Agenzia Delle Entrate Accerta Deduzione Indebita Spese Di Sponsorizzazione Sportiva: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcune spese di sponsorizzazione sportiva sono state considerate indeducibili? In questi casi, l’Ufficio presume che i costi sostenuti non siano realmente inerenti all’attività aziendale, o che si tratti di spese gonfiate o simulate, finalizzate ad abbattere il reddito imponibile. La conseguenza è il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: vi sono strumenti difensivi per dimostrare l’effettiva natura pubblicitaria delle spese.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta le spese di sponsorizzazione sportiva
– Se non vi è un contratto scritto che regoli il rapporto tra l’impresa e l’associazione sportiva
– Se le sponsorizzazioni non hanno generato un ritorno in termini di visibilità o promozione commerciale
– Se le spese risultano sproporzionate rispetto al volume d’affari dell’impresa
– Se i pagamenti non sono tracciabili o adeguatamente documentati
– Se l’Ufficio presume che la sponsorizzazione sia stata un mezzo per trasferire denaro a fini diversi

Conseguenze della contestazione
– Indeducibilità delle spese contestate ai fini fiscali
– Recupero delle imposte dirette e dell’IVA detratta indebitamente
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di ulteriori controlli su altre spese di rappresentanza e pubblicità

Come difendersi dalla contestazione
– Produrre contratti, fatture e materiale pubblicitario che dimostrino l’effettività della sponsorizzazione
– Dimostrare il collegamento tra l’attività sportiva sponsorizzata e l’incremento della visibilità aziendale
– Contestare la riqualificazione come spese non inerenti se la sponsorizzazione ha avuto reale finalità promozionale
– Evidenziare errori di calcolo, difetti di motivazione o carenze probatorie dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa fiscale

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione relativa alle sponsorizzazioni contestate
– Verificare la legittimità della contestazione secondo normativa e giurisprudenza
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere l’impresa davanti ai giudici tributari contro richieste fiscali indebite
– Tutelare il patrimonio aziendale da conseguenze economiche sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o l’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della natura pubblicitaria delle spese sostenute
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: le spese di sponsorizzazione sportiva sono spesso oggetto di verifica da parte del Fisco. È fondamentale predisporre contratti e prove dell’effettiva attività promozionale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale – spiega come difendersi in caso di contestazioni su spese di sponsorizzazione sportiva ritenute indebite e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

La deducibilità fiscale delle spese di sponsorizzazione sportiva – in particolare quelle erogate a favore di associazioni o società sportive dilettantistiche – è da anni oggetto di attenzione sia per le imprese che per il Fisco. Molte aziende investono nello sport locale per promuovere il proprio marchio, beneficiando di un trattamento fiscale di favore previsto dalla legge . Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate spesso verifica queste operazioni: può contestare che la deduzione sia “indebita”, sostenendo ad esempio che la spesa non sia realmente di natura pubblicitaria o addirittura che la sponsorizzazione sia fittizia. Da qui nascono accertamenti e contenziosi tributari, talvolta accompagnati da profili di reato tributario (in ipotesi di fatture per operazioni inesistenti).

Questo articolo – aggiornato ad agosto 2025 e arricchito con riferimenti normativi, pronunce giurisprudenziali recentissime e linee guida operative – fornisce una guida avanzata su come difendersi da un accertamento che contesti la deducibilità di spese di sponsorizzazione sportiva. Adottiamo la prospettiva del contribuente-sponsor (debitore d’imposta), con un taglio rivolto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati coinvolti. Il linguaggio sarà rigoroso sul piano giuridico ma con intento divulgativo, facilitando la comprensione di concetti complessi.

Cosa troverete in questa guida? Innanzitutto il quadro normativo di riferimento e i requisiti previsti dalla legge italiana per poter dedurre integralmente le spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche. Esamineremo poi l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione – incluso le pronunce più recenti sino al 2024 – che ha chiarito natura e limiti di deducibilità di tali costi. Verranno illustrate le possibili contestazioni sollevate dall’Agenzia (dalla semplice “non inerenza” fino all’ipotesi di operazione inesistente) e la diversa strategia difensiva da adottare in ciascun caso. Faremo riferimento anche ai profili penal-tributari, dato che una sponsorizzazione ritenuta fittizia può comportare l’accusa di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false.

Non mancheranno consigli pratici: come documentare correttamente le sponsorizzazioni, quali prove raccogliere, come comportarsi in sede di verifica fiscale e nel successivo contenzioso (dalla fase di mediazione fino al ricorso in Cassazione). Tabelle riepilogative aiuteranno a sintetizzare i punti chiave – ad esempio i requisiti di deducibilità e le differenze tra una contestazione fiscale “semplice” e un’accusa di frode. Infine, una sezione Domande & Risposte (FAQ) affronterà i quesiti più frequenti: dai limiti annuali alle conseguenze penali, dalla sorte dell’IVA alle novità normative introdotte di recente.

Il messaggio fondamentale, anticipiamolo sin da ora: le spese di sponsorizzazione sportiva possono essere dedotte integralmente (fino a un certo importo) grazie a una presunzione legale assoluta, ma solo se ricorrono precisi requisiti di legge e se il contribuente è in grado di dimostrare che la sponsorizzazione non è una mera voce contabile, bensì un’attività reale di promozione. Preparazione, diligenza e documentazione accurata sono le armi migliori per difendersi con successo in sede fiscale e, se necessario, penale.

Procediamo quindi con ordine, iniziando dal contesto normativo e dal significato della “presunzione legale assoluta” di deducibilità sancita dall’art. 90, comma 8, della legge 289/2002.

Quadro normativo: la sponsorizzazione sportiva dilettantistica come spesa di pubblicità

Il principale riferimento normativo in materia è l’art. 90, comma 8, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (Legge Finanziaria 2003). Tale disposizione – introdotta per incentivare il sostegno allo sport dilettantistico – stabilisce che i corrispettivi in denaro o in natura erogati a favore di società ed associazioni sportive dilettantistiche (non lucrative) costituiscono, per lo sponsor erogante, spese di pubblicità integralmente deducibili, fino all’importo annuo complessivo di 200.000 euro . In altre parole, entro questo limite, la spesa sostenuta dall’azienda per sponsorizzare un’associazione sportiva dilettantistica è per legge considerata inerente all’attività d’impresa e volta alla promozione del marchio/prodotti dello sponsor, quindi deducibile dal reddito come costo pubblicitario.

Vale la pena riportare quasi testualmente la norma per chiarezza: “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni… nonché di associazioni sportive scolastiche… costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivo non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario” . Questa previsione speciale deroga alle regole ordinarie di deducibilità dei costi d’impresa (art. 109 TUIR), proprio per favorire lo sport dilettantistico: il legislatore ha voluto creare un regime di vantaggio fiscale per chi investe nello sport amatoriale, riconoscendo la funzione sociale di tale settore . In pratica, lo sponsor ottiene una deduzione fiscale totale entro il tetto di 200.000€, e il Fisco in cambio “chiude un occhio” su valutazioni di congruità o efficacia economica di quella spesa, purché siano rispettate le condizioni previste .

Questa agevolazione normativa è stata confermata anche dall’Amministrazione finanziaria poco dopo la sua introduzione: la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 21/E del 22 aprile 2003 ha chiarito che la disposizione in esame configura una presunzione assoluta circa la natura pubblicitaria delle sponsorizzazioni dilettantistiche, rendendo “non sindacabile” la scelta dell’imprenditore di promuovere i propri marchi tramite tali investimenti . La stessa circolare però puntualizza due aspetti fondamentali: (1) il denaro versato deve essere destinato effettivamente alla promozione dell’immagine o prodotti dello sponsor, e (2) occorre riscontrare concretamente una specifica attività promozionale svolta dal beneficiario a fronte di quel pagamento . Come vedremo, queste condizioni operative riprendono fedelmente il testo della legge e saranno poi al centro delle dispute interpretative.

Da L. 289/2002 al Codice dello Sport (D.Lgs. 36/2021): è importante segnalare che l’art. 90, comma 8, L.289/2002 è stato formalmente abrogato dal 2023 nell’ambito della recente riforma dello sport dilettantistico. Precisamente, il D.Lgs. 28 febbraio 2021 n. 36 (uno dei decreti attuativi della riforma dello sport) ha riordinato la disciplina delle associazioni sportive dilettantistiche e, a decorrere dal 1° luglio 2023, ha trasfuso il contenuto agevolativo della vecchia norma nell’art. 12, comma 3, D.Lgs. 36/2021 . Quest’ultima disposizione ricalca sostanzialmente i medesimi termini: le sponsorizzazioni fino a 200.000 euro annui a favore di ASD/SSD (associazioni e società sportive dilettantistiche) continuano ad essere considerate spese di pubblicità integralmente deducibili. Dunque, dal punto di vista pratico nulla è cambiato per gli sponsor, se non il riferimento normativo formale. Ai fini di questa trattazione useremo spesso il termine “art. 90 comma 8” facendo riferimento al principio che rimane valido tutt’oggi, pur tenendo presente la trasposizione nella nuova fonte normativa.

Prima di analizzare in dettaglio i requisiti e le condizioni per beneficiare di questa “presunzione legale assoluta” di deducibilità, vale la pena sottolineare cosa comporta tale presunzione in termini generali. Si parla di presunzione legale assoluta (o iuris et de iure) perché, se sussistono le condizioni previste dalla legge, il costo di sponsorizzazione è automaticamente considerato inerente e deducibile, senza ammettere prova contraria da parte del Fisco. In altri termini, l’Amministrazione finanziaria non può riqualificare quella spesa come spesa di rappresentanza (parzialmente deducibile) né contestarne l’antieconomicità o la sproporzione: per espressa volontà legislativa, fino a 200.000 euro l’anno lo sponsor ha diritto a dedurre la sponsorizzazione come spesa pubblicitaria, “senza che rilevino ulteriori requisiti” o valutazioni di congruità. Ciò risponde alla ratio di incoraggiare il finanziamento privato dello sport dilettantistico: la legge “premia” lo sponsor, rinunciando a scrutinare il suo ritorno commerciale. La Corte di Cassazione ha osservato al riguardo che non è neppure ipotizzabile determinare un importo congruo di una sponsorizzazione, trattandosi di spese spesso sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi senza alcuna garanzia di risultato . Dunque ogni sindacato sull’effettiva efficacia o convenienza economica dell’investimento pubblicitario è escluso per disposizione di legge.

