Agenzia Delle Entrate Accerta Imposta Ipotecaria Non Versata In Successione: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché nell’ambito di una successione non è stata versata l’imposta ipotecaria? In questi casi, l’Ufficio presume che l’omissione sia dovuta a una violazione degli obblighi fiscali connessi al trasferimento degli immobili ereditati. La conseguenza è il recupero dell’imposta, con sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è corretta: vi sono strumenti difensivi per ridurre o annullare la pretesa fiscale.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’imposta ipotecaria in successione
– Se l’imposta ipotecaria non risulta versata entro i termini previsti
– Se la dichiarazione di successione non contiene correttamente i dati catastali e immobiliari
– Se gli eredi non hanno provveduto a registrare il trasferimento degli immobili
– Se vi sono incongruenze tra i dati dichiarati e quelli risultanti dai registri immobiliari
– Se l’Ufficio presume che l’omissione sia stata intenzionale per ridurre il carico fiscale successorio

Conseguenze della contestazione
– Recupero dell’imposta ipotecaria dovuta sugli immobili ereditati
– Applicazione di sanzioni per omesso o tardivo versamento
– Interessi di mora calcolati dalla data in cui l’imposta era esigibile
– Possibile blocco delle formalità di trascrizione e voltura catastale
– Maggior rischio di ulteriori controlli sulla successione

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che il versamento è stato effettuato ma non correttamente registrato dall’Agenzia
– Produrre ricevute di pagamento, F24 o quietanze bancarie a supporto
– Contestare errori di calcolo o vizi nella determinazione dell’imposta
– Evidenziare difetti di motivazione o di notifica nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la dichiarazione di successione e i pagamenti effettuati
– Verificare la legittimità della contestazione e i termini di decadenza dell’accertamento
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi procedurali
– Difendere gli eredi davanti ai giudici tributari contro richieste indebite
– Tutelare il patrimonio ereditato da conseguenze fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione o riduzione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della correttezza dei versamenti già effettuati
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro l’accertamento dell’imposta ipotecaria deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. In caso contrario, la pretesa fiscale diventa definitiva.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e successioni – spiega come difendersi in caso di contestazioni per omesso versamento dell’imposta ipotecaria in successione e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’omesso o insufficiente versamento dell’imposta ipotecaria dovuta in una successione ereditaria, lo fa tipicamente mediante un avviso di liquidazione (talora denominato anche avviso di accertamento e liquidazione). Si tratta di un atto formale con cui l’Amministrazione finanziaria richiede al contribuente – in qualità di erede o altro soggetto obbligato – il pagamento dell’imposta ipotecaria dovuta, unitamente agli interessi maturati e alle sanzioni, qualora dai controlli emerga che tale tributo non è stato versato (o è stato versato in misura insufficiente) al momento della dichiarazione di successione . L’obiettivo di questa guida avanzata è fornire una panoramica completa su come difendersi da tali accertamenti, esaminando la normativa italiana vigente (aggiornata ad agosto 2025), i possibili rimedi amministrativi e giudiziali a disposizione del contribuente (dal punto di vista del debitore), nonché i più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia. Il taglio sarà operativo ma con approfondimenti avanzati, adatto sia a professionisti legali (avvocati, tributaristi) sia a privati cittadini o imprenditori che si trovino a dover affrontare un avviso di questo tipo.

Che cos’è l’imposta ipotecaria in successione? In via introduttiva, ricordiamo che l’imposta ipotecaria – insieme all’imposta catastale – è uno dei tributi “indiretti” dovuti in occasione della successione ereditaria quando nell’asse ereditario sono presenti beni immobili o diritti reali immobiliari. Essa è collegata alle formalità di trascrizione nei registri immobiliari conseguenti al trasferimento mortis causa . In altri termini, ogni volta che un immobile viene ereditato, deve essere trascritto nei registri immobiliari a nome degli eredi: su tale formalità la legge impone il pagamento di un’imposta ipotecaria (oltre all’imposta catastale dovuta per la voltura catastale). Le aliquote ordinarie sono del 2% per l’imposta ipotecaria e dell’1% per l’imposta catastale, calcolate sul valore dei beni immobili dichiarati nell’asse ereditario (con un minimo di €200 per ciascuna imposta) . In presenza di determinate condizioni (ossia se l’erede possiede i requisiti per l’agevolazione “prima casa” relativa all’immobile ereditato), dette imposte si applicano invece in misura fissa (attualmente €200 cadauna) anziché in misura proporzionale . Tuttavia – come vedremo meglio nel prosieguo – esiste un dibattito interpretativo sul fatto se, in virtù di una norma introdotta dalla Finanziaria 2006, le imposte ipotecaria e catastale in tutte le successioni mortis causa debbano essere sempre in misura fissa. L’Agenzia delle Entrate, infatti, continua ad applicare le aliquote proporzionali del 2% e 1% in assenza di agevolazione prima casa, nonostante una lettura letterale della L. 266/2005 sembrerebbe imporre la misura fissa . In ogni caso, se tali imposte non vengono versate spontaneamente (o vengono versate solo in parte) al momento della dichiarazione di successione, l’Ufficio finanziario potrà in un secondo momento attivarsi per recuperarle tramite un avviso di liquidazione.

Nella pratica, ricevere un avviso di accertamento per imposta ipotecaria non versata significa che l’Agenzia contesta al contribuente una violazione tributaria avvenuta in sede successoria e richiede un pagamento. È importante comprendere come leggere e verificare un simile avviso, conoscere i termini entro cui è possibile reagire e le strategie difensive disponibili per tutelare i propri diritti. Questo documento guiderà il lettore attraverso i vari aspetti della problematica, con il supporto di riferimenti normativi aggiornati, citazioni di sentenze recentissime (Corte di Cassazione e corti tributarie) e utili tabelle riepilogative. Saranno inoltre presentati esempi pratici e una sezione di domande frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. L’ottica assunta è quella del contribuente debitore che intende far valere le proprie ragioni, ottenendo eventualmente l’annullamento o la riduzione dell’imposta pretesa, o almeno beneficiando delle procedure deflattive e delle garanzie previste dall’ordinamento.

(N.B.: Le informazioni fornite riguardano esclusivamente le successioni mortis causa in Italia. Non verranno trattati i casi di imposta ipotecaria su atti inter vivos né le imposte di donazione, sebbene molte considerazioni possano essere analoghe. Il focus è sugli avvisi di accertamento/liquidazione emessi dall’Agenzia delle Entrate in materia successoria.)

Normativa di riferimento e contesto attuale

Per affrontare efficacemente un accertamento sull’imposta ipotecaria in una successione, occorre inquadrare la normativa di riferimento e le recenti evoluzioni. Le principali fonti normative da considerare sono:

  • Testo Unico delle Successioni (D.lgs. 346/1990, spesso abbreviato TUS): disciplina l’imposta di successione in senso proprio (cioè il tributo principale sulla ricchezza trasferita per causa di morte) e contiene norme procedurali sugli avvisi di liquidazione e di rettifica (artt. 33 e 34 TUS). Dopo la sua abolizione nel 2001 e reintroduzione dal 2006, tale imposta è oggi in vigore con aliquote e franchigie variabili a seconda del grado di parentela , ma con una base imponibile spesso ridotta da franchigie elevate (es. €1.000.000 per coniuge e figli) . Il TUS prevede inoltre i termini di decadenza per l’attività accertativa e regola fattispecie particolari (dichiarazioni integrative, omissioni, ecc.).
  • Testo Unico delle Imposte Ipotecaria e Catastale (D.lgs. 347/1990): raccoglie le disposizioni relative a questi due tributi “accessori” sui trasferimenti immobiliari. L’art. 1 di tale testo unico definisce il presupposto dell’imposta ipotecaria nella formalità di trascrizione degli atti (incluse le dichiarazioni di successione) nei pubblici registri immobiliari, mentre l’art. 10 fa lo stesso per l’imposta catastale (voltura catastale) . La Tariffa allegata al D.lgs. 347/1990 (come modificata da leggi successive) fissa le aliquote ordinarie (2% e 1%) e gli importi fissi minimi. È rilevante notare che, storicamente, queste imposte erano concepite come tributi collegati all’imposta principale (registro o successione) ; tuttavia, la Cassazione ha più volte affermato che il loro presupposto impositivo è autonomo e consiste nell’atto formale di trascrizione/voltura, non nel trasferimento di per sé . Ciò ha implicazioni pratiche importanti, ad esempio nel determinare quale legge temporale si applichi: conta il momento in cui si eseguono le formalità (trascrizione/voltura) e non la data di apertura della successione, almeno secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente . Su questo punto, ad esempio, una recente ordinanza della Cassazione (Sez. V, n. 8131/2025) ha confermato che un’agevolazione introdotta dopo la morte ma prima della trascrizione può spettare all’erede, in quanto rileva la normativa vigente al momento della formalità .
  • Legge 23 dicembre 2005 n. 266, art. 1 comma 495 (Finanziaria 2006): ha previsto che, in caso di voltura catastale conseguente a dichiarazione di successione, le imposte ipotecaria e catastale si applichino in misura fissa . Questa disposizione, entrata in vigore nel 2006, ha generato l’interpretazione – da parte di alcuni autorevoli autori – secondo cui in tutte le successioni ereditarie le imposte ipotecaria e catastale dovrebbero essere dovute soltanto in misura fissa, indipendentemente dall’agevolazione prima casa . L’intento del legislatore era semplificatorio, equiparando il trattamento delle successioni a quello (più oneroso) delle donazioni, le quali invece scontano ancora le aliquote proporzionali. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate non ha mai recepito tale interpretazione letterale: le istruzioni ufficiali e i software per la dichiarazione di successione continuano a prevedere l’applicazione di 2% + 1% in mancanza dei requisiti prima casa . Ne è nato così un disallineamento tra norma e prassi: il contribuente si trova di fronte a due possibili letture. In attesa di un intervento chiarificatore (normativo o giurisprudenziale), la prudenza suggerisce di seguire l’impostazione dell’Amministrazione finanziaria per evitare contestazioni . Chi volesse però sostenere la tesi della misura fissa potrebbe farlo in sede contenziosa, presentando gli argomenti dottrinali a supporto . Questo dibattito dottrinale è bene tenerlo a mente, poiché in alcuni casi di accertamento l’erede potrebbe valutare una difesa basata proprio sulla lettura letterale della Finanziaria 2006, contestando l’applicazione delle aliquote proporzionali. Va però sottolineato che, ad oggi, non risultano pronunce della Cassazione che abbiano risolto espressamente il contrasto; l’unica cosa certa è la posizione ufficiale dell’Agenzia (misura proporzionale salvo prima casa).
  • D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 36-ter: questa norma, contenuta nel “decreto accertamento” del 1973, disciplina il controllo formale delle dichiarazioni fiscali. Anche se pensato soprattutto per le dichiarazioni dei redditi, l’art. 36-ter viene utilizzato dall’Agenzia anche per controllare le dichiarazioni di successione dopo la loro presentazione . In particolare, consente di verificare la correttezza formale dei dati dichiarati e della documentazione allegata, segnalando al contribuente eventuali irregolarità o errori e liquidando le maggiori imposte dovute. Molti avvisi di liquidazione in materia successoria scaturiscono proprio da controlli formali ex art. 36-ter: ad esempio, il caso classico è l’omesso versamento (totale o parziale) di imposte autoliquidate nella dichiarazione (come l’ipotecaria e catastale), che viene rilevato dall’ufficio incrociando i dati della dichiarazione con i versamenti effettuati. Analogamente, il 36-ter può far emergere sfasature nei valori (es. immobili dichiarati a un valore inferiore a quello catastale base, ecc.) o la mancanza dei requisiti autocertificati per un’agevolazione.
  • Statuto del Contribuente (L. 212/2000): pur non contenendo disposizioni specifiche sulle successioni, detta alcune garanzie generali che si applicano anche agli avvisi di liquidazione. In particolare l’art. 7 L.212/2000 impone che ogni atto dell’Amministrazione finanziaria sia motivato indicando le ragioni di fatto e le norme giuridiche che lo fondano, nonché che sia indicato l’ufficio competente, il responsabile del procedimento ed il termine per ricorrere. Inoltre, l’art. 6 prevede la concessione di 60 giorni per il pagamento spontaneo prima di attivare la riscossione coattiva. Queste garanzie sono importanti: ad esempio, se un avviso di liquidazione di maggior imposta ipotecaria non spiega adeguatamente il perché della pretesa (limitandosi a riportare cifre), potrebbe violare l’obbligo di motivazione ed essere nullo (come approfondiremo parlando di giurisprudenza). Lo Statuto introduce anche il principio dell’affidamento e collaborazione, in base al quale il contribuente può attivare il dialogo con l’ufficio (es. presentando memorie, chiedendo riesame in autotutela, ecc.) e confidare in un trattamento non arbitrario.

Oltre a queste fonti, occorre menzionare una riforma recente: il D.lgs. 18 settembre 2024 n. 139 (attuativo della legge delega 111/2023), che ha innovato profondamente la fiscalità successoria a partire dalle successioni aperte dal 1° gennaio 2025. In sintesi, tale decreto ha introdotto l’obbligo di autoliquidazione dell’imposta di successione da parte degli eredi, similmente a quanto già avveniva per le imposte ipotecaria e catastale . In precedenza, infatti, vigeva un doppio binario: le imposte ipotecaria, catastale, bollo, tassa ipotecaria, ecc. erano autoliquidate e versate contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione, mentre l’imposta principale di successione veniva calcolata successivamente dall’ufficio e richiesta tramite avviso di liquidazione entro 3 anni (in caso fosse dovuta, ossia superate le franchigie) . Con la riforma 2025, invece, tutti i tributi connessi alla successione (imposta di successione, ipotecaria, catastale, bollo, tributi speciali) devono essere calcolati e pagati dal contribuente nei termini di legge, senza attendere il calcolo dell’ufficio . Più precisamente, il nuovo art. 33 TUS stabilisce che i soggetti obbligati autoliquidano l’imposta di successione in base alla dichiarazione e provvedono, nei medesimi termini previsti per la dichiarazione, al pagamento anche delle imposte ipotecaria e catastale, dell’imposta di bollo e delle tasse ipotecarie . Di conseguenza, per le successioni aperte dal 2025 in poi, l’avviso di liquidazione perde la funzione di calcolo iniziale dell’imposta (che ora va assolta subito dagli eredi) e diviene uno strumento utilizzato solo ex post in fase di controllo, per recuperare eventuali differenze d’imposta dovute a errori od omissioni nella liquidazione operata dal contribuente . In pratica, l’ufficio esaminerà la dichiarazione e i pagamenti effettuati e, se riscontrerà che l’imposta versata è insufficiente, notificherà un avviso di liquidazione a integrazione (a titolo di imposta complementare) . Contestualmente, il legislatore ha ridotto i termini di decadenza: l’avviso di liquidazione integrativo dovrà essere notificato dall’Agenzia entro 2 anni dalla presentazione della dichiarazione di successione (termine più breve rispetto ai 3 anni previsti in precedenza per il calcolo iniziale) . Rimangono invariati, invece, i termini in caso di omessa dichiarazione (come vedremo, generalmente 5 anni). Questa riforma – seppur non retroattiva – va tenuta presente, perché in fase transitoria abbiamo due regimi diversi a seconda della data di apertura della successione: per le successioni fino al 31/12/2024 si applicano le vecchie regole (imposta liquidata dall’ufficio entro 3 anni, etc.), mentre per quelle dal 2025 valgono le nuove (autoliquidazione e controlli successivi entro 2 anni) . Naturalmente, l’imposta ipotecaria e catastale erano autoliquidate anche prima del 2025, dunque molti concetti difensivi restano simili; ciò che cambia è il ruolo temporale dell’avviso e alcuni dettagli procedurali.

Riassumendo i punti chiave sul piano normativo e contestuale:

  • Aliquote e importi: Imposta ipotecaria al 2% e catastale all’1% sul valore degli immobili (minimo €200 ciascuna), salvo agevolazione “prima casa” (in tal caso €200 fissi ciascuna). Imposta di successione con aliquote dal 4% all’8% solo oltre le franchigie (es. €1.000.000 per figli e coniuge) .
  • Dichiarazione e versamenti: Entro 12 mesi dall’apertura della successione (data del decesso) va presentata la dichiarazione di successione; contestualmente vanno versate le imposte ipotecaria, catastale, bollo e tributi catastali. Fino al 2024 l’imposta di successione eventualmente dovuta veniva calcolata dopo dall’ufficio (avviso entro 3 anni) ; dal 2025 va autoliquidata subito dal contribuente .
  • Avvisi di liquidazione: Per successioni ante 2025, l’avviso di liquidazione dell’ufficio ha funzione di liquidazione principale dell’imposta di successione dichiarata (entro 3 anni dalla dichiarazione) , ed eventualmente di rettifica per maggiore imposta (entro 2 anni dal pagamento della precedente) . Può inoltre includere il recupero di imposte ipotecarie/catastali non versate o versate in difetto . Per successioni dal 2025, l’avviso ha solo funzione di controllo ex post: viene emesso se c’è differenza d’imposta rispetto al dichiarato/autoliquidato, e deve essere notificato entro 2 anni dalla dichiarazione . In caso di omessa dichiarazione, l’accertamento d’ufficio (per imposta di successione e ipocatastali) può avvenire entro la fine del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata (termine generalmente applicato agli accertamenti tributari ordinari, salvo proroghe per eventi eccezionali). In tal caso il contribuente perde anche il beneficio delle franchigie (l’imposta di successione viene calcolata sul totale, senza esenzioni) .
  • Sanzioni e interessi: L’omesso o insufficiente versamento di imposte ipotecarie/catastali in autoliquidazione comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa pari al 30% dell’importo non versato (art. 13 D.lgs. 471/1997), salvo riduzione a 1/3 (10%) se il contribuente paga entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell’avviso (acquiescenza) . Sono inoltre dovuti gli interessi al tasso legale (o altro tasso specifico previsto per i tributi indiretti) calcolati giornalmente dal giorno in cui il tributo era dovuto (di norma, dalla data di registrazione della dichiarazione di successione) fino al giorno del pagamento . In caso di ritardo oltre i 60 giorni, decorreranno anche interessi di mora (attualmente attorno al 10% annuo) e si aggiungeranno le spese di riscossione (aggio) una volta che le somme saranno iscritte a ruolo . Approfondiremo più avanti come si calcolano e come eventualmente ridurre sanzioni e interessi.

