con la truffa aggravata (art. 640-bis) è che quest’ultima richiede la presenza di artifizi o raggiri e il fine di procurare a sé o altri un ingiusto profitto ai danni dello Stato. In pratica, se l’imprenditore per ottenere l’esonero ha posto in essere condotte fraudolente attive – ad esempio, falsificando documenti, simulando situazioni inesistenti, creando rapporti di lavoro fittizi – allora l’illecito sale di livello e configura truffa aggravata, punita più gravemente (reclusione da 1 a 6 anni e multa). Spesso la distinzione tra i due reati è sottile: l’omessa comunicazione di un impedimento (es: non comunicare che un lavoratore non aveva i requisiti e richiedere lo sgravio) rientra nel 316-ter; ma se per ottenere l’incentivo il datore fornisce all’INPS una certificazione falsificata o dichiara falsamente dati (ad esempio, dichiara che una lavoratrice è disoccupata da 24 mesi quando non è vero, allegando un’autocertificazione falsa), si può configurare la truffa aggravata (perché c’è l’elemento dell’inganno, dell’artificio). In alcuni casi il confine è stato dibattuto: le Sezioni Unite 2025 hanno ribadito che quando vi è una condotta mendace od omissiva originaria per ottenere contributi in più rate, siamo nell’alveo del 316-ter , mentre la truffa aggravata scatta se vi è un quid pluris di raggiro.
Esempi concreti: – Un imprenditore assume fittiziamente 10 giovani sotto i 36 anni (che in realtà non lavorano in azienda) solo per fruire degli esoneri e abbattere il costo del lavoro, magari per poi far percepire a quei finti dipendenti la disoccupazione NASpI in accordo. Questa sarebbe chiaramente una truffa aggravata ai danni dello Stato, perché vi è un disegno fraudolento (assunzioni fantasma) con danno all’INPS duplice (contributi non versati e NASpI pagata). – Un datore assume realmente una persona ma occulta deliberatamente che quella persona non aveva i requisiti (es. sapeva dal CV che aveva avuto contratti stabili prima, però dichiara di no e richiede lo sgravio): qui c’è un’indebita percezione (art. 316-ter), perché ha ottenuto un vantaggio economico pubblico omettendo informazioni dovute. Se per farlo ha anche fatto compilare al lavoratore una falsa dichiarazione da esibire, potrebbe sconfinare nella truffa (in concorso).
Dal punto di vista del procedimento penale, come si arriva a una contestazione? Spesso è la stessa INPS, quando scopre casi eclatanti, a segnalare alla Procura della Repubblica. Ad esempio, se un’azienda fruendo di esoneri ha evaso 100 mila euro di contributi e l’INPS ravvisa condotte fraudolente (dichiarazioni false, ecc.), invierà una relazione alla Guardia di Finanza o direttamente al PM. La GdF può condurre indagini, acquisire documenti, interrogare testimoni (es. i lavoratori) per verificare se c’è dolo. Ci sono state varie operazioni delle Fiamme Gialle su “false assunzioni” finalizzate a truffare l’INPS (spesso per ottenere indebitamente disoccupazione o bonus vari) . Nel caso specifico degli esoneri, se emergono dichiarazioni mendaci nelle denunce UniEmens, queste possono costituire elemento di reato. Ad esempio, l’UniEmens richiede di indicare i codici agevolazione: inserire un codice sapendo di non averne titolo è una forma di falsa dichiarazione a un ente pubblico.
Sanzioni penali e responsabilità dell’ente: la condanna per art. 316-ter comporta la pena detentiva fino a 3 anni (spesso, trattandosi di incensurati e pene basse, concretamente sospesa con la condizionale) e la confisca obbligatoria del profitto del reato (cioè delle somme risparmiate: l’INPS potrà recuperarle via confisca se non restituite). Inoltre, attenzione: l’ente societario può essere ritenuto responsabile in via amministrativa ex D.Lgs. 231/2001. Il 316-ter c.p. non è incluso tra i reati-presupposto del 231, ma la truffa 640-bis c.p. sì. E proprio quest’ultima è richiamata dall’art. 24 del D.Lgs. 231/2001, che prevede sanzioni pecuniarie per l’ente in caso di truffa ai danni dello Stato commessa da dirigenti o dipendenti nell’interesse aziendale . Quindi, se un dirigente d’azienda commette truffa aggravata per ottenere esoneri, la società può essere sanzionata (multa in base al valore, interdizioni). Nel caso del 316-ter, va segnalato che una parte della giurisprudenza applica comunque l’art. 24 del 231 equiparando l’indebita percezione alla truffa per quanto concerne la responsabilità degli enti (sul punto c’è discussione, ma alcune Procure contestano comunque la 231 nei casi di indebita percezione rilevante commessa a vantaggio della società). Dunque, una società che abbia sistematicamente abusato di incentivi rischia non solo il processo penale per l’amministratore, ma anche un procedimento 231 con pesanti sanzioni e danno reputazionale.
