Agenzia Delle Entrate Accerta Abuso Di Diritto In Operazioni Straordinarie: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento dall’Agenzia delle Entrate per presunto abuso di diritto in operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, trasformazioni, conferimenti, cessioni d’azienda)? In questi casi, l’Ufficio ritiene che l’operazione sia stata strutturata non per reali esigenze economiche o aziendali, ma al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti. Le conseguenze possono essere molto gravi: disconoscimento dei benefici fiscali, recupero di imposte, applicazione di sanzioni elevate e, nei casi più gravi, contestazioni di natura penale. Tuttavia, non sempre l’accertamento è legittimo: con una difesa ben documentata è possibile dimostrare la reale sostanza economica delle operazioni e ridurre l’impatto delle sanzioni.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’abuso di diritto in operazioni straordinarie
– Se un’operazione societaria comporta vantaggi fiscali sproporzionati rispetto agli effetti economici reali
– Se viene ritenuta priva di valide ragioni extrafiscali, organizzative o gestionali
– Se la struttura scelta appare artificiosa rispetto a soluzioni più lineari
– Se vi sono incongruenze tra gli obiettivi dichiarati e i risultati effettivi dell’operazione
– Se l’Ufficio presume che la finalità principale sia stata l’elusione fiscale

Conseguenze della contestazione
– Disconoscimento dei benefici fiscali conseguiti con l’operazione straordinaria
– Recupero immediato delle imposte ritenute non pagate
– Applicazione di sanzioni amministrative fino al 200% delle maggiori imposte accertate
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Nei casi più gravi, trasmissione degli atti alla Procura per ipotesi di reati tributari

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare le valide ragioni extrafiscali che hanno motivato l’operazione straordinaria
– Documentare le esigenze organizzative, gestionali o di mercato sottese alla scelta societaria
– Produrre relazioni, delibere, consulenze e perizie a supporto della sostanza economica dell’operazione
– Contestare eventuali errori di valutazione o vizi di motivazione dell’accertamento
– Richiedere la riqualificazione della contestazione per ridurre le sanzioni applicabili
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’operazione contestata e la documentazione societaria connessa
– Verificare la legittimità della contestazione e l’applicabilità della disciplina sull’abuso di diritto
– Redigere un ricorso fondato su elementi probatori e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere la società e i suoi amministratori davanti ai giudici tributari
– Proteggere il patrimonio aziendale e personale da richieste fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– Il riconoscimento della legittimità dell’operazione straordinaria effettuata
– La riduzione delle sanzioni tramite riqualificazione della fattispecie contestata
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: l’abuso di diritto in materia fiscale è un terreno complesso e spesso oggetto di interpretazioni controverse. È fondamentale predisporre prove solide per dimostrare la reale sostanza economica delle operazioni straordinarie e contrastare efficacemente le contestazioni del Fisco.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per presunto abuso di diritto e quali strategie utilizzare per tutelare i tuoi interessi.

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Introduzione

Le operazioni straordinarie d’impresa – come fusioni, scissioni, conferimenti, trasformazioni societarie – sono strumenti giuridici leciti e diffusi per riorganizzare attività economiche. Talvolta però l’Agenzia delle Entrate può ritenere che tali operazioni siano state utilizzate in modo abusivo, al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale indebito, pur nel rispetto formale delle norme. Si parla in questi casi di “abuso di diritto” (o elusione fiscale), cioè di un uso distorto di strumenti giuridici leciti per perseguire un risparmio d’imposta contrario allo spirito dell’ordinamento tributario .

Questa guida, aggiornata ad agosto 2025 con le più recenti fonti normative e giurisprudenziali, offre un’analisi avanzata del fenomeno dell’abuso del diritto nelle operazioni straordinarie e fornisce indicazioni su come difendersi da simili contestazioni. Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori (anche PMI) e privati cittadini interessati. Verranno esaminati:

  • Il concetto di abuso di diritto in ambito fiscale e la relativa normativa italiana (Statuto del Contribuente, art. 10-bis), con l’ausilio delle ultime interpretazioni istituzionali (in particolare un recente Atto di indirizzo del MEF del 27/02/2025).
  • Le procedure di accertamento adottate dall’Agenzia delle Entrate nei casi di abuso (comunicazione di avvio, contraddittorio, accertamento) e le garanzie difensive per il contribuente (onere della prova, assenza di sanzioni penali, ecc.).
  • I principali schemi di operazioni straordinarie che possono essere oggetto di contestazione per abuso di diritto: fusioni, scissioni, conferimenti e trasformazioni societarie (inclusi casi complessi come i leveraged buy-out). Per ciascuno analizzeremo in cosa consiste l’eventuale vantaggio fiscale indebito, quali indici di abuso vengono tipicamente rilevati e come il contribuente può articolare la difesa.
  • Verranno richiamate le sentenze più recenti e autorevoli (Corte di Cassazione, anche Sezioni Unite, e decisioni di merito) riguardanti l’abuso del diritto in tali operazioni – ad esempio casi di fusione per utilizzare perdite, scissione seguita da cessione di partecipazioni, conferimento di beni seguito da vendita, trasformazione societaria pre-tax planning, operazioni di acquisizione con indebitamento (LBO) – evidenziandone i principi chiave.
  • Saranno illustrati gli strumenti di prevenzione e di soluzione stragiudiziale delle controversie, come l’interpello anti-abuso (per ottenere dall’Agenzia un parere preventivo sulla legittimità fiscale di un’operazione) e l’accertamento con adesione (per definire bonariamente la pretesa tributaria riducendo sanzioni).
  • Infine, la guida include tabelle riepilogative dei punti salienti e una sezione di Domande & Risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni in materia.

L’obiettivo è fornire al contribuente (debitore d’imposta) una prospettiva chiara e completa dei propri diritti e delle possibili strategie difensive di fronte a un’accusa di abuso di diritto, assicurando al contempo la comprensione del contesto normativo.

Abuso di diritto in ambito fiscale: definizione e principi generali

In materia tributaria, per abuso del diritto si intendono una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur rispettando formalmente le norme fiscali, producono vantaggi fiscali indebiti contrastanti con le finalità delle norme stesse . Questa definizione, introdotta espressamente nell’ordinamento dall’art. 10-bis della Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) dal 2015, codifica un principio già emerso dalla giurisprudenza negli anni precedenti.

Differenza tra abuso ed evasione: L’abuso del diritto si distingue nettamente dall’evasione fiscale e da altri illeciti tributari. Nell’evasione vi è violazione aperta della legge tributaria, ad esempio occultando imponibili o violando obblighi (emissione di fatture false, omessa dichiarazione di redditi, ecc.): comportamenti che integrano spesso reati tributari (es. frode fiscale). Nell’abuso invece non si viola formalmente alcuna norma: l’operazione è formalmente lecita, ma viene accusata di aggirare lo spirito della legge al fine di ottenere un risparmio d’imposta non dovuto . Ad esempio, la simulazione e la frode (in ambito tributario) implicano una falsificazione della realtà – la simulazione quando si fa apparire una situazione giuridica diversa da quella reale, la frode quando si usano artifici ingannevoli per occultare imponibili – mentre l’abuso del diritto non manipola i fatti, bensì utilizza strumenti giuridici reali in modo distorto, tradendone la funzione economica naturale .

Legittimo risparmio d’imposta vs. abuso: Non ogni scelta fiscalmente vantaggiosa è un abuso. Il nostro ordinamento consente spesso al contribuente di scegliere tra diversi regimi o operazioni quello meno oneroso fiscalmente, ed un tale risparmio d’imposta è legittimo . Il MEF (Ministero Economia e Finanze), nel recente Atto di indirizzo del 27/2/2025, ha ribadito che il risparmio d’imposta è sempre da considerare lecito quando discende dalla scelta tra opzioni previste dalla legge (ad es. adesione ad un regime opzionale) ovvero da operazioni alternative entrambe lecite ma con diverso carico fiscale . In sostanza, il contribuente è libero di organizzare i propri affari nel modo fiscalmente meno oneroso, purché le operazioni adottate abbiano sostanza economica e non siano volte unicamente ad aggirare norme o principi tributari.

L’art. 10-bis traccia proprio questo confine: da un lato tutela la libertà del contribuente di scegliere soluzioni fiscalmente vantaggiose entro i confini della legge; dall’altro colpisce quelle condotte che, pur senza violare norme tributarie in senso stretto, ne tradiscono lo scopo sostanziale. Il principio è stato riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione: la scelta del contribuente tra più operazioni (anche con differente carico fiscale) dev’essere rispettata salvo che l’unica ragione dell’operazione sia il risparmio d’imposta . Dunque se un’operazione straordinaria rappresenta semplicemente una tra varie opzioni possibili – e presenta concrete logiche economiche – non può essere contestata solo perché fiscalmente più vantaggiosa rispetto ad alternative .

Elementi costitutivi dell’abuso: La normativa (art. 10-bis, comma 1) e la relativa prassi individuano tre requisiti che devono concorre simultaneamente affinché un’operazione sia qualificata come abusiva :

  1. Vantaggio fiscale indebito. Il contribuente ottiene un beneficio fiscale che le norme non intendevano concedere in quella misura. Il vantaggio può consistere in riduzioni d’imposta, rimborsi, crediti d’imposta, perdite fiscalmente rilevanti maggiori, soggettività a imposta sostitutiva più favorevole, deduzioni o detrazioni, o anche un significativo differimento della tassazione nel tempo . Ciò che lo rende “indebito” è il fatto che deriva da un aggiramento degli obiettivi o dei divieti delle norme fiscali . In pratica, pur rispettando la lettera della legge, l’operazione ottiene un risultato fiscale che frustra la ratio delle disposizioni (ad es. usufruire di un’esenzione pensata per altri scopi, trasferire basi imponibili in modo anomalo, ecc.). Occorre valutare l’indebito vantaggio con riferimento alle norme e ai principi vigenti al momento dei fatti (salva l’applicazione di eventuali norme interpretative retroattive).
  2. Assenza di sostanza economica. L’operazione (o la serie di operazioni) è inidonea a produrre effetti economici apprezzabili diversi dai vantaggi fiscali . In altre parole, manca una causa economico-giuridica autonoma: gli atti posti in essere non hanno una logica di mercato o un’utilità reale per il contribuente se non quella di ottenere il risparmio d’imposta. Tipici indizi sono operazioni circolari o artificiose, entità veicolo senza reale attività, atti privi di rischio o di effetti duraturi, concatenazioni complesse che non modificano sostanzialmente la situazione patrimoniale o organizzativa del contribuente. La verifica della sostanza economica è oggettiva: ci si chiede se, guardando agli effetti concreti, l’operazione abbia prodotto risultati significativi diversi dal beneficio fiscale . Non rileva (a questo fine) l’intento soggettivo dichiarato dal contribuente, ma l’idoneità oggettiva dell’operazione a generare effetti diversi dal risparmio d’imposta .
  3. Essenzialità del vantaggio fiscale. Il vantaggio fiscale indebito deve risultare quantomeno “essenziale” nell’economia complessiva dell’operazione. Ciò significa che eventuali ragioni economiche extra-fiscali addotte dal contribuente risultano irrilevanti o marginali rispetto al beneficio fiscale ottenuto . Nella relazione ministeriale che ha accompagnato l’introduzione dell’art. 10-bis si è chiarito che le motivazioni economiche non marginali sussistono solo se l’operazione non sarebbe stata effettuata senza di esse . In altri termini, bisogna dimostrare che il contribuente avrebbe comunque realizzato quell’operazione anche in assenza del vantaggio fiscale, per effettive ragioni economico-gestionali. Se invece, tolto l’incentivo fiscale, l’operazione risulta incomprensibile o non conveniente, allora è probabile che quel vantaggio fosse la spinta predominante (se non esclusiva).

Solo quando tutti e tre questi elementi sono presenti, l’Amministrazione finanziaria può contestare l’abuso del diritto . Se manca anche uno solo (ad es. l’operazione, pur tax-driven, ha comunque sostanza economica e solide ragioni extra-fiscali), non si configurerebbe abuso.

Evoluzione normativa: Prima del 2015, la disciplina anti-elusiva era affidata principalmente all’art. 37-bis del DPR 600/1973, che elencava alcune operazioni (fusioni, scissioni, conferimenti, ecc.) potenzialmente elusive, richiedendo al contribuente di dimostrarne le valide ragioni economiche. La giurisprudenza, tuttavia, già da tempo riconosceva l’esistenza di un principio generale anti-abuso oltre i casi specifici (celebre la Cassazione a Sezioni Unite nn. 30055 e 30057 del 2008). Con il D.Lgs. 128/2015 il legislatore ha abrogato l’art. 37-bis e introdotto l’attuale art. 10-bis L.212/2000, che funge da clausola generale antielusiva valida per tutti i tributi. Ciò ha sistematizzato la materia: oggi il divieto di abuso ha rango di principio generale dello Stato tributario , applicabile in via residuale (ossia solo quando non esistano specifiche norme anti-elusive per quella fattispecie). L’inserimento nello Statuto del Contribuente ne evidenzia la natura di principio fondamentale, sovraordinato alle singole norme tributarie .

In sintesi, un’operazione straordinaria non è di per sé abusiva solo perché comporta un risparmio d’imposta: lo diventa se orchestrata principalmente per tale fine, senza sostanza economica e tradendo lo scopo delle norme fiscali. Nei prossimi paragrafi vedremo come l’Agenzia delle Entrate contesta l’abuso e quali strumenti ha il contribuente per difendersi, prima in generale e poi esaminando i singoli tipi di operazioni straordinarie a rischio.