Nei capitoli successivi analizzeremo in dettaglio quando e perché vengono emessi questi avvisi, come interpretarne il contenuto e quali strategie difensive adottare (in sede amministrativa e in sede contenziosa) per ottenere l’annullamento dell’atto o almeno una sua riduzione. Vedremo anche gli ultimi orientamenti giurisprudenziali che possono offrire spunti utili per impostare la difesa.

Quando e perché viene emesso un avviso di liquidazione per imposta ipotecaria (successioni)

Esaminiamo ora le principali circostanze in cui l’Agenzia delle Entrate può emettere un avviso di accertamento/liquidazione relativo all’imposta ipotecaria nell’ambito di una successione mortis causa. Possiamo distinguere due macro-situazioni, legate al modo in cui vengono svolti i controlli:

  1. Controlli automatici o formali sulla dichiarazione di successione (ex art. 36-ter DPR 600/1973) – Dopo la presentazione della dichiarazione, l’ufficio procede al controllo dei dati dichiarati e dei versamenti effettuati. Questo avviene in parte con procedure automatizzate e in parte con controlli formali. In tale fase possono emergere varie ipotesi di irregolarità che portano all’emissione di un avviso:
  2. Omesso versamento dell’imposta ipotecaria/catastale: è il caso più semplice e frequente. Il contribuente ha presentato la dichiarazione di successione ma, per errore o altri motivi, non ha effettuato il pagamento delle imposte ipotecaria e catastale dovute (o ne ha pagata solo una parte). Poiché il versamento di tali imposte va effettuato contestualmente alla dichiarazione, il sistema informativo dell’Agenzia segnala immediatamente la mancata corresponsione. In questi casi, l’ufficio – verificato che non si tratti di un disguido formale – provvede a liquidare le somme dovute emettendo un avviso di liquidazione a carico degli eredi, comprensivo di imposte non pagate, interessi e sanzione del 30% .
  3. Versamento insufficiente per errata stima del valore: qui il contribuente ha versato le imposte ipotecaria/catastale in base al valore dichiarato degli immobili, ma l’ufficio ritiene che tale valore fosse sottostimato. Ad esempio, se un immobile è stato dichiarato per €100.000 ma da elementi oggettivi (rendita catastale rivalutata, valori OMI, atti di vendita comparabili, ecc.) risulta che vale €150.000, il versamento effettuato (3% di 100.000 = €3.000 in totale tra ipotecaria e catastale) risulta insufficiente. Il controllo formale può rilevare questa difformità e portare a un avviso di liquidazione per la maggiore imposta su €50.000 di differenza (cioè 2%+1% su €50.000 = €1.500), oltre interessi e sanzione . Questo tipo di accertamento formalmente rientra negli “avvisi di rettifica e liquidazione” previsti dall’art. 34 TUS, poiché modifica un dato dichiarato (il valore imponibile) liquidando un’imposta complementare. Di conseguenza, come approfondiremo, richiede una adeguata motivazione da parte dell’ufficio sulle ragioni della rettifica, pena la nullità dell’atto . In pratica, l’avviso dovrà spiegare su quali elementi l’ufficio ha basato la stima più alta (es: indicazione della rendita catastale e del coefficiente di legge, oppure riferimento a perizia, o ad altri atti di compravendita, ecc.).
  4. Decadenza da agevolazioni (revoca di benefici): un caso particolare di “versamento insufficiente” si ha quando inizialmente l’imposta è stata pagata in misura ridotta perché l’erede ha dichiarato di possedere i requisiti per un’agevolazione, ma successivamente tali requisiti vengono meno o si scopre che non c’erano fin dall’inizio. Ad esempio, si pensi all’agevolazione prima casa applicata in successione: l’erede Tizio ha ereditato un immobile abitativo e ha pagato imposta ipotecaria e catastale in misura fissa (€200+€200) dichiarando che era la sua prima casa. Se però vende l’immobile entro 5 anni senza ricomprarne un altro entro un anno (condizione richiesta per non perdere il beneficio, analoga a quella delle compravendite) oppure se emerge che in realtà non aveva i requisiti (magari possedeva già un’altra casa nello stesso Comune), l’Agenzia provvederà a revocare l’agevolazione. In tal caso verrà notificato un avviso di liquidazione per recuperare la differenza d’imposta dovuta in misura piena (2%+1% sul valore, meno quanto già pagato in misura fissa) più la sanzione del 30% su tale differenza e relativi interessi . Questo scenario può originare sia da controlli d’ufficio (es. l’Agenzia incrocia i dati e vede la rivendita anticipata) sia da comunicazioni del contribuente stesso (che sarebbe tenuto a comunicare la perdita dei requisiti). Un’altra ipotesi è la decadenza da altre agevolazioni (come quella per aziende familiari ex art. 3 comma 4-ter TUS, o beni culturali vincolati, ecc.): se l’ufficio riscontra che le condizioni non sono state rispettate, emetterà un avviso per la differenza d’imposta. Anche qui, trattandosi di revoca di un beneficio precedentemente riconosciuto, l’avviso deve essere motivato (spiegando il perché della revoca), inquadrandosi come atto di rettifica .
  5. Errori materiali o formali: a volte gli avvisi derivano da meri errori od omissioni formali riscontrati in sede di controllo. Ad esempio, se nella dichiarazione di successione manca un documento o un’autocertificazione necessaria per un’aliquota ridotta, l’ufficio potrebbe liquidare l’imposta senza applicare la riduzione. Oppure, se vi è un errore di calcolo nel modello (ad es. indicazione di un importo a pagare errato), l’ufficio ricalcola l’imposta esatta e invia l’avviso. In queste ipotesi “minori”, l’avviso può configurarsi come mera liquidazione (ex art. 33 TUS) e non richiede una motivazione estesa, essendo un ricalcolo di quanto dovuto secondo i dati dichiarati corretti . Ad ogni modo, è sempre opportuno verificare se l’errore sia effettivo e imputabile al contribuente: se così non fosse (cioè se l’ufficio avesse mal interpretato i dati), si potrà chiedere l’annullamento in autotutela.
  6. Altre irregolarità formali: il controllo formale può riguardare, ad esempio, l’omessa presentazione della voltura catastale. In genere la voltura viene richiesta con la stessa dichiarazione di successione e le relative tasse ($≈€55$) vengono autoliquidate; ma se ciò non è avvenuto, l’ufficio potrebbe sollecitare l’adempimento e irrogare sanzioni amministrative per ritardata voltura. Questo esula dall’imposta ipotecaria in senso stretto, ma potrebbe comparire nello stesso avviso come importo aggiuntivo (sanzione fissa per voltura tardiva, ecc.). Conviene perciò leggere con attenzione l’atto per capire tutte le voci contestate .
  7. Accertamenti “sul campo” o indagini successive (accessi, ispezioni, verifiche) – Oltre ai controlli da “scrivania”, l’Amministrazione può svolgere verifiche più approfondite qualora sospetti irregolarità rilevanti. Ciò può avvenire, ad esempio, nell’ambito di controlli patrimoniali o segnalazioni particolari:
  8. Omessa presentazione della dichiarazione di successione: se un contribuente non presenta affatto la dichiarazione pur essendovi obbligato (ad esempio perché c’erano immobili, o l’attivo ereditario superava le soglie di esenzione per l’obbligo dichiarativo), l’Agenzia può venire a conoscenza della situazione tramite vari canali (pubblicità immobiliare, comunicazioni notarili, banche dati finanziarie, ecc.). In tali casi, dopo aver svolto accertamenti, l’Ufficio può emettere un avviso di accertamento d’ufficio dell’intero asse ereditario, includendo sia l’eventuale imposta di successione sia le imposte ipotecaria e catastale. L’avviso verrà notificato tipicamente a tutti i chiamati all’eredità individuati (eredi potenziali) ed avrà un termine di decadenza quinquennale (in analogia con gli accertamenti ordinari) . Inoltre, non si applicano le franchigie: l’imposta di successione sarà calcolata sull’intero attivo ereditario (per “punire” l’omissione). Ricevere un tale avviso è particolarmente gravoso, ma il contribuente può eventualmente difendersi dimostrando, ad esempio, di non essere mai divenuto erede (per rinuncia o perché il testamento lo escludeva, vedi oltre il caso del legittimario pretermesso) o evidenziando errori nella ricostruzione del patrimonio. Spesso però questi accertamenti sono fondati su riscontri oggettivi (es. immobili registrati al defunto non volturati) e l’unica strada è regolarizzare pagando, magari cercando di ridurre sanzioni tramite istituti deflattivi.
  9. Sottostima fraudolenta o occultamento di beni: se vi è il sospetto che nella dichiarazione siano stati occultati dei beni (es. non si è dichiarato un conto bancario cointestato, o gioielli, o altri cespiti rilevanti) oppure che il valore dichiarato di un immobile sia stato dolosamente sottostimato (valore dichiarato significativamente inferiore al valore di mercato), l’Agenzia potrebbe attivare una vera e propria verifica fiscale. Ciò può includere accessi presso il contribuente (o presso terzi, come istituti di credito) per raccogliere documentazione, ispezioni dell’immobile (magari con l’ausilio dell’Ufficio Tecnico Erariale per stimarne le caratteristiche), nonché l’esame di atti successivi (ad esempio se l’immobile ereditato è stato rivenduto poco dopo a un prezzo molto più alto di quello dichiarato in successione, il che costituisce prova di sottovalutazione). Se da tali approfondimenti emergono elementi concreti, l’Ufficio provvederà a emettere un avviso di rettifica con la nuova base imponibile accertata. Un esempio classico: Caio dichiara un terreno come se fosse agricolo (quindi di basso valore), ma da verifiche catastali e comunali risulta che il terreno era edificabile; l’ufficio ridetermina il valore secondo i parametri dei terreni edificabili e liquida la maggiore imposta ipotecaria/catastale dovuta (oltre all’eventuale imposta di successione complementare, se si superano le franchigie) . Anche qui l’avviso dovrà essere dettagliatamente motivato, spiegando i criteri di valutazione adottati. Dal punto di vista difensivo, il contribuente potrà contestare il valore accertato, ad esempio producendo perizie di parte o evidenziando errori di valutazione (si entra così nel merito tecnico estimativo).
  10. Verifiche a seguito di denunce o contenziosi tra eredi: in qualche caso l’Amministrazione viene attivata da segnalazioni esterne. Ad esempio, un coerede che si ritiene leso potrebbe denunciare al fisco che Tizio ha nascosto certi beni ereditari. Oppure nell’ambito di una causa civile tra eredi emergono beni non dichiarati. Queste informazioni possono indurre l’ufficio ad accertare una maggiore imposta di successione. Rispetto all’imposta ipotecaria, se emergono ulteriori immobili non dichiarati, l’ufficio liquiderà anche ipotecaria e catastale su tali immobili (in aggiunta a tassare i beni per imposta di successione). Anche qui i termini sono quelli dell’accertamento integrativo: 2 anni dalla scoperta/integrativa (o 5 anni se equiparato a omessa dichiarazione, a seconda dei casi).
  11. Controlli sul rispetto di vincoli post-successione: oltre alla già citata rivendita entro 5 anni per la prima casa, vi sono altri vincoli temporali il cui mancato rispetto può portare ad accertamento. Un esempio è l’agevolazione azienda (art. 3 co.4-ter TUS) dove gli eredi beneficiari devono proseguire l’esercizio d’impresa o detenere le partecipazioni per almeno 5 anni. Se vendono o cessano prima, decadono dall’esenzione e l’ufficio liquida l’imposta dovuta. Un altro esempio: beni culturali vincolati, con obbligo di conservazione/vincolo d’uso per un certo periodo – la violazione può comportare recupero imposta. Questi accertamenti possono avvenire anche a distanza di anni dall’apertura della successione (entro la scadenza del vincolo + termini decadenza da tale momento). Il contribuente potrà difendersi eventualmente provando cause di forza maggiore o interpretazioni normative (non sempre facili in tali casi).
  12. Accertamenti con adesione avviati dall’ufficio: va notato che in materia di imposte indirette l’ufficio non emette un “avviso di accertamento esecutivo” come per i tributi diretti, ma può comunque invitare il contribuente a comparire per definire concordemente il valore di alcuni beni (specie immobili) prima di emettere l’avviso. Se ad esempio da perizia interna risulta un valore molto più alto, l’ufficio potrebbe proporre al contribuente di aderire all’accertamento con un certo valore intermedio. Se il contribuente rifiuta, procederà con l’avviso per intero. Questo punto sarà trattato anche nei rimedi (accertamento con adesione).

In tutti i casi sopra elencati, l’avviso di liquidazione/accertamento relativo a una successione può comprendere più voci: spesso non solo l’imposta ipotecaria e catastale, ma anche l’eventuale imposta di successione complementare, l’imposta di bollo non versata, la tassa ipotecaria fissa, etc. Ad esempio, se la dichiarazione era sotto franchigia e non c’era imposta di successione, ma vengono accertati immobili non dichiarati, l’avviso conterrà l’imposta ipotecaria e catastale su tali beni più le relative sanzioni ; se invece la maggiore base imponibile fa scattare anche l’imposta di successione (superando la franchigia), allora nell’atto troveremo anche quest’ultima. È importante capire questa distinzione: l’imposta di successione ha soglie di esenzione (franchigie), mentre le imposte ipotecaria e catastale no (si pagano sempre, anche se l’eredità è modesta, purché vi siano immobili). Dunque, un accertamento di maggior valore potrebbe comportare il pagamento di più imposte differenti. Ad esempio, se inizialmente un asse ereditario di €900.000 in linea retta non aveva imposta di successione (franchigia €1.000.000) e l’ufficio accerta che in realtà il patrimonio valeva €1.200.000, l’avviso conterrà sia l’imposta di successione sul surplus di €200.000 (al 4% = €8.000) sia le imposte ipotecarie/catastali aggiuntive su €300.000 (il 3% di €300.000 = €9.000) . Al contrario, se l’asse era comunque sotto franchigia anche dopo la rettifica, l’avviso conterrà solo ipotecaria/catastale e nulla per successione.

Riassumendo, i motivi tipici per cui ci si può trovare di fronte a un avviso di liquidazione dell’Agenzia relativo a imposta ipotecaria (in ambito successorio) sono:

  • Imposta ipotecaria/catastale non versata affatto al momento della successione.
  • Imposta versata in misura insufficiente per valori dichiarati inferiori a quelli reali o per errori di calcolo.
  • Agevolazione indebitamente fruita (es. prima casa, azienda, altro) e successiva revoca con recupero dell’imposta risparmiata.
  • Omessa dichiarazione di successione e conseguente accertamento d’ufficio di tutte le imposte dovute.
  • Scoperta postuma di beni ereditari non dichiarati (conti esteri, immobili nascosti, ecc.) e relativo recupero di imposta complementare.
  • Violazione di vincoli o condizioni poste per esenzioni (entro i termini di monitoraggio previsti).
  • Errori formali (mancanza documenti, ecc.) che hanno comportato liquidazione d’ufficio di importi aggiuntivi.

Nei paragrafi seguenti vedremo come leggere nel dettaglio un avviso di questo genere e su quali aspetti focalizzarsi per impostare la difesa.

Contenuto dell’avviso di liquidazione: cosa verificare

All’arrivo di un avviso di liquidazione per imposta ipotecaria (e catastale) non versata in successione, è fondamentale leggerlo con attenzione e analizzarne ogni parte. Un avviso di questo tipo in genere include:

  • Intestazione ed estremi dell’atto: l’intestazione indica l’ufficio emittente (di norma, l’Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate competente per le successioni), il numero di protocollo dell’atto, la data di emissione e la data di notifica. Sono anche riportati i riferimenti alla dichiarazione di successione (con numero di registrazione e data) cui l’avviso si riferisce. Verificate innanzitutto che i dati identificativi siano corretti (ad esempio, che si riferisca effettivamente alla vostra pratica di successione).
  • Indicazione dei destinatari: generalmente l’avviso viene notificato a tutti i coobbligati per l’imposta di successione. Ciò significa che se vi sono più eredi obbligati, ciascuno di essi riceverà una copia dell’avviso con richiesta di pagamento dell’intero importo dovuto, in base al principio di solidarietà passiva previsto dall’art. 36 comma 3 TUS . Questa responsabilità solidale, però, è limitata pro quota: in pratica l’Agenzia può richiedere a uno solo degli eredi il pagamento integrale, ma tale erede può non essere tenuto a pagare oltre il valore dei beni ereditari effettivamente ricevuti. Nell’avviso in genere è riportato un riferimento alla norma sulla responsabilità solidale. Se avete ricevuto l’avviso ma un altro erede ha già pagato, l’atto potrebbe essere già stato soddisfatto (ma in assenza di comunicazione, l’Agenzia notifica comunque a tutti, per sicurezza). Importante: se tra i destinatari compare qualcuno che non è erede (ad esempio un chiamato che ha rinunciato all’eredità, o un legittimario totalmente escluso dal testamento), quella persona non è effettivamente obbligata all’imposta – potrebbe trattarsi di un errore dell’ufficio. In tali casi, è possibile ottenere l’annullamento dell’atto verso quel soggetto presentando le dovute prove (es: copia dell’atto di rinuncia all’eredità, o sentenza civile che dichiara che non ha diritti ereditari). La Cassazione ha chiarito che chi rinuncia all’eredità non è tenuto all’imposta (la rinuncia ha effetto retroattivo ex art. 521 c.c.), così come il legittimario pretermesso che decide di non impugnare il testamento non diventa mai erede né chiamato, e quindi non può essere soggetto passivo dell’imposta . Se dunque foste in una simile situazione (esclusi dalla successione e senza azioni intraprese per rivendicare quota di legittima), avete ottimi argomenti per farvi estromettere dalla pretesa tributaria.
  • Quadro di calcolo delle imposte: il cuore dell’avviso è il prospetto in cui l’ufficio dettaglia le somme dovute. Qui troverete tipicamente una sezione per ogni imposta coinvolta. Ad esempio:
  • Imposta sulle successioni: €X di imposta principale (eventuale), con indicazione degli estremi (aliquota applicata, franchigia utilizzata, etc.); €Y di sanzione imposta successione; €Z di interessi calcolati fino a una certa data .
  • Imposta ipotecaria: €X1 dovuti a titolo di imposta ipotecaria, €Y1 di sanzione (calcolata al 30% di X1, ridotta eventualmente a 10% se pagamento entro 60 gg), €Z1 di interessi .
  • Imposta catastale: €X2 dovuti a titolo di imposta catastale, €Y2 di sanzione (30% di X2), €Z2 di interessi.
  • Altri tributi: ad es. €W di imposta di bollo, €V di tassa ipotecaria fissa, con eventuali sanzioni se erano dovuti e non versati.
  • Totale: una somma finale che cumula tutte le voci sopra elencate (spesso esplicitata sia in cifre sia in lettere).

