Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunte plusvalenze occulte derivanti dalla cessione di quote societarie? In questi casi, l’Ufficio presume che il valore reale della partecipazione ceduta sia stato superiore a quello dichiarato, con l’effetto di recuperare a tassazione la differenza come plusvalenza non dichiarata. Le conseguenze sono pesanti: accertamento di maggiori imposte, applicazione di sanzioni elevate e, in determinate ipotesi, possibili contestazioni di natura penale. Tuttavia, non sempre l’accertamento è fondato: con una difesa documentata è possibile dimostrare la correttezza del valore dichiarato o ridurre in maniera significativa le sanzioni.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta plusvalenze occulte da cessione di quote
– Se il corrispettivo dichiarato nell’atto di cessione appare incongruo rispetto al valore economico della società
– Se emergono valutazioni di mercato superiori a quelle indicate dal cedente
– Se vi sono perizie, bilanci o elementi extracontabili che dimostrano un valore maggiore delle quote
– Se l’Ufficio ritiene che il prezzo dichiarato sia stato artificiosamente ridotto per eludere l’imposizione fiscale
– Se sono rilevate incongruenze tra atti notarili, dichiarazioni dei redditi e valori di bilancio
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione della plusvalenza ritenuta occulta
– Applicazione di sanzioni fino al 100% della maggiore imposta accertata
– Interessi di mora calcolati dalla data della presunta omissione
– Rettifica della dichiarazione dei redditi e inserimento in liste di controllo fiscale
– Possibile denuncia penale per dichiarazione infedele o elusione fiscale
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che il prezzo di cessione dichiarato corrisponde al reale valore di mercato delle quote
– Produrre perizie indipendenti, bilanci e valutazioni economiche a supporto del corrispettivo indicato
– Evidenziare eventuali passività, perdite o condizioni negative che riducevano il valore della partecipazione
– Contestare l’utilizzo di metodi di valutazione non corretti o vizi di motivazione dell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre l’entità delle sanzioni
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento dell’accertamento
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare gli atti di cessione e la documentazione societaria
– Valutare la congruità dei metodi di calcolo utilizzati dall’Agenzia delle Entrate
– Redigere un ricorso fondato su elementi contabili, perizie e vizi formali dell’accertamento
– Difendere i soci e le società coinvolte davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio personale e aziendale da richieste fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni attraverso la corretta qualificazione delle operazioni
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La riduzione o eliminazione di interessi e somme non dovute
– La certezza di pagare solo quanto effettivamente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: le cessioni di quote societarie sono sotto stretta vigilanza del Fisco. È essenziale predisporre una difesa tecnica con prove solide per evitare accertamenti fiscali e penali sproporzionati.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per plusvalenze occulte da cessione di quote e quali strategie adottare per proteggere i tuoi diritti.
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Introduzione
In ambito fiscale italiano, la cessione di partecipazioni societarie (quote di Srl, azioni di SpA, ecc.) può generare plusvalenze tassabili, ossia guadagni derivanti dalla differenza tra il prezzo di vendita delle quote e il loro costo di acquisto fiscalmente riconosciuto. Si parla di plusvalenze occulte quando tali guadagni non vengono dichiarati o risultano occultati, ad esempio mediante un prezzo di cessione formalmente inferiore a quello effettivo. L’Agenzia delle Entrate presta particolare attenzione a queste operazioni, soprattutto se il corrispettivo pattuito appare anormalmente basso rispetto al valore reale della partecipazione o se emergono pagamenti “in nero” non indicati nell’atto . Dal punto di vista del contribuente (il debitore d’imposta in caso di accertamento), è fondamentale conoscere il quadro normativo vigente (aggiornato ad agosto 2025) e le più recenti pronunce giurisprudenziali, al fine di predisporre adeguate strategie difensive. Questa guida, rivolta ad avvocati, imprenditori e privati con un taglio tecnico-divulgativo avanzato, approfondisce la normativa italiana sulle plusvalenze da cessione di quote, illustra come l’Amministrazione finanziaria individua le plusvalenze occulte (anche tramite indagini finanziarie e bancarie) e delinea le modalità di difesa del contribuente innanzi alle Corti tributarie (CTP, CTR e Cassazione). Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti, il tutto con riferimenti puntuali a fonti autorevoli, prassi e sentenze aggiornate.
Normativa fiscale sulle plusvalenze da cessione di partecipazioni
Definizione di plusvalenza su partecipazioni. In generale, una plusvalenza è il reddito che emerge quando un bene viene ceduto a titolo oneroso ad un prezzo superiore al costo fiscalmente riconosciuto. Nel caso di cessione di partecipazioni sociali (azioni, quote di Srl, quote di società di persone, ecc.), la plusvalenza imponibile si determina come differenza tra il corrispettivo percepito per la cessione e il costo fiscale della partecipazione ceduta . Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, D.P.R. 917/1986) disciplina tali fattispecie principalmente negli artt. 67 e 68 (per le persone fisiche) e negli artt. 86–87 (per i soggetti IRES, come le società di capitali). In base al TUIR, ai fini del calcolo della plusvalenza conta il corrispettivo effettivamente percepito, salvo casi particolari (es. corrispettivo in natura) in cui si fa riferimento al valore normale del bene ricevuto . Ciò significa che, di regola, è irrilevante il valore di mercato teorico della partecipazione se diverso dal prezzo pattuito: la plusvalenza (o minusvalenza) si calcola sul prezzo di cessione liberamente concordato tra le parti . Questa impostazione riflette il principio di autonomia negoziale e libera valutazione delle parti, coerente anche col diritto civile, secondo cui la discrepanza tra valore di mercato e prezzo di scambio non inficia di per sé la validità del contratto (salvo casi estremi di simulazione o frode) . Di seguito riepiloghiamo la tassazione delle plusvalenze da cessione quote per i diversi soggetti coinvolti, alla luce della normativa vigente (aggiornata al 2025):
- Persone fisiche (regime privato) – Le plusvalenze realizzate dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni da parte di persone fisiche al di fuori dell’esercizio d’impresa rientrano tra i redditi diversi di natura finanziaria (art. 67, co.1, lett. c e c-bis TUIR). Dal 2019, la tassazione di tali plusvalori è uniformata con aliquota 26% mediante imposta sostitutiva, indipendentemente dal fatto che la partecipazione fosse qualificata o meno . In altre parole, oggi la vendita di partecipazioni sia qualificate (ossia superiore a determinate soglie di capitale/voti) sia non qualificate genera un capital gain tassato al 26% se realizzato da persone fisiche non imprenditori. Il calcolo avviene confrontando il prezzo di vendita con il costo di acquisto (eventualmente rivalutato se il contribuente ha usufruito di una perizia giurata pagando l’imposta sostitutiva prevista dalle varie leggi di bilancio). Esempio: un privato cede una quota acquistata anni prima a 50.000 € al prezzo di 120.000 €: la plusvalenza di 70.000 € sarà assoggettata ad imposta sostitutiva del 26% (pari a 18.200 €), salvo esenzioni o regime della partecipazione qualificata previgente (per partecipazioni possedute prima del 2018 che scontavano parziale imponibilità IRPEF, oggi comunque superato). È importante notare che la plusvalenza si considera realizzata (e va dichiarata) nel momento della stipula del contratto di cessione, indipendentemente dall’effettivo incasso del prezzo pattuito . La Corte di Cassazione ha infatti ribadito che ai fini fiscali rileva l’obbligo contrattuale di pagamento sorto con la vendita, e vicende successive come il mancato pagamento o l’annullamento del contratto incidono semmai in periodi d’imposta diversi (es. potrà nascere una minusvalenza deducibile in un anno successivo) . Dunque un contribuente non può omettere di dichiarare la plusvalenza sostenendo di non aver incassato il corrispettivo o di averlo incassato solo in parte: tali circostanze non posticipano né annullano il realizzo ai fini delle imposte sui redditi .
- Società di capitali e holding (soggetti IRES) – Quando la partecipazione è ceduta da una società di capitali (es. S.p.A., S.r.l., società consortili, etc.) o altro soggetto passivo IRES, la plusvalenza confluisce nel reddito d’impresa ai sensi dell’art. 86 TUIR. In questo ambito opera il regime della Participation Exemption (PEX) previsto dall’art. 87 TUIR: se la partecipazione ceduta possedeva determinati requisiti (in sintesi, partecipazione qualificata detenuta da almeno 12 mesi, iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie, società partecipata non residente in paradisi fiscali e svolgente attività commerciale), il 95% della plusvalenza non concorre a tassazione IRES . Di fatto, dunque, una società di capitali che vende una partecipazione PEX paga l’IRES solo sul 5% del gain (aliquota IRES 24% = imposta effettiva 1,2%). Se la PEX non è applicabile (partecipazione non qualificata o detenuta per breve periodo, ecc.), la plusvalenza concorre interamente al reddito imponibile della società venditrice, scontando IRES al 24% (ed eventualmente IRAP se si tratta di operazione commerciale ordinaria). Holding: Per le holding pure (società il cui oggetto principale è detenere partecipazioni) valgono le stesse regole IRES/PEX. Spesso le holding pianificano cessioni di partecipazioni avvalendosi di PEX per minimizzare il carico fiscale. Tuttavia, un abuso di tale regime (ad esempio, cessione infragruppo a valore artificiosamente basso per spostare utili a una società con perdite fiscali, oppure applicazione indebita della PEX su partecipazioni in realtà non esenti) può essere oggetto di contestazioni sia sul piano amministrativo sia penale. Si segnala ad esempio che la Cassazione penale ha ritenuto configurabile il reato di dichiarazione infedele nel caso di indebita fruizione del regime PEX finalizzata a sottrarre a tassazione plusvalenze imponibili . Pertanto le holding devono usare il regime in conformità ai requisiti, pena il disconoscimento dell’esenzione e la riqualificazione del reddito come imponibile ordinario.