Normativa vigente e prassi applicativa (Art. 10-bis Statuto Contribuente e indicazioni 2025)

Come accennato, la norma cardine è l’art. 10-bis della L. 212/2000 (introdotto dal D.Lgs. 128/2015), intitolato “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”. Riassumiamo i punti salienti di questa disposizione:

  • Definizione di abuso (comma 1): riprende i tre requisiti sopra descritti (operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti, in assenza di valide ragioni extra-fiscali non marginali).
  • Ambito oggettivo (comma 2): precisa che si considerano “prive di sostanza economica” quelle operazioni inidonee a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Elenca esempi come l’incoerenza della forma giuridica rispetto alla sostanza, la sequenza di passaggi artificiosamente frammentata, la presenza di elementi estranei rispetto alla logica dell’operazione (tutti indizi di mancanza di sostanza).
  • Vantaggi fiscali indebiti (comma 2 lett. b): sono quelli “ottenuti in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario” .
  • Esclusioni (comma 3): ribadisce che non rientrano nell’abuso le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche se comportano un risparmio d’imposta. Inoltre, esclude espressamente dall’abuso le violazioni di legge (che costituiscono invece evasione) e i comportamenti oggetto di specifiche disposizioni antielusive. Ciò conferma il carattere residuale della norma generale: prima si applicano le eventuali norme antielusive mirate (ad es. limitazioni al riporto perdite in caso di fusioni, regole CFC, ecc.), solo in mancanza subentra la clausola generale .
  • Procedura di contestazione (comma 4 e seguenti): l’Amministrazione finanziaria deve seguire un iter garantito (di cui diremo a breve in dettaglio) che prevede il contraddittorio col contribuente e l’obbligo di motivare puntualmente perché ritiene abusive certe operazioni.
  • Effetti (comma 4): in caso di riscontro di abuso, i vantaggi fiscali indebiti vengono disconosciuti e si applicano le imposte dovute come se l’operazione non fosse avvenuta o fosse realizzata in forma fiscalmente conforme alla sostanza economica. Non vi è nullità civilistica degli atti (che restano validi tra le parti), ma solo riqualificazione fiscale degli stessi.
  • Sanzioni (comma 13): la legge stabilisce che le operazioni abusive non configurano reati tributari penali, data l’assenza di violazione di norme (quindi non scatta, ad esempio, il reato di dichiarazione fraudolenta). Tuttavia permangono le sanzioni amministrative: l’abuso del diritto infatti comporta pur sempre un’imposta in meno versata, equiparata a un’omissione di imposta, sanzionabile in sede amministrativa . In altre parole, chi commette un abuso evita il penale ma può comunque essere assoggettato a sanzioni pecuniarie tributarie (solitamente quelle per dichiarazione infedele, pari al 90%-180% dell’imposta dovuta). Di ciò diremo meglio oltre, parlando della difesa e delle possibili esimenti.

Un importante sviluppo recente è rappresentato dall’Atto di indirizzo del MEF – Dipartimento Finanze del 27 febbraio 2025 . Tale documento (prot. n. 7/2025), emanato a quasi 10 anni dall’introduzione dell’art. 10-bis, fornisce chiarimenti interpretativi agli uffici fiscali su come applicare correttamente la norma anti-abuso, in modo coerente con la sua ratio e “rispettoso delle scelte negoziali del contribuente” . Dal documento emergono alcuni principi chiave:

  • Si ribadisce la natura residuale dell’abuso del diritto: va applicato solo quando l’operazione non sia già sindacabile in base a specifiche norme antielusive o anti-evasive. Non bisogna confondere l’abuso con altre fattispecie: ad esempio, violazioni manifeste, simulazioni e frodi vanno perseguite come tali (evasione), non come abuso .
  • Viene enfatizzato il diritto del contribuente al legittimo risparmio d’imposta. L’atto richiama che è sempre legittimo risparmiare imposte scegliendo regimi opzionali meno onerosi o strutture alternative previste dall’ordinamento . La contestazione di abuso deve concentrarsi su situazioni in cui il vantaggio fiscale, ancorché ottenuto nel rispetto formale delle norme, risulta “indebito” perché frutto di un uso artificioso di negozi giuridici, privo di ragioni sostanziali.
  • Si fornisce una lettura rigorosa dei tre requisiti: in particolare, per l’assenza di sostanza economica, il MEF sottolinea che va valutata l’oggettiva inidoneità della sequenza negoziale a produrre effetti diversi dal risparmio fiscale . Quanto alle ragioni extrafiscali non marginali, viene ricordato che devono avere una valenza intrinseca tale che l’operazione non sarebbe stata posta in essere senza di esse .
  • Si chiarisce il ruolo del principio di libertà di scelta del contribuente: l’abuso va contestato solo quando l’insieme di atti adottati non trova altra giustificazione che il vantaggio fiscale. Se invece il contribuente ha scelto un percorso consentito dalla legge per motivi anche extra-fiscali (es. semplificare l’organizzazione, attrarre investitori, proteggere patrimoni, etc.), non lo si può penalizzare solo perché così facendo ha pagato meno tasse rispetto ad un altro percorso .
  • L’Atto di indirizzo invita gli uffici a un approccio metodologico uniforme e prudente, evitando forzature: non è più ammesso – dopo la riforma – “forzare la mano” riqualificando d’ufficio un’operazione come se fosse un’altra ai fini fiscali, senza attivare la procedura anti-abuso . Se l’ufficio sospetta un disegno elusivo, deve esplicitarlo contestando l’abuso ex art. 10-bis e avviando il contraddittorio, non può limitarsi a reinterpretare l’atto a proprio vantaggio. Ad esempio, la Cassazione ha di recente cassato un avviso che assimilava una cessione di quote a una cessione d’azienda (per tassarla con imposta di registro maggiore) proprio perché, dopo la modifica dell’art.20 TUR, ciò è possibile solo attivando la procedura anti-abuso e non tramite semplice “riqualificazione” .

In sostanza, la prassi amministrativa attuale (rafforzata da questo atto ministeriale del 2025) riconosce che l’abuso del diritto è una clausola di chiusura, da applicare con equilibrio: non ogni pianificazione fiscale è abuso, ma solo quella in cui manca una vera sostanza economica e si ottiene un vantaggio illegittimo secondo l’ordinamento tributario . Questo orientamento è in linea anche con la giurisprudenza europea, che vede l’abuso come uno strumento eccezionale per contrastare comportamenti puramente artificiosi (caso Halifax in materia IVA, principio poi esteso anche alle imposte dirette).

Dopo aver delineato il quadro normativo generale, passiamo ad esaminare come avviene in concreto la contestazione di abuso e quali diritti ha il contribuente in tale fase, per poi analizzare i singoli tipi di operazioni.

Procedura di accertamento dell’abuso: contraddittorio e onere della prova

Una peculiarità importante dell’abuso del diritto è che la sua contestazione deve avvenire tramite una procedura dedicata, che assicuri al contribuente ampie garanzie di contraddittorio e di motivazione. La sequenza procedimentale – delineata dall’art. 10-bis e da prassi attuative – può essere riassunta così:

  1. Segnalazione e indagine: Spesso tutto inizia da un’attività di verifica o controllo (ad esempio una verifica fiscale della Guardia di Finanza o un controllo documentale) in cui l’ufficio identifica un’operazione straordinaria sospetta. Possono essere esaminati atti societari, bilanci, dichiarazioni dei redditi e l’insieme delle operazioni legate all’operazione straordinaria.
  2. Comunicazione di avvio del procedimento anti-abuso: Prima di emettere un avviso di accertamento, l’ufficio deve inviare al contribuente una comunicazione motivata in cui espone i motivi per cui ritiene configurabile un abuso (art. 10-bis, co. 4). In questa “contestazione preliminare” l’Amministrazione indica quali operazioni considerate abusive, quali vantaggi indebiti ne sarebbero derivati e invita il contribuente a fornire le proprie giustificazioni. È un passaggio obbligatorio: se l’ufficio emettesse l’accertamento senza aver inviato la comunicazione e atteso il termine, l’atto sarebbe viziato per violazione del contraddittorio (secondo molti, nullo).
  3. Termine per le controdeduzioni (60 giorni): Il contribuente ha 60 giorni di tempo dalla ricezione della comunicazione per presentare osservazioni e memorie difensive . In questa fase non contenziosa può spiegare le ragioni economiche dell’operazione, confutare la ricostruzione fiscale dell’ufficio, produrre documenti e precedenti a suo favore. Il contraddittorio scritto è fondamentale: vanno evidenziati tutti gli elementi utili a dimostrare la non abusività (es. la presenza di sostanza economica, scopi non fiscali rilevanti, o che il vantaggio era previsto dal legislatore, ecc.).
  4. Valutazione e decisione dell’ufficio: L’Agenzia delle Entrate è tenuta a valutare le controdeduzioni del contribuente. Se queste risultano convincenti, il procedimento può concludersi senza accertamento (archiviazione della contestazione). In caso contrario – trascorsi i 60 giorni e considerati gli argomenti del contribuente – l’Ufficio può emettere il formale avviso di accertamento (art. 10-bis, co. 5) .
  5. Avviso di accertamento motivato: L’avviso dovrà motivare puntualmente le ragioni per cui l’operazione è considerata abusiva, confutando le giustificazioni fornite dal contribuente (se presenti). In pratica, l’atto ripercorre i fatti, spiega perché ritiene integrati i tre elementi dell’abuso (vantaggio indebito, assenza di sostanza, scopo essenziale fiscale), quindi procede a disconoscere i vantaggi fiscali conseguiti . Ciò implica il ricalcolo dell’imposta come se l’operazione non avesse prodotto quel vantaggio. Ad esempio: se era stata riportata a nuovo una perdita che invece non andava riconosciuta, l’accertamento rettificherà il reddito imponibile senza considerare quella perdita; se si era applicata un’aliquota ridotta grazie a un artificio, verrà applicata l’aliquota ordinaria, e così via.
  6. Imposte, interessi e sanzioni: L’avviso liquida le maggiori imposte dovute dal contribuente in conseguenza della riqualificazione, con i relativi interessi maturati. Quanto alle sanzioni amministrative, come detto l’art. 10-bis conferma che l’abuso non esime dalle sanzioni tributarie (tipicamente, sanzione per dichiarazione infedele). Vi è però spesso materia di discussione: alcuni ritenevano che l’abuso, essendo concettualmente diverso dall’evasione, non dovesse essere sanzionato. In realtà il comma 13 sancisce espressamente che restano ferme le sanzioni amministrative . Pertanto, in un avviso di accertamento per abuso è usuale trovare applicata una sanzione proporzionale sull’imposta non pagata (in genere il 90% della maggiore imposta, ridotto a 1/3 in caso di definizione agevolata) . Il contribuente può tuttavia difendersi anche su questo aspetto, invocando eventualmente le cause di non punibilità amministrativa previste dallo Statuto (es. obiettiva incertezza normativa, forza maggiore, ecc.) per ottenere l’annullamento o la riduzione delle sanzioni. Importante: in nessun caso una contestazione di abuso produce conseguenze penali (non è reato); tuttavia, se l’operazione contestata nascondeva in realtà una frode o simili, l’ufficio potrebbe tramutare la contestazione in un profilo penale (ma saremmo fuori dall’ambito “abuso” e dentro l’evasione/frode).
  7. Impugnazione innanzi al giudice tributario: Se il contribuente ritiene infondato l’accertamento, può proporre ricorso entro 60 giorni dinanzi alla Commissione (ora Corte) Tributaria Provinciale competente. Seguirà, se necessario, il grado d’appello in Commissione Tributaria Regionale, ed eventualmente il ricorso in Cassazione. In giudizio il giudice tributario è chiamato a verificare la sussistenza degli elementi dell’abuso e la correttezza dell’operato dell’ufficio .

L’onere della prova in giudizio

Una questione cruciale in sede contenziosa è la ripartizione dell’onere della prova. La legge 212/2000 non lo esplicita chiaramente, ma la giurisprudenza ha fornito indicazioni: spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare, in base agli elementi raccolti, la presenza di un disegno elusivo e dei caratteri sintomatici dell’abuso (sequenza di atti privi di sostanza con vantaggio fiscale indebito) . Una volta forniti questi elementi (anche tramite presunzioni qualificate), tocca al contribuente provare l’esistenza di ragioni economiche sostanziali a supporto dell’operazione . Questo principio è stato affermato a chiare lettere dalla Cassazione: “In materia tributaria, l’operazione economica che non trova giustificazione extrafiscale ed è diretta essenzialmente a conseguire un risparmio d’imposta costituisce condotta abusiva; la prova del disegno elusivo incombe sull’Agenzia, ma questa non si estende alla dimostrazione della necessaria preordinazione ex ante di tutti i passaggi, potendo essere sufficiente un accordo che ricostruisca il collegamento tra i vari atti. Spetta poi al contribuente dimostrare che le operazioni contestate siano giustificate da ragioni economiche effettive” . Dunque l’Agenzia deve delineare il quadro indiziario di abuso, ma non serve provi che sin dall’inizio il contribuente avesse pianificato tutto nei minimi dettagli (la preordinazione unitaria può emergere anche da atti o accordi successivi che collegano i vari passi) . Il contribuente, dal canto suo, per difendersi dovrà convincere che l’operazione aveva una “causa concreta” diversa dal risparmio fiscale .

In giudizio, dunque, il Tribunale valuterà se l’Amministrazione ha fatto emergere una condotta abusiva plausibile e, in caso affermativo, se il contribuente ha fornito prova contraria convincente (ossia che uno degli elementi costitutivi dell’abuso manca: ad esempio c’era sostanza economica, oppure il vantaggio non era indebito ma voluto dal legislatore, oppure ancora che vi erano ragioni extrafiscali decisive) . Se anche uno solo dei tre elementi non è provato, la contestazione deve cadere. Per contro, se l’ufficio ha seguito la procedura e dimostra l’abuso, e il contribuente non giustifica diversamente, il giudice confermerà l’accertamento.

Attenzione: il processo tributario è documentale, quindi ciò che non è stato contestato o documentato nei tempi dovuti potrebbe non essere ammesso dopo. È essenziale già in sede di contraddittorio amministrativo presentare tutti i documenti e le spiegazioni possibili, perché poi in giudizio è più difficile introdurre elementi nuovi (specie in appello o Cassazione). In particolare, eventuali “valide ragioni economiche” devono emergere concretamente, non bastano affermazioni generiche ex post: i giudici tendono a valorizzare prove sostanziali (es. relazioni industriali, piani aziendali coevi all’operazione, corrispondenza con terze parti indipendenti, ecc.) che attestino la reale motivazione extra-fiscale.

