Agenzia Delle Entrate Accerta Trust Familiare Usato Per Eludere Imposte: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché il trust familiare di cui sei disponente, beneficiario o trustee è stato ritenuto uno strumento per eludere imposte? In questi casi, l’Ufficio presume che il trust non abbia una reale autonomia patrimoniale e gestionale, ma sia stato istituito al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti. La conseguenza è la riqualificazione delle operazioni, con recupero di imposte, applicazione di sanzioni e nei casi più gravi anche contestazioni penali. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa mirata è possibile dimostrare la legittimità del trust e la sua reale funzione familiare.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta un trust familiare
– Se il disponente continua a gestire direttamente i beni conferiti senza reale autonomia del trustee
– Se i beneficiari coincidono con il disponente e manca una reale separazione patrimoniale
– Se la documentazione del trust è carente o non conforme alle regole civilistiche e fiscali
– Se il trust è localizzato in Paesi a fiscalità privilegiata e considerato “esterovestito”
– Se i trasferimenti al trust vengono qualificati come strumenti di elusione delle imposte su successioni o donazioni

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione del trust come interposto, con imputazione diretta dei redditi al disponente
– Recupero delle imposte dirette, indirette e di registro non versate
– Applicazione di sanzioni per abuso del diritto o dichiarazione infedele
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile apertura di procedimenti penali per frode fiscale o sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale autonomia gestionale del trustee e la segregazione patrimoniale del trust
– Produrre l’atto istitutivo, i bilanci e la documentazione che provi la corretta gestione
– Contestare la presunzione di elusione se il trust risponde a finalità familiari legittime (tutela patrimoniale, pianificazione successoria)
– Evidenziare errori interpretativi, vizi di motivazione o difetti procedurali nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la struttura del trust e la documentazione istitutiva
– Verificare la legittimità della contestazione secondo normativa e giurisprudenza
– Redigere un ricorso fondato su elementi documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere disponente, trustee e beneficiari davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio familiare da indebite pretese fiscali e rischi patrimoniali sproporzionati

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della legittimità del trust come strumento di gestione patrimoniale
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di proteggere il patrimonio conferito nel trust da indebite riqualificazioni fiscali

⚠️ Attenzione: i trust familiari sono spesso oggetto di verifiche fiscali mirate. È fondamentale predisporre una documentazione completa e coerente per evitare che vengano qualificati come strumenti di elusione.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, trust e pianificazione patrimoniale – spiega come difendersi in caso di contestazioni su trust familiari usati per eludere imposte e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

I trust sono strumenti giuridici di origine anglosassone che consentono di segregare un patrimonio destinandolo a specifiche finalità tramite la gestione fiduciaria di un trustee. Negli ultimi anni, i trust – in particolare i trust familiari – sono finiti sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate quando utilizzati in modo aggressivo per eludere o evadere imposte. Si tratta di casi in cui il trust viene accusato di fungere da mero schermo per occultare redditi o sottrarre beni alla tassazione, piuttosto che perseguire legittime finalità di pianificazione patrimoniale. Il confine tra pianificazione lecita e abuso di diritto può essere sottile: da un lato un trust può avere scopi leciti (protezione di familiari deboli, passaggio generazionale di un’azienda, ecc.), dall’altro se istituito al solo scopo di “proteggersi dal Fisco” rischia di essere disconosciuto dall’Amministrazione finanziaria .

Scenario tipico: un contribuente istituisce un trust familiare conferendovi immobili, partecipazioni societarie o liquidità, spesso poco prima o dopo la nascita di un consistente debito tributario. Formalmente i beni non sono più intestati al disponente, ma appartengono a un patrimonio separato gestito dal trustee per beneficio futuro dei familiari. Il debitore spera così di rendere i beni “inattaccabili” dal Fisco o da altri creditori. L’Agenzia delle Entrate, però, può ritenere il trust un mezzo elusivo e reagire con contestazioni: ad esempio, imputando comunque al disponente i redditi prodotti dai beni in trust, oppure includendo i beni del trust nel suo patrimonio imponibile come se il trust non esistesse . In sostanza, l’Amministrazione finanziaria tende a guardare alla sostanza economica più che alla forma giuridica, specialmente se sospetta che il trust sia stato creato ad hoc per evitare imposte. Anche la giurisprudenza ha confermato più volte che un trust privo di reale autonomia – ad esempio se il disponente ne mantiene il controllo di fatto – può essere qualificato come mero schermo simulato, inefficace verso il Fisco e i creditori .

Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 con le più recenti normative e sentenze – offre un’analisi approfondita del tema, dal punto di vista del contribuente/debitore che voglia difendersi da contestazioni fiscali su un trust familiare accusato di elusione. Adotteremo un linguaggio rigorosamente giuridico ma di taglio divulgativo, adatto tanto ai professionisti (avvocati, commercialisti) quanto a privati e imprenditori coinvolti. Troverete:

  • Il quadro normativo italiano rilevante (norme tributarie interne su trust, principi antielusivi) e un cenno agli standard internazionali che rendono oggi più difficile occultare patrimoni via trust;
  • Le diverse tipologie di trust (revocabili/irrevocabili, discrezionali/fissi, autodichiarati, interni/esteri, opachi o trasparenti) con le relative implicazioni fiscali e i profili di rischio di contestazione;
  • I poteri e strumenti di cui dispone l’Agenzia delle Entrate per individuare e contestare trust usati per evadere le imposte (accertamenti, presunzioni, riqualificazioni, misure cautelari, cooperazione internazionale, ecc.);
  • Le strategie difensive e soluzioni a disposizione del contribuente per opporsi alle contestazioni, sia in sede amministrativa (fase di accertamento, adesione, autotutela) sia nel contenzioso tributario (ricorsi alle Corti di Giustizia Tributaria, giurisprudenza favorevole da invocare), senza trascurare i possibili profili penali (reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex d.lgs. 74/2000) quando applicabili;
  • Alcuni casi pratici con domande e risposte frequenti e tabelle riepilogative che riassumono i concetti chiave, simulando scenari tipici (es. trasferimento di beni in trust prima di un accertamento fiscale, distribuzione di utili da trust estero a beneficiari italiani, azione revocatoria del Fisco, ecc.), in modo da calare la teoria nella pratica concreta.

Nota Bene: usare un trust esclusivamente per finalità fiscali elusive è una strategia pericolosa e spesso controproducente. Se il trust è istituito con intenti elusivi o fraudolenti (per esempio immediatamente prima o dopo la nascita di un consistente debito tributario), l’Amministrazione finanziaria può “disconoscerlo” guardando alla realtà economica sottostante e trattare beni e redditi come ancora riferibili al disponente . Viceversa, un trust istituito con finalità legittime (tutela familiare, passaggio generazionale, protezione di soggetti deboli, ecc.) e in assenza di debiti attuali non è di per sé illecito e anzi gode della tutela dell’ordinamento; tuttavia, anch’esso potrà essere scrutinato per verificarne la genuinità.

Nei paragrafi successivi partiremo dal quadro normativo di riferimento, per poi esaminare la tassazione dei trust, le tecniche di accertamento fiscale e le possibili difese del contribuente. Esempi concreti e domande frequenti aiuteranno a chiarire come applicare questi principi nelle situazioni reali. (Tutte le informazioni fornite riguardano la normativa italiana e l’esperienza nazionale, salvo diversa indicazione. Ogni soluzione va adattata al caso concreto con l’ausilio di professionisti qualificati.)

Quadro normativo: disciplina italiana e standard internazionali

Prima di entrare negli aspetti operativi, è essenziale delineare le norme di riferimento. La materia dei trust – soprattutto quando coinvolge ipotesi di elusione o evasione fiscale – è trasversale tra diritto civile, diritto tributario (interno e internazionale) e normative antiriciclaggio. Di seguito, sintetizziamo i principali riferimenti normativi e principi applicabili.

