Contestazioni Per Residenza Fiscale Fittizia All’estero Con Casa In Italia: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché, pur avendo dichiarato la residenza fiscale all’estero, possiedi una casa in Italia? In questi casi, l’Ufficio presume che il centro dei tuoi interessi vitali sia rimasto in Italia e che la residenza estera sia solo formale, utilizzata per pagare meno tasse. La conseguenza è la riqualificazione della residenza fiscale in Italia, con recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: vi sono strumenti difensivi per dimostrare la reale residenza all’estero.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta la residenza fiscale all’estero
– Se il contribuente possiede un’abitazione in Italia idonea a essere adibita a dimora principale
– Se i familiari (coniuge, figli) risiedono stabilmente in Italia
– Se la maggior parte dei redditi proviene da fonti italiane
– Se vi sono legami economici e personali prevalenti nel territorio nazionale
– Se l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) appare solo formale

Conseguenze della contestazione
– Tassazione in Italia di tutti i redditi ovunque prodotti (principio della worldwide taxation)
– Recupero delle imposte dirette e indirette non dichiarate
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele o omessa
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibili procedimenti penali per dichiarazione fraudolenta nei casi più gravi

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare con documenti ufficiali la residenza effettiva all’estero (contratti di lavoro, locazione, utenze, iscrizione a sistemi sanitari locali)
– Produrre prove del centro degli interessi economici e personali all’estero (banche, attività, relazioni familiari)
– Contestare la presunzione di residenza italiana se la casa in Italia è solo un’abitazione secondaria non abitualmente utilizzata
– Evidenziare errori di valutazione o difetti di motivazione nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione relativa alla residenza fiscale e ai redditi dichiarati
– Verificare la legittimità della contestazione in base alla normativa interna e alle convenzioni contro le doppie imposizioni
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio da conseguenze fiscali eccessive e indebite

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione delle sanzioni e degli interessi applicati
– Il riconoscimento della residenza fiscale effettiva all’estero
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare imposte solo nel Paese realmente competente

⚠️ Attenzione: la semplice iscrizione all’AIRE non basta a dimostrare la residenza fiscale estera. È necessario dimostrare anche lo spostamento reale degli interessi personali ed economici.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità internazionale – spiega come difendersi in caso di contestazioni per residenza fiscale fittizia all’estero con casa in Italia e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Le contestazioni sulla residenza fiscale fittizia all’estero sorgono quando l’Amministrazione finanziaria italiana (Agenzia delle Entrate, spesso con l’ausilio della Guardia di Finanza) ritiene che un contribuente abbia simulato il trasferimento all’estero solo per sottrarsi al fisco italiano, pur mantenendo legami significativi (come un’abitazione, famiglia o affari) in Italia. In base al principio del worldwide income, essere considerati residenti fiscali in Italia comporta la tassazione in Italia di tutti i redditi ovunque prodotti . Pertanto, chi trasferisce (o dichiara di trasferire) la propria residenza fuori dai confini nazionali per pagare meno imposte può essere oggetto di verifiche e accertamenti severi. Le conseguenze di una residenza estera ritenuta “fittizia” sono molto gravose: recupero delle imposte italiane su tutti i redditi (anche esteri) per gli anni contestati, sanzioni amministrative elevate e, nei casi più seri, persino procedimenti penali per reati tributari (come omessa o infedele dichiarazione) .

Questa guida – rivolta ad avvocati, professionisti e contribuenti (persone fisiche e imprenditori) – offre un’analisi avanzata dal punto di vista del contribuente (debitore) su come difendersi dalle contestazioni di residenza fiscale fittizia all’estero quando si possiede ancora una casa (o altri interessi) in Italia. Verranno esaminati i criteri legali di residenza fiscale secondo la normativa italiana (con gli aggiornamenti normativi in vigore da gennaio 2024), le presunzioni di legge e l’onere della prova (es. iscrizione AIRE e trasferimenti in Paesi black list), i possibili profili penali (dichiarazione infedele, esterovestizione), nonché le strategie di difesa nel contenzioso tributario. Sono incluse tabelle riepilogative, domande e risposte chiarificatrici e simulazioni pratiche (casi realistici) per illustrare come le dispute tipiche vengono affrontate, con modelli di memorie difensive esemplificative. L’obiettivo è fornire un quadro completo e aggiornato ad agosto 2025, con riferimenti a normative e sentenze recenti, in un linguaggio giuridico rigoroso ma dal taglio divulgativo.

Criteri di residenza fiscale: normativa italiana (prima e dopo la riforma 2024)

Per capire come difendersi, occorre innanzitutto conoscere i criteri legali di individuazione della residenza fiscale delle persone fisiche in Italia. L’art. 2 del TUIR (D.P.R. 917/1986) definisce chi è considerato residente ai fini delle imposte sui redditi. Tale definizione è stata modificata dalla riforma fiscale attuata con D.Lgs. 209/2023, in vigore dal 1° gennaio 2024, per uniformarla alle migliori prassi internazionali e garantire maggiore certezza . Di seguito riepiloghiamo i criteri previgenti (fino al 2023) e le novità dal 2024, evidenziandone le differenze.

Criteri di residenza fiscale per persone fisiche – Confronto previgente vs. vigente :

CriterioFino al 2023 (normativa previgente)Dal 2024 (D.Lgs. 209/2023)
Iscrizione anagrafica (APR)Presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia (criterio formale): era sufficiente risultare iscritti all’Anagrafe della Popolazione Residente italiana per essere considerati residenti, anche se di fatto si viveva all’estero . La giurisprudenza di legittimità fino al 2023 confermava questo approccio formalistico (es. Cass. 16634/2018) e l’iscrizione AIRE non bastava da sola a evitare la residenza in Italia in presenza di altri indizi .Presunzione relativa di residenza. L’iscrizione nelle anagrafi italiane è ora solo un indizio: può far presumere la residenza, ma il contribuente può fornire prova contraria di un’effettiva residenza all’estero . In altri termini, il dato formale dell’APR da solo non è più decisivo se il soggetto dimostra di aver realmente trasferito altrove il proprio centro di vita. (Vedi §Presunzioni legali infra)
Residenza (civilistica) (dimora abituale)Definizione ex art. 43 c.c.: luogo di dimora abituale. Era un criterio sostanziale, alternativo agli altri. La valutazione dipendeva dai fatti: es. dove la persona soggiornava con regolarità, se aveva un’abitazione disponibile, ecc. . Le relazioni affettive incidevano solo se supportate da ulteriori elementi oggettivi .Concetto invariato nella sostanza (luogo della dimora abituale), ma integrato nel novero dei criteri da considerare complessivamente. Deve comunque realizzarsi per più di 183 giorni nell’anno per attribuire la residenza . Resta un elemento sostanziale importante, insieme a domicilio e presenza fisica.
Domicilio (centro di interessi)Definizione ex art. 43 c.c.: sede principale degli affari e interessi. Interpretato prevalentemente in senso economico-patrimoniale: contava dove la persona aveva i propri affari/lavoro; i legami familiari erano ritenuti secondari e non prioritari . Era il criterio sostanziale su cui spesso si concentravano le verifiche (centro degli interessi economici) .Ridefinito espressamente dal legislatore: è il luogo in cui si svolgono prevalentemente le relazioni personali e familiari della persona . Il focus quindi si sposta sul nucleo familiare e affettivo, in linea con gli standard OCSE . Resta un criterio sostanziale alternativo, ma con peso prioritario ai legami personali (senza ignorare del tutto quelli economici). Nota: Dal 2024, dunque, avere la famiglia in Italia può far presumere il domicilio (e la residenza) in Italia molto più che in passato.
Presenza fisica in Italia (183+ giorni)Non era menzionata espressamente come criterio autonomo. Tuttavia, la norma prevedeva comunque la necessità di soddisfare i requisiti per la maggior parte del periodo d’imposta (oltre 183 giorni) . In pratica, i 183 giorni servivano per gli altri criteri ma non esisteva una regola ad hoc sulla semplice presenza fisica. Nessun regime di split year: se risultavi residente per >183 gg, eri considerato residente per l’intero anno fiscale .Introdotta espressamente come criterio autonomo: la permanenza fisica in Italia per più di metà dell’anno è di per sé sufficiente a rendere il soggetto residente fiscale . Si contano anche le frazioni di giorno e periodi non consecutivi . Confermato che non esiste lo split-year: superati 183 giorni complessivi sul territorio italiano, si è considerati residenti per tutto l’anno (come già affermato dalla prassi precedente).
Altri aspetti– Era prevista una presunzione relativa solo per i trasferimenti in Paesi a fiscalità privilegiata (art. 2, comma 2-bis TUIR) – vedi oltre. <br>– L’iscrizione AIRE, da sola, non esonerava dall’applicazione degli altri criteri: la giurisprudenza ribadiva che l’AIRE è condizione necessaria ma non sufficiente se domicilio o residenza rimangono in Italia .<br>– In caso di doppia residenza (Italia ed estero) si applicavano le Convenzioni contro le doppie imposizioni (tie-breaker rules), ma non sempre l’amministrazione ne teneva conto immediato (talora privilegiava comunque il criterio formale nazionale) .– Confermata la presunzione legale relativa per i trasferimenti in Paesi black list (art. 2 c.2-bis TUIR rimasto invariato) , con onere probatorio invertito a carico del contribuente (v. infra).<br>– L’iscrizione anagrafica ora è esplicitamente presunzione relativa e può essere superata con prove contrarie oggettive (es. dimostrazione di stabile residenza all’estero) .<br>– Viene sancita la prevalenza delle Convenzioni internazionali: le controversie di doppia residenza vanno risolte applicando i criteri convenzionali che prevalgono sul diritto interno (principio già riconosciuto da Cassazione e Agenzia Entrate ).

Come si nota, la riforma del 2023/2024 ha spostato l’accento dalla forma alla sostanza, privilegiando elementi come la presenza effettiva e i legami personali, per contrastare interpretazioni troppo formalistiche del passato . L’Agenzia delle Entrate stessa, nella Circolare n. 20/E del 4 novembre 2024, ha sottolineato che tali modifiche mirano ad allinearsi alle migliori prassi internazionali e a ridurre i contenziosi, garantendo maggiore certezza del diritto . Tuttavia, è fondamentale capire che queste novità si applicano solo dal periodo d’imposta 2024 in poi e non hanno effetto retroattivo . La Corte di Cassazione – occupandosi di un caso riguardante un contribuente formalmente residente a Monaco negli anni 2006-2010 – ha confermato con la sentenza n. 19843 del 18/07/2024 che le nuove definizioni di residenza introdotte dal D.Lgs. 209/2023 valgono solo dal 1° gennaio 2024 in avanti, mancando qualsiasi intento retroattivo del legislatore . In quella pronuncia, la Cassazione ha applicato la versione previgente dell’art. 2 TUIR: pur riconoscendo che il contribuente avesse collegamenti affettivi anche all’estero, ha dato prevalenza al luogo in cui questi manteneva i principali interessi economico-patrimoniali (numerose cariche societarie in Italia), confermando così la residenza fiscale italiana per quegli anni . Dal 2024 in poi, in un caso analogo, il peso dei legami familiari e personali sarebbe invece maggiore, in virtù della nuova nozione di domicilio incentrata sulle relazioni personali .

Nota: Per completezza, ricordiamo che una persona fisica è considerata residente fiscale in Italia se ricorre alternativamente almeno uno dei criteri sopra (residenza, domicilio, presenza fisica, iscrizione APR) per più di 183 giorni nell’anno . Non serve che tutti i criteri siano soddisfatti: basta anche uno solo (ad es. la sola presenza fisica prolungata, o il solo domicilio in Italia) per radicare la residenza fiscale . In altre parole, la legge adotta criteri di collegamento alternativi, e il contribuente dovrà evitare di incappare in anche uno solo di essi per essere considerato non residente. Dal 2024 i criteri alternativi sono quattro (residenza ex c.c., domicilio relazioni familiari, presenza fisica, iscrizione APR), contro i tre del regime precedente . Questa espansione (inclusione esplicita della presenza fisica) riflette la volontà di catturare situazioni in cui, pur mancando altri indizi, la frequente permanenza in Italia tradisce l’effettività della residenza.

Presunzioni legali e onere della prova: iscrizione AIRE e Paesi black list

Oltre ai criteri generali sopra esposti, l’ordinamento prevede alcune presunzioni legali che influiscono sull’onere della prova nelle controversie sulla residenza fiscale. In particolare, assumono rilievo: (a) la situazione del contribuente che non si iscrive all’AIRE (ovvero resta formalmente residente in Italia) pur sostenendo di vivere all’estero; (b) il caso del contribuente che si trasferisce in un Paese a fiscalità privilegiata (cosiddetto paradiso fiscale). In queste ipotesi, la legge agevola l’Amministrazione finanziaria con presunzioni che il contribuente dovrà ribaltare con adeguate prove contrarie .

Iscrizione AIRE non effettuata e residenza effettiva all’estero

Secondo la normativa italiana, chi trasferisce la residenza fuori dall’Italia per un periodo superiore a 12 mesi deve iscriversi all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). L’iscrizione all’AIRE è un adempimento formale obbligatorio, ma da sola non garantisce l’esclusione dalla residenza fiscale italiana . Fino al 2023, la mancata iscrizione all’AIRE comportava una presunzione legale assoluta di residenza in Italia: in altre parole, se un cittadino italiano veniva trovato ancora iscritto all’Anagrafe residente in un Comune italiano, veniva considerato residente fiscale italiano ipso iure, anche se di fatto viveva stabilmente all’estero . La Cassazione aveva ripetutamente affermato questo principio, privilegiando il dato formale anagrafico: ad esempio, Cass. n. 16634/2018 e Cass. n. 1355/2022 confermarono che la permanenza nell’anagrafe italiana rendeva il soggetto residente, prescindendo dagli elementi fattuali addotti . Questa impostazione rigidamente formalistica è stata criticata dalla dottrina e da alcune corti di merito, perché ignorava la realtà effettiva e perfino le regole convenzionali in caso di doppia residenza .

