Contestazioni Su Fondazioni Usate Per Occultare Redditi: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché una fondazione è stata ritenuta utilizzata per occultare redditi? In questi casi, l’Ufficio presume che l’ente sia stato costituito non per reali scopi sociali, culturali o filantropici, ma come strumento per schermare patrimoni o ottenere indebiti vantaggi fiscali. La conseguenza è il recupero delle imposte, con sanzioni e interessi, oltre al rischio di procedimenti penali per frode fiscale. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con un’adeguata difesa è possibile dimostrare la legittimità e l’effettiva operatività della fondazione.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una fondazione
– Se i beni e le risorse dell’ente risultano utilizzati dai fondatori o dai beneficiari a fini personali
– Se i bilanci e le attività non corrispondono alle finalità statutarie dichiarate
– Se le erogazioni liberali sono considerate simulate e usate per mascherare utili
– Se la fondazione appare priva di attività concreta e coerente con lo statuto
– Se l’ente è costituito in Paesi a fiscalità privilegiata e ritenuto privo di sostanza economica

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione delle somme come redditi imponibili in capo ai fondatori o ai beneficiari
– Recupero delle imposte dirette e indirette non versate
– Applicazione di sanzioni per elusione e abuso del diritto
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile apertura di procedimenti penali per dichiarazioni fraudolente o occultamento di redditi

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare con bilanci, relazioni e rendiconti la reale attività istituzionale della fondazione
– Produrre documentazione che provi la destinazione delle risorse a finalità sociali, culturali o filantropiche
– Contestare la presunzione di ente “schermo” se l’ente svolge effettivamente attività coerenti con lo statuto
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di calcolo o difetti procedurali nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della pretesa fiscale

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la struttura e la documentazione della fondazione
– Verificare la legittimità della contestazione secondo normativa fiscale e civilistica
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi dell’accertamento
– Difendere fondatori e beneficiari davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio dell’ente e dei soggetti coinvolti da conseguenze sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della legittimità e della reale operatività della fondazione
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di proteggere il patrimonio dell’ente e dei fondatori da indebite pretese fiscali

⚠️ Attenzione: le contestazioni su fondazioni usate per occultare redditi possono avere conseguenze fiscali e penali molto gravi. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e completa.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e degli enti non profit – spiega come difendersi in caso di contestazioni sull’uso illecito delle fondazioni e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Negli ultimi anni le autorità fiscali italiane hanno intensificato i controlli sulle fondazioni di famiglia e su altri enti patrimoniali utilizzati come schermi per occultare redditi o patrimoni. In molti casi, tali fondazioni – create formalmente per scopi benefici o di utilità sociale – sono state accusate di essere strumenti volti principalmente a proteggere la ricchezza personale dei fondatori, sottraendola al Fisco e ai creditori. Il fenomeno è divenuto talmente rilevante che si registrano numerose contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, sia in sede tributaria sia – nei casi più gravi – in sede penale . Questa guida avanzata esamina la normativa italiana aggiornata ad agosto 2025 in materia, analizzando le pronunce giurisprudenziali più recenti e autorevoli, per fornire a professionisti, imprenditori e privati gli strumenti utili a comprendere come difendersi efficacemente da contestazioni relative a fondazioni usate per occultare redditi. Il taglio è giuridico ma divulgativo: verranno spiegati i concetti chiave in modo chiaro, con riferimenti puntuali a leggi, sentenze e prassi ufficiali. Saranno inoltre proposte tabelle riepilogative, sezioni di domande e risposte sui quesiti frequenti, nonché simulazioni pratiche di casi tipici, il tutto dal punto di vista del debitore (ovvero del contribuente/fondatore sotto accusa). L’obiettivo è delineare un quadro completo delle difese attivabili in ambito tributario, civile e penale di fronte a contestazioni sul presunto uso illecito di fondazioni per scopi di evasione o frode.

Fondazioni di famiglia: utilizzo legittimo vs. uso distorto come “schermo”

Cosa sono le fondazioni di famiglia. In Italia, la fondazione è un’entità dotata di personalità giuridica, costituita da un patrimonio destinato a uno scopo determinato (generalmente uno scopo di pubblica utilità o comunque altruistico). Le cosiddette fondazioni di famiglia sono tipicamente create da uno o più nuclei familiari, conferendovi beni e capitali, con la duplice finalità di gestione patrimoniale e passaggio generazionale della ricchezza . Per legge, una fondazione per essere legittima deve perseguire uno scopo di utilità sociale o pubblica (ad esempio culturale, filantropico, educativo) e non può avere come fine diretto l’arricchimento privato dei fondatori o dei beneficiari . La struttura tipica prevede un consiglio di amministrazione o organo gestionale indipendente, che amministra il patrimonio secondo le volontà del fondatore espresse nell’atto costitutivo e nello statuto, sotto la vigilanza dell’autorità pubblica (Prefettura o altra autorità competente per il riconoscimento giuridico).

Protezione patrimoniale e rischi di abuso. Le fondazioni di famiglia, se costituite e gestite correttamente, possono perseguire scopi meritevoli e al contempo offrire un certo grado di protezione del patrimonio familiare dai rischi commerciali o dalle pretese di terzi . Ciò avviene perché, dopo la dotazione iniziale, i beni conferiti diventano proprietà della fondazione (soggetto distinto dal fondatore) e risultano separati dal patrimonio personale dei fondatori e dei beneficiari. In tal modo, ad esempio, si possono erogare rendite periodiche ai discendenti tramite il patrimonio segregato, garantendo continuità nel sostegno economico familiare . Tuttavia, proprio questa funzione di “schermo” patrimoniale rende possibile un uso distorto della fondazione: in alcuni casi, infatti, la fondazione viene utilizzata fittiziamente al solo scopo di mascherare gli effettivi titolari di redditi o beni, eludendo il fisco o sottraendo garanzie ai creditori . Quando i beneficiari (o gli stessi fondatori) della fondazione esercitano un’ingerenza tale da mantenere in realtà il controllo sostanziale sul patrimonio, la fondazione perde la sua autonomia e si riduce a un mero schermo fittizio agli occhi del Fisco . In questa situazione patologica, nonostante l’apparenza formale, i beni e i redditi “segregati” nella fondazione continuano di fatto a essere nella disponibilità del fondatore o dei beneficiari, configurando un possibile occultamento reddituale o patrimoniale.

Differenze con trust e altri istituti analoghi. Spesso, discutendo di strumenti utilizzati per finalità elusive, si fa riferimento ai trust. In effetti, una fondazione di famiglia presenta alcune analogie col trust (vincolo di destinazione di beni, separazione patrimoniale, scopo determinato), tanto che l’Agenzia delle Entrate ritiene che, se ne ricorrono le caratteristiche, una fondazione possa essere fiscalmente assimilata a un trust ai fini delle imposte dirette . A differenza del trust (introdotto nell’ordinamento interno tramite la Convenzione dell’Aja del 1989), la fondazione è un istituto previsto dal codice civile italiano e richiede uno scopo ideale. Ciò nondimeno, i meccanismi di interposizione fittizia possono riguardare entrambi: sia trust che fondazioni sono stati talora impiegati per schermare l’effettiva titolarità di redditi, con il fondatore/disponente che in realtà non si spossessa dei beni conferiti. Le considerazioni che seguono – in termini di normativa anti-elusiva, accertamenti fiscali e possibili reati – valgono quindi, mutatis mutandis, anche per i trust “di famiglia” o altri veicoli affini, ma in questa guida ci si concentra esclusivamente sulle fondazioni italiane e sulle contestazioni che possono insorgere attorno ad esse in ambito tributario, civile e penale.

Normativa italiana di riferimento sulle fondazioni e l’occultamento di redditi

Disciplina civilistica delle fondazioni. Le fondazioni sono disciplinate dagli artt. 14 e seguenti del Codice Civile e relative norme di attuazione. In sintesi: (a) devono perseguire uno scopo lecito e di pubblica utilità (art. 14 c.c.); (b) acquistano personalità giuridica mediante il riconoscimento da parte dell’autorità (generalmente con decreto prefettizio) e l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche (D.P.R. 361/2000); (c) il patrimonio conferito diviene autonomo e destinato esclusivamente al conseguimento dello scopo statutario; (d) gli amministratori della fondazione sono tenuti a usare i beni secondo lo statuto e sono soggetti alla vigilanza dell’autorità governativa (artt. 25 e 26 c.c.); (e) in caso di scopi esauriti o impossibilità a raggiungerli, può disporsi l’estinzione o la trasformazione della fondazione (art. 28 c.c.). Questo impianto normativo, in teoria, rende illegittimo l’uso di una fondazione per fini meramente egoistici o simulatori: atti di gestione che violino lo scopo possono portare a provvedimenti dell’autorità (commissariamento, revoca del riconoscimento) e all’eventuale nullità o annullamento di atti di disposizione in frode alla legge. Dal punto di vista del diritto civile, dunque, un fondatore che continui a usare i beni come propri violerebbe lo scopo dell’ente e le regole di separazione patrimoniale. Tali profili civilistici, però, spesso emergono ex post nelle azioni dei creditori (es. azione revocatoria) più che attraverso un controllo pubblico in tempo reale.

Interposizione fittizia e imposte sui redditi (art. 37, comma 3 DPR 600/1973). La principale norma tributaria che rileva in questi casi è l’art. 37, co. 3 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (Disposizioni sulla procedura di accertamento delle imposte sui redditi). Essa prevede che, al di là delle apparenze formali, l’Amministrazione finanziaria possa imputare i redditi al “possessore effettivo” quando risultino intestati a persona interposta in modo fittizio. In altre parole, se un reddito è formalmente dichiarato da un soggetto (es. una fondazione) ma il Fisco prova che il possesso sostanziale di quella fonte di reddito fa capo in realtà a un altro soggetto, quest’ultimo sarà tassato come ne fosse il titolare . L’art. 37, co. 3 ha di fatto “codificato” in ambito tributario un principio più ampio della tradizionale dicotomia civilistica tra titolarità formale ed effettiva . Mentre nel diritto civile la separazione patrimoniale va rispettata fino a prova di simulazione o abuso, nel diritto tributario ciò che conta è la situazione di fatto, ossia chi ha davvero la disponibilità economica dei beni o dei redditi, anche sulla base di semplici indizi purché gravi, precisi e concordanti . Questa impostazione – confermata a più riprese dalla giurisprudenza – consente al Fisco di “guardare attraverso” la struttura giuridica della fondazione e di tassare direttamente il fondatore o beneficiario effettivo, qualora la fondazione risulti un’entità fittizia priva di autonomia sostanziale. Da notare che l’art. 37, co. 3 si riferisce in generale a interposizioni di persone fisiche o giuridiche e trova applicazione sia per entità residenti sia non residenti (come evidenziato da prassi su fondazioni estere, v. oltre).