Sanzioni amministrative e regimi premiali

Come detto, l’accertamento per abuso comporta in linea di principio le sanzioni per imposta non pagata. Molti contribuenti restano sorpresi, pensando che “se non ho violato la legge, non dovrei essere sanzionato”: ma la norma prevede espressamente che l’abuso esclude i reati ma non le sanzioni tributarie . Dunque in caso di soccombenza, il contribuente può vedersi irrogate sanzioni pecuniarie anche elevate (fino al 180% dell’imposta) oltre agli interessi. Esistono però strumenti per mitigare le sanzioni:

  • Cause di non punibilità: Se il contribuente dimostra di essere caduto in errore per obiettiva incertezza normativa (ad es. la questione era così dibattuta da giustificare il dubbio) o altra causa di non colpevolezza, la sanzione può essere annullata. Ad esempio, se l’operazione era stata avallata in passato da prassi ufficiali poi cambiate, o se la norma è stata introdotta da poco, si può sostenere la non applicazione della sanzione per mancanza di dolo/colpa.
  • Accertamento con adesione: Dopo la notifica dell’avviso, il contribuente può chiedere un incontro per trovare un accordo con l’ufficio (accertamento con adesione). In caso di adesione, la sanzione è ridotta ad 1/3 per legge . Ad esempio, una sanzione del 90% scende al 30%. È un beneficio significativo, che spinge molti a valutare l’adesione soprattutto se l’esito del giudizio appare incerto.
  • Acquiescenza: Se il contribuente decide di non impugnare l’accertamento e paga entro 60 giorni, usufruisce della sanzione ridotta a 1/3 (simile all’adesione) . Questo però implica rinunciare al ricorso.
  • Cumulo giuridico: se l’abuso ha coinvolto più annualità o più imposte, in sede di adesione o eventualmente in giudizio si può chiedere l’applicazione del cumulo che limita la sanzione totale.
  • Ravvedimento operoso: non si applica una volta notificato l’avviso, ma lo citiamo per completezza: se un contribuente dovesse prevenire l’accertamento spontaneamente (ad esempio realizzando a posteriori che quell’operazione poteva essere considerata elusiva) pagando la maggiore imposta prima di controlli, potrebbe ravvedersi con sanzioni molto ridotte. Ovviamente è raro ravvedersi sull’abuso, poiché di solito lo si ritiene lecito fino a contestazione.

In ogni caso, come sottolineato, non vi è rischio penale diretto: l’abuso non integra mai da solo un reato tributario, anche se le somme evase fossero ingenti, perché manca l’elemento dell’illecito penale (occultamento o falsità). Soltanto se l’operazione abusiva fosse accompagnata da atti fraudolenti (es. false fatturazioni per simulare costi) si entrerebbe nel penale, ma a quel punto la contestazione sarebbe diversa (frode fiscale, dichiarazione fraudolenta, ecc.). Dunque il contribuente accusato di abuso risponde “solo” davanti al fisco sul piano amministrativo e, al più, civile.

Strumenti di prevenzione e difesa: interpello, adesione e altre tutele

Nel panorama delle tutele offerte al contribuente, rivestono particolare importanza alcuni strumenti preventivi o deflattivi del contenzioso. Il punto di vista che adottiamo è sempre quello del contribuente che voglia difendersi o evitare a monte contestazioni di abuso di diritto.

Interpello anti-abuso

Per ridurre l’incertezza circa il trattamento fiscale di un’operazione straordinaria pianificata, il contribuente può ricorrere all’interpello previsto dall’art. 11, co.1, lett. c) dello Statuto del Contribuente. Si tratta del cosiddetto interpello anti-elusivo (o interpello sui nuovi investimenti, in certi casi), che consente di sottoporre preventivamente all’Agenzia delle Entrate uno schema di operazione per ottenere un parere vincolante sulla sua conformità o meno all’ordinamento, inclusa la presenza o meno di abuso.

In pratica, l’interpello anti-abuso è una istanza scritta in cui il contribuente descrive dettagliatamente l’operazione che intende effettuare (es. fusione tra X e Y con determinate modalità, oppure scissione seguita da cessione, ecc.), indicando il contesto, le motivazioni economiche e il dubbio interpretativo sul possibile abuso. L’Agenzia ha tempo (di regola 90 giorni, prorogabili) per rispondere. La risposta può essere:

  • Favorevole: conferma che, stante la rappresentazione fornita, l’operazione non sarà considerata abusiva. In tal caso, la risposta vincola l’Amministrazione finanziaria rispetto a quella operazione specifica: se il contribuente la realizza conformemente a quanto esposto, non potrà subire contestazioni (salvo emergano elementi di fatto non rivelati nell’istanza).
  • Sfavorevole: l’Agenzia risponde che l’operazione configurerebbe un abuso del diritto (o comunque indica il trattamento fiscale corretto, disconoscendo i vantaggi prospettati). Il contribuente a quel punto sa che, se procederà, lo farà a rischio di accertamento.
  • Silenzio-assenso o diniego implicito: se l’Agenzia non risponde nei termini, a seconda dei casi può valere il silenzio-assenso (in alcuni interpelli ordinari) oppure si considera rigettata (negli interpelli anti-abuso spesso il silenzio equivale a diniego, ma la normativa su questo è stata modificata negli anni – occorre verificare di volta in volta). In generale, l’assenza di risposta spinge alla prudenza: difficile impostare un’operazione contando sul silenzio-assenso in materia di abuso.

Utilizzare l’interpello ha diversi vantaggi: in caso di risposta favorevole, si ottiene certezza giuridica e si evita a monte il contenzioso; in caso di risposta sfavorevole, si è almeno consapevoli del rischio e si può decidere di modificare l’operazione o rinunciarvi, oppure procedere e poi impugnare l’eventuale accertamento provando a far valere le proprie ragioni (ma sapendo di avere l’Agenzia contraria sin dall’inizio). Inoltre, la presentazione dell’interpello esclude l’applicazione di sanzioni qualora il contribuente si uniformi alla soluzione indicata dall’Agenzia (c.d. esimente da sanzioni per “adesione all’interpello”).

Va detto che le risposte agli interpelli anti-abuso dell’Agenzia (pubblicate spesso sotto forma di Principi di Diritto o Risposte a interpello sul sito del Fisco) hanno contribuito a formare una prassi utile a capire come l’Amministrazione interpreta certe operazioni. Ad esempio, esistono interpelli su conferimenti seguiti da cessione, su scissioni proporzionali asimmetriche, su fusione post-LBO, ecc., in cui l’Agenzia ha delineato quando ritiene prevalente la sostanza economica e quando invece scatta l’abuso. Un avvocato tributarista ne terrà conto per orientare il cliente.

Naturalmente, l’interpello richiede tempo (va presentato prima di fare l’operazione, e attenderne l’esito) e va ben argomentato: se formulato male, potrebbe portare a una risposta negativa. Inoltre non sempre è possibile rivelare all’Agenzia piani riservati (magari per timore di ispezioni mirate). Nonostante ciò, rimane uno strumento fondamentale specialmente per gruppi societari complessi o operazioni molto rilevanti, dove l’incertezza potrebbe generare in futuro un contenzioso milionario.

Contraddittorio e difesa in fase pre-contenziosa

Se non si è fatto interpello e arriva una contestazione di abuso, come visto, il contribuente ha diritto di dialogare con l’ufficio nei 60 giorni di risposta alla comunicazione di cui all’art. 10-bis. Questa è una fase da sfruttare al massimo: presentare una memoria difensiva dettagliata, corredata da documenti (business plan, verbali societari che attestano le vere ragioni, pareri pro-veritate ottenuti all’epoca, ecc.) e giurisprudenza a proprio favore. È utile citare precedenti in cui operazioni simili sono state ritenute legittime: l’Agenzia potrebbe rivedere la propria posizione se convinta che nel vostro caso ci sono analogie con sentenze in favore del contribuente.

Ad esempio, se contestano una scissione seguita da cessione di una società di famiglia, e voi potete mostrare che era pianificata una separazione tra rami d’azienda per evitare conflitti tra soci, supportata da consulenti e seguita da un effettivo ingresso di nuovi partner, etc., tutto questo va spiegato in memoria. Si può anche evidenziare incongruenze nella ricostruzione dell’ufficio: a volte l’Agenzia semplifica eccessivamente il disegno abusivo, trascurando qualche fatto (es. tempi più lunghi del presunto “subito dopo”, oppure attività economiche reali svolte dalla società veicolo, presenza di terzi indipendenti nelle transazioni, ecc.). Ogni dubbio insinuato sulla tesi dell’ufficio può portare a un ripensamento o almeno gettare basi per una difesa in giudizio.

L’esito del contraddittorio dipende molto dalla rigidità dell’ufficio locale e dalla forza delle prove presentate. In alcuni casi, un contraddittorio ben argomentato ha portato al soprassedere dell’accertamento (soprattutto se l’operazione era borderline e il contribuente ha offerto spiegazioni credibili). In altri, l’ufficio emette comunque l’avviso, ma magari rimodula l’accusa (talora limitandola ad alcuni effetti fiscali e non ad altri).

Va ricordato che, per giurisprudenza costante, il contraddittorio endoprocedimentale è parte integrante del procedimento: ignorare del tutto le osservazioni difensive del contribuente può rendere l’accertamento annullabile per difetto di motivazione o per violazione del giusto procedimento. La Cassazione ha affermato che dall’art. 10-bis discende l’obbligo di motivare l’accertamento confutando le difese del contribuente, pena la sua illegittimità.

Accertamento con adesione

Ricevuto l’avviso di accertamento, se non si intende accettarlo integralmente né si vuole partire subito col ricorso, c’è la possibilità di attivare l’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). Presentando istanza di adesione, si “sospendono” i termini per ricorrere e si apre un dialogo con i funzionari dell’ufficio, volto a raggiungere un accordo sull’esito dell’accertamento. È una sorta di negoziazione fiscale: tipicamente l’ufficio potrebbe offrire una riduzione delle pretese (ad esempio riconoscere parzialmente le ragioni del contribuente, o ridurre le sanzioni) in cambio di un pagamento rapido e della chiusura della controversia.

Nei casi di abuso del diritto, l’adesione può essere delicata: essendo spesso questioni di principio (operazione sì o no), non sempre c’è margine per “accordarsi a metà strada”. Tuttavia, se il contribuente ha ad esempio ulteriori elementi che non erano stati considerati (o nuovi argomenti), può farli valere durante l’adesione. L’ufficio, dal canto suo, potrebbe essere interessato a chiudere il caso evitando l’incertezza del giudizio, magari proponendo una riduzione della sanzione (che per legge scenderebbe comunque a 1/3) o accettando una parziale rinuncia alle imposte (ad esempio riconoscendo almeno in parte talune ragioni economiche e quindi riducendo il maggior imponibile).

Vantaggi dell’adesione: sanzioni ridotte, pagamento rateale (fino a 8 rate trimestrali), niente spese processuali né interessi di mora ulteriori. Svantaggi: si rinuncia a far accertare da un giudice la correttezza delle proprie ragioni; inoltre, se la materia è controversa, vi è il rischio di “pagare qualcosa che forse non era dovuto”. È un classico bilanciamento tra rischio e convenienza: in alcune situazioni, soprattutto per importi non enormi, definire con adesione può essere una soluzione pragmatica per chiudere la vicenda rapidamente e con esborso limitato, anziché imbarcarsi in anni di contenzioso dall’esito incerto.

Tutele nel processo tributario

Se si giunge al processo (ricorso in Commissione Tributaria), il contribuente ha davanti a sé un percorso potenzialmente lungo (primo grado, appello, Cassazione). In tale sede, oltre al merito della questione (provare la presenza di sostanza economica, ecc.), ci sono altri strumenti difensivi:

  • Vizi procedurali: Verificare se l’ufficio ha rispettato alla lettera le prescrizioni dell’art. 10-bis. Ad esempio: la comunicazione iniziale era sufficientemente dettagliata? Il termine di 60 giorni è stato rispettato prima di emettere l’avviso? L’avviso ha risposto alle memorie del contribuente? Qualsiasi mancanza procedurale potrebbe essere sollevata come vizio dell’atto (nullità/annullabilità).
  • Motivazione dell’atto: Se l’avviso di accertamento non spiega chiaramente perché l’operazione è ritenuta abusiva o non confuta le difese, ciò può costituire difetto di motivazione. Tuttavia, spesso su abuso gli atti sono motivati diffusamente proprio per evitare questa censura.
  • Eccezione di merito: Dimostrare che manca uno degli elementi dell’abuso: ad esempio, che il vantaggio non era “indebito” perché previsto dalla legge (si può citare la giurisprudenza sul legittimo risparmio: “se la legge stessa consente certe opzioni, non si può punire il contribuente che, scegliendo quell’opzione, risparmia tasse” ), oppure che c’era sostanza economica e valide ragioni (portando testimonianze, perizie indipendenti, dati di mercato che mostrano che l’operazione aveva senso di per sé, etc.).
  • Precedenti giurisprudenziali: Citare le sentenze favorevoli. Ad esempio, Cass. 35398/2021 ha escluso l’abuso in una fusione per razionalizzazione del gruppo ; Cass. 439/2015 tutela la scelta tra alternative lecite ; Cass. 13914/2023 ha riconosciuto la liceità di un LBO con fusione in presenza di una certa continuità imprenditoriale , ecc. Mostrare al giudice che la vostra situazione è analoga a quelle già considerate lecite può orientarlo verso l’annullamento dell’accertamento.
  • Differenze fattuali: Sminuire i paralleli fatti dall’ufficio con altri casi di abuso. Ad esempio, l’ufficio potrebbe citare Cass. X per dire “in situazioni simili era abuso”; il contribuente può provare che nel suo caso c’è una differenza cruciale (ad es. tempi più lunghi, soci diversi, operazione annunciata al mercato, etc.) che la rende sostanzialmente diversa dai casi di abuso “standard”.
  • Consulenza tecnica d’ufficio (CTU): In rari casi, su aspetti molto tecnici (valutazioni economiche, etc.), si può chiedere al giudice di nominare un esperto. Non è usuale in casi di abuso, ma teoricamente fattibile se ad esempio si discute se un certo asset aveva un utilizzo economico, ecc.