Come difendersi sul piano penale? Idealmente, evitando che si configuri il reato. Ciò significa: se la fruizione indebita è avvenuta per un errore in buona fede e l’azienda, venutane a conoscenza, provvede spontaneamente a restituire il dovuto prima di essere scoperta, il fatto può non assumere rilevanza penale. Ad esempio, l’art. 316-ter c.p. non prevede cause di non punibilità per restituzione, ma la giurisprudenza considera l’eventuale ravvedimento un attenuante. Soprattutto se l’importo è sopra 4.000 euro di poco, versare la differenza potrebbe, in teoria, ridurre l’accusa a illecito amministrativo (anche se il reato formalmente si è consumato, il PM potrebbe usare l’attenuante del danno di speciale tenuità o scegliere di non procedere). Inoltre, esiste la possibilità dell’oblazione amministrativa per la parte sotto soglia: mi spiego, se ad esempio un datore ha fruito di €5.000 di sgravi illeciti, 4.000 rientrano comunque come illecito amm.vo da sanzione, i restanti 1.000 integrano il reato: pagando volontariamente il dovuto, c’è margine per chiedere l’applicazione della sola sanzione amm.va (questioni tecniche che un avvocato penalista può valutare).
In un processo penale avviato, la difesa verte su: (1) negare l’elemento soggettivo del dolo (“non vi è stata intenzione fraudolenta, pensavamo spettasse, c’è stato un equivoco”); (2) se possibile, far qualificare il fatto come 316-ter anziché truffa (per limitare le pene) o addirittura farlo rientrare in fattispecie meno gravi (ad esempio, potrebbe contestarsi solo il reato di falsità ideologica in qualche caso, che consente patteggiamenti più miti); (3) evidenziare la collaborazione e la riparazione del danno (se l’azienda ha già rimborsato l’INPS volontariamente, ciò gioca a favore per sospensione condizionale o patteggiamento).
Una carta importante è l’eventuale mancanza di chiarezza normativa: se il datore può sostenere che interpretava in buona fede la legge in un certo modo (magari perché circolari ambigue lo inducevano a credere di avere diritto), allora manca il dolo. Ad esempio, se l’agente assicurativo di cui prima viene perseguito, la difesa dirà: “La legge non escludeva esplicitamente gli agenti dallo sgravio Sud, l’INPS inizialmente accettava le domande e solo dopo ha cambiato idea; il mio assistito era convinto legittimamente di poter fruire del 30% e non ha occultato nulla”. In tal caso, il fatto potrebbe non integrare reato perché manca l’elemento soggettivo dell’inganno (caso di errore sul fatto che esclude il dolo). Anche Cassazione in passato ha escluso la punibilità penale quando c’era incertezza normativa oggettiva.
Occorre anche considerare che le soglie penali in gioco (4.000 €) non sono elevate: molte PMI con pochi dipendenti possono sforare di poco. In questi casi spesso la stessa Procura archivia per particolare tenuità (art. 131-bis c.p.) se il danno è modesto e non vi è reiterazione.
Esempio di caso penale: Un caso concreto riportato dalla cronaca: un’indagine in Umbria nel 2021 ha scoperto che un gruppo di consulenti orchestrava assunzioni fittizie di lavoratori presso imprese compiacenti, per far loro ottenere indebitamente sussidi (Naspi) e far avere alle aziende sgravi contributivi e bonus assunzioni. Coinvolte centinaia di persone, con un danno Inps di milioni di euro . In uno scenario simile, si contestano reati di associazione per delinquere, truffa aggravata, falso. Di contro, nel caso dell’azienda onesta che ha solo assunto 1-2 persone senza accorgersi che non aveva diritto al bonus, è più probabile la contestazione di 316-ter se l’INPS segnala, ma quasi sempre con esito di patteggiamento lieve (es. 6 mesi pena sospesa) o addirittura definizione amministrativa. Va rilevato che per importi indebiti inferiori a 4000 € la sanzione amministrativa, come visto, consiste nel pagamento di una multa pari al triplo dell’indebito , quindi ad esempio se uno ha fruito di €2000 indebitamente, sarà chiamato a pagare €6000 di multa (oltre a restituire i 2000 all’ente erogatore, in questo caso l’INPS). Questa multa viene irrogata dalla Prefettura o dall’ente stesso a seguito di processo penale che dichiara non luogo a procedere per importo sotto soglia.