Norma anti-elusiva generale (abuso del diritto, art. 10-bis L. 212/2000). Un altro pilastro normativo è l’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000), introdotto dal d.lgs. 128/2015, che ha codificato il principio di divieto di abuso del diritto ed elusione fiscale. Questa norma consente all’Amministrazione di disregardare, ai fini tributari, operazioni prive di sostanza economica che, pur rispettando formalmente le norme, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. L’abuso del diritto si differenzia dall’evasione in quanto il contribuente rispetta la legge nelle forme, ma ne abusa della finalità economica; non comporta sanzioni penali e – se contestato – dà luogo solo al recupero delle imposte e degli interessi, senza sanzioni amministrative se il contribuente ha rispettato l’obbligo di comunicare in dichiarazione l’operazione potenzialmente abusiva. Nel contesto delle fondazioni, una contestazione di abuso potrebbe sorgere, ad esempio, qualora un soggetto conferisca beni in una fondazione (o effettui erogazioni) al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali (es. detrazioni, esenzioni IRES per enti non commerciali, ecc.) senza che vi sia una ragione economica sostanziale diversa dal risparmio d’imposta. Tuttavia, nella pratica, l’uso delle fondazioni per occultare redditi implica spesso violazioni più gravi (mancata dichiarazione di imponibili, simulazione) che trascendono la mera elusione: in tali casi l’ufficio finanziario tende a contestare evasione vera e propria (ricorrendo all’art. 37, co. 3 DPR 600/73 o ad altre norme specifiche) più che l’abuso del diritto. È importante però conoscere l’art. 10-bis, perché il contribuente potrebbe invocarlo in sede difensiva qualora sostenga che l’operazione con la fondazione avesse giustificazioni extrafiscali valide e non fosse un puro schermo: dimostrare un valido motivo economico potrebbe declassare la contestazione a elusione (non sanzionabile penalmente) invece che evasione fraudolenta.

Norme sulle imposte indirette (IVA, Registro, Successioni e Donazioni). Sebbene il cuore delle contestazioni riguardi le imposte dirette sul reddito, non vanno trascurati i profili di fiscalità indiretta. Ad esempio, se la fondazione viene usata per trasferire immobili o partecipazioni sottraendoli a tassazione, potrebbero emergere violazioni in materia di imposta di registro (atti dichiarati a un valore inferiore al reale, simulazioni di donazioni travestite) o di IVA (nel caso di cessioni simulate). Inoltre, il conferimento di beni in una fondazione potrebbe innescare l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni. In passato vi era incertezza sul punto: l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il presupposto d’imposta donativa scatti all’atto della dotazione iniziale da parte del disponente (equiparata a una donazione al fondo autonomo) , mentre la Cassazione in varie pronunce ha sostenuto che l’imposta si applichi solo al momento di eventuali attribuzioni finali ai beneficiari (perché solo allora vi è arricchimento di specifici soggetti) . Una Risposta ad interpello del 2019 su una fondazione estera ha lasciato intendere che l’Agenzia “non esclude” l’imposizione sulle somme attribuite ai beneficiari al momento della devoluzione . Questo aspetto – di nicchia – rileva soprattutto in contesti di passaggio generazionale: se una fondazione è usata per trasferire ricchezza agli eredi evitando l’imposta di successione, l’operazione potrebbe essere riqualificata come imponibile (in base all’evoluzione normativa, ad es. il d.lgs. 139/2024 ha modificato il TUS in materia di trust e probabilmente verrà considerato anche per fondazioni analoghe). In ogni caso, ai fini di questa guida, basti notare che anche le imposte indirette possono entrare in gioco: il debitore/fondatore deve essere consapevole che un uso improprio della fondazione può comportare accertamenti anche per donazioni occulte o finte liberalità (oltre alle sanzioni tributarie specifiche in tali ambiti).

Reati tributari (D.Lgs. 74/2000) e fattispecie penali fallimentari. Sul piano penale, diverse norme possono colpire chi occulta redditi o patrimoni tramite una fondazione. I principali reati tributari da tenere presenti sono: dichiarazione fraudolenta (art. 3 D.Lgs. 74/2000) se si usano artifici o documenti falsi per evadere, dichiarazione infedele (art. 4) o omessa dichiarazione (art. 5) se i redditi non vengono dichiarati affatto o vengono sottratti al fisco oltre soglie rilevanti, nonché il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11) se, al fine di eludere la riscossione coattiva di imposte dovute, si compiono atti simulati o fraudolenti sui propri beni (ad esempio intestandoli a una fondazione dopo aver maturato un debito fiscale). A questi si aggiungono eventuali reati connessi, come il riciclaggio o autoriciclaggio (artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p.) qualora la fondazione sia usata per reintrodurre nel circuito legale proventi illeciti (ipotesi questa ulteriore, che esula dall’ambito fiscale stretto ma può manifestarsi se i redditi occultati provengono da reati). Sul fronte fallimentare, se il fondatore è un imprenditore poi fallito, il trasferimento di beni a una fondazione potrebbe costituire bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 322 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, già art. 216 legge fallimentare), nella forma della distrazione di beni ai danni dei creditori. Inoltre, gli atti di dotazione patrimoniale alla fondazione possono essere soggetti ad azione revocatoria fallimentare (artt. 166 e 167 CCI, già art. 64 l.f. per gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori al fallimento). Più avanti vedremo in dettaglio soglie di punibilità e sanzioni per ciascun reato, nonché gli strumenti di difesa specifici.

Di seguito, nella Tabella 1, si riepilogano le principali possibili contestazioni in materia di fondazioni usate per occultare redditi, con la base normativa e le conseguenze essenziali in caso di accertamento (in sede tributaria o civile). Nella Tabella 2, invece, sono elencati i principali reati che possono configurarsi, con indicazione dei presupposti e delle pene previste.

Tabella 1 – Principali contestazioni tributarie (e civili) su fondazioni “schermo”

Contestazione (profilo)Base normativa di riferimentoConseguenze principali per il contribuente (debitore/fondatore)
Interposizione fittizia di redditi – Fondazione come schermo che occulta il possessore effettivo di redditiArt. 37, comma 3, DPR 600/1973 (imputazione dei redditi al beneficiario effettivo); Cass. civ. sez. trib. n. 9445/2025 (principio “substance over form”) ; Risposta AdE interpello n. 9/2022 (assimilazione fondazione a trust fittizio) .Accertamento fiscale: i redditi formalmente intestati alla fondazione vengono riqualificati come redditi personali del fondatore/beneficiario. L’Agenzia recupera le imposte evase (IRPEF, addizionali) oltre a sanzioni amministrative per dichiarazione infedele/omessa (dal 90% al 180% dell’imposta evasa, salvo aumenti) e interessi. La fondazione può perdere eventuali agevolazioni fiscali da ente non commerciale (tassazione IRES piena sulle sue entrate).
Abuso del diritto/elusione fiscale – Fondazione usata per conseguire indebiti vantaggi fiscali (es. detrazioni, esenzioni) senza sostanza economica realeArt. 10-bis, L. 212/2000 (operazioni prive di sostanza con vantaggi fiscali indebiti). Esempi in Cass. civ. 10305/2024 (società-schermo e abuso) e prassi AdE su enti non profit (es. C.M. 18/2018).Accertamento fiscale: disconoscimento dei benefici fiscali ottenuti (esenzioni, deduzioni) e recupero delle imposte dovute. No sanzioni amministrative se il contribuente ha rispettato obblighi di disclosure (altrimenti sanzione dal 100% al 200% del maggior tributo). No rilievo penale (l’elusione non è reato). L’ente rimane valido in sé, ma l’operazione viene riqualificata ai fini fiscali.
Omessa/infedele dichiarazione di redditi – Fondazione utilizzata per non dichiarare proventi imponibili (es. redditi di investimento, plusvalenze) che restano occultatiArtt. 4 e 5, D.Lgs. 74/2000 (reati tributari); Artt. 1, 2 D.Lgs. 471/1997 (sanzioni amministrative per infedele/omessa dichiarazione).Accertamento fiscale: recupero imposte evase + sanzioni amministrative molto elevate (infedele: 90%-180% dell’imposta non versata; omessa: 120%-240% dell’imposta dovuta). Profilo penale: se l’imposta evasa > soglia (50.000 € per omessa; ~100.000 € per infedele), scatta il procedimento penale con rischio di reclusione (si veda Tabella 2). Possibile sequestro preventivo dei beni nella disponibilità del fondatore fino a concorrenza del profitto del reato (imposte evase).
Sottrazione fraudolenta al pagamento – Conferimento di beni alla fondazione per sottrarli alla riscossione di imposte dovute (atto in frode al Fisco)Art. 11, D.Lgs. 74/2000 (reato tributario di sottrazione fraudolenta); Cass. pen. sez. III n. 7041/2023 (sequestrabilità beni trasferiti) .Procedura di riscossione esattoriale: l’atto dispositivo può essere oggetto di revoca per interposizione fittizia (art. 13, D.P.R. 602/1973) e i beni possono essere pignorati dall’Erario nonostante l’intestazione alla fondazione (specie se l’ente è riconosciuto inesistente fiscalmente). Profilo penale: se l’ammontare di imposte/sanzioni evase supera 50.000 €, il fondatore rischia imputazione per il reato di cui all’art. 11 (vedi Tabella 2 per pene); il bene conferito può essere sequestrato come profitto del reato .
Azione revocatoria civile – Atto di dotazione patrimoniale o trasferimento di beni alla fondazione lesivo delle ragioni dei creditori (non solo Erario)Art. 2901 c.c. (revocatoria ordinaria); Art. 166 CCI (revocatoria fallimentare atti a titolo gratuito entro 2 anni); Cass. civ. sez. III n. 25926/2019 (revocabilità atto istitutivo di trust/fondazione familiare) .Sede civile/fallimentare: dichiarazione giudiziale di inefficacia dell’atto verso il creditore agente. Il bene conferito viene considerato come se fosse ancora nel patrimonio del debitore ai fini dell’esecuzione forzata (pignoramento). La fondazione rimane proprietaria formale, ma il creditore potrà soddisfarsi su quel bene. In ambito fallimentare, la dotazione gratuita nei 2 anni pre-fallimento è revocabile ex lege; se oltre i 2 anni, possibile revocatoria ordinaria (entro 5 anni) provando dolo fraudolento. Conseguenze penali: se il debitore era in stato d’insolvenza, l’atto può integrare bancarotta fraudolenta (vedi oltre).