Riassumendo il quadro normativo:

  • Chi: imprese o lavoratori autonomi soggetti a imposte sui redditi che effettuano sponsorizzazioni a favore di associazioni/società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, riconosciute dal sistema sportivo (affiliate a federazioni/CONI).
  • Cosa: versamenti in denaro o forniture di beni/servizi a titolo di corrispettivo per prestazioni pubblicitarie/promozionali rese dall’ente sportivo dilettantistico in favore dello sponsor.
  • Limite: importo complessivo non superiore a 200.000 € annui per ciascun sponsor (sommando tutte le sponsorizzazioni agevolate effettuate dall’impresa in quell’anno fiscale) .
  • Effetto fiscale: tali costi sono qualificati ex lege come spese di pubblicità integralmente deducibili dal reddito d’impresa (o di lavoro autonomo), nell’esercizio di competenza.
  • Condizioni: la norma richiede implicitamente che la sponsorizzazione sia finalizzata alla promozione dell’immagine/prodotti dello sponsor e che vi sia una specifica attività promozionale effettuata dall’ente sponsorizzato a tal fine . Questi aspetti sono stati poi esplicitati dalla prassi e dalla giurisprudenza, come vedremo.

È fondamentale comprendere bene tali condizioni e requisiti, poiché in un eventuale contenzioso saranno il fulcro della disputa. Nel prossimo paragrafo li analizziamo uno ad uno, alla luce della giurisprudenza che ne ha delineato portata e oneri probatori.

Presunzione assoluta di inerenza e deducibilità: requisiti previsti e loro significato

Per poter invocare la “corsia preferenziale” offerta dall’art. 90 co. 8 L.289/2002 (ora art. 12 co.3 D.Lgs 36/2021) – ossia la presunzione legale assoluta che qualifica la spesa come pubblicitaria inerente e deducibile – devono sussistere quattro requisiti fondamentali. Queste condizioni, inizialmente desumibili dalla formulazione stessa della norma e poi chiaramente elencate dalla Corte di Cassazione in numerose sentenze, possono essere così riassunte :

  1. Soggetto sponsorizzato qualificato – Deve trattarsi di una associazione o società sportiva dilettantistica (ASD/SSD) senza scopo di lucro, regolarmente riconosciuta in ambito CONI/federale. Includendo, per espressa previsione normativa, anche le società sportive dilettantistiche costituite in forma di capitali senza fine di lucro e talune associazioni sportive scolastiche giovanili. In breve, il beneficiario deve rientrare tra i soggetti operanti nello sport dilettantistico tutelati dalla legge di favore .
  2. Limite quantitativo della spesa – L’ammontare erogato dallo sponsor non deve superare il tetto di 200.000 euro annui (per periodo d’imposta). Tale limite è “complessivo” per sponsor: significa che se un’impresa sponsorizza più società sportive dilettantistiche, la somma di tutti i corrispettivi agevolati non può eccedere 200.000 € in quell’anno fiscale . Eventuali spese eccedenti rimangono al di fuori della presunzione automatica e saranno valutate secondo le regole ordinarie (come costi di pubblicità “generici” o spese di rappresentanza, con il rischio di contestazioni sull’eccedenza).
  3. Finalità promozionale (inerenza qualitativa) – La sponsorizzazione deve perseguire lo scopo di promuovere l’immagine ed i prodotti (o servizi) dello sponsor. In altre parole, deve esistere un nesso di inerenza qualitativa tra la spesa e l’attività dell’impresa: l’erogazione deve essere fatta nell’interesse dell’azienda, per accrescerne la visibilità e potenzialmente la clientela, tramite la pubblicità resa dall’ente sportivo . Questo distingue nettamente la sponsorizzazione (spesa di pubblicità) da una mera elargizione a fondo perduto o da una spesa di rappresentanza: lo scopo primario dev’essere pubblicitario e commerciale (incremento diretto o indiretto del giro d’affari), non semplicemente di immagine generale o di mecenatismo. Come chiarito dalla Cassazione, nelle spese di rappresentanza l’obiettivo è più che altro accrescere il prestigio o l’immagine istituzionale dell’impresa, mentre nelle spese di pubblicità vi è una finalità promozionale diretta, volta ad aumentare le vendite .
  4. Effettiva attività pubblicitaria svolta (prestazione corrispettiva) – Il beneficiario della sponsorizzazione (ASD/SSD) deve aver concretamente eseguito una specifica attività promozionale a favore dello sponsor, quale controprestazione per il denaro ricevuto . In pratica, non basta il contratto sulla carta: occorre che sul campo da gioco, sulle divise, sui materiali o eventi dell’associazione sportiva sia stato effettivamente pubblicizzato il marchio/ prodotti dello sponsor in modo conforme agli accordi. Ad esempio tramite apposizione di loghi su maglie e cartelloni, menzioni dello sponsor negli annunci, esposizione di striscioni, distribuzione di volantini o altri mezzi idonei a veicolare il nome dello sponsor presso il pubblico . Questo requisito è cruciale: sancisce che la sponsorizzazione deve essere reale e sinallagmatica (prestazione contro prestazione). In assenza di attività promozionale effettiva, verrebbe meno la causa pubblicitaria e il costo sarebbe indebito.

Come si vede, i primi due requisiti sono di carattere soggettivo/quantitativo (chi è lo sponsorizzato e quanto si spende), mentre gli ultimi due attengono al profilo causale e oggettivo (perché si spende e cosa si ottiene in concreto). La Corte di Cassazione ha ribadito costantemente che solo al ricorrere di tutte e quattro queste condizioni opera la tutela massima per il contribuente, ossia la presunzione legale assoluta di inerenza e deducibilità . In caso contrario, la spesa potrebbe essere riqualificata diversamente o disconosciuta.

Di seguito una tabella riepilogativa dei requisiti richiesti e delle conseguenze in caso di loro mancato rispetto:

RequisitoDescrizioneSe manca…
Soggetto sportivo dilettantisticoBeneficiario sponsorizzato è ASD/SSD senza fini di lucro, regolarmente affiliata a federazioni/CONI (inclusi enti scolastici sportivi giovanili).Niente presunzione. La spesa non rientra nell’art. 90 co.8. Verrà valutata in base alle regole ordinarie: potrà essere dedotta come pubblicità solo se inerente secondo l’art. 109 TUIR (il Fisco potrebbe più facilmente contestare la mancanza di inerenza o l’eccesso di costo).
Limite €200.000 annuiL’importo annuo totale versato dallo sponsor a soggetti sportivi dilettantistici non supera 200.000 €.Presunzione parziale. Fino a €200k la spesa gode dell’agevolazione; l’eventuale eccedenza ne resta esclusa. L’eccedenza potrà essere dedotta come spesa di pubblicità “ordinaria” se il contribuente ne prova l’inerenza e congruità, altrimenti potrà essere ripresa a tassazione (il Fisco può contestare che oltre soglia la spesa sia antieconomica o non necessaria).
Finalità promozionale (inerenza qualitativa)La sponsorizzazione è stipulata per promuovere il marchio, l’immagine o i prodotti dello sponsor (e non come liberalità né per pura rappresentanza di prestigio).Niente presunzione. Se lo scopo pubblicitario è assente o meramente pretestuoso (es. contratto molto generico, senza indicazione di obblighi promozionali), il costo potrebbe essere considerato non inerente o declassato a spesa di rappresentanza (deducibile in misura limitata). In casi estremi, potrebbe indurre il Fisco a ritenere la sponsorizzazione simulata (donazione dissimulata) e quindi non deducibile affatto.
Attività promozionale effettivaIl soggetto sponsorizzato svolge concretamente le attività pubblicitarie pattuite: esposizione logo, annunci, eventi con marchio, etc., documentabili.Niente presunzione e rischio di contestazione di inesistenza. Se non vi è traccia dell’attività pubblicitaria promessa, l’operazione può essere ritenuta fittizia: il Fisco negherà la deduzione qualificando il costo come inesistente. In tal caso, oltre al recupero d’imposta vi è il pericolo di sanzioni gravi e segnalazione penale (fatture per operazioni inesistenti). Se invece qualche attività è stata svolta ma giudicata insufficiente, la spesa potrebbe essere riqualificata come non interamente inerente (o come rappresentanza), con deduzione parziale o nulla della parte eccedente il beneficio percepito.

Come evidenziato nell’ultima colonna, il rispetto dei requisiti non è solo questione formale: incide direttamente sull’esito di un’eventuale verifica fiscale e sulle possibili conseguenze. Finché tutte le condizioni sono soddisfatte, l’Ufficio non potrà contestare la deduzione (salvo provare che la realtà dei fatti sia diversa da come appare). Viceversa, la mancanza di uno dei presupposti apre margini di intervento al Fisco, che potrà innescare un accertamento per riprendere a tassazione il costo di sponsorizzazione, con motivazioni diverse a seconda del caso (spesa non inerente, spesa antieconomica/rappresentanza, operazione inesistente, ecc.).

Nei prossimi paragrafi vedremo proprio quali sono le contestazioni tipiche sollevate dall’Agenzia delle Entrate in tema di sponsorizzazioni sportive e come esse si differenziano (anche in termini di gravità). In parallelo, analizzeremo le linee difensive più efficaci che il contribuente può adottare, avendo ben chiari i requisiti di legge sopra elencati.

Le contestazioni dell’Agenzia: “spesa non inerente” vs “sponsorizzazione inesistente”

Quando l’Agenzia delle Entrate (o la Guardia di Finanza, in sede di verifica) mette nel mirino una sponsorizzazione sportiva dedotta dal contribuente, può muovere rilievi di diversa natura. In termini generali, due sono gli scenari principali:

  • Contestazione di tipo civilistico/fiscale – Si ritiene che la spesa non sia deducibile in base alle norme tributarie ordinarie, ad esempio perché considerata non inerente all’attività d’impresa, o riqualificata come spesa di rappresentanza eccedente i limiti, o ancora giudicata antieconomica (sproporzionata rispetto ai potenziali benefici). In questo caso la sanzione è amministrativa (ossia recupero delle imposte e applicazione di sanzioni tributarie per infedele dichiarazione), senza immediati risvolti penali salvo particolari condizioni.
  • Contestazione di tipo penal-tributario – Si ipotizza che la sponsorizzazione sia fittizia o inesistente: in sostanza il Fisco sostiene che non vi sia stata alcuna reale prestazione pubblicitaria e che la fattura emessa dall’ASD sia falsa (operazione inesistente, finalizzata solo a creare un costo fittizio). In tal caso, oltre al recupero a tassazione del costo, scatta la segnalazione all’autorità giudiziaria per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 74/2000) a carico dello sponsor, ed eventualmente per emissione di fatture false (art. 8 D.Lgs. 74/2000) a carico dei responsabili dell’associazione sportiva. Si tratta quindi di un livello molto più grave di contestazione.