Un esempio (puramente illustrativo) di come potrebbe apparire un estratto del prospetto è il seguente:

Imposta sulle successioni €10.000; Sanzione imposta successioni €3.333 (ridotta a €1.111 se pag. entro 60 gg); Interessi €500.
Imposta ipotecaria €2.000; Sanzione imposta ipotecaria €600 (ridotta a €200 se pag. entro 60 gg); Interessi €50.
Imposta catastale €1.000; Sanzione imposta catastale €300 (ridotta a €100 se pag. entro 60 gg); Interessi €25.
Imposta di bollo €64; Tassa ipotecaria €90; Tributi speciali €T; Sanzioni –; Interessi –.
TOTALE DOVUTO €14.875 (di cui €11.875 imposte, €4.233 sanzioni piena misura, €575 interessi) .

(Le cifre sopra sono indicative. L’avviso reale riporterà il dettaglio esatto delle sanzioni ridotte da pagare entro 60 giorni.)

In tale prospetto, verificate attentamente: – Se i valori base corrispondono a quelli dichiarati o se l’ufficio li ha modificati (in tal caso, dovreste vedere indicazioni come “valore dichiarato €X, valore accertato €Y”). – Se è stata applicata correttamente o revocata un’agevolazione (ad esempio, potrebbe essere indicato “Agevolazione prima casa revocata: differenza imposta ipotecaria €…, catastale €…”). – La correttezza del calcolo aritmetico delle imposte (raramente sbagliano la matematica, ma non è impossibile – un’occhiata va data). – La corretta applicazione delle franchigie e aliquote nel caso dell’imposta di successione (se pertinente). – La data fino a cui sono calcolati gli interessi (di solito fino alla data di emissione o un paio di mesi prima): questo serve anche a ricalcolarli in caso di pagamento posticipato. – L’indicazione della sanzione ridotta: di norma l’avviso esplicita che pagando entro 60 giorni si applica l’art. 15 del D.lgs. 218/1997 (acquiescenza), ossia sanzioni ridotte ad 1/3 . Ciò è importante per capire l’effettivo importo da pagare se uno decide di non fare ricorso. – Eventuali errori: talvolta, nelle compilazioni manuali, possono esserci inesattezze. Ad esempio, capita di vedere invertiti i codici tributo o piccole discrepanze. In caso di dubbi, si potrà sempre chiedere chiarimenti all’ufficio. – Motivazione dell’atto: questo è un elemento centrale. Dopo il prospetto contabile, l’avviso deve contenere la spiegazione del perché quelle somme sono dovute. La legge (art. 7 Statuto) e il TUS stesso (art. 34 co.2-bis) esigono una motivazione chiara soprattutto se l’ufficio rettifica dati del contribuente . La motivazione può essere sintetica se si tratta di un mero calcolo sull’autodichiarato (es: “liquidazione dell’imposta principale come da dichiarazione”); ma se c’è una maggiore imposta per qualche ragione, dev’essere esplicitata. Esempi: – “Omesso versamento: Dalla dichiarazione di successione n… risulta non versata l’imposta ipotecaria di €X e l’imposta catastale di €Y. Si liquida pertanto l’importo dovuto…”. – “Valore immobile rettificato: L’immobile sito in …, foglio…, particella…, dichiarato dal contribuente per €100.000, risulta avente rendita catastale €1.500, con valore catastale €180.000. Si liquida la maggiore imposta ipotecaria/catastale su detta differenza di valore (€80.000)…”. – “Revoca agevolazione: Poiché l’erede Tizio ha alienato l’immobile oggetto di agevolazione “prima casa” in data … (entro 5 anni dall’acquisizione) senza acquistare altro immobile entro un anno, decadono i benefici ex art. 69 L. 342/2000. Si richiede la differenza d’imposta ipotecaria €…, catastale €… oltre sanzioni…”.

Se l’avviso manca di adeguata motivazione – ad esempio si limita a dire “imposta non versata” senza chiarire i presupposti, oppure richiede una “maggiore imposta” senza spiegare quale voce è variata – allora vi potrebbe essere un vizio di legittimità dell’atto per difetto di motivazione. La Cassazione ha ribadito che conta la sostanza: se l’ufficio sta di fatto rettificando la dichiarazione (negando un’agevolazione, modificando un valore, ecc.), deve motivare come fosse un avviso di accertamento, altrimenti l’atto è nullo . Ad esempio, una sentenza del 2023 (Cass. 5669/2023) ha annullato un avviso che revocava un’esenzione senza spiegare perché, dato che l’ufficio si era limitato a inviare un prospetto di liquidazione privo di motivazione sostanziale . Dunque, leggendo l’atto, chiedetevi: “Sarei in grado, solo da ciò che è scritto, di capire esattamente cosa contesta l’ufficio e su quali basi?” Se la risposta è no, avete già individuato un possibile punto di attacco (da approfondire con il vostro consulente). – Riferimenti normativi e di prassi: spesso alla fine della motivazione l’atto cita le norme applicate (es. art. 50 D.lgs. 346/90 per interessi, art. 13 D.lgs. 471/97 per sanzioni, ecc.) e a volte circolari o risoluzioni. Questo per dare conto della base giuridica. Può essere utile verificarle per assicurarsi che siano pertinenti. – Istruzioni per il pagamento: l’avviso contiene le indicazioni di come e entro quando pagare. Viene esplicitato che il pagamento va fatto entro 60 giorni dalla notifica (riportando la data esatta di scadenza) per fruire della sanzione ridotta . Viene indicato che il pagamento va effettuato tramite modello F24 (sezione Erario) con i codici tributo specifici. In alcuni casi, l’Agenzia allega all’avviso un modello F24 precompilato con tutti i codici e gli importi già indicati, per facilitare il pagamento . Se così non fosse, nella parte istruzioni troverete elencati i codici tributo da utilizzare: – Ad esempio: “utilizzare il codice A142 per l’imposta ipotecaria liquidata dall’ufficio, A143 per l’imposta catastale, A144 per imposta di bollo, A139 per la sanzione imposta successione, A140 per sanzione ipotecaria, A141 per sanzione catastale, A152 per interessi” . (I codici qui sono indicativi, verificare quelli esatti riportati nell’atto). – L’F24 andrà compilato con l’identificativo atto e il codice ufficio indicati nell’avviso, per assicurare che il pagamento sia abbinato correttamente .

Talvolta, in alternativa all’F24, l’ufficio può indicare che il pagamento può avvenire anche con bollettino postale o tramite il sistema PagoPA (soprattutto con la digitalizzazione in corso) . Seguite attentamente le modalità suggerite per evitare errori (un pagamento con codice sbagliato, ad esempio, potrebbe non “chiudere” il debito e generare successive confusioni). – Avvertenze sull’impugnazione e la decadenza: infine, l’avviso in genere riporta le “Avvertenze” standard, dove viene spiegato che: – Avete 60 giorni di tempo dalla notifica per proporre ricorso alla Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria) competente . – Qualora intendiate definire la lite in via agevolata (acquiescenza), potete pagare entro 60 giorni con sanzioni ridotte ad 1/3 e non presentare ricorso (chiudendo così la questione). – Decorso inutilmente il termine di 60 giorni, l’atto diverrà definitivo e le somme saranno iscritte a ruolo per la riscossione coattiva. – Eventualmente, che l’atto è immediatamente esecutivo (questo è più tipico per avvisi di accertamento esecutivi su imposte dirette; per l’imposta di successione non c’è una regola di pagamento frazionato di un terzo, quindi di norma non viene richiesto pagamento anticipato in pendenza di ricorso ).

Tali avvertenze sono importanti perché vi ricordano formalmente i vostri diritti di difesa. Se – ipotesi remota – l’avviso fosse privo dell’indicazione dei termini e organi per il ricorso, ciò costituirebbe un’irregolarità (in passato la giurisprudenza ha discusso se potesse addirittura inficiare l’atto, ma ormai è pacifico che è un vizio sanabile, nel senso che non annulla l’atto ma può consentire la rimessione in termini del contribuente che abbia tempestivamente chiesto tali informazioni).

In sintesi: quando ricevete un avviso del genere, controllate subito la data di notifica (per calcolare i 60 giorni) e poi passate in rassegna tutti gli elementi sopra indicati. Ogni riga può celare un appiglio difensivo (o la conferma che invece tutto combacia con la situazione di fatto). Nel prossimo capitolo vedremo come, se decidete di non pagare immediatamente, potete procedere per contestare l’avviso o farvelo annullare, analizzando i vari strumenti a disposizione (dall’autotutela al ricorso).

Importi aggiuntivi: sanzioni e interessi nell’avviso di liquidazione

Come accennato, l’avviso di liquidazione per imposta ipotecaria non versata non si limita a richiedere il tributo, ma comprende anche sanzioni e interessi. È opportuno capire come vengono determinati e quali opportunità esistono per ridurli.

Sanzioni amministrative: L’omissione (o insufficienza) di versamento di un’imposta comporta in Italia la sanzione del 30% dell’importo non versato (art. 13 D.lgs. 471/1997). Questa sanzione si applica per ogni imposta non versata. Dunque, se non avete pagato né ipotecaria né catastale, ci saranno due sanzioni distinte (30% di ciascun tributo). Se invece avete pagato, ad esempio, l’ipotecaria ma non la catastale, la sanzione riguarderà solo l’importo catastale mancante. Tuttavia, la legge consente delle riduzioni di favore in alcune circostanze: – Ravvedimento operoso: se il contribuente stesso si accorge dell’errore prima che intervenga la formale contestazione, può regolarizzare spontaneamente pagando il dovuto con sanzioni ridotte (dal 1/10 al 1/5 del minimo, a seconda del ritardo). Ad esempio, se vi accorgete pochi mesi dopo che non avevate pagato l’imposta ipotecaria, potete effettuare un ravvedimento pagando una sanzione ridotta (tipicamente il 3,75% se entro un anno) più interessi legali. Questo naturalmente vale solo se l’Agenzia non vi ha ancora notificato alcun avviso o comunicazione sul punto. In pratica, è una strada percorribile subito dopo l’errore, ma non quando ormai avete in mano un avviso di accertamento (a quel punto il ravvedimento non è più ammesso). – Acquiescenza all’avviso: come già detto, se ricevete l’avviso, la normativa (art. 15 D.lgs. 218/1997) vi consente di pagare entro 60 giorni beneficiando di una riduzione della sanzione ad 1/3 del 30%, cioè al 10% . Nell’avviso questa opportunità dovrebbe essere indicata. Significa che, anziché pagare il 30% pieno, pagando tempestivamente pagherete solo il 10%. Attenzione: il pagamento entro 60 giorni vi fa anche evitare l’ulteriore 1% di interessi di mora mensili che scatterebbero dopo, e vi evita l’aggio di riscossione del 3% circa. Quindi conviene sfruttare questo termine se decidete di non fare ricorso. Nell’esempio fatto prima, su €1000 di imposta non versata la sanzione ridotta è €100 anziché €300 – un bel risparmio. – Definizione agevolata in adesione o conciliazione: se scegliete di avviare un accertamento con adesione (trattativa) o successivamente di conciliare la lite in tribunale, in caso di accordo è prevista un’ulteriore riduzione delle sanzioni. In adesione, per legge, le sanzioni si applicano nella misura 1/3 del minimo (ossia nuovamente 10%) . In conciliazione giudiziale, solitamente si riducono al 40% (in primo grado) o 50% (in appello) del minimo. Queste percentuali risultano però peggiori rispetto all’acquiescenza (40% del 30% = 12%, contro 10% dell’acquiescenza), quindi non c’è un grande vantaggio sulle sanzioni, ma spesso conciliare comporta anche ridurre la base imponibile. Ne riparleremo. – Cause di non punibilità: in rari casi, se l’omissione di pagamento non è colpevole (es. errore scusabile indotto da modulistica errata, o versamento fatto nei termini ma su codice sbagliato poi confluito nelle casse erariali), si potrebbe far valere l’esimente dell’errore scusabile o chiedere la disapplicazione della sanzione in autotutela. Lo Statuto prevede che non siano irrogate sanzioni se c’è incertezza normativa oggettiva. La questione dell’interpretazione sulla misura fissa delle imposte ipotecaria/catastale potrebbe configurare un’incertezza normativa: un contribuente che avesse pagato €200 credendo in buona fede che la legge così prescrivesse (visti i testi normativi) potrebbe provare a sostenere che non deve subire sanzione perché vi era incertezza normativa. È un argomento non facile da far valere, ma in mani esperte (e con documentazione dottrinale) non impossibile.

Interessi: Gli interessi si dividono in due fasi: – Interessi “correlati” all’imposta non pagata, dal giorno in cui avreste dovuto pagarla fino alla data dell’avviso. Il tasso è quello legale (stabilito annualmente: ad esempio 5% nel 2023, 5% nel 2024, 6% dal 2025) o un tasso specifico per il tipo di imposta se previsto. Nel caso delle imposte di successione, il tasso è disciplinato dall’art. 50 TUS e, di norma, corrisponde agli interessi legali. Essi vengono calcolati in base ai giorni di ritardo. Su somme modeste per pochi mesi, l’importo è quasi trascurabile, mentre su somme grandi o ritardi di anni può diventare significativo. Ad esempio, €10.000 non pagati per 3 anni con tasso medio 5% annuo generano circa €1.500 di interessi. – Interessi di mora dopo la notifica, se non si paga entro 60 giorni. Dal giorno successivo alla scadenza, sulle somme ancora dovute scattano gli interessi di mora (stabiliti annualmente con provvedimento AE, ad es. ~8% annuo nel 2023-2024), che vengono poi caricati in cartella. Inoltre si aggiunge l’aggio di riscossione (attualmente circa il 3% delle somme iscritte a ruolo, e altre piccole spese). In parole povere, il costo del ritardare il pagamento aumenta col passare del tempo. Una stima fornita dall’Agenzia stessa: se non pagate nei 60 gg, alla fine potreste pagare un 5-6% in più tra interessi di mora e aggio, oltre ad avere la sanzione piena al 30% . Ad esempio, su €10.000 di imposta si passa da €1.000 di sanzione ridotta a €3.000 di sanzione piena, + interessi di mora mettiamo €300, + aggio €300: in totale circa €2.600 in più. Pertanto è importante tenere d’occhio le scadenze per evitare aggravio di oneri.

Interessi in pendenza di giudizio: se decidete di fare ricorso e di non pagare subito l’avviso, dovete sapere che durante lo svolgimento del processo gli interessi continuano a maturare sulle somme contestate. Anche se ottenete la sospensione dell’atto (quindi temporaneamente l’Agente della Riscossione non procede), gli interessi “congelati” si accumulano e dovrete poi pagarli se perderete la causa . Viceversa, se vincerete, non dovrete naturalmente pagare nulla (e se avevate pagato, avrete diritto al rimborso con interessi). Questo significa che, se prevedete una causa lunga, dovete mettere in conto un possibile esborso di interessi notevole: oggi i tassi di mora sfiorano il 10%, quindi 3 anni di lite possono aggiungere circa 30% al debito. Alcuni contribuenti, se dispongono di liquidità, scelgono perciò di pagare subito per bloccare gli interessi, e poi fanno ricorso per recuperare le somme (è lecito: pagare non preclude il ricorso ). È una valutazione costo-opportunità da fare caso per caso con un professionista.

Recap in tabella – Sanzioni e interessi su imposta ipotecaria non versata:

VoceMisura ordinariaRiduzioni possibili
Sanzione base30% dell’imposta non versata– Ravvedimento: 1/10 – 1/5 del 30% (tempistiche variabili) <br> – Acquiescenza entro 60 gg: 10% (1/3 del 30%) <br> – Adesione: 10% (1/3 del minimo) <br> – Conciliazione giudiziale: 12%-15% circa (40%-50% del minimo)
Interessi legaliVariabile (tasso legale annuo) dal giorno di scadenza del versamento al giorno di notifica avviso . Esempio: ~5% annuo semplice.– Non riducibili (dovuti per il periodo di ritardo effettivo). <br> – Ravvedimento anticipa la scadenza e riduce periodo di calcolo.
Interessi di mora~8-10% annuo (stabiliti da AE) dal 61° giorno dopo notifica fino al pagamento .– Evitabili pagando entro 60 gg o ottenendo sospensione giudiziale (ma comunque maturano, solo che non vengono pretesi fino a esito giudizio).
Altre speseAggio riscossione ~3% importo iscritto; spese notifica cartella €5-10 .– Evitabili pagando entro 60 gg (nessuna iscrizione a ruolo). <br> – In caso di ricorso, sospensione evita addebito fino a esito.

Nota: Le percentuali esatte possono variare leggermente in base a provvedimenti annuali (tassi) o normative, ma l’ordine di grandezza è quello indicato. Ad agosto 2025 il tasso di mora è 8,68% (provv. AE 13/06/2023) e il tasso legale è 5% (DM Economia 13/12/2022, per il 2023; per il 2024 elevato al 5,25%; per il 2025 al 6%). L’aggio riscossione è attualmente 3% fino a €5.000 e 1% oltre €5.000 (DL 146/2021 conv. L. 215/2021), ma con una soglia minima comunque intorno al 3%.

In sintesi, l’avviso vi prospetta i costi del vostro (presunto) inadempimento: avrete la chance di pagare con sanzioni ridotte entro 60 giorni oppure, se contestate, affronterete il rischio di sanzioni piene e interessi ulteriori. Nel prossimo paragrafo vedremo come procedere al pagamento, inclusa la possibilità di richiedere una dilazione, e poi passeremo ai capitoli dedicati ai rimedi per contestare l’avviso.