Tabella 2 – Principali reati tributari e fallimentari rilevanti (soglie e sanzioni)

Reato (fonte normativa)Presupposti di configurabilità (condotta e soglie di punibilità)Sanzioni penali previste (reclusione, altre pene)
Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000)Il contribuente (fondatore o fondazione) indica elementi reddituali inferiori al vero o detrae/deduce indebiti, evadendo > €100.000 di imposta e >10% del reddito dichiarato (o >€2 mln di imponibile non dichiarato).Reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi (max edittale aumentato dal 2015). Reato tributario non punibile penalmente se sotto soglie. Possibile sospensione condizionale se pena contenuta e incensurato. (No sanzioni accessorie se pagamento integrale dei debiti tributari ai sensi art.13).
Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000)Il contribuente omette di presentare la dichiarazione annuale (es. IRPEF o IRES) dovuta, evadendo imposta > €50.000. Esempio: fondatore che non dichiara i redditi prodotti dalla fondazione interposta.Reclusione da 2 a 5 anni. Soglia più bassa, dunque facilmente superabile se grandi patrimoni occultati. Esclusa punibilità se le imposte evase non superano €50.000 per periodo. Anche qui, pagamento del debito tributario prima del giudizio può attenuare la pena (causa speciale di non punibilità per omesso versamento, ma per omessa dichiarazione la causa di non punibilità opera solo se si presenta dichiarazione “tardiva” entro 90 gg).
Dichiarazione fraudolenta con altri artifici (art. 3 D.Lgs. 74/2000)Il contribuente, al fine di evadere, mette in atto artifizi non coperti dall’art.2 (fatture false) idonei a ostacolare l’accertamento e indica elementi falsi in dichiarazione. Potrebbe applicarsi se si utilizzano schemi complessi con la fondazione per creare schermi contabili. Soglia: imposta evasa > €30.000**.Reclusione da 3 a 8 anni. Si configura dolo specifico di evasione. Esempio: il fondatore simula contratti tra sé e la fondazione per ridurre l’utile imponibile. Pena aumentata se reato continuato su più periodi d’imposta. (Riduzione fino a 1/2 e niente pene accessorie se si estingue il debito tributario prima della sentenza definitiva – v. art.13-bis introdotto nel 2019).
Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000)Il debitore fiscale compie atti simulati o fraudolenti sui propri o altrui beni al fine di rendere inefficace la riscossione coattiva di imposte o sanzioni già dovute, per un importo > €50.000 . Tipico: trasferisce beni a una fondazione (atto di disposizione patrimoniale) dopo aver ricevuto un avviso di accertamento o mentre ha debiti col Fisco.Reclusione da 6 mesi a 4 anni (reato di pericolo concreto). La giurisprudenza considera fraudolento qualsiasi atto che crei un’apparenza di depauperamento patrimoniale atta a ostacolare la riscossione . Esempio: donazione simulata di un immobile alla fondazione mantenendone l’uso. In caso di condanna: confisca obbligatoria dei beni sottratti o equivalente.
Bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 322 D.Lgs. 14/2019, già art. 216 l.f.)L’imprenditore dichiarato fallito (liquidazione giudiziale) ha distratto, occultato, dissimulato o dissipato i propri beni, oppure ha eseguito operazioni dolose a danno dei creditori. Il conferimento di asset a una fondazione può costituire “distrazione” se privo di corrispettivo e lesivo per i creditori. Non richiede soglie di importo, ma va provato il dolo di frode.Reclusione da 3 a 10 anni (fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale). Se la fondazione è usata per tenere beni fuori dalla massa attiva fallimentare, l’atto dispositivo sarà elemento probatorio del reato. Possibile sequestro e successiva confisca dei beni trasferiti. (Se chi ha agito è un amministratore di società fallita, la pena è a suo carico; la fondazione in sé non risponde penalmente ma i beni possono essere aggrediti).
(Altri reati eventuali) Riciclaggio/autoriciclaggio (art. 648-bis, 648-ter.1 c.p.)Il fondatore o terzi impiegano nella fondazione capitali di provenienza illecita (es. frutto di evasione fiscale già consumata o di altri reati) per ostacolarne l’identificazione dell’origine.Reclusione da 2 a 8 anni (autoriciclaggio: 2–8 anni, ridotta se fatti di particolare tenuità). Si configura in aggiunta ai reati fiscali, quando la fondazione è strumento di ripulitura di denaro nero. (Reato presupposto ad es. l’evasione fiscale stessa, se già consumata, oppure delitti comuni).

Nota: Le pene indicate sono quelle edittali previste dalla legge; in concreto possono applicarsi attenuanti o cause speciali di non punibilità. Ad esempio, per i reati dichiarativi, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede la causa di non punibilità se il contribuente estingue integralmente il debito tributario (imposta, sanzioni e interessi) prima dell’apertura del dibattimento di primo grado. Nel caso di sottrazione fraudolenta (art. 11), invece, la non punibilità non opera, ma il pagamento può incidere positivamente sulla determinazione della pena. Anche in ambito fallimentare, la collaborazione con gli organi della procedura o il risarcimento possono mitigare il trattamento sanzionatorio.

Contestazioni fiscali: accertamenti dell’Agenzia delle Entrate e onere della prova

Passando dall’impianto normativo alla prassi operativa, esaminiamo come tipicamente il Fisco contesta l’utilizzo di una fondazione per occultare redditi e quali strumenti ha a disposizione, soffermandoci sul tema cruciale della prova. Il punto di partenza è che l’Amministrazione finanziaria, di fronte a un sospetto caso di interposizione, non si ferma all’intestazione formale dei redditi o dei patrimoni, ma cerca di ricostruire la situazione di fatto. Come visto, l’art. 37, co. 3 DPR 600/73 autorizza espressamente questo approccio sostanzialistico: ciò che rileva è chi possiede effettivamente i beni e gode dei redditi. Pertanto, in sede di verifica fiscale (tax audit), gli organi accertatori (Agenzia delle Entrate o Guardia di Finanza) indagano per raccogliere indizi concreti che la fondazione sia un ente fittizio o comunque eterodiretto dal contribuente controllato.

Indicatori di “fittizietà” della fondazione. Vari elementi possono far scattare l’allarme di interposizione fittizia durante un controllo. In via non esaustiva, i principali indicatori sono:

  • Commistione gestionale: il fondatore (o i beneficiari) continuano a gestire direttamente il patrimonio della fondazione, impartendo istruzioni agli amministratori o influenzandone le decisioni, in mancanza di una reale autonomia di questi ultimi. Ad esempio, se i membri del consiglio di amministrazione sono persone di fiducia che agiscono secondo la volontà del fondatore (magari lo stesso fondatore è presidente o direttore della fondazione), la separazione tra sfera personale e sfera dell’ente risulta solo formale .
  • Beneficio economico in capo al fondatore/beneficiari: si verifica se i beni della fondazione vengono utilizzati a vantaggio personale dei fondatori o dei loro familiari. Esempi tipici: immobili intestati alla fondazione ma goduti stabilmente dal fondatore (che vi abita, o li usa senza pagare canone di mercato); disponibilità di conti correnti intestati alla fondazione per spese personali; fondazione che paga spese di lusso o investimenti estranei allo scopo dichiarato ma utili al fondatore (auto, barche, viaggi). Se emerge che il fondatore rimane nella disponibilità di fatto dei beni conferiti, è forte l’evidenza che i redditi relativi siano redditi propri occultati.
  • Mancanza di attività istituzionale reale: la fondazione formalmente ha uno scopo benefico o culturale, ma non svolge effettive attività coerenti con tale scopo (o le svolge in misura del tutto marginale rispetto al patrimonio detenuto). Ad esempio, una fondazione che dichiara finalità filantropiche ma nei fatti non effettua erogazioni liberali significative, limitandosi a detenere investimenti finanziari o immobili di pregio, può destare il sospetto che la finalità ideale sia un paravento.
  • Patrimonio e investimenti: spesso le fondazioni “schermo” hanno patrimoni di grande valore provenienti interamente dai fondatori e impiegati in investimenti redditizi (partecipazioni societarie, titoli esteri, immobili), i cui frutti però non vengono distribuiti per scopi altruistici ma reinvestiti o rimangono a beneficio potenziale dei fondatori. La presenza di asset esteri (conti non dichiarati, trust collegati, immobili all’estero) collegati alla fondazione può complicare il quadro, ma l’obbligo di monitoraggio fiscale (Quadro RW) ricade comunque sulla persona fisica se la fondazione è interposta .
  • Elemento temporale e situazionale: se la costituzione della fondazione o il trasferimento di beni ad essa avviene in prossimità di eventi critici (es. accertamenti fiscali, procedure esecutive, insolvenza imminente), appare evidente lo scopo defraudatorio. Ad esempio, un imprenditore che conferisce tutti i suoi immobili a una fondazione subito dopo aver ricevuto un avviso bonario di pagamento o nel pieno di una verifica fiscale mostra l’intento di sottrarre quei beni a possibili pretese del Fisco, rientrando nell’alveo dell’art. 11 D.Lgs. 74/2000.

Questi elementi, singolarmente o combinati, consentono ai verificatori di costruire una presunzione di interposizione. È importante sottolineare che, secondo la Cassazione, l’Amministrazione può basarsi anche solo su prove indiziarie per attribuire la titolarità effettiva dei redditi e degli obblighi fiscali al fondatore beneficiario . Non occorre cioè trovare un “documento fumante” in cui il fondatore ammette che la fondazione è fasulla; è sufficiente un quadro coerente di indizi gravi, precisi e concordanti. Ad esempio, nella recente sentenza n. 9445/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito che in materia tributaria conta il possesso di fatto del reddito, anche tramite interposta persona, e che tale situazione può essere provata anche tramite presunzioni . In quel caso, un contribuente italiano era stato sanzionato perché non aveva dichiarato consistenti attività finanziarie estere intestate a un trust inglese ritenuto uno schermo; la Cassazione ha convalidato l’operato del Fisco, sottolineando che l’assenza di un reale “spossessamento” dei beni da parte del disponente rende legittimo ignorare la veste giuridica formale (trust o fondazione) e imputare al disponente stesso redditi e obblighi dichiarativi .