La differenza tra le due situazioni è cruciale, e spesso il confine dipende dalle prove e dagli indizi che emergono: la stessa vicenda può essere letta dal Fisco come semplice costo non inerente (se, ad esempio, riconosce che qualche manifestazione pubblicitaria c’è stata, ma la giudica economicamente inutile) oppure come operazione inesistente (se ritiene che quella pubblicità non sia mai avvenuta nella realtà, e magari vi sono sospetti di accordi simulatori, ritorno di denaro, ecc.). In alcuni casi borderline la linea di demarcazione non è netta. Ma la qualifica scelta dall’Ufficio determina percorsi diversi in termini probatori e sanzionatori.

Vediamo più nel dettaglio ciascuna ipotesi:

  • Spesa ritenuta “non inerente” o antieconomica: qui l’Agenzia non contesta la genuinità dell’operazione in sé (ammettendo che lo sponsor abbia effettivamente pagato e che l’ASD qualcosa abbia fatto), bensì ne nega la deducibilità perché, a suo dire, manca il nesso con l’attività produttiva di reddito o la spesa è fatta oltre il limite di ciò che è economicamente ragionevole. Ad esempio, l’Ufficio potrebbe argomentare che la sponsorizzazione ha portata pubblicitaria troppo locale o irrilevante per l’impresa, oppure che l’importo pagato è eccessivo rispetto al possibile ritorno commerciale (sprofilo di antieconomicità). In passato, prima che si consolidasse la giurisprudenza sull’art. 90 co.8, molti accertamenti erano fondati su questo: si disconoscevano costi di sponsorizzazione ritenendo che l’investimento fosse sproporzionato e quindi non inerente. Un caso tipico: una piccola società di provincia sponsorizzata con decine di migliaia di euro da un’azienda con attività su scala nazionale – il Fisco insinuava che una pubblicità locale non potesse giovare all’azienda su scala più ampia, quindi la spesa era inutile e volta solo a ridurre le imposte. Esempio reale: nella vicenda poi sfociata nell’ordinanza Cass. n. 18726/2024, la Commissione Tributaria Regionale aveva sostenuto che una ditta commerciale non traeva utilità da una sponsorizzazione in piccoli eventi sportivi locali, e giudicò la spesa di €56.000 “del tutto antieconomica” e non necessaria (nonostante vi fossero un contratto e delle immagini del logo esposto) . Questo approccio però contrasta con la presunzione legale assoluta prevista dalla legge. Infatti, come già spiegato, se ricorrono i requisiti dell’art. 90 co.8, il Fisco non può sindacare l’inerenza né la congruità del costo . La Cassazione ha censurato decisioni come quella sopra citata, ribadendo che il chiaro tenore della norma esclude valutazioni di antieconomicità entro il limite prefissato . Dunque oggi è più difficile che l’Ufficio contesti una mera non inerenza quando tutti i requisiti dell’agevolazione sono soddisfatti. Tuttavia, se qualche requisito manca (per es. l’ASD non è riconosciuta, oppure la spesa supera i 200.000 €, o non vi è evidenza di una specifica attività pubblicitaria svolta), l’Amministrazione può tornare a valutare liberamente l’inerenza secondo i criteri generali e quindi disconoscere in tutto o in parte il costo. In tal caso si applicheranno le sanzioni per dichiarazione infedele (di norma il 90% dell’imposta non pagata sul maggior reddito accertato) e gli interessi, ma non scatterà l’accusa di frode fiscale a meno che l’imposta evasa non superi certe soglie penali (oltre 100.000 € di imposta evasa e 10% del reddito non dichiarato, condizione per configurare il reato di cui all’art.4 D.Lgs.74/2000 – soglia che raramente viene superata da una singola sponsorizzazione media).
  • Sponsorizzazione ritenuta “inesistente” (fittizia): qui il Fisco mette in dubbio la realtà dell’operazione. In sostanza sostiene che la sponsorizzazione è stata una facciata, un accordo simulato per generare costi falsi. Tipicamente, le circostanze che portano a ciò sono: mancanza totale di riscontri dell’attività pubblicitaria, contratti generici o copiati, fatture emesse magari a fine anno per importi tondi, spesso pari al limite massimo; talvolta coincidenze sospette (lo sponsor e l’associazione sono riconducibili alle stesse persone o a parenti, oppure subito dopo l’incasso l’ASD restituisce informalmente gran parte della somma allo sponsor o ai suoi soci). In questi casi gli 007 del Fisco/Finanza cercano prove indirette: ad esempio controllano i conti correnti dell’ASD per vedere se i soldi versati sono stati prelevati in contanti dal presidente o girati altrove, verificano se sul campo da gioco e sulle maglie compare davvero il logo promesso, ascoltano persone per sapere se l’evento sportivo ha avuto la sponsorizzazione visibile, ecc. Se emergono elementi gravi, l’accertamento negherà la deduzione qualificando il costo come inesistente e, contestualmente, partirà la segnalazione penale. Esempio reale: un caso emblematico è quello deciso da Cassazione penale n. 31253/2017. Un imprenditore, amministratore di una società commerciale, era anche presidente dell’ASD sponsorizzata dalla sua società. Il Fisco contestò che le tre sponsorizzazioni fossero fittizie, accusandolo di aver sfruttato l’ASD (da lui controllata) per creare costi falsi e pagare meno tasse . Le “prove” includevano: clausole contrattuali vaghe a fronte di importi elevati, assenza in concreto dei loghi dello sponsor dove invece avrebbero dovuto essere (sui pulmini e sulla carta intestata dell’ASD), identità soggettiva tra sponsor e sponsorizzato, e soprattutto il fatto che dalle indagini bancarie risultò che l’ASD, dopo l’incasso degli assegni, prelevò quasi interamente quelle somme in contanti, prelievi effettuati proprio dall’imputato senza saperne giustificare l’uso . In pratica il denaro era “rientrato nella disponibilità della stessa persona fisica che lo aveva erogato” , evidenza tipica di una sponsorizzazione simulata (il classico giro di fatture con retrocessione). Inevitabile in tal caso la condanna per dichiarazione fraudolenta mediante fatture false. – È chiaro che situazioni così eclatanti (stessa regia dietro sponsor e sponsorizzato, e ritorno occulto di denaro) costituiscono i casi limite, ma non sono infrequenti e anzi hanno alimentato un certo stigma sulle sponsorizzazioni sportive, al punto che l’amministrazione finanziaria tende ad essere molto vigile.

Differenze procedurali e onere della prova: quando il Fisco assume che un’operazione è inesistente, anche solo in parte, il contenzioso assume connotati particolari. Intanto, l’onere probatorio segue regole dettate dall’art. 2697 c.c. e declinate dalla giurisprudenza tributaria: l’Ufficio deve fornire una prima dimostrazione, anche indiziaria, degli elementi che fanno presumere l’inesistenza dell’operazione; una volta assolto tale onere minimo, spetta poi al contribuente provare l’effettiva esistenza della prestazione contestata . In pratica, basta che il Fisco porti indizi seri (ad es. documentazione inconsistente, testimonianze di mancata esposizione del marchio, flussi finanziari anomali) perché si inverta la prova a carico del contribuente. E attenzione: non basterà, per il contribuente, esibire le fatture, i contratti o le ricevute di pagamento – questi sono elementi formali facilmente predisposti anche in operazioni fittizie, come riconosciuto dalla Cassazione . Occorre invece fornire prove sostanziali che la sponsorizzazione ha avuto luogo (fotografie di eventi con lo striscione, filmati, rassegna stampa locale che cita lo sponsor, presenza del marchio sul sito/manifesti, ecc.). Nel processo tributario fino a poco tempo fa vigevano forti limitazioni alla prova testimoniale, ma di recente – con la riforma operata dalla L. 130/2022 – è stata ammessa una possibilità più ampia di escutere testimoni in giudizio (art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. 546/92, introdotto nel 2022). In una pronuncia, la Cassazione ha sottolineato l’importanza di una compiuta istruttoria dibattimentale proprio in tema di sponsorizzazioni sospette, alla luce di tali novità normative . Quindi oggi, in sede di processo tributario, è teoricamente possibile chiedere che vengano sentiti (ad esempio) i rappresentanti dell’ASD o terzi che attestino di aver visto il logo, ecc., cosa che prima era preclusa. Questo può aumentare le chance di difesa contro accuse di inesistenza, fermo restando che la preparazione probatoria dovrebbe essere fatta già prima e durante la verifica.