- Società di persone (Snc, Sas) e società semplici – Le società di persone commerciali (Snc, Sas) sono fiscalmente trasparenti: il reddito d’impresa prodotto (inclusi eventuali plusvalori da cessione di beni o partecipazioni) viene imputato ai soci e tassato in capo a questi ultimi (IRPEF per i soci persone fisiche, IRES/IRPEF per i soci società a seconda dei casi). In pratica, se una Snc cede una partecipazione, la plusvalenza confluisce nel reddito d’impresa della Snc e viene attribuita pro-quota ai soci, che la dichiarano nei propri redditi (persone fisiche in genere al loro scaglione IRPEF progressivo). Occorre considerare che il costo fiscale della quota di partecipazione in società di persone può variare nel tempo: l’art. 68, comma 6 TUIR prevede infatti che il costo iniziale della quota sia aumentato dei redditi imputati al socio negli anni (e ridotto delle perdite e degli utili prelevati) . Questo meccanismo impedisce doppi assestamenti: ad esempio, se un socio ha già pagato IRPEF sul reddito societario lasciato a riserva, quando vende la quota il valore fiscale della quota include quelle riserve tassate, evitando un’ulteriore tassazione. Nel caso di società semplici (enti non commerciali per definizione, spesso usati come holding di famiglia), vige anch’essa la trasparenza fiscale ma limitatamente ai redditi prodotti nelle varie categorie (le società semplici non possono svolgere attività commerciali). Una società semplice che detiene partecipazioni genera, dalla cessione, un reddito di natura diversa: in genere reddito diverso di natura finanziaria per i soci persone fisiche. La plusvalenza sarà quindi imputata ai soci e tassata in capo ad essi con le regole proprie (26% imposta sostitutiva se soci privati residenti). Le società semplici sono esenti da IRES, quindi l’eventuale plusvalenza non è tassata al livello societario ma solo in capo ai soci. Nota: le società semplici sono spesso utilizzate come veicoli di passaggio generazionale o di pianificazione patrimoniale; ad esempio genitori conferiscono partecipazioni in una società semplice familiare. In tali scenari, è cruciale considerare che se la società semplice vende quote a terzi, la plusvalenza “passa” ai figli soci: l’eventuale tentativo di sotto-valutare il prezzo per evitare imposte potrebbe essere comunque contestato come plusvalenza occulta in capo ai soci beneficiari.
- Trust e enti assimilati – Un trust residente fiscalmente in Italia può essere tassato in due modi: opaco (il trust paga le imposte sui redditi generati) oppure trasparente (i redditi sono imputati ai beneficiari). Se un trust opaco cede partecipazioni, la plusvalenza rientra tra i redditi del trust e viene tassata con le aliquote IRES ordinarie (24%, salvo esenzioni analoghe alla PEX se il trust esercita impresa). Se invece il trust è trasparente, la plusvalenza è imputata ai beneficiari e segue il regime che sarebbe loro applicabile (tipicamente, beneficiari persone fisiche non imprenditori -> 26% imp. sostitutiva, analogamente a una società semplice). Attenzione però: l’Amministrazione finanziaria guarda con sospetto i trust utilizzati per veicolare partecipazioni e potenziali plusvalenze. In alcuni casi può eccepire l’interposizione fittizia, tassando direttamente in capo al disponente o beneficiario la plusvalenza come se il trust non esistesse (qualora il trust sia ritenuto meramente strumentale all’elusione). Dal punto di vista civilistico, il trust che trasferisce asset può anche sollevare profili di revocatoria o reato tributario (se finalizzato a sottrarre i beni alla garanzia del Fisco). Pertanto, chi opera con trust deve tenere traccia documentale rigorosa di valori di carico e di realizzo e assicurarsi che ogni cessione avvenga a valori di mercato, pena possibili rettifiche.
Tabella – Tassazione delle plusvalenze da cessione partecipazioni (situazione 2025)
Cedente | Regime fiscale plusvalenza | Norme principali |
---|---|---|
Persona fisica (no impresa) | Reddito diverso tassato con imposta sostitutiva 26% (qualificate e non) . Plusvalenza realizzata alla stipula, incasso irrilevante . | Art. 67 co.1 lett. c), c-bis) TUIR;<br>Art. 68 TUIR; Cass. 10694/2025 . |
Società di capitali (S.p.A., S.r.l., holding)** | Reddito d’impresa (IRES 24%). Plusvalenza interamente imponibile salvo PEX (95% esente) se requisiti art. 87 TUIR. Se PEX non spettante o abuso, tassazione integrale e possibili sanzioni . | Art. 86–87 TUIR (PEX); <br>Art. 4 D.Lgs.74/2000 (dich. infedele) . |
Società di persone (Snc/Sas) | Reddito d’impresa trasparente: plusvalenza calcolata a livello societario e imputata ai soci proporzionalmente. Soci persone fisiche tassati a IRPEF ordinaria sui redditi di partecipazione. Costo fiscale quota aumentato di utili tassati non distribuiti . | Art. 5 TUIR (trasparenza); <br>Art. 68 co.6 TUIR (calcolo costo fiscale) . |
Società semplice | Reddito di capitale/diverso trasparente: plusvalenza imputata ai soci. Se soci PF, tassazione 26% imp. sostitutiva (come reddito diverso) sul loro conto . Attenzione a possibili riqualificazioni se usata per elusione. | Art. 5 TUIR; <br>Art. 67–68 TUIR (redditi diversi) . |
Trust “opaco” | Reddito imponibile in capo al trust (IRES 24%). Se trust non commerciale, plusvalenza come reddito diverso soggetto a 24%. Nessuna PEX salvo trust eserciti impresa. | Art. 73 TUIR (soggetti IRES); <br>C.M. 48/E-2007 (trust opaco). |
Trust “trasparente” | Reddito imputato ai beneficiari: tassazione secondo natura in capo a ciascun beneficiario. Tipicamente 26% per beneficiari PF (reddito diverso). | Art. 73 TUIR; <br>art. 67 TUIR (beneficiari PF). |
Partecipazione acquisita per successione/donazione | Step-up dei valori di acquisto: il costo fiscalmente riconosciuto è quello che aveva il de cuius/donante (continuità dei valori) . Plusvalenza calcolata su tale costo storico. (Possibile rivalutazione con perizia pagando imposta sostitutiva). | Art. 68 co.6 TUIR (valore originario donante/successione) ; <br>L. 448/2001 e succ. proroghe (rivalutazione partecipazioni). |
Come si nota dalla tabella, il momento impositivo è sempre il realizzo della cessione a titolo oneroso, indipendentemente da fattori come il pagamento effettivo del prezzo o la successiva destinazione delle somme. Qualunque differimento del pagamento o retroscena contrattuale non incide sull’obbligo di dichiarare la plusvalenza nell’anno di stipula . Allo stesso modo, la normativa non prevede in via generale un “valore minimo” al di sotto del quale la vendita sia automaticamente sindacabile dal Fisco: vige il principio di libera contrattazione delle parti, con il prezzo che può anche discostarsi dal valore intrinseco della partecipazione senza che ciò, di per sé, generi un’imposizione. Tuttavia, come vedremo, l’Agenzia delle Entrate può contestare l’operazione qualora ritenga che il prezzo dichiarato sia fittizio o parziale, mirando a tassare una plusvalenza occulta non dichiarata. Ciò avviene attivando strumenti di accertamento e facendo leva su normative antielusive e sul principio generale antiabuso (oggi codificato nell’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente). Nei paragrafi che seguono analizziamo proprio queste evenienze: come vengono individuate dal Fisco le plusvalenze occulte e quali argomentazioni normative-giurisprudenziali entrano in gioco nelle contestazioni.
Plusvalenze occulte da cessione di quote: definizione e casi tipici
Cosa si intende per “plusvalenza occulta”. L’espressione si riferisce a una plusvalenza realizzata ma non dichiarata al Fisco, solitamente perché il contribuente ha occultato in tutto o in parte il corrispettivo effettivo ottenuto dalla cessione della partecipazione. In pratica, vi è plusvalenza occulta quando il prezzo realmente pagato per le quote è maggiore di quello risultante dall’atto di cessione registrato (o da quanto dichiarato al Fisco). Lo scopo tipico è evadere o eludere le imposte su quel maggior valore. Le situazioni più comuni in cui ciò accade includono:
- Cessione a prezzo dichiarato inferiore a quello effettivo (pagamento “in nero”): È il caso più intuitivo. Le parti dichiarano nell’atto un corrispettivo volutamente basso (es. 100) e contestualmente il compratore corrisponde al venditore un extra-prezzo fuori atto (es. ulteriori 50 in contanti non documentati). In tal modo il venditore dichiara (o non dichiara affatto, se il costo era superiore al prezzo dichiarato) una plusvalenza inferiore al reale guadagno. Questa è a tutti gli effetti evasione fiscale, in quanto vi è occultamento doloso di materia imponibile. Se il Fisco riesce a scoprire l’importo in nero (ad esempio tramite indagini bancarie che rilevino movimenti sospetti sui conti), procederà a rettificare il corrispettivo di cessione e ad accertare la maggior plusvalenza non dichiarata, con sanzioni per infedele dichiarazione e interessi. Dal punto di vista penale, se l’imposta evasa supera le soglie di punibilità, si configura il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000, punito con la reclusione) oppure, nei casi più gravi con artifizi, quello di dichiarazione fraudolenta.
- Cessione sottovalutata a parti correlate (familiari, soci, società del gruppo): Qui il prezzo è realmente quello corrisposto, ma viene fissato intenzionalmente basso perché venditore e acquirente hanno un legame tale da condividere l’interesse a ridurre il carico fiscale complessivo. Esempio classico: un imprenditore cede le proprie quote nella società operativa a una newco posseduta dai figli o a un’altra società del gruppo a un prezzo simbolico (o pari al solo valore nominale delle quote), cosicché in capo al venditore non emerga plusvalenza tassabile. L’operazione può essere finalizzata a trasferire l’azienda di famiglia alla generazione successiva senza imposte, oppure a spostare la plusvalenza latente su un soggetto con perdite pregresse o in esenzione. Dal punto di vista fiscale, se manca una valida ragione economica, ciò viene visto come operazione elusiva/abusiva: si evita la tassazione della plusvalenza aggirando la legge (in passato tali schemi venivano contestati ex art. 37-bis DPR 600/73, oggi ex art. 10-bis L.212/2000 sull’abuso del diritto). L’Agenzia può allora riqualificare la vendita secondo valore normale, facendo emergere la plusvalenza occulta ai fini IRPEF/IRES . Un caso celebre è la cessione delle quote di Enrico Coveri Srl: le partecipazioni furono vendute a valore nominale (99 milioni di lire) nonostante la società detenesse marchi di grande valore; la Cassazione ha confermato l’accertamento della plusvalenza occultata, data l’“abnorme differenza” tra valore nominale e reale delle quote, priva di giustificazione economica . In sostanza, un prezzo irrisorio tra soggetti collegati può essere considerato indizio grave di intenti elusivi o simulatori.