Procedimento di accertamento e difesa in fase pre-contenziosa. Quando i verificatori (spesso la Guardia di Finanza) riscontrano i segnali sopra descritti, redigono un Processo Verbale di Constatazione (PVC) dettagliato. Il contribuente avrà modo di presentare osservazioni e richieste (ex art. 12, c.7 L. 212/2000) entro 60 giorni dalla chiusura delle operazioni, prima che l’Agenzia delle Entrate emetta l’avviso di accertamento. È fondamentale utilizzare questa fase per allestire una prima linea di difesa: fornire spiegazioni, documenti e controdeduzioni per contestare la ricostruzione del Fisco. Ad esempio, se il PVC conclude che la fondazione è interposta perché il fondatore ne avrebbe disponibilità dei beni, si potranno allegare evidenze che smentiscono tale disponibilità (es. contratti di locazione veri e registrati per l’uso degli immobili, bilanci della fondazione che mostrano usi conformi allo scopo, verbali del consiglio che attestano decisioni autonome, ecc.). Inoltre, qualora l’Agenzia contesti un abuso del diritto, il contribuente può chiedere il contraddittorio secondo art. 10-bis (il procedimento richiede che sia formulata una specifica comunicazione e che il contribuente replichi). Ignorare questa fase pre-contenziosa sarebbe un errore: talvolta fornire chiarimenti convincenti può indurre l’Ufficio a archiviare in autotutela o a ridimensionare le pretese.

Emersione dei redditi occultati e determinazione del maggior imponibile. Se l’accertamento procede, l’Agenzia quantificherà i redditi che si assumono occultati tramite la fondazione. Il calcolo può avvenire con diversi metodi: (a) sulla base dei flussi finanziari rinvenuti (es. accrediti su conti della fondazione ritenuti redditi del fondatore); (b) mediante accertamento induttivo puro o analitico-induttivo ex artt. 39 DPR 600/73 e 41 DPR 600/73, specie se la fondazione non ha collaborato o non ha tenuto scritture; (c) valorizzando incrementi patrimoniali non giustificati. Una pratica comune, in caso di fondazioni estere o conti occulti, è l’utilizzo della presunzione di redditività delle somme non dichiarate: ad esempio, si può presumere che capitali detenuti all’estero generino un certo rendimento annuo da tassare in capo al beneficiario effettivo. Nel contesto domestico, se la fondazione è considerata fiscalmente inesistente (interposta), in sostanza l’ufficio rifarà le dichiarazioni dei redditi del fondatore come se il patrimonio e i proventi della fondazione fossero sempre appartenuti a lui. Ad esempio, se la fondazione ha venduto un immobile con plusvalenza, l’accertamento imputerà quella plusvalenza al fondatore (valutando l’eventuale esenzione se sarebbe spettata al fondatore, come in un caso esaminato dall’AdE in cui la vendita di un bosco da parte della fondazione non ha generato plusvalenza tassabile poiché, essendo imputata ai beneficiari, rientrava nella detenzione ultracinquennale prevista dall’art. 67 TUIR ).

Onere della prova e inversione a carico del contribuente. In un contenzioso tributario su simili questioni, il tema probatorio è centrale. Formalmente, spetta all’Agenzia delle Entrate fornire elementi (anche presuntivi) che giustifichino la riqualificazione operata: deve cioè provare, almeno in modo logico e coerente, che la fondazione era “schermo” privo di sostanza. Una volta però che il Fisco abbia assolto questo onere minimo (esibendo gli indizi sopra citati, documentando l’ingerenza del fondatore, ecc.), è generalmente il contribuente che deve provare il contrario. La giurisprudenza tributaria ha infatti chiarito che, posta una situazione indiziaria di interposizione, spetta al contribuente dimostrare l’effettiva autonomia della fondazione e la reale destinazione dei beni allo scopo sociale . Ad esempio, Cassazione n. 21614/2016 (richiamata in altre pronunce) afferma che costituisce onere del contribuente provare che i redditi formalmente della fondazione non erano nella sua disponibilità. Questa distribuzione dell’onere deriva anche dal fatto che le prove decisive (ad es. le modalità di gestione interna) sono tipicamente nella sfera del contribuente e dell’ente, non del Fisco.

In concreto, quindi, per vincere la presunzione di interposizione, la difesa dovrà produrre quanti più elementi possibili che attestino che la fondazione: (a) operava in modo indipendente, (b) perseguiva davvero lo scopo sociale, (c) non concedeva benefici occulti al fondatore. Si dovrà magari dimostrare che le somme ricevute dal fondatore erano solo rimborsi spese o salari congrui per attività svolte (se formalmente previste), che gli immobili venivano effettivamente usati per attività istituzionali (es. sede di eventi culturali aperti al pubblico e non residenza privata), che le decisioni del consiglio divergono dagli interessi personali del fondatore in alcuni casi (prova di autonomia decisionale), ecc. In mancanza di tali dimostrazioni, le presunzioni semplici del Fisco reggono se sono gravi, precise e concordanti. Vale la pena notare che la Cassazione ha autorizzato l’uso anche di prove raccolte in ambito penale (ad es. intercettazioni, documenti sequestrati) nel giudizio tributario, e viceversa, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e dell’unitarietà dell’accertamento dei fatti rilevanti.

Possibile esito: fondazione “inesistente” ai fini fiscali. Se l’accertamento viene confermato, l’esito formale spesso è la dichiarazione che la fondazione fungeva da interposta persona e pertanto i suoi redditi (e talora anche il suo patrimonio) sono imputati al fondatore/beneficiario ai fini fiscali. L’Agenzia delle Entrate nella Risposta n. 9/2022 ha proprio chiarito che l’ingerenza dei beneficiari nella gestione di una fondazione di famiglia comporta “l’inesistenza ai fini fiscali italiani” della fondazione stessa . In tale evenienza, tutte le conseguenze tributarie ne discendono: il fondatore deve dichiarare quel che non aveva dichiarato, assolvere agli obblighi di monitoraggio RW per gli asset esteri tramite fondazione (quadro RW e relative sanzioni pregresse), e la fondazione perde qualsiasi fiscalità privilegiata come ente separato. Ad esempio, i redditi formalmente prodotti dalla fondazione vengono tassati in capo ai beneficiari secondo la loro natura (capitali, redditi diversi, ecc.) . Questo può perfino portare a situazioni peculiari: nella Risposta 9/2022 citata, essendo il bene posseduto “di fatto” dai beneficiari da più di 5 anni, la plusvalenza non è risultata imponibile in capo ad essi (paradossalmente, la riqualificazione ha evitato un’imposta che la fondazione avrebbe pagato se fosse stata soggetto IRES commerciale). Non bisogna però pensare che ciò renda vantaggiosa la scoperta: al contrario, il più delle volte l’interposizione comporta maggiore tassazione e sanzioni. Nel caso di fondazioni estere, ad esempio, la loro inesistenza fiscale implica spesso anche il pagamento dell’IVAFE/IVIE sui patrimoni detenuti all’estero (imposte patrimoniali su conti e immobili esteri), perché quegli asset si considerano posseduti direttamente dal residente . In sintesi, l’esito è un pesante ricalcolo del dovuto e un altrettanto pesante fardello sanzionatorio.

Profili penali: reati tributari e strategie difensive nel procedimento penale

Quando dalle verifiche emergono elementi di evasione fiscale rilevante o frode, la questione non si ferma al contenzioso tributario. Come visto, l’utilizzo di una fondazione per occultare redditi può far scattare diverse fattispecie penali. Esaminiamo i principali reati contestati in questi casi, con particolare attenzione alle soglie, alle peculiarità della prova in ambito penale e alle possibili strategie di difesa dell’imputato (che in questo contesto è tipicamente il fondatore o chi per lui ha gestito la fondazione).

1. Dichiarazione infedele od omessa (artt. 4 e 5 D.Lgs. 74/2000). Se la fondazione-schermo ha portato a sotto-dichiarare o non dichiarare affatto i redditi personali, i reati base ipotizzabili sono quelli di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione da parte del contribuente. Ad esempio, il fondatore che non inserisce in dichiarazione i redditi da capitale generati all’estero dal patrimonio “fittiziamente” intestato alla fondazione incorre (al superamento delle soglie) nel reato di omessa dichiarazione per quell’anno. Questi reati presuppongono l’obbligo dichiarativo e un’evasione sopra soglia, ma non richiedono necessariamente artifici fraudolenti ulteriori. La dichiarazione infedele (art. 4) scatta se l’imposta evasa supera €100.000 e l’occultamento >10% del reddito; l’omessa (art. 5) se semplicemente non si presenta la dichiarazione pur dovendolo fare, ed è punibile oltre €50.000 di imposta evasa. Ora, dal punto di vista difensivo, l’imputazione di uno di questi reati può essere combattuta sotto vari profili:

  • Elemento soggettivo (dolo): l’imputato potrebbe sostenere di non aver agito con dolo di evasione fiscale perché riteneva in buona fede che i redditi fossero propriamente della fondazione (ente separato) e dunque non li ha dichiarati non per frodare ma per un (erroneo) convincimento giuridico. In generale l’ignoranza della legge fiscale non scusa, ma in casi complessi come trust/fondazioni vi è talvolta margine per allegare l’assenza di intenzione fraudolenta, soprattutto se il comportamento è stato trasparente (es. la fondazione stessa ha dichiarato qualcosa, o si è chiesto un parere). La giurisprudenza però è tendenzialmente severa: se emerge che la fondazione era usata come schermo, si ritiene normalmente che il fondatore fosse consapevole dello scopo evasivo. Tuttavia, la difesa può cercare di dimostrare che l’imputato faceva affidamento su consulenze professionali che attestavano la liceità dello schema (ciò potrebbe al più configurare una colpa, ma non dolo).
  • Prova dell’occultamento: nel penale vige la regola della prova “oltre ogni ragionevole dubbio”. Mentre in campo tributario bastano presunzioni qualificate, nel penale il giudice deve essere convinto della colpevolezza in base a prove più robuste. La difesa può quindi attaccare le evidenze raccolte: ad esempio, dimostrare che non vi è una prova univoca che i redditi appartenevano al fondatore (se, poniamo, la fondazione aveva più beneficiari e non è certo quali somme siano andate a chi). Oppure, mettere in dubbio i calcoli della GdF sull’imposta evasa, tentando di far scendere la cifra sotto le soglie di punibilità (ad esempio contestando la qualificazione di un provento come reddito imponibile, o applicando esimenti). Ridurre l’importo evaso sotto soglia può portare al proscioglimento per particolare tenuità o per mancanza del reato (reato non configurabile).
  • Cause di non punibilità sopravvenute: se l’imputato, una volta scoperto, paga integralmente il dovuto al Fisco, può beneficiare di importanti effetti. Per l’omessa dichiarazione, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede la non punibilità se prima dell’apertura del dibattimento versa imposta, sanzioni e interessi (in pratica sanando il debito tributario). Per la dichiarazione infedele (art. 4) questa causa di non punibilità non si applica espressamente, ma il pagamento integrale è circostanza attenuante che può ridurre la pena fino alla metà (art.13-bis). In una strategia difensiva, dunque, può convenire correre ai ripari: versare il dovuto per chiudere il contenzioso fiscale e presentarsi al giudice penale avendo risarcito il danno erariale. Questo non cancella il reato di dichiarazione infedele, ma aiuterà a ottenere eventualmente la sospensione condizionale della pena, evitando pene detentive effettive.