Con la riforma, il legislatore è intervenuto su tale aspetto: dall’1/1/2024 l’iscrizione anagrafica in Italia costituisce solo una presunzione relativa. Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate può presumere residente chi risulta iscritto nelle anagrafi italiane per la maggior parte dell’anno, ma il contribuente può fornire prova contraria della sua effettiva residenza altrove . La Circolare 20/E/2024 ha chiarito che tali prove contrarie devono consistere in “elementi oggettivamente riscontrabili” della vita all’estero, privilegiando quindi riscontri documentali concreti . In pratica, chi non ha tempestivamente formalizzato l’iscrizione AIRE non è automaticamente spacciato: può ancora difendersi dimostrando di aver perso ogni significativo collegamento con l’Italia e di essersi stabilito all’estero in modo reale e duraturo . Già prima della riforma vi erano spiragli in tal senso: in presenza di doppia residenza (es.: contribuente non AIRE ma considerato residente da uno Stato estero), l’Agenzia e la giurisprudenza ammettevano l’applicazione delle tie-breaker rules convenzionali per stabilire la residenza esclusiva . Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate in varie risposte a interpello (nn. 25/2018, 203/2019, 370/2023) ha riconosciuto che un soggetto formalmente residente in Italia ma contestualmente residente per le leggi di un altro Stato deve essere trattato, in caso di conflitto, secondo i criteri della Convenzione internazionale vigente .

Infatti, le Convenzioni contro le doppie imposizioni (es. Convenzione Italia-Francia, Italia-Regno Unito, ecc.) hanno valore superiore alla legge interna (ex art. 117 Cost.) e prevedono criteri oggettivi per risolvere i casi di doppia residenza . Se applicando tali criteri (abitazione permanente, centro degli interessi vitali, soggiorno abituale, nazionalità) risulta prevalente lo Stato estero, l’Italia deve riconoscere la residenza estera ai fini convenzionali . Ad esempio, se Tizio non si è iscritto all’AIRE ma si è trasferito stabilmente in Francia, dove risulta residente secondo le leggi francesi, la Convenzione Italia-Francia consentirà di attribuire la residenza fiscale a uno solo dei due Paesi. Supponiamo che Tizio abbia un’abitazione permanente e la famiglia in Francia: il tie-breaker del “centro degli interessi vitali” penderà a favore della Francia, e l’Italia dovrà rinunciare a tassarlo come residente . In sintesi: la mancata iscrizione all’AIRE è sconsigliabile (perché fa scattare l’onere probatorio a carico del contribuente), ma non è più una condanna automatica; oggi c’è uno spazio esplicito per dimostrare, anche in giudizio, la realtà di un effettivo trasferimento all’estero . Tale spazio, già esistente de facto grazie alle Convenzioni, è divenuto dal 2024 un vero e proprio diritto riconosciuto dalla legge nazionale.

Trasferimento in Paesi a fiscalità privilegiata: la presunzione dell’art. 2 comma 2-bis TUIR

Un’altra situazione cruciale è il trasferimento della residenza in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, i cosiddetti paradisi fiscali (detti anche Paesi black list). L’art. 2, comma 2-bis TUIR – introdotto nel 1990 e modificato nel 1998/2000 – prevede che si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani che risultano cancellati dall’anagrafe della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata . Si tratta dunque di una presunzione legale relativa specificamente concepita per contrastare le finte emigrazioni verso paradisi fiscali: la logica è che, se un cittadino si sposta in un paese a tassazione nulla o molto bassa, lo fa presumibilmente per eludere il fisco, quindi grava su di lui dimostrare che il trasferimento è genuino e che il centro dei suoi interessi si trova effettivamente all’estero . In caso contrario, la legge consente al Fisco di considerarlo ancora residente in Italia e tassarlo su tutti i redditi mondiali.

Questa presunzione inverte l’onere della prova: diversamente dal caso di trasferimenti in paesi “normali” (dove spetta all’Agenzia provare che il contribuente è rimasto in Italia), nei trasferimenti verso Paesi black list è il contribuente a dover provare di non essere più residente in Italia . Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria non ha bisogno di ulteriori prove per considerarlo residente, se il contribuente non riesce a fornire evidenze convincenti contrarie . La Cassazione ha ribadito che in tali casi l’Ufficio può fondarsi sulla presunzione di residenza italiana senza dover raccogliere altri elementi, fino a che il contribuente non “vince” la presunzione con prova contraria adeguata . In pratica, il contribuente emigrato in un paradiso fiscale è – agli occhi del Fisco – “colpevole fino a prova contraria”.

Quali sono i Paesi considerati a fiscalità privilegiata? L’elenco è stabilito da appositi Decreti ministeriali. Originariamente fu emanato il D.M. 4 maggio 1999, che includeva classici paradisi fiscali (es. Monte Carlo, Bahamas, Lussemburgo per alcune categorie, Singapore, Hong Kong, Emirati Arabi Uniti, ecc.), elenco poi aggiornato nel tempo. Ad esempio, fino al 2023 figurava anche la Svizzera, ma il D.M. 20 luglio 2023 (in attuazione della delega fiscale 2023) ha espunto la Svizzera dall’elenco dei Paesi black list rilevanti ai fini IRPEF con effetto dal 1° gennaio 2024 . Ciò in virtù degli accordi di cooperazione fiscale che la Svizzera ha siglato con l’UE e l’Italia: ormai non è più considerata un paradiso fiscale “opaco” e quindi dal 2024 un italiano trasferito in Svizzera non subisce la presunzione ex art. 2 c. 2-bis . Rimangono però nella lista molti altri Stati a bassa tassazione, tra cui noti paradisi extraeuropei (es. Principato di Monaco, Emirati Arabi Uniti, vari stati caraibici, Panama, ecc.) e alcuni territori particolari. È sempre opportuno verificare l’elenco aggiornato all’epoca del trasferimento per sapere se il paese di destinazione rientra tra quelli black list . Ad agosto 2025, ad esempio, sono ancora considerati a fiscalità privilegiata paesi come Monaco, Emirati Arabi, Isole Cayman, ecc., mentre paesi UE come Romania o Malta non lo sono (pur avendo aliquote più basse, offrono scambio di informazioni e quindi non ricadono nella lista).

Come può il contribuente superare la presunzione black list? Non è un compito facile. Deve sostanzialmente “convincere” il Fisco italiano che il trasferimento all’estero è stato reale e che il centro della propria vita si è spostato fuori dall’Italia. In concreto ciò significa fornire quanti più elementi possibili a supporto dell’effettività della residenza estera: ad esempio contratti di acquisto o locazione di un’abitazione all’estero, bollette e utenze che attestino consumi presso la casa estera, iscrizione dei figli a scuole all’estero, contratti di lavoro o d’impresa svolti stabilmente oltre confine, iscrizione al sistema sanitario locale, certificati di residenza fiscale estera, ecc. . Tutto ciò dovrà dimostrare che il contribuente viveva stabilmente all’estero e non ha mantenuto legami significativi in Italia. Ad esempio, vendere o affittare la casa in Italia, trasferire con sé la famiglia, chiudere i conti bancari italiani, cessare ruoli in aziende italiane, sono tutte azioni che aiutano a provare la volontà di recidere i legami con l’Italia . Se la prova contraria è ritenuta sufficiente (dunque se il contribuente riesce a fornire elementi solidi, “gravi, precisi e concordanti” a favore della residenza estera ), l’Ufficio dovrà prendere atto che la presunzione è stata vinta e riconoscere la residenza estera, con conseguente decadenza della pretesa impositiva italiana per quegli anni .

Di converso, qualora le prove difensive siano deboli o insufficienti, la presunzione opererà inesorabilmente e il contribuente verrà considerato residente in Italia (con tutte le conseguenze del caso). Una recente sentenza di Cassazione – la n. 14484 del 23/05/2024 – ha confermato proprio questo: in un caso di un italiano AIRE trasferitosi a Monaco, la Suprema Corte ha ritenuto che l’interessato non avesse fornito prove idonee a superare la presunzione di residenza italiana, a fronte di numerosi elementi raccolti dal Fisco (immobili e affari in Italia, consumi in Italia superiori a quelli esteri, etc.) . Il contribuente aveva prodotto alcune fatture di utenze a Monaco (peraltro di importi irrisori), scontrini di acquisti esteri non intestati, dichiarazioni di terzi non verificabili, risultate insufficienti rispetto agli indizi dell’Agenzia (casa e famiglia in Italia, ruoli societari italiani, consumi elevati in Italia) . La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso, sottolineando che l’onere probatorio non era stato assolto: la documentazione prodotta era generica, non consistente e non rilevante, incapace di contrastare le puntuali contestazioni del Fisco . Questo esito insegna che nei casi di residenza in paradisi fiscali occorre un “dossier” probatorio estremamente dettagliato: solo una rappresentazione precisa e documentata della vita all’estero potrà aprire qualche chance di vittoria .

Nota: Una presunzione analoga a quella del comma 2-bis per le persone fisiche esiste anche per le società: l’art. 73 comma 5-bis TUIR prevede infatti che sono considerate residenti in Italia (salvo prova contraria) anche le società formalmente estere controllate da soggetti residenti in Italia (o partecipate da soggetti italiani per la maggioranza) qualora abbiano prevalentemente asset o attività localizzati in Italia . È una norma anti-elusiva per colpire l’esterovestizione societaria (si veda oltre), e funziona in modo simile: se una società ha sede legale all’estero ma è di fatto controllata e amministrata dall’Italia, si presume residente qui, a meno che si provi che ha reale autonomia e sostanza all’estero .

Riassumendo le presunzioni:

  • Mancata iscrizione AIRE: fino al 2023 era presunzione assoluta di residenza in Italia; dal 2024 è presunzione relativa, superabile con prova contraria (ma intanto sposta sul contribuente l’onere di dimostrare la residenza estera effettiva) .
  • Trasferimento in Paese black list: presunzione relativa di residenza italiana tuttora valida, con onere probatorio integralmente a carico del contribuente . In pratica, per chi espatria verso paradisi fiscali la strada è in salita: deve prepararsi prima a raccogliere ogni traccia utile a dimostrare la genuinità del trasferimento, molto più di chi si trasferisce in Paesi “normali” dove invece è il Fisco che deve provare l’eventuale residenza fittizia .

Conseguenze in caso di residenza fittizia: tassazione, sanzioni e profili penali

Se l’Agenzia delle Entrate contesta con successo la residenza estera di un contribuente, qualificandolo come residente fiscale in Italia per uno o più anni passati, le conseguenze sono numerose e onerose:

  • Tassazione retroattiva dei redditi esteri: Il contribuente verrà assoggettato a imposizione in Italia per tutti i redditi prodotti nel periodo considerato, ovunque essi siano stati prodotti (principio del worldwide taxation di cui all’art. 3 TUIR) . In pratica, l’Agenzia recupererà le imposte italiane su redditi che il contribuente aveva eventualmente dichiarato solo all’estero (o magari non dichiarato affatto, ritenendosi non residente). Ciò può includere stipendi, utili d’impresa, redditi di capitale esteri, plusvalenze su investimenti esteri, ecc., che divengono imponibili in Italia. Se esiste una Convenzione contro le doppie imposizioni con l’altro Stato, il contribuente potrà beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero, evitando la doppia tassazione economica – ma va detto che spesso chi trasferisce fittiziamente la residenza sceglie Paesi con imposte zero o basse, quindi potrebbe non aver pagato nulla fuori (in tal caso niente crediti d’imposta, e dovrà pagare l’intera aliquota italiana) . Ad esempio, nel caso di Elisa trasferita a Dubai (no tax), la contestazione le ha richiesto le imposte piene in Italia su tutti i redditi 2022 .
  • Sanzioni amministrative tributarie: Assieme alle imposte, vengono irrogate sanzioni per le violazioni dichiarative commesse. In particolare:
  • Se il contribuente, ritenendosi all’estero, non ha presentato la dichiarazione dei redditi in Italia, si configura l’illecito di omessa dichiarazione (art. 1 D.Lgs. 471/1997). La sanzione è pari al 120% dell’imposta evasa, con un minimo di 250 euro . Ad esempio, se Tizio non ha dichiarato in Italia €100.000 di imposte perché si credeva residente altrove, dovrà pagare quelle €100.000 più una sanzione di €120.000 (oltre interessi).
  • Se il contribuente ha presentato dichiarazione in Italia ma parzialmente infedele (es. ha dichiarato solo i redditi italiani, omettendo quelli esteri percepiti), scatta la sanzione per dichiarazione infedele (art. 1, co. 2 D.Lgs. 471/1997), pari al 90% dell’imposta relativa ai redditi non dichiarati (era 100%, ridotta al 90% dal 2016; il materiale riporta 70% ma aggiornato è 90%) . Quindi se Caio dichiarava solo una parte del reddito, l’imposta evasa sarà recuperata e maggiorata di una sanzione del 90%.
  • In entrambi i casi, se il contribuente decide di definire l’accertamento con acquiescenza o con adesione, può beneficiare di riduzioni delle sanzioni (ad es. 1/3). Ma se si fa causa e la perde, dovrà pagare la sanzione per intero.
  • Interessi moratori: sulle imposte dovute verranno applicati gli interessi calcolati al tasso legale (o maggiorato, se previsto) dal giorno in cui le imposte sarebbero state dovute (normalmente dalla scadenza dell’acconto/saldo del relativo anno) fino al pagamento. Gli interessi si sommano all’importo da versare.
  • Recupero contributi e altri obblighi: se la persona aveva goduto di regimi speciali all’estero (es. non iscrizione previdenza italiana) potrebbe subire recuperi contributivi, e se non aveva presentato la dichiarazione di successione o monitorato attività estere (Quadro RW) potrebbero aggiungersi sanzioni da monitoraggio fiscale, ecc. Questi aspetti esulano dalla trattazione principale, ma vanno considerati.