Riassumiamo le differenze tra le due tipologie di contestazione in una tabella, perché esse richiedono approcci difensivi diversi:

Tipo di contestazioneCosa sostiene il FiscoConseguenze fiscaliProfili penali
Costo non inerente / Antieconomico (spesa di rappresentanza o comunque non deducibile)La sponsorizzazione è reale ma non rispetta i requisiti per essere dedotta: o perché l’ente non è un’ASD riconosciuta, o perché la spesa è considerata esagerata e non correlata ai ricavi, quindi non inerente, oppure perché viene qualificata come spesa di rappresentanza (volta solo a generica immagine, non a vendite). In sostanza il Fisco ammette l’operazione ma nega che sia un costo deducibile d’impresa.Recupero a tassazione dell’importo dedotto (maggiore IRES/IRPEF, IRAP se dovuta) + sanzione amministrativa per dichiarazione infedele (dal 90% al 180% dell’imposta evasa, normalmente il 90% in assenza di aggravanti) + interessi. NB: entro certi limiti (imposta evasa < €100.000) è un illecito solo amministrativo.In genere nessuno sul piano penale, salvo il caso in cui l’importo indebitamente dedotto sia talmente rilevante da configurare il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. 74/2000 (imposta evasa > 100k e > 10% del dichiarato): ipotesi rara per singole sponsorizzazioni di entità normale. Nessuna accusa di frode poiché l’operazione è considerata esistente (solo inutilmente costosa).
Operazione inesistente (fatture soggettivamente o oggettivamente false)La sponsorizzazione è fittizia: il contratto/fattura copre un’operazione mai avvenuta (o avvenuta solo in parte minore). Lo sponsor ha creato un costo falso per abbattere l’utile. Tipicamente l’ASD funge da cartiera restituendo i soldi “in nero”.Oltre al recupero integrale a tassazione del costo (maggiori imposte dovute come sopra), scatta la segnalazione penale. In sede fiscale, le sanzioni amministrative sono aggravate: l’utilizzo di fatture false integra la dichiarazione fraudolenta, punita con sanzione dal 135% al 270% dell’imposta (art. 1, co.2 D.Lgs. 471/97) in aggiunta a quelle ordinariamente previste, e generalmente l’ufficio applica la misura massima. Possibile anche il sequestro preventivo “per equivalente” di beni fino all’ammontare dell’imposta evasa.Sì. Configurazione di reato tributario: per lo sponsor, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 74/2000); per i responsabili dell’ente sportivo, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. 74/2000). Sono delitti puniti severamente (reclusione indicativamente fino a 6-8 anni per importi rilevanti, anche senza soglie di punibilità minima). Il procedimento penale segue il suo corso (indagine GdF, rinvio a giudizio ecc.) indipendentemente dall’eventuale ricorso tributario, e la definizione del debito fiscale non estingue di per sé il reato (nel caso di reati fraudolenti la legge non prevede cause estintive legate al pagamento).

Come si nota, una contestazione di non inerenza – per quanto spiacevole e costosa sul piano fiscale – rimane confinata nell’alveo amministrativo, mentre l’accusa di sponsorizzazione fittizia è assai più pericolosa, implicando conseguenze penali per il contribuente e per chi ha emesso le fatture. Pertanto, la strategia difensiva dev’essere calibrata anzitutto per scongiurare che la vicenda scivoli sul piano della frode: se si riesce a dimostrare la realtà della prestazione pubblicitaria, il caso resta nell’ambito tributario (dove peraltro vi è l’ombrello dell’art. 90 co.8 se applicabile). Viceversa, se gli indizi di inesistenza non vengono smontati, la posizione diventa difficilmente difendibile.

Nei prossimi capitoli, ci focalizzeremo sulla difesa del contribuente nelle due ipotesi: come impostare la difesa in caso di semplice contestazione fiscale di indebito utilizzo della sponsorizzazione (requisiti art.90 non rispettati, secondo l’Ufficio) e come difendersi (anche in sede penale) se invece l’accusa è di operazione inesistente. Prima ancora, però, di trovarsi nell’arena del contenzioso, molto può essere fatto a monte dal contribuente: una buona prevenzione e preparazione documentale possono evitare l’accertamento o mettere comunque il contribuente in una posizione di forza. Vediamo dunque qualche consiglio pratico.

Prepararsi e prevenire: best practice nella gestione delle sponsorizzazioni sportive

Il miglior modo di vincere una guerra è evitare che scoppi: questo vale anche per le “guerre” fiscali. Un’azienda che intende beneficiare della deducibilità di una sponsorizzazione sportiva dovrebbe sin dall’inizio operare con diligenza e trasparenza, in modo da ridurre al minimo i margini di contestazione. Ecco alcune best practice essenziali:

  • Verificare la natura dell’ente sportivo: accertatevi che il destinatario sia effettivamente una ASD o SSD in regola. Ciò significa: statuto con scopi dilettantistici e clausole richieste dalla legge, iscrizione al Registro CONI (fino al 2022) o al nuovo Registro Nazionale delle Attività Sportive Dilettantistiche presso il Dipartimento Sport (dal 2023). È opportuno chiedere copia dell’affiliazione federale o un certificato di iscrizione al CONI. Esistono elenchi online per controllare rapidamente lo status delle società sportive . Se l’ente non risulta nelle liste ufficiali, meglio chiarire prima di procedere (o rinunciare all’agevolazione, sapendo che la spesa verrà valutata come pubblicità ordinaria).
  • Stipulare un contratto scritto dettagliato: il contratto di sponsorizzazione è fondamentale e non va ridotto a una formalità generica. Deve identificare chiaramente le parti, l’importo, la durata e soprattutto le prestazioni pubblicitarie specifiche che l’ASD si impegna a fornire (es. apposizione di banner con logo sul campo durante tutte le partite del campionato X, logo sulle divise ufficiali stagione 2024, citazione dello sponsor negli annunci speaker, ecc.). Più è concreto e dettagliato, meglio è. Contratti vaghi (“diamo 50k € all’associazione che si impegna a promuovere l’immagine dello sponsor”) sono pericolosi: in caso di verifica, l’indeterminatezza delle clausole è un campanello d’allarme di operazione fittizia . Viceversa, un contratto preciso è indice di serietà e rende più agevole verificare se è stato adempiuto.
  • Conservare tutta la documentazione probatoria dell’avvenuta pubblicità: questo aspetto è cruciale. Il contribuente dovrebbe raccogliere e custodire un dossier con evidenze dell’attività promozionale svolta dallo sponsee. Quali prove? Ad esempio: fotografie degli striscioni/banner con il logo aziendale posizionati durante gli eventi sportivi (possibilmente con data e luogo identificabili), copia di brochure, volantini, manifesti dell’evento recanti il marchio dello sponsor, ritagli di giornale o screenshot di articoli/web dove si menziona la sponsorizzazione, filmati o estratti video in cui si vede la pubblicità. Molto utile anche ottenere dalla società sportiva un report a consuntivo a fine stagione/evento, che elenchi le attività pubblicitarie svolte per lo sponsor, corredato magari da materiale fotografico. Inoltre, conservate sempre copia delle fatture emesse dall’ASD e le relative quietanze di pagamento (bonifici, assegni incassati): su queste non ci sono dubbi, ma rappresentano solo la base, non la prova sufficiente dell’effettività. In breve: qualsiasi cosa che “mostri” concretamente come e dove il vostro marchio è stato promosso va archiviata. È consigliabile predisporre un file dedicato per ogni sponsorizzazione, aggiornato man mano con questi elementi .
  • Richiedere e conservare il certificato di iscrizione CONI e altri dati dell’ASD: come detto, avere prova dello status dilettantistico è fondamentale. Tenete copia dello statuto dell’associazione, del certificato CONI per l’anno in questione, dell’affiliazione alla federazione o ente di promozione sportiva. Questi documenti potranno essere esibiti per dimostrare il requisito soggettivo qualificante .
  • Valutare la congruità ex ante: sebbene la legge non consenta al Fisco di sindacare la convenienza economica entro 200k, è prudente che l’imprenditore stesso valuti ex ante la ragionevolezza dell’investimento pubblicitario in rapporto alla propria attività. Se si spendono cifre molto alte per sponsorizzare realtà sportive piccolissime o geograficamente lontane dal proprio mercato, si attira inevitabilmente l’attenzione dell’Ufficio. Ciò non significa che sia illegale (una scelta anti-economica non è vietata in sé), ma sarà più probabile una verifica. Quindi, se volete investire massicciamente in sponsorizzazioni, assicuratevi almeno che quell’investimento abbia una logica di marketing spiegabile (ad esempio l’azienda vuole radicarsi su quel territorio, o punta a visibilità online se l’evento è trasmesso via web, etc.). Questo vi tornerà utile per giustificare l’inerenza qualitativa.
  • Evitare conflitti di interesse e commistioni finanziarie: se possibile, è meglio che non vi siano sovrapposizioni tra sponsor e sponsorizzato (es. stessa proprietà o familiari in comune). Quando l’amministratore dell’azienda sponsor riveste anche ruoli nell’ASD, l’operazione viene guardata con sospetto (come visto nel caso Cass. 31253/2017) . In talune situazioni ciò accade – ad esempio imprenditori appassionati di sport che diventano presidenti di club che sponsorizzano – ma in questi casi bisogna essere doppiamente trasparenti: magari far deliberare la sponsorizzazione a condizioni di mercato, tenere separate in modo cristallino le finanze, evitare assolutamente prelevamenti di contante dai conti dell’ASD che possano sembrare rientri di denaro. Se il legame personale è forte, valutate l’opportunità di far certificare la regolarità dell’operazione da un revisore o di acquisire elementi terzi (es. preventivi comparativi di altre sponsorizzazioni simili) che dimostrino che non state gonfiando i costi artificiosamente.
  • Seguire le regole contabili e fiscali dell’ASD: verificate che l’ASD emetta regolare fattura (con IVA se dovuta – le ASD in regime L.398/91 la espongono al 50% forfettario) e che i pagamenti avvengano con mezzi tracciabili come richiesto per importi oltre €1000. Dal 2015, le erogazioni verso ASD sopra €1000 devono essere fatte con bonifico o assegno non trasferibile, altrimenti si perde l’agevolazione (art. 25 comma 5 L.133/1999, come modificato). Quindi assicuratevi di rispettare anche questi aspetti formali.

In sintesi, la prevenzione consiste nel progettare la sponsorizzazione in modo tale che, a posteriori, ogni pezzo del puzzle sia al suo posto: il beneficiario è legittimato, il contratto è chiaro, la pubblicità è stata effettivamente realizzata e se ne può dare evidenza, i flussi finanziari sono lineari e documentati. Così facendo, avrete costruito una posizione solida. E se pure dovesse arrivare un controllo fiscale, potrete affrontarlo con maggiore serenità.

Difesa in sede di verifica e accertamento: il contraddittorio con l’Ufficio

Immaginiamo ora che, nonostante tutte le precauzioni, arrivi comunque dall’Agenzia delle Entrate (o GdF) una contestazione: ad esempio un processo verbale di constatazione al termine di una verifica, oppure direttamente un avviso di accertamento che recupera a tassazione le sponsorizzazioni dedotte, qualificandole come indebite. Come comportarsi?

Innanzitutto, se c’è stata una verifica sul posto (presso l’azienda) conclusasi con un verbale, è fondamentale partecipare attivamente al contraddittorio. Il contribuente ha diritto di presentare osservazioni e richieste entro 60 giorni dal verbale di constatazione (ex art. 12 c.7 L.212/2000, Statuto del Contribuente). Conviene sfruttare questa finestra per far pervenire all’Ufficio tutte le controdeduzioni e la documentazione favorevole: ad esempio, allegare le foto, i materiali pubblicitari, i dati dell’ASD, spiegare le ragioni commerciali della sponsorizzazione. L’obiettivo è cercare di convincere l’Ufficio a non emettere l’accertamento o quantomeno a ridimensionare la pretesa. Anche se l’esperienza insegna che raramente l’Agenzia recede in questa fase, costruire un dossier difensivo dettagliato servirà comunque come base per il successivo ricorso.