2. Dichiarazione fraudolenta (art. 3 D.Lgs. 74/2000). In alcuni casi l’uso della fondazione potrebbe configurare il più grave reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Ciò richiede che l’imputato abbia messo in atto una condotta ingannevole o simulata idonea a ostacolare l’accertamento e a far risultare un reddito inferiore nel proprio modello dichiarativo. Un esempio: l’amministratore di una società fa risultare pagamenti esagerati a favore di una fondazione (collegata a sé stesso) come spese deducibili, così riducendo fittiziamente l’utile imponibile – l’artificio consisterebbe nell’aver usato la fondazione per creare costi fittizi o trasferire utili. Oppure un contribuente inserisce in dichiarazione contratti di comodato o spese verso la fondazione per giustificare l’assenza di redditi (artifici contabili). Per questo reato la soglia di punibilità è modesta (€30.000 di imposta) e le pene più alte. La difesa verte in parte sugli stessi punti del dolo, ma qui occorre combattere anche sulla sussistenza degli artifici: la difesa può negare che vi siano stati atti simulati (sostenendo magari che tutto era reale e noto al Fisco, nessun ostacolo doloso). Spesso l’accusa in questi casi si basa su elementi documentali (scritture doppie, false rappresentazioni); la fondazione di per sé non è un “artificio” se costituita legittimamente, quindi l’accusa deve provare quali atti specifici furono fraudolenti (es. stipula di contratti finti). La strategia può essere smontare la ricostruzione: dimostrare ad esempio che i contratti tra contribuente e fondazione erano reali e a condizioni di mercato (quindi non fraudolenti).

Inoltre, anche qui il pagamento integrale del dovuto prima della sentenza può non eliminare il reato (non c’è non punibilità per dichiarazione fraudolenta), ma evita le pene accessorie e riduce la principale fino alla metà (art.13-bis). Il che può essere decisivo per rientrare in una pena sospendibile o patteggiabile.

3. Sottrazione fraudolenta al pagamento (art. 11 D.Lgs. 74/2000). Questa fattispecie è frequentemente contestata quando il trasferimento di beni alla fondazione è avvenuto in un momento in cui il fondatore aveva già debiti tributari in riscossione (cartelle esattoriali, avvisi di accertamento definitivi) oppure era in procinto di averne (es. dopo la notifica di un processo verbale o di un invito al pagamento). Come spiegato, l’essenza del reato è l’aver compiuto un atto dispositivo fraudolento sui propri beni per rendere inefficace l’azione di recupero coattivo del Fisco . L’intento criminoso specifico (“fine di sottrarsi al pagamento”) distingue questa condotta da un lecito trasferimento. Sul piano probatorio, di solito l’accusa può contare sull’evidenza temporale (atto dopo l’insorgere del debito) e su elementi di simulazione (es. il fondatore resta di fatto nel possesso del bene trasferito, indice di inganno) . La Cassazione ha sottolineato che qualsiasi atto che crei una situazione di apparenza atta a far sembrare impoverito il debitore costituisce atto fraudolento, anche se formalmente lecito .

La difesa in questi casi può cercare alcune strade:

  • Dimostrare che all’epoca del trasferimento non c’era un debito tributario esigibile né imminente. Se l’atto è anteriore a qualsiasi pendenza fiscale nota (ad es. la fondazione fu costituita quando il soggetto era in bonis e non c’erano avvisi), l’elemento soggettivo del reato vacilla – l’accusa deve provare che comunque l’intento era di frodare futuri crediti erariali, il che è più arduo se non vi era alcuna concreta pretesa in vista.
  • Sostenere che l’operazione non ha reso inefficace la riscossione perché il debitore aveva altri beni capienti o perché la fondazione ha pagato essa stessa i debiti. Ad esempio, se il debito era di 50.000 € e il soggetto pur avendo trasferito un immobile ne aveva un altro di valore maggiore su cui il Fisco poteva rivalersi, manca il concreto pericolo per la garanzia patrimoniale. È un’argomentazione delicata: il reato si configura anche per riduzione parziale della garanzia, ma se si prova che la garanzia residua era abbondante, la difesa può invocare il principio di offensività (assenza di pericolo concreto) .
  • Evidenziare che l’atto non è fraudolento: magari era una vendita vera a valore di mercato alla fondazione (se la fondazione ha pagato prezzo reale attingendo a terzi, non è simulazione). In tal caso, più che art.11 potrebbe configurarsi reato di sottrazione solo se si dimostra che fu un mezzo artificioso (ad es. prezzo solo formalmente pagato ma poi restituito sotto banco, ecc.). Se la difesa riesce a far emergere la regolarità sostanziale dell’atto (reale uscita di beni dal patrimonio senza retropensieri fraudolenti), potrebbe ottenere un proscioglimento.

Va considerato che i procedimenti per art.11 spesso si intrecciano con misure cautelari reali: è prassi che la Procura chieda il sequestro preventivo dei beni trasferiti come profitto o prezzo del reato . La difesa può quindi agire anche sul fronte del Riesame, contestando il fumus commissi delicti. Ad esempio, in un caso del 2025 la Cassazione (sent. n. 20649/2025) ha confermato il dissequestro perché i giudici avevano ritenuto che la sanzione amministrativa per omessa compilazione RW non configurasse un debito d’imposta tale da integrare il presupposto di art.11 . In quel caso, i beni erano stati trasferiti dopo un avviso di irrogazione di sanzione per monitoraggio fiscale: la Cassazione ha escluso il reato in assenza di un vero tributo evaso, aderendo all’orientamento che richiede una obbligazione tributaria principale come base dell’art.11 . Questo insegna che, se la posizione debitoria verso il fisco non è chiara (es. solo sanzioni da violazioni formali, o debiti contestati non definitivi), c’è spazio per eccepire la mancanza del presupposto del reato.

4. Bancarotta fraudolenta (distrattiva). Se l’imprenditore collegato alla fondazione finisce in procedura concorsuale, gli atti di trasferimento a favore della fondazione quasi certamente saranno analizzati dal curatore e dalla magistratura fallimentare. L’ipotesi è che si configuri una distrazione di beni dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito, punita come bancarotta fraudolenta patrimoniale. È una fattispecie grave (fino a 10 anni di reclusione) e indipendente dalle soglie del penale tributario: qui si tutela la massa dei creditori in genere. Per condannare, occorre dimostrare che il bene è uscito dall’attivo fallimentare con dolo di frode e senza adeguata contropartita. Tipicamente, il conferimento gratuito di beni in una fondazione “di famiglia” soddisfa tali condizioni: è un atto a titolo gratuito e diminuisce le garanzie per i creditori. La difesa, per contro, potrebbe cercare di dimostrare: (a) che l’atto risale a molti anni prima del fallimento e all’epoca non c’era consapevolezza di insolvenza (assenza di dolo specifico, solo un atto di pianificazione patrimoniale lecita); (b) che comunque i beni conferiti erano marginali rispetto al patrimonio lasciato ai creditori (tentando di escludere l’intento di recare pregiudizio); (c) eventualmente che la fondazione ha dato un corrispettivo (se si trattasse di un’operazione onerosa, anche se tra soggetti collegati, la bancarotta distrattiva potrebbe non sussistere, mutando in bancarotta preferenziale se il corrispettivo è destinato a favorire qualcuno). Spesso però tali difese reggono poco, specie se la crisi era prevedibile. Piuttosto, in sede penale fallimentare la difesa può puntare su vizi procedurali (tempestività della dichiarazione di fallimento, ecc.) o su accordi con la Procura (patteggiamento, messa alla prova se possibile per ruoli minori) più che negare la condotta, se la prova documentale c’è (atto notarile di conferimento).

5. Responsabilità di consulenti e terzi. Un breve cenno va fatto alla possibile posizione di professionisti o terzi che aiutino nell’operazione. La Cassazione ha affermato che il consulente fiscale che partecipa attivamente a uno schema fraudolento (es. architettando la fondazione schermo) può rispondere di concorso nel reato tributario e subire le sanzioni amministrative in solido . Questo naturalmente riguarda il consulente, ma è utile saperlo per il fondatore: potrebbe chiamare in causa il consulente quanto meno come teste a discarico (per avvalorare che lui seguiva consigli professionali, tentando di scaricare il dolo). Si tenga conto però che la giurisprudenza è tendenzialmente propensa a ritenere responsabili entrambi: l’ideatore e l’esecutore del disegno evasivo.

Condotte riparatorie e patteggiamento. Dal punto di vista pratico, se il procedimento penale è avviato, il debitore/imputato ha alcuni incentivi a risarcire e collaborare. Abbiamo menzionato la rilevanza del pagamento integrale dei tributi dovuti (che in alcuni casi estingue il reato, in altri riduce le pene). Un altro istituto utile è il patteggiamento (applicazione pena ex art.444 c.p.p.): per reati tributari è spesso ammesso, previa estinzione del debito tributario (che il giudice di norma pretende come condizione). Patteggiando si può ottenere una pena ridotta (fino a 1/3) e, se contenuta entro 2 anni (o 2 anni e mezzo con la riduzione), la sospensione condizionale senza menzione. Ciò consente di chiudere la vicenda penale senza entrare in carcere e con tempi rapidi. Certo, patteggiare implica rinunciare a far valere eventuali ragioni di totale innocenza; ma in situazioni complesse con rischi elevati può essere una scelta razionale.