- Vendita con simulazione o contratti collegati: In alcuni casi la struttura negoziale è più complessa. Ad esempio, le parti potrebbero stipulare un contratto di cessione a prezzo basso pubblico, affiancato da un accordo privato (scrittura integrativa) che prevede un conguaglio extra al verificarsi di certe condizioni (una sorta di earn-out occulto), oppure da un secondo contratto di natura diversa (es. consulenza, non concorrenza) che in realtà serve a veicolare parte del prezzo in forma diversa. Se tali pattuizioni rimangono nascoste al Fisco e non vengono tassate, possono costituire plusvalenze occulte. Un esempio potrebbe essere un socio che cede la quota a 100 indicati nell’atto, ma contestaualmente stipula con l’acquirente un contratto di consulenza fittizia di 3 anni per 50: quei 50 sono in realtà parte del prezzo della quota, mascherati da corrispettivo di consulenza (che magari il cedente conta di non dichiarare, o di dichiarare come reddito diverso a tassazione inferiore). Se l’Agenzia delle Entrate scopre il disegno, può riqualificare i contratti collegati attribuendo i 50 al corrispettivo della partecipazione, tassandoli quindi come plusvalenza. In generale, tutte le volte che vi siano patti parasociali o intese extracontabili collegati alla cessione, occorre valutarne il trattamento fiscale. Da notare che in una recente risposta ad interpello (Risposta AE n. 50/2025) l’Agenzia ha precisato che “il corrispettivo rilevante ai fini della plusvalenza è quello stabilito nell’atto di cessione in favore del cedente”, escludendo dal conteggio somme scambiate tra soci con accordi privati paralleli . In quel caso specifico, due soci avevano convenuto tra loro un aggiustamento di prezzo post-vendita basato sui risultati futuri della società ceduta, fuori dall’atto con l’acquirente: l’Agenzia ha ritenuto che tale somma non facesse parte del prezzo di cessione (quindi non plusvalenza da cessione), ma fosse piuttosto un reddito diverso da obbligo di fare in capo al percettore . Questa posizione conferma che, in mancanza di simulazione ai danni del Fisco, un accordo inter partes tra venditori può generare redditi tassabili separatamente. Tuttavia, se l’accordo occulto fosse tra venditore e acquirente (ad esempio una integrazione del prezzo occultata), quello verrebbe considerato parte del corrispettivo della cessione eccome.
- Cessione sottocosto con finalità distrattive o fraudolente: Un ulteriore scenario è quando la cessione a prezzo vile è usata per sottrarre asset alla portata dei creditori, incluso il Fisco. Ad esempio, prima di fallire o di avere una grossa cartella esattoriale, un imprenditore può cedere le quote della sua società (contenenti immobili o liquidità) a una società estera o a un prestanome per un importo simbolico, trasferendo di fatto la ricchezza altrove. In questo caso c’è plusvalenza occulta, ma l’intento principale è la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (reato ex art. 11 D.Lgs. 74/2000) . L’Agenzia delle Entrate, spesso in collaborazione con la Guardia di Finanza, può individuare queste operazioni e procedere su più fronti: accertamento della plusvalenza occulta (tassando la differenza come reddito sottratto a tassazione), azioni cautelari (sequestri, misure preventive), segnalazione all’Autorità giudiziaria per il reato. Esempio pratico: Alfa Srl, indebitata col Fisco, cede tutti i suoi asset a Beta Srl (neocostituita dagli stessi soci) a un prezzo irrisorio e poi Alfa viene liquidata. Il Fisco potrà contestare che la cessione è simulata o abusiva, accertando in capo ad Alfa una plusvalenza occulta (avendo ceduto sotto costo) e chiamando Beta a risponderne in solido come cessionario d’azienda (nel caso di cessione di azienda si applica l’obbligazione solidale ex art. 14 D.Lgs. 472/97) . Inoltre, segnalerà il fatto alla Procura per sottrazione fraudolenta, perseguendo amministratori, soci e liquidatori coinvolti . In situazioni simili, oltre alle difese tributarie, si innestano complesse strategie difensive penali, volte a dimostrare l’assenza di intenti fraudolenti e la genuinità delle operazioni (si veda infra).
Riassumendo, la plusvalenza occulta nella cessione di quote può derivare sia da comportamenti evasivi (prezzo integrativo in nero, simulazioni dolose) sia da condotte elusive/abusive (sottovalutazione artificiosa tra parti correlate, volte ad aggirare norme fiscali). Nel primo caso si tratta di redditi totalmente nascosti, nel secondo di valorizzazioni artefatte pur nell’ambito formale di operazioni lecite. In entrambi i casi, l’Agenzia delle Entrate – qualora rilevi tali discrepanze – può procedere a rettificare il valore di cessione ai fini fiscali, determinando un maggior reddito imponibile e applicando le conseguenti sanzioni.
Poteri dell’Agenzia delle Entrate e indagini finanziarie sulle cessioni di partecipazioni
Come il Fisco individua le plusvalenze occulte. L’Agenzia delle Entrate dispone di vari strumenti per scoprire se dietro una cessione di quote si cela un corrispettivo maggiore di quello dichiarato. Data l’assenza di un obbligo generale di dichiarare preventivamente i trasferimenti di partecipazioni (a parte l’eventuale registrazione dell’atto notarile per le quote di Srl), spesso l’innesco è un’attività di controllo successiva, quali verifiche fiscali mirate o segnalazioni. Ecco i principali metodi e fonti di informazione usati:
- Controlli documentali e incrocio dati: L’Agenzia può incrociare le informazioni disponibili dalle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti. Ad esempio, se un soggetto ha partecipato al capitale di una società e risulta che ne è uscito in un certo anno (dai registri delle imprese o da comunicazioni notarili), il Fisco si aspetta di vedere nella sua dichiarazione una plusvalenza (o minusvalenza) da cessione di partecipazione. Se non la trova, scatta un alert. Ancora, se viene dichiarata una minusvalenza rilevante da cessione quote, l’Ufficio potrebbe approfondire per vedere se il prezzo di vendita era congruo o se è stato artatamente abbassato per generare una perdita fiscalmente utile.
- Anagrafe dei rapporti finanziari e indagini bancarie*: Uno strumento potentissimo sono gli accertamenti finanziari ex art. 32 DPR 600/1973. Il Fisco (Agenzia o Guardia di Finanza) può ottenere dagli istituti di credito l’*elenco dei conti e movimenti riferibili al contribuente e ai soggetti a lui collegati, e analizzare flussi di denaro sospetti. Nel contesto di una cessione di quote, ecco cosa cercano: accrediti di somme consistenti sul conto del venditore non giustificati, soprattutto se in date prossime al rogito; specularmente, addebiti o prelevamenti sui conti dell’acquirente; eventuali transiti di denaro tramite terzi riconducibili all’operazione. Se emergono movimenti non spiegati dalle risultanze fiscali, la presunzione di legge è che siano componenti reddituali occultati (come previsto dall’art. 32 citato). La Cassazione ha di recente ribadito che di fronte a movimenti bancari non giustificati opera una presunzione legale a favore del Fisco: sta al contribuente provare analiticamente che quelle somme non sono reddito tassabile . Questa presunzione è applicabile sia a versamenti che a prelevamenti (questi ultimi, per gli imprenditori). Dunque, se ad esempio il venditore dei titoli riceve sul proprio conto 200.000 € in contanti poco dopo la cessione e dichiara di aver venduto per soli 100.000 €, l’Ufficio potrà presumere che i restanti 100.000 € siano parte del corrispettivo occulto . Sarà il contribuente a dover fornire una prova rigorosa contraria (ad es. che trattasi di rimborso di un prestito precedente, mostrando documentazione a supporto – mere giustificazioni generiche non bastano ). La Guardia di Finanza, nelle sue circolari, enfatizza l’importanza di riscontrare proprio “che il prezzo fatturato e contabilizzato sia quello effettivamente pagato dall’acquirente”, mediante acquisizione di assegni, contabili bancarie, ecc., e ricorrendo agli accertamenti bancari se emergono elementi indiziari di sospetto . In caso di cessione infragruppo o tra parenti, è prassi per gli organi verificatori analizzare accuratamente le modalità di pagamento e i conti coinvolti.
- Valutazioni patrimoniali e indizi di valore: Un altro approccio è verificare se il prezzo di vendita dichiarato appare palesemente incongruo rispetto al valore della partecipazione desunto da altri elementi. Ad esempio, si può guardare al patrimonio netto della società ceduta, al valore dei suoi asset (immobili, partecipazioni in altre società, ecc.), al fatturato e utili generati. Se una società ha un patrimonio netto di 10 milioni e viene venduta interamente per 100.000 €, è evidente uno scostamento enorme. Certo, le parti possono avere le loro ragioni (urgenza di vendere, passività potenziali, etc.), ma per il Fisco è un campanello d’allarme. In passato, erano state emanate direttive interne per selezionare i controlli proprio sulle cessioni tra familiari o soci a prezzi anomali . L’assenza di un utile meccanismo legale di adeguamento automatico (come avviene per l’imposta di registro sugli immobili, dove vige la regola del valore minimo catastale) fa sì che l’Agenzia debba basarsi su presunzioni semplici. Ad esempio, se subito dopo la cessione sottocosto si verifica un evento che ne svela l’incongruità (la stessa partecipazione rivenduta a terzi a prezzo molto più alto, oppure la distribuzione di dividendi straordinari dalla società ceduta a beneficio del nuovo socio), ciò fornisce prova concreta che il prezzo originario era fittizio. Un caso giurisprudenziale: Cassazione n. 15520/2002 ha avallato l’accertamento di un maggior corrispettivo quando è emerso che le quote vendute a prezzo basso erano state rivendute poco dopo a un prezzo quasi triplo . In quel frangente il susseguirsi ravvicinato delle operazioni rendeva palese che il primo prezzo non rispecchiava il reale valore di mercato.