Se invece arriva direttamente l’avviso di accertamento, vuol dire che l’Ufficio ha già formulato la sua pretesa. In tal caso, occorre valutare le opzioni:

  • Accertamento con adesione: si tratta di una procedura di carattere conciliativo (D.Lgs. 218/1997) che consente al contribuente di chiedere un incontro con l’Ufficio per trovare un accordo sul contenuto dell’accertamento, prima di fare ricorso. Presentare istanza di adesione sospende i termini per il ricorso e apre una trattativa. Questa strada può essere utile solo in certi frangenti: ad esempio, se il contribuente riconosce che qualche errore formale c’è stato e vuole ottenere magari un abbattimento delle sanzioni in cambio della rinuncia parziale alla deduzione. Oppure se l’Ufficio è disponibile a riclassificare il costo come spesa di rappresentanza (deducibile al 100% dell’IVA e al 1/3 del valore ai fini reddito) invece che fittizio. In generale, però, va detto che nelle sponsorizzazioni l’Agenzia spesso adotta posizioni rigide (specie se pensa a una frode). L’adesione ha senso se intravedete margini di accordo (ad esempio dimostrando parte della pubblicità effettuata, il Fisco potrebbe accettare una deduzione parziale). Il vantaggio è che in caso di accordo le sanzioni si riducono a 1/3.
  • Ricorso al giudice tributario: se non c’è accordo o non si vuole transigere, bisogna preparare il ricorso alla Commissione Tributaria (ora rinominata Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado). È fondamentale rispettare i termini (generalmente 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, salvo sospensioni). Nel ricorso andranno sollevati tutti i motivi di contestazione: ad esempio violazione dell’art.90 comma 8 L.289/2002 se i requisiti erano presenti e l’Ufficio ha comunque sindacato l’inerenza; errori di fatto (es. l’ASD era affiliata ma il Fisco lo ignora); vizi procedurali (mancato contraddittorio, motivazione insufficiente, ecc.); e ovviamente presentate tutte le prove a supporto. Suggerimento: inserite nel ricorso i riferimenti giurisprudenziali utili – oggi potete contare su molte sentenze di Cassazione favorevoli ai contribuenti in materia di sponsorizzazioni sportive dilettantistiche . Citare, ad esempio, Cass. 14232/2017, Cass. 7202/2017, Cass. 8981/2017, Cass. 21452/2021, Cass. 4612/2023, Cass. 6079/2024 e altre, con i principi di diritto, rafforza la posizione (metteteli in nota nel ricorso, saranno utili poi al giudice). In particolare, rimarcate se applicabile che la spesa rientra nella presunzione legale assoluta, essendo rispettati tutti i requisiti (sottolineandoli uno per uno). Ad esempio: “lo sponsor ha operato entro il limite di €200.000, l’associazione era regolarmente iscritta al CONI, la finalità promozionale è intrinseca nel contratto e provata dalla natura delle prestazioni, l’attività pubblicitaria è stata effettivamente svolta come da documentazione allegata – pertanto, per espressa previsione normativa e costante giurisprudenza, le valutazioni circa l’inerenza e la congruità di quei costi restano del tutto irrilevanti” . Questo per contrastare eventuali argomentazioni di antieconomicità addotte dall’Ufficio.
  • Produzione delle prove: in sede di ricorso, allegate tutti i documenti raccolti (contratto, fatture, pagamenti, foto, brochures, articoli di giornale, visura CONI, ecc.). Se alcune prove sono sopravvenute (es. attestazioni che siete andati a recuperare dopo l’accertamento), potete produrle comunque in giudizio. Con la riforma, il giudice tributario ha facoltà di ammettere anche prova testimoniale ove strettamente necessaria e se la controversia lo consente. Potete quindi chiedere, ad esempio, di escutere il presidente dell’ASD per confermare l’avvenuta prestazione pubblicitaria. Non è garantito che il giudice lo consenta (la norma è nuova e prevede criteri di ammissibilità), ma vale la pena indicare la disponibilità di testimoni (persone che hanno visto lo striscione, ecc.) così il giudice potrà valutare. Questo invierà anche un segnale all’Ufficio: siete pronti a portare elementi concreti.
  • Separazione dalle vicende penali: se nel frattempo è partita una notizia di reato (cosa che potete sapere se vi arriva informazione di garanzia, o se la GdF durante la verifica ve lo fa intendere), attenzione a coordinare la difesa con l’avvocato penalista. In linea di massima, nel processo tributario voi vorrete dimostrare che la prestazione c’è stata davvero – ciò è in realtà la miglior difesa anche in sede penale, perché se riuscite a far attestare in una sentenza tributaria che l’operazione non era fittizia, questo potrà aiutarvi enormemente nel penale (il giudice penale è indipendente ma terrà conto di un giudizio di fatto già acquisito). Viceversa, se emergono fatti che vi potrebbero danneggiare penalmente (ad es. ammissioni che sapevate che l’ASD non avrebbe fatto nulla ma avete comunque dedotto…), ecco, evitate tali scivoloni. Mantenete sempre la linea che la volontà era di fare una sponsorizzazione genuina e che per voi la prestazione è stata eseguita.
  • Attenzione alla definizione agevolata o ravvedimento: talvolta, specie se la contestazione è fondata (ad esempio scoprite prove di retroscena che non conoscevate), può convenire chiudere la partita con il Fisco per attenuare il penale. Pagare integralmente il debito tributario prima del dibattimento penale può avere effetti positivi: non estingue i reati fraudolenti, ma in generale può portare a pene minori o soluzioni patteggiate. In questi anni sono state varate varie “definizioni agevolate” (pace fiscale, rottamazioni) anche per le liti pendenti: valutate con consulenti se aderire, specie se le prove a vostro discarico scarseggiano. In ogni caso, questa è estrema ratio se la difesa di merito appare compromessa.
  • Secondo grado e Cassazione: se in primo grado il ricorso non venisse accolto, non scoraggiatevi: l’orientamento attuale della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado (ex Commissione Regionale) e soprattutto della Cassazione è tendenzialmente favorevole agli sponsor, purché abbiano rispettato i canoni di legge. Molte sentenze di secondo grado negli ultimi anni, adeguandosi ai principi della Cassazione, hanno ribaltato decisioni sfavorevoli di primo grado riconoscendo la deducibilità piena delle sponsorizzazioni . Quindi, se siete convinti della bontà delle vostre ragioni e avete buone prove, proseguite in appello e, se necessario, fino alla Suprema Corte. Caso di esempio: una recente pronuncia della CGT di secondo grado delle Marche (sent. n. 178/2/2025) ha riformato la decisione di primo grado che aveva negato la deduzione, applicando invece correttamente la norma di legge e riconoscendo la piena deducibilità entro 200k . In quel caso lo sponsor aveva fornito in appello prove solide (foto, fatture, video delle gare motociclistiche sponsorizzate) e i giudici gli hanno dato ragione, rimarcando la presunzione assoluta della legge speciale. Dunque, la “giustizia tributaria” di merito è oggi più allineata con la Cassazione su questo tema.

In definitiva, la chiave della difesa in sede contenziosa sta nel dimostrare la realtà e l’inerenza qualitativa della sponsorizzazione. Se ci riuscite, la legge e la giurisprudenza vi proteggono pienamente. Come affermato dalla Cassazione, laddove risultino rispettati i requisiti (ASD regolare, spesa ≤200k, finalità promozionale e attività svolta), opera una presunzione legale di inerenza/deducibilità che rende irrilevanti le valutazioni sull’utilità economica e sulla congruità del costo . Inoltre, con ciò cadrà qualsiasi ipotesi di fattura falsa, poiché l’operazione sarà provata come realmente avvenuta (un reato di frode non regge se c’è stata effettiva controprestazione).

Profili penal-tributari: difendersi dall’accusa di frode fiscale

Un approfondimento specifico merita la difesa sotto il profilo penale, qualora – come visto – il Fisco imbocchi la strada della contestazione di operazioni inesistenti e quindi configuri i reati previsti dal D.Lgs. 74/2000. Dal punto di vista del contribuente sponsor, il reato ipotizzato è generalmente quello di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2). Questo reato si realizza quando un soggetto, al fine di evadere le imposte sui redditi o IVA, indica in dichiarazione elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture o altri documenti falsi (cioè relativi a operazioni mai avvenute in tutto o in parte) . È un delitto di pericolo presunto, che si perfeziona con la presentazione della dichiarazione fraudolenta (non importa se poi l’imposta viene effettivamente evasa o meno) . La mera esibizione di una fattura falsa in dichiarazione è sufficiente a consumare il reato, a prescindere dall’importo (non ci sono soglie di punibilità in questo caso). La pena detentiva prevista, dopo le modifiche del 2015, va da un minimo di 4 anni a un massimo di 8 anni di reclusione nelle ipotesi più gravi, con possibilità di diminuire se l’evaso è inferiore a 100.000 € (ma non sotto i 3 anni, salvo attenuanti). Insomma, parliamo di sanzioni penali significative. In concorso con il contribuente, può essere perseguito il rappresentante dell’ASD che abbia emesso la fattura falsa (art. 8 D.Lgs.74/2000, emissione di fatture false, punito con le stesse pene di art.2).

Come difendersi in sede penale? Naturalmente, qui entra in gioco l’avvocato penalista. Ma i punti cardine della difesa ricalcano quanto già detto: la strategia migliore è dimostrare che la sponsorizzazione non era fittizia. Se riuscite a provare che la prestazione pubblicitaria c’è stata, viene meno l’elemento oggettivo del reato (l’inesistenza dell’operazione). Ad esempio, si potranno portare in tribunale i testimoni (dirigenti sportivi, spettatori) a confermare che lo sponsor era ben visibile nelle manifestazioni, esibire foto e video, ecc. A differenza del giudizio tributario, nel penale la prova testimoniale è pienamente ammessa e può essere determinante.