Pagamento dell’avviso: modalità e possibilità di rateazione

Una volta esaminato l’avviso di liquidazione, se ritenete di non contestarlo nel merito (ovvero, riconoscete che l’importo è dovuto o comunque decidete di non presentare ricorso), la strada da seguire è il pagamento di quanto richiesto entro 60 giorni dalla data di notifica. Vediamo alcuni punti importanti riguardo al pagamento:

Modalità di pagamento – Attualmente, il pagamento deve essere effettuato tramite modello F24. L’avviso stesso fornisce tutte le indicazioni necessarie: in genere è allegato un F24 già compilato, oppure vengono elencati i codici tributo da utilizzare e i dati identificativi da riportare (codice ufficio, codice atto, anno di riferimento, ecc.) . Riassumendo: – Si utilizza la sezione “Erario” del modello F24. – I principali codici tributo per le successioni (istituiti con Risoluzione AE 16/E del 25/03/2016) sono: 1530 per imposta ipotecaria autoliquidata, 1531 per imposta catastale autoliquidata; i codici con A… indicano somme da avviso: ad esempio A142 per imposta ipotecaria da accertamento, A143 catastale da accertamento, A152 interessi da avviso, A139 sanzione imposta successione, A140 sanzione ipotecaria, A141 sanzione catastale . (Questi codici sono indicativi: attenetevi a quelli esposti sul vostro atto). – Bisogna compilare un rigo per ogni codice, inserendo l’importo, l’anno di riferimento (di solito l’anno del decesso per l’imposta principale, oppure l’anno di registrazione atto per ipotecaria/catastale – solitamente coincidono comunque), e i già citati codici ufficio e atto. – Il pagamento può essere fatto online (tramite home banking o servizi online dell’Agenzia) oppure presso banche, poste o agenti della riscossione, presentando il modello F24. Se l’avviso include un QR code per PagoPA, potete pagare direttamente con quello tramite app, se preferite. – Consiglio: se l’Agenzia ha allegato un F24 precompilato, usatelo, perché riduce il rischio di errori. Se avete dubbi nella compilazione, meglio chiedere chiarimenti all’ufficio prima di pagare: un errore formale nel pagamento (ad es. indicare un codice sbagliato) potrebbe comportare che il debito risulti non saldato correttamente, innescando azioni di riscossione indesiderate .

Pagamento parziale? – Una domanda frequente è: posso pagare intanto una parte e il resto dopo? Purtroppo, pagare solo una parte non evita che sul residuo si attivino le procedure esecutive dopo 60 giorni. Se ad esempio dovete €10.000 e ne pagate €5.000 entro i 60 gg, per i restanti €5.000 l’ufficio procederà comunque all’iscrizione a ruolo e vi applicherà la sanzione intera e gli interessi di mora su quella parte . Non esiste infatti un principio di “accettazione parziale”: o pagate tutto entro il termine (godendo della definizione agevolata sulle sanzioni per l’intero), oppure l’atto per la parte non pagata diventa definitivo e viene riscosso coattivamente con aggravio di sanzioni. Quindi, se non riuscite a reperire tutto l’importo, occorre valutare altre soluzioni (vedi oltre rateazione). Pagare metà non proroga i termini né sospende nulla.

Rateazione con Agenzia Entrate (fase amministrativa) – A differenza degli avvisi di accertamento per imposte dirette o IVA, per gli avvisi di liquidazione non è prevista una rateazione “automatica” concessa dall’Agenzia in questa fase. Non c’è, cioè, un istituto parallelo alla rateazione degli avvisi esecutivi. Questo perché, storicamente, l’imposta di successione si poteva già dilazionare in sede di autoliquidazione con un apposito meccanismo (art. 38 TUS). In pratica: – O pagate entro 60 giorni (unica soluzione o come previsto dall’atto) oppure, scaduto il termine, l’importo viene iscritto a ruolo per la riscossione coattiva . – L’Agenzia delle Entrate non prevede formalmente la possibilità di chiedere una dilazione dopo la notifica dell’avviso (non c’è un modulo o una procedura standard). Ciò non toglie che, in casi particolari, si possa provare a interloquire con l’ufficio: ad esempio, se mancano pochi mesi affinché un erede venda un bene ereditato per far cassa, l’ufficio potrebbe, a sua discrezione, attendere prima di iscrivere a ruolo, specie se si è in contatto e in buona fede. Ma è bene capire che si tratta di favor non dovuto: ufficialmente, l’Amministrazione non è tenuta a concedere proroghe oltre i 60 giorni . – Una volta che il debito passa all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia), allora scatta la possibilità di chiedere una rateazione secondo le regole ordinarie: fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi ordinari, o piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) in caso di grave e comprovata difficoltà e importo elevato. Però, arrivare a questo punto significa aver perso i benefici (sanzione ridotta) e dover pagare anche le addizionali (aggio) . Quindi è sempre preferibile evitare di far “decadere” l’atto a ruolo se c’è modo di evitarlo.

Rateazione ex art. 38 TUS (fase dichiarativa) – La legge prevede(va) un meccanismo di dilazione “a monte”: l’art. 38 del TUS consente agli eredi, al momento della dichiarazione, di chiedere la rateazione dell’imposta di successione in un massimo di 8 rate trimestrali (o 12 rate se vi sono beni indivisibili che rappresentano almeno il 50% dell’attivo) . Questo strumento, tuttora previsto (anche nella riforma 2025), serviva per dare respiro a chi si trovava un’imposta cospicua da pagare senza liquidità immediata. Però va attivato prima: quando presentate la dichiarazione di successione potete, contestualmente, versare il 20% dell’imposta dovuta e chiedere di rateizzare il resto in 8/12 tranche trimestrali . Se non lo si è fatto a suo tempo, non lo si può più fare dopo che l’avviso è stato emesso. In altri termini: la rateazione “preventiva” era l’unico modo di pagare a rate prima della notifica. Una volta notificato l’avviso, quell’opportunità è sfumata, se non ricorrendo (come detto) alle rateazioni post-cartella.

Cosa fare se l’importo è alto e non ho liquidità entro 60 giorni? – Questa è una situazione comune: eredità immobiliare, contanti pochi, arriva la “batosta” dell’imposta e non si sa come pagarla subito. Alcuni suggerimenti: – Contattare l’ufficio: vale sempre la pena, in questi casi, di fissare un appuntamento o presentarsi allo sportello dell’Ufficio successioni che ha emesso l’avviso, prima che scadano i 60 giorni. Spiegando la situazione (magari documentando che è in corso la vendita di un immobile o altra operazione che darà liquidità), si può chiedere se è possibile avere un breve differimento. Ufficialmente non esiste una procedura, ma talora gli uffici consigliano soluzioni. Ad esempio, potrebbero suggerire di presentare un’istanza di accertamento con adesione (che sospende i termini per 90 giorni – vedi paragrafo successivo) giusto per prendere tempo, anche se poi l’adesione si chiude semplicemente con il pagamento integrale. Oppure, informalmente, potrebbero dire che manderanno a ruolo non subito ma aspettando qualche settimana in più (non dovrebbero, ma capita). Insomma, tentare un dialogo può far emergere un piano di azione senza arrivare al contenzioso. – Accertamento con adesione: come vedremo, l’adesione è uno strumento deflattivo. Se l’importo è alto, presentare istanza di adesione vi dà automaticamente 90 giorni in più di tempo (la scadenza del ricorso viene sospesa per adesione) . Anche se sapete di dover pagare tutto, quei 3 mesi potrebbero permettervi di vendere qualcosa o ottenere un finanziamento. Certo, l’adesione di solito mira a raggiungere un accordo sul merito (non un semplice rinvio), ma nulla vieta che, nel frattempo, il contribuente paghi e rinunci al contenzioso. – Finanziamenti o ipoteche: in casi estremi, si può valutare di contrarre un prestito (anche ipotecario) per saldare l’imposta e poi restituire con calma. Le banche a volte concedono mutui agli eredi garantiti dagli immobili ereditati, finalizzati a pagare le imposte successorie. Bisogna valutare costi e benefici: se l’alternativa è perdere la sanzione ridotta e pagare aggio e interessi di mora, può convenire. – Non fare nulla e aspettare la cartella: è un’opzione sconsigliata, perché come visto economicamente svantaggiosa. Inoltre, la cartella di pagamento arriverà dopo i 60 giorni e da quel momento avrete comunque 60 giorni per pagarla (o 180 se chiedete rateazione). Ma a quel punto la sanzione è intera e non c’è più sconto. L’unica giustificazione per questa scelta è se davvero confidate di annullare l’atto in ricorso (perché se lo annullate non pagherete nulla, ovviamente).

In generale, se il merito dell’accertamento è fondato e non intendete contestarlo, conviene pagare entro i 60 giorni: fare uno sforzo finanziario immediato può farvi risparmiare molto rispetto a procrastinare. Se invece ritenete ingiusto o errato l’avviso, allora ha senso pianificare un ricorso, chiedere eventualmente la sospensione e prepararsi alla battaglia (lo vediamo nel prossimo capitolo).

Va infine citato il caso dei più eredi obbligati: come accennato, l’atto è notificato a tutti ma non per questo l’importo si moltiplica. Gli eredi tra loro possono accordarsi su come ripartire il pagamento. L’Agenzia non si interessa di ciò: se uno paga tutto, gli altri risultano sollevati (si chiama obbligazione solidale con diritto di regresso). Importante: se deciderete di pagare voi per tutti, magari per evitare aggravi, ricordatevi poi di esercitare il regresso verso gli altri coeredi per la loro quota (a meno che siate d’accordo diversamente). Giuridicamente, chi ha pagato più del suo dovuto può chiedere agli altri il rimborso pro quota (salvo diverse disposizioni testamentarie o accordi tra eredi). Questo però è un affare interno tra privati; l’Erario, come detto, guarda solo al totale.

Come contestare un avviso di liquidazione: rimedi e strategie (autotutela, ricorso, sospensione)

Passiamo ora alla parte cruciale: come difendersi attivamente da un avviso di liquidazione per imposta ipotecaria non versata. In quanto atto impositivo, l’avviso può essere impugnato dal contribuente davanti al giudice tributario (Corte di Giustizia Tributaria, ex Commissione Tributaria) . Prima di arrivare in aula, tuttavia, esistono alcuni strumenti amministrativi che vale la pena conoscere e tentare, quando opportuno, per risolvere la questione in via stragiudiziale o comunque migliorare la propria posizione. Esaminiamoli in ordine logico di utilizzo:

Autotutela (richiesta di annullamento/riduzione in via amministrativa)

L’autotutela è il potere-dovere riconosciuto alla Pubblica Amministrazione di correggere o annullare i propri atti quando risultino viziati da errori o illegittimità evidenti . Per il contribuente, si traduce nella possibilità di presentare una istanza all’ufficio che ha emesso l’avviso, chiedendone l’annullamento totale o parziale, motivando la richiesta con riferimento a errori riscontrati. Qualche esempio di casi in cui è opportuno presentare un’autotutela: – Errore di persona: l’avviso è stato notificato a un soggetto che non doveva essere destinatario (es: un chiamato che ha rinunciato all’eredità, come detto prima, o un omonimo per sbaglio). Allegando la prova (atto di rinuncia, certificati, ecc.), si può chiedere l’annullamento per carenza di legittimazione passiva. – Doppio versamento o versamento già effettuato: se l’Agenzia contesta un omesso pagamento ma voi in realtà avevate pagato (magari su un altro codice tributo, o con F24 cumulativo e l’ufficio non ha fatto il matching), presentate copia delle ricevute di versamento. È un classico caso in cui l’ufficio, verificato l’errore, annulla in autotutela l’avviso. – Errore di calcolo dell’ufficio: può succedere. Se facendo i conti trovate che l’importo preteso non torna (ad esempio, hanno applicato il 3% sul valore ma hanno sbagliato a calcolarlo), segnalatelo. Oppure se una sanzione risulta calcolata male. Sono vizi che l’ufficio può rettificare senza bisogno di giudice. – Prescrizione/decadenza: se l’avviso è stato notificato oltre i termini di legge (ad es. oltre 3 anni dalla dichiarazione, nel vecchio regime, o oltre 2 anni nel nuovo; oppure oltre 5 anni dall’apertura della successione in caso di omessa dichiarazione), si può eccepire la decadenza dell’azione accertatrice. Questo è un motivo di nullità dell’atto. L’ufficio potrebbe riconoscerlo (soprattutto se palese) e annullare in autotutela. Se non lo fa, sarà un motivo forte in contenzioso. – Evidente errore sul presupposto giuridico: raramente l’ufficio molla su questioni interpretative, ma provare non costa molto. Ad esempio, se l’avviso richiede un’imposta che secondo voi non è dovuta per legge (poniamo, applicazione di un’aliquota che ritenete errata, o diniego di agevolazione che contestate), potete inviare un’istanza spiegando le vostre ragioni giuridiche, citando magari circolari o sentenze. L’autotutela su questioni di interpretazione è discrezionale e in genere l’ufficio tende a confermare la sua posizione; ma vi mette intanto “sul tavolo” con l’ente, e non è escluso che, se la questione è dubbia e magari avete giurisprudenza a favore, l’ufficio valuti un annullamento parziale (ad esempio rinuncia alle sanzioni o simili). – Documenti non considerati: se l’avviso vi ha negato un’agevolazione perché secondo l’ufficio mancava un documento, ma voi in realtà lo avevate presentato o potete integrarlo, segnalatelo. A volte basta far emergere che un allegato era andato smarrito per far rientrare la pretesa.

Proceduralmente, l’istanza di autotutela va rivolta all’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’avviso (i cui riferimenti trovate sull’atto). Meglio se inviata per raccomandata A/R o PEC, così resta traccia. Nell’oggetto citerete i riferimenti dell’avviso (numero, protocollo, data) e poi esporrete sinteticamente i fatti e i motivi per cui chiedete l’annullamento/riduzione. Tempistica: non c’è un termine fisso per presentarla, però è ovvio che va fatta prima che il debito diventi definitivo e/o che presentiate ricorso. Spesso si consiglia di proporla subito dopo la notifica, in modo da dare all’ufficio il tempo di rispondere entro i 60 giorni.

Importante: L’istanza di autotutela non sospende i termini per il ricorso né le procedure di riscossione. Ciò significa che, se manca poco alla scadenza dei 60 giorni, dovrete comunque predisporre il ricorso per sicurezza, a meno che l’ufficio non risponda positivamente immediatamente . Idealmente, conviene inviarla presto e magari fare solleciti. Se l’ufficio vi fa sapere informalmente che annullerà, fatevi mettere qualcosa per iscritto o almeno un numero di protocollo di annullamento. Purtroppo non c’è garanzia di esito: l’autotutela è discrezionale. Se vi viene esplicitamente rifiutata o ignorata, l’unica via sarà il ricorso.

In caso di rigetto (espresso o tacito) dell’autotutela, nessun problema: potrete ancora far valere gli stessi motivi davanti al giudice. Il fatto di aver presentato istanza può semmai testimoniare la vostra buona fede e volontà collaborativa, e talvolta la stessa difesa in giudizio può giovarsi della risposta dell’ufficio (se contiene qualche ammissione o inesattezza).

Accertamento con adesione (definizione concordata)

L’accertamento con adesione è uno strumento deflattivo del contenzioso che consente al contribuente e all’ufficio di raggiungere un accordo sul contenuto dell’accertamento, evitando la causa. È disciplinato dal D.lgs. 218/1997 e si applica in generale a molti atti impositivi, inclusi gli avvisi di liquidazione in materia di successione (l’Agenzia ha anche istituito codici tributo ad hoc per pagare somme da adesione su imposta ipotecaria, segno che è previsto ). Come funziona: – Presentazione istanza: entro il termine per impugnare l’avviso (quindi entro 60 giorni dalla notifica), il contribuente presenta un’istanza di accertamento con adesione all’ufficio che ha emesso l’atto . L’istanza è libera, basta indicare i propri dati, gli estremi dell’avviso e manifestare la volontà di iniziare la procedura di adesione (eventualmente anticipando i punti su cui si vuole discutere). – Sospensione dei termini: la presentazione dell’istanza sospende automaticamente i termini per il ricorso per 90 giorni . In altre parole, i 60 giorni si congelano e inizieranno a decorrere di nuovo (per almeno altri 60 giorni residui) solo dopo questi 90 giorni o dalla data di eventuale chiusura anticipata del procedimento di adesione. Questo vi dà respiro e impedisce che scada il tempo mentre trattate. – Convocazione e contraddittorio: l’ufficio, ricevuta l’istanza, vi convocherà (di solito con lettera raccomandata o PEC) per un incontro. Nella convocazione potrebbe già indicare una proposta o chiedere documenti. All’incontro (anche più di uno, se necessario) si discute del caso. È fondamentale arrivare preparati: portate i documenti, le norme, le eventuali perizie o conteggi che supportano la vostra tesi. – Possibili esiti: – Se si raggiunge un accordo, viene redatto un atto di adesione in cui si fissano i termini della definizione: ad esempio, l’ufficio potrebbe accettare un valore più basso per un immobile contestato, oppure convenire di mantenere un’agevolazione se portate la prova dei requisiti, ecc. Spesso si “tratta” sull’aspetto quantitativo (il contribuente offre di pagare su una base un po’ più alta di quella dichiarata ma più bassa di quella accertata). In sede di adesione, l’ufficio riduce automaticamente le sanzioni ad 1/3 del minimo , se già non lo erano; inoltre non si pagano interessi di mora successivi (perché si sta chiudendo prima di andare a ruolo). Una volta firmato l’accordo, dovrete versare le somme concordate entro 20 giorni (o la prima rata, se rateizzate in 8 rate trimestrali l’ammontare, possibilità prevista). – Se non si raggiunge l’accordo, si redige un verbale di mancato accordo (o semplicemente, trascorsi 90 giorni senza intesa, la procedura si chiude tacitamente). A quel punto l’atto originario resta valido così com’è, e il contribuente può procedere col ricorso (che dovrà presentare entro i 60 giorni residui dalla fine dell’adesione). – Il contribuente può anche ritirare l’istanza di adesione se cambia idea, riattivando subito i termini per ricorrere. – Vantaggi e svantaggi: L’adesione è utile quando c’è spazio di trattativa. Se l’avviso presenta chiaramente errori di diritto (ad esempio termini scaduti, vizi formali gravi), l’ufficio difficilmente annullerà in adesione; in tal caso conviene ricorrere. Se invece la questione è fattuale (valori, valutazioni) o interpretabile, l’ufficio potrebbe preferire incassare un po’ meno subito che rischiare di litigare in giudizio. Dal lato vostro, ottenete la sanzione ridotta e la chiusura veloce del caso. Inoltre, come già detto, a volte si usa l’adesione per guadagnare tempo: anche solo 3 mesi in più possono permettervi di trovare soldi o elementi difensivi. – Caso imposta ipotecaria: immaginiamo contestino un immobile valutato €200k e voi sostenevate fosse €150k. In adesione potreste proporre €170k come base. L’ufficio magari accetta (in base a margini di errore delle stime) e si chiude lì, con imposta sul differenziale di €20k invece di €50k. Oppure se la diatriba è sulla spettanza di un’agevolazione dubbia, si potrebbe addivenire a un compromesso tipo: l’ufficio mantiene la sua linea ma toglie le sanzioni (cosa che comunque avverrebbe se pagate entro 60 gg, ma qui magari oltre quel termine avete ancora la chance di 1/3). Bisogna negoziare caso per caso. – Nota: la materia successoria non di rado coinvolge aspetti emotivi o valutativi; l’adesione consente un confronto meno formale, spesso con funzionari esperti, e talvolta porta a soluzioni creative (dilazioni brevi, ecc.) non codificate ma di fatto agevolanti. Nulla vieta, ad esempio, che in adesione l’ufficio concordi di attendere qualche mese il pagamento se fornite garanzie, sebbene formalmente i 20 giorni siano stringenti.