Dal punto di vista pratico, un datore di lavoro soggetto ad indagine penale per questi fatti dovrebbe attivarsi subito: restituire quanto prima all’INPS il maltolto (così da mostrare resipiscenza), documentare la propria buona fede (consulenze avute, interpretazioni normative, ecc.), e incaricare un legale penalista esperto di reati contro la P.A. Spesso la soluzione più rapida è il patteggiamento: ad esempio, patteggiare a 8 mesi con sospensione condizionale ed eventualmente una piccola sanzione. Ciò estingue il procedimento 231 per l’ente (che verrebbe archiviato con pagamento di una sanzione amministrativa minima concordata). L’importante è evitare condanne che possano pregiudicare l’abilitazione a contrarre con la P.A. (anche se per pene sotto 2 anni e sospese di solito non ci sono interdizioni).
In conclusione, la chiave per evitare guai penali è: non forzare mai la mano con informazioni false per ottenere l’incentivo. Se c’è incertezza, meglio rinunciare o chiedere prima un interpello. Se l’azienda scopre un uso indebito (magari facendo audit interni), proceda subito a sanare (pagando i contributi) prima di eventuali controlli: questo può fare la differenza tra un rilievo amministrativo e una denuncia.
Va sottolineato che non ogni uso indebito è penale: se l’azienda ad esempio non aveva dolo (pensava sul serio di avere diritto, avendo male interpretato una norma complessa), può difendersi efficacemente. Inoltre, il diritto penale richiede la prova “oltre ogni ragionevole dubbio” del dolo: se restano margini di dubbio che l’imprenditore fosse convinto di essere in regola, dovrebbe essere assolto (in dubio pro reo).
D’altra parte, l’orientamento recente dimostra una certa severità nel perseguire chi approfitta dei benefici pubblici senza averne diritto: le Sezioni Unite 2025 marcano la volontà di punire anche il semplice “tacere un fatto dovuto” come condotta penalmente rilevante . Quindi l’attenzione deve essere massima. Le imprese farebbero bene a implementare modelli 231 di prevenzione anche su questi rischi (ad es., procedure interne di verifica requisiti, modulistica standard di autocertificazione dei dipendenti e verifica tramite più canali, così che se un giorno un dipendente dichiara il falso l’azienda possa dimostrare di aver fatto il possibile).
Per completezza, ricordiamo che in casi di frodi massicce lo Stato può rivalersi anche in sede di Corte dei Conti: la fruizione indebita di contributi può essere considerata danno erariale. Tuttavia, per le imprese private ciò si intreccia col penale: se c’è condanna penale, spesso la Corte dei Conti tralascia perché il recupero è già assicurato via confisca e risarcimento. Comunque, è un ulteriore profilo teorico (in genere riguarda funzionari pubblici che abbiano favorito la frode).
Domande frequenti (FAQ) e casi pratici
Di seguito proponiamo alcune domande comuni che datori di lavoro e professionisti si pongono in tema di contestazione degli esoneri contributivi, con risposte sintetiche e riferimenti alle norme e prassi illustrate finora.
- Domanda: Ho assunto un lavoratore under36 con l’esonero, ma l’INPS mi contesta che aveva già avuto un contratto a tempo indeterminato altrove. Io non ne ero a conoscenza perché dal certificato risultava solo un tempo determinato. Cosa posso fare per difendermi?
Risposta: Prima di tutto, verifica i dettagli del precedente rapporto contestato: era davvero un tempo indeterminato? Se sì, formalmente l’esonero non spetta. Tuttavia, puoi far valere la tua buona fede: se al momento dell’assunzione tu avevi consultato il C2 storico o altre banche dati senza traccia di quell’indeterminato (cosa possibile, perché il C2 ha limiti temporali/regionali ), evidenzia che non potevi saperlo. L’INPS stesso (Mess. 4178/2023) ha ammesso che se il datore è diverso e ignorava la riqualificazione postuma di un contratto precedente, l’incentivo rimane spettante . Dunque, nel ricorso evidenzia che il precedente rapporto è emerso solo dopo e chiedi al giudice di riconoscere l’agevolazione per buona fede. In parallelo, potresti eventualmente rivalerti verso il lavoratore se ti ha fornito false dichiarazioni all’atto dell’assunzione (molti fanno firmare un’autocertificazione “dichiaro di non aver mai avuto contratti a tempo indeterminato”; se lui ha mentito, potrebbe risponderne civilmente e penalmente). Questo però non evita che tu debba affrontare il pagamento verso INPS; ma può aiutare come argomento. In sostanza, la tua difesa dovrà puntare sull’errore scusabile: produci copia del certificato/utility che avevi consultato (se ce l’hai) e l’eventuale autocertificazione del lavoratore. Se il giudice riconosce che non vi è stato dolo e magari la normativa era poco chiara, potrebbe annullare la richiesta o almeno non applicare sanzioni. Preparati però all’eventualità di dover pagare i contributi arretrati: in tal caso, potrai chiedere una rateizzazione e mantenere il DURC regolare. - Domanda: L’INPS mi ha revocato l’esonero “donne” al 100% perché sostiene che la mia dipendente non era disoccupata da 6 mesi: in effetti aveva avuto qualche lavoretto occasionale nei mesi precedenti. Come contestare?