Normativa italiana rilevante

  • Riconoscimento del trust in Italia: Non esiste nel nostro ordinamento interno una legge organica sul trust, ma l’Italia ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1º luglio 1985 con la L. 364/1989. Ciò consente a un residente italiano di istituire un trust scegliendo una legge straniera (tipicamente di Common Law) e di vederne riconosciuti in Italia gli effetti, purché non contrari a norme imperative o all’ordine pubblico interno. In pratica, il trust trova ingresso nel nostro sistema come istituto di origine estera: la legge regolatrice straniera ne disciplina struttura e funzionamento, mentre per taluni effetti rilevano norme italiane (ad es. opponibilità ai terzi, trascrizioni immobiliari, regime fiscale, tutela dei creditori, ecc.).
  • Imposte dirette (redditi) – TUIR: Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. 917/1986) prevede espressamente la fiscalità dei trust. In particolare:
  • Soggettività passiva IRES: L’art. 73 TUIR include i trust tra i soggetti passivi dell’Imposta sul Reddito delle Società (IRES) . Un trust è considerato fiscalmente residente in Italia se ha la sede legale o l’amministrazione in Italia, oppure – per i trust opachi – se almeno uno dei disponenti o dei beneficiari è residente in Italia, salvo prova contraria . Questa presunzione, introdotta per contrastare i trust costituiti all’estero ma di fatto collegati all’Italia, implica che molti trust “familiari” con legami italiani possano essere trattati come enti residenti. I trust residenti pagano l’IRES (attualmente 24%) sui redditi prodotti, analogamente alle società. I trust non residenti, invece, sono tassati in Italia solo sui redditi prodotti nel territorio italiano (salvo ricondurre la residenza in Italia per la regola suddetta).
  • Trust “trasparenti” vs “opachi” (tassazione dei beneficiari): L’art. 44 TUIR disciplina i redditi di capitale percepiti dai beneficiari di trust, in particolare tramite la lett. g-sexies (modificata nel 2019) . Se il trust è definito trasparente (beneficiari di reddito individuati e con diritto di pretendere le distribuzioni), i redditi prodotti dal trust sono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi, i quali li dichiarano come redditi di capitale (anche se non residenti in Italia) . Se invece il trust è opaco (senza beneficiari di reddito con diritto attuale, ad es. trust discrezionale che accumula i redditi), i beneficiari non sono tassati sui redditi finché restano nel trust; il trust stesso, se residente, paga le imposte sui propri redditi accumulati, mentre se non residente i redditi esteri non sono immediatamente tassati in Italia. Attenzione: dal 2019 una novità anti-abuso colpisce i trust opachi esteri stabiliti in paradisi fiscali: in base al D.L. 124/2019 (conv. L. 157/2019), le distribuzioni di redditi da trust opachi domiciliati in Stati o territori a fiscalità privilegiata (individuati ex art. 47-bis TUIR) sono imponibili per cassa in capo ai beneficiari residenti . In altre parole, se un beneficiario italiano riceve somme da un trust opaco offshore ubicato in un Paese a bassa tassazione, tali somme sono presume integralmente reddito imponibile al momento in cui le riceve, a meno che il contribuente provi che si tratta di restituzioni di capitale già tassato . Questa norma, ispirata al principio anti-deferral, mira a evitare che tramite trust esteri si accumulino redditi non tassati per poi farli pervenire ai beneficiari esentasse. (La definizione di “Paese a fiscalità privilegiata” per un trust segue criteri analoghi a quelli CFC: tassazione effettiva inferiore alla metà di quella italiana ). Va segnalato che su questo punto vi sono questioni interpretative aperte – ad esempio come trattare trust opachi in Paesi UE a bassa tassazione ma collaborativi sullo scambio informazioni – ma la direzione del legislatore è chiara nel voler scoraggiare l’uso di trust opachi esteri per occultare redditi.
  • Contestazione di interposizione fittizia (art. 37, co. 3 DPR 600/1973): Si tratta di una disposizione cardine spesso utilizzata dal Fisco nei confronti dei trust familiari sospetti. L’art. 37, comma 3, del D.P.R. 600/1973 stabilisce che «in caso di interposizione fittizia di persona, i redditi si considerano prodotti dal soggetto per conto del quale l’interposizione è stata attuata» . In pratica, quando un reddito formalmente risulta di un soggetto interposto (ad es. il trustee per conto del trust), l’Amministrazione finanziaria può ripercorrere la catena e imputarlo al titolare effettivo. La giurisprudenza ha interpretato in modo estensivo tale norma, ritenendola applicabile non solo alle simulazioni assolute (intestazioni meramente formali), ma anche ai casi di “interposizione reale” tramite strumenti giuridici validi in sé ma usati in modo improprio . Conta la sostanza economica: chi ha la disponibilità effettiva di quei beni e redditi? Dunque se un trust – pur formalmente valido nell’atto istitutivo – viene utilizzato per intestare redditi a un soggetto diverso mentre il disponente ne mantiene il controllo e ne beneficia di fatto, il Fisco può ignorare la forma e imputare quei redditi direttamente al disponente stesso, applicando l’art. 37, co. 3 (in gergo si parla di “trust interposto”) . Questo principio è stato confermato in numerose pronunce: ad esempio, la recente Cass. n. 9096/2025 ha riconosciuto un trust estero come mero schermo, avendo rilevato che il contribuente-disponente manteneva ampi poteri di gestione e addirittura era indicato come beneficiario finale di se stesso; pertanto i redditi formalmente del trust erano in realtà a lui imputabili . La Cassazione ha ribadito che in ambito tributario prevale la substance over form: non conta la facies giuridica del trust, ma la realtà economica che può celarsi dietro .
  • Abuso del diritto (elusione fiscale) – art. 10-bis L. 212/2000: Dal 2015 il nostro ordinamento contempla espressamente una clausola generale anti-elusiva. L’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000, introdotto dal D.lgs. 128/2015) prevede che sono inopponibili al Fisco le operazioni prive di sostanza economica che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. L’Amministrazione, in presenza di vantaggi fiscali sproporzionati ottenuti tramite costruzioni artificiose, può disconoscere tali effetti fiscali (pur riconoscendo valida l’operazione sul piano civilistico). Applicato ai trust, questo significa che l’istituzione di un trust senza valide ragioni economico-familiari e volto principalmente a ottenere risparmi d’imposta (ad es. evitare la tassazione di redditi finanziari personali, eludere l’imposta di successione, aggirare il limite del possesso di immobili per agevolazioni, ecc.) può essere contestata come abuso del diritto. In tal caso l’onere della prova si distribuisce così: spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare gli elementi oggettivi dell’abuso (assenza di sostanza economica, vantaggio fiscale indebito) e al contribuente difendersi provando le ragioni extrafiscali non marginali dell’operazione . La violazione della norma anti-abuso non comporta sanzioni penali, ma consente al Fisco di riqualificare gli atti ai fini tributari e recuperare le imposte dovute, oltre interessi e sanzioni amministrative.