In definitiva, la miglior difesa consiste nell’aver cura fin dall’inizio di raccogliere e conservare le evidenze delle ragioni sostanziali dell’operazione, così da poterle esibire se contestata. Vediamo ora in concreto le principali tipologie di operazioni straordinarie che ricorrono nelle contestazioni di abuso del diritto, con esempi pratici e orientamenti giurisprudenziali recenti.

Operazioni straordinarie a rischio di abuso: casi tipici e giurisprudenza

Non tutte le operazioni straordinarie destano sospetti di elusione fiscale. Moltissime fusioni, scissioni, conferimenti o trasformazioni avvengono per normali ragioni aziendali (espandere il business, ristrutturare un gruppo, semplificare la governance, etc.) e producono effetti fiscali legittimi. Vi sono però alcune configurazioni ricorrenti in cui l’Agenzia delle Entrate ha individuato schemi abusivi. Passiamo in rassegna i casi più comuni, tenendo presente che spesso sono operazioni assolutamente lecite di per sé, ma che diventano contestabili se realizzate in forme estreme o artificiose al solo scopo di eludere il fisco. Per ciascun tipo di operazione, descriveremo:

  • Qual è il vantaggio fiscale potenzialmente ottenuto e perché può risultare “indebito”.
  • Gli indizi o circostanze che l’Agenzia considera sintomatici di abuso.
  • Le principali sentenze (Corte di Cassazione soprattutto) che hanno trattato il tema, con l’esito relativo.
  • Le possibili difese e argomentazioni a favore della legittimità, se l’operazione aveva una logica economica.

Fusioni societarie e utilizzo di perdite fiscali

Vantaggio fiscale tipico: Nelle fusioni (siano esse per unione o per incorporazione) uno scenario classico di potenziale abuso riguarda l’utilizzo delle perdite fiscali pregresse di una delle società coinvolte. In Italia la normativa (art. 172 TUIR) consente, a certe condizioni, che le perdite fiscali di una società fusa/incorporata siano riportate in avanti e utilizzate dalla società risultante dalla fusione (o incorporante) per compensare i propri redditi, purché non si tratti di perdite “artificiose”. Esistono paletti normativi, come il test di vitalità: le perdite sono utilizzabili solo se la società che le ha maturate svolgeva effettiva attività (ricavi almeno pari al 40% di certi valori) nei periodi precedenti. Inoltre, perdite anteriori a fusioni straordinarie eccedenti certi limiti possono richiedere un ruling preventivo.

Tuttavia, al di là delle regole specifiche, l’Agenzia può contestare come abuso situazioni in cui una società in perdita viene fusa (o incorporata) al solo scopo di trasferire quelle perdite a un altro soggetto, senza una vera integrazione economica. Ad esempio, incorporare una “scatola vuota” carica di perdite in una società che genera utili, così da azzerare le imposte su questi ultimi: se la società con perdite era di fatto inattiva o decotta, la fusione può apparire finalizzata esclusivamente alla compensazione fiscale.

Indizi di abuso nelle fusioni: La giurisprudenza ha individuato vari elementi che, se combinati, possono far ritenere abusiva una fusione: – La società “perditrice” non ha vitalità economica (pochi ricavi, attività cessata o quasi) al momento della fusione. – L’operazione avviene in prossimità della scadenza di utilizzo delle perdite o subito dopo l’emersione di un grosso utile tassabile nell’altra società. – Manca una reale logica industriale: le due aziende non hanno complementarità, né sinergie operative; magari appartenevano a soggetti del tutto diversi prima. – Subito dopo la fusione, la compagine sociale e l’attività della società risultante non mostrano cambiamenti significativi se non l’effetto fiscale (ad es., l’incorporante prosegue come prima ma con il “bonus” delle perdite). – In passato c’erano stati tentativi di cessione della società in perdita (mercato delle bare fiscali): se emergono evidenze di ciò, è segno che il valore della società era solo nel risparmio fiscale.

Caso pratico: Fusione “acchiappa-perdite” – Alfa S.p.A. genera utili consistenti ogni anno (tassabili al 27,5% – aliquota IRES vigente). Beta S.r.l. è una società praticamente ferma ma con perdite fiscali pregresse di 5 milioni (dovute a un vecchio investimento andato male). Le due non hanno rapporti, operano in settori diversi. Improvvisamente nel 2022 Alfa incorpora Beta. Beta non aveva più dipendenti né fatturato significativo. Dopo la fusione, Alfa utilizza i 5 milioni di perdite di Beta per azzerare il suo reddito 2023, non pagando IRES. L’Agenzia notifica un accertamento sostenendo che l’unica finalità dell’operazione era l’utilizzo delle perdite, operazione priva di sostanza economica (Beta era un involucro vuoto). Se Alfa non fornisce spiegazioni convincenti (es. l’acquisizione di Beta poteva avere altri scopi?), la contestazione di abuso potrebbe reggere: la fusione verrebbe “disconosciuta” ai fini fiscali, negando il riporto delle perdite.

Giurisprudenza: Un punto fermo recente è la Cassazione n. 1035/2023. In questa pronuncia, la Corte ha affrontato il caso di una fusione dove l’incorporata aveva perdite e praticamente nessuna attività, con l’unico apparente scopo di compensare utili dell’incorporante. La Cassazione ha evidenziato che il regime del riporto perdite in fusione ha natura agevolativa condizionata, e che non integra abuso se sono rispettati i requisiti di legge e vi è sostanza economica (es. effettiva riorganizzazione aziendale). Nel caso specifico, però, la Corte ha censurato i giudici di merito perché non avevano verificato se vi fossero valide ragioni extrafiscali, limitandosi a dire che la fusione è neutrale per legge . La Cassazione ha ribadito che anche operazioni non nominate nell’ex art. 37-bis (come la trasformazione, che precedette quella fusione) possono essere oggetto di verifica antiabuso: “Non v’è tassatività delle operazioni sindacabili: conta la causa concreta dei negozi giuridici utilizzati in collegamento” . In altre parole, se attraverso una serie di atti leciti (es. trasformazione, vendita, fusione) si compone un disegno volto solo a compensare plusvalenze con perdite, l’Amministrazione può sindacarlo.

Un esempio particolare è proprio la vicenda “Superlana” (Cass. ord. 17743/2021) che tratteremo meglio in sezione Trasformazioni: lì una società vendette immobili realizzando una grande plusvalenza, poi si fuse in un’altra con perdite per neutralizzarla. La Cassazione ha dichiarato abusivo tale schema, rimarcando come senza la fusione (e trasformazione) le imposte sarebbero state dovute, quindi quell’operazione aveva causa solo fiscale .

Difese possibili nelle fusioni: Se il contribuente vuole difendere la legittimità di una fusione contestata, deve dimostrare la sostanza economica dell’operazione. Ad esempio: – Ragioni industriali: la fusione è avvenuta per incorporare know-how, marchi, risorse umane, ottenere economie di scala, semplificare la struttura del gruppo (riducendo i costi amministrativi) . Cassazione ha riconosciuto che fusione per razionalizzare un gruppo riducendo il numero di società, pur portando a qualche risparmio fiscale, non è elusiva se ha chiari vantaggi extra-fiscali di semplificazione e riduzione costi . – Operazione non artificiosa: evidenziare che entrambe le società erano attive, e la fusione era solo la conseguenza di una collaborazione già in essere, o dell’appartenenza allo stesso gruppo. Se c’era un rapporto reale (fornitura, joint venture) poi culminato in fusione, è un punto a favore. – Tempistica fisiologica: se tra l’acquisto della società e la fusione è trascorso molto tempo, o la decisione di fondere è arrivata a seguito di mutate condizioni di mercato, si può argomentare che non era tutto preordinato solo per il fisco. – Rispetto norme specifiche: se l’operazione rispetta i requisiti antielusivi specifici (es. test di vitalità per perdite) e magari si è anche pagata l’imposta sostitutiva per il riporto delle perdite eccedenti (opzione concessa dalla legge finanziaria di qualche anno), ciò dimostra la volontà di conformarsi alla legge, riducendo l’ipotesi di abuso generico. – Precedenti positivi: citare decisioni come Cass. 35398/2021, che ha appunto escluso l’abuso in una fusione motivata da riassetto organizzativo e non dal mero abbattimento di imposte . Oppure Cass. 439/2015 per sostenere la liceità di aver scelto la fusione (neutrale) invece di altre operazioni più costose fiscalmente .

In definitiva, se la fusione “incriminata” può essere inserita in un progetto di riorganizzazione aziendale credibile, documentato magari da deliberazioni e piani aziendali dell’epoca, la difesa ha buone chance. Se invece appare come un “matrimonio di convenienza fiscale” tra estranei, è dura convincere.

Caso particolare: Leveraged Buy-Out (LBO) e fusione post-acquisizione

Un caso peculiare di operazione straordinaria è il merger leveraged buy-out (MLBO), ovvero l’acquisizione di una società tramite indebitamento, seguita dalla fusione tra la società target e la società veicolo che ha contratto il debito per comprarla . Questa operazione, dal punto di vista civilistico, è espressamente disciplinata (art. 2501-bis c.c.) ed è lecita purché gli amministratori dichiarino la ragionevolezza dell’indebitamento, ecc. Fiscalmente, l’interesse sta nel fatto che fondendo il veicolo indebitato con la target redditizia, gli interessi passivi sul debito contratto per l’acquisizione diventano deducibili dal reddito della società risultante (ex target) . In sostanza, il costo finanziario dell’operazione di acquisizione viene “scaricato” sul conto economico della società acquisita.

Ciò è perfettamente legittimo se c’è stata una reale acquisizione da terzi: ad esempio un fondo crea Newco, compra la società Target indebitandosi, poi unisce Target e Newco. Qui c’è un nuovo azionista, l’operazione ha un senso (acquisire quell’azienda) e la deducibilità degli interessi è conseguenza naturale. Dov’è l’abuso allora? Diventa sospetto quando l’operazione è fatta in assenza di un vero cambio di controllo o di esigenze economiche. Il classico caso è il leveraged cash-out: i soci di una società vogliono “monetizzare” il loro investimento, e allo stesso tempo ottenere un risparmio fiscale, quindi: – Costituiscono una Newco posseduta da loro stessi. – La Newco si indebita con una banca e acquista la vecchia società (dai medesimi soci, di fatto). – I soci incassano il prezzo (proveniente dal finanziamento). – Si fonde la Newco con la vecchia società: ora quest’ultima si ritrova con il debito e può dedurre gli interessi, mentre la compagine sociale è quasi la stessa di prima .

Il risultato economico? Nessuna nuova attività, nessun nuovo investitore: è la stessa impresa di prima che continua, ma caricata di debito che genera un risparmio fiscale; intanto i vecchi soci hanno incassato liquidità grazie al prestito (realizzando un cash-out, appunto) . Questo schema è considerato altamente sospetto di abuso , e l’Agenzia delle Entrate vi ha dedicato attenzione (circolari e controlli mirati).

Orientamenti giurisprudenziali sugli LBO: La Cassazione ha esaminato vari casi: – Cass. 13914/2023: riguardava proprio un’operazione di LBO con fusione (fusione inversa). La particolarità era che alcuni dei vecchi soci della target erano rimasti come soci di minoranza nella società finale . L’Agenzia sosteneva che ciò indicasse un disegno abusivo (poiché non c’era un totale cambio di controllo, i venditori erano in parte rientrati nell’affare). La Cassazione ha però respinto il ricorso dell’Agenzia, segnalando che la presenza di alcuni vecchi soci non basta di per sé a provare l’abuso se l’operazione nel complesso aveva ragioni industriali valide . La sentenza ha ribadito che l’LBO non è vietato né costituisce automaticamente abuso ; va valutato caso per caso se il veicolo societario aveva o meno una funzione economica reale e se c’è stato effettivo trasferimento di controllo . Importante, la Corte ha anche confermato che, una volta contestato l’abuso, l’onere di provare le valide ragioni extrafiscali spetta al contribuente . Nel caso concreto, sembra che la società abbia convinto i giudici dell’esistenza di una riorganizzazione genuina, per cui l’Agenzia non ha prevalso. – Cass. 18577/2025: è un’ordinanza molto recente (depositata presumibilmente nell’estate 2025) che secondo le anticipazioni avrebbe, al contrario, riconosciuto l’abuso in un’operazione di LBO in cui la deduzione di interessi passivi era l’unico effetto rilevante . Il testo integrale non era ancora pubblico, ma da quanto emerso la Corte avrebbe dichiarato che “configura condotta abusiva ai sensi dell’art. 37-bis DPR 600/1973 (vecchia norma antielusiva, ndr) l’operazione di leveraged buy-out caratterizzata dalla deduzione di interessi passivi […]” . Ciò lascia intendere che in quel caso l’LBO fosse privo di sostanza economica aggiuntiva – forse un tipico caso di cash-out con stessi soggetti – e la Cassazione ha quindi avallato la riqualificazione come abuso. Insomma, se i giudici percepiscono che nulla è cambiato se non aver creato un debito per risparmiare tasse, intervengono.

Difesa in caso di LBO contestato: Se l’Agenzia contesta un LBO come abusivo, il contribuente (spesso la società risultante dalla fusione) dovrà sottolineare: – Che l’acquisizione aveva una logica commerciale: ad esempio, l’ingresso di un investitore finanziario che ha richiesto l’uso della leva; oppure l’operazione ha permesso di rilevare un concorrente grazie al debito. – Che vi è stato un cambio di controllo sostanziale: se i soci di prima sono usciti (incassando il prezzo) e c’è un nuovo proprietario di maggioranza, è difficile dire che l’operazione fosse “auto-prodotta” solo per interessi. È invece un normale buy-out. – Che la fusione post acquisizione ha portato benefici operativi (integrare le strutture, semplificare la catena societaria, ecc.), oltre che essere prevista dal codice civile. – Documentare come è nata la decisione: ad esempio, se c’è un memorandum di una banca o un consiglio di amministrazione che già prima dell’operazione discuteva necessità di vendere l’azienda e l’uso di un veicolo, questo mostra che non è stata un’invenzione posticcia ma un processo ragionato. – Contestare l’interpretazione fiscale dell’Agenzia: ad esempio facendo notare che il legislatore consente l’LBO e, anzi, ha fissato regole civilistiche per farlo in trasparenza; inoltre, la deducibilità degli interessi è comunque soggetta alle normali limitazioni (EBITDA rule, ecc.), dunque non è un vantaggio sine die ma limitato.