Spesso le indagini penali in questi casi sono parallele alla verifica fiscale, quindi la Guardia di Finanza avrà già raccolto elementi a carico (es. intercettazioni, dichiarazioni di terzi, analisi conti correnti). La difesa dovrà smontare tali elementi introducendo il dubbio che l’operazione fosse genuina. Fondamentale è il tema del dolo: occorre dimostrare che il contribuente non aveva la volontà di frodare, perché convinto della reale esistenza delle prestazioni. Se ad esempio l’imprenditore-sponsor era in buona fede, pensando di fare una normale sponsorizzazione, e magari è stato l’ente sportivo a non adempiere pienamente, si apre uno spiraglio: l’art. 2 richiede la consapevolezza dell’uso di fatture false. Se manca la consapevolezza (perché lo sponsor non sapeva che l’operazione fosse simulata), non c’è reato a suo carico. Ovviamente sostenere “non sapevo” risulta credibile se lo sponsor non ha legami con l’ASD e se qualche attività promozionale c’è stata ma in misura inferiore al pattuito. Se invece lo sponsor e l’ASD erano di fatto la stessa regia, sarà difficile far passare una mancanza di dolo.

In alcuni casi, i giudici penali hanno assolto imputati proprio per difetto di prova sul dolo. Ad esempio – ipotizziamo – un imprenditore che ha pagato una sponsorizzazione confidando davvero nella pubblicità, e si ritrova accusato perché l’ASD era inadempiente: se riesce a convincere che lui non aveva alcun accordo fraudolento e che anzi è stato vittima di un eventuale inadempimento dell’ASD, potrebbe evitare la condanna. Tuttavia, nella pratica giudiziaria, simili distinzioni sono sottili: spesso si guarda agli indici oggettivi. Se questi parlano di anomalia macroscopica (importo spropositato, ritorni di denaro, ecc.), i giudici tendono a ritenere che lo sponsor fosse perlomeno corresponsabile.

Un consiglio importante: pagare il debito tributario. Pur non estinguendo il reato (nel caso di art.2), l’integrale pagamento delle imposte evase e relative sanzioni può costituire un attenuante importante e portare eventualmente a patteggiamenti con pene contenute o sospensione condizionale. Inoltre, estingue l’eventuale reato minore di dichiarazione infedele (art.4) se mai contestato in via alternativa. Dunque, se vi trovate in un procedimento penale ed effettivamente dovete arrendervi all’evidenza di una sponsorizzazione contestabile, valutate di chiudere il fronte fiscale (magari aderendo in adesione o definendo l’accertamento) e versando il dovuto. Questo toglierà argomenti all’accusa (niente vantaggio fiscale in essere) e può indirizzare il giudice verso la clemenza.

Infine, coinvolgete l’avvocato penalista sin dall’inizio del contenzioso tributario: come detto, una sentenza della Commissione Tributaria che vi desse ragione sull’esistenza della prestazione potrebbe essere usata a vostro favore nel penale (anche se non vincolante). Viceversa, attenzione a quello che dite in sede tributaria: tutto ciò che emerge può essere acquisito nel procedimento penale. Quindi non assumete posizioni contraddittorie. La linea deve essere unica: la sponsorizzazione era vera, ecco le prove. Non sostenete mai, nemmeno per ipotesi, che “sì in effetti non c’è stato ritorno ma speravo…”, frasi del genere potrebbero essere strumentalizzate come ammissioni di inconsistenza.

In conclusione su questo aspetto, la difesa penale e quella tributaria devono marciare allineate. La miglior difesa è preventiva: non cadere in tentazione di operazioni fittizie. Ma se siete vostro malgrado in tale frangente, concentratevi sul dimostrare quanta più verità possibile nella sponsorizzazione.

Domande frequenti (FAQ)

Per chiarire ulteriormente alcuni punti, presentiamo di seguito una serie di domande e risposte frequenti sul tema, utili sia agli operatori del diritto sia agli imprenditori che vogliano capire come comportarsi.

D: Le spese di sponsorizzazione sportiva sono sempre deducibili dal reddito d’impresa?
R: Non automaticamente sempre, ma esiste un regime di favore per quelle a favore di associazioni/società sportive dilettantistiche. In generale, una spesa di sponsorizzazione è considerata dall’ordinamento una spesa di pubblicità (quindi deducibile interamente) se è inerente all’attività dell’impresa. Nel caso particolare delle sponsorizzazioni ad ASD/SSD dilettantistiche, la legge prevede una presunzione assoluta di inerenza e deducibilità fino a €200.000 annui , purché siano rispettati i requisiti di cui abbiamo parlato (natura dilettantistica del beneficiario, finalità promozionale, effettiva attività pubblicitaria svolta). Se tali condizioni sono soddisfatte, la spesa è sempre deducibile integralmente (e il Fisco non può contestarne la natura pubblicitaria) . Al di fuori di questi casi, invece, la deducibilità dipende dalle circostanze: ad esempio una sponsorizzazione a favore di una società sportiva professionistica (serie A, ecc.) non gode della presunzione di legge e va valutata in base ai normali criteri di inerenza. Di solito, se c’è effettiva pubblicità (es. marchio su maglie di serie A), sarà deducibile comunque come spesa di pubblicità, ma il Fisco potrebbe scrutinare la congruità se l’importo appare abnorme. In breve: con un’ASD entro 200k e prestazione promozionale eseguita, dormite sonni tranquilli; in altri casi, curate bene l’inerenza e documentatela.

D: Quali documenti devo raccogliere per difendere la deducibilità di una sponsorizzazione?
R: Occorre predisporre un vero e proprio dossier probatorio. I documenti chiave sono: – Il contratto di sponsorizzazione stipulato, firmato da entrambe le parti, con data certa (almeno anteriore al pagamento) . – Le fatture emesse dall’associazione sportiva dilettantistica e le ricevute dei pagamenti (bonifici, assegni incassati) che dimostrino il trasferimento di denaro dallo sponsor allo sponsee. – La prova dello status sportivo dilettantistico dell’ente: copia dello statuto sociale, certificato di affiliazione al CONI/federazione per l’anno in questione, eventuale numero di iscrizione al Registro CONI . – Tutta la documentazione dell’attività promozionale svolta: foto di striscioni e cartelloni con il vostro marchio esposti durante le manifestazioni, filmati in cui si vede la vostra pubblicità, locandine e volantini dell’evento con il vostro logo, screenshot del sito web dell’ASD con il nome degli sponsor, articoli di giornale o post social che citano la sponsorizzazione, gadget con il vostro marchio distribuiti dall’ASD, ecc. . Più prove avete, meglio è – servono a dimostrare che la pubblicità promessa è stata effettivamente realizzata. – Facoltativamente, un resoconto scritto dall’ASD a fine stagione (se disponibile) sulle attività svolte per gli sponsor, oppure attestazioni da parte di terzi (es. lettera di conferma da parte dell’ASD su carta intestata che dichiara di aver eseguito le prestazioni X, Y, Z). – Ogni altro elemento utile: ad esempio, se avete fatto foto insieme agli atleti con il vostro brand, o se avete riscontrato un aumento di clienti in quell’area dopo la sponsorizzazione (dati di vendita), può essere interessante mostrarlo, anche se la legge non vi obbliga a provare l’“efficacia” commerciale (è irrilevante ai fini fiscali) .

Con questo pacchetto di documenti, in sede di verifica o contenzioso siete in grado di contrastare efficacemente qualunque rilievo. Ricordate: la contestazione comune dell’Agenzia è “non ci sono prove che abbiano davvero fatto pubblicità per te” – voi dovete poter replicare esibendo concretamente tali prove.

D: L’Agenzia delle Entrate dice che la mia sponsorizzazione non era inerente perché ho speso troppo rispetto ai benefici ottenuti. Può farlo?
R: Se la vostra situazione rientra nell’art. 90 comma 8 (ASD dilettantistica, ≤200k, ecc.), no, non può. La scelta imprenditoriale di quanto spendere in pubblicità nello sport dilettantistico è, per legge, insindacabile dal Fisco sul piano dell’economicità . La presunzione assoluta significa proprio questo: l’Erario rinuncia a questionare il rapporto costi/ricavi di quella spesa, riconoscendone l’inerenza qualitativa in via automatica. Dunque obiezioni del tipo “hai pagato 30.000 € per mettere il logo in una palestra di provincia, è antieconomico” sono inescuciabili se la sponsorizzazione ha rispettato i parametri di legge . Purtroppo, in passato alcuni verificatori lo hanno fatto, ma la Cassazione ha più volte annullato accertamenti basati su simili argomentazioni, ribadendo che l’antieconomicità non è criterio utilizzabile in presenza della norma agevolativa . L’unico caso in cui l’Ufficio potrebbe contestare la sproporzione è se la vostra spesa eccede i 200.000 € annui: per la parte eccedente, non coperta da presunzione, l’Erario può provare a dire che è esagerata e forse non inerente. Ad esempio, se avete speso 250.000 €, potrebbero accettare 200k e riprendere 50k dicendo che è oltre il necessario. Anche qui, tuttavia, avreste modo di difendervi sostenendo che pure l’eccedenza aveva finalità promozionali (magari l’evento extra, ecc.). Ma formalmente oltre la soglia l’ombrello di protezione non c’è più. In sintesi: entro i 200k, non devono (né possono) parlarvi di anti-economicità; se lo fanno, citate la legge e le sentenze, e il rilievo cadrà .