Oltre alle conseguenze strettamente tributarie, occorre tenere presente i possibili profili penali in cui può incorrere il contribuente. Il D.Lgs. 74/2000 prevede specifici reati tributari legati alle dichiarazioni fraudolente, omesse o infedeli. Nel contesto della residenza fittizia, tipicamente possono rilevare:

  • Omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 D.Lgs. 74/2000): si configura quando il contribuente, pur essendovi obbligato, non presenta la dichiarazione annuale dei redditi al fine di evadere le imposte. Se l’imposta evasa supera €50.000, il fatto è penalmente rilevante e punito con la reclusione da 2 a 5 anni . Un trasferimento fittizio spesso comporta l’omessa presentazione della dichiarazione in Italia; se il risparmio d’imposta supera la soglia (non difficile, trattandosi di redditi esteri non dichiarati), scatta questo reato. Ad esempio, nel caso di Elisa a Dubai, l’imposta evasa in un anno era circa €200.000, quindi ben sopra €50.000: ciò integra il reato di omessa dichiarazione .
  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): si ha quando il contribuente presenta la dichiarazione, ma indica elementi attivi inferiori al reale (o elementi passivi fittizi), con evasione di imposta superiore a €100.000 e con ricavi non dichiarati superiori al 10% di quelli dichiarati (o comunque > €2 milioni) . La pena è la reclusione da 2 a 4 anni . Nel caso di residenza fittizia, questo potrebbe avvenire se uno presenta la dichiarazione in Italia ma omette scientemente i redditi esteri. Se le soglie sopra indicate vengono superate, scatta l’ipotesi di reato.
  • Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. 74/2000): punisce con reclusione da 3 a 8 anni condotte più insidiose, in cui per evadere si ricorre a mezzi fraudolenti (ad esempio, operazioni simulate o utilizzo di documenti falsi) . Nell’ambito di una residenza fittizia, potrebbe configurarsi qualora il contribuente metta in piedi un vero e proprio schema fraudolento per occultare la residenza (es. interposizioni fittizie di persone o società estere, documentazione artefatta per simulare spostamenti, ecc.). Un esempio potrebbe essere l’uso di un falso contratto di affitto estero o l’intestazione fittizia di beni a prestanome stranieri per ingannare il Fisco. In tali casi, se l’imposta evasa supera €30.000 e i ricavi occultati superano il 5% di quelli dichiarati (o €1,5 milioni) , si configura il reato più grave di frode fiscale.

È importante notare che la presenza di soglie di punibilità fa sì che non tutte le violazioni tributarie comportino un reato: ad esempio, se l’imposta evasa in un anno fosse €40.000, l’omessa dichiarazione sarebbe solo illecito amministrativo, non penale. Tuttavia, negli scenari di residenze fittizie spesso gli importi in gioco sono elevati, per cui il rischio penale è concreto . Inoltre, la Cassazione ha chiarito che al di sotto di tali soglie non si può perseguire penalmente il contribuente per frode generica (truffa), perché la condotta rimane nell’alveo amministrativo . Dunque, c’è di fatto un’“area franca” sotto soglia, ma oltre i limiti scatterà la denuncia penale.

Nel caso scatti un procedimento penale, esso seguirà binari in parte autonomi rispetto al contenzioso tributario. La giurisprudenza penale ha affrontato casi di esterovestizione: talvolta l’imputato è stato assolto perché è mancato il dolo specifico di evasione (ad esempio se riusciva a dimostrare di aver agito convinto in buona fede di non essere residente) . Ad esempio, è stato affermato che l’abuso del diritto (condotta elusiva atipica) di per sé non integra reato se non c’è una specifica falsità o intenzione fraudolenta: l’esterovestizione “semplice” può non costituire reato penale . In un caso del 2011, il GIP di Milano prosciolse un imputato rilevando che le presunzioni tributarie non possono automaticamente traslarsi nel processo penale e che l’elusione senza artifici non bastava a provare il reato di infedele dichiarazione . Ciò non toglie però che, se le soglie sono superate e la condotta è chiaramente evasiva, l’imputazione verrà contestata e occorrerà difendersi anche in sede penale.

Dal punto di vista pratico, un procedimento penale tributario viene attivato solitamente su segnalazione della Guardia di Finanza alla Procura della Repubblica, quando durante l’audit fiscale emergono elementi di reato (la GdF ha l’obbligo di comunicarlo se rileva soglie penali) . Il processo penale può portare a assoluzione o condanna indipendentemente dall’esito del processo tributario (vige il principio del doppio binario), anche se un’assoluzione penale per mancanza di dolo rafforza poi la posizione del contribuente nel contenzioso tributario . In ogni caso, prevenire è meglio che curare: un contribuente che si rendesse conto di aver omesso redditi per anni potrebbe valutare di regolarizzare spontaneamente la sua posizione prima che intervenga l’accertamento, presentando ad esempio dichiarazioni integrative e avvalendosi del ravvedimento operoso per ridurre sanzioni, così da abbassare l’imposta evasa sotto le soglie di punibilità penale . Oppure, qualora l’accertamento sia già iniziato, potrebbe optare per un accordo in sede di adesione (vedi oltre) per definire le imposte e sanzioni, evitando che la vicenda degeneri sul piano penale.

Riassumendo: chi subisce una contestazione di residenza fittizia rischia non solo imposte arretrate e sanzioni amministrative, ma anche conseguenze penali se l’evasione è rilevante. È dunque fondamentale affrontare tali contestazioni con massima serietà, raccogliendo prove, regolarizzando ove possibile e approntando una difesa completa sia in sede tributaria sia – eventualmente – penale. In caso di dubbio, è prudente ridurre il profilo di rischio penale (ad esempio aderendo a un accertamento per limitare l’evasione contestata entro soglie amministrative) . Nel prosieguo vedremo come articolare la difesa innanzi ai giudici tributari, ma tenere a mente anche il risvolto penale fa parte di una strategia difensiva oculata.

Residenza fiscale delle società ed esterovestizione: imprenditori e soci di società

Finora ci siamo concentrati sulle persone fisiche, ma anche le società e gli enti possono essere accusati di aver trasferito fittiziamente la residenza all’estero. Il fenomeno della cosiddetta esterovestizione societaria consiste nel localizzare solo formalmente una società fuori Italia, mentre nella sostanza direzione e attività rimangono nel territorio italiano, con l’intento di beneficiare di una fiscalità più vantaggiosa altrove. Dal punto di vista normativo, i criteri per individuare la residenza delle società sono stabiliti dall’art. 73 TUIR.

Fino al 2023, una società era considerata fiscalmente residente in Italia se per la maggior parte del periodo d’imposta aveva in Italia la sede legale, la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale della sua attività (art. 73, co.3, TUIR) . Si trattava di tre criteri alternativi: bastava che uno di essi ricorresse in Italia per più di 183 giorni affinché la società fosse residente. In particolare, sede legale e sede dell’amministrazione (intesa come sede di direzione effettiva) erano criteri oggettivi, mentre l’oggetto principale fungeva da clausola residuale per catturare l’ipotesi in cui né sede legale né amministrativa fossero decisive, guardando allora al luogo dove si svolgeva principalmente l’attività economica .

Dal 2024, il D.Lgs. 209/2023 (art. 2) ha modificato tali parametri: è stato eliminato il criterio dell’oggetto principale e si è introdotto il concetto di “gestione ordinaria in via principale” nel territorio dello Stato . In pratica, oggi una società è residente in Italia se, per la maggior parte dell’anno, presenta alternativamente: (i) la sede legale in Italia, (ii) la sede di direzione effettiva in Italia, oppure (iii) il centro della gestione operativa (gestione ordinaria prevalente) in Italia . Questi sono criteri alternativi e concreti: è sufficiente che uno si verifichi per oltre metà anno perché la società sia considerata residente. L’abbandono del riferimento all’“oggetto sociale” formale mira ad evitare escamotage in cui una società dichiara un oggetto di comodo all’estero per giustificare la residenza fuori Italia mentre di fatto opera in Italia . Ora la legge enfatizza gli elementi fattuali – direzione effettiva e luogo di svolgimento dell’attività – come criteri primari di collegamento, proprio per contrastare meglio l’esterovestizione .

Accanto a questi criteri generali, è bene ricordare la già menzionata presunzione anti-elusiva dell’art. 73, co.5-bis TUIR, che riguarda società esterovestite controllate da italiani. Tale norma prevede che si presumono residenti in Italia (salvo prova contraria) le società ed enti commerciali che, pur aventi sede estera, siano controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia o siano amministrati da soggetti residenti, se possiedono prevalentemente beni o attività in Italia . In altri termini, se due cittadini italiani detengono il 100% di una S.r.l. formalmente con sede all’estero e questa società non ha reali strutture operative fuori, il Fisco può presumere che sia in realtà residente in Italia . È una disposizione specifica volta a facilitare la contestazione dell’esterovestizione in casi tipici di società schermo ubicate in paradisi fiscali e controllate dall’Italia . Resta comunque una presunzione relativa: la società può provare il contrario (ad esempio esibendo una struttura d’impresa reale ed indipendente all’estero).

Esterovestizione in pratica: l’Agenzia delle Entrate, per dimostrare che una società apparentemente estera è in realtà residente in Italia, tende a raccogliere prove che il “cervello” e l’attività della società sono in Italia. Prima della riforma 2024, ci si concentrava sull’accertare la sede di direzione effettiva (luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche e amministrati gli affari) oppure la sede operativa principale (luogo dove si svolge la maggior parte dell’attività produttiva o commerciale) . Ora questi elementi fattuali coincidono coi criteri normativi, il che facilita il compito del Fisco. Tipici indizi di esterovestizione societaria sono: amministratori o soci tutti residenti in Italia, riunioni del CdA di fatto tenute in Italia, contratti firmati in Italia, mancanza di uffici, dipendenti e attrezzature nella sede estera, conti bancari esteri movimentati dall’Italia, clienti e fornitori principalmente italiani, ecc. Se emergono tali evidenze, l’Agenzia può riqualificare la società come residente italiana.

Un caso esemplificativo recente è l’Ordinanza Cass. n. 1075/2025. Riguardava una S.r.l. che aveva spostato la sede legale da Padova a Monfalcone, poi successivamente in Brasile, senza alcun effettivo spostamento dell’attività . Soci e gestione rimanevano invariati: due persone fisiche residenti in Italia detenevano il 100% e continuavano ad amministrare di fatto la società; in Brasile non risultavano uffici né personale operativo . Ne nacque una disputa sulla competenza territoriale: la società sosteneva che, essendosi trasferita all’estero, l’ufficio dell’Agenzia italiana che l’aveva accertata non fosse competente per territorio. Le Commissioni Tributarie di primo e secondo grado le diedero ragione, annullando gli avvisi per incompetenza territoriale dell’ufficio italiano . La Cassazione però ha ribaltato la decisione: ha affermato che, in caso di trasferimento fittizio all’estero, il domicilio fiscale della società va individuato nell’ultima sede legale risultante dal Registro Imprese italiano, e i criteri successivi (es. sede amministrativa all’estero) diventano residuali . Dunque, se la “fuga” all’estero è solo formale, ai fini fiscali prevale l’ultima sede nota in Italia. Nel caso concreto ciò ha significato che l’ufficio italiano iniziale era competente, poiché la società – a dispetto del cambio formale – doveva considerarsi ancora domiciliata in Italia . Questa pronuncia evidenzia che la forma non può prevalere sulla sostanza: i giudici hanno visto la sede brasiliana come un mero schermo e hanno considerato valida la competenza italiana (e implicitamente la residenza italiana della società) . Più in generale, la Cassazione negli ultimi anni ha adottato spesso un approccio formale per colpire l’esterovestizione: già Cass. 16634/2018 e 1355/2022 avevano affermato che spostare solo la sede legale su carta non basta e che, se tutto il resto resta in Italia, la società va ritenuta residente in Italia .

Dal lato difensivo, un imprenditore o socio che voglia contrastare l’accusa di esterovestizione deve fare il percorso inverso: dimostrare che la società estera ha una vita propria e autonoma fuori dall’Italia, ovvero fornire evidenze di substance over form. Ciò significa provare che la società non è un guscio vuoto: ad esempio documentare che esiste una sede operativa reale all’estero, con uffici, macchinari, dipendenti locali; che le decisioni societarie vengono effettivamente prese all’estero (verbali di CdA tenuti fisicamente lì, procure a manager locali); che il fatturato proviene da clientela estera e le attività si svolgono sul posto; che gli amministratori italiani non ingeriscono nella gestione quotidiana, ecc. . In assenza di tali elementi, sarà molto arduo convincere il giudice. L’onere della prova spetta formalmente al Fisco (tranne casi di presunzione 73(5-bis)), ma una volta che l’Agenzia porta indizi seri di esterovestizione, la difesa dovrà contrapporre altrettanti elementi sostanziali se vuole spuntarla . Si noti che, data la complessità tecnica di questi accertamenti, spesso vengono coinvolte perizie, testimonianze di dipendenti, analisi finanziarie per stabilire dove si produce valore, etc. Il contenzioso sull’esterovestizione è di norma complesso e fortemente “fact-intensive” , richiedendo un esame minuzioso della concreta operatività aziendale.