In casi di LBO interni (soci identici prima e dopo), onestamente la difesa è complicata, perché l’operazione appare costruita. Ci si può attaccare ad eventuali dettagli (es. se un socio esce davvero, se parte del finanziamento è servito a investimenti ulteriori, se la società pre-acquisizione non aveva capacità di indebitarsi ma con la newco sì, etc.).

Va ricordato che l’Agenzia stessa, in una circolare del 2016, ha ammesso che l’LBO in sé non è abuso, ma invitava i propri uffici a valutare con attenzione i casi in cui “hanno concorso i medesimi soggetti che controllavano la target” . Quindi la presenza degli stessi soggetti prima/dopo è un campanello d’allarme, ma non prova automatica: il contribuente deve far vedere che c’erano comunque motivi validi (es. un passaggio generazionale, un socio da liquidare, ecc. – qualcosa che giustifichi l’operazione al di là delle tasse).

Conclusione fusione/LBO: In generale le fusioni diventano casi di abuso solo in situazioni estreme (società inattive con sole perdite, LBO autoprodotti). La maggioranza delle fusioni, se fatte tra entità effettivamente operanti, con motivazioni aziendali, supera il vaglio. La Cassazione lo ha riconosciuto: “non integrano abuso le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche organizzative, miranti a un miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa” . Tenere documentate queste ragioni è la chiave per difendersi.

Scissioni societarie e assegnazione indiretta di beni ai soci

Vantaggio fiscale tipico: La scissione è l’operazione con cui una società trasferisce parte del suo patrimonio a una o più società beneficiarie (già esistenti o di nuova costituzione), distribuendo corrispondentemente le partecipazioni ai suoi soci. Fiscalmente, la scissione è generalmente neutra (non comporta realizzo di plusvalenze sui beni trasferiti, art. 173 TUIR), e i soci non hanno imposizione immediata. Questo regime di favore può però essere sfruttato per far uscire beni dalla società evitando imposizioni che altrimenti scatterebbero.

Il caso di abuso più frequente nelle scissioni è la “scissione seguita dalla cessione”: uno schema in cui si effettua la scissione di una società in due entità per poi vendere partecipazioni di una (o entrambe) le società risultanti. Spesso il risultato economico finale equivale a un’assegnazione di beni ai soci o a una cessione di beni a terzi, ma ottenuto in modo da ridurre le imposte: – Esempio classico: Tizio è socio unico di Alfa Srl, che possiede immobili. Tizio vuole quei beni o venderli. Se Alfa li assegnasse a Tizio, pagherebbe imposte di registro e plusvalenze. Allora fa così: scinde Alfa in Beta Srl conferendole gli immobili, Tizio resta unico socio di entrambe. Poi vende le quote di Beta Srl (che contengono gli immobili) a un acquirente. In questo modo, invece di vendere immobili (tassazione su plusvalore immobiliare e registro 9%), ha venduto quote societarie (potendo forse avere esenzione PEX o registro fisso). Oppure, anche senza vendita a terzi, Tizio ottiene quei beni in Beta e poi liquida Beta con regime meno oneroso.

Indizi di abuso nella scissione: L’Agenzia guarda soprattutto a: – Temporalità sospetta: se tra la scissione e la successiva cessione (o altra operazione) passa pochissimo tempo e se erano già in corso trattative prima, è indice che era tutto pensato sin dall’inizio (unitarietà del disegno). – Coincidenza soggettiva: se gli stessi soci che detenevano la società originaria sono quelli che beneficiano delle mosse successive (nessun ingresso di nuovi soci, niente cambi rilevanti). – Operazioni a cascata: ad esempio scissione, poi vendita quote, poi fusione, etc., che viste nel complesso realizzano un effetto che direttamente sarebbe stato tassato molto di più. – Beni isolati: se la scissione riguarda solo asset patrimoniali (immobili, liquidità) isolandoli dal resto dell’azienda, senza un vero criterio economico (ad es. dividere linee di business), e subito dopo tali asset vengono trasferiti ai soci o venduti separatamente, appare come un conferimento mascherato agli stessi soci. – Assenza di autonomia delle società post-scissione: se la beneficiaria neo-costituita non svolge alcuna reale attività autonoma dopo la scissione, se viene liquidata poco dopo, se ha sede e organi coincidenti con l’altra, ecc.

Sentenze emblematiche: Un riferimento centrale è Cassazione n. 27709/2022. In tale decisione, la Corte ha giudicato abusiva una scissione totale seguita dalla cessione delle partecipazioni di entrambe le società coinvolte . Il caso riguardava una società immobiliare che aveva scisso tutti i suoi immobili in una beneficiaria nuova, poi: – La scissa (rimasta con alcuni beni) ha riacquistato parte degli immobili venduti alla beneficiaria (movimenti circolari), – Successivamente, il socio ha ceduto a terzi sia la partecipazione nella beneficiaria che quella nella scissa , di fatto realizzando l’uscita degli immobili dal perimetro societario originario.

La Cassazione, confermando l’approccio dell’Agenzia, ha ritenuto l’operazione elusiva, affermando che occorre guardare all’intero significato economico: se non c’è “autonomia concreta delle singole operazioni”, bisogna valutarle nel complesso . Ha sottolineato la prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica tributaria : il fatto che la scissione sia neutrale per legge non impedisce di giudicare il disegno complessivo come elusivo ex art. 37-bis / 10-bis . In particolare, la Corte ha sancito il principio che “se non è evincibile un’autonoma giustificazione economica delle singole operazioni, va considerato il significato economico complessivo, anche ai fini di identificarne l’abusività” . Nel caso concreto, quell’insieme di atti aveva come vero fine l’aggiramento delle norme sull’assegnazione di beni ai soci (evitando la tassazione che sarebbe scattata in un’assegnazione diretta) . Inoltre, la Cassazione ha ribadito che l’onere di provare il disegno abusivo è dell’Agenzia, ma non deve dimostrare la preordinazione ex ante di tutti i passaggi: può essere sufficiente individuare un collegamento teleologico (anche tramite accordi) tra atti che magari cronologicamente sono successivi .

Un altro esempio: Cass. Sez. Un. 5089/2025 (civile, non fiscale) – ha a che fare col tema delle scissioni e tutela dei creditori, ma menzioniamola perché indica la tendenza a considerare certe scissioni come “operazioni equivalenti a un trasferimento di beni” anche per ammettere azioni revocatorie. In quell’ambito, la Cassazione a SS.UU. ha affermato che una scissione può essere revocata se fatta per sottrarre garanzie ai creditori, segno che anche la giurisprudenza civile percepisce possibili abusi nelle scissioni, al di là del velo formale (non entriamo oltre nei dettagli, perché è fuori dall’ambito fiscale, ma concettualmente parallelo).

Difese possibili nelle scissioni: Il contribuente che si vede contestare un abuso in una scissione deve puntare a provare che non si trattava di un artificio per far uscire beni a tassazione ridotta, ma che la scissione aveva motivazioni valide: – Motivi organizzativi: ad esempio separare due rami d’azienda diversi (per gestioni differenti, per far entrare nuovi soci in uno dei due rami, per preparare una quotazione di un segmento, ecc.). Se c’era un piano industriale di scissione, presentato a banche o partner, questo aiuta. – Tempistica distesa: se tra la scissione e la successiva operazione (vendita, ecc.) è trascorso molto tempo, o se la vendita non era affatto pianificata al momento della scissione, si può sostenere che l’intento elusivo non c’era originariamente. Ad esempio: scissione fatta nel 2020 per ragioni interne; poi nel 2023, casualmente, arriva un’offerta per comprare una delle due società: non era tutto orchestrato ex ante, ma un evento successivo. – Autonomia sostanziale: evidenziare che la società scissa e la beneficiaria avevano ciascuna una vita propria anche dopo la scissione. Se entrambe hanno proseguito attività economiche genuine per un periodo, ciò contrasta con la tesi che la scissione fosse meramente strumentale. – Coinvolgimento di terzi indipendenti: per esempio, se nella scissione entrò un nuovo socio (anche di minoranza) nella beneficiaria, o se gli amministratori delle due società erano diversi, sono segnali di maggiore sostanza. – Norme agevolative ad hoc: talvolta il legislatore ha introdotto regimi di esenzione per assegnazioni o trasformazioni in società semplice (come la L. 208/2015 e L. 197/2022 per assegnazioni agevolate di beni ai soci). Se la vostra operazione rientrava in una di queste, siete coperti dalla legge. Ma se avete usato la scissione proprio per evitare di pagare quanto dovuto in mancanza dell’agevolazione, allora la posizione è debole.

Esempio di difesa concreta: poniamo che l’Agenzia contesti a due fratelli, soci di un’azienda familiare, di aver scisso la società in due (dividendosi gli asset) per poi vendere separatamente le due nuove società, evitando imposte. Se i fratelli riescono a mostrare che la decisione di scindere è nata da litigi familiari o divergenze gestionali – volevano separare le strade imprenditoriali – e che già prima della vendita ciascuno gestiva il suo ramo autonomamente, l’operazione assume un senso economico proprio (litigiosità risolta dividendo il patrimonio). La successiva vendita può essere presentata come opportunità colta dopo, non come scopo iniziale. Se invece emergesse che già prima di scindersi avevano contatti con compratori interessati a pezzi del gruppo ma non a tutto, allora è più problematico.

Conferimenti di beni seguiti da cessione (share deal vs asset deal)

Vantaggio fiscale tipico: Questo è un classico dell’elusione fiscale: un soggetto (persona fisica o società) che possiede un bene (azienda, immobile, partecipazione) suscettibile di generare una plusvalenza tassabile se venduto direttamente, decide di conferirlo in una nuova società per poi cedere le partecipazioni in luogo del bene stesso. L’idea è sfruttare regimi più favorevoli: – Il conferimento di per sé può avvenire in neutralità fiscale (se fatto in regime di realizzo controllato ex art. 175 o 176 TUIR, la plusvalenza può non emergere immediatamente). – La successiva cessione delle quote della società conferitaria può beneficiare di tassazione ridotta o nulla (ad esempio, se il cedente è una società che ha i requisiti per la participation exemption – PEX – esenta il 95% della plusvalenza; oppure se il cedente è persona fisica, la cessione di partecipazioni può godere di aliquote diverse o esclusioni, specie in passato con esenzione parziale).

In sintesi, invece di vendere un asset con tassazione piena, lo si “impacchetta” dentro una società e si vende la scatola, risparmiando. Questo schema è noto e la sua abusività dipende molto da come è attuato: – Se c’è un intervallo brevissimo tra conferimento e vendita (tipo: conferisco oggi, tra un mese vendo le quote con contratto già pronto), è indice fortissimo di abuso. – Se la società conferitaria è creata ad hoc, senza altra attività. – Se i soci acquirenti delle quote sono sostanzialmente gli stessi che avrebbero comprato il bene (es. volevano l’immobile, ma comprano la società che ha solo quell’immobile). – Se il conferimento è avvenuto a valori diversi da quelli di mercato per aggiustare il carico fiscale (under/overvalutazioni, che però l’art. 9 TUIR in parte impedisce perché impone il valore normale).

Sentenze e orientamenti: La Cassazione ha affrontato numerosissimi casi del genere, consolidando alcuni principi: – Operazione conferimento + cessione = non di per sé abuso. Occorre sempre verificare la presenza di valide ragioni. In alcune pronunce, specie post 2015, la Cassazione ha riconosciuto la liceità di tali operazioni quando inserite in più ampie riorganizzazioni e non finalizzate unicamente a risparmiare imposte . Ad esempio, se il conferimento serviva a creare una joint venture con un altro socio e la cessione è parte di quell’accordo, può essere legittimo. – Schema base considerato abusivo: Cass. 29975/2019, Cass. 36377/2021, Cass. 3281/2023 – sono tutte decisioni in cui la Suprema Corte ha dato ragione al Fisco in situazioni dove una società conferente costituisce una Newco, vi conferisce un bene, e poco dopo vende l’intero pacchetto di quote a un terzo, in circostanze che indicavano chiaramente l’intento elusivo . In Cass. 3281/2023, ad esempio, il caso riguardava una società che aveva conferito terreni in una srl nuova, detenuta in gran parte dagli stessi soci, costituita pochi mesi prima, e subito dopo aveva venduto tutte le quote per un importo molto alto rispetto al valore dei terreni conferiti . Elementi come il brevissimo intervallo temporale, la newco inattiva creata solo per quell’operazione, la sovrapposizione soggettiva (soci coincidenti), e un preliminare di cessione quote sottoscritto immediatamente dopo il conferimento, hanno portato la Cassazione a concludere per l’assenza di sostanza economica: “la newco non fu creata per un progetto industriale autonomo, ma solo per incapsulare il terreno e rivenderlo in forma di quote, abbattendo l’imposta” . Dunque abuso del diritto, da sanzionare secondo l’art. 37-bis (all’epoca) e oggi 10-bis . – Onere della prova e valutazione: La Cassazione ha sottolineato che non basta la mera sequenza “conferimento-segui-to da cessione” per dichiarare un abuso: va sempre verificato se il conferimento avesse un ruolo economico distinto dalla successiva vendita . Tuttavia, una concentrazione di indizi (tempo ravvicinato, mancanza di attività propria della newco, transazione con parti correlate) sposta decisamente l’ago verso l’elusività. In quelle circostanze, il contribuente può tentare di portare giustificazioni, ma devono essere solide.

Possibili ragioni extrafiscali: Quali potrebbero essere motivazioni genuine per un conferimento seguito da cessione? Eccone alcune: – Ingresso di nuovi soci/investitori: ad esempio, un imprenditore conferisce la propria azienda in una Newco in cui un fondo investirà comprando quote. Il conferimento può essere stato richiesto dal fondo per ottenere una struttura societaria chiara (invece di acquistare l’azienda come ramo). Qui c’è una logica di operazione straordinaria di finanza. – Segregazione di asset: se la società originaria aveva più asset e intendeva venderne uno, conferendolo prima in una società separata tutela il resto dell’azienda da implicazioni (debiti, garanzie). Questo può essere un valido motivo, sebbene si debba poi spiegare perché non vendere l’asset direttamente (magari l’acquirente preferiva acquisire la società per continuità di contratti, licenze, etc.). – Passaggio generazionale o riorganizzazione familiare: a volte il conferimento serve a dividere patrimoni tra familiari (es. conferisco un immobile in una srl intestata ai figli, poi i figli vendono le quote). Se c’erano accordi familiari pregressi, questo può costituire ragione. – Regolarizzazione contabile/fiscale: è raro, ma se un bene era “misto” o difficile da vendere tal quale, metterlo in una società potrebbe dare struttura (ad es. immobili frazionati in comproprietà, conferiti in una società per vendere quote invece di fare atti frazionati).