  • Imposte indirette (trasferimenti) – TUS: Riguarda in particolare l’Imposta sulle Successioni e Donazioni (D.lgs. 346/1990) e le connesse imposte ipotecaria e catastale in caso di beni immobili conferiti o distribuiti dal trust. La disciplina su questo fronte ha visto un’importante evoluzione negli ultimi anni. Inizialmente, dopo la reintroduzione dell’imposta successoria/donativa nel 2006, l’Agenzia delle Entrate adottò il principio della tassazione immediata all’entrata: considerava cioè subito imponibile in misura proporzionale il conferimento di beni in trust, assimilato a una donazione ai beneficiari futuri . Ciò significava applicare l’imposta sulle donazioni (aliquote e franchigie in base al rapporto disponente-beneficiari) sul valore dei beni conferiti al momento dell’atto istitutivo o di dotazione, oltre alle imposte ipotecarie e catastali proporzionali (2% e 1% per immobili). Questo orientamento, fondato sulla lettura estensiva del termine “costituzione di vincoli di destinazione” introdotto nell’art. 2, co.47, D.L. 262/2006, è però stato smentito dalla giurisprudenza. A partire da una celebre sentenza della Cassazione nel 2016, la Suprema Corte ha invertito rotta: ha chiarito che il conferimento di beni in trust ha natura meramente strumentale e transitoria, e non comporta di per sé un arricchimento stabile di alcun beneficiario . Manca infatti un’“attribuzione patrimoniale stabile” in capo ai beneficiari al momento della dotazione del trust , sicché non si realizza il presupposto dell’imposta sulle donazioni . Conseguenza: la tassazione in misura proporzionale va rimandata al momento in cui i beni usciranno dal trust verso i beneficiari finali, realizzando l’arricchimento effettivo . Su queste basi si è consolidato il principio della “tassazione all’uscita”: l’atto istitutivo e l’atto di dotazione del trust sono fiscalmente neutri, scontando solo le imposte fisse (registro €200; se vi sono immobili, ipotecaria €200 e catastale €200) , mentre l’imposta sulle successioni e donazioni (aliquota proporzionale) si applicherà solo al momento del trasferimento dei beni dal trust ai beneficiari finali. Numerose pronunce della Cassazione (Sez. Trib.) hanno via via rafforzato questo orientamento, tra cui Cass. n. 21614/2016, Cass. n. 9742/2019, Cass. n. 13142/2019, Cass. n. 22754/2021, fino alle più recenti Cass. n. 5800/2023 e Cass. n. 2334/2024 . In quest’ultima (ord. 2334/2024) è stato ribadito che il conferimento di azioni in trust è esente dall’imposta di donazione poiché si tratta di un trasferimento meramente strumentale, con effetti segregativi ma non traslativi in via definitiva . Anche le imposte ipotecarie-catastali, in tale impostazione, sono dovute in misura fissa su atti istitutivi/dotazione (in coerenza col fatto che non c’è un trasferimento definitivo) . L’Agenzia delle Entrate, inizialmente restia ad abbandonare la tassazione immediata, ha dovuto adeguarsi: con la Circolare n. 34/E del 20 ottobre 2022 ha recepito la giurisprudenza prevalente, chiarendo che la costituzione di un trust sconta solo imposta fissa di registro (€200) e, se coinvolge immobili, imposte ipocatastali fisse (€200 cadauna), mentre l’imposta di successione/donazione in misura proporzionale andrà applicata soltanto al momento dell’eventuale attribuzione dei beni ai beneficiari, e sulla base del rapporto di parentela tra disponente originario e beneficiario . Importante: la stessa Circolare ha precisato che se un trust viene considerato “interposto” o fittizio, i beni in realtà restano riferibili al disponente ai fini d’imposta – con conseguenze pratiche rilevanti. Ad esempio, se il disponente muore e il trust è ritenuto interposto, quei beni saranno inclusi nel suo attivo ereditario ai fini dell’imposta di successione, come se il trust non esistesse . In sostanza, l’uso abusivo del trust può portare a disapplicare i benefici fiscali che normalmente il trust avrebbe (neutralità all’entrata), trattando invece i beni come già trasferiti o comunque appartenenti ancora al disponente.
  • Novità 2024 – Riforma fiscale e trust: La spinta giurisprudenziale è sfociata di recente in una modifica legislativa. Il D.Lgs. 18 settembre 2024 n. 139 (attuativo della Delega Fiscale 2023), in vigore dal 1º gennaio 2025, ha espressamente disciplinato la tassazione dei trust nel TUS. In particolare ha introdotto l’art. 4-bis rubricato “Trust e altri vincoli di destinazione”, che conferma per legge il principio della tassazione all’uscita . La norma stabilisce che l’imposta di successione/donazione si applica “al momento del trasferimento di beni o diritti a favore dei beneficiari”, con aliquote e franchigie determinate in base al rapporto di parentela tra il disponente originario e il beneficiario . Viene così sancito che l’atto di dotazione iniziale è neutro (solo imposta fissa), mentre l’atto di attribuzione finale sconta l’imposta proporzionale. Inoltre, il D.Lgs. 139/2024 ha chiarito i criteri di collegamento col territorio: se il disponente è residente in Italia al momento della segregazione patrimoniale, l’imposta si applicherà a tutti i beni trasferiti ai beneficiari, ovunque situati; se invece il disponente non era residente, l’imposta colpirà solo i beni esistenti in Italia trasferiti ai beneficiari . Resta fermo che deve trattarsi di trasferimenti che comportino un arricchimento gratuito per i beneficiari (sono esclusi trust privi di beneficiari arricchiti, es. trust di scopo, trust di garanzia, trust liquidatori) . Questa riforma elimina i dubbi residui e allinea formalmente la legge all’orientamento giurisprudenziale – sebbene, tecnicamente, si applichi ai trust istituiti dal 2025 in poi. Per i trust antecedenti, valgono comunque i principi affermati dalle Corti, ormai consolidati come diritto vivente. In definitiva, dal 2025 chi istituisce un trust in Italia ha un quadro normativo chiaro: nessuna imposta proporzionale all’atto istitutivo, ma tassazione differita all’atto finale verso i beneficiari (con parametri del rapporto col disponente).
  • Tutela dei creditori del disponente: Dal punto di vista civilistico, l’ordinamento predispone strumenti per evitare che il trust diventi uno schermo impenetrabile dietro cui un debitore possa sottrarsi ingiustamente ai propri obblighi. Il principio generale è nell’art. 2740 c.c.: il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, salvo le cause legittime di prelazione. Un trust opponibile ai creditori deve quindi essere istituito in assenza di frode e rispettando i limiti di legge, altrimenti i creditori possono reagire. Il rimedio tipico è l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., con cui un creditore chiede di dichiarare inefficace nei suoi confronti un atto di disposizione patrimoniale compiuto in suo pregiudizio. Conferire beni in trust è a tutti gli effetti un atto a titolo gratuito potenzialmente pregiudizievole (poiché sottrae quei beni alla garanzia patrimoniale generica) . Se sussistono i requisiti – eventus damni (pregiudizio delle ragioni creditorie) e consilium fraudis (conoscenza del pregiudizio da parte del debitore e, per gli atti onerosi, partecipazione del terzo) – il creditore, compresa l’Amministrazione finanziaria, può agire. Nel caso del trust, essendo in genere un atto gratuito (il trustee non paga corrispettivo per i beni ricevuti), basta provare che il debitore conosceva il potenziale danno ai creditori al momento dell’atto . Se la revocatoria è esperita con successo (entro il termine di 5 anni dall’atto), l’effetto è rendere l’atto inefficace verso quel creditore attore: in pratica, per quel creditore il trust è ignorato e i beni si considerano ancora del disponente, pignorabili ai fini della sua esecuzione . L’azione revocatoria non annulla né scioglie il trust in via generale: vale solo a consentire a quel creditore di aggredire beni altrimenti segregati. In molte vicende l’Agenzia delle Entrate – spesso tramite il concessionario della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) – ha ottenuto la revoca di trust ritenuti in frode al Fisco.