Sul piano penale, i casi di esterovestizione societaria possono condurre a imputazioni di dichiarazione fraudolenta (se, ad esempio, l’esterovestizione è accompagnata da false fatturazioni o artifizi contabili), oltre che vedere i legali rappresentanti accusati di omessa/infedele dichiarazione personale (se attraverso la società estera occultavano redditi personali). L’esempio tipico è l’amministratore italiano che, creando la società offshore, omette di dichiarare i dividendi o i compensi che da essa percepisce: in tal caso risponderà penalmente come persona fisica (secondo le fattispecie viste prima) se i limiti sono superati. Esterovestizione e profili penali spesso si intrecciano con contestazioni di reati come l’emissione di fatture false, la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000, se si schermano beni via società estere) e così via. Non potendo approfondire in questa sede ogni aspetto, basti ribadire che una contestazione di esterovestizione societaria può avere ricadute su amministratori e soci, e quindi va affrontata con un approccio difensivo integrato (tributario e penale).

Come l’Agenzia delle Entrate scopre le residenze fittizie: controlli e accertamenti

L’Amministrazione finanziaria italiana dispone di ampi poteri di controllo per smascherare i falsi trasferimenti di residenza. Negli ultimi anni, grazie all’evoluzione tecnologica e alla cooperazione internazionale, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno notevolmente intensificato la vigilanza sui soggetti che cercano di sottrarsi al Fisco simulando un espatrio . È utile capire quali strumenti investigativi vengano tipicamente impiegati e come si svolge, in pratica, un accertamento sulla residenza fiscale.

Selezione dei contribuenti a rischio e questionario iniziale

Ogni anno l’Amministrazione effettua analisi incrociate di banche dati per individuare profili “a rischio esterovestizione” (persone che potrebbero aver finto il trasferimento). I profili più a rischio sono ad esempio: cittadini italiani che hanno comunicato all’anagrafe il trasferimento all’estero ma continuano ad avere interessi economici o familiari rilevanti in Italia; soggetti che, pur avendo trasferito formalmente la residenza, mantengono proprietà o attività in Italia (case, imprese, ecc.); italiani migrati verso noti paradisi fiscali; amministratori di società esterovestite, ecc. . L’Agenzia delle Entrate può attingere a numerose fonti informative per compilare le liste di controllo. Ecco alcuni esempi di dati incrociati e “red flags” utilizzati :

  • Anagrafe tributaria e registri pubblici: vengono incrociati i dati anagrafici (cancellazione dall’APR, iscrizione AIRE) con altre informazioni fiscali disponibili. Ad esempio, se un soggetto risulta iscritto all’AIRE ma continua a presentare dichiarazioni dei redditi in Italia (magari per alcuni redditi immobiliari o di partecipazione) oppure possiede immobili in Italia (risultanti dal catasto) scatta un alert . Anche lo status familiare può emergere dai registri: se la moglie risulta residente in Italia o i figli frequentano scuole italiane (vedi sotto), ciò viene notato.
  • Archivio dei rapporti finanziari: l’Agenzia ha accesso all’archivio informatizzato dei conti correnti e rapporti bancari intestati ai contribuenti (art. 7, c.6, DPR 605/73). Può quindi vedere se un soggetto che dichiara di vivere all’estero mantiene conti bancari attivi in Italia con movimenti significativi . Inoltre, tramite lo scambio automatico di informazioni finanziarie (Common Reporting Standard, CRS), l’Italia riceve annualmente dati sui conti esteri detenuti da soggetti fiscalmente residenti in Italia . Ciò consente di scoprire incongruenze: ad esempio, se Tizio si dichiara residente a San Marino ma una banca svizzera segnala all’Italia i suoi conti come intestati a un tax resident italiano, significa che per la Svizzera (o in base ai dati AIRE) Tizio risulta ancora italiano . Questo attiverà un controllo.
  • Utenze domestiche, consumi e contratti in Italia: l’Agenzia può raccogliere dati sulle utenze di luce, gas, acqua, telefono intestate al contribuente in Italia, nonché su contratti di servizi (es. abbonamenti pay-TV, Telepass autostradale, etc.) . Se Caio risulta emigrato ma continua ad avere attiva la fornitura elettrica nella sua casa in Italia con consumi elevati, è un forte indizio che quell’immobile sia abitato – possibilmente da Caio stesso . Analogamente, bollette telefoniche con traffico concentrato in Italia, movimenti Telepass che registrano passaggi in autostrada, utilizzo di carte di credito su POS italiani: sono tutti elementi che tradiscono una presenza fisica. L’Agenzia spesso incrocia tali dati con i periodi in cui il soggetto afferma di essere all’estero.
  • Dati catastali e proprietà immobiliari: possedere o avere a disposizione immobili in Italia è uno dei fattori primari di attenzione . Molti controlli partono proprio dal dato “ha ancora una casa di proprietà in Italia?”. Se sì, il Fisco verifica se l’immobile è vuoto, affittato a terzi, o utilizzato. Una casa lasciata a disposizione (soprattutto se di pregio) è vista come un potenziale centro di interessi rimasto in Italia. Se poi dall’analisi utenze risulta che l’abitazione è effettivamente abitata, il sospetto è forte che il contribuente la usi nelle sue permanenze italiane (come nell’esempio di Elisa: villa in Italia usata d’estate, che ha pesato nella contestazione ).
  • Legami familiari e sociali: benché non esista un “registro dei legami affettivi”, esistono tracce indirette. Un esempio su tutti: iscrizione dei figli a scuola. Se i figli del contribuente (minorenni) risultano frequentare scuole in Italia, è assai probabile che anche il genitore passi molto tempo in Italia – questo è un indizio potente utilizzato dal Fisco . Anche la residenza fiscale dichiarata dal coniuge è rilevante: se la moglie/marito è rimasto residente in Italia, gli ispettori sanno che il center of life familiare è qui. Inoltre, possono essere consultati registri di circoli, associazioni, club sportivi: ad es. se il contribuente risulta membro di un golf club in Italia e partecipa ad eventi locali, ciò è un tassello in più .
  • Cariche societarie e attività d’impresa: mantenere ruoli attivi in società italiane è un altro indicatore potente . L’Agenzia verifica se il soggetto espatriato continua ad essere amministratore o socio di maggioranza di società in Italia, oppure se risulta titolare di partita IVA italiana. Ad esempio, se un professionista si trasferisce all’estero ma mantiene aperta la sua partita IVA italiana o continua ad amministrare una SRL italiana, è evidente che ha ancora interessi economici radicati qui, e questo contrasta con l’idea di un trasferimento definitivo . Nell’esempio di Elisa, il fatto che fosse (di fatto) ancora amministratrice di una startup italiana al 100% è stato decisivo nella contestazione .
  • Redditi e flussi finanziari con l’Italia: se il contribuente continua a percepire redditi dall’Italia (stipendi, compensi professionali, affitti, dividendi) mentre afferma di risiedere all’estero, questo elemento viene immediatamente rilevato dal database fiscale . Anche i flussi bancari transfrontalieri sono monitorati grazie alla normativa antiriciclaggio: bonifici ricorrenti dall’Italia verso il Paese estero di residenza (o viceversa) possono indicare che la persona sta mantenendo un tenore di vita in Italia o supportando la famiglia rimasta in Italia . Nell’esempio di Elisa, la GdF ha visto che dal conto italiano partivano regolarmente bonifici per pagare mutuo e bollette della villa, segno di spese di vita in Italia .
  • Social media e fonti aperte: sorprendentemente, anche i profili social e la presenza mediatica sono diventati strumenti ausiliari di indagine . L’Agenzia o la GdF possono visionare Facebook, Instagram, LinkedIn alla ricerca di indizi sulla localizzazione della persona (foto geolocalizzate, post che la ritraggono spesso in Italia, partecipazione ad eventi in Italia documentati online) . Ovviamente un post social non prova la residenza, ma inserito nel mosaico probatorio può corroborare altri elementi. Addirittura, nel caso di Elisa, lei stessa ha cercato di usare i social a suo favore – producendo screenshot del suo Instagram geolocalizzato a Dubai – ma il Fisco li ha confrontati con i periodi in cui era in Italia (es. post estivi in Sardegna) .

Una volta selezionato un contribuente sospetto di residenza fittizia, il primo atto è di solito l’invio di un questionario o invito a fornire informazioni. Si tratta di una lettera (ex art. 32 DPR 600/1973) con cui l’ufficio chiede al contribuente di spiegare la propria situazione: “Dichiara di risiedere all’estero dal …; indichi dove ha dimorato, in che abitazione, che attività lavorativa svolge, se la famiglia si è trasferita, che beni possiede ancora in Italia…”, allegando documentazione (contratto di casa all’estero, bollette, certificato AIRE, certificato di residenza estero, ecc.) . Questo passaggio è cruciale: è la prima opportunità difensiva per il contribuente di rappresentare la sua versione e magari convincere l’ufficio sin da subito . Se il questionario riceve una risposta completa e credibile corredata di prove (ad es. contratto d’affitto estero, attestati di lavoro all’estero, evidenza che la casa in Italia era vuota o affittata), l’ufficio potrebbe anche archiviare il caso o richiedere chiarimenti integrativi. Ignorare il questionario o rispondere in modo evasivo è invece estremamente pericoloso: innanzitutto può comportare una sanzione amministrativa (per omessa risposta a richiesta di informazioni) e soprattutto consente al Fisco di presumere veritiere le informazioni richieste non smentite . Ad esempio, se l’ufficio chiede “Conferma di aver avuto dimora in Italia nei periodi X e Y?” e il contribuente non risponde, l’ufficio potrà presumere di sì. Inoltre, quasi certamente, la mancata collaborazione spingerà l’Agenzia a procedere con l’accertamento formale sulla base dei soli dati a sua disposizione, sfavorevoli al contribuente.

È quindi altamente consigliabile rispondere ai questionari in maniera accurata e veritiera, magari facendosi assistere da un professionista sin da questa fase. Nel caso Elisa, ad esempio, la sua risposta generica (“risiedo a Dubai” con allegato il visto e il contratto di affitto, nulla sul resto) non ha convinto l’ufficio, che infatti è andato avanti con l’accertamento . Invece, nel caso Mario (in Germania) la risposta ben documentata al questionario (contratto tedesco, certificato, spiegazione dei rientri brevi) ha posto le basi per una successiva difesa vincente grazie alla Convenzione .

Poteri di indagine e raccolta delle prove

Se i dubbi non vengono fugati dal questionario, l’Amministrazione passa a una vera e propria istruttoria approfondita. Gli uffici delle Entrate e la Guardia di Finanza possono attivare una vasta gamma di poteri istruttori durante l’indagine sulla residenza, tra cui:

  • Accessi, ispezioni e perquisizioni: strumenti tipici in ambito aziendale, ma utilizzabili (con cautele) anche per verificare dimore private. In presenza di fondati sospetti che il contribuente dimori abitualmente in Italia malgrado dichiari il contrario, la GdF può richiedere un decreto di autorizzazione per un accesso domiciliare (da parte del Procuratore della Repubblica, come richiesto dallo Statuto del Contribuente). Ad esempio, se dalle indagini risulta che Tizio è spesso presente in un certo appartamento in Italia, i militari potrebbero effettuare un sopralluogo in tale abitazione per vedere se vi sono effetti personali, armadi pieni, tracce di vita quotidiana che dimostrino una presenza stabile . Tali interventi in abitazioni private sono comunque usati con parsimonia e quasi solo nell’ambito di indagini penali attivate (per evitare contestazioni di violazione di domicilio, si tende a raccogliere prove indirette). Resta il fatto che è uno strumento a disposizione in casi estremi.
  • Indagini finanziarie sui conti correnti: come accennato, l’art. 32 DPR 600/1973 consente all’Agenzia di ottenere dagli intermediari finanziari tutti i dati sui rapporti bancari del contribuente (siano essi in Italia, o esteri se intermediati da banche italiane). L’analisi dei movimenti di conto è potentissima: si può vedere ad esempio dove il contribuente preleva contante con il bancomat (in Italia o all’estero, in che date), dove effettua pagamenti POS con carte (le transazioni elettroniche hanno luogo e data), se paga bollette di case in Italia tramite RID, se accredita stipendi esteri su conti italiani, ecc. . Tutto ciò fornisce indicazioni sulla presenza fisica: un utilizzo frequente di bancomat in Italia durante l’anno X è un ottimo indicatore della presenza in quei giorni . Le indagini finanziarie incrociano i dati CRS: l’Agenzia può scoprire conti esteri sconosciuti; se il soggetto li aveva ritenuti non dichiarabili perché non residente, quando la residenza viene contestata quei conti risultano attività estere non dichiarate (con relative sanzioni per mancato monitoraggio). Nel caso Elisa, la GdF ha proprio incrociato i movimenti del suo conto italiano e l’uso di carte in Italia per tracciare i periodi di permanenza e le spese (bollette, mutuo) .
  • Cooperazione internazionale e scambio informazioni: grazie alle Convenzioni bilaterali e alla normativa UE (Regolamenti 2011/16/UE e succ.), l’Agenzia delle Entrate può inoltrare richieste mirate di informazioni al Fisco estero competente. Ad es., se Sempronio sostiene di vivere in Spagna, l’Italia può chiedere alla Spagna riscontri: “Sempronio risulta residente fiscale in Spagna? Ha presentato dichiarazione dei redditi lì? Possiede immobili o imprese lì?” . Molti di questi dati ormai arrivano automaticamente (CRS per conti finanziari, scambio di informazioni su redditi da lavoro/pensione transfrontalieri, ecc.), ma in più vi è la cooperazione amministrativa on demand e perfino audit congiunti UE per casi complessi . Non sono infrequenti casi in cui l’Italia ha ottenuto dalle autorità estere copie di contratti di affitto, certificati di frequenza scolastica dei figli, iscrizioni anagrafiche locali, ecc., forniti dal Paese estero su richiesta . Questo ha un duplice scopo: verificare le affermazioni del contribuente e anche evitare la difesa “io pagavo già le tasse all’estero” quando magari non è vero.
  • Interazione con enti italiani (Comuni, INPS, ecc.): per legge, i Comuni italiani devono verificare entro 6 mesi le domande di iscrizione AIRE dei cittadini (art. 18 Legge 470/1988). Ciò significa che, quando uno richiede l’iscrizione AIRE, il Comune di ultima residenza invia la Polizia Municipale a controllare se effettivamente ha lasciato l’abitazione (o se invece risulta ancora abitare lì) . Spesso i vigili fanno un sopralluogo e stilano un rapporto; se trovano che l’abitazione è occupata dal soggetto o dalla sua famiglia, la richiesta AIRE può essere annullata. Queste informazioni i Comuni le trasmettono anche all’Agenzia Entrate. Inoltre, l’Agenzia può coordinarsi con enti come l’INPS: ad esempio, è successo in passato che per controllare pensionati all’estero o lavoratori in distacco, i dati INPS (pagamenti pensione, contribuzione sospesa, ecc.) siano stati incrociati con le risultanze dell’AIRE. Insomma, c’è un ampio scambio inter-istituzionale.
  • Monitoraggio media e internet: come già detto, le Fiamme Gialle non disdegnano di raccogliere informazioni da Internet. Oltre ai social media, consultano banche dati pubbliche: il Pubblico Registro Automobilistico per vedere se il soggetto continua a possedere auto in Italia (e magari le utilizza, come risultante da revisioni, assicurazioni attive), registri nautici per barche, elenchi di amministratori di condominio, ecc. . Ogni dettaglio viene messo insieme per comporre un quadro completo.