Difese nella pratica: Tornando alle sentenze, queste suggeriscono i punti su cui insistere: – Documentare le ragioni: se esisteva una corrispondenza con potenziali acquirenti in cui emerge che volevano la società e non i beni singoli (magari per subentrare in rapporti di lavoro, contratti in essere, ecc.), mostrarlo. Se fu richiesto dall’acquirente di fare prima un conferimento, questo indica uno scopo commerciale. – Mostrare differenze dallo schema abusivo ricorrente: per es., se un terzo indipendente deteneva una quota della newco già prima della vendita (cioè non era totalmente “in famiglia”), evidenziarlo. In Cass. 3281/2023 il contribuente provò a dire che c’era un socio di minoranza estraneo, ma la Cassazione non lo ritenne sufficiente . Tuttavia, se nel vostro caso la partecipazione di terzi era significativa e indicativa di partnership, potrebbe avere peso. – Intervallo temporale: più lungo è, meglio è. Se la cessione è avvenuta, poniamo, due anni dopo il conferimento, con la società nel mezzo che ha svolto attività (anche minima, come affittare l’immobile, gestire l’azienda conferita), già si indebolisce la tesi della preordinazione. Portare bilanci, report di gestione della newco che mostrano operatività. – Selezione delle alternative lecite: si può argomentare, come linea aggiuntiva, che l’ordinamento offriva questa possibilità (conferimento + PEX) e che la scelta è caduta su di essa come qualsiasi contribuente razionale avrebbe fatto. Tuttavia questa linea da sola non vince (Cass. ha chiarito che se l’unico motivo è fiscale, non vale dire “la legge lo consentiva” perché lo consentiva per chi ha vere ragioni extra-fiscali). Ma se coniugata ad altri fattori, può aiutare a far apparire l’operazione come una tra varie opzioni lecite scelte anche per motivi gestionali.

Caso difensivo riuscito: Vi sono pronunce (di merito, confermate implicitamente in Cassazione) dove il contribuente ha vinto. Ad esempio, in alcune Commissioni Tributarie post-2015, un conferimento seguito da cessione è stato ritenuto non abusivo perché faceva parte di un progetto più ampio di ristrutturazione del gruppo, con ingresso di nuovi soci e finanziatori, e le ragioni extrafiscali sono risultate prevalenti . La differenza l’ha fatta la prova e la credibilità di queste ragioni . Se si riesce a convincere il giudice che l’operazione sarebbe stata fatta anche senza il vantaggio fiscale, magari per ragioni strategiche imperative, allora non è abuso.

Trasformazioni societarie con cambio di regime fiscale

La trasformazione consiste nel mutamento della forma giuridica di un ente (da società di persone a capitale o viceversa, da ente non commerciale a società, ecc.) mantenendo la continuità dei rapporti giuridici. Di per sé è neutrale fiscalmente: non si genera realizzo di plusvalenze perché il soggetto giuridico è lo stesso, sebbene cambi tipo. Tuttavia, una trasformazione può essere utilizzata per cambiare il regime fiscale applicabile a determinati redditi o operazioni future, con possibili vantaggi elusivi.

Casi tipici di sospetto abuso nella trasformazione:Trasformazione eterogenea in società semplice: Questo caso è salito all’attenzione negli ultimi anni. Una società commerciale (soggetta IRES) che possiede immobili può trasformarsi in società semplice (ente non commerciale) per poi vendere quegli immobili o assegnarli ai soci con un trattamento fiscale differente. La società semplice, se svolge solo gestione di beni propri, non è soggetta a IRES; la vendita di un immobile da parte di una società semplice potrebbe essere qualificata come operazione fuori dal reddito d’impresa (se l’immobile non è strumentale per natura) e quindi potenzialmente non tassata (o tassata in capo ai soci con regole di tassazione separata delle plusvalenze come redditi diversi, spesso con esenzioni temporali). Insomma, trasformando una Srl in società semplice, si esce dal regime d’impresa e si cerca di far tassare i beni come patrimonio privato. Il Fisco vede molto male queste operazioni se fatte alla vigilia di cessioni di immobili, ritenendole finalizzate solo ad aggirare la tassazione d’impresa sulle plusvalenze. – Trasformazione da società di persone a società di capitali per accedere a regimi fiscali societari: Un esempio concreto è la vicenda già citata della società Superlana. Lì, una SAS (società di persone) si è trasformata in SRL poco prima di vendere immobili e successivamente ha optato per il consolidato fiscale con una controllata in perdita, compensando la plusvalenza . Se fosse rimasta SAS, non avrebbe potuto consolidare con la SpA; trasformandosi in SRL ha usufruito di un regime fiscale (tassazione di gruppo) per abbattere le imposte . La Cassazione ha considerato abusivo questo comportamento, perché la trasformazione appariva strumentale solo all’utilizzo di perdite e non sorretta da ragioni imprenditoriali (la società svolgeva la stessa attività di prima, solo con un’altra veste) . – Trasformazioni prima di cessioni di partecipazioni: Immaginiamo una società di persone che detiene partecipazioni rivalutate o acquisite a poco. Se si trasforma in società di capitali e poi cede le partecipazioni, la plusvalenza realizzata viene tassata diversamente (nelle società di capitali vige il regime PEX, nelle persone fisiche e società di persone no, o comunque in modo diverso). Ciò potrebbe ridurre la tassazione dal 26% pieno (persona fisica) a 1.2% effettivo (PEX 5% imponibile al 24%). Operazioni di questo tipo potrebbero essere viste come cambio di abito per godere della PEX su una vendita già in vista.

Sentenze e orientamenti:Cass. 17743/2021 (caso Superlana): La Corte ha chiaramente affermato che anche la trasformazione societaria può rientrare tra le operazioni abusive, se inserita in un disegno elusivo . Ha respinto l’argomento della difesa secondo cui la trasformazione, non essendo espressamente menzionata dall’art. 37-bis (vecchia norma antielusiva), non fosse sindacabile . La Cassazione ha detto: non esiste una tassatività, qualsiasi operazione, anche lecita e di per sé neutrale, può essere contestata se parte di un insieme abusivo . Nel caso concreto, la SAS trasformata in SRL il 5 dicembre 2005, vendendo immobili subito dopo e poi consolidando con una controllata in perdita, è stata vista come condotta abusiva finalizzata a compensare la plusvalenza eccezionale realizzata con le perdite altrimenti inutilizzabili . La Corte ha rimarcato che senza quella trasformazione la società non avrebbe potuto aderire al consolidato e quindi non avrebbe “beneficiato” delle perdite . Questo è un caso da manuale di trasformazione usata per cambiare le regole del gioco fiscale a metà partita. – Cass. 2284/2025: Non abbiamo il testo, ma sembra dal titolo (Osservatorio Giust. Trib.) riguardare “abuso della personalità giuridica”, forse proprio casi di trasformazione in società semplice come abuso di diritto. È plausibile che Cassazione recente si sia espressa su questo, dati i casi noti e anche articoli di stampa specialistica (nel 2023 l’ex viceministro Zanetti ha pubblicato un’analisi su casi di trasformazione in società semplice e cessioni di immobili, suggerendo che non sempre è abuso “a priori” ma va valutato ). Pare comunque che l’Agenzia veda come “alternativa all’assegnazione ai soci” la catena trasformazione in semplice + cessione immobili , e quindi suscettibile di contestazione se fatta con quell’intento.

Difese possibili nelle trasformazioni:Motivi giuridici o regolamentari: A volte la trasformazione è imposta da esigenze normative (es. trasformarsi in SpA per accedere a certe licenze, o in Ente non commerciale per perseguire fini istituzionali). Se il fine primario è questo e non fiscale, va sottolineato. – Evidenziare differenze di sostanza: Nel caso delle società semplici, un argomento difensivo è che il legislatore stesso ha riaperto la possibilità di trasformare società commerciali in società semplici con un regime fiscale agevolato (leggi di bilancio 2016 e 2023) . Ciò implica che non è illecito in sé usare la società semplice come punto di arrivo di un disinvestimento societario. Se la vostra operazione rientrava in quel regime agevolato (trasformazione agevolata), allora eravate in piena legalità. Se non rientrava, dovrete spiegare perché avete trasformato: ad esempio, la società aveva cessato l’attività imprenditoriale e volevate gestire il patrimonio in modo semplice, senza più essere soggetti a IRES e contabilità ordinaria. Questo può essere considerato un motivo (anche se l’Agenzia potrebbe replicare che l’unico scopo era pagare meno tasse sulle plusvalenze di realizzo). – Fatti successivi: Se dopo la trasformazione l’ente trasformato ha continuato per un tempo significativo a esistere prima di vendere/liquidare, ciò aiuta ad affermare che non fu fatto tutto solo per evitare imposte immediate. Ad esempio: SRL a fine attività si trasforma in società semplice nel 2020 per gestire gli immobili residui; poi li vende nel 2025. Cinque anni di gestione come semplice possono testimoniare che l’obiettivo principale era semplificare la struttura (uscire dal regime d’impresa) e non un singolo risparmio fiscale. – Alternativa lecita prevista: in parallelo all’argomento sopra, se la trasformazione è avvenuta in un periodo in cui era aperta un’agevolazione per assegnazione ai soci, ma la società non ne ha usufruito e ha scelto la trasformazione, potrebbe sostenere di averlo fatto perché aveva ragioni organizzative (la società semplice permette ai soci di cogestire il patrimonio come contitolarità flessibile). Difficile però: l’Agenzia direbbe che avete scelto quell’alternativa perché ancora meno costosa dell’assegnazione agevolata, dunque segno di volontà elusiva. – Nessun danno erariale effettivo: argomento residuale: se dimostro che la trasformazione non ha portato in concreto a un risparmio d’imposta significativo rispetto a ipotesi alternative (perché magari i beni venduti erano esenti comunque, o le plusvalenze erano modeste), posso cercare di minimizzare la portata dell’abuso. La Cassazione però non richiede una quantificazione enorme, basta sia indebito vantaggio anche piccolo, quindi attenzione.

Esempio pratico difensivo su trasformazione: supponiamo una SNC familiare che si trasforma in SRL perché intende aprirsi a nuovi investitori (i quali volevano investire solo in una SRL per responsabilità limitata). Dopo la trasformazione, effettivamente entra un nuovo socio con 30% di quote. Se poi la SRL vende un immobile utilizzando la PEX (che prima come SNC non avrebbe avuto), l’Agenzia potrebbe insinuare l’abuso. Ma la difesa sarà: “Abbiamo trasformato per ragioni di business (nuovo socio), non certo per quell’immobile, la cui vendita è stata decisa dopo, e comunque il nuovo socio non sarebbe entrato se la società fosse rimasta SNC”. Qui la presenza di un terzo investitore e i documenti dell’operazione societaria sarebbero prove forti di una motivazione extra-fiscale reale.

Strategie di difesa del contribuente e best practice

Dalle analisi svolte sulle varie operazioni emergono alcuni principi generali per difendersi efficacemente da contestazioni di abuso di diritto. Riassumiamo le strategie difensive e i comportamenti prudenti (“best practice”) che un contribuente – e il suo consulente – dovrebbero adottare:

  • Documentare sempre le ragioni economico-giuridiche delle operazioni straordinarie. Ogni volta che si intraprende una fusione, scissione, conferimento, etc., è buona norma predisporre una relazione illustrativa o quantomeno mettere a verbale in assemblea o consiglio di amministrazione le motivazioni dell’operazione: obiettivi attesi (sinergie, ristrutturazione debiti, passaggi generazionali, acquisizioni, ecc.). Questa documentazione, redatta prima o contestualmente all’operazione, avrà grande peso probatorio in caso di futura contestazione. Ad esempio, se un verbale CDA delibera una scissione “per meglio focalizzare due linee di business e attrarre investitori differenti per ciascuna”, ciò potrà essere mostrato al Fisco come prova di ragioni extrafiscali non marginali (sempre che poi coerentemente magari ci siano stati tentativi di ricerca investitori, ecc.).
  • Evitare schemi troppo complessi o affrettati senza reale necessità. Le operazioni a rischio abuso spesso presentano una sequenza rapida e articolata di atti (es. costituisci newco, conferisci, vendi, fondi, liquidi… il tutto in pochi mesi) difficilmente giustificabile se non con l’intento fiscale. Quando possibile, diluire nel tempo le operazioni e far sì che ciascuna abbia una vita propria prima di innescare la successiva: questo non solo rende più credibile la genuinità, ma a volte fa proprio decadere l’interesse dell’Agenzia (che tende a concentrarsi su operazioni ravvicinate e chiaramente collegate).
  • Coinvolgere professionalità e ottenere pareri preventivi. Se l’operazione è complessa o potenzialmente borderline, far redigere un parere legale o fiscale scritto da un professionista può servire sia a indirizzarvi (se il parere segnala rischio abuso, magari correggete il tiro prima) sia come prova di bona fide e di incertezza interpretativa se poi sorgono problemi. Allo stesso modo, come già detto, considerare l’interpello: se l’Agenzia vi risponde “tutto ok”, dormirete sereni; se risponde male, potete riconsiderare l’operazione prima di attuarla e incorrere in sanzioni.
  • Rispetto formale di tutte le norme specifiche e sostanziali. Banale ma importante: assicuratevi di essere perfettamente in regola con le norme speciali (es. test di vitalità per perdite in fusione, perizie richieste per conferimenti, comunicazioni ai soci e creditori in scissioni, cautele LBO ex art. 2501-bis c.c. , ecc.). Una operazione formalmente regolare è il punto di partenza: se emergono invece violazioni formali, l’Agenzia potrebbe attaccarsi ad esse e i giudici potrebbero considerarle ulteriori indizi di intenti illeciti.
  • Trasparenza e sostanza: preferire operazioni con un senso economico concreto e, se possibile, con controparti o elementi di terzietà. Ad esempio, se dovete far uscire un immobile dalla società, è meno sospetto venderlo a valori di mercato a un terzo, piuttosto che fare giri intestini. Se volete incorporare una società con perdite, magari prima fate in modo che quella società riprenda un’attività reale (non per finta ovvio, ma cercando di riattivarne il business): se proprio quell’attività non decolla e poi incorporate, avrete almeno argomenti per dire che l’intento iniziale era di recuperare l’azienda, non solo le perdite.
  • Contraddittorio ben preparato: Se arriva la contestazione, non dare per scontato che “tanto l’Agenzia farà l’atto lo stesso”. Spesso una memoria difensiva ben fatta può portare la Direzione regionale o gli uffici legali interni a soprassedere. Nella memoria, usare un tono tecnico e collaborativo: riconoscere magari i principi generali (nessuno vuole negare l’abuso in astratto), ma spiegare perché nel vostro caso specifico manca quell’indebito vantaggio o c’è sostanza economica. Portare numeri (es. “senza l’operazione avrei pagato X, con ho pagato Y, la differenza non è enorme”), precedenti giurisprudenziali (come citato diffusamente prima) e documenti.
  • Valutare accordi: se l’Agenzia appare inamovibile e la questione rischia di essere persa in giudizio, considerare con mente fredda l’accertamento con adesione. Non è una sconfitta, è spesso un compromesso conveniente: si chiude il caso, sanzioni ridotte, niente pubblicità negativa (per i casi più grandi), si evita il rischio di creare un precedente giudiziario sfavorevole. Viceversa, se siete convinti della vostra posizione, preparatevi a sostenere la causa fino in Cassazione, perché l’abuso è materia delicata e non sempre i primi gradi applicano uniformemente i principi.