Azioni dei creditori e rimedi civilistici: revocatoria, esecuzione sui beni della fondazione

Dal punto di vista del debitore che ha costituito una fondazione, non sono solo il Fisco o il giudice penale a costituire fonti di rischio. Anche i creditori privati (banche, fornitori, ex soci ecc.) potrebbero cercare di attaccare i beni conferiti nella fondazione, se ritengono che ciò sia stato fatto in pregiudizio delle loro ragioni. La domanda chiave per un debitore è: i beni intestati a una fondazione di famiglia sono davvero al sicuro dalle pretese dei miei creditori personali? La risposta, alla luce del diritto italiano, è no, non in maniera assoluta. Ci sono strumenti giuridici che consentono ai creditori di aggredire indirettamente quei beni, almeno nelle circostanze in cui il conferimento costituisca un atto lesivo dei loro diritti. Il principale di tali strumenti è l’azione revocatoria.

Azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.). Questa azione civile permette al creditore di far dichiarare inefficace nei suoi confronti un atto di disposizione del debitore che arrechi pregiudizio alle sue ragioni, se ricorrono determinate condizioni. Nel caso di beni conferiti o donati a una fondazione, l’atto è tipicamente a titolo gratuito; quindi, per la revoca basta dimostrare: (a) che esisteva un credito anteriore all’atto (o eventualmente anche successivo, se l’atto era dolosamente preordinato a pregiudicarlo); (b) che dall’atto è derivato un eventus damni (ossia il debitore è divenuto meno solvibile, arrecando danno al creditore); (c) la scientia fraudis del debitore (la consapevolezza di recare pregiudizio). Per gli atti a titolo gratuito la legge presume il dolo del debitore, e non occorre coinvolgere la fondazione (terzo) in malafede. Pertanto, per un creditore è relativamente agevole ottenere la revoca di un conferimento a una fondazione familiare se il suo credito era già sorta all’epoca (anche da fatto illecito, da mutuo, da credito futuro ma prevedibile). Le difese a disposizione del debitore convenuto in revocatoria sono principalmente: (i) negare l’eventus damni, sostenendo magari che l’atto non ha peggiorato la sua situazione perché aveva altri beni sufficienti; (ii) negare la scientia fraudis, ad esempio affermando che all’epoca non era a conoscenza del debito (ma se il credito era anteriore, la conoscenza si presume per atti gratuiti); (iii) eccepire la tardività dell’azione se sono trascorsi oltre 5 anni dall’atto dispositivo (2903 c.c. prevede decadenza quinquennale). Dalla prospettiva del debitore, quindi, una protezione è costituita dallo scorrere del tempo: se l’atto di dotazione risale a più di 5 anni prima, i creditori ordinari non potranno più revocarlo. Occorre però essere cauti: la fondazione potrebbe compiere atti successivi (es. vendere il bene a un terzo) e quel nuovo atto potrebbe anch’esso essere revocabile se il terzo conosceva il pregiudizio.

Una volta ottenuta la revocatoria, ricordiamo, il creditore può procedere in via esecutiva sul bene come se fosse ancora del debitore. Ciò significa, ad esempio, che un immobile conferito potrà essere pignorato ed espropriato, nonostante la titolarità formalmente in capo alla fondazione (l’inefficacia riguarda il creditore istante, non toglie la proprietà alla fondazione, ma di fatto consente di saltare la separazione patrimoniale nei confronti di quel creditore). Il debitore e la fondazione possono opporsi all’esecuzione solo per vizi formali o sopravvenuto adempimento del debito, ma non più invocando la separazione patrimoniale, una volta che l’atto è dichiarato inefficace verso quel creditore.

Azione revocatoria fallimentare. Se il debitore (imprenditore) viene dichiarato fallito o liquidato, entra in gioco la revocatoria speciale prevista dalla legge fallimentare (oggi Codice della Crisi). L’art. 166 CCI rende revocabili di diritto (automaticamente, su istanza del curatore) gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori al fallimento. Dunque, se il fondatore fallisce entro 2 anni dal conferimento dei beni alla fondazione, l’atto verrà annullato in sede concorsuale senza neppure dover provare la frode (è una presunzione assoluta di danno). Ciò comporta che il patrimonio conferito ritorna idealmente nella massa fallimentare per essere liquidato a favore di tutti i creditori. Se invece il conferimento risale a più di 2 anni prima, il curatore potrà comunque valutare un’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 (che potrà esercitare lui per conto di tutti i creditori concorsuali), con termini e prove analoghe a quelle descritte, salvo che essendo atto anteriore al fallimento potrebbero esserci profili di inopponibilità (nel caso di atti molto risalenti, forse no).

Intestazione fiduciaria vs fondazione – azione simulazione. Un cenno: a volte i creditori tentano non solo la revocatoria, ma di far dichiarare che la fondazione è un soggetto fittizio e che in realtà i beni appartengono al debitore (azione di simulazione o accertamento di negozio indiretto). Tuttavia, nel caso di fondazione legalmente istituita, è difficile sostenere una simulazione assoluta dell’ente (ha personalità giuridica). Più facile è, come detto, revocare il conferimento o sostenere in sede esecutiva che i beni sono comunque aggredibili perché la fondazione è interposta. Invero, la stessa Cassazione in sede civile ha talvolta riconosciuto che trust e fondazioni familiari possono costituire strumenti di frode ai creditori e vanno disattivati caso per caso, anche con provvedimenti d’urgenza se necessario (ad es. se l’intestazione appare meramente fittizia, il giudice può autorizzare il sequestro conservativo dei beni nella fondazione, come misura cautelare ante causam, considerando probabile l’interposizione).

Difese del debitore in ambito civile. Dal lato del fondatore-debitore (o degli amministratori della fondazione implicati), le difese nelle cause civili consisteranno nel rivendicare la genuinità dell’operazione di costituzione della fondazione: provare che non vi era intento di nuocere ai creditori e magari che la fondazione perseguiva un fine lecito. Si potrebbe far valere, ad esempio, che al momento dell’atto il patrimonio residuo del debitore era sufficiente a coprire i debiti, quindi difettano i presupposti del danno; oppure – se il creditore era futuro – che non vi era consilium fraudis (il debitore non prevedeva l’insorgenza del debito, né ha agito per quello scopo). Nel caso di creditori erariali (Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione), in sede di esecuzione, la difesa tecnica può consistere nell’impugnare gli atti esecutivi sostenendo magari che i beni essendo della fondazione richiedevano un separato titolo esecutivo contro l’ente (questioni procedurali non sempre accoglibili, perché con la revocatoria il titolo contro il debitore basta). Spesso, comunque, una volta arrivati a questo punto, le chances di salvare i beni sono scarse: la miglior difesa era prevenire la situazione, come vedremo nelle strategie preventive.

Strategie di difesa e tutela del contribuente (debitore) nelle varie sedi

Dopo aver analizzato i rischi e le norme applicabili, focalizziamoci ora sulle strategie difensive che un soggetto accusato di aver occultato redditi tramite una fondazione può mettere in atto. Occorre distinguere i diversi piani: difesa nel procedimento tributario (in sede di accertamento e contenzioso davanti alle Commissioni Tributarie), difesa nel procedimento penale, e tutela dei beni in sede civile/esecutiva. Spesso queste difese vanno condotte parallelamente e in modo coordinato, perché un passo falso in un ambito può riverberarsi sugli altri (ad es. un’ammissione fatta in sede tributaria potrebbe nuocere nel penale). Dal punto di vista del debitore, è fondamentale costruire una linea coerente che miri a legittimare la fondazione o quantomeno a ridurre al minimo le conseguenze negative.