- Clausole contrattuali e patti: L’Agenzia esamina gli atti di cessione e ogni clausola accessoria. Ad esempio, una clausola di earn-out (prezzo aggiuntivo in base a futuri risultati) deve essere dichiarata e il relativo importo sarà tassato al realizzarsi della condizione. Se scoprono che esiste un accordo verbale o privato su un earn-out non dichiarato, agiranno di conseguenza. Anche una clausola di non concorrenza a favore del venditore, se valutata a parte, può essere usata per ricostruire un valore indiretto della cessione: se al venditore viene corrisposto un importo elevato per non fare concorrenza, l’Ufficio potrebbe ritenere che in realtà quell’importo mascheri parte del prezzo di vendita dell’azienda/quote, specie se il patto di non competere appare sproporzionato. Insomma, tutto ciò che orbita attorno alla transazione viene analizzato per capire se concorre al reale vantaggio economico ottenuto dal cedente. Nei Questionari e inviti al contraddittorio, l’Ufficio spesso chiede ai contribuenti di dettagliare come è stato determinato il prezzo, se ci sono perizie di stima, se sono stati stipulati altri accordi contestualmente, le modalità di pagamento, e così via.
- Segnalazioni e indagini penali: In alcuni casi l’innesco non è un controllo fiscale ordinario ma un’indagine penale o una segnalazione di operazioni sospette. Ad esempio, un notaio o un commercialista potrebbe segnalare operazioni in odore di illiceità; oppure, nell’ambito di un’indagine per reati tributari, emergono compravendite di quote fittizie. In tali situazioni, le prove raccolte in sede penale (intercettazioni, testimonianze, documenti sequestrati) possono poi essere utilizzate anche in sede tributaria per contestare le plusvalenze occulte.
Accertamento del Fisco: metodi e limiti. Una volta che l’Agenzia ritiene di avere elementi sufficienti, può procedere ad emanare un avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, rettificando il reddito dichiarato dal contribuente (o determinando un reddito non dichiarato). Nel caso di plusvalenza occulta, ciò significa che l’Ufficio ridetermina il corrispettivo di cessione della partecipazione a un importo più elevato e ricalcola la plusvalenza imponibile. Ad esempio, se il contribuente ha dichiarato vendita a 100 (costo 80, plusvalenza 20) ma secondo il Fisco il prezzo era in realtà 180, l’accertamento porterà la plusvalenza a 100. Ma su quali basi legali può farlo? È qui che entrano in gioco le presunzioni e l’interpretazione giurisprudenziale:
- Non esiste una norma che automaticamente consenta all’Agenzia di sostituire il corrispettivo con un “valore normale” di mercato per le cessioni di partecipazioni ordinarie (a differenza dell’imposta di registro sugli immobili, dove l’art. 52 DPR 131/86 permette la rettifica al valore venale). L’art. 68 TUIR fa riferimento solo al corrispettivo effettivamente percepito . L’art. 9 TUIR fornisce una definizione di valore normale per i beni, ma la Cassazione ha chiarito che non crea affatto una presunzione legale di corrispondenza tra corrispettivo e valore normale nelle cessioni di partecipazioni . La disposizione sul valore normale serve per altre fattispecie (ad es. conferimenti, permute, attribuzioni ai soci), non per rettificare libere vendite cash. Quindi l’Agenzia deve basarsi su presunzioni semplici, le quali – ai sensi dell’art. 2729 c.c. – devono essere gravi, precise e concordanti, e sono soggette al vaglio del giudice tributario. In pratica: un forte scostamento tra prezzo dichiarato e valore reale è un indizio, ma da solo non basta a fondare un accertamento legittimo . Occorrono elementi ulteriori a corredo: ad esempio la prova (anche presuntiva) che vi sia stato un pagamento occulto, oppure la ravvicinata rivendita a terzi a prezzo molto più alto , oppure ancora la totale irragionevolezza economica dell’operazione in un contesto di parti correlate . Solo con questo “compendio indiziario” l’accertamento può reggersi in giudizio .
- Giurisprudenza chiave sulle rettifiche di corrispettivo: La materia ha visto negli anni oscillare l’orientamento dei giudici. Possiamo sintetizzare alcune pronunce di rilievo:
- Cass. n. 3290/2012: ha escluso che vi sia alcuna presunzione legale di equiparazione prezzo = valore normale nelle cessioni di partecipazioni . In quel caso fu annullato un accertamento che si basava solo sullo scostamento da valori di perizia, senza altre prove. La Suprema Corte affermò che l’Amministrazione non può rettificare il prezzo pattuito in regime di libera contrattazione solo perché non congruo, se non provando che il prezzo effettivo pagato diverge da quello dichiarato. In altri termini, la discrepanza può al più generare una presunzione semplice, ma sta al giudice valutarla caso per caso.
- Cass. n. 15520/2002: (caso già citato) ha ritenuto legittimo l’accertamento di un maggior corrispettivo in presenza di una rivendita a terzi a breve termine a valore triplo . Ciò costituiva una prova indiretta che il primo trasferimento fosse a prezzo sottostimato intenzionalmente.
- Cass. n. 17955/2013: in tema di operazioni infragruppo, ha avallato la tesi che una cessione di partecipazioni tra società del medesimo gruppo a prezzo notevolmente inferiore al valore normale possa essere considerata elusiva, integrando un abuso del diritto in assenza di valide ragioni extra-fiscali . In tal caso, la Cassazione ha mostrato apertura verso l’utilizzo diretto dell’art. 9 TUIR (valore normale) come parametro antielusivo.
- Cass. n. 23498/2016 (caso Coveri): decisione complessa ma di grande rilievo. La Cassazione, di fronte a una cessione al valore nominale di quote con valore reale altissimo, ha stabilito che: (a) non si può usare formalmente la clausola generale antielusiva se l’Ufficio allo stesso tempo afferma che il prezzo dichiarato “non corrisponde al vero” (perché l’abuso presuppone che l’atto sia genuino ma privo di sostanza economica) ; (b) tuttavia, la differenza abnorme tra valore reale e prezzo nominale legittima il giudice di merito a ricorrere alla prova presuntiva, assumendo come riferimento anche il valore dei beni sociali per stimare il valore effettivo delle quote . In pratica la Corte ha detto: caro giudice tributario, puoi ritenere, con logica e prudenza, che vendere a 1 ciò che vale 100 è indizio grave di un corrispettivo non veritiero; se trovi conferme, puoi dar ragione al Fisco. Ha però anche cassato la sentenza di merito perché aveva motivato male, richiamando impropriamente anti-economicità e abuso del diritto . Il messaggio è stato: usate le presunzioni semplici ben argomentate, non artifici giuridici mal collocati.
- Cass. n. 16366/2020: ha segnato un orientamento più favorevole al Fisco in chiave antielusiva. In linea col filone 2013, ha affermato che l’art. 9 TUIR (valore normale) “impone il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e proventi… trattandosi di clausola antielusiva, attuazione del divieto di abuso del diritto”, impedendo di ottenere vantaggi fiscali spostando imponibili nel gruppo senza ragioni economiche reali . Nello stesso arresto, la Corte ha ribadito che anche se il contribuente ha fatto predisporre una perizia giurata di stima ai sensi delle norme di rivalutazione (ad es. L. 448/2001), ciò non toglie il potere del Fisco di sindacarne la attendibilità: la perizia costituisce un valore minimo di riferimento, non intangibile . Insomma, se la perizia è considerata non veritiera (magari perché parziale), l’Ufficio può discostarsene con adeguate presunzioni. La Cassazione ha esplicitamente detto che l’Ufficio “conserva il potere di accertare” se il valore periziato corrisponda alla realtà, potendo disattenderlo con presunzioni gravi e precise .
- Cass. n. 35685/2023: qui usciamo dall’ambito tributario per una parentesi civilistica rilevante. In questa sentenza la Cassazione (Sez. II civile) ha affrontato la questione della nullità del contratto di vendita a prezzo vile per difetto di causa: era una causa tra privati dove si sosteneva che la cessione a prezzo simbolico fosse nulla. La Corte ha escluso tale nullità, chiarendo che “nei contratti di scambio – anche di partecipazioni sociali – lo squilibrio originario tra le prestazioni non ne comporta la mancanza di causa, prevalendo il principio di autonomia negoziale” . Solo un prezzo simbolico “privo di valore” potrebbe porre problemi di causa, altrimenti vale la volontà delle parti. Questo significa che, civilmente parlando, anche vendite a prezzi stracciati sono valide (e, aggiungiamo, se le parti sono consapevoli e consenzienti non c’è vizio). Implicazione fiscale: il Fisco non può eccepire la nullità dell’atto per invalidarlo (al fine magari di tassare diversamente); deve accettare il contratto così com’è e caso mai riqualificarne gli effetti economici per tassare la differenza come plusvalore occulto o come donazione indiretta. A proposito di quest’ultimo aspetto: la vendita sottoprezzo tra parenti è spesso vista come negotium mixtum cum donatione, cioè parzialmente una donazione (per la parte di valore regalata). Ebbene, la Cass. 35685/2023 ha ritenuto che tale negozio misto sia valido senza bisogno di forma dell’atto pubblico richiesta per le donazioni, purché vi sia un corrispettivo sia pure minimo . In passato altre sentenze avevano opinioni divergenti, ma questa massima avvalora la tesi che la vendita a prezzo irrisorio verso un figlio è valida come vendita (non viene annullata in quanto donazione dissimulata). In chiave fiscale ciò può significare che il Fisco, più che annullare l’atto, preferirà tassare il plusvalore in capo al venditore se sospetta un prezzo occulto, oppure (in alternativa o aggiunta) applicare l’imposta di donazione sulla parte di valore trasferita a titolo gratuito. Infatti, l’Agenzia potrebbe sostenere che la differenza tra valore normale e prezzo pagato costituisce una donazione indiretta al compratore (figlio, coniuge, ecc.), soggetta a imposta di donazione (con franchigie se parenti stretti). Ciò però tipicamente avviene nelle cessioni di immobili (dove l’Agenzia ha strumenti per far emergere il valore reale ai fini registro/donazione); nelle partecipazioni sociali l’uso dell’imposta di donazione per colpire la vendita sottocosto è meno frequente, ma teoricamente possibile se ci sono evidenze probanti di spirito di liberalità.