Dall’indagine all’accertamento formale

Se dall’istruttoria emergono elementi sufficienti e coerenti (“gravi, precisi e concordanti”) per ritenere che il contribuente fosse in realtà residente in Italia nel periodo esaminato, l’Agenzia delle Entrate passerà a emettere un avviso di accertamento per i relativi anni d’imposta . In quell’atto formale contesterà la residenza fiscale italiana e richiederà le maggiori imposte dovute sui redditi esteri non dichiarati (oppure su tutti i redditi, se il soggetto aveva omesso completamente la dichiarazione) .

Spesso l’accertamento della residenza viene accompagnato da un accertamento dei redditi con metodo induttivo o sintetico: se il contribuente non ha presentato dichiarazione, l’Ufficio ricostruisce il reddito imponibile basandosi sulle evidenze raccolte. Ad esempio, può notificare un accertamento sintetico ex art. 38 DPR 600/1973 (redditometro), fondato sulle spese sostenute e sul tenore di vita, per imputare un certo reddito presunto e poi tassarlo . Oppure può determinare analiticamente i redditi partendo dai flussi finanziari (versamenti su conti, investimenti, ecc. che diventano base di calcolo). Queste tecniche servono soprattutto quando mancano dichiarazioni originali su cui innestare l’accertamento.

Un aspetto procedurale rilevante è la competenza territoriale dell’ufficio che emette l’accertamento. In genere, l’atto è emesso dall’Ufficio dell’Agenzia relativo all’ultimo domicilio fiscale noto in Italia del contribuente . Ad esempio, se il contribuente risultava residente a Milano prima di iscriversi all’AIRE, sarà l’ufficio di Milano a occuparsi del caso. Esiste anche un Ufficio centrale “ex residenti” per i casi AIRE, ma spesso la pratica viene gestita dall’ufficio locale di provenienza. In caso di contestazione della competenza (come nel caso Cass. 1075/2025 sopra descritto), i giudici valuteranno chi fosse competente; tuttavia, se il trasferimento è ritenuto fittizio, la tendenza è considerare competente l’ufficio dove il contribuente aveva il domicilio in Italia (cioè trattarlo come se non avesse mai realmente spostato il domicilio) . Nel dubbio, l’Agenzia a volte emette l’atto in via subordinata da più uffici, per evitare vizi di competenza. In sede di ricorso, comunque, verificare la competenza può essere utile (anche se difficilmente decisivo sul merito).

La notifica dell’avviso di accertamento avviene all’ultimo indirizzo noto in Italia del contribuente oppure al domicilio eletto. Se il contribuente è AIRE, la notifica può essere fatta all’estero tramite servizio postale o per via diplomatica (soluzione spesso lenta e problematica). Non di rado, il contribuente all’atto di iscrizione AIRE nomina un rappresentante fiscale in Italia per le notifiche: ciò semplifica la procedura, perché l’atto viene notificato a tale rappresentante (es. un parente, un professionista) . In mancanza, la notifica all’estero può subire ritardi: è importante, una volta ricevuto l’atto (ovunque sia stato notificato), verificare che sia avvenuto correttamente e prendere nota della data, poiché da essa decorrono 60 giorni per presentare ricorso .

In sintesi, un tipico iter è: red flags su un soggetto → invio questionario → raccolta informazioni e verifiche incrociate → se esito insoddisfacente, emissione di avviso di accertamento (contestazione residenza + recupero imposte e sanzioni) . È cruciale sapere che l’accertamento della residenza fiscale è impugnabile come qualsiasi altro accertamento tributario: quindi, una volta ricevuto l’atto, il contribuente può presentare ricorso avanti al giudice tributario competente. Nella sezione seguente vedremo come impostare la difesa in sede contenziosa e quali strategie possono portare all’annullamento dell’accertamento.

Difendersi dalla contestazione: strumenti, strategie e contenzioso tributario

Giunti al momento dell’accertamento formale, il contribuente che si vede contestare la residenza in Italia per anni in cui si riteneva all’estero deve attivarsi tempestivamente per predisporre la difesa. Gli strumenti di tutela si sviluppano su due piani: (1) fase pre-contenziosa (richieste di riesame, adesione, ecc.), (2) fase del ricorso in Commissione/Corte di giustizia tributaria. In aggiunta, come visto, va tenuto conto del possibile intreccio con il procedimento penale e dell’opportunità di scelte che limitino i rischi (es. definire alcuni addebiti per ridurre l’evasione sotto soglia). Qui analizziamo il punto di vista del contribuente, ossia come impostare una difesa efficace per far valere la propria effettiva residenza estera o comunque evitare le sanzioni più gravi.

Fase pre-contenziosa: istanze di autotutela e accertamento con adesione

Dopo aver ricevuto l’avviso di accertamento, prima di ricorrere al giudice il contribuente può valutare alcune azioni in sede amministrativa:

  • Autotutela: è la facoltà per l’ufficio di annullare o rettificare in via di autotutela un atto riconosciuto palesemente infondato o erroneo. Non è un diritto del contribuente, ma può essere sollecitata con un’istanza motivata. Nel contesto della residenza fiscale, casi di autotutela totale sono rari (l’ufficio difficilmente ammette spontaneamente di aver sbagliato valutazione); tuttavia, la Circolare 21/E del 7/11/2024 ha incoraggiato gli uffici ad un uso più proattivo dell’autotutela in caso di evidenti errori, per evitare contenziosi inutili . Ad esempio, se dopo l’emissione dell’avviso emergesse un nuovo documento decisivo a favore del contribuente (mettiamo che il Comune invii una certificazione tardiva che la casa in Italia era sfitta e che il contribuente risultava iscritto all’anagrafe tedesca già da prima, ecc.), si potrebbe tentare un’istanza di autotutela allegando tale prova. Oppure, come ipotizza la circolare, se dopo un giudizio di primo grado favorevole al contribuente l’ufficio ritenesse di non appellare, potrebbe annullare in autotutela l’atto (ciò avviene raramente, ma con le nuove norme di responsabilità dei funzionari potrebbe accadere per evitare una probabile sconfitta in appello) . Insomma, provare un’istanza di autotutela non costa nulla: va scritta in modo puntuale, indicando gli errori di fatto o di diritto commessi dall’ufficio (es.: “avete ignorato la Convenzione, in palese violazione dell’art. 4”, oppure “non avete considerato questo certificato che attesta X”), e indirizzata all’ufficio stesso. Non blocca i termini di ricorso (che corrono lo stesso), ma se entro 60 giorni l’ufficio accoglie e annulla, ci si risparmia il processo. Da tenere presente che l’autotutela obbligatoria per legge si applica solo in casi specifici (errore di persona, doppia imposizione sul medesimo reddito, errore sul calcolo, ecc., v. art. 2-quater L. 212/2000), non immediatamente attinenti alle contestazioni di residenza .
  • Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è una procedura di natura conciliativa. Entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, il contribuente può presentare istanza di adesione, chiedendo un contraddittorio con l’ufficio (la presentazione dell’istanza sospende il termine per ricorrere per un massimo di 90 giorni). In sede di adesione, contribuente e ufficio discutono e, se trovano un accordo, definiscono l’accertamento con la riduzione delle sanzioni ad 1/3. Nel caso di contestazione di residenza, l’adesione potrebbe tradursi in una sorta di “patteggiamento fiscale”: ad esempio, concordare che il contribuente accetta la residenza in Italia per alcuni anni ma non per altri, o che concorda l’importo dei redditi evasi (talvolta l’ufficio, per evitare l’incertezza del giudizio, potrebbe offrire la non contestazione di un anno in cambio del pagamento su un altro). L’adesione ha senso se il contribuente ritiene la propria posizione difficilmente difendibile in giudizio – ad esempio, nel caso di Elisa in Dubai, vista la situazione sfavorevole, aderire avrebbe potuto ridurre le sanzioni del 1/3 e chiudere il caso più rapidamente . L’adesione consente anche di rateizzare il dovuto in 8 rate trimestrali. Di contro, se il contribuente ha elementi forti per vincere in giudizio (es. Mario in Germania con trattato a favore), aderire sarebbe una rinuncia ai propri diritti. Valutare bene quindi, magari con l’aiuto di un legale, la convenienza dell’adesione. Se si punta a far valere un principio (es. applicazione tie-breaker) l’ufficio difficilmente accetterà in adesione di annullare l’atto: l’adesione ha natura transattiva, presuppone concessioni reciproche. Nel caso si decida di provare l’adesione, presentare già nell’istanza le proprie argomentazioni può aiutare a intavolare meglio la trattativa.
  • Mediazione tributaria: per completezza, ricordiamo che per gli atti di valore non superiore a 50.000 euro è obbligatorio presentare un’istanza di mediazione/reclamo prima del ricorso (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). Tuttavia, nelle contestazioni di residenza fiscale gli importi (imposte evase più sanzioni) superano quasi sempre tale cifra, quindi raramente il reclamo-mediazione si applica . Può capitare giusto in situazioni marginali (contribuente di basso reddito). In caso si applichi, la mediazione funziona simile all’adesione, con la differenza che l’istanza va rivolta a un Ufficio legale dell’Agenzia che ha 90 giorni per rispondere. Se accoglie parzialmente, formula una proposta (es. ridurre le sanzioni del 35%). Se tace o rifiuta, si può procedere col ricorso. È comunque una tutela ante causam da non trascurare nei casi di piccolo importo.

In parallelo a queste mosse, il contribuente deve già prepararsi alla eventuale causa: quindi raccogliere e ordinare tutti gli elementi probatori a suo favore (contratti, certificati di residenza, documenti di viaggio, ecc.), individuare eventuali testimoni da escutere (in sede tributaria la prova testimoniale non è ammessa, ma si possono produrre dichiarazioni sostitutive di atto notorio di terzi, che il giudice valuterà come meri indizi). Conviene anche verificare se l’atto impugnato presenta vizi formali (ad es. motivazione insufficiente, notifica irregolare, incompetenza territoriale) da eccepire unitamente al merito.

Il ricorso al giudice tributario: impostare la difesa in giudizio

Se non si definisce in via amministrativa, il contribuente ha 60 giorni dalla notifica dell’avviso (salvo sospensioni per adesione/mediazione) per proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale/Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente. La difesa in giudizio dovrà essere ben articolata sia sui fatti sia sul diritto.

Inquadramento dell’onere della prova: va ricordato che nelle cause sulla residenza fiscale l’onere probatorio dipende dal tipo di caso: – Se non si tratta di paradiso fiscale, vige la regola generale: spetta all’Agenzia Entrate dimostrare che il contribuente aveva in Italia residenza/domicilio etc. (l’onere della prova è a carico del Fisco) . Il contribuente, dal canto suo, dovrà contestare e cercare di contraddire le prove dell’Agenzia, ma formalmente è l’Ufficio che deve provare la “persistenza” in Italia. – Se si tratta di Paese black list, opera la presunzione ex art. 2 co.2-bis: quindi in giudizio sarà considerato residente salvo prova contraria, il che di fatto significa che è il contribuente a dover convincere il giudice della propria effettiva residenza estera . In tal caso, la strategia difensiva sarà proattiva: non basterà smontare le tesi del Fisco, bisognerà portare in campo molte prove positive a proprio favore.