Risposta: Qui è fondamentale la definizione di “priva di impiego regolarmente retribuito”. La legge (D.I. 17/2017) dice che significa non aver avuto un lavoro dipendente sopra 6.000 € lordi negli ultimi 6 mesi (o autonomo sopra ~4.800 €). Se i “lavoretti” della dipendente erano saltuari e non superavano tali soglie, ai fini dell’incentivo lei è comunque considerata disoccupata di lungo corso. Quindi raccogli i dati reddituali: ad esempio, se in quei 6 mesi ha guadagnato 3.000 € con collaborazioni occasionali, lo puoi evidenziare. Inoltre, verifica se la tua dipendente era formalmente iscritta al Centro Impiego come disoccupata prima dell’assunzione: un’iscrizione anche breve può bastare a qualificarla come priva di impiego. Nel ricorso, cita queste soglie normative e allega magari la circolare INPS applicativa (es. la Circ. INPS n. 32/2021 spiegava i requisiti). Fai notare che l’INPS locale potrebbe aver male interpretato il concetto di impiego regolarmente retribuito. In parallelo, se la revoca è avvenuta dopo che tu hai fruito magari per un anno dello sgravio, considera l’impatto economico: potresti proporre all’INPS una transazione (pagare la metà delle sanzioni) se convenisse. Ad ogni modo, la difesa tecnica sarà: la lavoratrice soddisfaceva i requisiti di legge perché… (spiegazione con numeri). Questo è un classico caso in cui la contestazione può essere annullata dimostrando il rispetto dei parametri. Preparati con buste paga, CU dei lavoretti, ecc. per dimostrarlo. - Domanda: Ho usufruito della Decontribuzione Sud (sgravio 30%) ma l’INPS mi ha inviato richiesta di rimborso dicendo che la mia azienda – agenzia di assicurazioni – è assimilata a “compagnia assicurativa” e quindi esclusa. È giusto? Posso difendermi?
Risposta: Questa è una vicenda ben nota e controversa. Formalmente, la legge non elenca tra gli esclusi gli agenti assicurativi. L’INPS ha adottato un’interpretazione basata sui codici ATECO (classificando gli agenti nella sezione K insieme alle banche e assicurazioni, che ritiene non destinatari dell’aiuto). Ma diversi Tribunali hanno dato ragione agli agenti, ritenendo illegittimo negare loro lo sgravio in mancanza di una previsione normativa chiara . Quindi certamente puoi difenderti: presenta ricorso al Tribunale del Lavoro competente nei 40 giorni dall’avviso INPS. Nel ricorso, argomenta che la tua attività di agente è una micro-impresa come le altre, distinta dalle grandi compagnie, e che l’interpretazione INPS è forzata. Cita le sentenze favorevoli (ad esempio Trib. Bari 2368/2025, Trib. Teramo 2025 che ha anche sospeso l’addebito ). Evidenzia anche che il Ministero del Lavoro ha annunciato un intervento per sanare la questione, definendo “ingiusta” la pretesa verso gli agenti . Dal punto di vista pratico, chiedi subito la sospensione dell’esecutività dell’avviso, perché importi e sanzioni possono essere notevoli e tanti agenti l’hanno ottenuta. Nel frattempo, se hai ricevuto una nuova classificazione ATECO dall’ISTAT (ti parlano di codice 65.20.00 vs 66.22.00), contesta formalmente all’INPS l’errata classificazione entro 30 giorni come suggerito da ANAPA . Anche se ciò non risolverà completamente, crea un precedente a tuo favore nel fascicolo. In sintesi: hai buone possibilità di vittoria legale su questo punto, dunque vale sicuramente la pena opporsi. Nota bene: se comunque vuoi nel frattempo ottenere DURC regolare, valuta la rateazione (ma se ottieni la sospensiva in tribunale, il DURC dovrebbe restare ok). Rimani in contatto con la tua associazione di categoria, che probabilmente coordina le difese legali fornendo materiale utile (linee guida difensive già predisposte) . - Domanda: Se devo restituire l’incentivo all’INPS, devo pagare anche sanzioni o multe? Posso chiedere di pagarelo a rate?