In conclusione, dal punto di vista del contribuente, la difesa dall’abuso di diritto si basa su due pilastri: prevenzione (operare correttamente e documentare) e, se necessario, reazione (far valere le proprie ragioni nel contraddittorio e nel processo). L’importante è non farsi trovare completamente sprovvisti di argomenti: se un’operazione è stata fatta solo per risparmiare tasse, senza alcun altro scopo, onestamente sarà difficile costruire una difesa solida. Ma se c’era anche un solido driver economico o personale, quello deve emergere chiaramente.

Di seguito, per fissare le idee, proponiamo alcune tabelle riepilogative e una sezione FAQ (Domande e Risposte) sugli aspetti più importanti.

Tabelle riepilogative

Tabella 1 – Confronto tra evasione fiscale, abuso del diritto e risparmio fiscale legittimo

CaratteristicaEvasione fiscaleAbuso del diritto (elusione)Risparmio fiscale legittimo
Condotta verso la leggeViolazione aperta di norme (illecito) – es: omessa dichiarazione, false fatture.Rispetto formale delle norme ma uso distorto contro la loro finalità.Scelta di opzioni o percorsi previsti dalla legge stessa.
Mezzo utilizzatoOccultamento di redditi, simulazione, frode (es. doppia contabilità).Struttura giuridica reale ma artificiosa, priva di sostanza economica.Operazione reale con sostanza, semplicemente fiscalmente più vantaggiosa.
FinalitàNon pagare imposte dovute (intento illecito).Ottenere vantaggi fiscali indebiti (in contrasto con spirito norme).Ottenere un risparmio d’imposta consentito dall’ordinamento.
EsempioNon dichiarare ricavi da affitti percepiti.Conferire un bene in società e rivendere le quote per eludere tasse sul bene.Scegliere regime forfetario invece di ordinario se ne ho i requisiti, oppure localizzare impianto in zona con incentivi fiscali.
Conseguenze giuridicheSanzioni amministrative e anche penali (se supera soglie o uso di frodi).Sanzioni amministrative (no penali) – disconoscimento vantaggi fiscali.Nessuna conseguenza negativa (condotta lecita).
Onere della provaIn capo al Fisco, ma spesso invertito da presunzioni legali (es. verifiche con movimenti bancari).Fisco prova la costruzione elusiva; contribuente può provare ragioni extrafiscali reali .Non applicabile (situazione lecita di base).
Procedura di contestazioneNormale accertamento (spesso senza contraddittorio preventivo).Procedura ex art. 10-bis con obbligo di comunicazione e contraddittorio .Non c’è contestazione.
Rischio per contribuenteMolto alto: imposte evase + sanzioni elevate + possibile processo penale.Medio: imposte risparmiate da restituire + interessi + sanzione 90%-180% (riducibile) . No penale.Nessun rischio (scelta consentita).

Tabella 2 – Operazioni straordinarie e possibili profili di abuso di diritto

Operazione straordinariaVantaggio fiscale ricercatoIndici di possibile abusoSentenze/Principi rilevantiDifesa e note
Fusione societaria (incorporazione o unione)Uso di perdite fiscali pregresse di una società per ridurre gli utili tassabili dell’altra; step-up di valori fiscalmente neutro.– Società incorporata inattiva o senza “vitalità” (perdite “bare fiscali”). <br>– Fusione subito dopo acquisizione di una società solo per sfruttarne perdite. <br>– Nessuna integrazione operativa reale post-fusione.Cass. 35398/2021: fusione per razionalizzare gruppo lecita se ha vantaggi extrafiscali (semplificazione) . <br>Cass. 1035/2023: su riporto perdite, necessario verificare vitalità e ragioni economiche. <br>Cass. 17743/2021 (Superlana): schema trasformazione+fusione per usare perdite abusivo .– Mostrare sinergie (riduzione costi, unificazione funzioni) derivanti dalla fusione. <br>– Evidenziare che l’operazione era pianificata per motivi industriali (documenti interni). <br>– Se rispettati test di legge (es. test vitalità), sottolinearlo.
Leveraged Buy-Out (LBO) (acquisizione con indebitamento e fusione)Deducibilità degli interessi sul debito di acquisizione attraverso la fusione con la target (spostamento del debito in capo alla target con utili).– Acquisizione effettuata da Newco con debito ma stessi soci della target (LBO “domestico”). <br>– Nessun reale nuovo investitore né nuova strategia, solo i vecchi soci che incassano denaro e la società che si ritrova indebitata.Cass. 13914/2023: LBO non abusivo se funzionale a reale acquisizione; presenza di vecchi soci di minoranza non basta a provare abuso . <br>Cass. 18577/2025: riconosciuto abuso in LBO con interessi passivi dedotti senza sostanza economica (LBO “autoreferenziale”) .– Dimostrare che c’è stato un cambio di controllo genuino (nuovi azionisti indipendenti). <br>– Giustificare l’indebitamento come necessario per finanziarie l’acquisizione (es. target strategica). <br>– Se vecchi soci rimasti, argomentare loro ruolo minoritario o tecnico. <br>– Far emergere qualsiasi utilità economica (es. fusione ha ottimizzato la struttura post-acquisizione).
Scissione societaria (parziale o totale)Assegnazione di beni ai soci senza passare per tassazione di liquidazione/assegnazione; <br>Cessione frazionata di asset evitando vendita diretta più onerosa (ad es. vendere quote invece di immobili).Scissione seguita da cessione di partecipazioni in breve tempo (specie se entrambe le società scaturite vendute a stesso acquirente). <br>– Scissione di soli asset (es. immobili) senza ragioni industriali (es. non divisione di business). <br>– Beneficiaria di nuova costituzione inattiva, liquidata dopo poco.Cass. 27709/2022: scissione con immediata cessione di partecipazioni considerata abusiva; valutazione dell’operazione nel suo complesso (assegnazione beni ai soci mascherata) . <br>Cass. 5089/2025 SS.UU.: (civile) ammissibile revocatoria scissione che danneggia creditori (concetto di operazione funzionalmente equivalente a distribuzione).– Argomentare ragioni organizzative della scissione (es. separare attività diverse, risolvere contrasti tra soci, ecc.). <br>– Sottolineare eventuale intervallo temporale ampio tra scissione e cessioni successive. <br>– Mostrare che entrambe le società post-scissione hanno operato realmente. <br>– Se l’operazione mirava a regolarizzare posizioni (es. dare autonomia a un ramo familiare), evidenziarlo.
Conferimento di beni/aziende seguito da cessione quoteDifferimento o riduzione della tassazione della plusvalenza: <br>– Conferimento in neutralità (o semi-neutralità) <br>– Cessione partecipazioni con PEX (95% esente se società) o tassazione capitale (spesso inferiore a tassazione reddito ordinario).Contesto unitario: conferimento e vendita ravvicinati, magari già accordati tramite preliminare . <br>– Newco conferitaria senza attività pregressa, creata ad hoc dai medesimi soci. <br>– Valorizzazione nel conferimento strategica (tentativo di under/overvalutare). <br>– Acquirente delle quote sostanzialmente interessato ai beni sottostanti.Cass. 3281/2023: conferimento terreni in newco e vendita immediata quote = abuso, newco “contenitore” privo di scopi autonomi . <br>Cass. 29975/2019; 36377/2021: varie conferme dell’abuso in schemi analoghi (quando mancano ragioni extra). <br>Principio generale: se conferimento-cessione è mera alternativa a cessione diretta per risparmiare imposte, è contestabile .– Dimostrare che il conferimento aveva un ruolo (es. propedeutico a joint venture, permettere ingresso socio, ristrutturazione societaria più ampia). <br>– Evidenziare eventuali differenze: presenza di soci terzi, intervallo temporale significativo tra conferimento e cessione. <br>– Documentare se l’acquirente richiedeva l’acquisto della società intera per continuità contrattuale, ecc. <br>– Mostrare che l’operazione non ha portato vantaggi indebitamente maggiori di opzioni comunque disponibili (argomento secondario).
Trasformazione societaria (es. da Snc a Srl, da Srl a società semplice, ecc.)Cambio di regime fiscale: <br>– Da ente commerciale a non commerciale: uscire da tassazione IRES su future plusvalenze. <br>– Da società di persone a capitali: accedere a PEX, consolidato fiscale, aliquota IRES fissa invece di IRPEF soci. <br>– Viceversa da capitali a persone: sfruttare trasparenza o regimi di favor che dipendono dal tipo sociale.– Trasformazione effettuata immediatamente prima di una vendita di asset o partecipazioni di rilievo. <br>– Nessun cambiamento reale nell’attività, solo forma giuridica differente e subito dopo eventi straordinari con vantaggi fiscali. <br>– Operazione contraria alla sua funzione tipica (es. trasformarsi in società semplice e subito vendere tutti gli immobili, sembra alternativa occultata all’assegnazione ai soci).Cass. 17743/2021: trasformazione Sas in Srl seguita da vendita immobili e consolidato per compensare plusvalenza = abuso; clausola antielusiva applicabile anche a operazioni non nominate, ciò che conta è il fine concreto . <br>Giur. di merito: diverse cause su trasformazioni in società semplice (alcune pro Fisco, altre pro contribuente se c’era sostanza). <br>Atto MEF 2025: ribadisce che scelte di forma possono essere sindacate se producono vantaggio indebito senza valide ragioni .– Fornire ragioni sostanziali della trasformazione: es. esigenza di responsabilità limitata, volontà di cessare attività d’impresa e gestire solo patrimonio (nel caso società semplice), necessità di accesso a mercato dei capitali, ecc. <br>– Mostrare che l’operazione è stata pianificata indipendentemente dal fattore fiscale (es. deliberata prima ancora di sapere della vendita asset). <br>– Se dopo la trasformazione la società ha continuato ad operare per un periodo considerevole prima dell’evento fiscale sospetto, evidenziarlo per negare la preordinazione. <br>– Se l’ordinamento prevedeva un regime agevolato alternativo (assegnazione beni, ecc.) e la scelta della trasformazione è caduta per motivi non fiscali (governance, ecc.), spiegarlo.

N.B.: Le sentenze Cass. citate sono tutte Sez. Trib. (V) salvo diversa indicazione. Le motivazioni vanno lette nel loro insieme; qui sono estratti i concetti chiave rilevanti per ciascun tema.