Difendersi nell’accertamento tributario e nel contenzioso fiscale

  1. Dimostrare la reale autonomia e operatività della fondazione. Come sottolineato, la chiave di volta è contestare l’asserzione che la fondazione sia un mero schermo. La difesa deve portare prove concrete che la fondazione era genuina: ad esempio, presentare lo statuto e gli atti di gestione che evidenzino attività coerenti con lo scopo sociale (bilanci che mostrano erogazioni liberali significative, progetti benefici realizzati, ecc.); verbali del consiglio che attestano decisioni non allineate agli interessi personali del fondatore (magari rifiuti di richieste del fondatore se ve ne sono, o scelte d’investimento prudenti anziché operazioni speculative che un privato avrebbe fatto); documentazione su eventi o iniziative pubbliche organizzate dalla fondazione. Più la fondazione appare attiva e reale, meno convincente sarà la tesi dell’interposizione fittizia.
  2. Provare l’assenza di benefici personali occulti. È importante smontare ogni indizio di commistione patrimoniale. Se il Fisco sostiene che il fondatore usava un immobile della fondazione, si potrebbe fornire un regolare contratto di locazione registrato, con canoni di mercato versati dal fondatore alla fondazione (dimostrando che l’uso non era gratuito né occulto). Oppure, se contestano che il fondatore disponeva del conto corrente della fondazione, mostrare che tutti i prelevamenti dal conto sono stati usati per pagare spese legate a progetti sociali o investimenti dell’ente (nessun bonifico a favore del fondatore o familiari). In pratica, tracciare i flussi finanziari per evidenziare che nulla è stato retrocesso al fondatore se non eventualmente compensi dichiarati (ad es. se il fondatore era dipendente o consulente retribuito dalla fondazione, compenso che deve essere congruo e tassato). Se si riesce a dimostrare che ogni euro del patrimonio della fondazione è stato gestito nell’interesse dello scopo e non del fondatore, l’accertamento perderebbe forza.
  3. Sfruttare le carenze procedurali dell’accertamento. Come in ogni contenzioso tributario, verificare se l’Agenzia ha rispettato le garanzie procedimentali: ha atteso i 60 giorni dopo il PVC prima di emettere l’avviso (nullità in caso contrario, salvo urgenza motivata)? L’avviso di accertamento è motivato adeguatamente, esplicitando gli elementi che fondano la pretesa di interposizione? Spesso gli avvisi di accertamento devono dettagliare le prove e i calcoli: se non lo fanno, si può eccepire difetto di motivazione. Inoltre, se l’ufficio contesta abuso del diritto, ha seguito il procedimento di cui all’art. 10-bis (comunicazione preventiva e risposta del contribuente)? In mancanza, la contestazione di elusione potrebbe essere annullabile. Ogni vizio formale/procedurale può portare all’annullamento dell’atto, indipendentemente dal merito.
  4. Contestare la quantificazione delle imposte evase. La difesa tecnica deve anche concentrarsi sul quantum: se l’Agenzia ricalcola a tassazione redditi per importi elevatissimi, è opportuno verificare se tutti sono effettivamente imponibili. Esempio: la fondazione ha venduto un immobile detenuto da oltre 5 anni – per legge, la plusvalenza non sarebbe imponibile per una persona fisica (era esente anche per la fondazione se ente non commerciale). Dunque, anche ammettendo l’interposizione, alcune componenti potrebbero non generare debito d’imposta. Oppure, se la fondazione aveva già pagato delle imposte (poniamo IRES su redditi di impresa), in caso di imputazione al fondatore come IRPEF, bisognerà evitare una doppia tassazione: la difesa dovrà chiedere lo scomputo di quanto eventualmente assolto dall’ente. Ancora, se il Fisco presume redditi non distribuiti su base forfetaria (ad es. interesse presunto su capitali), si può cercare di dimostrare che il rendimento effettivo era minore o nullo (magari i soldi giacevano infruttiferi, dunque tassare un interesse fittizio sarebbe infondato). Ogni euro di riduzione del maggior imponibile comporta minori sanzioni e, talora, può fare la differenza anche penalmente.
  5. Ricorrere agli strumenti deflattivi se opportuno. Valutare sempre la possibilità di un accordo con l’Amministrazione: accertamento con adesione, mediazione (se importi sotto soglia), o transazione fiscale se coinvolto il fisco in procedure concorsuali. Nell’adesione, il contribuente può negoziare una riduzione delle sanzioni (a 1/3) e magari discutere su alcuni importi. Questa strada è da intraprendere se la difesa di merito è debole e il rischio di perdere in giudizio alto. Dal punto di vista del debitore, definire l’accertamento può essere utile anche per spegnere o attenuare il procedimento penale: un accertamento definito implica riconoscimento del debito e pagamento (totale o rateale). Pur non avendo efficacia diretta in sede penale, il fatto che si stia pagando può essere presentato al PM/GIP per chiedere la remissione del sequestro preventivo e dimostrare atteggiamento collaborativo. Attenzione però: l’adesione comporta rinuncia al ricorso tributario, quindi va ponderata con cura. Se si ritiene di avere buone chance in commissione, meglio proseguire nel contenzioso.
  6. Coordinare la difesa tributaria e penale. Come accennato, quel che si afferma in un campo può avere riflessi nell’altro. In genere, conviene che la linea difensiva sia unitaria: se in tributario si sostiene l’effettiva autonomia della fondazione, non si può in penale ammettere che era un mero trucco (salvo patteggiare, ma questo è un altro discorso). Tuttavia, c’è un’eccezione: se emergono evidenti violazioni amministrative, a volte si può sacrificare la posizione tributaria (pagando e tacitando il fisco) per ottenere vantaggi nel penale (non punibilità o attenuanti). È il classico trade-off: pagare al fisco conviene penalmente, ma preclude proseguire il ricorso tributario. La scelta dipende dalla gravità delle accuse penali: se si rischiano anni di carcere, spesso pagare diventa sensato. Viceversa, se il penale non è scattato (ad esempio perché importi sotto soglia) o è minore, il contribuente può combattere in commissione fino in fondo.

Difesa nel procedimento penale

Sul piano penale, molte strategie sono state già delineate parlando dei singoli reati. Qui le riassumiamo con un approccio sistematico:

  • Negare la sussistenza di reato quando possibile. Se il quadro probatorio è incerto, puntare all’assoluzione perché “il fatto non sussiste” o “non costituisce reato”. Ad esempio, per l’art.11 sottrazione fraudolenta: dimostrare che il fatto è privo del carattere fraudolento (trasferimento non simulato) o che manca un debito tributario certo al momento dei fatti . Per dichiarazione infedele: mostrare che la violazione, seppur magari avvenuta, non ha superato le soglie (magari confutando la quantificazione dell’imposta evasa). Ogni elemento di dubbio fattuale va valorizzato: il penale richiede certezza, non semplici probabilità.
  • Evidenziare l’assenza di dolo specifico di evasione. In particolare per i reati di frode fiscale, può rilevare se l’imputato riuscisse a provare che la finalità dell’operazione non era principalmente evasiva. Ad esempio, potrebbe sostenere che creò la fondazione per sincere ragioni successorie o filantropiche, e che l’evasione fu semmai una conseguenza collaterale non ricercata. Anche se questa linea difficilmente porta all’assoluzione (la giurisprudenza considera come dolo di evasione anche l’accettazione consapevole del vantaggio fiscale), può contribuire a ridimensionare la gravità percepita e orientare verso un trattamento sanzionatorio mite (ad esempio qualificare il fatto tra quelli di minore gravità, ove applicabile).
  • Utilizzare perizie e testimonianze tecniche. Talvolta è utile far svolgere una consulenza tecnica di parte (CTP) contabile per ricostruire oggettivamente i flussi finanziari e patrimoniali: se una perizia indipendente mostra che non c’è stata fuoriuscita di fondi a vantaggio personale, ciò può seminare dubbi sulla tesi accusatoria. Anche chiamare a testimoniare i membri del consiglio di amministrazione della fondazione (se non imputati) per confermare la genuinità della gestione può giovare – benché vada considerata con attenzione la loro credibilità (potrebbero essere visti come compiacenti). Se però qualche ex amministratore o persona informata è disposto a riferire che il fondatore non interferiva e che la fondazione seguiva scopi leciti, ciò è una prova favorevole.
  • Puntare su patteggiamento o rito alternativo. Se le prove sono schiaccianti e l’assoluzione improbabile, dal punto di vista pragmatico conviene orientarsi verso un patteggiamento. Come detto, pagando il dovuto e patteggiando, l’imputato può spuntare pene molto ridotte, magari convertibili in pene alternative. Anche il giudizio abbreviato può essere considerato (riduzione 1/3 della pena in cambio di giudizio allo stato degli atti, utile se si ha già un quadro probatorio non contestabile e si vuole solo ridurre la pena). Va però calibrato: l’abbreviato presuppone di rinunciare a dibattimento e contestare solo sul materiale raccolto dall’accusa; se si ha davvero qualcosa da portare a discarico (nuove prove), meglio dibattimento o patteggiamento condizionato a integrazioni probatorie.
  • Cooperazione post-factum e attenuanti. Anche in mancanza di cause di non punibilità, è importante arrivare a sentenza mostrando di aver posto rimedio: aver risarcito il danno allo Stato (pagato le imposte), aver ad esempio liquidato la fondazione “incriminata” per non dare più l’idea di volerla usare, etc. Ciò può far valere l’attenuante del ravvedimento operoso o riparazione del danno (art.62 n.6 c.p., per alcuni reati tributari si applica analogamente). Inoltre, presentare la propria condotta successiva come di piena collaborazione (ad es. fornire spontaneamente documentazione, evitare ostruzionismi) può influire sulla decisione del giudice nel bilanciamento delle circostanze.

Salvaguardia del patrimonio della fondazione e del debitore

Dal lato del debitore interessato a proteggere il proprio patrimonio, la difesa civile è stata affrontata (contrastare revocatorie, ecc.). In aggiunta, se si teme l’esecuzione forzata, bisogna considerare alcune mosse:

  • Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi: qualora un bene della fondazione venga pignorato su titolo verso il fondatore, la fondazione (o il fondatore stesso per suo nome) può proporre opposizione sostenendo che quel bene non è pignorabile perché appartenente a soggetto estraneo all’obbligazione. Questa è l’opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c., dove la fondazione dovrà provare la propria proprietà e il creditore dovrà esibire magari la sentenza di revoca o altro che giustifichi l’aggressione. Se per esempio il creditore non ha ancora ottenuto la revocatoria e tenta comunque di pignorare, l’opposizione di terzo va vinta facilmente dalla fondazione. Dunque, per un debitore è spesso utile costituire la fondazione con atto di dotazione pubblicizzato (registrato e magari trascritto per immobili) in modo da poter opporre ai terzi la data certa della segregazione, rendendo più agevole difendersi contro esecuzioni non precedute da revocatoria.
  • Transazioni con i creditori: in alcuni casi, specie se la fondazione contiene beni di valore affettivo o strategico, il debitore può valutare di transare col creditore piuttosto che subire l’esproprio. Ad esempio, riconoscere al creditore una somma o una garanzia alternativa in cambio della rinuncia alla revocatoria/pignoramento. Ciò esula dalla giurisdizione, ma è un’opzione pratica: meglio un accordo che perdere tutto all’asta. Una volta raggiunto un accordo e saldato, il creditore non avrà più interesse ad attaccare la fondazione.
  • Aspettare la prescrizione dei crediti: Infine, può sembrare cinico, ma talvolta la protezione patrimoniale funziona se il debitore “tiene duro” finché i creditori (ad esclusione dell’Erario, i cui crediti fiscali hanno prescrizioni più lunghe e regimi speciali) vedono i loro crediti prescriversi o decadere nelle procedure. Tuttavia, questa è più una non-azione che un’azione, e porta con sé rischi notevoli (interessi, spese legali crescenti, eventuali iniziative penali). Non la si raccomanda come strategia attiva, ma è vero che col passare di molti anni la posizione può “raffreddarsi” (ad esempio i creditori bancari possono cedere il credito a società che poi transano a saldo e stralcio).

Giurisprudenza più aggiornata e orientamenti dalle fonti autorevoli

In questa sezione si sintetizzano alcune sentenze recentissime (fino al 2025) e pronunce rilevanti che hanno affrontato temi di fondazioni usate per occultare redditi, con i relativi principi di diritto. Tali riferimenti, tratti da fonti istituzionali e autorevoli, possono essere citati nelle difese per avvalorare la propria tesi.