D: Ho rispettato tutte le condizioni, ma l’Agenzia sostiene che la sponsorizzazione è fittizia perché secondo loro non ci sono prove dell’attività pubblicitaria. Come mi difendo?
R: Questo è lo scenario più insidioso, quello della contestazione di inesistenza. La difesa consiste nel presentare e magari rinforzare in giudizio tutte le prove documentali e testimoniali che la promozione c’è stata. Se avete il dossier di cui sopra, è già un ottimo punto di partenza. In udienza, potete chiedere – attraverso il vostro difensore – che vengano ammessi testimoni (ad esempio il presidente dell’ASD, o persone che hanno assistito agli eventi sportivi) per confermare che c’erano gli striscioni, le maglie logate, ecc. Dal 2023 il giudice tributario può ammettere testimonianze in casi particolari: un caso di sospetta inesistenza contrattuale potrebbe giustificarlo, specie dopo la riforma che l’ha previsto . Inoltre, smontate eventuali indizi portati dall’Ufficio: ad esempio, se sostengono che “non c’è traccia del logo in nessuna foto”, portate voi le foto; se dicono “l’ASD ha prelevato contanti dal conto dopo il pagamento”, spiegate (se potete) la destinazione lecita di quei prelievi – ad esempio che erano per pagare fornitori dell’ASD e non per restituirvi soldi. In pratica dovete capovolgere la narrativa: far emergere che l’accordo era genuino, è stato eseguito, e l’ASD ha trattenuto i fondi usandoli per le sue attività (non reindirizzandoli a voi). Se riuscite a far questo, non solo salverete la deduzione, ma allontanerete anche lo spettro del penale. Ricordate che la legge vi richiede di provare l’esistenza effettiva delle operazioni se il Fisco ne porta indizi contrari . Non bastano i documenti formali (contratto, fattura, bonifico); servono elementi sostanziali. Quindi la vostra difesa deve puntare tutto su sostanza e trasparenza. Se ritenete di aver qualche lacuna probatoria (ad esempio nessuno ha fatto foto agli eventi), potrebbe essere utile cercare testimonianze scritte: magari una dichiarazione firmata dai dirigenti dell’ASD che elenchi cosa hanno fatto per pubblicizzarvi, da allegare (non ha lo stesso peso di una testimonianza in contraddittorio, ma qualcosa vale). In casi estremi, potete anche valutare di coinvolgere un consulente tecnico esperto di marketing sportivo che attesti che, dati i fatti, la vostra sponsorizzazione ha avuto visibilità comparabile ad altre analoghe: questo per dare autorevolezza alla tesi che l’operazione esisteva ed era coerente. In conclusione: la difesa è “dimostrazione, dimostrazione, dimostrazione” – portate in Commissione anche lo striscione fisico se necessario! Se siete nel giusto, non abbiate timore di esagerare nel portare evidenze.

D: Il limite di 200.000 euro vale per ogni singola sponsorizzazione o in totale? E si riferisce all’anno solare?
R: Il limite dei duecentomila euro è annuale e cumulativo per sponsor. Significa che ogni soggetto erogante (lo sponsor) per ciascun periodo d’imposta può dedurre in base all’art.90 co.8 al massimo 200.000 € complessivi, somma di tutte le sponsorizzazioni agevolate fatte a favore di qualunque ASD/SSD. Se in un anno fate una sola sponsorizzazione da 150k, siete entro il limite. Se ne fate tre da 100k ciascuna (quindi 300k in totale), l’agevolazione coprirà fino a 200k: per i restanti 100k la spesa non gode di presunzione e va valutata secondo i criteri normali. Non conta invece il numero di beneficiari né il numero di contratti: è un tetto globale annuo per sponsor. L’anno di riferimento è l’anno fiscale in cui la spesa è sostenuta (competenza economica, generalmente coincidente con l’anno solare per i soggetti “solari”). Per fare un esempio: un’azienda con esercizio coincidente all’anno solare 2024 potrà dedurre con presunzione assoluta al massimo 200k relativi a sponsorizzazioni pagate nel 2024. Se stipula un contratto biennale da 300k pagabili 150k nel 2024 e 150k nel 2025, potrà dedurre 150+150 (ogni anno sta sotto 200k). Attenzione: 200k è il limite fissato dal legislatore nel 2002 e ad oggi rimasto invariato (non è stato aggiornato all’inflazione). In sede di riforma sportiva 2021, confluito nell’art. 12 D.Lgs 36/2021, è stato confermato identico . Quindi è un limite assoluto, non frazionabile su più anni (non è 200k per contratto ma per anno). Vale anche per i lavoratori autonomi (professionisti) in contabilità semplificata in termini di cassa.

D: Cosa cambia con la riforma dello sport (D.Lgs. 36/2021) riguardo le sponsorizzazioni?
R: Per quanto riguarda la deducibilità fiscale delle sponsorizzazioni, praticamente nulla di sostanziale. Come accennato, l’art. 90 co.8 L.289/2002 è stato abrogato ma contestualmente lo stesso beneficio è stato inserito nell’art. 12 comma 3 del D.Lgs. 36/2021, che è entrato in vigore il 1° luglio 2023 . Il testo è quasi sovrapponibile: sponsorizzazioni a favore di ASD/SSD fino a 200k € annui = spese di pubblicità per lo sponsor. Dunque la disciplina prosegue invariata. La riforma ha invece introdotto cambiamenti organizzativi: ad esempio è stato istituito il nuovo Registro delle Attività Sportive Dilettantistiche (RAS) gestito da Sport e Salute, in sostituzione del registro CONI, dal quale le ASD/SSD devono risultare iscritte per ottenere il riconoscimento sportivo. Dal punto di vista dello sponsor, ciò significa che dal 2023 dovrà verificare l’iscrizione della controparte a questo nuovo registro (in pratica analogo controllo di prima, solo su piattaforma diversa). Inoltre, è stato chiarito normativamente (art. 12 co.1 D.Lgs 36/2021) che anche le società sportive dilettantistiche lucrative (nuova figura introdotta dalla riforma) non beneficiano di questa agevolazione: rimane riservata ai soggetti senza scopo di lucro. Quindi attenzione: se sponsorizzate una SSD lucrativa (Srl Sportiva Dilettantistica lucrativa), che è una novità, probabilmente il regime dei 200k non si applica (va considerata come un’impresa qualsiasi ai fini fiscali). Altra piccola modifica è l’incremento del plafond di ricavi commerciali per cui le ASD possono stare nel regime forfetario L.398/91 (da 250k a 400k € anno): ma questo riguarda l’ASD, non lo sponsor. In sintesi: per lo sponsor che deduce, nulla cambia, salvo il riferimento normativo e la verifica dell’iscrizione della controparte al nuovo registro nazionale.

D: Se la sponsorizzazione non produce alcun aumento di clienti o vendite per la mia azienda, l’Agenzia potrebbe contestarla per questo motivo?
R: No, e questo è un punto importante da chiarire: non siete tenuti a provare un effetto positivo concreto (in termini di ricavi) derivante dalla sponsorizzazione. La legge e la giurisprudenza hanno affermato che l’inerenza è qualitativa, non quantitativa: significa che ciò che conta è la potenzialità della spesa di essere utile all’attività d’impresa, non il suo risultato misurabile . Molte attività di marketing non danno frutti immediati e garantiti – pensiamo a uno spot pubblicitario in TV: magari non porta nessun cliente nuovo, ma ciò non lo rende indeducibile. Allo stesso modo, una sponsorizzazione sportiva può non generare vendite nel breve periodo, ma ciò non rileva. La Cassazione ha esplicitamente detto che non si può negare la deduzione sulla base della “assenza di una diretta aspettativa di ritorno commerciale”, perché appunto la logica delle sponsorizzazioni è di branding e visibilità, senza garanzie di ritorno . Quindi l’Agenzia non può imporvi di dimostrare che avete guadagnato X clienti grazie allo sponsor. Nella circolare 21/E 2003 addirittura si evidenziava che non vi dev’essere valutazione di proporzionalità tra prestazione e controprestazione in queste sponsorizzazioni . Ciò tutela lo sponsor: niente domande tipo “quanti contratti hai fatto in più grazie a questa pubblicità?”. Se mai qualcuno in un contenzioso lo eccepisse, la vostra risposta è: la legge mi consente la deduzione a prescindere dal ritorno economico immediato, perché l’inerenza della spesa pubblicitaria si valuta sulla sua finalità (promuovere l’impresa), non sull’utile conseguito . Naturalmente, se avete registrato effetti positivi (es. più follower, più vendite in zona, etc.), potete sempre citarli nel narrare la bontà dell’operazione, ma non è un obbligo né un parametro giuridico.

D: Se emerge una irregolarità nell’ASD (es. non era iscritta al registro o non ha pagato le tasse sulla sponsorizzazione), questo può ricadere su di me sponsor?
R: Sul piano strettamente fiscale, l’eventuale inadempienza del beneficiario non inficia direttamente il vostro diritto alla deduzione, purché voi abbiate agito in buona fede. Mi spiego: se l’ASD non era iscritta al registro CONI, formalmente la condizione soggettiva per la presunzione di deducibilità manca. In tal caso, il Fisco potrebbe negare la presunzione non per colpa vostra ma per status del beneficiario. Voi potreste però sostenere che l’ASD presentava tutte le caratteristiche di legge e che la mancata iscrizione era un fatto a voi ignoto: non so se esista già giurisprudenza in merito, ma potrebbe aprirsi un dibattito su “errore scusabile”. Ad ogni modo, se ufficialmente l’ente non era riconosciuto, la norma agevolativa non si applica, quindi la deduzione non è garantita. Dovrete difenderla coi principi generali (dimostrando comunque che era pubblicità inerente). Quanto al fatto che l’ASD non abbia magari dichiarato l’incasso o non abbia versato l’IVA, questo in sé non vi riguarda come sponsor (sono violazioni dell’ASD). Può però indirettamente colpirvi se l’Agenzia considera ciò un indizio di collusione (ad esempio: l’ASD non versa l’IVA perché era d’accordo a restituire tutto “in nero”; oppure non dichiara l’introito perché era una ASD fantasma). Quindi la vostra deduzione rimane a rischio solo se quelle irregolarità fanno pensare che l’operazione fosse finta. In caso contrario, i problemi fiscali dell’ASD restano in capo ad essa. Non esiste una norma che dica “se l’ASD non è in regola, lo sponsor perde la deduzione” – è più una conseguenza logica: se l’ASD non era riconosciuta come tale, allora non era un soggetto rientrante nell’agevolazione. Se l’ASD non versa IVA, a voi potrebbe essere contestata la detrazione IVA (nel raro caso abbiate detratto IVA su fattura poi risultata falsa). Ma se l’operazione è vera, la vostra IVA è detraibile regolarmente; se è falsa, perderete detrazione e deduzione e incorrerete nelle sanzioni di cui sopra.