Un altro possibile approccio è far valere la simulazione o nullità del trust. Se si dimostra che il trust era un “sham trust”, ossia che le parti non volevano davvero produrre una segregazione patrimoniale ma hanno finto di trasferire i beni mantenendone la disponibilità, allora il trust può essere dichiarato nullo (per simulazione o per difetto di causa) ab origine. In tal caso i beni restano proprietà del disponente e risultano aggredibili dai creditori erga omnes. La prova della simulazione è però notoriamente difficile per un terzo estraneo, a meno di indizi clamorosi (es. atto istitutivo privo di causa reale, trustee mero prestanome, disponente che continua a utilizzare i beni esattamente come prima, ecc.) . La Cassazione penale – in un caso paradigmatico – ha definito negozio giuridico simulato il “trust autodestinato” in cui “il disponente mantiene il controllo del fondo oppure ne può disporre come cosa propria”, affermando che tale trust costituisce un mezzo fraudolento verso i creditori . (Si tratta del principio affermato da Cass. pen. n. 13844/2024, vedi infra). Anche se formulata in sede penale, questa posizione riflette un criterio utilizzabile in sede civile: un trust in cui il disponente resta il dominus effettivo dei beni è nullo o quantomeno inesistente agli effetti giuridici . In concreto, le azioni di nullità/simulazione pura in ambito civile sono meno frequenti della revocatoria, perché richiedono soglie probatorie elevate e perché spesso i trust, pur essendo abusivi, sono formalmente dotati di una causa dichiarata (es. “tutela dei figli”) che rende arduo dimostrarne la totale fittizietà.

Infine, va menzionato l’art. 2645-ter c.c., introdotto nel 2006, che consente di trascrivere formalmente nei registri immobiliari un vincolo di destinazione su beni immobili o mobili registrati, per la durata massima di 90 anni o vita del beneficiario, a scopi meritevoli di tutela (es. disabili, pubblica utilità). Questo istituto interno è affine al trust (segrega il bene destinandolo a uno scopo), ma non prevede trasferimento a un trustee: il bene rimane in proprietà al disponente seppur “vincolato” allo scopo. Il vincolo ex 2645-ter, se utilizzato correttamente, offre una protezione simile per finalità specifiche, ma ovviamente anch’esso sarebbe soggetto a revocatoria o contestazioni se abusato per sottrarre beni ai creditori in frode.

  • Profili penali (d.lgs. 74/2000): Quando un trust è usato per sottrarre beni al Fisco, oltre alle conseguenze tributarie e civilistiche possono emergere responsabilità penali. L’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, al fine di evadere il pagamento di imposte o relativi accessori, compia atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere inefficace la riscossione coattiva. La costituzione di un trust che abbia l’effetto di rendere più difficoltosa l’esecuzione forzata può integrare questo reato di “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”. La giurisprudenza ha chiarito che rientra tra gli atti fraudolenti anche un atto solo formalmente lecito come il trust, se compiuto in presenza di un debito tributario scaduto o di un accertamento in corso con lo scopo specifico di ostacolare il Fisco . Ad esempio, la Cassazione penale n. 13844/2024 (Sez. III) ha confermato la condanna di un contribuente che, dopo aver accumulato un ingente debito IVA/IRPEF, aveva costituito un trust autodichiarato destinando ad esso tutti i suoi beni immobili, continuando però a gestirli come propri . La Corte ha sottolineato che anche se il trust era formalmente valido, la sua istituzione successivamente al sorgere del debito e il fatto che il disponente ne mantenesse in sostanza il controllo costituivano elementi di frode: il trust fungeva da schermo che obbligava l’Erario ad un’azione giudiziale per “smontare” la segregazione, rallentando e complicando il recupero . La Cassazione ha enunciato un principio netto: “integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte anche la stipulazione di un negozio giuridico simulato, poiché la necessità della declaratoria giudiziale per superare l’effetto segregativo dell’atto dispositivo rende più difficoltoso il recupero del credito erariale” . In particolare, ha evidenziato che il trust autodichiarato o “shame trust” – in cui il disponente conserva il pieno controllo dei beni come fossero ancora suoi – configura appunto un negozio simulato e ricade nella fattispecie penale . Dunque la costituzione di un trust auto-destinato finalizzato a sottrarre beni all’Erario integra il reato di cui all’art. 11 D.Lgs. 74/2000 . Il reato scatta per debiti tributari sopra una certa soglia (attualmente €50.000) e comporta gravi conseguenze: sequestro penale preventivo dei beni conferiti nel trust (come nel caso di Oristano in cui furono sequestrati oltre 1 milione di euro di beni nel “Trust Alfa” appartenenti al contribuente ), processo penale a carico del disponente e possibili misure cautelari personali. È importante notare che non occorre che il trust sia dichiarato nullo civilisticamente per configurare il reato: anche un trust formalmente valido può costituire atto fraudolento ai fini penali, se sorretto dal dolo specifico di evasione. Dal punto di vista difensivo, un indagato in tali casi potrà cercare di dimostrare l’assenza di intento fraudolento (provando ad es. che il trust fu creato per ragioni estranee al debito fiscale, in tempi non sospetti, e non ha inciso sulla possibilità di pagare le imposte) oppure potrà attenuare la propria posizione tramite il pagamento integrale del debito tributario prima della sentenza. In materia penale tributaria, infatti, il risarcimento del danno all’Erario e la condotta riparativa possono talvolta evitare la condanna o portare a pene minori, specie se il pagamento avviene prima del dibattimento finale (nei limiti previsti dagli artt. 12 e 13 D.Lgs. 74/2000).
  • Obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW): I trust con elementi di internazionalità ricadono nelle norme sul monitoraggio fiscale dei capitali detenuti all’estero. Il quadro RW della dichiarazione dei redditi va compilato dalle persone fisiche residenti in Italia per indicare investimenti e attività estere di natura finanziaria o patrimoniale da cui possano derivare redditi imponibili in Italia (obbligo ex art. 4 D.L. 167/1990 conv. L. 227/1990). Nel caso dei trust, l’obbligo può riguardare diversi soggetti a seconda dei casi: (i) il trustee residente, per le attività estere che egli detiene in quanto intestatario del trust; (ii) il disponente o i beneficiari residenti, se il trust è configurabile come interposto nei loro confronti o se comunque costoro ne sono titolari effettivi secondo la normativa antiriciclaggio . La disciplina non è semplicissima e per anni ci sono stati dubbi interpretativi. La prassi dell’Agenzia (Circolare AdE 38/E/2013 e la stessa Circ. 34/E/2022) suggerisce che un disponente di trust opaco estero deve indicare nel proprio RW le consistenze estere del trust se conserva poteri di controllo tali da qualificarlo come titolare effettivo (beneficial owner), secondo la definizione antiriciclaggio . Analogamente, i beneficiari di trust discrezionali esteri dovranno iniziare a dichiarare in RW le attività estere del trust dal momento in cui acquisiscono un diritto concreto ai beni (es: quando divengono beneficiari “finali” con diritto di pretendere attribuzioni) . L’omessa dichiarazione RW comporta sanzioni amministrative severe (dal 3% al 15% degli importi non dichiarati, raddoppiate se gli asset sono in Stati non collaborativi) . Quindi, un trust estero non dichiarato può portare sia al recupero delle imposte sul reddito sia a multe per violazione del monitoraggio. È possibile difendersi ex post sostenendo che il contribuente non era tenuto alla disclosure perché privo di poteri dispositivi sui beni (trust realmente autonomo) o per un’interpretazione in buona fede della norma – ma si tratta di contese complesse e spesso chi si trova in fallo ricorre a procedure di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) o transazioni col Fisco per regolarizzare il passato. Da notare che la disciplina antiriciclaggio definisce titolare effettivo (beneficial owner) nei trust il disponente, i trustee, i guardiani e i beneficiari (individuati o categorie) nonché altri soggetti che esercitino controllo sul trust (art. 1 co. 2 lett. u D.Lgs. 231/2007). Dal 2021 è previsto in Italia un Registro centrale dei titolari effettivi dei trust (istituito in attuazione delle direttive UE antiriciclaggio), dove i fiduciari/trustee devono comunicare i dati delle persone che in ultima istanza controllano o beneficiano del trust. Ciò aumenta ulteriormente la trasparenza, sebbene l’accesso a tale registro sia riservato alle autorità e a soggetti con legittimo interesse.
  • Altre norme da tenere presenti: Oltre alle sopracitate, giova menzionare che il trust non sfugge ai principi generali tributari: ad esempio, se produce redditi in Italia pagherà le relative imposte (IRPEF/IRES, cedolare secca su affitti se applicabile, IVA se svolge operazioni imponibili commerciali, ecc.) come qualsiasi altro soggetto. Un trust che esercitasse attività d’impresa dovrebbe aprire partita IVA tramite il trustee e adempiere agli obblighi contabili come un ente commerciale. In genere però i trust familiari gestiscono patrimoni privati (immobili dati in godimento gratuito ai familiari, investimenti finanziari, partecipazioni sociali) e non svolgono attività d’impresa diretta, quindi l’IVA è raramente in gioco se non per operazioni occasionali (es. la vendita di un bene immobiliare potrebbe scontare IVA o registro secondo le regole ordinarie, essendo il trustee il soggetto che compie l’atto). Pertanto, la fiscalità indiretta più rilevante resta quella di registro/successione/donazione già discussa.