Risposta: Sì, come abbiamo spiegato l’INPS applica le sanzioni civili per omesso versamento contributivo, cioè essenzialmente interessi di mora e somme aggiuntive. Queste maturano dal momento in cui avresti dovuto pagare i contributi (quando fruivi dello sgravio) fino al pagamento effettivo . Non c’è una “multa” amministrativa aggiuntiva (a meno che l’importo indebito sia sotto 4.000 € e allora invece di penale c’è una sanzione amministrativa da Prefettura, ma quella è rara e riguarda il penale – vedi sopra). Quindi in sede INPS pagherai contributi + interessi. Le percentuali possono essere significative (tipicamente 6% annuo circa, con minimo 30% se trascorsi molti mesi) ma a volte l’INPS in autotutela applica la soglia minima (che è appunto il 30% del dovuto se il ritardo è oltre 12 mesi). Quanto alla rateizzazione, è certamente possibile: l’INPS permette piani fino a 24 rate mensili senza garanzie per debiti sotto ~50.000 €, e piani più lunghi in casi eccezionali o se si presta garanzia fideiussoria. Devi presentare domanda alla Sede INPS competente (c’è un servizio online “Dilazione debiti contributivi”). Una volta ottenuto il piano, se rispetti le rate, sarai considerato regolare ai fini DURC. Attenzione: chiedere rateizzazione dopo aver fatto ricorso giudiziario è possibile ma a volte interpretato come riconoscimento del debito. Sarebbe meglio ottenere intanto una sospensione dal giudice o accordarsi con INPS su una rateizzazione provvisoria “con riserva di ricorso”. Su questo punto conviene farsi assistere dal legale: in genere comunque pagare/rateizzare non preclude di proseguire la causa per farsi restituire, purché nel ricorso tu abbia già chiesto espressamente “la dichiarazione di non debenza e la restituzione di quanto eventualmente versato medio tempore”. Molti datori scelgono di pagare subito per fermare interessi e sanzioni, e poi combattono in giudizio per riavere i soldi – è una strategia ammessa. - Domanda: Quali sono i termini di prescrizione per il recupero di questi incentivi? L’INPS fino a quando può chiedere indietro le somme?
Risposta: I contributi previdenziali si prescrivono in 5 anni (L. 335/1995). Il termine decorre dalla data in cui il contributo avrebbe dovuto essere versato. Dunque, se hai fruito di esoneri nel gennaio 2021, quei contributi omessi si prescrivono a gennaio 2026, salvo atti interruttivi nel mezzo. Una diffida o avviso dell’INPS vale come atto interruttivo e sposta in avanti la prescrizione di altri 5 anni. Quindi, in pratica, se l’INPS ti ha contestato nel 2023, il nuovo termine arriverà nel 2028. Se invece non ti ha mai contestato nulla, dopo 5 anni non potrebbero più chiedere (e non potresti neanche più versare volontariamente). Attenzione però: se hai presentato ricorso amministrativo all’INPS, anche quello può valere come atto che interrompe (perché dimostra che riconosci l’esistenza del debito, seppur lo contesti parzialmente). In generale, vista la vicinanza temporale (incentivi 2021-23, siamo nel 2025), la prescrizione non ha ancora giocato un ruolo per la maggior parte dei casi. Ma è un elemento da considerare se l’INPS fosse insolitamente in ritardo: ad esempio, se nel 2027 notificassero un recupero per un incentivo del 2021 senza aver fatto nulla prima, potresti eccepire prescrizione. Bisogna valutare caso per caso con un legale, perché gli atti interruttivi (anche un’ispezione o una lettera informale) possono esistere. - Domanda: Ho ricevuto l’avviso di addebito INPS ma ho perso il termine dei 40 giorni per fare ricorso in Tribunale. Posso fare ancora qualcosa o devo per forza pagare?