Tabella – Principali sentenze (Cassazione) sulle plusvalenze da cessione quote e rettifica dei corrispettivi
Sentenza | Principio enunciato | Fonte |
---|---|---|
Cass. 6/11/2002 n. 15520 | Legittimo l’accertamento di maggior corrispettivo se supportato da fatti concludenti: ad es. rivendita a terzi dopo breve tempo a prezzo triplo evidenzia che il primo prezzo era sotto stimato e giustifica la rettifica . | Cass. 15520/2002 |
Cass. 2/03/2012 n. 3290 | Nessuna presunzione legale di conformità al valore normale nelle cessioni di partecipazioni: l’art. 9 TUIR (valore normale) non consente rettifiche automatiche. Il prezzo pattuito è insindacabile salvo prova di un diverso prezzo effettivo. Differenza valore normale/prezzo = mera presunzione semplice, da corroborare . | Cass. 3290/2012 |
Cass. 18/11/2016 n. 23498 | Cessione di quote a prezzo irrisorio (caso Coveri, differenza abnorme tra reale e nominale): il giudice può utilizzare il valore reale (beni aziendali, perizia) per fondare una presunzione di corrispettivo occulto. Non basta invocare anti-economicità o abuso del diritto in astratto . Ma la condotta è “irragionevole” e supporta una valutazione indiziaria diversa, legittimando l’accertamento di un maggior valore di cessione . | Cass. 23498/2016 |
Cass. 30/07/2020 n. 16366 | In tema di operazioni infragruppo/elusive, si applica la clausola antielusiva generale: art. 9 TUIR impone valore normale per impedire spostamenti di imponibile nel gruppo senza valide ragioni economiche. È precluso al contribuente conseguire vantaggi fiscali tramite un uso distorto di strumenti giuridici leciti (es. vendere a se stesso a costo storico per non far emergere plusvalenza) . Inoltre, se il contribuente ha rivalutato la partecipazione con perizia pagando l’imposta sostitutiva, ciò fissa solo un minimo valore ma l’Ufficio può contestarne la non veridicità con presunzioni gravi . | Cass. 16366/2020 |
Cass. 21/12/2023 n. 35685 (civile) | Una cessione di partecipazioni a prezzo simbolico non è nulla per mancanza di causa: forte squilibrio delle prestazioni non inficia il contratto, data l’autonomia negoziale . In ambito fiscale, ciò conferma che il Fisco non può annullare l’atto ma solo riqualificarne gli effetti (es. tassando come plusvalenza o donazione la differenza). Vendite a familiari sottocosto = possibili donazioni indirette, ma la forma non è richiesta se un corrispettivo c’è . | Cass. 35685/2023 |
Sintesi operativa: l’Agenzia delle Entrate è legittimata a procedere ad accertamento induttivo del reddito da plusvalenza quando dispone di evidenze che il prezzo dichiarato non corrisponde a quello realmente pattuito/incassato . Ciò può avvenire valorizzando, ad esempio, un accertamento definitivo ai fini di altra imposta (come il caso del valore accertato a fini registro per un terreno, poi usato per presunzione sul prezzo di vendita ai fini Irpef ), oppure mediante indizi plurimi come quelli sopra detti. Incombe poi al contribuente l’onere di provare che invece il prezzo effettivo era proprio quello dichiarato e non di più . In mancanza di prova contraria convincente, la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato al valore di mercato regge e legittima la tassazione . Questo principio, consolidato in Cassazione, uniforma la tenuta delle presunzioni: appena il Fisco dimostra (anche con indizi forti) un maggior valore, il contribuente deve dimostrare attivamente di aver venduto a meno . È un’inversione dell’onere della prova tipica degli accertamenti tributari e, come visto, ancor più stringente negli accertamenti bancari dove è il contribuente a dover giustificare puntualmente ogni movimento sospetto .
Strategie di difesa del contribuente (profilo civile, tributario e penale)
Dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta) che riceve una contestazione per plusvalenze occulte, è fondamentale approntare una difesa strutturata su più livelli: questioni di merito (fattuali e valutative), eccezioni procedurali, riferimenti giuridici e giurisprudenziali a sostegno. Occorre sin dal primo stadio (verifica o istruttoria) raccogliere elementi probatori e predisporre le argomentazioni che verranno poi sviluppate in fase contenziosa davanti alle Commissioni Tributarie (oggi “Corti di Giustizia Tributaria” provinciali e regionali) e, se necessario, in Corte di Cassazione. Senza dimenticare i possibili risvolti penali: se le somme occultate sono ingenti, parallelamente all’accertamento fiscale potrebbe aprirsi un procedimento per reati tributari. Di seguito analizziamo le principali strategie di difesa, distinguendo le fasi:
Difesa nella fase pre-contenziosa (verifica e accertamento)
- Collaborare ma con cautela durante la verifica fiscale: Se la plusvalenza occulta viene contestata in sede di verifica (ad esempio dalla Guardia di Finanza in un processo verbale di constatazione – PVC), il contribuente dovrebbe fornire le spiegazioni e documenti a supporto della propria posizione già in questa fase, per quanto possibile. Mostrare disponibilità a chiarire può talora evitare che il verificatore tragga conclusioni affrettate. Tuttavia è bene farlo dopo attenta valutazione: ogni dichiarazione resa alla GdF o al funzionario, ogni documento consegnato, potrà essere usato nel seguito. Esempio: se viene chiesto “perché ha venduto a prezzo così basso?”, è consigliabile fornire subito le ragioni economiche (crisi aziendale, necessità di liquidità immediata, patti parasociali che limitavano i poteri e quindi il valore, ecc.) corredandole di elementi oggettivi (bilanci in perdita, stime, corrispondenza con l’acquirente, ecc.). Questo per gettare le basi di una difesa per assenza di intento evasivo o per confutare l’accusa di irragionevolezza. Attenzione però a non fare ammissioni avventate: mai confermare l’esistenza di pagamenti extra non dichiarati (sarebbe autodenuncia di evasione), salvo in sede di ravvedimento volendo regolarizzare.
- Istanza di adesione e definizione bonaria: Quando arriva l’avviso di accertamento, prima di fare ricorso c’è la facoltà di presentare istanza di accertamento con adesione. In questo procedimento l’Ufficio e il contribuente discutono la pretesa nel merito e, se si trova un accordo, si “chiude” l’accertamento con sanzioni ridotte. In materia di plusvalenze occulte, l’adesione può essere un’arma a doppio taglio: se il contribuente effettivamente ha nascosto del corrispettivo e teme di perdere in giudizio (perché le prove del Fisco sono solide), potrebbe convenire trovare un compromesso (ad es. riconoscere una parte della plusvalenza in più e pagare le imposte relative). L’adesione evita anche strascichi penali per dichiarazione infedele, poiché perfezionando il pagamento prima dell’eventuale dibattimento si usufruisce della causa di non punibilità (pagamento integrale del debito tributario). Tuttavia, dall’altro lato, se il contribuente è convinto della legittimità del proprio operato (es. ha davvero venduto a poco perché il valore era effettivamente quello), difficilmente accetterà di “pattuire” una plusvalenza che non esiste: meglio allora prepararsi al ricorso, mantenendo la coerenza sulla linea difensiva. In sede di adesione comunque si possono comprendere meglio le tesi dell’Ufficio e magari ottenere la riduzione di qualche sanzione in caso di parziale riconoscimento.
- Verificare vizi formali dell’atto: Prima di entrare nel merito, un buon difensore controlla sempre la regolarità formale e procedurale dell’accertamento. Ad esempio: è stato preceduto dall’invito al contraddittorio obbligatorio? (Dal 2020, per gli accertamenti riguardanti tributi “armonizzati” come l’IVA o comunque in base alla giurisprudenza, l’assenza di contraddittorio endoprocedimentale, quando previsto, può inficiare l’atto). L’avviso è motivato adeguatamente, spiegando su quali elementi si fonda la rettifica del corrispettivo? Un difetto di motivazione (affermazioni generiche, mancanza di nesso logico) può essere motivo di annullamento . Se l’atto menziona l’abuso del diritto, l’Ufficio ha seguito la procedura ad hoc (art. 10-bis co.4 L.212/2000) comunicando al contribuente l’avvio del procedimento antielusivo e i motivi, garantendo 60 giorni per controdedurre? Se ciò non è stato fatto, la contestazione di abuso potrebbe essere nulla. Ancora: l’accertamento bancario è stato autorizzato correttamente dal direttore e sono stati rispettati i termini di garanzia? Questi aspetti vanno scrutati per rilevare eventuali eccezioni procedurali da opporre già nel ricorso introduttivo.
Difesa nel merito: contestare la pretesa di plusvalenza occulta
Quando si entra sul terreno del merito, l’obiettivo del contribuente è smontare le presunzioni dell’Ufficio e dimostrare (o rendere verosimile) che il corrispettivo dichiarato è quello effettivo. Parallelamente, occorre spesso evidenziare eventuali errori nell’impostazione dell’accertamento (ad es. l’Ufficio ha confuso concetti di elusione con evasione, oppure ha omesso di considerare elementi a favore). Ecco le linee difensive più efficaci:
- Dimostrare la congruità del prezzo di vendita: Bisogna fornire una giustificazione economica al corrispettivo pattuito. Ad esempio:
- Presentare una perizia di stima della partecipazione, redatta da un esperto indipendente, con metodo valutativo riconosciuto (DCF, multipli, patrimonio netto rettificato, etc.), che attribuiva un valore uguale o vicino al prezzo di cessione. Se tale perizia era coeva alla cessione o antecedente, meglio ancora. Anche se la Cassazione dice che la perizia privata non vincola il Fisco , essa ha valore probatorio a favore del contribuente se ben fatta. Nel processo tributario può essere prodotta come documento e illustrata. Una perizia solida può contrastare l’asserzione che il valore fosse molto più alto.
- Evidenziare eventuali passività latenti o rischi che gravavano sulla società e ne abbassavano il valore: es. cause legali pendenti, debiti fuori bilancio, perdite fiscali non utilizzabili, immobilizzazioni sopravvalutate in bilancio, rischio di mercato (perdita di clienti, settore in crisi). Tutto ciò che spiega perché un terzo informato non avrebbe pagato di più. Se il Fisco ha guardato solo il patrimonio netto contabile, il contribuente può mostrare che quel patrimonio era gonfiato o non rappresentativo (magari c’erano immobili iscritti a valore storico basso, ma con ipoteche, oppure crediti difficilmente esigibili, etc.). In sintesi, fornire un quadro completo della situazione aziendale al momento della cessione.