Normativa internazionale e cooperazione fiscale

Nel contesto odierno, qualsiasi disamina sull’opacità fiscale di un trust deve tener conto del panorama internazionale, che è radicalmente mutato rendendo sempre più arduo occultare ricchezze all’estero. Ecco alcuni riferimenti chiave:

  • Common Reporting Standard (CRS): è lo standard globale di scambio automatico di informazioni finanziarie sviluppato dall’OCSE e adottato da oltre 100 Stati (Italia inclusa). Dal 2017 il CRS consente alle autorità fiscali di ricevere annualmente, dalle istituzioni finanziarie estere, i dati sui conti detenuti dai propri residenti, grazie allo scambio multilaterale. I trust rientrano nel perimetro del CRS: un trust può qualificarsi esso stesso come Financial Institution dichiarate (ad es. se il trustee è una società fiduciaria o banca che gestisce attivamente gli investimenti del trust), oppure – se il trust non è una FI – saranno le banche presso cui il trust detiene conti a comunicare l’esistenza di quei conti e i relativi soggetti collegati . In pratica, oggi è molto difficile che un trust possa detenere attività finanziarie all’estero senza che queste vengano segnalate al Fisco italiano se uno dei soggetti rilevanti (disponente, trustee, beneficiario) è fiscalmente residente in Italia. Ad esempio, se un trust opaco ha un conto bancario in Svizzera o alle Isole del Canale, la banca estera invierà via CRS alle autorità italiane i dati del conto (saldo, intestatari, beneficiari effettivi) indicando che vi è coinvolto un soggetto italiano . Il CRS, affiancato dalle norme FATCA (per scambio dati con gli USA) e dalle liste di black-list e white-list, ha di fatto mandato in soffitta il segreto bancario tradizionale. I trust non fanno eccezione: lo standard OCSE prevede criteri per identificare i trust tra i soggetti obbligati al reporting, ad esempio guardando se il trust è “gestito professionalmente” e trae principalmente redditi finanziari (in tal caso è esso stesso soggetto reportante) . Dal punto di vista di chi volesse usare un trust opaco estero per nascondere ricchezze, il CRS è un deterrente formidabile: movimenti di denaro e patrimoni all’estero lasciano tracce che arrivano all’Agenzia delle Entrate. Unica (parziale) scappatoia consisterebbe nel costituire trust con trustee persone fisiche e attività detenute in forma non finanziaria (es. oro fisico, opere d’arte all’estero, cassette di sicurezza), per evitare segnalazioni automatiche; ma restano comunque i flussi di denaro tracciabili quando eventualmente rientrano in Italia, oltre al rischio che il trust venga scoperto tramite scambio di informazioni su richiesta o indagini mirate.
  • Progetto BEPS e accordi anti-elusione: L’acronimo BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) indica il pacchetto di azioni OCSE/G20 varato nel 2015 per contrastare l’erosione delle basi imponibili e lo spostamento artificioso dei profitti verso paradisi fiscali. Sebbene focalizzato sulle multinazionali, il progetto BEPS ha rafforzato a livello globale l’attenzione verso le strutture opache e gli schemi abusivi. Uno degli esiti è stato il Multilateral Instrument (MLI), accordo multilaterale in vigore per l’Italia dal 2019, che ha modificato molte Convenzioni contro le doppie imposizioni introducendo la Principal Purpose Test: una clausola che nega i benefici del trattato fiscale se un’entità o un’operazione (es. interposizione di un trust estero) è stata creata principalmente per ottenere quei benefici in modo improprio. Ciò impedisce, ad esempio, di sfruttare un trust interposto in un paese terzo solo per godere di una ritenuta ridotta su dividendi o interessi in base a trattati. Inoltre, l’Azione 12 BEPS ha promosso l’introduzione di obblighi di comunicazione di schemi di pianificazione fiscale aggressiva: nell’UE ciò si è tradotto nella direttiva DAC6 (Dir. 2018/822/UE), recepita in Italia nel 2020, che impone a intermediari e contribuenti di segnalare al Fisco gli schemi transfrontalieri dotati di determinati hallmarks. Ebbene, uno degli hallmarks (categoria D) riguarda proprio l’uso di strutture schermate con beneficiari non identificati o difficilmente individuabili: un trust offshore con fiduciari compiacenti potrebbe rientrare in questa categoria e la sua ideazione andrebbe comunicata alle autorità . Anche se DAC6 ha portata principalmente preventiva e informativa, conferma l’orientamento generale: i sistemi fiscali sono sempre meno tolleranti verso l’opacità e pretendono trasparenza su chi sia il reale beneficiario delle strutture giuridiche interposte.
  • Convenzioni bilaterali e cooperazione giudiziaria: Sul fronte del recupero crediti tributari, esistono strumenti di mutua assistenza tra Stati (come la Convenzione UE sulla reciproca assistenza in materia di recupero crediti – Dir. 2010/24/UE) che consentono all’Agente della Riscossione italiano di aggredire beni del debitore in trust situati all’estero, chiedendo assistenza allo Stato estero (compatibilmente con il riconoscimento del trust locale). Inoltre, se vi sono profili penali, esistono canali di cooperazione giudiziaria (mandati di sequestro europei, rogatorie) per congelare beni anche in trust oltreconfine. Insomma, la dimensione internazionale non offre più garanzie di impunità come in passato.

Trust trasparente vs opaco: differenze fiscali e definizioni

Una prima distinzione cruciale, già anticipata, è quella tra trust trasparente e trust opaco, in relazione al regime di tassazione dei redditi. Questa distinzione – di origine fiscale – ha implicazioni pratiche notevoli e spesso determina il grado di “sospetto” con cui il Fisco guarda un trust familiare.