Risposta: La situazione è complicata. Il termine di 40 giorni ex art. 24 D.lgs. 46/99 è perentorio . Se l’hai lasciato scadere, l’avviso è divenuto definitivo come titolo esecutivo. Non puoi più contestare il merito (cioè sostenere che l’esonero ti spettava). Puoi solo percorrere strade residuali: una è l’opposizione tardiva agli atti esecutivi ex art. 615/617 c.p.c., ma serve un vizio di notifica: per esempio, se affermi di non aver mai ricevuto l’avviso (attenzione: con la PEC oggi la notifica è tracciata, difficile negarlo a meno di casella PEC inattiva). Oppure potresti agire con un ricorso per errore materiale se il titolo ha errori evidenti. In mancanza di questi presupposti, resta la via di trattare con l’INPS: potresti chiedere una definizione in autotutela, ma l’INPS non è tenuta ad ascoltarti se i termini sono scaduti. A volte, se l’importo è elevato e non sei riuscito a impugnare per cause di forza maggiore, puoi provare a spiegare all’INPS (magari allegando prova che la PEC non ti è arrivata per un loro errore, o simili) e sperare revochino e rinotifichino l’atto (così da riaprire i termini). È raro, ma tentare non nuoce. In estrema sintesi: se il termine è decorso, pagare è l’opzione più prudente, anche chiedendo la dilazione. Ignorare il debito porterebbe a procedure esecutive (pignoramenti su conto, fermi auto, ecc.). In futuro, per importi grandi, puoi solo sperare in qualche provvedimento legislativo di condono/rottamazione (ad esempio, le rottamazioni cartelle finora hanno incluso contributi fino al 2017; chissà in futuro). Quindi, agisci subito: verifica la data notifica esatta (magari sei ancora dentro i 40gg senza saperlo), oppure se davvero fuori tempo, rivolgiti a un legale per valutare se c’è un cavillo di nullità notifiche. Ad esempio, la Cassazione ha talora ritenuto che se l’avviso non era motivato, forse è invalido e potresti comunque opporlo quando ti arriva la cartella esattoriale (ma qui entriamo in tecnicismi per specialisti, non farlo da solo). La lezione è: la prossima volta, appena ricevi un atto dell’INPS, calendario 40 giorni e attivati subito con un professionista per non decadere dai diritti. - Domanda: C’è il rischio di finire in causa penale per aver utilizzato questi incentivi indebitamente?
Risposta: Sì, il rischio esiste anche se non in tutti i casi. Come spiegato, se l’importo indebitamente fruito supera i 4.000 € e si prova che c’è stato dolo (cioè consapevolezza e volontà di ottenere un beneficio non spettante), può configurarsi il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) . Per importi maggiori e condotte fraudolente (es. false dichiarazioni intenzionali, assunzioni fittizie) può scattare la truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p.). In pratica, se tu hai in buona fede sbagliato a ritenere spettante l’esonero, difficilmente verrai perseguito penalmente – ti contesteranno solo in sede civile amministrativa. Se invece risulta che hai ingannato l’INPS consapevolmente (es. indicando false informazioni per ottenere lo sgravio), la segnalazione alla Procura è probabile. Per esempio, casi di aziende che simulavano rapporti di lavoro o che non versavano contributi per lavoratori non aventi diritto, sapendolo, sono stati effettivamente portati all’attenzione della magistratura . Dunque, il discrimine è: c’era intenzione di frodare?. Se l’INPS nel tuo caso ravvisa elementi di frode (ad es. più aziende collegate che si scambiano dipendenti per prendere bonus, documenti taroccati, etc.), può partire una denuncia penale. In caso di condanna, come visto, parliamo di pene teoriche non altissime (6 mesi – 3 anni di reclusione per il 316-ter, di più per la truffa) e di solito, per incensurati, niente carcere effettivo . Ma è pur sempre un procedimento penale, con tutte le conseguenze (spese legali, reputazione, interdizioni). Quindi la regola aurea: non falsare mai le carte. Se sei incappato in un errore senza dolo, spiega bene le tue ragioni all’INPS e mostra collaborazione (restituire il dovuto riduce molto la possibilità che ti denuncino, perché se sistemi tutto loro a volte sorvolano sul penale, riservandolo ai casi più gravi). - Domanda: In caso di controversia con l’INPS su questi incentivi, è utile farsi assistere da un avvocato o basta il consulente del lavoro?