In conclusione, l’accertamento con adesione è uno strumento da considerare seriamente quando ricevete un avviso, soprattutto se l’importo è significativo. Presentare l’istanza di adesione non vi pregiudica nulla: se non siete soddisfatti di come va la discussione, potete sempre recedere e fare ricorso. Nel frattempo avete preso tempo e magari capito meglio la posizione dell’ufficio (che nell’interloquire potrebbe svelare le sue carte, es. criteri di stima, che vi torneranno utili in causa). L’unico costo è che, se l’adesione fallisce, avrete prolungato di qualche mese la pendenza e accumulato ulteriori interessi (ma 90 giorni di interessi in più sono il 2,5% circa, accettabile se c’è speranza di risolvere).

Il ricorso alla Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria)

Se l’avviso di liquidazione presenta profili di illegittimità o errore che l’ufficio non riconosce, oppure se contestate proprio il merito della pretesa fiscale, lo strumento principale di difesa è il ricorso giurisdizionale innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (dal 2023 denominata Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado). Vediamo gli aspetti salienti del ricorso:

Termini e competenza – Il ricorso va presentato (depositato in telematico o notificato a mezzo PEC all’ufficio e poi depositato) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, fatti salvi sospensioni dovute ad adesione o altri eventi. La competenza è della Corte di Giustizia Tributaria del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Agenzia che ha emesso l’atto. Attenzione: se avete fatto reclamo-mediazione in passato, sappiate che dal 2024 non è più obbligatorio (ne parliamo tra poco), quindi si può ricorrere direttamente .

Contenuto del ricorso – Il ricorso è un atto scritto che deve contenere i motivi per cui impugnate l’avviso. In sostanza, dovrete esporre i fatti (storia della successione, dichiarazione presentata, arrivo dell’avviso) e le censure che muovete all’atto. Queste ultime possono essere di vario tipo: – Vizi formali/procedurali: ad esempio, eccepite la tardività (decadenza) della notifica , oppure il difetto di motivazione , o magari un vizio di notifica (se l’avviso non è stato notificato correttamente). Questi sono motivi di annullamento dell’atto indipendenti dal merito. – Vizi sostanziali: contestate nel merito la pretesa d’imposta. Ad esempio: l’ufficio ha sopravvalutato il valore di un immobile – e produrrete una perizia a supporto del vostro valore; oppure ritenete di aver diritto a un’agevolazione prima casa che vi è stata negata – e argomenterete che i requisiti c’erano (es. avete trasferito la residenza in tempo utile, ecc.); oppure ancora sostenete, in diritto, che la norma va interpretata a voi favorevolmente (qui citare eventuali circolari pro-contribuente o sentenze analoghe sarà decisivo).

Nel ricorso dovrete quantificare il “valore della lite” (che per un avviso di liquidazione è la somma delle imposte contestate, al netto di sanzioni e interessi) e pagare l’contributo unificato in base a tale valore (per importi modesti è €30-50, per importi più alti sale progressivamente).

Reclamo-mediazione (abolito dal 2024) – Vale la pena chiarire: fino al 2023, se il valore della lite era sotto €50.000, era obbligatorio presentare prima un reclamo con proposta di mediazione all’Agenzia, aspettando 90 giorni prima che il ricorso diventasse “effettivo”. Dal 2024 tale obbligo è stato eliminato (riforma D.lgs. 130/2022 e D.lgs. 156/2015 modificati) . Quindi ora il ricorso si propone direttamente senza passaggi preliminari. Resta però consentito alle parti di mediare o conciliare volontariamente. In pratica: potete allegare al ricorso una proposta transattiva, e l’ufficio può valutarla; oppure nel corso del giudizio potete raggiungere una conciliazione (vedi conciliazione giudiziale infra). Se per caso presentate ancora il “reclamo” come si faceva prima, verrà considerato come ricorso introduttivo a tutti gli effetti. Insomma, non c’è più improcedibilità per mancata mediazione, si va diretti in giudizio .

Sviluppo del processo – Una volta depositato, il ricorso viene assegnato a una sezione della Corte Tributaria. L’udienza di solito avviene dopo parecchi mesi (a volte più di un anno). Nel frattempo: – L’Agenzia delle Entrate si costituirà depositando un atto di risposta (controdeduzioni) dove replicherà ai vostri motivi e difenderà l’operato dell’ufficio. – Potete depositare memorie aggiuntive (ad es. per replicare alle loro controdeduzioni, o per evidenziare nuove sentenze uscite nel frattempo) fino a 10 giorni prima dell’udienza. – Se necessario, potete chiedere di essere ascoltati in udienza (oggi gran parte delle udienze tributarie sono scritte, ma potete chiedere discussione orale). – La Corte infine emetterà una sentenza, accogliendo o respingendo (in tutto o in parte) il vostro ricorso. Se vincete, l’avviso verrà annullato (o ridotto) e nulla sarà dovuto di ciò che è stato annullato. Se perdete, l’atto diviene definitivo (salvo appello vostro) e dovrete pagare con interessi maturati.

Motivi di ricorso frequenti nel nostro contesto: – Esempio 1: Errore di fatto dell’ufficio – voi avevate pagato, l’ufficio dice di no. Al ricorso allegherete la ricevuta F24 e chiederete l’annullamento integrale perché l’imposta è stata già versata (nessun debito). – Esempio 2: Decadenza – avviso notificato dopo il termine (es. presentazione dichiarazione il 1/3/2019, termine 1/3/2022 ma avviso arrivato il 10/3/2022). Allegherete le prove e chiederete annullamento totale per decadenza dell’azione accertativa (art. 33 TUS prevede 3 anni, citate norma e Cass. se esiste). – Esempio 3: Valore immobili – l’ufficio ha calcolato su 300k, voi sostenete 200k. Produrrete perizia giurata di un tecnico che motiva il minor valore (ad es. stato d’uso pessimo, zona degradata, comparabili di mercato). Chiederete che la Commissione ridetermini l’imposta su base 200k e annulli quella su differenza, con sanzioni correlate. (La Commissione può anche nominare un CTU se necessario). – Esempio 4: Agevolazione prima casa – se vi è stata negata e invece ne avevate diritto, dovrete provare di aver soddisfatto i requisiti: ad es. residenza nel Comune, nessun altro immobile posseduto lì, ecc. Se la contestazione è per rivendita anticipata, potreste sostenere che avete venduto per causa di forza maggiore (ci sono sentenze rare che disapplicano la decadenza se la vendita è forzata – non semplice, ma tentabile). – Esempio 5: Vizio di motivazione – come sopra, se l’avviso era generico, nel ricorso lo evidenzierete e citerete la giurisprudenza: Cass. 5669/2023 che impone la motivazione negli avvisi di rettifica , Cass. 8190/2011 e altre che hanno annullato atti privi di indicazione delle ragioni . Se il giudice concorda, annullerà l’atto senza nemmeno entrare nel merito della cifra. – Esempio 6: Non soggettività – caso legittimario pretermesso: ricorrerete dicendo “io non sono soggetto passivo perché non sono né erede né chiamato, come da Cass. 5777/2023” . Risultato atteso: annullamento per carenza di legittimazione. – Esempio 7: Trust o titoli esteri – Se la contestazione riguardava beni esteri emersi dopo, potreste discutere se l’ufficio poteva tassare oltre i termini. Cass. 6081/2023 ha detto di sì (sopravvenienza ereditaria tassabile con integrativa entro 2 anni) , ma c’è dibattito dottrinale. Argo complesso, giusto per dire che in caso di particolarità, va cercata la giurisprudenza specifica. – Esempio 8: Coacervo donazioni – se per caso l’ufficio avesse erroneamente sommato donazioni pregresse per calcolare imposta (vecchio coacervo abolito), citerete Cass. 14821/2025 che ribadisce che oggi non si fa coacervo e chiederete sgravio della parte eccedente.

È chiaro che ogni ricorso va cucito su misura del caso concreto. Documentazione e prove: vanno indicate nel ricorso e poi prodotte. Ad esempio: visure catastali, perizie, foto, contratti, documenti anagrafici (per residenze), visure camerali (per aziende), ecc. Le prove testimoniali nel processo tributario sono ammesse in modo limitato (recentemente un po’ più aperte, ma restano difficili), quindi conta molto la prova documentale.

Esito del contenzioso – Se vincete, la sentenza vi darà ragione. L’ufficio potrà fare appello, ma intanto: – Se avevate già pagato qualcosa, potete chiederne il rimborso presentando istanza all’Agenzia con copia della sentenza passata in giudicato . L’amministrazione vi restituirà le somme indebitamente pagate, con gli interessi legali maturati. – Se non avevate pagato (grazie magari a una sospensione) e la sentenza annulla l’avviso, non dovrete più nulla (salvo appello, ma se l’Agenzia appella, di solito la riscossione viene sospesa ex lege o su istanza). – Se perdete, potreste valutare l’appello alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza. In appello vige ora una regola: se avete perso, dovreste pagare provvisoriamente il pagamento di quanto dovuto in base alla sentenza di primo grado (in genere 1/3 dell’imposta se il ricorso viene respinto completamente) come condizione per procedere, salvo che chiediate e otteniate la sospensione di tale pagamento dal giudice d’appello. Questa regola, però, per l’imposta di successione non dovrebbe applicarsi perché era prevista per gli accertamenti esecutivi di tributi erariali (IRPEF, IVA) – materia un po’ tecnica. In pratica, se perdete in primo grado, parlatene col vostro legale per capire se c’è obbligo di pagamento parziale. Spesso no, ma l’Agente potrebbe comunque iscrivere a ruolo una quota in attesa dell’appello (lo faceva in passato per sicurezza). – Tenete a mente che dal 2023 esistono anche nuove norme “premiali”: ad esempio, se vincete in primo e secondo grado, l’amministrazione per fare ricorso in Cassazione deve versare un importo a titolo di “fondo spese” (intorno al 50% del valore) che si perde se poi perde la causa. Questo per disincentivare liti temerarie del fisco. Dunque, arrivare a vincere in appello spesso significa chiuderla lì, perché l’Agenzia raramente ricorre in Cassazione per importi modesti.

In definitiva, il ricorso tributario è lo strumento principe per far valere i propri diritti, ma va usato con strategia: non sempre conviene arrivare fino in fondo se la posizione è debole (si rischia di pagare molto di più dopo). A volte minacciare il ricorso basta per indurre l’ufficio a conciliare.

Sospensione della riscossione

Un problema pratico: la causa tributaria può durare anni, ma l’Agenzia, dopo 60 giorni dalla notifica dell’avviso, potrebbe affidare le somme all’Agente della Riscossione per il recupero forzoso, a meno che non abbiate pagato o ottenuto una sospensione. Come evitare di subire pignoramenti o ipoteche durante il processo? Attraverso l’istanza di sospensione.

  • Sospensione amministrativa (in autotutela): potete chiedere direttamente all’Agenzia (nell’istanza di autotutela o separatamente) di sospendere la riscossione in attesa dell’esito del ricorso. L’ufficio può concederla se ritiene fondato il ricorso o per altri motivi di equità. Non è frequente, ma se avete un rapporto collaborativo con l’ufficio e riconoscono che c’è un errore in ballo, potrebbero sospendere l’invio a ruolo fino alla sentenza di primo grado. Questa è una sospensione facoltativa.
  • Sospensione giudiziale (in pendenza di ricorso): è la strada classica. Dovete presentare un’apposita istanza di sospensione contestualmente al ricorso (o anche dopo, finché il giudizio è pendente) alla Corte Tributaria adita. Dovete dimostrare due cose: fumus boni iuris (cioè che il ricorso non è infondato, c’è almeno un motivo plausibile di annullamento) e periculum in mora (cioè che se doveste pagare subito avreste un danno grave e irreparabile) . Nel caso di privati, il periculum si dimostra ad es. allegando documenti reddituali/patrimoniali e sostenendo che il pagamento immediato vi metterebbe in difficoltà economica seria; nel caso di aziende, che pregiudicherebbe la continuità aziendale o simili. Spesso, per importi elevati rispetto al reddito, il pericolo è palese. Il giudice fiscale fisserà un’udienza (solitamente abbastanza rapida, nell’arco di 2-3 mesi dalla richiesta) per decidere sulla sospensione. Se accorda la sospensione, l’Agente della Riscossione non potrà procedere alla riscossione fino alla decisione di merito (o per il termine stabilito dal giudice, a volte fino alla sentenza di primo grado, a volte fino a data X) . Se la nega, il debito è esigibile subito (attenzione: potete eventualmente riproporre la domanda in appello se perdete in primo grado, ma intanto l’esecuzione può partire).
  • Quantità sospesa: la sospensione può essere totale o parziale. La Commissione potrebbe ad esempio sospendere l’80% dell’importo, chiedendovi di versare il restante 20% intanto. Questo accade se il giudice riconosce parzialmente valide le vostre ragioni ma non tutte. Nel caso di imposte di successione, spesso la sospensione – quando concessa – è integrale, perché o c’è vizio grave (e allora tendono a bloccare tutto) o se è questione di valore a volte dicono “paga intanto il minimo non controverso, il resto si vede”.
  • Esecutività dell’avviso: da notare che, a differenza degli avvisi di accertamento per imposte sui redditi, l’avviso di liquidazione in sé non comporta obblighi di pagamento frazionato immediati (come il famoso 1/3). Quindi, proponendo ricorso, non siete tenuti ex lege a versare nulla subito . Tuttavia, trascorsi 60 gg, l’Ente può trattarlo come definitivo e procedere. Di regola, l’Agenzia Entrate Riscossione non aspetta la sentenza di primo grado se non c’è sospensiva: dopo qualche mese emette la cartella. Quindi richiedere la sospensione è fortemente consigliato se non volete o non potete pagare nel frattempo.
  • Morosità e ipoteche: senza sospensione, l’Agente può iscrivere ipoteca su immobili o pignorare conti/beni per l’importo dovuto. Con la sospensione, questi atti sono inibiti (e se compiuti prima della notifica della sospensione, vanno revocati). La sospensione ottenuta in appello (secondo grado) sospende anche eventuali provvedimenti esecutivi in corso.

In sintesi, se fate ricorso chiedete quasi sempre la sospensione (a meno che stiate comunque negoziando o pagando). È una garanzia per stare tranquilli durante il processo, evitando di trovarvi con il conto bloccato o la casa ipotecata. Molti contribuenti vincono poi la causa ma intanto hanno subito esecuzioni spiacevoli perché non avevano richiesto (o ottenuto) la sospensiva.

Esiti possibili del contenzioso

Chiudiamo la parte processuale con uno sguardo agli esiti finali e alle loro conseguenze pratiche, lato contribuente:

  • Ricorso accolto (totale o parziale): Se il ricorso va a buon fine e la Commissione annulla l’avviso, totalmente o in parte, significa che avete vinto quella fase . A quel punto:
  • Se non avevate pagato (grazie magari a sospensione ottenuta), la vicenda si chiude lì – salvo che l’Agenzia appelli la sentenza. Se la sentenza diventa definitiva (nessun appello o conferma in appello), l’imposta non sarà più dovuta per la parte annullata.
  • Se avevate pagato (perché niente sospensione e avete dovuto versare, o per vostra scelta prudenziale), in caso di vittoria avete diritto al rimborso di quanto pagato e poi risultato non dovuto . Bisognerà presentare un’istanza di rimborso all’Agenzia allegando la sentenza passata in giudicato. L’Amministrazione dovrà restituire le somme indebitamente incassate, maggiorate degli interessi legali dal giorno del pagamento al giorno del rimborso.
  • Niente spese di lite nel processo tributario: in genere, il giudice può condannare la parte soccombente a rimborsare le spese legali alla vincente. Se avevate un avvocato, potreste chiedere le spese. Spesso nei giudizi tributari di primo grado le spese sono compensate (ognuno le sue), ma dipende.
  • Ricorso respinto (sconfitta del contribuente): se il ricorso viene respinto e diventa definitiva la sconfitta, l’importo dovrà essere pagato integralmente (se non era già stato riscosso) con gli interessi maturati nel frattempo . In pratica:
  • Se avevate la sospensione e non avete pagato nulla, ora dovrete pagare tutto – di solito l’Agenzia emette rapidamente la cartella o l’ingiunzione.
  • Se avevate pagato un terzo o altro (nell’eventualità di versamenti provvisori), dovrete pagare la differenza.
  • Gli interessi moratori continueranno a maturare fino al pagamento effettivo, quindi conviene saldare quanto prima per fermarli.
  • Potreste comunque valutare l’appello (se avete motivi validi per sperare in riforma in secondo grado). In tal caso, come detto, può esserci l’obbligo di versare una quota, oppure chiedere sospensione in appello.

In sostanza, una sconfitta in primo grado non è necessariamente la fine (c’è appello), ma sul piano finanziario vi pone in posizione difficile, perché l’Ente potrà pretendere il pagamento. A volte, però, se l’appello ha buone chance, si può chiedere conciliazione in appello: l’Agenzia magari a quel punto è disposta a transare (es. riducendo sanzioni) pur di chiudere.

Giurisprudenza di legittimità – Vale la pena notare che, in materie come l’imposta di successione e connesse, spesso la Cassazione ha orientamenti precisi. Conviene sempre controllare se esistono precedenti favorevoli al contribuente sul punto specifico che contestate . Citarli già dal ricorso di primo grado può aiutare a convincere i giudici di merito. Nel capitolo seguente riportiamo alcune delle sentenze più recenti e importanti relative a accertamenti su successioni (imposta di successione, imposta ipotecaria e catastale), che possono costituire degli utili riferimenti per chi imposta la difesa.