  • Trust trasparente (o “look-through trust”): è un trust i cui beneficiari di reddito sono determinati e hanno diritto di percepire gli utili o frutti prodotti dal patrimonio in trust, secondo quanto stabilito dall’atto istitutivo. Ad esempio, un trust che prevede esplicitamente che i redditi (interessi, dividendi, canoni, ecc.) vadano annualmente ai figli del disponente in parti uguali è un trust trasparente. Fiscalmente, come visto, i redditi del trust non vengono tassati in capo al trust (pur soggetto IRES) ma vengono imputati per trasparenza ai beneficiari, che li dichiarano tra i loro redditi di capitale (senza possibilità di fruire di crediti d’imposta esteri o altri benefici spettanti alle società) . Il trust trasparente funge dunque da “conduit” fiscale. Dal punto di vista dell’Agenzia delle Entrate, un trust trasparente è relativamente meno problematico sul fronte dell’elusione: i redditi emergono immediatamente in capo a soggetti fiscali noti (i beneficiari) e vengono tassati progressivamente (se persone fisiche). Tuttavia, ciò non esclude possibili contestazioni in altri ambiti (es. imposta di donazione differita, se il trust è gratuito; o qualora il trust trasparente sia usato per far confluire redditi a soggetti con aliquote minori, ecc.).
  • Trust opaco: è un trust in cui i beneficiari di reddito non hanno un diritto attuale alle distribuzioni, potendo il trustee accumulare i redditi nel patrimonio separato. Tipicamente sono trust discrezionali, in cui il trustee decide se e quando erogare qualcosa ai beneficiari, che fino a quel momento hanno solo una aspettativa. In un trust opaco, i redditi accumulati restano tassati in capo al trust medesimo (se esso è residente paga IRES, se non residente e produce redditi in Italia può subire ritenute alla fonte). I beneficiari saranno tassati solo al momento in cui ricevono effettivamente delle somme a titolo di distribuzione di redditi. Come già evidenziato, se il trust opaco è estero e stabilito in un paradiso fiscale, la legge ora prevede di tassare integralmente le somme percepite dai beneficiari italiani, presumendole reddito (salvo prova contraria) . Al di fuori dei paradisi fiscali, invece, le distribuzioni di mero capitale o redditi già tassati dovrebbero essere esenti per il beneficiario (ma l’analisi può essere complessa). Dal punto di vista del Fisco, i trust opachi – soprattutto se esteri – rappresentano il caso più “opaco” anche in senso letterale: l’Agenzia non vede flussi dichiarati dai beneficiari finché il trust non paga o distribuisce, e può non avere piena visibilità su cosa accade all’interno del trust (specie se estero). Non sorprende che la gran parte delle contestazioni per evasione coinvolgano trust opachi. È in questi casi che fioriscono le dispute su interposizione e abuso del diritto: se il trust opaco di fatto accumula redditi per anni all’estero e poi li trasferisce ai beneficiari, il Fisco può sospettare che sia stato istituito principalmente per abbattere l’aliquota (es. pagando poca imposta societaria o niente all’estero e non facendoli emergere subito come IRPEF in Italia).

Di seguito una tabella riepilogativa delle differenze principali:

CaratteristicaTrust trasparenteTrust opaco
Beneficiari di redditoDeterminati e con diritto di percepire i redditi del trustNessun diritto immediato; trustee può accumulare e decidere se/quanto distribuire
Tassazione dei redditiImputati per trasparenza ai beneficiari (redditi di capitale in capo a loro) . Il trust non paga IRES su tali redditi.Tassati in capo al trust (IRES 24% se trust residente; eventuali ritenute su redditi ITA per trust non residente). Beneficiari tassati solo su distribuzioni eventuali. Se trust estero black-list, distribuzioni tassate integralmente ai beneficiari residenti .
Dichiarazione in ItaliaTrust residente: dichiara redditi ma li attribuisce a beneficiari. Beneficiari italiani: dichiarano redditi imputati anche se non ricevuti fisicamente.Trust residente: dichiara e paga su redditi accumulati. Beneficiari: dichiarano solo somme effettivamente percepite (se imponibili). Trust estero: beneficiari italiani dichiarano importi ricevuti se qualificati come redditi (specialmente da paradisi fiscali).
Vantaggi fiscali potenziali– Nessuna accumulazione a livello di ente (trasparenza totale). <br> – Evita doppia tassazione (i redditi non scontano IRES + IRPEF).– Possibilità di accumulare redditi nel trust a un’aliquota societaria (24%) inferiore alle aliquote IRPEF alte dei beneficiari, differendo la tassazione finale. <br> – Se trust estero con bassa tassazione: differimento lungo e potenziale trasformazione dei redditi (ma mitigato da norme anti-paradiso).
Svantaggi o rischi– Beneficiari pagano subito le imposte anche su utili non materialmente ricevuti (possono avere problemi di liquidità). <br> – Minor “opacità”: il Fisco vede subito chi dichiara redditi.– Accumulo potrebbe essere considerato abuso se fine principale è fiscale. <br> – Maggior rischio di contestazione come trust interposto se disponente di fatto controlla tutto. <br> – Distribuzioni future potrebbero subire tassazione integrale (caso paradisi fisc.). <br> – Se il trust è estero, complicazioni RW e monitoraggio.

In sintesi, per un trust familiare discrezionale (quindi tipicamente opaco) l’aspetto fiscale richiede grande attenzione: esso può offrire benefici di pianificazione (accumulo tassato eventualmente a aliquota fissa IRES, flessibilità di distribuzione) ma è anche quello che attira di più le attenzioni del Fisco. Un trust fisso con beneficiari certi e quote predefinite può essere considerato trasparente de jure o de facto (se i beneficiari hanno diritto ai redditi, anche se magari li lasciano capitalizzare), dunque meno problematico sul piano del monitoraggio fiscale immediato. Ovviamente, la scelta tra trust trasparente e opaco dipende dalle finalità: se lo scopo è, ad esempio, far mantenere integro il patrimonio fino a una certa data o evento, si userà un trust discrezionale (opaco); se l’intento è di far pervenire regolarmente rendite a qualcuno, un trust trasparente è appropriato. L’errore sarebbe impostare un trust come opaco solo per ragioni fiscali: questo potrebbe ritorcersi contro qualora l’Agenzia dimostri che non c’erano vere ragioni per non distribuire i redditi se non l’arbitraggio fiscale (in tal caso la contestazione di abuso o interposizione è dietro l’angolo).

Tipologie di trust e relativi profili di rischio fiscale

Oltre alla distinzione trasparente/opaco, i trust possono presentare diverse configurazioni giuridiche. Alcune combinazioni di ruoli e clausole tipiche dei trust familiari incidono sul trattamento fiscale e sul rischio che il trust venga contestato come elusivo. Vediamo le principali:

  • Trust autodichiarato: si ha quando il disponente (settlor) e il trustee coincidono nella stessa persona . In questo caso formale, il disponente trasferisce i beni a sé stesso quale trustee, dichiarando di tenerli separati come patrimonio destinato ai beneficiari. Non vi è dunque un vero trasferimento di proprietà a un soggetto diverso; si realizza una segregazione giuridica senza cambio di intestazione sostanziale. Dal punto di vista civilistico, il trust autodichiarato è ammesso (purché vi siano comunque beneficiari terzi o uno scopo), ma è evidente che manca un distacco soggettivo: il disponente rimane in controllo come trustee. Fiscalmente, la giurisprudenza tende a considerare “fiscalmente neutra” l’istituzione di un trust autodichiarato, nel senso che non si ravvisa effetto traslativo effettivo (in linea col discorso sull’assenza di arricchimento stabile) . Si è persino affermato che se il beneficiario finale coincide col disponente (trust autodestinato a sé medesimo), non vi sarebbe alcun trasferimento imponibile né al momento della costituzione né in futuro (poiché i beni potrebbero tornare al disponente stesso) . Tuttavia, da un punto di vista anti-elusivo, i trust autodichiarati sono guardati con estremo sospetto: se il disponente rimane sia trustee che beneficiario, il trust rischia di apparire come una mera “sceneggiata” per congelare beni senza cederne il controllo . Non a caso, come già citato, la Cassazione penale ha bollato il trust autodestinato con disponente-trustee come negozio simulato in frode ai creditori . L’Agenzia delle Entrate, in sede di controllo, valuterà attentamente la genuinità di un trust autodichiarato: se il trustee (disponente stesso) non rispetta rigorosamente i vincoli e continua a usare i beni “come se fossero suoi” (es. riscuote personalmente i frutti, vende i beni senza consultare nessuno, ecc.), la contestazione di interposizione sarà immediata. In sintesi: il trust autodichiarato può avere validi motivi (es. quando non c’è terzo di fiducia disponibile come trustee), ma dal punto di vista difensivo bisogna dimostrare che, nonostante coincida col trustee, il disponente ha davvero segregato i beni e li amministra nell’interesse altrui in modo distinti dal proprio patrimonio.
  • Trust revocabile*: è il trust in cui il disponente si riserva il potere unilaterale di revocare il trust (o sostituire il trustee senza cause) e rientrare in possesso dei beni conferiti. Ciò contrapposto al *trust irrevocabile, in cui il disponente una volta istituito il trust perde ogni diritto di scioglierlo anticipatamente. Un trust revocabile offre al disponente una via d’uscita: può far cessare il trust e recuperare i beni, tipicamente entro un certo termine o a certe condizioni. Chiaramente, questo indebolisce l’effetto segregativo: i beni, seppur formalmente intestati al trustee, sono sempre a rischio di tornare al disponente. Per i creditori ciò significa che l’aspettativa di soddisfazione non è del tutto preclusa (possono sperare che il trust venga revocato spontaneamente o tentare essi stessi di farlo revocare giudizialmente in certe circostanze). Fiscalmente, un trust revocabile può essere visto dall’Amministrazione come meno sostanziale: se il disponente conserva ampi poteri (revoca ad nutum), si può argomentare che non c’è un vero trasferimento definitivo e quindi considerare i beni come ancora riferibili al disponente. Ad esempio, se un immobile è conferito in un trust revocabile, l’Agenzia potrebbe sostenere che il disponente ne è ancora il titolare effettivo, specie se esercita la revoca o altri poteri di controllo. Inoltre, in caso di revoca, ciò che accade è che i beni tornano al disponente: da valutare l’impatto fiscale (di norma, la risoluzione di un trust potrebbe essere esente da imposta successoria – essendo un ritorno all’originario proprietario – ma potrebbero applicarsi imposte fisse o d’atto). In ogni caso, revocabilità = elemento di sospetto: un trust revocabile appare più facilmente uno strumento reversibile messo in piedi “in prova” per vedere se il Fisco contesta, riservandosi di tornare indietro. Un trust irrevocabile, invece, denota un maggior serio distacco del disponente dai beni, il che gioca a favore della sua genuinità (anche se non garantisce immunità da contestazioni, ma certamente è preferibile in chiave difensiva poter dire: “il disponente ha rinunciato a ogni potere sui beni, nemmeno potrebbe riprenderseli indietro”).
  • Trust discrezionale vs fisso*: abbiamo già accennato alla distinzione. Nel *trust discrezionale il trustee ha potere di scelta sul “se, quando, quanto e a chi” distribuire tra un novero di beneficiari. I beneficiari (spesso definiti come una classe, es. “i miei discendenti e i loro coniugi”) non hanno diritti soggettivi pieni sui beni o redditi fintanto che il trustee non esercita il suo potere in loro favore; hanno solo una aspettativa. Nel trust fisso (detto anche determinato), invece, i beneficiari e le loro quote di interesse sono stabiliti dall’atto istitutivo (es. Tizio e Caio beneficiari al 50% ciascuno dei redditi annuali e, alla fine, del capitale). Nel trust fisso i beneficiari hanno diritti creditori esigibili secondo i termini dell’atto. Rischio fiscale: i trust discrezionali – essendo tipicamente opachi – presentano i profili di rischio già discussi (accumulo di redditi, difficile individuazione del dominus, possibili distribuzioni future incerte). L’Agenzia potrebbe eccepire che il trust discrezionale è usato per far sì che i redditi restino sine die in un limbo non tassato presso i beneficiari. D’altro canto, proprio il carattere discrezionale rende meno immediato individuare un arricchimento donativo: e infatti in passato l’Agenzia sosteneva che anche un trust discrezionale dovesse scontare l’imposta di donazione al momento dell’atto di dotazione, presumendo comunque beneficiari (tesi poi smentita dai giudici). Un trust fisso, con beneficiari certi, è più trasparente (anche se non formalmente trasparente ai fini TUIR, può esserlo di fatto se i redditi vengono direttamente attribuiti) e consente al Fisco di vedere chiaramente chi otterrà cosa. Paradossalmente, per l’imposta di donazione un trust fisso potrebbe essere più vulnerabile – se fosse anticipata la tassazione – ma dato che ora vige la regola della tassazione all’uscita, tale differenza conta meno. Sotto il profilo dell’abuso, un trust discrezionale con beneficiari non individuati può sollevare il sospetto che il disponente voglia restare di fatto libero di non dare nulla a nessuno e magari riprendersi i beni (specie se unito a riserve di controllo); un trust fisso con quote predefinite appare più serio e irrevocabile.
  • Trust interno vs estero: si parla di trust interno quando tutti i soggetti e gli elementi sono localizzati in Italia pur utilizzando la forma del trust (ad es. disponente italiano, trustee italiano, beni in Italia, legge regolatrice magari straniera ma trust amministrato di fatto in Italia). Un trust estero, invece, implica elementi di internazionalità: tipicamente la legge regolatrice e il trustee sono di un paese straniero (Svizzera, Jersey, Bahamas, etc.), i beni possono essere fuori Italia, e spesso c’è l’intento di de-localizzare il patrimonio. Dal punto di vista del rischio, i trust esteri (specialmente in giurisdizioni offshore) storicamente sono stati molto usati per eludere il fisco: basti pensare ai trust nelle Bahamas non dichiarati, emersi con lo scudo fiscale o la voluntary disclosure. Oggi, come abbiamo visto, l’Agenzia delle Entrate ha strumenti per scoprire tali trust (CRS, scambio informazioni). Inoltre normative come la presunzione di residenza fiscale (art. 73 TUIR) permettono di trattare certi trust esteri come fiscalmente residenti in Italia se hanno disponente o beneficiari italiani, a meno che provino di avere effettiva amministrazione altrove . Anche la giurisprudenza ha affrontato casi di trust esteri: la Cassazione nel 2025 (sent. n. 9096/2025 citata sopra) ha considerato un trust di diritto inglese (King Trust) come interposto, stabilendo la sua residenza fiscale in Italia poiché le decisioni gestionali venivano prese dal disponente italiano, nonostante trustee e trust fossero formalmente esteri . In generale un trust estero opaco aumenterà le antenne dell’Ufficio: ci si chiederà perché portare all’estero beni e redditi, se non per approfittare di minori controlli o tassazione. Un trust interno (es. trust regolato Jersey ma con trustee italiano e beni italiani) potrebbe essere visto più benignamente, ma comunque non immuno da contestazioni se il suo scopo sembra elusivo (il Fisco potrebbe dire: hai usato uno strumento “non nostro” per finalità che potevi perseguire diversamente, vediamo se c’è abuso). Da notare che un trust estero ha anche implicazioni pratiche difensive: se l’Agenzia deve colpirne i beni, potrebbe avere complicazioni giurisdizionali (anche se con la cooperazione possono essere superate). Ciò però non giova al contribuente se viene scoperto: anzi, può peggiorare la sua posizione (accusa di averlo fatto apposta).
  • Trust familiare, liberale, di scopo, “dopo di noi”: vale la pena distinguere i trust per finalità. Un trust familiare liberale (donativo) è quello tipico in cui un disponente destina parte del suo patrimonio a beneficiari che sono suoi familiari, per scopi di mantenimento, successione, protezione patrimoniale. È il caso più comune e al contempo quello dove il rischio di elusione fiscale è più alto, perché coinvolge trasferimenti gratuiti e possibili imposte (successione, donazione) nonché gestione di redditi di natura finanziaria immobiliare (quindi redditi passivi facili da occultare offshore). Un trust “dopo di noi” (L. 112/2016) è invece istituito a favore di persone con disabilità grave, per garantire la loro cura dopo la morte dei genitori: questi trust godono di agevolazioni fiscali specifiche (esenzione imposta successione/donazione, esenzioni tributi locali, detraibilità aiuti conferiti) purché rispettino i requisiti di legge. Ovviamente, se un trust gode di un’esenzione di legge e rispetta i vincoli (deve essere per disabile grave, con alcuni scopi e clausole, e registrato come tale), l’Agenzia non contesterà elusione – a meno che non scopra che l’uso di quella legge era improprio (ma sarebbe anche frode). Un trust di scopo (senza beneficiari individuati ma un fine non caritatevole, es. trust a garanzia di un debito, trust liquidatorio) in genere non comporta arricchimenti gratuiti e infatti la nuova legge li esclude dall’imposta (art. 4-bis TUS esenta trust di garanzia e liquidatori) . Il Fisco può tuttavia contestare un trust di scopo se ritiene che il preteso scopo mascheri in realtà beneficiari occulti. Ma questi casi sono più rari nei trust familiari.