- Se la quota ceduta era di minoranza (o comunque con diritti limitati), argomentare il minor valore intrinseco rispetto a una partecipazione di controllo. È noto infatti che piccole percentuali di capitale spesso si vendono con sconto sul valore pro-quota del patrimonio netto, per via del difetto di controllo e di liquidità. Ad esempio, vendere il 15% di una società chiusa può avvenire a prezzi molto inferiori al valore proporzionale dell’intera azienda, perché l’acquirente non ottiene potere di governance né può facilmente rivendere. Questo potrebbe giustificare un corrispettivo apparentemente basso. Citare studi di settore o prassi valutative (lo sconto minoranza può anche superare il 30-40% in certi casi).
- Nel caso di società di persone ceduta, sottolineare che l’acquirente si assumeva la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali (nel caso di Snc/Sas). Ciò giustifica un prezzo inferiore: chi comprava la quota si accollava anche il rischio di dover rispondere con il proprio patrimonio dei debiti sociali, rischio che deprezza l’oggetto della compravendita . Ad esempio, se Tizio vende la sua quota di una Snc al 50% a Caio, e la Snc aveva potenziali debiti, Caio pagherà poco quella quota perché potrebbe in futuro dover mettere soldi se la Snc non paga i creditori. Questo argomento è riconosciuto anche dalla prassi (studio del Notariato 2014 citava proprio il deterrente della responsabilità illimitata come fattore di minor valore delle quote di società personali ).
- Simulazione di calcolo: presentare al giudice una simulazione numerica di come si è arrivati al prezzo. Esempio: “La società valeva X perché patrimonio netto Y rettificato delle seguenti poste… il 30% ceduto è stato valutato applicando uno sconto minoranza del Z%…” e così via. Rendere trasparente il processo decisionale sul prezzo aiuta a dissipare l’alone di arbitrarietà.
- Contestare l’esistenza di pagamenti occulti: Se l’Agenzia afferma che c’è stato un pagamento extra in nero, occorre contrastare sul fatto. In assenza di “pistole fumanti” (come assegni girati, confessioni, ecc.), spesso il Fisco si basa su indizi: prelievi, versamenti, confidenze di terzi. La difesa dovrà:
- Fornire spiegazioni alternative per ogni movimento bancario contestato. Ad esempio, quel versamento di 50.000 € sul conto venditore 3 giorni dopo la cessione non era un’integrazione di prezzo, ma la restituzione di un finanziamento familiare (magari documentando che mesi prima il venditore aveva prestato proprio quella cifra a un parente e quello gliel’ha restituita in quella data – se possibile, mostrare anche quietanze o una scrittura privata pregressa del prestito). Oppure se l’acquirente ha prelevato contanti, suggerire che potrebbe averli usati per altri scopi (consumi personali, investimenti non tracciati) e non per pagarli al venditore – chiaramente questa linea regge poco se venditore e acquirente sono collegati o parenti. L’importante è rompere la presunzione di correlazione: far vedere che quei movimenti non sono così inspiegabili da ricondursi per forza alla cessione.
- Verificare la congruenza temporale e quantitativa: se l’ufficio sostiene un nero di 100k ma l’unico versamento strano è di 30k, c’è un buco logico. Evidenziare queste discrepanze. Oppure se il pagamento ufficiale fu con bonifico tracciato, sottolineare che è illogico pagare una parte in bianco e una parte no, soprattutto se l’acquirente non aveva convenienza (far emergere contraddizioni).
- Testimonianze e dichiarazioni: nel processo tributario le testimonianze sono precluse formalmente, ma sono ammessi documenti come dichiarazioni scritte di terzi. Ad esempio, il commercialista o consulente che seguì la trattativa potrebbe redigere una dichiarazione sostitutiva in cui attesta che non vi furono altri pagamenti oltre quelli contrattuali. O l’acquirente stesso – se non colluso col venditore in evasione – può dichiarare (assumendosene la responsabilità) che ha pagato solo il prezzo ufficiale. Questo ovviamente se le relazioni sono rimaste buone e non c’è rischio penale (attenzione: far firmare dichiarazioni false configurerebbe reato). Talvolta, se chi ha condotto la negoziazione è un soggetto terzo (un advisor, un mediatore creditizio), la sua testimonianza su come è stato stabilito il prezzo può essere rilevante.
- Affidabilità delle prove del Fisco: contestare formalmente eventuali elementi probatori dubbi. Ad esempio, se l’accertamento si fonda su dichiarazioni di terzi rese all’AdE, far notare che non sono state rese sotto giuramento e il contribuente non ha potuto contro-interrogarle; oppure, se c’è un processo penale parallelo, segnalare se quell’evidenza è ancora al vaglio (non definitiva). Se la ricostruzione finanziaria del Fisco è errata (magari ha contato due volte lo stesso importo passato su conti diversi), correggerla in memoria difensiva con analisi contabili precise, allegando estratti conto completi.
- Invocare valide ragioni economiche (difesa anti-abuso): Qualora la contestazione sia sul piano dell’elusione/abuso (cioè l’atto è reale ma per l’Ufficio privo di sostanza economica e fatto solo per risparmiare tasse), la difesa principe è dimostrare che esistevano ragioni economiche extrafiscali non marginali alla base dell’operazione . Questo è proprio il criterio di legge (art. 10-bis Statuto) per cui un’operazione non è abusiva se ha ragioni non puramente tributarie. Nel caso di cessione di quote a familiari a basso prezzo, si potrà dire: la finalità era familiare (es. agevolare il passaggio generazionale, garantire continuità all’azienda di famiglia evitando esborsi insostenibili per i figli) – finalità che la Cassazione stessa in alcuni casi ha ritenuto non fittizie. Oppure, per cessione infragruppo: la riorganizzazione mirava a razionalizzare la struttura societaria, concentrare attività in un veicolo unico, ottenere sinergie, ecc., e il prezzo basso era spiegato dal fatto che era una riorganizzazione interna dove il valore rimaneva nel gruppo. Se si riesce a evidenziare documenti (piani industriali, delibere, pareri) che all’epoca supportavano queste motivazioni, l’accusa di abuso perde forza, perché l’indebito vantaggio fiscale non era lo scopo essenziale ma un effetto collaterale. Anche l’assenza di un vantaggio fiscale concreto può essere sottolineata: ad esempio, vendere a costo fiscale a sé stessi è vero che non genera plusvalenza tassata, ma se poi la società acquirente aveva anch’essa oneri fiscali non risparmiati, non c’è stato un risparmio effettivo (questo ragionamento è un po’ sottile ma a volte applicabile).
- Contestare la quantificazione e altri aspetti: Può darsi che, pur ammettendo una parte della tesi del Fisco, ce ne sia contestabile la misura. Ad esempio, l’ufficio sostiene un valore di mercato di 1 milione, ma anche accettando che il prezzo fu basso, quel valore è esagerato; si può allora far svolgere una CTU valutativa in giudizio (Consulenza Tecnica d’Ufficio) per determinare il valore della partecipazione. Le Commissioni possono ammettere CTU su aspetti tecnici complessi come la valutazione di azienda/quote. Un CTU indipendente potrebbe riconoscere un valore magari intermedio (500k), riducendo l’imponibile accertato. Allo stesso modo, se l’Agenzia ha applicato sanzioni troppo alte (ad es. qualificando il fatto come dichiarazione fraudolenta con sanzioni al 200% mentre magari era infedele semplice 90%), si deve far rilevare e chiedere la riduzione. O se ha negato la riduzione di 1/3 delle sanzioni in adesione (se c’era stato PVC Gdf con invito a definire), eccepirlo. Ogni dettaglio può incidere sull’importo finale dovuto.
- Responsabilità solidali e garanzie del debitore: Nelle operazioni connesse, l’Agenzia talvolta chiama in causa altri soggetti come responsabili d’imposta. Ad esempio, nell’ipotesi di cessione di azienda sottostimandone l’avviamento, può emettere accertamento anche nei confronti del cessionario (in base all’art. 14 D.Lgs. 472/97, quest’ultimo risponde in solido delle sanzioni tributarie del cedente entro il valore di azienda ricevuta). Oppure, se la società venditrice è estinta, può notificare ai soci per i debiti sociali (entro i limiti delle somme ricevute in liquidazione) . In tali casi, la difesa può consistere nel contestare la legittimità dell’estensione: ad es., il cessionario d’azienda risponde solo se l’azienda trasferita era sostanzialmente l’intera azienda e se l’accertamento riguarda tributi correlati a essa (non per qualsiasi debito del cedente). Se cedente e cessionario sono indipendenti e non vi era frode, il cessionario potrebbe andare esente. Per i soci di società estinta: la legge prevede che rispondano pro quota dei debiti entro quanto riscosso in sede di liquidazione . Quindi, se il Fisco notifica a un ex socio per la plusvalenza occulta della società estinta, quel socio può difendersi dimostrando di non aver percepito nulla dalla liquidazione, o comunque meno di quanto richiesto – e allora non deve oltre. Anche i liquidatori possono essere chiamati se colpevoli di aver favorito i soci a danno del Fisco : un liquidatore incolpato potrà difendersi mostrando di aver agito correttamente e che la cessione a basso prezzo non fu atto fraudolento (es. fu fatta ben prima che emergessero i debiti tributari, quindi senza intento di frode). Insomma, in situazioni multi-soggetto, ognuno deve far valere i propri limiti di responsabilità.
- Documentare la buona fede: Un argomento trasversale, più “psicologico” ma che può influire sulla decisione del giudice, è mostrare di aver agito in buona fede e con trasparenza. Ad esempio, se la cessione fu a favore di un figlio, evidenziare che è stata dichiarata nella dichiarazione di successione come donazione indiretta (qualcuno lo fa per prudenza, pagando eventualmente la donazione); oppure che comunque l’operazione fu portata a conoscenza del Fisco tramite istanze o interpelli (se ci furono). Oppure ancora, se si tratta di un errore (magari il contribuente riteneva erroneamente che la plusvalenza fosse esente per un’interpretazione sbagliata), dimostrare di aver consultato un professionista e ottenuto quel suggerimento. Questo non elimina il debito d’imposta, ma può aiutare ad esempio a ottenere la non applicazione di sanzioni (per obiettiva incertezza normativa, se c’era una norma dubbia) o la loro riduzione.