Nella redazione del ricorso, in genere si procederà così: – Svolgimento dei fatti: descrivere la cronologia essenziale: quando ci si è trasferiti, dove, iscrizione AIRE (se fatta) quando, situazione familiare, cosa contesta l’Agenzia (indicare estremi dell’avviso impugnato). Qui si può evidenziare subito eventuali elementi salienti (es. “il ricorrente è iscritto AIRE dal …, la sua famiglia e lavoro sono all’estero, come provato da…, l’Ufficio contesta la residenza in Italia adducendo….”). – Motivi di ricorso in diritto: articolare uno o più motivi indicando le violazioni di legge o i vizi dell’accertamento. Tipicamente: 1. Violazione di legge sul criterio di residenza: es. “Violazione/errata applicazione dell’art. 2 TUIR e dell’art. 4 Convenzione contro doppie imposizioni con ___”. Qui si argomenterà che l’Ufficio ha applicato erroneamente i criteri di residenza, ignorando magari la convenzione internazionale (se c’è) che andava applicata con priorità . Ad esempio, nel caso Mario, il motivo sarebbe: violazione dell’art. 4 Conv. Italia-Germania, perché l’Agenzia non ha risolto il conflitto di doppia residenza secondo i tie-breaker e ha preteso di tassare il ricorrente in contrasto col trattato. 2. Insufficienza delle prove e motivazione: es. “Difetto di motivazione e carenza di prova circa la residenza in Italia”. Si può contestare che l’accertamento si basa solo su indizi deboli o formali (es. l’iscrizione anagrafica) senza fornire quegli “elementi gravi, precisi e concordanti” richiesti dalla legge per sovvertire la residenza estera . Ad esempio: “L’Ufficio si è limitato a rilevare che il ricorrente era formalmente residente e possedeva un immobile in Italia, ma tali elementi – a fronte delle prove contrarie fornite – non sono sufficienti a provare una residenza effettiva in Italia, come chiarito da Cass. 14434/2010 e altre pronunce” . 3. Errori procedurali (se ve ne sono): es. notifica nulla, ufficio incompetente, mancato contraddittorio se richiesto (per gli accertamenti su anni dal 2018 in poi il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio in alcune ipotesi). Questi sono motivi aggiuntivi che possono portare all’annullamento per vizio formale, senza entrare nel merito.

  • Richiesta di prove: il ricorrente può allegare documenti e chiedere eventuali CTU (consulenze tecniche) se servono. La prova testimoniale è vietata nel processo tributario, ma come detto si possono produrre dichiarazioni scritte di terzi. Ad esempio, nel caso Elisa, si potrebbero allegare affidavit di persone negli Emirati che attestino la sua presenza lì – il giudice le valuterà liberamente (nel caso pratico, le sue “testimonianze giurate” non hanno convinto perché provenienti da amici/emiri di parte , ma tentar non nuoce).
  • Conclusioni: vanno indicate le richieste finali (annullamento integrale dell’avviso, con vittoria di spese). Si può chiedere l’annullamento totale o parziale (se ad esempio alcuni redditi erano in effetti imponibili e li si riconosce). Se la causa verte su principi ampi (es. residenza convenzionale estera), di solito si chiede annullamento completo.

Preparazione delle prove: La difesa deve presentare un dossier organico di prove a supporto della residenza estera. Questo include: – Documenti ufficiali esteri: certificato di residenza fiscale estera, certificato di iscrizione anagrafica locale, eventuale attestazione di autorità estera (ad esempio nel Regno Unito c’è il tax residence certificate). Nel caso Mario, lui ha prodotto il certificato di residenza tedesco per il 2023 e prove delle tasse pagate in Germania . – Contratti di locazione o proprietà dell’abitazione all’estero, con bollette e ricevute di pagamento affitti/utenze per dimostrare che si viveva e consumava lì . – Documenti di lavoro/studio all’estero: contratto di lavoro, busta paga estera, attestati di frequenza scolastica dei figli all’estero se applicabile (quest’ultimo fu determinante nella CTR Lombardia 2017 sul calciatore a Monaco: dimostrò che aveva portato con sé la famiglia e i figli a scuola a Monaco, e l’accertamento venne annullato) . – Prova delle permanenze: timbri sul passaporto (per Paesi extra-Schengen), carte d’imbarco voli, registro ingressi badge aziendale (come ha prodotto Mario) , transazioni bancarie con luogo, spese con carta (già viste dall’Agenzia magari: le stesse si possono rielaborare a proprio favore se mostrano spese coerenti con la vita all’estero). – Eventuale corrispondenza sanitaria: iscrizione al servizio sanitario estero, visite mediche fatte all’estero e non in Italia, etc., per mostrare che anche la salute era gestita lì. – Evidenze su immobili in Italia: se l’immobile in Italia esiste, spiegare come è stato utilizzato: era affittato? Allegare contratto di locazione e visure che mostrano l’inquilino. Era vuoto? Magari dichiarazione dell’amministratore condominio che era disabitato, oppure bollette con consumi zero . In mancanza, at least evidenziare che il contribuente era all’estero e l’immobile lo usava solo per brevi vacanze (il che però è un punto debole – idealmente l’immobile andava ceduto o affittato come suggerito dai consigli finali). – Nel caso di Convenzione: evidenziare i criteri tie-breaker uno per uno. Nel ricorso di Mario, ad esempio, si è fatto notare: abitazione permanente disponibile in Germania vs Italia (lui affitto 4 anni a Monaco di Baviera, in Italia la casa c’è ma usata dalla moglie), centro interessi vitali (diviso, famiglia in Italia ma lavoro e vita quotidiana in Germania), soggiorno abituale (320 giorni Germania vs 40 Italia) , nazionalità irrilevante (italiana). Si argomenta quindi che il tie-breaker risolve per la Germania su base soggiorno abituale .

Comparsa dell’Agenzia e contraddittorio in giudizio: l’Ufficio, costituendosi, porterà a sua volta i propri elementi (ad es. nel caso Elisa portò i verbali societari dimostranti che lei prendeva decisioni, i tabulati di entrate/uscite dal paese) . Il giudice tributario valuterà tutto questo. È un giudizio di merito molto fattuale. Non esiste una giuria o un verdetto prestabilito: le decisioni variano. Alcune Commissioni sono state severe pro-Fisco (specie in passato, recependo l’impostazione formalistica), altre più garantiste pro-contribuente quando questi dimostra la sostanza estera .

Ad esempio, come ricordato nelle FAQ finali, ci sono stati precedenti sia favorevoli che contrari: – Cass. 14434/2010: contribuente AIRE che però aveva ancora famiglia e affari in Italia, Cassazione diede ragione al Fisco (residenza italiana confermata) . – Cass. 24246/2015: contribuente formalmente residente in Italia ma con centro interessi all’estero secondo Convenzione, Cassazione gli diede ragione applicando il trattato (residenza estera riconosciuta) . – Cass. 16634/2018: ribadì la linea dura sull’anagrafe (se stai in APR sei residente, salvo prova contraria molto forte) . – CTR Lombardia 2017 (caso calciatore a Monaco): annullò l’accertamento ritenendo che il Fisco avesse portato solo presunzioni deboli (qualche visita in Italia), mentre il contribuente mostrò che viveva con famiglia a Monaco .

Oggi, con la riforma normativa che spinge a guardare la sostanza, ci si aspetta che i giudici siano più recettivi alle prove concrete di residenza estera. La guida è sempre quella dei “gravi, precisi e concordanti”: se il Fisco porta solo elementi formali (es. “eri iscritto all’anagrafe, quindi residente”), ciò non basta più perché l’anagrafe è presunzione relativa e può essere superata . Ma se il Fisco porta bollette, spese, movimenti finanziari che evidenziano una vita in Italia, e il contribuente non oppone evidenze altrettanto forti, i giudici tenderanno a dar ragione al Fisco .

Dunque, la chiave è: presentare il caso in modo solido e documentato. Se il contribuente ha davvero vissuto all’estero, deve farlo toccare con mano al giudice tramite i documenti. Ad esempio, nel caso Mario in Germania, la combinazione di contratto affitto + 320 giorni estero vs 40 in Italia + tasse pagate in Germania dovrebbe convincere un giudice che la residenza era in Germania, nonostante la famiglia in Italia (il giudice applicherà la Convenzione e risolverà a favore della Germania in base al criterio del soggiorno abituale) . Nel caso Elisa a Dubai, invece, la situazione è compromessa da troppi legami italiani e dall’assenza di trattato: un giudice verosimilmente confermerà la residenza italiana .

Va aggiunto che, se la causa si protrae, dal 2024 le nuove norme potranno giocare a favore del contribuente per gli anni successivi (es. l’anagrafe da assoluta è divenuta relativa: un accertamento su 2024 basato solo sull’anagrafe verrebbe probabilmente annullato). Le sentenze di Cassazione più recenti (metà 2024 in poi) ancora non ci sono sul nuovo art. 2, ma ci si attende orientamenti più attenti alla sostanza.

Dopo la sentenza di primo grado: a seconda dell’esito, entrambe le parti possono appellare in secondo grado (C.T. Regionale / Corte di Giustizia Tributaria di II grado). Attenzione però: se il contribuente perde in primo grado, per proseguire deve versare una quota pari a 1/3 delle imposte contestate (cosiddetto “pagamento frazionato” previsto dall’art. 15 DPR 602/73) . Se perde anche in secondo grado, deve pagare i 2/3 restanti. Questo non significa rinunciare alla causa, ma è un esborso che va considerato. Se invece il contribuente vince in primo grado, l’Agenzia per appellare non deve pagare (ma dal 2023 è tenuta a fare una valutazione interna della probabilità di vittoria, per evitare appelli temerari). Alla fine, dopo l’eventuale secondo grado, si potrà ricorrere in Cassazione solo per motivi di diritto. Tempi: un contenzioso complesso come questi può durare 2-3 anni per grado, quindi anche 6-7 anni in caso di Cassazione . Durante questo periodo, come detto, se si è perso un grado bisogna pagare una parte.

In caso di esito negativo definitivo, oltre a pagare imposte, sanzioni e interessi, c’è il rischio che parta (o prosegua) il procedimento penale se pendente. In caso di esito positivo (annullamento accertamento), si chiude anche il fronte penale relativo (perché viene meno il presupposto dell’evasione). Da notare: l’assoluzione penale non vincola il giudice tributario, ma l’annullamento tributario di solito comporta il proscioglimento penale (perché manca il fatto offensivo). In ogni caso, vincere in tributario è l’obiettivo primario per non pagare le somme.

Consigli pratici e prevenzione

Dall’analisi svolta emergono alcune best practices sia per chi intende trasferirsi all’estero, sia per chi si trova già sotto verifica:

  • Curare sia la forma che la sostanza del trasferimento: Non basta trasferirsi davvero, né basta espletare le formalità burocratiche – occorre fare entrambe le cose. Iscriversi all’AIRE tempestivamente è fondamentale (entro 90 giorni dall’espatrio), ma poi bisogna anche vivere effettivamente all’estero. Non trascurare gli adempimenti formali (AIRE, cancellazione medico SSN, comunicare cambio indirizzo alle banche, ecc.): una dimenticanza può costare cara perché dà appigli al Fisco . Ad esempio, non avere fatto AIRE comporta ancora inversione onere prova; non avere disdetto le utenze in Italia fa emergere consumi; non aver chiuso la partita IVA in Italia lascia tracce attive.
  • Recidere (o congelare) i legami con l’Italia prima di partire: Fai un’onesta analisi: “Ho ancora interessi economici rilevanti in Italia? La mia famiglia resta in Italia? Cosa posso fare per allentare questi collegamenti?”. Idealmente, vendere o affittare la casa in Italia è consigliabile ; se la casa rimane a disposizione, almeno chiudere utenze e non usarla (o usarla pochissimo e poterlo provare). Trasferire la famiglia all’estero se possibile – so che non sempre lo è, ma lasciare moglie e figli in Italia è il singolo fattore più rischioso. Se non si può, almeno considerare di trasferirli in un secondo momento o di organizzare la propria vita in modo che il fulcro rimanga all’estero (ad es. rientri molto brevi giustificati, far venire la famiglia all’estero appena possibile, ecc.). Sul fronte affari, chiudere ruoli in società italiane (dimettersi da amministratore, vendere quote o almeno delegare completamente la gestione). Se sei un imprenditore, valuta di costituire la tua impresa nel nuovo Paese invece di mantenere quella italiana (Elisa avrebbe dovuto fare così: aprire una società a Dubai per la sua attività, anziché restare di fatto a dirigere quella italiana) . Meno interessi rimangono in Italia, più facile difendersi.
  • Conservare un “fascicolo difensivo” fin dal trasferimento: crea e custodisci un archivio con tutti i documenti che potrebbero servire a provare la tua residenza estera. Contratto di casa, iscrizione AIRE, certificati di residenza estera annuali, bollette estere, abbonamenti (palestra, biblioteca, etc. all’estero), biglietti aerei di viaggi, registro presenze lavoro, estratti conto che mostrano spese nel luogo estero. Annota i giorni di presenza (un calendario) ogni anno. Può sembrare maniacale, ma quando 5 anni dopo arriverà il questionario, ti ringrazierai da solo per aver conservato tutto questo . Molti contribuenti colpevolmente buttano o non raccolgono prove, e a distanza di anni faticano a dimostrare dove fossero in un certo giorno. Un semplice diario o calendario conservato, insieme ai giustificativi, può fare la differenza.
  • Collaborare ma senza contraddirsi col Fisco: se ricevi un questionario o invito, non ignorarlo (pena presunzioni negative e sanzioni) . Rispondi in modo completo e veritiero, allegando documenti. Non fornire però risposte incerte o contraddittorie: preparale con cura, magari facendole rivedere da un fiscalista. Coerenza è la parola d’ordine: se sostieni che eri all’estero 320 giorni, porta prove che combacino; se dici che la casa in Italia non la usavi, spiega magari che era affittata o vuota e supportalo con qualche evidenza (es. testimonianza di un vicino che attesti che in quel periodo era chiusa) . Ricorda che ogni informazione che dai sarà verificata: non azzardare affermazioni smentibili. Meglio ammettere qualche piccolo legame (es. “sì, tornavo per 2 settimane a Natale in Italia”) che farsi smascherare su bugie più grandi.
  • Conoscere e invocare i propri diritti convenzionali: se c’è una Convenzione contro le doppie imposizioni col Paese estero, studiane l’art. 4 (residenza) e vedi come gioca a tuo favore. Non tutti i funzionari locali sono esperti di trattati: sarai tu a dover sollevare formalmente la questione. Nell’esempio di Mario, se lui non avesse invocato il trattato Italia-Germania, l’ufficio probabilmente avrebbe tirato dritto tassandolo in base alla norma interna. Invece nel ricorso egli ha fatto leva proprio sul tie-breaker per ottenere ragione . Quindi, se hai i requisiti per essere residente estero da trattato, fallo presente subito per iscritto all’Agenzia, magari già nella fase di adesione o risposta al questionario, citando la giurisprudenza che conferma la prevalenza del trattato . Ciò obbligherà l’ufficio (e poi il giudice) a confrontarsi con quei criteri.
  • Ridurre il danno se si è nel torto: se ti rendi conto che effettivamente la tua residenza estera era più sulla carta che reale e le prove contro di te sono schiaccianti, valuta un approccio transattivo: ad esempio richiedi un accertamento con adesione per patteggiare imposte e sanzioni (risparmiando 1/3 su queste ultime) . Oppure, se ancora in tempo, presenta dichiarazioni integrative per quegli anni (pagando volontariamente le imposte dovute con ravvedimento). Questo potrebbe addirittura evitare l’accertamento se lo fai prima che parta. Soprattutto, può ridurre l’evaso sotto soglia penale. Certo, significa pagare, ma se la tua posizione è indifendibile è meglio pagare sanzioni ridotte ora che il 100% dopo, con in più un procedimento penale. Bisogna saper riconoscere i casi in cui “non ci sono santi” e conviene limitare i danni.
  • Non aver paura di far valere le tue ragioni se hai un caso forte: al contrario, se sei convinto di essere nel giusto (perché effettivamente risiedevi all’estero e hai buone prove), non farti intimidire. Spesso l’Agenzia insiste in contestazioni difficili sperando che il contribuente, spaventato da sanzioni e minacce penali, ceda e paghi. Ma se il tuo caso è solido (es. sei un medico emigrato in UK con famiglia con te e casa venduta in Italia), allora portalo fino in fondo: i giudici tributari, specie ora professionali, sanno riconoscere la realtà effettiva se presentata bene . In quella FAQ si consiglia appunto: se il caso è forte e ben documentato, non temere di andare in causa, perché hai buone chance di vincere.
  • Assistenza professionale: infine, valuta seriamente di farti assistere da un professionista esperto in fiscalità internazionale e contenzioso. Qui non è questione di autopromozione di categoria: è un dato di fatto che il diritto tributario internazionale è complesso e in continua evoluzione (vedi le novità 2024) . Un commercialista o avvocato tributarista aggiornato potrà ad esempio individuare quella sentenza di Cassazione o quella circolare che fa al caso tuo e inserirla nell’atto, saprà impostare la difesa in modo tecnicamente corretto (evitando decadenze, proponendo istanze giuste nei tempi giusti) e magari negoziare con l’ufficio in maniera più efficace. Considera che in caso di vittoria in giudizio, le spese legali possono essere poste a carico dell’Agenzia (anche se spesso i giudici compensano le spese in primo grado, ma in appello e Cassazione se vinci di solito ottieni il rimborso). Quindi, investire in una buona difesa può rivelarsi una scelta vincente sul lungo periodo.

Seguendo questi accorgimenti, il contribuente può sensibilmente aumentare le proprie probabilità di successo o quantomeno contenere gli esiti sfavorevoli. Come abbiamo visto, difendersi da un’accusa di residenza fittizia richiede un mix di conoscenza tecnica, preparazione documentale e strategia processuale. Non è semplice, ma con le giuste mosse è possibile far valere le proprie ragioni anche contro presunzioni e apparenze che paiono sfavorevoli.

Modelli di memorie difensive (esempi pratici)

A completamento della guida, proponiamo due esempi di schema di memoria difensiva (ricorso) da utilizzare rispettivamente nel caso di: A) contestazione a una persona fisica trasferita all’estero; B) contestazione di esterovestizione societaria a carico di una società (e per riflesso dei suoi soci/amministratori). Si tratta di fac-simili semplificati, da adattare alle circostanze concrete, che illustrano come andrebbero strutturate le argomentazioni e le prove nella difesa scritta.

A) Fac-simile di memoria difensiva – Persona fisica (residenza estera contestata)

  • Intestazione e autorità adita: “Commissione Tributaria/Corte di Giustizia Tributaria di [Regione] – Ricorso ex art. 18 D.Lgs. 546/92”. Indicare numero avviso impugnato, anno d’imposta, nome del contribuente ricorrente e contro Agenzia Entrate Ufficio __. Esempio: “Ricorso di XY, codice fiscale…, rappresentato e difeso da…, contro Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di , avverso avviso di accertamento n. … relativo all’anno d’imposta 20.
  • Fatti (in fatto): descrivere la vicenda personale del contribuente. Ad esempio: “Il Sig. XY è cittadino italiano che ha trasferito la propria residenza in [Paese] a far data dal . Si iscriveva all’AIRE del Comune di __ il . Presso lo Stato estero svolge attività lavorativa come __ presso , come da contratto allegato. Il nucleo familiare (moglie e figli) lo ha seguito all’estero, dove i figli frequentano la scuola __ (doc. ). In Italia il Sig. XY ha mantenuto solo un piccolo appartamento di proprietà a , dato in locazione a terzi (doc. __ contratto di affitto). Con avviso di accertamento impugnato, notificato il , l’Agenzia delle Entrate ha contestato al Sig. XY la residenza fiscale in Italia per l’anno __, assumendo che… (riassumere motivazione avviso: es. “era iscritto in anagrafe fino ad aprile, aveva immobili”, etc.)”. Elencare eventualmente le prove già fornite in fase precontenziosa: “Si fa presente che in risposta a questionario del __ il ricorrente aveva già prodotto documentazione attestante la stabile permanenza all’estero, che tuttavia l’Ufficio ha ritenuto insufficiente”. Questa parte deve dare al giudice un quadro chiaro della situazione fattuale.
  • Motivi di ricorso (in diritto): articolare i motivi di impugnazione. Nel nostro caso, ad esempio:
  • Errata applicazione dell’art. 2 TUIR e violazione Convenzione contro le doppie imposizioni: “L’accertamento impugnato viola l’art. 2 co. 2 TUIR e l’art. 4 della Convenzione Italia-, in quanto il ricorrente doveva essere considerato residente fiscale in __ e non in Italia. La Convenzione in particolare prevede criteri per risolvere i casi di doppia residenza, che nella specie portano ad attribuire la residenza allo Stato estero. Infatti: (a) il ricorrente disponeva di un’abitazione permanente in , mentre in Italia aveva solo un immobile locato a terzi; (b) il centro degli interessi vitali era all’estero, avendo colà trasferito anche la famiglia e svolgendovi la propria attività lavorativa; (c) il soggiorno abituale del ricorrente è stato in __ (oltre 300 giorni nel , come da documentazione di ingressi/uscite allegata), con mere visite occasionali in Italia; (d) la nazionalità italiana è criterio residuale non dirimente. Pertanto, ai sensi dell’art. 4 par. 2 lett. a), b), c) della Convenzione, il Sig. XY deve essere considerato residente di , come peraltro attestato dall’Autorità fiscale di detto Paese (doc. __ certificato di residenza fiscale anno __). Si richiama giurisprudenza conforme: Cass. n. 24246/2015 ha riconosciuto prevalenza alla Convenzione in un caso analogo. Ignorando i criteri convenzionali, l’Ufficio ha erroneamente applicato solo la norma interna, in violazione dell’art. 117 Cost. e dei vincoli internazionali.”.
  • Insussistenza dei presupposti di fatto per la residenza in Italia – onere della prova non assolto: “In ogni caso, la pretesa dell’Ufficio difetta di sufficienti elementi probatori. Ai sensi dell’art. 2 TUIR (versione applicabile al ) una persona è residente se ha residenza/domicilio in Italia per la maggior parte dell’anno. Il ricorrente invece, come comprovato in atti, ha trascorso la maggior parte dell’anno all’estero (doc. ) e non aveva in Italia né dimora abituale né il centro principale degli interessi. L’Ufficio si è basato principalmente sull’iscrizione anagrafica italiana risultata fino al __ e sulla proprietà di un immobile: elementi meramente formali che non bastano a radicare la residenza fiscale. Si richiama Cass. n. 14434/2010, la quale ha statuito che l’iscrizione AIRE da sola non è risolutiva, ma occorre valutare concretamente dove la persona abbia famiglia e affari. Nella fattispecie, la famiglia e l’attività lavorativa erano all’estero, e l’immobile italiano era dato in locazione, quindi privo di utilizzo da parte del ricorrente (cfr. doc. __, fatture utenze a zero durante il periodo, che corroborano l’assenza di permanenza). L’Ufficio non ha indicato alcun elemento “grave, preciso e concordante” tale da dimostrare una permanenza in Italia: non risultano consumi, non risultano redditi prodotti in Italia nel __ (il ricorrente non ha percepito redditi italiani, v. certificazioni uniche allegate), non risultano legami affettivi (moglie e figli risiedono in ). Pertanto manca il presupposto fattuale della residenza in Italia per l’anno , e l’atto impositivo è infondato in fatto oltre che in diritto.”.
    (Eventualmente aggiungere un motivo su vizi formali, se presenti: es. “3. Nullità dell’avviso per difetto di motivazione” o altro, spiegando brevemente.)
  • Conclusioni: formulare la richiesta al giudice: “Si chiede, per tutto quanto esposto, che codesta On.le Commissione voglia annullare in toto l’avviso di accertamento impugnato, riconoscendo che il Sig. XY non era residente fiscale in Italia per l’anno __. Con vittoria di spese del giudizio.”. Aggiungere, se opportuno: “In via subordinata, ove fosse ritenuto che taluni redditi esteri siano imponibili in Italia, si chiede la rideterminazione dell’imposta eliminando le duplicazioni e applicando i crediti per imposte estere ex art. 165 TUIR, nonché la riduzione delle sanzioni al minimo di legge.” (questa parte dipende dalla strategia: se il ricorrente contesta tutto o ammette parzialmente).
  • Documenti allegati (prova): elencare analiticamente i documenti probatori: “Doc.1: certificato iscrizione AIRE Comune ; Doc.2: certificato residenza rilasciato da autorità ; Doc.3: contratto di lavoro in ; Doc.4: contratto di affitto appartamento in ; Doc.5: estratto conto consumi elettricità appartamento in Italia (inattivo nel __); Doc.6: tabella riepilogo giorni di presenza (con dettagli ingressi/uscite); Doc.7: biglietti aerei e timbri passaporto; Doc.8: attestazione Agenzia delle Entrate __ (Paese estero) su imposte pagate dal ricorrente; …”. È importante numerare e catalogare ogni prova, e magari richiamarla nel testo del ricorso (es. “doc.5” nel motivo quando si parla delle utenze).

Questo fac-simile mostra come impostare la memoria difensiva enfatizzando i punti di forza del contribuente (trattato internazionale, prove concrete) e segnalando le lacune nella tesi del Fisco. Naturalmente andrà adattato: ad esempio, se la famiglia è rimasta in Italia (caso più difficile), si dovrà argomentare diversamente, magari puntando sul soggiorno all’estero e su altri interessi prevalenti, consapevoli però che è una battaglia in salita (come visto con le nuove regole dal 2024, famiglia in Italia tende a implicare domicilio in Italia ).

B) Fac-simile di memoria difensiva – Società esterovestita (contestazione art. 73 TUIR)

Nel caso di una società a cui viene contestata l’esterovestizione (e quindi assoggettata a tassazione in Italia), il ricorso sarà proposto dalla società stessa (rappresentata dall’organo amministrativo) contro l’avviso di accertamento che attribuisce residenza in Italia e recupera imposte (IRES, IRAP, ecc.). I soci/amministratori eventualmente coinvolti personalmente (es. per utili distribuiti non dichiarati) farebbero ricorsi separati, ma qui focalizziamoci sulla difesa della società.