Risposta: Per la fase iniziale amministrativa, un consulente del lavoro esperto può aiutarti a interloquire con l’INPS (spesso conoscono funzionari e procedure interne). Tuttavia, appena si prospetta un ricorso giudiziario, è necessario l’avvocato, perché davanti al Tribunale il ministero di un legale è obbligatorio e servono competenze giuridiche processuali. L’ideale è fare squadra: consulente del lavoro per la parte tecnica contributiva (es. ricalcolo importi, ricerca di circolari), e avvocato giuslavorista per impostare ricorso e difesa legale. Dato che la materia è altamente specialistica, ti conviene un avvocato che abbia già trattato cause simili (magari segnalato dalla tua associazione o ordine professionale). Considera che a volte controversie di questo tipo coinvolgono molte aziende: es., il caso agenti assicurativi è seguito da pool di legali coordinati dalle associazioni di categoria . Unendoti a loro potresti avere competenze già rodate e anche dividere i costi. Quindi, sì, se l’importo è significativo, fatti assistere professionalmente. Sconsigliato improvvisare da soli, perché ci sono decadenze e formalismi che un non addetto ai lavori può mancare (tipo il termine di 40 giorni, modalità di deposito telematico del ricorso, ecc.).
Tabella riepilogativa finale – Difesa vs. contestazione esoneri contributivi:
Aspetto | Indicazioni principali |
---|---|
Termine per ricorrere | 40 giorni dalla notifica dell’avviso di addebito INPS (opposizione giudiziale) . Diffida semplice: non prevista da legge, ma conviene agire entro 40 gg anche dalla diffida per sicurezza. |
Giudice competente | Tribunale – sez. Lavoro (rito lavoro ex art. 442 c.p.c.) . Convenire INPS e Agente Riscossione. |
Possibili difese nel merito | – Dimostrare che i requisiti c’erano (documenti su disoccupazione, età, ecc.) <br/>– Contestare interpretazioni INPS errate (es. esclusione settore non prevista) <br/>– Eccepire vizi formali dell’atto (mancata motivazione, errore notifica, prescrizione) <br/>– Far valere buona fede/errore scusabile (non per eliminare il debito ma per sanzioni e profili penali) <br/>– Citare precedenti favorevoli (sentenze, circolari) per orientare il giudice a decisione equa. |
Profili penali | – > €4.000 indebito con dolo: rischio reato 316-ter c.p. (indebita percezione) ; con artifizi: 640-bis c.p. (truffa) <br/>– ≤ €4.000: solo sanzione amm.va pecuniaria (no reato) <br/>– Se in corso accertamento GdF o indagine: restituire subito il dovuto attenua il giudizio (possibile patteggiamento) <br/>– Sanzioni: reclusione 6 mesi-3 anni (316-ter); 1-6 anni (640-bis). Spesso convertibili in pene sospese o domiciliari. Società punibile ex D.Lgs.231/01 se configurata truffa (art. 24) . |
Effetti sul DURC | – Contestazione aperta senza pagamento: DURC irregolare (salvo sospensiva giudiziale) <br/>– Soluzioni: chiedere sospensione al giudice; oppure ottenere rateizzazione e pagare 1ª rata (DURC torna regolare con piano in corso). |
Interazione con lavoratore | – Autocertificazioni false del lavoratore sui requisiti: il datore comunque risponde verso INPS, ma può fare causa al lavoratore per danno (successivamente). Penalmente, lavoratore potrebbe rispondere per false dichiarazioni (se rese ad ente pubblico). |
Costi e benefici del contenzioso | – Valutare costi legali vs. importo dovuto. Spesso conviene difendersi se si hanno buone argomentazioni (molti casi si vincono o si transano). Se importo minimo, considerare se pagarla e chiudere. <br/>– Se causa vinta: risparmio contributi + cancellazione sanzioni + spese legali rifuse (di solito). <br/>– Se persa: oltre al dovuto+interessi, si pagano spese di giudizio (salvo compensazione). |
In ogni caso, vista la complessità del tema, si raccomanda un approccio prudente ex ante: in fase di utilizzo degli esoneri, verificare accuratamente i requisiti, conservare tutta la documentazione relativa e, in caso di dubbi, richiedere pareri scritti (interpello al Ministero del Lavoro o consulenza da esperti). La materia è in continua evoluzione – basti pensare ai cambi interpretativi su agenti e alla fine dei bonus generali dal 2024 – quindi mantenersi aggiornati (circolari INPS 2025 sui nuovi incentivi , decisioni UE, sentenze recenti) è fondamentale per evitare errori e sapere come reagire se l’INPS “bussa alla porta”. Con le informazioni fornite in questa guida, il datore di lavoro potrà muoversi con maggiore consapevolezza, sia prevenendo possibili contestazioni, sia approntando le migliori difese nel caso – sempre spiacevole – in cui venga accusato di aver abusato di un incentivo contributivo.
Fonti:
- Legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio 2021), art. 1 commi 10-16 (esoneri under36 e donne).
- Legge 234/2021 (Bilancio 2022), Legge 197/2022 (Bilancio 2023) – proroghe incentivi.