Profili penali e difese collegate
Se la plusvalenza occultata è di ammontare significativo, potrebbe configurarsi: – il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000), che scatta se l’imposta evasa supera 100.000 € e gli elementi attivi sottratti a imposizione superano il 10% del reddito dichiarato o comunque 2 milioni di € (soglie aggiornate al 2020; la normativa è stata in evoluzione). Nascondere una plusvalenza genera elementi attivi non dichiarati; se rilevanti, integra questa fattispecie, punita con la reclusione da 2 a 5 anni . Va detto che qualora il meccanismo contestato rientri nell’abuso del diritto (operazione formalmente lecita ma abusiva), la Cassazione penale ha recentemente chiarito che si può comunque configurare il reato di infedele dichiarazione – l’abuso funge da causa di non punibilità solo per i casi in cui la condotta non integra di per sé gli estremi di un reato tributario . Nel dubbio, quindi, l’imprenditore che applichi in modo distorto la PEX o simili, può essere chiamato a rispondere penalmente . – il reato più grave di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. 74/2000), se per occultare la plusvalenza si sono usati mezzi fraudolenti (falsa documentazione, schermature societarie, ecc.). Questo però è meno frequente nelle cessioni di quote, a meno che non si sia organizzata una falsa vendita con prestanome. – il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) qualora la cessione a prezzo vile fosse fatta con lo scopo specifico di rendere inefficace la riscossione coattiva (ad esempio, vendere l’azienda a un complice per non farla pignorare dal Fisco). In tal caso non serve neppure superare soglie di evasione: è sufficiente l’intento di frodare i creditori fiscali compiendo atti simulati o fraudolenti . La vendita sottocosto può costituire atto simulato o comunque operazione idonea a configurare questo reato, come l’esempio di Alfa e Beta Srl sopra illustrato.
Tutela del contribuente sul piano penale: In caso di procedimento penale parallelo, è fondamentale coordinare la difesa tributaria con quella penale. Spesso conviene: – Definire il debito tributario (pagare le imposte evase) prima possibile. Infatti, per molti reati tributari (in particolare dichiarazione infedele) il pagamento integrale di imposte, sanzioni e interessi prima dell’apertura del dibattimento penale comporta una causa di non punibilità (art. 13 D.Lgs.74/2000). Ciò significa che se, anche litigando sul merito, si arriva a dover pagare, farlo tempestivamente può estinguere il reato. – Dimostrare assenza di dolo: far emergere che il contribuente non aveva coscienza di star evadendo. Ad esempio, se la questione è valutativa (di quanto valeva la quota) e c’era una perizia o il consiglio di un professionista che attestava quel valore, l’imputato può sostenere di aver agito convinto della correttezza fiscale. Il dolo specifico di evasione potrebbe mancare. Oppure che l’operazione era dettata da cause di forza maggiore (crisi, ecc.) e non per frodare il Fisco. In sede penale, ciò può portare ad assoluzione (“il fatto non costituisce reato”) o almeno a escludere l’aggravante dell’ingente evasione. – Separare i piani abuso/evasione: come accennato, l’abuso del diritto in teoria non rileva penalmente. Quindi, se il caso è al limite (es. vendita a se stesso a costo storico), puntare sulla tesi che fosse al massimo un’elusione lecita e non una falsa rappresentazione può aiutare a uscire dall’ambito penale (che presuppone mendacio). Però attenzione: la Cassazione penale ha affermato che anche condotte elusive possono integrare reati se comportano omissione di imponibili in dichiarazione . Quindi questa linea difensiva va valutata con finezza giuridica. – Aspetti probatori: a volte il processo penale offre garanzie in più (testimoni, perizie) che nel tributario mancano. Un’assoluzione penale con formula piena (es. perché “il fatto non sussiste” – quindi non c’era plusvalenza occulta) può avere riflessi positivi nel contenzioso fiscale, quantomeno offrendo elementi nuovi. Anche se, per principio, i giudici tributari sono autonomi, nella pratica un giudicato penale favorevole influenza.
Domande frequenti (FAQ) e risposte di taglio pratico
- D: Ho venduto le mie quote ma non ho ancora incassato i soldi dal compratore. Posso aspettare a dichiarare la plusvalenza?
R: No. Fiscalmente la plusvalenza si realizza al momento in cui la vendita è perfezionata, cioè quando viene firmato il contratto di cessione e sorge il diritto a riscuotere il prezzo . Che poi il pagamento avvenga in ritardo, in modo frazionato o non avvenga affatto è irrilevante ai fini IRPEF/IRES: il venditore deve dichiarare la plusvalenza nell’anno della cessione . Se poi il corrispettivo non verrà incassato (ad es. perché l’acquirente diventa insolvente o si annulla il contratto), in un secondo momento si potrà eventualmente dedurre una perdita (minusvalenza) nel periodo d’imposta in cui quell’evento negativo si concreta. Ma intanto la plusvalenza iniziale andava tassata. Questo principio è stato confermato dalla Cassazione (sent. n. 10694/2025) . Quindi attenzione a prevedere clausole di garanzia o fideiussioni per assicurarsi il pagamento, perché il Fisco non farà sconti sull’imponibile anche se non avete visto i soldi. - D: Ho venduto le quote di una Srl a mio figlio ad un prezzo simbolico (1 euro). È lecito o il Fisco può contestare qualcosa?
R: Civilmente è lecito: la vendita a prezzo simbolico è valida e non nulla . Fiscalmente, però, bisogna distinguere. Se davvero è un passaggio generazionale con spirito di liberalità, si configura una donazione indiretta: la differenza tra valore reale e prezzo pagato è, di fatto, un arricchimento gratuito per tuo figlio. Il Fisco potrebbe teoricamente esigere l’imposta di donazione su quella differenza (aliquota 4% per i figli oltre la franchigia di 1 milione). In pratica, però, nelle cessioni di quote non c’è un meccanismo automatico per accertare il valore come nelle donazioni dirette: dovrebbe provare che il valore era X e quindi la donazione è X-1. Più probabilmente, l’Agenzia potrebbe contestare a te venditore una plusvalenza occulta X-1, sostenendo che hai simulato una vendita per non tassare la plusvalenza come reddito diverso. La difesa in questi casi è argomentare che trattasi di donazione (non c’è intento evasivo, perché la finalità era familiare). Potresti anche aver dichiarato la cosa nella denuncia di successione/donazione (non obbligatorio, ma a volte fatto per trasparenza). Se il Fisco volesse tassare come plusvalenza, dovrebbe dimostrare che in realtà hai incassato più di 1 euro (cosa che non è successa). Quindi, scenario 1: se non c’è traccia di corrispettivi occulti, difficilmente ti accerteranno IRPEF su nulla; scenario 2: potrebbero invece richiedere l’imposta di donazione su stima del valore. Per prudenza, in simili operazioni è bene far fare una perizia del valore delle quote e, volendo stare tranquilli, pagare l’imposta di donazione sul valore eccedente (sfruttando le franchigie). In caso contrario, c’è un rischio, sebbene non frequentissimo, di accertamento. - D: L’Agenzia delle Entrate può contestarmi un prezzo troppo basso anche se non ci sono prove di pagamenti in nero?
R: Può provarci, ma non basta la mera constatazione che “il valore di mercato era più alto”. Deve costruire una presunzione qualificata: ad esempio che la tua condotta sia antieconomica al punto da far presumere un intento evasivo, oppure collegare altri fatti (come rivendite successive a prezzo maggiore, etc.). La Cassazione ha escluso presunzioni legali di conformità al valore normale , quindi ogni rettifica basata solo sullo scostamento di valore è contestabile e spesso i giudici tributari danno ragione al contribuente se il Fisco non porta ulteriori elementi . In pratica, se tu hai venduto davvero a quel prezzo per ragioni di mercato (ad esempio: necessità urgente di liquidità, nessun altro acquirente disposto a offrire di più), e non c’è traccia di nero, hai buone chance di spuntarla. Fornisci però tutte le prove possibili della bontà economica della scelta: se dimostri perché quel prezzo era giustificato, rendi la vita difficile al Fisco. Diverso il caso di vendite infragruppo/famiglia: lì l’antieconomicità evidente può portare a presumere un disegno elusivo, come detto sopra, anche senza “pistola fumante” del nero . Ma anche in tal caso, puoi difenderti invocando motivi non fiscali della scelta (continuità aziendale, ecc.). In sintesi: sì, l’Agenzia può accertare un maggior valore presunto anche senza prove dirette di pagamento occulto, ma deve avere indizi solidi e la legge sta dalla tua parte nel pretendere che questi indizi siano gravi, precisi e concordanti** . Se non lo sono, l’accertamento non regge. - D: Durante un controllo, il Fisco ha trovato un bonifico sul mio conto di molto superiore al prezzo di vendita che avevo dichiarato. Possono considerarlo “nero” e tassarlo?
R: Sì. In base alla normativa sulle indagini finanziarie (art. 32 DPR 600/73), qualsiasi versamento sul tuo conto corrente si presume essere un ricavo o comunque un reddito imponibile se non ne fornisci adeguata giustificazione . Se quel versamento coincide temporalmente con la cessione di quote, è naturale che l’Ufficio pensi a un’integrazione del corrispettivo non dichiarata. Starà a te fornire una spiegazione diversa e documentata: ad es., “sono proventi dalla vendita di un altro bene già tassato”, oppure “è un rimborso di prestito da Tizio, ecco il contratto di mutuo”, ecc. Deve essere qualcosa di credibile e supportato da prove specifiche , altrimenti prevarrà la presunzione che quei soldi derivino proprio dalla cessione e vanno tassati come plusvalenza occulta. Anche se il bonifico provenisse dall’acquirente stesso (magari con causale ambigua), sarebbe praticamente incontestabile che fosse parte del prezzo. In tal caso ti accerteranno la differenza come maggior corrispettivo. Dunque, mai fare transitare sui conti somme “extra” vicine a operazioni fiscalmente rilevanti, a meno di poterle spiegare in altro modo. Se davvero hai ricevuto più di quanto dichiarato e il Fisco se n’è accorto, la strada migliore è valutare di adesione e transare riducendo i danni (sanzioni minime in adesione e niente penale se paghi subito). - D: Cosa rischio concretamente se l’Agenzia scopre una plusvalenza occulta che non ho dichiarato?