  • Intestazione: “Commissione Tributaria … – Ricorso della Alfa S.r.l. (già Alfa Ltd, con sede in __) c.f…, in persona del legale rappresentante pro tempore, contro Agenzia Entrate … avverso avviso di accertamento n… IRES anno …”. (Indicare eventualmente che la società ha eletto domicilio in Italia ai fini del contenzioso, se lo ha fatto).
  • Fatti: “La società Alfa S.r.l. era originariamente con sede legale in Italia a . In data __ ha deliberato il trasferimento della sede legale nel Regno Unito, iscrivendosi al Companies House di Londra come Alfa Ltd (doc. __ visura UK) e cancellandosi dal Registro Imprese italiano (doc. ). Successivamente, in data , ha ulteriormente trasferito la sede legale in __ (paese extra-UE). L’attività societaria consiste in __ (descrivere oggetto). L’assetto proprietario: 100% quote detenute dal Sig. X e Sig. Y, entrambi residenti in Italia (doc. ). Dopo il trasferimento, la società ha mantenuto in Italia una unità locale consistente in un magazzino a __ e ha nominato quale amministratore locale il Sig. Z (doc. ). L’Agenzia delle Entrate, con PVC della GdF del , ha ritenuto fittizio il trasferimento all’estero, sostenendo che la società avrebbe continuato a operare e essere gestita dall’Italia. Ha quindi emesso l’avviso impugnato, qualificando la società come residente in Italia per l’anno __ ai sensi art. 73 TUIR e art. 73 co.5-bis, recuperando IRES su tutti i redditi dichiarati in __ e irrogando sanzioni. L’Ufficio argomenta che: (i) i soci sono italiani, (ii) la merce è stoccata in Italia, (iii) alcuni contratti con clienti UE sono firmati dalla sede italiana, (iv) mancherebbero strutture amministrative nella sede estera. La società ricorrente contesta radicalmente tale ricostruzione, evidenziando che dal __ essa ha effettivamente stabilito il proprio centro di direzione in __, come segue…”. Elencare qui eventuali elementi a favore: “…ha uffici propri di 200 mq a Londra (doc. __ contratto di locazione uffici), con 5 dipendenti assunti (doc. __ copie contratti di lavoro UK), un conto bancario locale (doc. __) su cui transitano incassi e pagamenti, riunioni del CDA tenute regolarmente a Londra (doc. __ verbali assemblee con firma notary UK). Il Sig. X si è trasferito stabilmente a Londra per seguire l’azienda (doc. __ certificato residenza X a Londra). In Italia è rimasta solo un’attività di magazzino logistico, per la quale la società ha un contratto di servizio con la Beta Logistica srl (doc. __ contratto), pertanto i dipendenti del magazzino sono di Beta, non di Alfa. …”. Insomma, descrivere la substance estera della società e il perché alcune cose sono rimaste in Italia (se inevitabili, es. magazzino).
  • Motivi di ricorso:
  • Insussistenza della residenza fiscale in Italia – Sede di direzione effettiva e gestione operativa all’estero: “L’assunto dell’Ufficio secondo cui Alfa sarebbe rimasta residente in Italia è erroneo. Ai sensi dell’art. 73 TUIR vigente pro tempore, una società è residente in Italia se ha in Italia la sede legale o la sede di direzione effettiva o l’oggetto principale. Nel caso di specie, dal __ la Alfa ha sede legale all’estero e, soprattutto, ha la propria direzione effettiva all’estero: tutte le decisioni strategiche e gestionali sono assunte presso la sede di Londra, ove risiede l’amministratore delegato Sig. X (doc. __ biglietti viaggio dimostrano sue permanenze prevalenti a Londra) e ove si tengono le riunioni (doc. __ verbali). Anche la gestione operativa ordinaria si svolge in larga parte all’estero: gli uffici commerciali e amministrativi sono a Londra, da lì si emettono fatture, si tengono le scritture contabili (doc. __ copie libro giornale con bollatura UK). In Italia è presente solo un magazzino, gestito però tramite outsourcing da Beta Logistica (doc. ), quindi Alfa non ha personale proprio in Italia né uffici amministrativi. L’“oggetto principale” (criterio previgente, non più vigente nel ) dell’attività – produzione software – è svolto anch’esso all’estero, tramite sviluppatori contrattualizzati dalla sede estera. In base a tutto ciò, la società non integra alcuno dei criteri di residenza in Italia per l’anno __: né sede legale, né sede amministrativa, né (eventuale) oggetto principale. La presunzione dell’art. 73 co.5-bis TUIR (in quanto società controllata da italiani) è sì applicabile, ma è vinta dalla prova contraria fornita: la società ha sostanza economica all’estero ed è realmente gestita da lì. Tale presunzione non può dunque essere utilizzata per disconoscere la realtà effettiva. Si richiama Cass. n. 7576/2018 (o altra, se esistente) secondo cui la presunzione di cui all’art. 73(5-bis) cede di fronte all’effettività della direzione estera. In sintesi, la residenza fiscale di Alfa nel __ era in UK, come peraltro confermato dall’HMRC (doc. __ certificato residenza fiscale rilasciato dall’Inland Revenue UK).”.
  • Errori nella valutazione delle prove da parte del Fisco: “L’Ufficio ha tratto conclusioni errate dagli elementi raccolti. In particolare: (i) il fatto che i soci siano italiani non implica di per sé esterovestizione, specie se uno dei soci (Sig. X) si è trasferito anch’egli a Londra (doc. __ permesso di soggiorno UK di X); (ii) la presenza di un magazzino in Italia non significa che la gestione avvenga da lì: è prassi comune avere logistica in diversi paesi, ciò non sposta la sede amministrativa; (iii) i contratti firmati in Italia dal preposto locale Sig. Z riguardavano mere forniture secondarie e comunque su delega della sede estera – allegato doc. __ vi è la delega di firma; (iv) la “mancanza di struttura estera” è smentita dalle prove allegate di uffici e dipendenti in UK. In definitiva, gli indizi elencati dal Fisco non sono né gravi né univoci: al contrario, la documentazione fornita dalla società dimostra una struttura organizzativa completa in UK. La Cassazione richiede, per poter qualificare come fittizio un trasferimento, evidenze forti che la sede estera sia solo schermo, evidenze qui mancanti. Si osserva anzi che l’Ufficio non ha svolto alcuna indagine presso le autorità estere (nessuna risposta a nostra istanza di cooperazione, doc. __): la mancata acquisizione di riscontri esteri sulle attività locali rende l’accertamento incompleto e precipitoso.”.
  • (Eventuale motivo su competenza territoriale, se la società eccepisce che l’ufficio italiano X non era competente perché la sede fiscale era altrove. Nel nostro esempio, se l’Alfa aveva chiuso posizione in Italia, si poteva contestare l’incompetenza: citare magari proprio Cass. 1075/2025 contraria per distinguerla: “difatti in quel caso mancava prova spostamento, qui invece c’è”, etc.)
  • Conclusioni: “Si chiede l’integrale annullamento dell’avviso impugnato, riconoscendo che Alfa Srl non era fiscalmente residente in Italia nell’anno __ e che pertanto non sono dovute le imposte accertate. In subordine, qualora codesta Commissione ritenesse comunque sussistente la residenza, si chiede la rideterminazione del reddito imponibile escludendo duplicazioni di tassazione ed evitando fenomeni di doppia imposizione internazionale (riconoscendo il credito per imposte assolte in UK ai sensi art. 165 TUIR, doc. __) e riducendo le sanzioni al minimo edittale in ragione dell’obiettiva incertezza normativa sulla fattispecie. Con vittoria di spese.”.
  • Documenti allegati: Elenco di tutti i docs: visure estere, contratto affitto estero, foto uffici, contratti dipendenti esteri, verbali CDA estero, piani voli, email che mostrano che le direttive partivano dall’estero, certificati vari, ecc., e qualsiasi cosa sull’eventuale ruling estero o sulla tassazione estera subita (per sottolineare che non era per evasione, magari ha pagato tasse altrove sebbene minori).

Questo modello mostra come puntare tutto sulla sostanza estera della società: in giudizio sarà una battaglia di prove contrapposte (il Fisco dirà “tutto orchestrato dall’Italia”, la società dirà “no, guardate queste evidenze di gestione abroad”). Spesso in questi casi può aiutare una CTU (Consulenza Tecnica) per accertare dove si trovavano server, dove venivano inviate email di gestione, ecc., oppure testimonianze di dipendenti (non ammesse formalmente, ma dichiarazioni scritte sì). La strategia difensiva societaria dunque verte sul dimostrare che l’esterovestizione non sussiste perché il trasferimento era genuino e giustificato da ragioni economiche (es. entrare in mercato UK).

Nota finale: i modelli sopra non coprono tutte le possibili situazioni, ma fungono da traccia. Ogni caso concreto va adattato: ad es., se il contribuente persona fisica ha qualche punto debole (famiglia in Italia, rientri frequenti), la memoria dovrà anticipare l’obiezione e provare a ridimensionarla (es. “vero che la moglie era in Italia per motivi di lavoro suo, ma il contribuente era prevalentemente all’estero, e la normativa ante 2024 attribuiva più peso agli interessi economici che affettivi ”). L’importante è mantenere un filo logico, supportare ogni affermazione con documenti e giurisprudenza (dove possibile) e smontare le argomentazioni dell’Ufficio punto per punto.

Fonti normative e giurisprudenziali citate: Art. 2 DPR 917/86 (criteri residenza persone fisiche); Art. 43 c.c. (residenza/domicilio civilistici); D.Lgs. 209/2023 (riforma fiscale residenza dal 2024); Art. 73 DPR 917/86 (criteri residenza società e enti, incl. co.5-bis su controllo) ; Convenzioni contro doppie imposizioni (in particolare art. 4 Modello OCSE) e art. 117 Cost.; D.Lgs. 74/2000 artt. 3,4,5 (reati tributari); L. 212/2000 art. 2-quater (autotutela obbligatoria); D.Lgs. 218/97 (adesione); D.Lgs. 546/92 (processo tributario). Sentenze di riferimento: Cass. 14434/2010 (AIRE non sufficiente) ; Cass. 24246/2015 (criteri convenzionali prevalgono) ; Cass. 16634/2018 e 1355/2022 (presunzione anagrafica assoluta, orientamento poi superato) ; Cass. 19843/2024 (novità 2024 non retroattive, privilegia legami economici per passato) ; Cass. 19410/2018 (obbligo del giudice di valutare prove contrarie in black list, caso tennista Monaco) ; Cass. 14484/2024 (prova contraria insufficiente, presunzione non vinta, residenza fittizia confermata) ; Cass. 1075/2025 (esterovestizione societaria, sede fittizia estero: domicilio fiscale resta in Italia) ; CTR Lombardia 2017 (residenza Monaco riconosciuta al calciatore, famiglia con lui all’estero) , ecc.

  • Istruzioni operative agli uffici in materia di residenza fiscale delle persone fisiche e delle società ed enti a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209 – Circolare n. 20/E del 4 novembre 2024 dell’Agenzia delle Entrate

Conclusione: Difendersi dalle contestazioni di residenza fiscale fittizia all’estero richiede un approccio multidisciplinare e approfondito. Bisogna padroneggiare la normativa (in evoluzione), conoscere i precedenti rilevanti, raccogliere in modo metodico tutte le prove a favore e saperle presentare efficacemente. Come abbiamo visto, il punto di vista del contribuente deve mettere in luce la realtà effettiva: se davvero la residenza all’estero è genuina, le evidenze lo dimostreranno e l’ordinamento – pur con fatica – lo riconoscerà, specialmente oggi con regole più aderenti alla sostanza . Viceversa, se l’espatrio è solo di facciata, sarà arduo prevalere, dati gli strumenti a disposizione del Fisco. In definitiva, la miglior difesa è prevenire: trasferirsi davvero (non solo sulla carta) e creare le condizioni per poterlo dimostrare. In caso di contestazione, però, questa guida fornisce gli strumenti per orientarsi e far valere i propri diritti, bilanciando la posizione del contribuente rispetto alle presunzioni talora aggressive dell’Amministrazione finanziaria italiana.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata una residenza fiscale fittizia all’estero mentre mantieni una casa in Italia? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Secondo la legge italiana, è fiscalmente residente chi ha in Italia residenza anagrafica, domicilio o dimora abituale per più di 183 giorni l’anno, oppure chi mantiene qui il centro principale dei propri interessi personali e patrimoniali. L’Agenzia delle Entrate può ritenere fittizia la residenza all’estero se rileva legami significativi con il territorio italiano, come la disponibilità di un’abitazione stabile.

👉 Prima regola: dimostra la tua effettiva residenza e il centro degli interessi vitali nel Paese estero dichiarato.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Iscrizione all’AIRE ma permanenza prevalente in Italia;
  • Casa di proprietà o in affitto in Italia usata abitualmente;
  • Familiari residenti in Italia (coniuge, figli, genitori);
  • Attività economiche o lavorative in Italia prevalenti rispetto a quelle estere;
  • Conti correnti, investimenti o società italiane gestite direttamente.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Tassazione in Italia di tutti i redditi mondiali;
  • Recupero delle imposte non versate con sanzioni e interessi;
  • Sanzioni per omessa o infedele dichiarazione;
  • Rischio di doppia imposizione se i redditi sono già tassati all’estero;
  • Possibili contestazioni penali per dichiarazione fraudolenta.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Durata effettiva della permanenza all’estero: hai prove documentali?
  • Centro degli interessi familiari ed economici: è localizzato nel Paese estero?
  • Validità della documentazione: contratti di lavoro, locazione, bollette, certificati scolastici dei figli;
  • Applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni;
  • Motivazione della contestazione: l’Agenzia ha prove concrete o solo presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Certificato di iscrizione all’AIRE;
  • Contratti di lavoro o di studio nel Paese estero;
  • Contratti di locazione o proprietà di immobili all’estero;
  • Fatture e bollette che attestino la residenza abituale;
  • Certificati fiscali esteri di residenza e di imposte già pagate.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare l’effettiva residenza all’estero con prove documentali e testimonianze;
  • Contestare la presunzione di residenza italiana se basata solo sul possesso di una casa;
  • Invocare le convenzioni contro le doppie imposizioni per evitare tassazioni duplicate;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: motivazione carente, errori di notifica, decadenza;
  • Richiedere autotutela se la contestazione ignora documenti già presentati;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per bloccare la pretesa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua posizione fiscale e le contestazioni ricevute;
📌 Verifica l’applicazione delle norme italiane e internazionali;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e nelle procedure contro la doppia imposizione;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione corretta della residenza fiscale internazionale.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in residenza fiscale ed esterovestizione;
✔️ Specializzato in difesa di persone fisiche e imprese contro contestazioni di residenza fittizia;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulla residenza fiscale fittizia all’estero con casa in Italia non sempre sono fondate: il semplice possesso di un immobile non basta a dimostrare la residenza.
Con una difesa mirata puoi provare la tua effettiva residenza estera, evitare la doppia tassazione e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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