Giurisprudenza aggiornata: casi rilevanti in materia di avvisi di liquidazione per successione

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione e le corti tributarie di merito sono intervenute spesso su questioni legate alle successioni mortis causa e ai relativi avvisi di liquidazione. Presentiamo qui una selezione delle pronunce più significative (aggiornate al 2025), che offrono principi utili sia agli operatori del diritto sia ai contribuenti interessati. Conoscere e, se necessario, citare queste sentenze può fare la differenza nel supportare un ricorso o nel decidere come procedere.

  • Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 5669 del 23/02/2023Motivazione degli avvisi di liquidazione vs. avvisi di rettifica: Questa sentenza ha affermato un principio importante sulla necessità di motivazione. Il caso riguardava due contribuenti che avevano ricevuto un avviso di liquidazione di maggior imposta di successione dovuto alla revoca parziale di un’esenzione (quella per trasferimento di azienda a discendenti, art. 3 co.4-ter TUS) perché non tutti gli eredi avevano sottoscritto l’impegno quinquennale. L’Agenzia aveva emesso un semplice avviso di liquidazione, senza una motivazione dettagliata sulle ragioni del recupero. La Cassazione ha stabilito che l’avviso di liquidazione (ex art. 33 TUS) e l’avviso di rettifica e liquidazione (ex art. 34 TUS) hanno funzioni e requisiti di motivazione differenti :
  • L’avviso di liquidazione serve a calcolare l’imposta in base ai dati dichiarati, correggendo eventualmente errori materiali, e non richiede una motivazione puntuale oltre all’indicazione delle correzioni effettuate (essendo un atto quasi automatico su dati forniti dallo stesso contribuente).
  • L’avviso di rettifica invece interviene quando la dichiarazione è incompleta o infedele, modificando i dati dichiarati o negando agevolazioni: in tal caso deve essere motivato, a pena di nullità, richiamando i fatti e le norme che giustificano la maggiore imposta pretesa . Ciò è espressamente previsto dall’art. 34 co. 2-bis TUS (introdotto nel 2013) e dall’art. 7 dello Statuto del Contribuente.

Nel caso concreto, l’Ufficio non si era limitato a correggere un errore di calcolo: aveva disconosciuto un’agevolazione e riliquidato l’imposta, ma aveva emesso un atto privo di motivazione sostanziale (solo importi). La Cassazione ha ritenuto che in tal situazione l’atto avrebbe dovuto essere un avviso di rettifica motivato, non un semplice avviso di liquidazione, e ha dato ragione ai contribuenti sul difetto di motivazione . In definitiva, la Suprema Corte ha ribadito che, al di là del nome formale dell’atto, conta la sostanza: se l’atto modifica i presupposti dichiarati (ad es. nega benefici, rettifica valori, aggiunge beni), deve avere una motivazione congrua “come un avviso di accertamento”, altrimenti è nullo . Questo orientamento è prezioso per i contribuenti: significa che, in tutti i casi in cui l’Agenzia con l’avviso di liquidazione varia elementi della dichiarazione (ad esempio rettificando valori o revocando agevolazioni) ma non spiega il perché, si può eccepire la nullità per difetto di motivazione. Cass. 5669/2023 fornisce un supporto autorevole a tale eccezione .

  • Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 5777 del 24/02/2023Legittimario pretermesso e soggettività passiva: Pronuncia relativa a chi è tenuto al pagamento dell’imposta di successione. Il caso riguarda un legittimario pretermesso, cioè un figlio totalmente escluso dal testamento del padre (il de cuius aveva nominato erede universale la nuova moglie, escludendo il figlio). Questo figlio, pur essendo legittimario, aveva deciso di non impugnare il testamento (rinunciando quindi a esercitare l’azione di riduzione per ottenere la sua quota di legittima). Ciononostante, l’Agenzia gli notificò un avviso di liquidazione dell’imposta di successione, ritenendolo corresponsabile come “chiamato all’eredità” ai sensi dell’art. 36 co.3 TUS . In pratica, il Fisco pretendeva che anche il figlio “diseredato” pagasse solidalmente l’imposta sull’eredità, sostenendo che finché l’eredità non è accettata da tutti i chiamati, questi rispondono in solido (tesi che l’Agenzia a volte adotta in via cautelativa). La Cassazione, confermando la decisione di merito che aveva dato ragione al contribuente, ha sancito un principio chiaro: il legittimario completamente pretermesso da un testamento non assume la qualità di chiamato all’eredità, a meno che non eserciti con successo l’azione di riduzione . In termini più generali, è vero che la soggettività passiva all’imposta di successione è correlata alla “chiamata all’eredità” (ovvero l’imposta è dovuta anche se non si è ancora accettato, basta essere chiamati); però se un testamento esclude una persona, questa persona non è neppure chiamata (diventerà chiamata solo se quel testamento viene annullato con azione di riduzione). Nel caso specifico, il figlio aveva addirittura formalizzato una rinuncia all’azione di riduzione (cioè aveva dichiarato di rinunciare a far valere i suoi diritti di legittima). La Cassazione ha affermato che, analogamente a come il chiamato che rinuncia all’eredità non è tenuto all’imposta (effetto retroattivo della rinuncia, art. 521 c.c.), allo stesso modo il legittimario pretermesso che rinuncia a contestare il testamento non diviene mai né erede né chiamato . Di conseguenza, manca per lui il presupposto d’imposta: l’art. 1 TUS collega l’imposta al trasferimento di beni e diritti agli eredi o legatari; chi non diventa mai tale, non può essere soggetto passivo. L’avviso indirizzato a questo “finto erede” è quindi illegittimo ed è stato annullato. Questo principio è importante perché talvolta l’Agenzia, per prudenza, notifica l’imposta anche a parenti che poi non entrano in eredità (pensiamo anche a un nominato erede in testamento poi risultato invalido). La Cassazione chiarisce che non si può tassare chi giuridicamente non acquista lo status di erede o chiamato .
  • Implicazione pratica: se ricevete un avviso ma voi non siete eredi effettivi, perché avete rinunciato all’eredità o perché un testamento vi ha esclusi e non lo impugnate, potete far valere questo principio per farvi togliere dall’obbligazione tributaria. Nel caso di specie, il figlio pretermesso non doveva nulla. La sentenza richiama anche precedenti conformi e principi civilistici di base: in pratica il Fisco deve tassare chi effettivamente riceve l’eredità.
  • Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 14063 del 27/05/2025Testamento revocato: effetti sull’imposta di successione: Questa pronuncia, recentissima, si colloca nel solco della precedente ma con una sfumatura diversa. Affronta la situazione di un testamento poi revocato. Scenario: Tizio fa un testamento nominando erede Caio; successivamente Tizio fa un secondo testamento nominando Sempronio, revocando di fatto il precedente. Caio (ignaro del nuovo testamento) quando Tizio muore presenta dichiarazione di successione e compie atti come erede. L’Agenzia ovviamente liquida l’imposta a Caio. Tuttavia, emerge poi che Caio non aveva titolo perché c’era un testamento successivo valido che istituiva un altro erede. La Cassazione ha stabilito che la revoca di un testamento rende inefficace sin dall’origine la vocazione ereditaria derivante da quel testamento . Quindi Caio, il cui status di chiamato derivava da un testamento poi revocato, non deve pagare l’imposta. Anche un’eventuale accettazione tacita compiuta da Caio prima di sapere della revoca è priva di effetti, perché manca un titolo valido (il primo testamento è stato annullato retroattivamente dalla revoca) . La Corte sottolinea che il TUS stesso (art. 43) prevede che se l’imposta è stata pagata su un testamento poi risultato invalido, va rimborsata e vanno presentate dichiarazioni integrative rettificative . In pratica, la presentazione di una dichiarazione di successione da parte di un falso chiamato (perché il suo titolo è venuto meno) non consolida affatto l’obbligo d’imposta: se la chiamata viene meno (per annullamento o revoca del testamento), l’imposta non è dovuta e va restituita .
  • La Cassazione afferma quindi il principio: “Il testamento revocato è inefficace ab origine; chi vi era istituito erede non è mai divenuto tale, né chiamato, e quindi l’imposta di successione non è dovuta da costui” . Questo caso è interessante perché capita che in presenza di liti ereditarie (più testamenti contestati) l’Agenzia tassi “provvisoriamente” il primo scenario. La Corte dice che l’Amministrazione deve attendere di sapere chi è il vero erede; se tassa uno che poi risulta non esserlo, quei soldi vanno restituiti.
  • Esempio pratico: se siete destinatari di un avviso ma poi una sentenza civile stabilisce che quell’assegnazione ereditaria era nulla o invalida, dovreste riavere indietro quanto pagato (o non pagare più se pendenze). Importante conservare copia delle cause civili e informare l’Agenzia.
  • La sentenza 14063/2025 è stata riportata anche su riviste e Il Sole 24 Ore, a riprova della sua importanza pratica: tutela chi in buona fede ha pagato un’imposta ma poi la situazione giuridica si è ribaltata.
  • Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 6081 del 28/02/2023Beni esteri emersi dopo (voluntary disclosure): Questa pronuncia, citata talvolta in materia successoria, tratta un caso particolare di emersione tardiva di attività estere del defunto. In breve, alcuni eredi avevano aderito alla “voluntary disclosure” nel 2015, dichiarando spontaneamente capitali che il de cuius deteneva all’estero e che non erano stati inclusi nella dichiarazione di successione. La questione era: quei beni emersi successivamente vanno tassati con imposta di successione ora per allora? La Cassazione ha chiarito che l’emersione di beni esteri del defunto dopo la successione costituisce una sopravvenienza ereditaria che va tassata con imposta complementare, mediante presentazione di dichiarazione integrativa ex art. 28 co. 6 TUS . Cioè: se scoprite dopo altri beni, dovete (avreste dovuto) fare un’integrativa e pagarci l’imposta relativa. La Corte ha confermato che, presentando la procedura di collaborazione volontaria (disclosure) su capitali esteri, si innesca l’obbligo di dichiarazione integrativa di successione e di maggiore imposta di successione (oltre a eventuali sanzioni per violazioni valutarie, ma quelle sono altra materia) . Questo orientamento tutela l’Erario: il contribuente non può sostenere che, essendo emersi dopo, quei beni sfuggano per decadenza – vengono considerati nuovi elementi scoperti, che l’ufficio può tassare entro 2 anni dalla dichiarazione integrativa (o entro 5 anni se la dichiarazione originaria era omessa; su quest’ultimo punto la sentenza nota che c’è dibattito, ma propende per l’avviso entro 5 anni analoghi all’omessa) .
  • Implicazione: se siete eredi che in un secondo tempo regolarizzano attività finanziarie del defunto non dichiarate inizialmente, aspettatevi un possibile avviso di liquidazione di imposta di successione complementare. Non potrete opporre la decadenza triennale usuale, perché avendo presentato l’integrativa decorre un nuovo termine di 2 anni da quella, oppure – se proprio non avevate dichiarato nulla – vale il termine più ampio.
  • La Cassazione qui ribadisce un concetto: la decadenza triennale non copre l’ipotesi di nuovi elementi scoperti dopo, che riaprono i termini (un principio simile a quello degli accertamenti reddituali integrativi).
  • Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 14821 del 02/06/2025Franchigia e donazioni pregresse (abolizione coacervo): Questa pronuncia conferma un orientamento già consolidato sulla questione del cosiddetto coacervo. In passato (prima del 2001), la legge prevedeva che per calcolare l’imposta di successione bisognava sommare al valore ereditario anche le donazioni che il defunto aveva fatto in vita agli stessi beneficiari, per determinare l’aliquota e l’erosione della franchigia. Questo meccanismo (detto coacervo) era spesso penalizzante. Ebbene, la Cassazione 14821/2025 ha ribadito che attualmente donazioni e successioni non si sommano più ai fini del calcolo della franchigia e dell’aliquota . Ovvero, ogni donazione gode della propria franchigia e la successiva successione ne rinnova una nuova: non c’è continuum. Questo perché la reintroduzione dell’imposta nel 2006 non ha riproposto il coacervo e anzi il DL 262/2006 lo ha abolito. La sentenza cita come, per effetto di ciò, se l’ufficio tentasse di far coacervo (cosa ormai rara, ma talvolta malintesi accadono), l’avviso sarebbe impugnabile e annullabile. Lo stesso D.lgs. 139/2024 ha esplicitato ulteriormente l’abolizione di ogni residuo dubbio sul coacervo successorio .
  • Conclusione: per gli eredi, questo significa che se in avviso vedono calcoli che includono donazioni passate nell’imponibile (oltre la semplice menzione per verificare il superamento franchigia, che però oggi non deve avvenire), hanno ragione a contestare.
  • Questo aspetto è meno rilevante per imposta ipotecaria/catastale (che non avevano coacervo), ma lo segnaliamo perché talvolta può emergere in contenziosi dove l’ufficio somma impropriamente valori.
  • Cassazione Civile, Sez. Trib., sent. n. 8190/2011 e n. 14027/2012 (precedenti storici) – Queste due sentenze del passato meritano un cenno perché furono tra le prime a fissare principi fondamentali poi ripresi da quelle recenti:
  • Cass. 8190/2011: affermò che nell’avviso di liquidazione l’ufficio deve analiticamente indicare le voci escluse o variate, in modo da permettere al contribuente di difendersi (anticipando il concetto sviluppato poi nel 2023). Un avviso che aumenta l’imposta senza specificare quali beni/valori sono stati rettificati è illegittimo.
  • Cass. 14027/2012: sottolineò, in un caso simile, che l’omessa indicazione delle ragioni della maggiore pretesa tributaria rende nullo l’atto, a meno che si tratti di mero calcolo su dati dichiarati. Queste pronunce erano antecedenti all’introduzione dell’art. 34 co.2-bis TUS nel 2013, ma gettarono le basi per la tutela del diritto di difesa del contribuente di fronte a liquidazioni “maggiori” non motivate.

In conclusione di questa rassegna giurisprudenziale, possiamo notare come la Suprema Corte stia delineando un quadro abbastanza garantista per il contribuente in materia di accertamenti successori: – Vengono richiesti rigore e trasparenza all’Amministrazione (motivazione adeguata, rispetto termini). – Si delimita bene chi è obbligato al pagamento (solo i veri eredi o chiamati effettivi). – Si consente all’Erario di recuperare materia imponibile nascosta, ma entro confini temporali e procedurali (nuovi elementi, integrative). – Si conferma l’eliminazione di meccanismi onerosi del passato (coacervo).

Utilizzare questi precedenti nelle memorie difensive può rafforzare molto la posizione di un ricorrente. Ad esempio, citare Cass. 5669/2023 se contestate la motivazione; citare Cass. 5777/2023 e 14063/2025 se siete legittimari esclusi; Cass. 6081/2023 se emergono beni esteri; Cass. 14821/2025 sul coacervo. Il quadro normativo-fiscale sulle successioni è in evoluzione, e la giurisprudenza ne fa parte: tenersi aggiornati vi mette in condizione di cogliere opportunità difensive.

Esempi pratici e casi risolti (simulazioni)

Per rendere concreti i concetti trattati, esaminiamo alcuni casi ipotetici ispirati a situazioni reali, illustrando il possibile iter e l’esito delle difese. Queste simulazioni aiutano a capire come applicare le regole in pratica.

Caso 1: Omesso versamento per errore materiale
Situazione: Mario presenta la dichiarazione di successione dopo la morte del padre, in cui eredita un appartamento del valore dichiarato di €150.000. Per distrazione, compila male l’F24 e dimentica di versare le imposte ipotecaria e catastale (che sarebbero 2%+1% di 150.000, ovvero €4.500 in totale). Dopo 8 mesi, riceve un avviso di liquidazione dall’Agenzia delle Entrate che gli chiede: imposta ipotecaria €3.000, imposta catastale €1.500, sanzione €1.350 (30% di 4.500 ridotta a 10% = €450 se paga entro 60gg), interessi €100. Mario si rende conto dell’errore: in effetti non aveva pagato nulla.
Come difendersi: In questo scenario, non ci sono contestazioni di merito – l’ufficio ha ragione, Mario deve quelle somme. L’errore è palese e Mario non ha appigli per annullare l’atto. Le opzioni: – Mario potrebbe provare a chiedere in autotutela l’annullamento della sanzione, sostenendo che è stato un errore scusabile (magari allegando la bozza F24 non presentato). L’ufficio però difficilmente annullerà la sanzione perché la legge prevede sanzioni per omesso versamento anche se l’errore è materiale del contribuente (non è errore scusabile indotto da loro). Potrebbe tuttavia presentare un’istanza di rateazione informale spiegando che €4.500 subito gli pesano, ma non c’è garanzia. – Più concretamente, Mario deciderà di pagare entro 60 giorni usufruendo della sanzione ridotta a 1/3 (€450 anziché €1.350). Paga dunque €3.000+€1.500+€450+€100 = €5.050. Così definisce l’avviso. – Mario non fa ricorso (non avrebbe senso). Caso chiuso. Varianti: Se Mario si fosse accorto prima dell’arrivo dell’avviso (ad es. 3 mesi dopo la successione) dell’omesso pagamento, avrebbe potuto fare ravvedimento operoso: avrebbe pagato €4.500 + sanzione 3,75% (€168) + interessi modesti. Dopo l’avviso però non era più ammesso. Questo sottolinea: se vi accorgete presto di un errore, ravvedetevi per risparmiare.