Ricapitolando i profili di rischio: i trust più a rischio contestazione sono quelli dove il disponente non effettua un reale “passo indietro”. Indizi di allarme per l’Agenzia delle Entrate (e per i giudici) sono:

  • Disponente che rimane trustee di se stesso o mantiene poteri di controllo esorbitanti (es. potere di revoca trust o trustee a proprio piacimento, potere di modificare beneficiari, ecc.) . Queste situazioni fanno sospettare che la separazione sia solo apparente, essendo il disponente ancora il “padrone” dei beni segregati.
  • Disponente che figura anche come beneficiario (magari beneficiario finale residuo, o è destinatario di redditi se restano eccedenze): un settlor–beneficiary fa scattare la domanda “perché mai ha creato il trust se in ultima analisi i beni possono tornare a lui stesso?”. La Cassazione ha esplicitamente detto che un trust in cui settlor coincide con beneficiary va qualificato sham (simulato) a fini elusivi .
  • Trust costituito in prossimità di debiti tributari o di verifiche già in corso (temporalità sospetta): se ad esempio un contribuente istituisce un trust dopo aver ricevuto un processo verbale di constatazione o una cartella esattoriale, sarà quasi certo che il Fisco agirà per revocarlo o considerarlo fittizio . Un trust creato “a babbo morto” (post accertamento) è difficilmente difendibile.
  • Trust con legge straniera, trustee estero in un paese off-shore, magari combinato con società fiduciarie o schermi: questi elementi, se non giustificati, fanno pensare a un’operazione costruita ad arte per occultare beni all’estero. Ad esempio, nel caso King Trust del 2025, il disponente italiano aveva costituito un trust di diritto inglese conferendo le sue quote societarie tramite una società interposta svizzera, e comunicava col trustee dall’Italia: ciò ha portato i giudici a ritenere il trust “meramente apparente, dissimulante una sostanziale continuità nella disponibilità e gestione dei beni da parte del disponente stesso” .
  • Trust che, guardando i fatti, non manifesta una reale attività conforme allo scopo dichiarato: es. un trust familiare che dichiara scopo di mantenimento dei figli ma in pratica non ha mai erogato nulla ai figli per anni ed ha invece pagato spese personali del disponente; oppure un trust che avrebbe dovuto vendere beni e investirli ma il trustee non fa nulla se non ciò che gli chiede il disponente. Questi elementi fattuali saranno usati dal Fisco per dimostrare che trust simulato.
  • Strutture complesse: trust che detengono partecipazioni in società estere, cui fanno capo immobili, etc., specie se replicano schemi tipici di esterovestizione. Non di rado il trust è accompagnato da società estere (holding, finance) costituite per celare ancora di più i legami: in sede di verifica fiscale tutto ciò verrà esaminato come un unico disegno elusivo.

In conclusione, per un contribuente che ha un trust simile, è fondamentale essere consapevole di questi “campanelli d’allarme” dal lato del Fisco e preparare le relative contromosse o giustificazioni valide, come vedremo nella parte difensiva.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato l’uso di un trust familiare come strumento di elusione fiscale? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato l’uso di un trust familiare come strumento di elusione fiscale?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Il trust familiare è uno strumento giuridico legittimo, utilizzato per la gestione e protezione del patrimonio o per favorire il passaggio generazionale. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può ritenere che il trust sia stato costituito solo per aggirare obblighi fiscali, contestando quindi simulazione, abuso del diritto o interposizione fittizia.

👉 Prima regola: dimostra la reale finalità familiare e patrimoniale del trust e la sua gestione autonoma rispetto al disponente.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Trust istituiti poco prima di accertamenti o procedure esecutive;
  • Beneficiari individuati tra familiari stretti con scopi solo fiscali;
  • Disponente che mantiene il pieno controllo dei beni;
  • Trust inattivi o privi di rendicontazione;
  • Trasferimenti patrimoniali senza finalità economiche reali.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Riqualificazione del trust come interposizione fittizia;
  • Tassazione diretta in capo al disponente o ai beneficiari;
  • Recupero delle imposte con sanzioni e interessi;
  • Sanzioni per dichiarazione infedele o omessa;
  • Rischio di contestazioni penali in caso di frode o riciclaggio.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Atto istitutivo del trust: prevede regole chiare e finalità familiari legittime?
  • Ruolo del trustee: opera in autonomia o è eterodiretto dal disponente?
  • Attività del trust: sono documentati bilanci, rendiconti e decisioni di gestione?
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia ha prove di abuso o solo presunzioni?
  • Applicabilità delle regole sull’abuso del diritto (art. 10-bis Statuto del Contribuente).

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Atto istitutivo e regolamento del trust;
  • Rendiconti annuali e bilanci del trust;
  • Estratti conto e documentazione bancaria intestata al trust;
  • Verbali e decisioni del trustee;
  • Relazioni notarili e pareri tecnici sulla finalità patrimoniale.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la reale autonomia del trust nella gestione dei beni;
  • Provare la finalità patrimoniale e familiare con documentazione chiara;
  • Contestare la riqualificazione come strumento elusivo se mancano prove concrete;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: notifica irregolare, decadenza dei termini, motivazione insufficiente;
  • Richiedere autotutela se la costituzione del trust rispettava già i requisiti legali;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per bloccare o annullare l’atto;
  • Difesa penale in caso di contestazioni per frode fiscale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la struttura del trust e le contestazioni mosse dal Fisco;
📌 Verifica la legittimità della riqualificazione fiscale;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per costituire e gestire trust familiari in modo trasparente e inattaccabile.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità dei trust e strumenti di pianificazione patrimoniale;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni di elusione fiscale tramite trust;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui trust familiari usati per eludere imposte non sempre sono fondate: spesso si basano su presunzioni e interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità del trust, la sua effettiva gestione autonoma e la finalità familiare, evitando la riqualificazione come abuso e riducendo drasticamente sanzioni e interessi.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui trust familiari inizia qui.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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