D: Una sponsorizzazione può essere parzialmente fittizia? Ad esempio, pagato 50k ma servizi resi per soli 10k di valore?
R: In teoria il Fisco potrebbe sostenere che l’operazione è sovrafatturata: cioè la prestazione c’è stata ma per un valore molto inferiore al corrispettivo, quindi il resto del denaro è stato versato senza causa (magari per essere restituito). È uno scenario complicato: significherebbe distinguere una parte “vera” e una parte “falsa” del costo. La giurisprudenza in tema di fatture false distingue operazioni oggettivamente inesistenti (mai avvenute) e soggettivamente inesistenti (avvenute ma con soggetto diverso) – non menziona esplicitamente le operazioni parzialmente inesistenti, se non nel definire comunque false quelle in cui “l’importo indicato è superiore al reale” . Quindi una fattura per sponsorizzazione a fronte di una prestazione in parte reale e in parte gonfiata potrebbe comunque essere considerata “falsa per sovrafatturazione” per la parte eccedente. In sede fiscale, l’Ufficio in teoria potrebbe ammettere inerenza per una quota del costo e negarla per l’eccedenza (riqualificando quest’ultima come uscita senza giustificazione). In pratica però, se si arriva a quel punto, spesso l’orientamento è di trattare l’intera fattura come dubbia. Per difendersi da tale ipotesi, dovreste dimostrare che il corrispettivo pattuito era in linea con i normali prezzi di sponsorizzazioni analoghe, e che non c’è stata alcuna retrocessione di denaro. Se proprio l’ASD ha fornito molto meno di quanto contrattato, può essere utile anche dire: ok, forse la sponsorizzazione non ha raggiunto tutti gli obiettivi, ma era questo il rischio imprenditoriale. Ricordiamo comunque che in base alla legge, finché qualcosa è stato fatto e i requisiti formali ci sono, l’antieconomicità non è contestabile . Quindi se l’Ufficio vi dicesse “hai pagato troppo per quello che hai ottenuto”, rispondete che la legge non consente tale valutazione. Se invece insinuano che avete gonfiato apposta il prezzo per poi farvi restituire soldi, torniamo allo scenario frode e valgono i discorsi fatti: negare e portare prove contrarie.

D: Se vengo assolto in sede penale, questo mi aiuta nel contenzioso tributario (o viceversa)?
R: Un’assoluzione penale per inesistenza del fatto (cioè riconoscimento che la sponsorizzazione non era fittizia) senz’altro è un elemento molto favorevole da presentare al giudice tributario, se la causa fiscale è ancora pendente. Formalmente i due giudizi restano autonomi, ma spesso la giurisprudenza tributaria tiene in considerazione l’esito penale, specie se definitivo, per evitare contraddizioni clamorose. Viceversa, se in penale venite condannato per fatture false, è probabile che abbiate perso anche in tributario, ma se così non fosse, la sentenza penale di condanna (accertando che l’operazione è fittizia) potrebbe portare la controparte Erario a richiedere la revocazione della sentenza tributaria favorevole o comunque a far peso su eventuali gradi ancora aperti. Diciamo che l’ideale è vincere su entrambi i fronti portando coerenza di argomenti. In concreto, molto spesso i procedimenti penali per sponsorizzazioni fittizie vengono definiti prima della fine del contenzioso tributario (magari con patteggiamenti) perché il contribuente preferisce chiudere quella partita per limitare rischi. Una condanna penale passata in giudicato può costituire titolo per iscrivere a ruolo le imposte evase senza aspettare l’esito del giudizio tributario (art. 20 D.Lgs 74/2000), quindi attenzione: i due mondi dialogano. In generale, puntate ad ottenere una pronuncia chiara almeno in uno dei due campi e poi usatela nell’altro.

Queste FAQ coprono i dubbi più comuni. Ovviamente ogni caso concreto ha le sue peculiarità, ma con le basi esposte – normativa, giurisprudenza e strategie – si dovrebbe poter affrontare con cognizione di causa la questione della deducibilità delle sponsorizzazioni sportive e l’eventuale contenzioso con il Fisco.

Conclusioni

Le sponsorizzazioni sportive dilettantistiche rappresentano un interessante punto d’incontro tra sport, impresa e fisco. Il legislatore italiano, riconoscendo il valore sociale dello sport di base, ha scelto di incentivare tali investimenti privati con una robusta agevolazione fiscale: la presunzione legale assoluta di pubblicità deducibile . Ciò ha creato opportunità ma anche abusi, che hanno richiesto l’intervento della giurisprudenza per tracciare un confine tra le sponsorizzazioni legittime e le operazioni simulate. Oggi possiamo dire che quel confine è abbastanza nitido:

  • Se lo sponsor rispetta le regole (beneficiario effettivamente dilettantistico, pagamento entro i limiti, scopo promozionale reale) e si premura di ottenere e conservare prova dell’avvenuta promozione, il nostro ordinamento offre un ampio scudo. L’Agenzia delle Entrate, in presenza di tutti i presupposti di legge, non può toccare quella deduzione . In caso di contestazione, i giudici tributari quasi certamente daranno ragione al contribuente, come dimostrato dalle numerose sentenze unanimi degli ultimi anni .
  • Se invece la sponsorizzazione è stata impostata in modo approssimativo o peggio artificioso, le conseguenze possono essere gravi. L’assenza di riscontri concreti di attività pubblicitaria mette il contribuente in posizione perdente sia sul piano fiscale (niente deduzione) sia su quello penale (rischio di condanna per frode) . In questo senso, le sponsorizzazioni sportive “fittizie” non sono più un terreno facile per creare costi fasulli: l’amministrazione finanziaria le conosce, le individua e la Cassazione ha concesso loro zero tolleranza.

In un’ottica difensiva, quindi, il messaggio è chiaro: prevenzione e trasparenza. Agite come se, un domani, doveste mostrare a un giudice ogni dettaglio della vostra sponsorizzazione – perché potrebbe accadere. Se avete operato correttamente, i documenti parleranno per voi e avrete dalla vostra parte la legge e la giurisprudenza. Se invece qualcosa è andato storto (per inesperienza o perché vi siete fidati di chi prometteva “vantaggi facili”), non attendete passivamente: consultate subito un esperto, raccogliete tutto il recuperabile e impostate una strategia che minimizzi i danni.

Concludendo, le spese di sponsorizzazione sportiva non sono più un “terreno minato” se affrontate con professionalità: anzi, possono costituire un investimento pubblicitario valido e completamente legittimo sul piano fiscale , contribuendo al contempo alla crescita dello sport dilettantistico. Difendersi da un eventuale accertamento significa far emergere la verità sostanziale: ovvero che dietro quei numeri c’è stato uno scambio reale di pubblicità contro denaro. Quando c’è sostanza, la forma (la norma) vi protegge; quando c’è solo forma senza sostanza, nessun artificio reggerà a lungo. Questa è forse la lezione ultima che si ricava dalla materia: la linea di demarcazione tra lecito e illecito, in fondo, coincide con quella tra realtà e finzione.

Fonti: Normativa – art. 90, comma 8, L. 289/2002; art. 12, comma 3, D.Lgs. 36/2021. Prassi – Circolare AE 21/E/2003. Giurisprudenza – Cass., sez. trib., n. 14232/2017; n. 7202/2017; n. 8981/2017; n. 13508/2018; n. 21452/2021; n. 7117/2021 ; Cass., nn. 934 e 935/2023; n. 4274/2023 ; nn. 4612 e 4627/2023; Cass., ord. n. 18726/2024 ; ord. nn. 3470 e 6079/2024 ; Cass., sez. penale, n. 31253/2017 , ecc. Si vedano anche: Commissione Tributaria Reg. Marche, sent. 178/2/2025 ; CTP Bari, sent. 330/2020;

  • Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 18726 depositata il 9 luglio 2024 – In  tema  di  detrazioni  fiscali,  le  spese  di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale.
  • Finte sponsorizzazioni reato di dichiarazione fraudolente e fatture false – Cassazione sentenza n. 31253 del 2017.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata l’indebita deduzione di spese di sponsorizzazione sportiva? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Le spese di sponsorizzazione sportiva sono deducibili se effettivamente sostenute per finalità promozionali o pubblicitarie, documentate da contratti e fatture regolari e coerenti con l’attività dell’impresa. Se l’Agenzia delle Entrate ritiene che tali spese siano in realtà non inerenti, eccessive o fittizie, può disconoscerle e recuperare le imposte.

👉 Prima regola: dimostra che la sponsorizzazione ha avuto una reale finalità commerciale e ritorno promozionale per l’impresa.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Spese sproporzionate rispetto al volume d’affari;
  • Contratti privi di documentazione o mai eseguiti;
  • Sponsorizzazioni di società sportive dilettantistiche non riconosciute o inattive;
  • Utilizzo della sponsorizzazione come forma di finanziamento indiretto senza ritorno promozionale;
  • Fatture considerate soggettivamente o oggettivamente inesistenti.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Indeducibilità dei costi di sponsorizzazione;
  • Recupero IVA se detratta indebitamente;
  • Sanzioni dal 90% al 180% delle maggiori imposte accertate;
  • Interessi di mora;
  • Possibili indagini penali in caso di fatture false.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Contratto di sponsorizzazione: era regolarmente sottoscritto e rispettato?
  • Documentazione promozionale: esistono prove dell’attività pubblicitaria (manifesti, maglie, eventi)?
  • Congruità della spesa: è proporzionata al volume dell’attività?
  • Stato della società sportiva sponsorizzata: era iscritta al CONI e realmente operativa?
  • Motivazione della contestazione: l’Agenzia ha elementi concreti o solo presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti di sponsorizzazione e relative fatture;
  • Prove fotografiche e video delle sponsorizzazioni;
  • Estratti conto bancari con i pagamenti tracciati;
  • Documenti della società sportiva (statuto, iscrizione al CONI, attività svolte);
  • Report interni sull’impatto promozionale della sponsorizzazione.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la reale esecuzione della sponsorizzazione con prove concrete;
  • Contestare la riqualificazione come spesa non inerente se l’attività promozionale era effettiva;
  • Invocare la presunzione di inerenza prevista dalla normativa per sponsorizzazioni fino a certi limiti di spesa;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: notifica irregolare, motivazione insufficiente, errori di calcolo;
  • Richiedere autotutela se la documentazione era già agli atti;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare la pretesa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i contratti di sponsorizzazione e la documentazione disponibile;
📌 Verifica la fondatezza della contestazione dell’Agenzia delle Entrate;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione sicura e trasparente delle spese di sponsorizzazione.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità delle sponsorizzazioni sportive;
✔️ Specializzato in difesa di imprese contro contestazioni su deduzioni e IVA;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’indebita deduzione delle spese di sponsorizzazione sportiva non sempre sono fondate: spesso si basano su presunzioni o interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità delle spese sostenute, mantenere la deducibilità e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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