R: Dal lato tributario, rischi un avviso di accertamento con recupero della maggior imposta dovuta sulla plusvalenza occultata, oltre a sanzioni e interessi. Le sanzioni per dichiarazione infedele sono generalmente dal 90% al 180% dell’imposta evasa. Se per esempio hai evaso 50.000 € di IRPEF, la sanzione base sarà 45.000 € (90%) ma può arrivare fino a 90.000 € nei casi gravi. Possono essere ridotte se fai adesione o conciliazione (1/3 in meno) oppure se il giudice riconosce attenuanti (ad es. obiettiva incertezza, errore scusabile). Gli interessi di mora decorrono dalla scadenza originaria (tasso di circa il 4% annuo attuale). Inoltre, l’accertamento potrebbe riguardare anche IVA o registro se l’operazione ne coinvolgeva (ad es., vendita di azienda con sottofatturazione, lì c’è IVA evasa sull’avviamento). Dal lato penale, se la plusvalenza occultata comporta un’evasione sopra soglia (oltre 100.000 € imposte evase, attualmente, e 2 milioni base non dichiarata), potresti essere denunciato per dichiarazione infedele. La pena massima è 3 anni (ma recentemente alzata a 5 per aggravanti) . Per l’avvio bastano gli elementi dell’accertamento: spesso scatta in automatico la segnalazione alla Procura. In casi più insidiosi (operazioni fraudolente) si può ipotizzare dichiarazione fraudolenta (pena fino a 6-8 anni) o sottrazione fraudolenta (fino a 6-7 anni). Chiaramente, molto dipende dall’entità: per pochi soldi non c’è penale; per cifre grosse, oltre al penale rischi anche misure cautelari sui beni (fermo amministrativo, ipoteca Equitalia, se non paghi). In sintesi: rischi economici pesanti (pagamento del dovuto + sanzioni salate) e potenzialmente rischi personali (procedimento penale) se l’importo è rilevante. Lato aziendale, se sei soggetto obbligato, c’è anche il danno reputazionale (in caso di controlli e contestazioni, rating fiscali ecc.). - D: Come posso prevenire le contestazioni di plusvalenze occulte prima di vendere delle quote?
R: Alcune buone prassi: - Operare a valori di mercato: sembra banale, ma è la miglior prevenzione. Fai valutare la partecipazione da un esperto indipendente e attieniti a quel range di valori nel fissare il prezzo. Se devi per ragioni estranee vendere a meno (es. al figlio), sappi che stai creando un potenziale disequilibrio: in tal caso considera l’idea di formalizzare una donazione parziale (così paghi l’eventuale imposta di donazione ma eviti problemi reddituali) oppure di motivare bene contrattualmente il perché del prezzo basso.
- Documentazione della trattativa: conserva tutte le offerte ricevute, le mail col compratore, i verbali del CdA o assemblea in cui si spiega la ragione della vendita e la scelta del compratore. Se nessuno offriva di più, avere traccia di tentativi sul mercato falliti è una prova utile. Se la vendita è intragruppo, fai deliberare dai soci che è fatta per ragioni strategiche (indicando quali).
- Pagamenti tracciati e univoci: assolutamente evitare contanti. Paga e fatti pagare sempre con mezzi tracciabili (bonifico, assegno non trasferibile). Indica bene in causale “prezzo cessione partecipazione…”. Se il pagamento è dilazionato, meglio far transitare comunque tutto via banca. Niente giri strani di denaro. Così, se poi ti accusano di nero, puoi mostrare che ogni centesimo passato tra le parti era quello dichiarato.
- Rivalutazione delle partecipazioni: quando disponibile per legge, valuta di rivalutare le tue partecipazioni prima di cederle. Ogni anno (dal 2001 in poi) le finanziarie hanno previsto la possibilità di redigere perizia giurata e pagare un’imposta sostitutiva (spesso 11% per partecipazioni qualificate, 10% o 8% per non qualificate – le aliquote variano) sul valore di perizia. Ciò ti consente di elevare il costo fiscale. Se poi vendi a quel valore o poco sopra, la plusvalenza imponibile risulterà nulla o minima (perché hai pagato prima l’imposta sulla rivalutazione). Attenzione: la procedura di rivalutazione deve essere perfezionata correttamente (perizia asseverata e pagamento della prima rata entro la scadenza). Se ometti di pagare, la rivalutazione è inefficace . Assicurati di compilare il quadro RT in dichiarazione e soprattutto di versare l’imposta sostitutiva. In caso contrario, come visto in Cassazione , non potrai opporre nulla all’Agenzia se ti tasserà la plusvalenza piena.
- Interpello se situazioni particolari: se hai un caso complesso (es. ripartizione del prezzo tra soci con accordi peculiari, clausole di earn-out, ecc.), considera di presentare un interpello all’Agenzia prima di agire, per avere conferma del trattamento fiscale. Ad esempio, nell’Interpello 50/2025 citato, i soci hanno chiesto prima come trattare quel pagamento extra tra di loro . Avere una risposta scritta dell’Agenzia ti mette al riparo da contestazioni (se segui la soluzione da loro data, sei protetto da sanzioni anche se fosse sbagliata).
- Consulenza legale/fiscale preventiva: coinvolgi professionisti esperti in fiscalità d’impresa prima di finalizzare l’operazione. Loro potranno suggerirti accorgimenti come inserire clausole contrattuali chiare, effettuare comunicazioni eventualmente obbligatorie (es. monitoraggio fiscale se soldi dall’estero), e in generale strutturare l’operazione in modo compliance. Ricorda: un piccolo costo di consulenza può risparmiarti in futuro un grande costo di accertamento!
Conclusioni
Dal punto di vista del contribuente-debitore, affrontare una contestazione di plusvalenze occulte da cessione di partecipazioni richiede un mix di conoscenza tecnica e strategia processuale. La normativa italiana offre gli strumenti per pianificare correttamente le operazioni societarie – si pensi alle possibilità di rivalutazione o all’ampia autonomia contrattuale riconosciuta – ma pone anche paletti chiari contro abusi ed evasioni. Le più recenti sentenze confermano che l’Amministrazione finanziaria può colpire le vendite sottocosto quando fungono da veicolo di evasione, ma al contempo i giudici richiedono prove solide e rispettano il principio che l’onere probatorio ultimo spetta al Fisco . Chi cede quote societarie dovrebbe farlo avendo ben presenti i valori reali in gioco e le relative implicazioni tributarie, documentando ogni aspetto economico dell’operazione. Se, nonostante tutto, arriva un accertamento, non bisogna scoraggiarsi: molte sono le leve difensive attivabili, dalle contestazioni procedurali alla dimostrazione di buona fede e genuinità delle operazioni . In sede contenziosa, soprattutto innanzi alle Commissioni Tributarie, il contribuente può far valere elementi che l’Ufficio potrebbe aver trascurato (perizie, ragioni economiche, ecc.) e sfruttare la giurisprudenza favorevole in tema di onere della prova e limiti alle presunzioni semplici . È importante inoltre coordinare la difesa tributaria con quella eventuale penale, ove vi siano profili di reato, per garantire un esito complessivo soddisfacente (in molti casi pagando il dovuto si chiude anche il capitolo penale).
In definitiva, la parola chiave per il contribuente è prevenzione: operare correttamente e trasparentemente sin dall’inizio è la miglior difesa. Ma qualora il rapporto con il Fisco si inasprisca su una pretesa di plusvalenze occulte, questa guida dimostra che esistono ampie possibilità di difendersi con successo, a patto di agire con tempestività, competenza e con il supporto di evidenze oggettive e fonti normative-giurisprudenziali autorevoli. Come sempre, in ambito tributario, onus probandi incumbit ei qui asserit: e se l’asserzione è dell’Agenzia, il contribuente bene informato può metterla alla prova e far valere le proprie ragioni in ogni sede .
Fonti
- Sentenza del 03/07/2023 n. 18706 – Corte di Cassazione
- Cassazione, sentenza 23 aprile 2025, n. 10694, sez. V
- CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 6135 depositata il 30 marzo 2016 – L’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, ciò comporta che incombe al contribuente, al fine di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato a quello coincidente con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrare di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata una plusvalenza occulta derivante dalla cessione di quote societarie? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Vuoi sapere cosa rischi e come impostare una difesa efficace?
👉 Prima regola: dimostra la corretta determinazione del prezzo di cessione e la reale esistenza di eventuali costi o valori fiscalmente rilevanti.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Prezzo di cessione dichiarato inferiore al valore reale delle quote;
- Utilizzo di valori nominali non corrispondenti al valore effettivo della società;
- Mancata considerazione di riserve occulte o avviamento;
- Cessioni tra soggetti collegati (soci, familiari, società controllate) a valori non di mercato;
- Differenze tra il prezzo dichiarato e quello risultante da perizie, atti notarili o indagini bancarie.
📌 Conseguenze della contestazione
- Maggiori imposte calcolate sulla plusvalenza rideterminata;
- Sanzioni per infedele dichiarazione fino al 90% della maggiore imposta;
- Interessi di mora sulle somme recuperate;
- Possibili contestazioni penali in caso di plusvalenze occultate in modo fraudolento.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Prezzo effettivamente pattuito e modalità di pagamento;
- Eventuali perizie di stima redatte al momento della cessione;
- Documenti che provano la congruità del prezzo (bilanci, scritture contabili, situazioni patrimoniali);
- Eventuali passività o fattori riduttivi del valore delle quote non considerati dall’Agenzia;
- Motivazione dell’accertamento: si basa su dati concreti o su presunzioni?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Contratto di cessione quote e atto notarile;
- Bilanci e situazioni patrimoniali della società ceduta;
- Perizie giurate di valutazione;
- Estratti conto bancari per tracciare i pagamenti;
- Comunicazioni con l’acquirente e corrispondenza commerciale.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la congruità del prezzo di cessione rispetto al reale valore della società;
- Evidenziare passività, perdite o situazioni particolari che giustificano il prezzo ridotto;
- Contestare la metodologia di calcolo dell’Agenzia se basata su presunzioni o parametri errati;
- Richiedere l’annullamento in autotutela se le prove erano già agli atti;
- Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
- Difesa penale mirata in caso di contestazioni di natura fraudolenta.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i contratti di cessione e la documentazione societaria;
📌 Verifica la legittimità della contestazione e la fondatezza dei rilievi fiscali;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e, se necessario, nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce strategie preventive per future operazioni societarie e di cessione quote.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e diritto societario;
✔️ Specializzato in difesa contro accertamenti su plusvalenze occulte;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle plusvalenze occulte da cessione quote non sono sempre fondate: spesso derivano da valutazioni arbitrarie o presunzioni errate.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la congruità del prezzo di cessione, ridurre o annullare le pretese fiscali e contenere sanzioni e interessi.
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