- D.L. 14 agosto 2020 n. 104, art. 27 conv. L. 126/2020 (decontribuzione Sud) e L. 178/2020 commi 161-169.
- INPS, Circolare n. 57/2023, Messaggio n. 3389/2021 (istruzioni esonero under36); Messaggio n. 4178/2023 (requisiti riqualificazione rapporto) .
- INPS, Messaggio n. 4618 del 21-12-2023 (recupero esonero under36 indebito) .
- INPS, Circolare n. 90 e 91 del 12-05-2025 (nuovi esoneri 2024-25 Giovani NEET e Donne).
- Cass., Sez. Unite penali, sent. 11969/2025 (indebita percezione contributi come reato) .
- Cass., Sez. II pen., sent. 30770/2023 (conferma reato 316-ter per bonus docenti) .
- Tribunale di Bari, sent. 2368/2025 (riconoscimento diritto agenti assicurativi a esoneri Sud/Under36) .
- Tribunale di Teramo, ord. 11-03-2025 (sospensione avvisi INPS agenti, fumus e periculum) .
- Studio Cassone, news 5/10/2023 (campagna INPS accertamenti under36, rischi DURC) .
- Consulenti del Lavoro, news 02/01/2024 (istruzioni INPS post-diffida esonero under36) .
- Ministero del Lavoro – Comunicato 20/12/2023 (proroga Decontribuzione Sud al 30/6/2024, autorizzazione UE) .
- Confcommercio, 18/03/2025 (nota ANAPA su primi ricorsi vinti agenti assicurazione vs INPS) .
- Codice Penale, artt. 316-ter, 640-bis; D.Lgs. 231/2001 art. 24 (responsabilità enti per reati contro PA) .
- Depositata la sentenza delle Sezioni Unite (11969/2025) in tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche.
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👉 Prima regola: dimostra la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge e la buona fede nell’applicazione dell’incentivo.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Assunzioni con esonero contributivo senza il possesso dei requisiti richiesti (età, residenza, genere, sede lavorativa);
- Licenziamenti e riassunzioni sospette finalizzate a ottenere l’agevolazione;
- Trasformazioni contrattuali ritenute fittizie;
- Assunzioni in società collegate o dello stesso gruppo per aggirare i vincoli;
- Mancata conservazione della documentazione a supporto dei requisiti.
📌 Conseguenze della contestazione
- Revoca dell’esonero e obbligo di versare i contributi non pagati;
- Applicazione di sanzioni civili e interessi;
- Recupero degli incentivi fruiti in maniera ritenuta indebita;
- Rischio di denunce penali in caso di frode ai danni dello Stato;
- Responsabilità solidale di datore di lavoro, amministratori e società collegate.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Il lavoratore assunto aveva realmente i requisiti anagrafici, territoriali o soggettivi richiesti?
- L’azienda rispettava i vincoli di legge su licenziamenti e riassunzioni?
- L’incentivo è stato applicato correttamente e nei limiti temporali previsti?
- I contratti, i documenti aziendali e le comunicazioni obbligatorie sono regolari?
- La contestazione si basa su dati certi o su semplici presunzioni ispettive?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Contratti di lavoro e comunicazioni di assunzione;
- Certificazioni anagrafiche e residenziali del lavoratore;
- Documenti relativi alla sede dell’attività (per esoneri “Sud”);
- Prove della continuità del rapporto e delle reali mansioni svolte;
- Estratti contributivi INPS e documentazione contabile.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la sussistenza effettiva dei requisiti al momento dell’assunzione;
- Contestare la riqualificazione dell’assunzione come fittizia;
- Evidenziare la buona fede e l’eventuale affidamento legittimo in circolari e prassi INPS;
- Richiedere l’annullamento in autotutela se la documentazione era già agli atti;
- Presentare ricorso entro i termini contro l’accertamento contributivo;
- Difesa penale mirata se contestato il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i contratti, la documentazione e i requisiti dei lavoratori assunti;
📌 Valuta la legittimità della contestazione e la solidità dei rilievi ispettivi;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi contro l’INPS o l’Ispettorato;
⚖️ Ti assiste nei giudizi civili e, se necessario, penali;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una corretta gestione degli incentivi contributivi.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto del lavoro e previdenza sociale;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su esoneri e incentivi contributivi;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni sull’uso illecito degli esoneri contributivi non sempre sono fondate: spesso derivano da interpretazioni restrittive o da errori nella ricostruzione dei requisiti.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la regolarità delle assunzioni, evitare il recupero dei contributi e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
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