Caso 2: Valore dell’immobile contestato (rettifica parziale)
Situazione: La signora Carla eredita un immobile dal padre. Dichiara in successione un valore di €100.000, basandosi sul valore catastale. L’immobile è però in centro storico e in ottimo stato; sul libero mercato ne vale almeno €180.000. Carla paga le imposte ipotecaria/catastale sul suo valore (€3.000 in totale). Dopo un anno, l’Agenzia invia un avviso di rettifica e liquidazione: determina il valore in €180.000 (magari perché hanno una compravendita comparabile nella stessa zona, o perché il valore catastale aggiornato è comunque più alto), e richiede il pagamento di imposta ipotecaria €1.600 e catastale €800 in più (totale €2.400 di imposte complementari), più sanzione 30% su €2.400 (€720, ridotta a €240 se paga entro 60 gg) e interessi. Carla è convinta che €180k sia sovrastimato: l’immobile, pur carino, ha dei difetti (niente ascensore, bisogna ristrutturare gli impianti). Lei pensa che €130.000 sia un valore più congruo.
Come difendersi: Ci sono margini per contestare il quantum: – Carla controlla la motivazione dell’avviso: vede che l’ufficio ha indicato come base la rendita catastale capitalizzata, che effettivamente dà €180.000. Tuttavia lei sa che il mercato attuale è debole e i valori reali sono inferiori al catastale (capita in certe zone). – Carla decide di presentare accertamento con adesione: deposita istanza e viene convocata. Porta con sé una perizia giurata di un tecnico che stima l’immobile €140.000, evidenziando che il palazzo è senza ascensore e l’appartamento da ristrutturare. Nella discussione, l’ufficio – partendo da €180k – propone €160.000, Carla ribatte €140k. Si accordano a €150.000 come valore di comune accordo. Di conseguenza, Carla dovrà pagare imposta ipotecaria e catastale sul differenziale €50.000 (invece di €80.000), ossia €1.500 totali, con sanzione ridotta (1/3 del minimo) sul differenziale (il 10% di €1.500 = €150) e interessi ricalcolati. L’atto di adesione viene perfezionato e Carla paga entro 20 gg circa €1.500+€150+interessi. – L’adesione evita a Carla il ricorso e dimezza quasi la pretesa iniziale (€2.400 -> €1.500). Inoltre le sanzioni restano basse. – Ipotesi alternativa: se l’ufficio in adesione fosse rimasto rigido su €180k, Carla avrebbe potuto rinunciare e fare ricorso. In giudizio, con la perizia, avrebbe chiesto di annullare l’atto o rideterminare il valore. Non c’è certezza su cosa avrebbe deciso il giudice: in molti casi le Commissioni ordinano una CTU (perizia d’ufficio). Carla avrebbe rischiato spese e tempo, ma magari avrebbe potuto ottenere €140k come base. Nel suo caso, l’adesione è stata un compromesso ragionevole e rapido. – Questo caso illustra come contestare un valore: fondamentale portare elementi tecnici (perizie, comparazioni) e cercare un accordo. Se l’ufficio dimostra chiusura, il giudice tributario potrebbe esser più neutrale, ma servono prove solide.

Caso 3: Agevolazione prima casa revocata per rivendita anticipata
Situazione: Lorenzo eredita l’appartamento del nonno e usufruisce dell’agevolazione “prima casa” in successione: dichiara di non possedere altre case in città e di voler stabilire la residenza lì. Grazie a ciò, paga imposta ipotecaria e catastale in misura fissa (€200+€200). Dopo 2 anni, per motivi di lavoro, Lorenzo si trasferisce all’estero e vende l’appartamento ereditato, senza acquistare altri immobili in Italia. Dopo qualche mese, riceve un avviso dall’Agenzia che revoca l’agevolazione prima casa (non avendo mantenuto l’immobile per 5 anni né comprato altro entro 1 anno) e gli richiede: imposta ipotecaria €2.000 (il 2% su ipotizziamo €100.000 di valore) e catastale €1.000 (1%), meno i €400 già pagati = €2.600, più sanzione 30% su €2.600 (€780, ridotta a €260 se entro 60gg) e interessi. Lorenzo trova la cosa ingiusta, perché ha venduto per necessità (doveva trasferirsi).
Come difendersi: Purtroppo la norma sull’agevolazione prima casa (nota II-bis art. 1 Tariffa DPR 131/1986, richiamata in successioni) è rigida: se vendi entro 5 anni senza riacquistare entro 1 anno, perdi il beneficio. Le uniche eccezioni possibili sono se dimostri forza maggiore o che nel frattempo hai riacquistato. Lorenzo non ha riacquistato nulla e la vendita per lavoro non rientra nelle cause esimenti (la legge non le contempla). Quindi: – Autotutela: può provare a chiedere all’ufficio la cortesia di non applicare sanzioni, vista la buona fede. È improbabile ottenga qualcosa, ma tentare non nuoce. Magari allegando la documentazione del trasferimento per lavoro spera in clemenza sulla sanzione. – Ricorso: non ci sono motivi giuridici forti. Potrebbe sostenere la tesi (ardua) che la vendita è avvenuta per cause di forza maggiore (necessità di liquidità per mantenersi all’estero, ecc.), ma la giurisprudenza su questo è scarsa e tendenzialmente sfavorevole. Rischierebbe di perdere e dover pagare sanzione piena. – Conclusione: Lorenzo con ogni probabilità opterà per pagare entro 60 giorni la somma richiesta con sanzione ridotta (€260 anziché 780). Quindi pagherà €2.600 + €260 + interessi magari €50 = circa €2.910. Eviterà il ricorso perché non vede concrete possibilità di vittoria. – Nota: se Lorenzo avesse programmato per tempo, poteva evitare la decadenza: ad esempio se avesse acquistato un piccolo immobile entro un anno dalla vendita, avrebbe conservato l’agevolazione (anche all’estero? No, deve essere in Italia). Oppure aspettare 5 anni prima di vendere (ma non poteva). È un caso in cui la norma fiscale vincola le scelte: vendendo prima del termine, si paga ciò che si era risparmiato. Nessun errore dell’Agenzia qui.

Caso 4: Avviso a eredi con rinuncia e soluzione in autotutela
Situazione: Due fratelli, Anna e Bruno, sono chiamati all’eredità di uno zio. Anna accetta l’eredità (che comprende un terreno), Bruno invece rinuncia formalmente poiché vive all’estero e non vuole averci a che fare. Anna presenta la dichiarazione di successione indicando se stessa come unica erede (dopo la rinuncia di Bruno, l’intero asse va a lei come rappresentante). Paga tutte le imposte. Per un disguido, l’ufficio (che inizialmente aveva aperto pratica con due chiamati) notifica comunque un avviso di liquidazione a Bruno come coobbligato per l’imposta (già liquidata solo su Anna peraltro). Bruno, che ha rinunciato, si vede arrivare questo atto e ovviamente rimane sorpreso.
Come difendersi: Qui Bruno ha ragione piena: da rinunciatario non è tenuto all’imposta. E oltretutto probabilmente l’imposta è stata pagata da Anna. I passi: – Bruno presenta subito un’istanza di autotutela all’ufficio, allegando copia dell’atto di rinuncia all’eredità registrato (o del verbale dal Tribunale) e spiegando che egli non è soggetto passivo. Chiede l’annullamento totale dell’avviso verso di lui. – Contestualmente, per sicurezza, Bruno fa presentare un ricorso (presto) dall’estero citando l’art. 36 TUS e il principio che il rinunciante non deve nulla, più Cass. 1184/2000 (storica) e la recente Cass. 14063/2025 che analogicamente conferma retroattività su chiamati inesistenti. – L’ufficio, accortosi dell’errore, annulla in autotutela l’avviso verso Bruno entro breve e gli invia comunicazione. Bruno quindi può rinunciare al ricorso (se l’ha già presentato, le spese sono minime e comunque era un ricorso “facile”). – Caso risolto: Bruno non paga nulla, Anna rimane l’unica debitore (ma lei aveva già pagato in verità). – Commento: Questo scenario mostra che errori possono capitare e l’autotutela è efficace quando la questione è chiara e documentata. Bruno ha evitato ogni esborso grazie alla pronta contestazione e al palese fondamento della sua richiesta.

Caso 5: Omessa dichiarazione di successione, accertamento d’ufficio e ricorso
Situazione: Dopo il decesso del signor Rossi, i figli non presentano la dichiarazione di successione (pensavano non servisse perché “tanto non c’è imposta di successione oggi”, ignorando le imposte ipotecarie). In realtà in eredità c’era la casa familiare. L’Agenzia, verificato dopo 3 anni che non è pervenuta alcuna dichiarazione e che l’immobile risulta ancora intestato al de cuius, avvia un accertamento. Notifica ai figli un avviso di accertamento d’ufficio: valore immobile €200.000, imposta di successione calcolata sul 50% del valore perché l’altro 50% era della moglie già deceduta (supponiamo franchigia superata di poco, quindi imposta €4.000), imposta ipotecaria €4.000 (2% di 200k) e catastale €2.000 (1%); sanzione per omessa dichiarazione (diversa dalla sanzione omesso versamento, questa è sanzione art. 11 D.lgs. 471/97, fino a 120% dell’imposta); applicano ad esempio 30% su imposta successione = €1.200; più sanzione 30% su ipotecaria/catastale = €1.800; interessi e mora. Totale bello salato, oltre €13.000. I figli sono indignati perché non sapevano di dover fare la dichiarazione e ritengono che l’immobile fosse prima casa quindi non c’era imposta successione, ma l’ufficio non ha applicato franchigia (perché omessa dich. la legge dice niente franchigia).
Come difendersi: La posizione dei figli è difficile perché hanno effettivamente violato l’obbligo di dichiarare. Alcune possibili strategie: – Potrebbero provare un’istanza di adesione per ottenere almeno la riduzione delle sanzioni. In adesione l’ufficio, volendo chiudere, potrebbe ridurre le sanzioni al 1/3 (qui ce ne sono di due tipi, omessa dichiarazione e omesso versamento ipocatastali; difficile toglierle del tutto). Sul merito, il fatto che fosse prima casa non li esimeva dal presentare la dichiarazione (esenzione imposta di successione per franchigia sì, ma dichiarazione va presentata per immobili). Potrebbero far leva sul fatto che l’imposta di successione in realtà sarebbe zero con franchigia (se parenti in linea retta), e chiedere di applicare la franchigia anche se tecnicamente non spetterebbe per omessa. Dubito l’ufficio acconsenta, però a volte in adesione si trova un compromesso: ad esempio potrebbero dire “ok niente franchigia, però valutiamo l’immobile meno per abbassare quell’imposta”, ma qui immobile è realistico come valore. – In ricorso, i figli potrebbero attaccarsi a qualche vizio di notifica o contestare l’entità delle sanzioni per eccesso di potere (120% forse troppo, ma l’ufficio ha messo 30% in esempio, che è minimo). Potrebbero invocare la non applicabilità di decadenza franchigia perché incostituzionale punire così severamente, ma queste tesi raramente passano. L’esito probabile è che dovranno comunque pagare, magari ottenendo solo una dilazione. – Forse la linea migliore è trattare per ridurre il carico: conciliazione giudiziale se va in causa, puntando a togliere almeno la sanzione omessa dichiarazione (o ridurla). – Esito ipotetico: i figli in adesione ottengono di pagare imposte intere ma sanzioni ridotte del 50%. Pagano circa €10.000 e chiudono. Se andassero in giudizio, rischierebbero di pagare di più con interessi se perdono. – Morale: omettere la dichiarazione è un errore grave, e a posteriori c’è poco da fare. In questi casi la difesa può solo limitare i danni, non evitare il pagamento.

Questi esempi coprono alcune situazioni tipiche. Naturalmente, ogni caso reale ha le sue peculiarità: consigliamo sempre di far analizzare la propria posizione ad un esperto, che saprà individuare eventuali punti di forza o di debolezza non immediatamente evidenti. L’importante è agire tempestivamente: attendere passivamente peggiora solo le cose (scadenze perse, interessi che maturano).

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito raccogliamo alcune domande comuni in tema di avviso di liquidazione per imposta ipotecaria (e catastale) non versata in successione, con risposte sintetiche ma puntuali. Questa sezione a mo’ di FAQ può aiutare a chiarire gli ultimi dubbi pratici.

D: Ho ricevuto un avviso di liquidazione ma penso sia sbagliato. Posso semplicemente ignorarlo e non pagare?
R: No, ignorare l’avviso significa lasciarlo diventare definitivo dopo 60 giorni. Trascorso quel termine senza opposizione né pagamento, l’atto diviene inoppugnabile e l’Agenzia procederà a riscuoterlo forzosamente (cartella esattoriale, pignoramenti ecc.). Anche se ritieni l’avviso errato, devi agire entro i 60 giorni: o presenti ricorso, oppure (meglio ancora) contatti subito l’ufficio chiedendo una verifica in autotutela. Puoi anche fare entrambe le cose in parallelo: ad esempio chiedere autotutela all’ufficio e, se i 60 gg stanno per scadere senza risposta, presentare comunque il ricorso per sicurezza . Se non fai nulla, dopo 60 giorni perdi il diritto di contestare e dovrai pagare.

D: Posso trattare direttamente con l’Agenzia per farmi ridurre l’importo senza fare ricorso?
R: Sì, c’è uno strumento previsto per questo: l’accertamento con adesione. Devi presentare un’istanza di adesione all’ufficio entro il termine per il ricorso (60 giorni) . L’ufficio ti convocherà per discutere. Se trovate un accordo (ad esempio su un valore inferiore o su certe esenzioni), formalizzerete un atto di adesione e pagherai quanto concordato (con sanzioni ridotte ad 1/3). Ciò evita il ricorso. Tieni presente che l’ufficio non può “fare sconti” per mera benevolenza: aderisce solo se ci sono incertezze su valori o interpretazioni e preferisce chiudere transattivamente. Se la questione è di principio (es. tu invochi una legge, loro un’altra), difficilmente in adesione cederanno su un principio chiaramente a loro sfavore. In mancanza di adesione, un’altra via di “trattativa” era il reclamo/mediazione per liti fino a €50.000, ma dal 2024 la procedura obbligatoria di reclamo è stata abrogata . Resta comunque possibile che l’Agenzia, anche senza adesione formale, in seguito a un reclamo scritto del contribuente (o durante il processo) decida in autotutela di ridurre/annullare l’atto. Ma è discrezionale. Quindi lo strumento formalmente riconosciuto per negoziare è l’adesione. Inoltre, in sede di processo, c’è la possibilità di conciliazione: si può trovare un accordo anche davanti al giudice, con riduzione di sanzioni al 40-50%. È un’altra chance di trattativa, se non hai fatto adesione prima.

D: L’avviso di liquidazione è sempre impugnabile? Ci sono casi in cui non posso fare ricorso?
R: Sì, l’avviso di liquidazione rientra tra gli atti impugnabili elencati nell’art. 19 D.lgs. 546/92, quindi puoi sempre proporre ricorso contro di esso . Non ci sono preclusioni particolari. Anche se l’avviso riguarda l’imposta principale liquidata su quanto hai dichiarato tu stesso, hai comunque diritto di impugnarlo per contestare ad esempio errori di calcolo o l’applicazione scorretta di norme (in passato c’era un dibattito se l’avviso “sui dati dichiarati” fosse inoppugnabile, ma si è chiarito che non è così: puoi sempre far ricorso). Fa eccezione solo il caso in cui l’avviso rispecchi esattamente una tua richiesta: ma negli atti di successione non succede, non è come nell’accertamento con adesione dove firmi un accordo. Quindi ogni avviso di liquidazione è ricorribile davanti al giudice tributario.

D: Ho già pagato l’avviso (per paura delle sanzioni) ma ora vorrei far ricorso. Posso?
R: Sì, puoi. Il pagamento di quanto richiesto non preclude la possibilità di impugnare l’atto . A volte si paga per evitare guai e poi si decide di fare ricorso per riavere indietro i soldi se si vince. La legge non vieta questa possibilità (art. 19 dlgs 546/92 non esclude il ricorso se c’è stato pagamento). Devi però comunque presentare il ricorso entro 60 giorni dalla notifica. Attenzione: se paghi e non fai ricorso entro 60 giorni, poi non potrai più contestare nulla (perché scaduti i termini, il pagamento in sé non rende definitivo il rapporto, è il mancato ricorso che lo rende tale). Quindi, riepilogando: pagare e ricorrere è lecito (in caso di vittoria ti sarà rimborsato); ricorrere senza pagare è pure possibile (ma devi valutare il rischio, perché se perderai magari pagherai di più per via di interessi accumulati); pagare senza ricorrere chiude definitivamente la questione (acquiescenza). Ognuno valuti la strategia in base alla propria situazione economica e alle chance di vittoria.

D: Quali sono le sanzioni se non pago entro i 60 giorni?
R: Trascorsi i 60 giorni dalla notifica senza pagamento (e senza sospensione giudiziale), la sanzione non gode più della riduzione a 1/3. Diventa dunque dovuta nella misura piena del 30% dell’imposta. Inoltre iniziano a maturare interessi di mora aggiuntivi (dal giorno successivo alla scadenza) al tasso vigente (circa 8-10% annuo in questo periodo). L’importo viene poi iscritto a ruolo: ciò comporta anche l’addebito dell’aggio di riscossione (circa il 3%) e delle spese di notifica della cartella . In poche parole, se non paghi nei 60 gg (e non ottieni sospensioni), pagherai di più: ad esempio, su un’imposta di €10.000, la sanzione passerebbe da €1.000 (ridotta) a €3.000 (piena), più interessi di mora (che in un anno potrebbero essere ~€800), più aggio (3% di 13.000 = €390) e le spese amministrative. Quindi conviene evitare di sforare il termine, a meno che tu non stia ricorrendo e abbia ottenuto sospensione.

D: Posso chiedere una rateizzazione del pagamento all’Agenzia Entrate?
R: Di per sé, no per l’avviso già emesso – non esiste un diritto alla rateazione in fase di pagamento spontaneo oltre i termini. L’unica rateizzazione “in ufficio” era quella di cui parlavamo prima, prevista dall’art. 38 TUS, da chiedere prima in sede di dichiarazione. Se non ne hai usufruito prima e ora hai l’avviso, l’Agenzia non ha una procedura formale di dilazione . Puoi sempre provare a chiedere all’ufficio se permettono un pagamento frazionato, ma ufficialmente non sono tenuti a concederlo e raramente lo fanno (se l’importo è modesto, probabilmente no; se è molto alto e spieghi la situazione, potrebbero suggerirti l’espediente dell’adesione per allungare i tempi, o attendere un po’ prima di passare a ruolo, ma nulla di garantito) . Invece, dopo che l’importo viene affidato all’Agente della Riscossione (cartella esattoriale), puoi chiedere a quest’ultimo una rateazione in base alle regole generali: fino a 72 rate standard, o fino a 120 rate se c’è grave difficoltà . Però, come detto, a quel punto la sanzione sarà intera e avrai l’aggio. Quindi sempre meglio, se possibile, trovare una soluzione prima (pagamento, prestito, vendita di un bene, ecc.).