Domande frequenti (FAQ)

  • D: Che cos’è esattamente l’abuso del diritto in ambito tributario?
    R: È l’uso improprio di operazioni giuridiche formalmente lecite al solo scopo di ottenere un risparmio fiscale indebito, ossia contrario alla ratio delle norme tributarie . In pratica il contribuente costruisce a tavolino schemi complessi, privi di sostanza economica reale, solo per pagare meno tasse, pur senza violare nessuna norma in modo letterale. Se ci sono però ragioni economiche concrete a giustificare l’operazione (oltre al vantaggio fiscale), allora non si configura abuso. L’art. 10-bis L.212/2000 codifica questa figura, richiedendo tre condizioni congiunte: vantaggio fiscale indebito, assenza di sostanza economica e assenza di motivazioni extrafiscali non marginali .
  • D: In cosa si differenzia l’abuso dall’evasione fiscale tradizionale?
    R: L’evasione comporta una violazione esplicita della legge fiscale – ad esempio omettere di dichiarare redditi, annotare false fatture, ecc. – ed è spesso perseguibile anche penalmente. L’abuso invece rispetta la lettera della legge: il contribuente compie atti consentiti (fusioni, vendite, trasformazioni…), ma secondo il Fisco ne abusa perché li combina in modo artificioso, tradendo lo scopo delle norme per ridurre l’imposta . Non c’è quindi un illecito penale nell’abuso (nessuna frode o falso), ma solo un illecito “strumentale”: si aggira il sistema senza infrangerlo apertamente. In sintesi: l’evasore nasconde o falsifica (illecito attivo), l’elusore simula strutture vuote (illecito “strumentale”).
  • D: È vero che non si può essere sanzionati per abuso del diritto perché in fondo ho rispettato la legge?
    R: No, è un malinteso comune. L’art. 10-bis, comma 13, Statuto contribuente stabilisce sì che le condotte abusive non configurano reati tributari penali, ma le sanzioni amministrative restano dovute . Quindi, se un’operazione viene contestata come abuso, il contribuente dovrà pagare le imposte evitate più gli interessi e sarà in genere soggetto a una sanzione amministrativa (di regola quella per dichiarazione infedele, 90% dell’imposta, riducibile) . Solo in situazioni particolari (es. obiettiva incertezza sulla norma, buona fede comprovata) si potrebbe ottenere l’esenzione da sanzioni, ma va dimostrato. In ogni caso, nessuna sanzione penale: l’abuso non manda nessuno in galera, al massimo alleggerisce il portafoglio.
  • D: Ma se la legge mi offre due possibilità, una più tassata e una meno, posso scegliere liberamente quella fiscalmente più conveniente senza incorrere in abuso, giusto?
    R: Esattamente. La libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni o regimi previsti dall’ordinamento è garantita e non può essere sindacata solo perché comporta meno tasse . Questo è un principio fermo (confermato anche dalla Cassazione già nel 2015). Quindi optare per un regime agevolato (se ne ho diritto) o strutturare un investimento usando strumenti legalmente disponibili (ad es. fare una lease anziché comprare, usare un finanziamento invece di capitale) è legittimo risparmio d’imposta . L’abuso scatta solo se costruisco artificiosamente una combinazione di passaggi senza sostanza, che di fatto non era nelle intenzioni del legislatore offrirmi, se non abusando. In breve: tra un comportamento onesto caro e uno onesto economico scegli pure quello che ti tassa meno. Devi preoccuparti solo se per ottenere quel risparmio simuli scenari fittizi.
  • D: Quali sono le operazioni straordinarie più a rischio di contestazione per abuso del diritto?
    R: Dall’esperienza pratica e dalle sentenze, le situazioni “calde” sono:
    Conferimenti di asset seguiti da cessione di partecipazioni (il tipico schema per non tassare plusvalenze su immobili o aziende, spostandole in una vendita di quote) .
    Scissioni societarie seguite da cessioni (soprattutto se isolano beni ai soci o preparano vendite pezzo per pezzo) .
    Fusioni “acchiappa-perdite” (incorporare società decotte solo per compensare redditi altrimenti imponibili) e alcuni meri fusioni post-acquisizione se fatte unicamente per dedurre interessi (vedi LBO autoprodotti) .
    Trasformazioni societarie pre-dismissione (ad es. trasformarsi in società semplice prima di vendere immobili, o in SRL prima di usare PEX su vendita partecipazioni) .
    In generale ogni operazione straordinaria che produca un forte vantaggio fiscale “insperato” – tipo grosse esenzioni o compensazioni – attira attenzione. Se però c’è un contesto industriale coerente (es. una fusione in un gruppo industriale per integrazione vera) di solito non viene contestata.
  • D: Come fa l’Agenzia delle Entrate a contestare l’abuso? C’è un procedimento particolare?
    R: Sì, c’è una procedura garantita fissata dalla legge per i casi di abuso: l’ufficio deve inviare al contribuente una comunicazione preventiva con l’indicazione dei motivi per cui ritiene configurato un abuso (descrivendo i fatti, i vantaggi indebiti, l’assenza di sostanza, ecc.) . Il contribuente ha 60 giorni per presentare osservazioni e documenti difensivi . Solo dopo questo contraddittorio l’Agenzia può eventualmente emettere l’avviso di accertamento, motivato confutando le difese . Nell’avviso verranno disconosciuti i vantaggi fiscali indebiti, ricalcolando le imposte dovute. Il contribuente potrà a quel punto pagare (magari con adesione) o impugnare davanti alla Commissione Tributaria. Questa procedura, introdotta nel 2015, garantisce un confronto anticipato e la piena motivazione dell’atto, ed è obbligatoria: se il Fisco la salta, l’accertamento è nullo.
  • D: Chi deve provare che si tratta di abuso? L’Agenzia o il contribuente?
    R: In prima battuta deve essere l’Agenzia a delineare il quadro abusivo, cioè fornire elementi oggettivi che mostrino come le operazioni, nel loro insieme, abbiano prodotto un indebito vantaggio fiscale e siano prive di ragionevolezza economica diversa dal risparmio . Questo di solito avviene richiamando i fatti (es. “conferimento fatto il giorno X, vendita il giorno Y a stessi soggetti per tot euro, newco senza attività, ecc.”) e magari utilizzando presunzioni (tipo: “tempi così rapidi fanno presumere preordinazione”). Una volta formalizzata la contestazione, spetta al contribuente l’onere di provare eventuali ragioni extrafiscali valide e non marginali che giustificano l’operazione . Ad esempio, dovrà provare che la fusione serviva a integrare attività, o che la scissione aveva scopi organizzativi effettivi, e così via. In giudizio quindi l’Agenzia deve persuadere dell’esistenza del disegno elusivo, ma il contribuente – per vincere – deve a sua volta convincere che quel disegno in realtà era sorretto da motivi legittimi (oppure che manca proprio il vantaggio indebito). In breve: il Fisco porta gli indizi, il contribuente deve dissiparli con prove contrarie concrete.
  • D: Se un’operazione viene giudicata abusiva, viene annullata anche civilmente? Cioè, la fusione o la scissione possono essere invalidate?
    R: No, sul piano civilistico l’operazione resta valida e ferma. L’art. 10-bis prevede espressamente che si disconoscono gli effetti fiscali dell’operazione abusiva, ma ciò “non rileva per la validità dei negozi posti in essere” (comma 12). Ad esempio, se due società si sono fuse, la fusione resta perfettamente valida in Camera di Commercio – non è che torna indietro. Semplicemente il fisco, per calcolare le imposte, ignorerà taluni effetti (o ricalcolerà come se l’operazione non fosse avvenuta ai fini delle imposte). Unico caso in cui l’operazione può essere “rimessa in discussione” è a tutela di terzi creditori: come detto, i creditori possono tentare un’azione revocatoria di una scissione o conferimento se lesiva dei loro diritti (per es., scissione che svuota la società debitrice). Ma questo esula dall’abuso fiscale ed è materia civilistica. In sintesi: un abuso non fa saltare l’atto, ma ne vanifica i benefici fiscali.
  • D: L’interpello anti-abuso conviene farlo? In pratica sto chiedendo all’Agenzia se sto facendo una furbata… risponderanno sicuramente di sì!
    R: Dipende. L’interpello è consigliabile quando si ha incertezza sull’applicazione della norma anti-abuso a un caso concreto e l’operazione è significativa. Spiegandola bene e sottolineando le ragioni economiche, non è detto che l’Agenzia risponda negativo: se anche ravvisassero profili di elusività, spesso propongono una soluzione per rendere l’operazione lecita. Ci sono casi in cui l’Agenzia ha dato via libera (magari con condizioni) a operazioni straordinarie che il contribuente teme possano essere viste come elusive, chiarendo i confini. Certo, se l’operazione è platealmente aggressiva, probabilmente risponderanno che è abuso – ma almeno lo sai prima e puoi correggere il tiro. Considera anche che una risposta favorevole all’interpello ti blinda: su quella l’Agenzia non può più tornare indietro, sei protetto. Quindi, soprattutto per operazioni di importo elevato o strategie di pianificazione fiscale importanti, l’interpello anti-abuso è una sorta di “assicurazione” (se va bene) o un “segnale di stop” (se va male, ma meglio prima che dopo). E non comporta sanzioni anche se dicono “per noi è abuso”: starà a te decidere se procedere lo stesso (consapevole del rischio) o cambiare strada.
  • D: In caso di contestazione, conviene fare accertamento con adesione o ricorrere?
    R: Non c’è una regola fissa, dipende dalla forza del tuo caso e dall’importo in ballo. L’adesione offre il vantaggio di ridurre le sanzioni a 1/3 e magari ottenere un compromesso sul quantum. Se, valutando con il tuo consulente, le probabilità di vittoria in giudizio non sono ottime (magari perché effettivamente le tue motivazioni economiche sono deboli o i giudici si sono già espressi male in casi simili), aderire ti dà certezza e uno sconto sanzioni significativo. Al contrario, se sei convinto di avere valide ragioni e la legge/giurisprudenza può supportarti, fare ricorso ha senso – tra l’altro molti casi di abuso arrivano fino in Cassazione data la materia, quindi potresti contribuire a creare precedente favorevole. Tieni presente che con l’adesione puoi comunque trattare: ad esempio, se la contestazione riguarda 3 operazioni, potresti convincere l’ufficio a lasciar cadere la parte più debole e pagare solo la parte più forte, chiudendo tutto. In giudizio invece è tutto o niente (salvo il giudice riduca in parte). Quindi valutazione caso per caso: un calcolo rischio/beneficio.
  • D: Potete fare un esempio concreto di abuso del diritto contestato e come il contribuente ha potuto difendersi?
    R: Un esempio già menzionato: un paio di anni fa due fratelli avevano ciascuno una srl; decisero di fondere le due società e subito dopo rivendere l’azienda risultante a un investitore. L’Agenzia contestò l’operazione come abusiva, ipotizzando fosse fatta solo per far usare le perdite di una sull’utile di vendita dell’altra. I fratelli però in contraddittorio dimostrarono che la fusione era stata deliberata prima che l’investitore si facesse avanti, perché stavano già integrando le attività (un settore unico per affrontare il mercato internazionale) – provarono ciò con email commerciali, un contratto di rete tra le due srl precedente alla fusione, e il business plan di fusione redatto sei mesi prima. Inoltre evidenziarono che la fusione aveva portato effettivi benefici (dopo la fusione avevano ottenuto un grosso appalto che da soli non avrebbero preso). Il giudice tributario ha dato loro ragione: la fusione non era un guscio vuoto fatto all’ultimo momento, ma un vero progetto industriale, e la vendita successiva è stata considerata una conseguenza non pianificata (anzi originariamente volevano proseguire, poi è arrivata un’offerta imprevista e hanno venduto). Questo caso mostra che se dietro c’è sostanza e buona fede, la difesa può prevalere, ma bisogna avere le carte in regola per dimostrarlo.

In definitiva, “prevenire è meglio che curare”: con una pianificazione attenta e trasparente delle operazioni straordinarie si può evitare di incappare nell’abuso di diritto, o comunque ci si arma per difendersi efficacemente. Conoscere le norme (come l’art. 10-bis) e gli orientamenti giurisprudenziali più recenti consente di muoversi con cautela in quest’ambito, bilanciando l’ottimizzazione fiscale con la safety delle proprie posizioni.

Fonti utilizzate: Statuto del Contribuente art. 10-bis e Relazione gov. (D.Lgs. 128/2015); Atto di indirizzo MEF 27.2.2025 (prot. 7/2025) ; Corte di Cassazione – varie sentenze tributarie recenti, tra cui nn. 27709/2022 (scissione abusiva) , 3281/2023 (conferimento+cessione) , 1035/2023 (fusioni e perdite) , 13914/2023 (LBO) , 17743/2021 (Superlana, trasformazione/fusione) , 35398/2021 (operazioni con valide ragioni non sono elusive) , 18577/2025 (LBO abusivo) , 5089/2025 SS.UU. (revocatoria scissione); Circolari AdE e prassi (es. Circolare 6/E 2016 cit. in Cass. 13914/23);

  • Corte di Cassazione, sentenza n. 27709 del 22 settembre 2022
  • Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.17743 del 22/06/2021

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Vuoi capire quali sono i rischi e come organizzare la difesa?

👉 Prima regola: dimostra che l’operazione aveva valide ragioni economiche e organizzative, non esclusivamente finalità fiscali.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Fusioni o scissioni utilizzate per trasferire perdite fiscali o vantaggi indebiti;
  • Conferimenti e cessioni d’azienda strutturati per evitare imposte su plusvalenze;
  • Trasformazioni societarie finalizzate a eludere regimi fiscali più onerosi;
  • Operazioni infragruppo con effetti di abbattimento artificioso della base imponibile;
  • Utilizzo di schemi giuridici complessi privi di reale sostanza economica.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Disconoscimento dei vantaggi fiscali ottenuti con l’operazione;
  • Recupero delle imposte non versate con sanzioni e interessi;
  • Possibili contestazioni per dichiarazione infedele o condotte elusive;
  • Rischio di responsabilità patrimoniale degli amministratori e dei soci;
  • Nei casi più gravi, denunce penali se l’operazione viene qualificata come fraudolenta.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • L’operazione straordinaria era supportata da motivi economici, organizzativi o gestionali reali?
  • È stata predisposta documentazione che dimostri la sostanza dell’operazione (piani industriali, relazioni, delibere)?
  • L’Agenzia delle Entrate si è basata su dati concreti o presunzioni?
  • Sono stati rispettati i principi contabili e le norme civilistiche?
  • Vi erano alternative meno onerose fiscalmente ma non praticabili per ragioni operative?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Verbali assembleari e delibere che approvano l’operazione;
  • Relazioni di stima, piani industriali e studi di fattibilità;
  • Scritture contabili e bilanci precedenti e successivi all’operazione;
  • Contratti, atti notarili e documentazione bancaria;
  • Consulenze tecniche o pareri professionali acquisiti prima della scelta.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare che l’operazione aveva finalità economiche prevalenti, non solo fiscali;
  • Contestare la riqualificazione dell’Agenzia quando basata su presunzioni o interpretazioni estensive;
  • Evidenziare l’assenza di danno erariale effettivo o la correttezza della pianificazione fiscale;
  • Eccepire eventuali vizi dell’accertamento (motivazione insufficiente, errori procedurali, calcoli errati);
  • Richiedere annullamento in autotutela se la documentazione era già agli atti;
  • Presentare ricorso entro 60 giorni alla Corte di Giustizia Tributaria;
  • Difesa penale mirata in caso di contestazioni per frode fiscale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza l’operazione straordinaria contestata e i suoi effetti fiscali;
📌 Verifica la fondatezza dei rilievi dell’Agenzia delle Entrate;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste in giudizio e, se necessario, nei procedimenti penali;
🔁 Fornisce consulenza preventiva per impostare correttamente operazioni societarie future.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e operazioni straordinarie;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni di abuso di diritto;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni per abuso di diritto in operazioni straordinarie non sono sempre fondate: spesso derivano da valutazioni soggettive o presunzioni dell’Agenzia.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale sostanza economica delle operazioni, evitare la riqualificazione come abuso e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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