D: Se faccio ricorso, devo pagare intanto un terzo dell’imposta per essere ammesso?
R: No, non in modo automatico. Questa regola (pagamento provvisorio di un terzo) valeva per gli avvisi di accertamento esecutivi su imposte dirette e IVA dal 2011 in poi, e in ogni caso come condizione per il ricorso in appello dopo una sentenza sfavorevole in primo grado, non per il primo ricorso. Per le imposte di successione e connesse (imposte indirette) non vi è prelievo frazionato obbligatorio all’atto del ricorso . In sostanza, presentando ricorso non devi versare nulla subito; l’atto però rimane esecutivo, quindi, come detto, se non ottieni sospensione l’Agente può richiedere il pagamento (anche fino al 100%). Ma non c’è un “tot da pagare per poter ricorrere”. Attenzione però: se perdi in primo grado e vuoi appellare, in quel momento potrebbe esserci l’obbligo di versare una parte (di solito la metà di quanto dovuto per avere l’appello sospensivo automatico, dipende dalle norme transitorie), ma parliamo della fase successiva. Per il ricorso iniziale, nessun pagamento necessario.

D: Durante la causa devo pagare interessi?
R: Sì, sull’importo in contestazione continuano a maturare interessi moratori fino al pagamento effettivo. Se hai ottenuto la sospensione, l’Agente non può riscuotere nel frattempo, ma gli interessi comunque si accumulano e li dovrai versare se alla fine perdi . Se vinci, ovviamente non pagherai nulla e anzi ti restituiranno l’eventuale pagato con interessi legali. Quindi c’è un rischio finanziario nel ricorrere: se perdi dopo 3 anni di causa, pagherai anche 3 anni di interessi in più rispetto all’inizio. Su somme grandi, non sono trascurabili (ad es. ~10% annuo su 50k = 5k l’anno). A volte un contribuente che ha liquidità preferisce pagare subito per fermare gli interessi, e poi ricorre chiedendo il rimborso in caso di vittoria. È una scelta strategica: paghi per non accumulare interessi, confidando di vincere. Se poi vinci, lo Stato ti ridà i soldi con interessi legali (che però sono più bassi degli interessi di mora che avresti evitato, quindi comunque ci guadagni a non far maturare mora alta). Insomma, valuta col tuo fiscalista il rapporto rischi/benefici sul piano economico, oltre che giuridico.

D: Quanto tempo ha l’Agenzia per notificarmi un avviso del genere?
R: Dipende dalla data di apertura della successione e dal tipo di avviso: – Per successioni aperte fino al 31/12/2024 (vecchio regime), l’ufficio aveva 3 anni dalla data di presentazione della dichiarazione per notificare l’avviso di liquidazione dell’imposta principale . Se successivamente emergeva una maggiore imposta (dichiarazione infedele), poteva notificare un avviso di rettifica entro ulteriori 2 anni dalla data in cui era stata pagata l’imposta principale originaria . In caso di omessa dichiarazione, il termine era generalmente di 5 anni dall’apertura della successione (equiparato agli accertamenti d’ufficio ordinari) . Esempio: decesso nel 2018, dichiarazione presentata nel 2019 -> avviso principale entro 2022; se nel 2020 era stato pagato, eventuale rettifica entro 2022 (due anni dal pagamento) se non coincide con i 3 anni. Se niente dichiarazione -> 5 anni dal 2018, quindi fine 2023. – Per successioni aperte dal 1/1/2025 (nuovo regime autoliquidazione), l’ufficio deve controllare e notificare eventuali avvisi integrativi entro 2 anni dalla data di presentazione della dichiarazione di successione . Se presenti una dichiarazione integrativa (perché hai scoperto beni in più), presumibilmente il termine è 2 anni da quella integrativa per quei beni. Se non presenti affatto la dichiarazione, direi che resta il termine di 5 anni dall’apertura per l’accertamento d’ufficio (anche se il legislatore 2024 non lo ripete espressamente, ma è ragionevole analogia). – Per imposte ipotecarie/catastali nello specifico: essendo autoliquidate, la loro omissione di solito emerge subito o comunque entro i controlli formali. L’avviso che le recupera viene notificato nell’ambito di quanto sopra. Quindi direi che valgono i medesimi termini di 3 (o 2) anni. Se l’ufficio per assurdo se ne accorge dopo 4 anni, non potrebbe più emettere avviso (a meno che tu stesso non avessi occultato l’immobile, rientrando nel caso di omessa dich.).

In sintesi, se sono passati più di 3 anni (vecchie successioni) o 2 anni (nuove) dalla tua dichiarazione e non hai ricevuto nulla, sei al riparo da nuovi avvisi in condizioni normali. Fanno eccezione situazioni in cui tu presenti integrazioni tardive (che fanno decorrere nuovi termini), o frodi scoperte dopo (ma lì comunque c’è il limite dei 5 anni di cui sopra, salvo reati penali in corso che possono estendere di 1/2 anni, ma è rarissimo in questa materia). Quindi controlla la data di presentazione della dichiarazione: se l’avviso è arrivato oltre i termini, è decaduto e impugnabile come tardivo .

D: Ho ricevuto avviso per imposta ipotecaria, ma nell’avviso c’è anche una “sanzione per omessa dichiarazione di successione” che non capisco.
R: Questo succede se non avevi presentato la dichiarazione di successione e l’ufficio ti sta tassando d’ufficio. In tal caso, oltre a imposte e sanzioni per omesso versamento, applicano anche la sanzione per omessa dichiarazione. È una sanzione diversa (disciplinata dall’art. 11 D.lgs. 471/97) che può arrivare fino al 100-200% dell’imposta. Se la vedi nell’avviso, significa che considerano la dichiarazione non presentata o presentata oltre i 12 mesi. In un contesto del genere, l’avviso è presumibilmente molto complesso e ti conviene assolutamente farti assistere: potresti almeno ridurre quella sanzione (spesso nei contenziosi la si fa abbassare al minimo). Se invece tu la dichiarazione l’avevi presentata regolarmente, e nell’avviso compare erroneamente una sanzione per omessa presentazione, è un errore dell’ufficio da contestare subito (in autotutela e ricorso se serve).

D: L’avviso include anche imposta di successione principale e io sono sotto franchigia. Perché la chiedono?
R: In situazioni normali, se il valore ereditario per la tua quota è sotto franchigia (es. €1M se figlio), l’imposta di successione non è dovuta. Se ti arriva, potrebbe essere che: – Hai sforato la franchigia a causa di una rettifica di valore: ad esempio, pensavi di star sotto, ma aumentando il valore l’ufficio calcola qualcosa sopra soglia. – Oppure hai perso la franchigia perché non hai presentato la dichiarazione entro i termini (nel qual caso decadono i benefici). – Oppure ancora è un errore: l’ufficio può aver male interpretato i legami di parentela o le franchigie applicabili. In ogni caso, se sei convinto di aver diritto alla franchigia e loro no, devi contestarlo. Magari c’è un malinteso sulla parentela (es. tu nipote di fratello, franchigia 100k, loro pensano affinità? controlla). Fai valere i documenti di parentela e la normativa. Se hai ragione, quell’imposta verrà annullata.

D: I co-eredi a carico dei quali è stata ripartita l’imposta non hanno pagato la loro parte: possono rivalersi su di me?
R: L’Agenzia come detto può chiedere tutto a ciascun erede (responsabilità solidale) . Se tu hai pagato tutto per evitare guai, hai diritto di chiedere agli altri la quota di loro spettanza (in base alle quote ereditarie) tramite un’azione di regresso tra coobbligati. Se non vogliono pagare spontaneamente, potresti dover agire legalmente in sede civile per ottenere il rimborso pro-quota. È spiacevole ma è così che funziona la solidarietà: il Fisco si accontenta di uno qualsiasi che paghi, poi tra eredi ci si sistema. Se invece l’Agenzia sta perseguendo te per l’intero e uno degli altri dice “ho già pagato la mia parte”, sappi che finché il debito complessivo non è estinto loro possono farlo. Dovete coordinare i pagamenti e poi regolare a conguaglio. In pratica, la miglior cosa è che vi mettiate d’accordo tra eredi su chi paga cosa, altrimenti rischiate doppioni o tensioni.

D: L’avviso riporta un “codice atto” e “codice ufficio” da indicare in F24. Dove li trovo?
R: Sono solitamente riportati sull’avviso stesso, di solito nel frontespizio o nel corpo c’è scritto ad esempio: “Cod. Ufficio: T0X – Cod. Atto: 0123456789”. Servono per compilare correttamente l’F24 (campi “identificativo atto” e “codice ufficio”) . Se non li trovi, chiedi all’ufficio. Ma in genere sull’avviso c’è un riquadro riepilogativo con queste info.

D: L’avviso è stato notificato via PEC, ma io l’ho visto in ritardo. I 60 giorni decorrono da quando?
R: Se la notifica via PEC è andata a buon fine (nella tua casella PEC c’è ricevuta di consegna), quella è la data legale di notifica. Che tu l’abbia vista o meno non cambia il decorso dei termini. Quindi attento alla PEC: fa piena fede. Se hai letto in ritardo, sappi che i 60 giorni partono dalla data di consegna alla PEC. Ci sono delle normative per cui se la casella era piena o non funzionante fan tentativo di notifica cartacea dopo 7 giorni, ma non farci affidamento: controlla regolarmente la PEC. Se hai dubbi sulla notifica, consulta un legale: in alcuni casi di malfunzionamento si può eccepire nullità, ma se semplicemente non l’hai letta, non è una scusa.

D: Posso farmi rappresentare o assistere da qualcuno nelle varie fasi?
R: Certamente. Puoi nominare un professionista di fiducia (avvocato tributarista, commercialista, consulente del lavoro abilitato) sia per l’adesione che per il ricorso. Sopra un certo valore (€3.000 di valore della lite) nel processo tributario è obbligatorio farsi assistere da un difensore tecnico abilitato. Anche sotto, è vivamente consigliato data la complessità. Puoi far delega a un professionista anche solo per parlare con l’ufficio in autotutela se non te la senti. Insomma, non sei solo: valuta il fai-da-te solo se importi minimi e questione banalmente risolvibile.

Con queste domande speriamo di aver chiarito i principali dubbi operativi. Se qualcosa non è stato trattato, considera che la materia è vasta e non esitare a consultare direttamente l’Agenzia o un esperto per quesiti specifici.

Conclusione

Affrontare un avviso di liquidazione per imposta ipotecaria non versata in successione può sembrare complesso e stressante, ma con le giuste informazioni e tempestività si può gestire al meglio la situazione. Ricapitolando i punti chiave emersi dalla guida:

  • Prevenzione: Idealmente, evitare di trovarsi in questa situazione è la scelta migliore. Ciò significa curare attentamente la presentazione della dichiarazione di successione, effettuare tutti i versamenti dovuti (ipotecaria, catastale, bollo, ecc.) nei termini, e dichiarare i valori corretti o quantomeno difendibili. In caso di dubbi, avvalersi di un notaio o esperto in successioni durante la fase dichiarativa può prevenire errori costosi.
  • Tempestività: Se tuttavia l’avviso arriva, il fattore tempo è cruciale. Hai 60 giorni per reagire – non lasciarli scorrere inutilmente. Appena ricevuto l’atto, studialo o fallo analizzare, individua i possibili errori dell’ufficio o le tue eventuali mancanze, e decidi una strategia (pagamento, adesione, ricorso…).
  • Check-list iniziale: Verifica se l’avviso è stato notificato entro i termini di legge (decadenza) , se è motivato a sufficienza (in caso di modifiche ai dati) , se le somme richieste tornano con i calcoli, se eventuali coobbligati sono corretti (es. non includono rinuncianti) . Questi controlli ti dicono già se ci sono appigli procedurali forti.
  • Rimedi amministrativi: Prova sempre un approccio collaborativo iniziale. L’autotutela può risolvere errori evidenti senza bisogno di tribunali. L’accertamento con adesione è una chance per negoziare ed eventualmente ridurre l’importo dovuto, congelando nel frattempo i termini . Anche dopo il 2024, benché non obbligatoria, una fase di dialogo può avvenire su base volontaria con l’Agenzia.
  • Difesa in giudizio: Se l’atto presenta profili di illegittimità o contestate il merito, preparate un ricorso ben motivato, supportato da documenti e (se del caso) perizie. La giurisprudenza recente offre strumenti preziosi: citare le sentenze di Cassazione rilevanti può dare forza alle vostre argomentazioni (ad es. Cass. 5669/2023 su difetto di motivazione , Cass. 5777/2023 su eredi pretermessi , Cass. 8131/2025 su benefici prima casa vs momento trascrizione , ecc.). Nel dubbio, affidarsi a un professionista è quasi sempre l’investimento giusto quando le somme non sono irrisorie.
  • Punto di vista del debitore: Ricorda che hai dei diritti (essere informato, conoscere le ragioni dell’imposta, pagare il giusto e non il di più, tempi congrui per difenderti) sanciti anche dallo Statuto del Contribuente. Farli valere può voler dire ottenere l’annullamento di richieste indebite. D’altra parte, riconosci anche i tuoi doveri: se effettivamente quell’imposta era dovuta e hai semplicemente sbagliato, difficilmente potrai evitare di pagarla (magari solo ridurre le sanzioni). Un atteggiamento ragionevole e documentato spesso porta a soluzioni più favorevoli che arroccarsi su posizioni infondate.
  • Soluzioni alternative: Valuta sempre le opzioni come acquiescenza (pagare con sanzione ridotta, utile se sai di avere torto marcio), conciliazione in giudizio (se durante il processo intravedi margini per un accordo, puoi risparmiare su sanzioni e chiudere prima), o altre misure come la richiesta di rateazione in riscossione se proprio non puoi pagare in un colpo. L’importante è non restare paralizzato di fronte all’atto: le alternative ci sono, ed anche i funzionari del Fisco a volte preferiscono chiudere bonariamente piuttosto che imbarcarsi in cause lunghe.
  • Aggiornamenti normativi: Infine, tieni d’occhio le novità legislative. Abbiamo visto la riforma del 2025 sull’autoliquidazione, le modifiche sul reclamo, i nuovi orientamenti sui termini. Il diritto tributario è in continua evoluzione; norme di favore (come definizioni agevolate, condoni, rottamazioni) talora includono anche le imposte di successione. Ad esempio, il 2023 ha visto una “tregua fiscale” per alcune liti pendenti: se rientrasse il tuo caso, potresti chiudere pagando solo una parte. Queste opportunità vanno colte al volo quando si presentano.

In conclusione, se sei un privato o un imprenditore che si trova dall’“altra parte” di un accertamento sulle imposte ipotecaria e catastale in successione, non dare per scontato di dover subire passivamente. Informa­ti, chiedi consiglio, esercita i tuoi diritti. Come abbiamo illustrato, ci sono vari gradi di tutela e spesso il contribuente preparato riesce quantomeno a mitigare gli effetti di un avviso, se non ad ottenerne l’annullamento completo. L’importante è agire con cognizione di causa e nei tempi giusti.

Ricevere un avviso di liquidazione non significa che tu debba pagare senza verificare. Al contrario, come recita lo Statuto del Contribuente, “il contribuente ha diritto ad un’esaustiva informazione dal fisco e ad interloquire con esso”. Usa dunque gli strumenti che l’ordinamento ti mette a disposizione per far valere le tue ragioni. E se alla fine risulterà che devi pagare, almeno avrai la consapevolezza di aver pagato il giusto dovuto, né più né meno, e avrai magari evitato sanzioni inutili. In ambito fiscale, conoscenza è potere – e la conoscenza di come difendersi è la miglior arma del contribuente.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato il mancato versamento dell’imposta ipotecaria dovuta in una successione? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato il mancato versamento dell’imposta ipotecaria dovuta in una successione?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

L’imposta ipotecaria è dovuta, insieme all’imposta catastale, per la voltura degli immobili ereditati a favore degli eredi o legatari. Se non viene versata correttamente al momento della presentazione della dichiarazione di successione, l’Agenzia delle Entrate può contestare l’omissione e richiedere il pagamento dell’imposta, oltre a sanzioni e interessi.

👉 Prima regola: verifica se l’imposta era effettivamente dovuta o se erano applicabili agevolazioni (es. prima casa) che ne riducono l’importo.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Mancato versamento delle imposte ipotecarie e catastali in sede di successione;
  • Errori nel calcolo delle imposte dovute;
  • Agevolazioni prima casa richieste ma non spettanti;
  • Dichiarazione di successione incompleta o non conforme;
  • Omessa dichiarazione di immobili ereditati.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero dell’imposta ipotecaria non versata;
  • Sanzioni dal 120% al 240% dell’imposta omessa;
  • Interessi di mora calcolati dalla scadenza originaria;
  • Possibile blocco della voltura catastale degli immobili;
  • Rischio di ulteriori controlli su tutta la dichiarazione di successione.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Correttezza del calcolo dell’imposta: l’importo richiesto coincide con quanto realmente dovuto?
  • Applicabilità delle agevolazioni: l’immobile rientrava nei requisiti “prima casa”?
  • Documentazione presentata con la dichiarazione di successione: è completa e coerente?
  • Motivazione della contestazione: l’Agenzia ha indicato gli immobili e gli importi specifici?
  • Prescrizione dei termini per il recupero delle imposte.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Copia della dichiarazione di successione presentata;
  • Ricevute dei versamenti effettuati (modello F24 o F23);
  • Atti notarili di accettazione dell’eredità;
  • Certificati catastali e visure immobiliari;
  • Documentazione attestante il diritto ad agevolazioni fiscali.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare il corretto versamento delle imposte con le ricevute di pagamento;
  • Contestare eventuali errori di calcolo dell’Agenzia delle Entrate;
  • Far valere l’applicazione delle agevolazioni prima casa, se spettanti;
  • Eccepire vizi formali: motivazione insufficiente, errori di notifica, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela se l’imposta era stata già corrisposta;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare la pretesa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la dichiarazione di successione e le imposte contestate;
📌 Verifica la correttezza della richiesta dell’Agenzia delle Entrate;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una corretta gestione delle successioni e delle relative imposte.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in successioni e fiscalità immobiliare;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni su imposte ipotecarie e catastali;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’imposta ipotecaria non versata in successione non sempre sono corrette: spesso derivano da errori di calcolo o da agevolazioni non considerate.
Con una difesa mirata puoi dimostrare l’avvenuto pagamento o la spettanza delle agevolazioni, evitando doppi versamenti e riducendo drasticamente sanzioni e interessi.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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