  • Cassazione Civile, Sez. Tributaria, n. 9445/2025Interposizione fittizia e titolarità effettiva dei redditi. La Suprema Corte ha ribadito che in ambito tributario “ciò che rileva non è la titolarità formale, bensì il possesso di fatto del reddito, anche se per interposta persona”, confermando che l’Agenzia delle Entrate può basarsi su elementi anche indiziari per attribuire la titolarità effettiva . Nel caso concreto, un trust estero fungeva da schermo per partecipazioni societarie di un residente: la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso del contribuente e, in ogni caso, ha enunciato il principio nomofilattico che l’art. 37, co. 3 DPR 600/73 codifica una visione sostanziale della capacità contributiva, in virtù della quale la prova dell’interposizione può essere data anche tramite presunzioni logiche . Questa pronuncia, benché riferita a un trust, è pienamente applicabile alle fondazioni: sancisce l’orientamento rigoroso di “substance over form” oggi imperante.
  • Cassazione Civile, Sez. Trib., ord. n. 21614/2016 e n. 26414/2018Onere della prova nell’interposizione. Queste decisioni, richiamate anche dalla giurisprudenza successiva, affermano che una volta che l’Amministrazione finanziaria fornisce sufficienti indizi di un’interposizione fittizia, spetta al contribuente provare l’effettiva realtà economica dell’operazione e l’assenza di disponibilità in capo a lui dei beni o redditi (cfr. Cass. 26414/2018 e Cass. 26057/2015 menzionate in Cass. 9445/2025) . In altre parole, il fardello probatorio si sposta sul contribuente, il quale deve dimostrare che la fondazione interposta aveva una causa reale e autonoma e che vi è stato un effettivo spossessamento.
  • Cassazione Penale, Sez. III, sent. n. 7041/2023Sottrazione fraudolenta e sequestro del profitto. Ha confermato la possibilità di sequestrare un’azienda (o bene) trasferita dal contribuente come profitto del reato di sottrazione fraudolenta (art. 11). La Corte ha chiarito che il profitto del reato coincide con la “riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio” del debitore e che la condotta fraudolenta può consistere in “ogni atto di disposizione patrimoniale” che crei un’apparenza volta a pregiudicare il recupero . Importante, la sentenza ribadisce che la norma penale vuole evitare che il contribuente rimanga di fatto nel possesso dei beni sottratti all’Erario tramite schermi giuridici . Si tratta di un monito esplicito contro l’uso di intestazioni fittizie (quindi pienamente pertinente alle fondazioni-schermo), e giustifica misure cautelari aggressive (sequestro per equivalente ecc.).
  • Cassazione Penale, Sez. VI, ord. n. 34395/2023Presupposti dell’art. 11 D.Lgs. 74/2000. In una vicenda relativa a omissione del quadro RW e successivi atti sui beni, la Corte ha precisato che presupposto del reato di sottrazione fraudolenta è la preesistenza di un debito tributario (imposte o sanzioni) relativo a imposte sui redditi o IVA. Ha escluso che una mera sanzione da monitoraggio fiscale, non collegata a un’obbligazione tributaria principale, possa costituire tale presupposto . Ciò significa che, sebbene trasferire beni a una fondazione dopo una violazione valutaria sia un comportamento sospetto, senza un’imposta evasa non c’è reato. Questo orientamento può essere invocato qualora l’Agenzia contestasse art.11 in situazioni borderline (ad esempio, se all’epoca dell’atto il debito era solo potenziale o in corso di accertamento non definitivo).
  • Cassazione Civile, Sez. III, sent. n. 25423/2019 e ord. n. 25964/2023Revocatoria di atti istitutivi di trust/fondazioni. Queste pronunce (la prima del 2019, la seconda molto recente del 2023) confermano che l’atto istitutivo di un trust o fondazione di famiglia è soggetto a revocatoria ordinaria qualora abbia natura gratuita e pregiudizievole per i creditori . La Cassazione vi riconosce una causa gratuita nell’allocazione del patrimonio a un fondo separato e afferma che, qualora il disponente resti beneficiario o abbia poteri, l’atto può essere considerato compiuto in frode ai creditori. Ciò fornisce una base giurisprudenziale solida ai creditori (incluso il Fisco agendo in via civile) per colpire fondazioni abusive. Per il debitore, sapere che c’è questo orientamento significa che difendersi in cause civili sarà arduo a meno di circostanze molto specifiche.
  • Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sent. n. 18725/2017Distinzione abuso del diritto ed elusione vs reati tributari. Una pronuncia che, seppur non specifica sulle fondazioni, traccia un principio generale utile: l’abuso del diritto in materia tributaria (oggi art. 10-bis) non dà luogo a reato, in quanto manca l’elemento della violazione di una legge penale, trattandosi di condotta formalmente lecita (le SS.UU. hanno ribadito la separazione concettuale tra elusione – sanzionabile solo amministrativamente – ed evasione, penalmente rilevante). Questo è utile perché talvolta l’accusa tende a “criminalizzare” qualsiasi condotta evasiva; invece va ricordato che se un’operazione con la fondazione fosse inquadrabile come elusiva ma non fraudolenta, non potrà essere sanzionata penalmente. La linea di difesa potrebbe quindi insistere su questo: ricondurre il fatto all’elusione (es. vantaggi fiscali indebiti ma operazione trasparente) per escludere il dolo penalmente rilevante.
  • Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sent. n. 37321/2021Trust/fondazione e autoriciclaggio. In tema di trust usati per ripulire capitali evasi, la Cassazione ha ritenuto configurabile il reato di autoriciclaggio quando il disponente, dopo aver commesso reati tributari, impieghi i proventi in un trust/fondazione per ostacolarne l’identificazione, purché l’operazione non si esaurisca in attività meramente conservative del denaro (in tal caso sarebbe considerata parte del reato fiscale). Questo serve da avvertimento: se, ad esempio, i redditi occultati vengono poi fatti transitare tramite la fondazione in investimenti complessi per far perdere le tracce, si rischia un’ulteriore imputazione per autoriciclaggio. La difesa in tali casi potrebbe essere che l’operazione era finalizzata solo al godimento personale (quindi una continuazione del reato fiscale e non un autoriciclaggio “incrementale”).

In sintesi, la giurisprudenza recente mostra un orientamento molto severo verso l’uso strumentale di fondazioni e trust: viene privilegiata la substance (la realtà economica) rispetto alla form (schermo giuridico), in linea con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost. Il contribuente che voglia difendersi deve essere preparato a questo clima sfavorevole e usare in modo creativo ogni spiraglio offerto dalle pronunce (come quelle in materia di presupposti del reato o di distinzione abuso/evasione). Citare le sentenze pertinenti, come quelle sopra evidenziate, nelle memorie e nei ricorsi aiuta a conferire credibilità tecnica alle argomentazioni.

Simulazione pratica: Esempi di contestazione e difesa (casi ipotetici)

Per rendere più concreta l’analisi, presentiamo due casi pratici simulati, basati su situazioni tipiche, illustrando come potrebbe svolgersi la contestazione e quali difese mettere in campo dal lato del contribuente (debitore). Queste simulazioni riguardano esclusivamente il contesto italiano e assumono un livello di complessità elevato (coerente con uno scenario reale che un avvocato tributarista potrebbe trovarsi ad affrontare).

Caso 1: “Fondazione Alfa” – Imprenditore familiare e trust occulto nazionale.

  • Scenario: Il signor Rossi, imprenditore italiano, anni fa ha costituito la Fondazione Alfa, ente riconosciuto con finalità culturali. Vi ha conferito la storica villa di famiglia e il 60% delle quote della Rossi S.p.A. (azienda di famiglia). La fondazione ha come beneficiari indicati i figli di Rossi. La Rossi S.p.A. negli ultimi anni ha trasferito alla fondazione dividendi per 2 milioni di euro, usufruendo di un regime di esenzione IRES in quanto la fondazione era considerata ente non commerciale. La Guardia di Finanza avvia un controllo fiscale sospettando che la fondazione sia usata per accumulare utili senza tassazione piena e per proteggere la villa dai creditori (Rossi ha anche debiti bancari in sofferenza). Dal controllo emergono fatti: Rossi e famiglia occupano la villa gratuitamente; la fondazione non ha organizzato eventi culturali di rilievo (solo un paio di mostre in 5 anni); i dividendi incassati sono stati in parte reinvestiti in titoli esteri (non dichiarati in RW dal signor Rossi né dalla fondazione, che però avrebbe dovuto come ente non commerciale); Rossi è presidente del consiglio di amministrazione della fondazione e può, da statuto, sostituire i consiglieri a suo piacimento. L’Agenzia delle Entrate emette avviso di accertamento contestando: interposizione fittizia ex art.37 co.3 (imputa a Rossi i 2 milioni di dividendi come redditi di capitale soggetti a IRPEF 26% + addizionali), omessa dichiarazione RW per gli investimenti esteri (sanzione), decadenza qualifica ente non commerciale per la fondazione (tassazione IRES dovuta sui dividendi al 24%, in subordine). Inoltre, girano voci di un possibile fascicolo penale per omessa dichiarazione di redditi (i 2 milioni non dichiarati da Rossi superano soglia) e forse sottrazione fraudolenta (per la villa conferita).
  • Difesa fiscale: L’avvocato di Rossi impugna l’accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria. In primo luogo, sostiene che non vi è interposizione fittizia: la Fondazione Alfa è un soggetto realmente operante, provando che ha ottenuto riconoscimento prefettizio e allegando documenti su quelle mostre culturali (per quanto poche); sottolinea che la fondazione ha personalità giuridica distinta e che i dividendi societari le spettavano legittimamente come azionista (applicando l’esenzione art. 150 TUIR per enti non commerciali). Si depositano verbali del CDA che mostrano come i consiglieri deliberassero investimenti finanziari per incrementare il patrimonio (un fine non illecito di per sé) e non distribuivano nulla ai beneficiari (i figli). Si cerca di dimostrare che Rossi non traeva utilità immediate: l’uso della villa viene giustificato come necessità di sicurezza (villa aperta per visite guidate in alcune occasioni, Rossi vi risiede in quanto custode/mecenate, comunque si propone ora di far stipulare un contratto di comodato oneroso per regolarizzare). Si richiama la Risposta AdE n.9/2022 per dire: quella riguardava una fondazione estera con ingerenza pesante, qui invece, secondo la difesa, la fondazione è italiana e sottoposta a vigilanza, e Rossi non ha esaurito lo scopo (anzi la fondazione ha incrementato patrimonio per future attività culturali). Si sostiene che l’Agenzia non ha provato un disegno evasivo univoco – i dividendi erano esenti ex lege in capo alla fondazione per norma, e non c’è stata violazione formale. In subordine, la difesa afferma che al più si tratterebbe di abuso del diritto: Rossi avrebbe veicolato utili aziendali in un soggetto esente per risparmiare imposte, ma ciò è un’elusione (all’epoca senza comunicazione in dichiarazione, vero, ma concettualmente abuso, non evasione fraudolenta). Quindi chiede di disapplicare l’abuso per mancanza di motivazione specifica nell’avviso (che parlava solo di interposizione), o comunque di non irrogare sanzioni per obiettiva incertezza. Quanto al monitoraggio estero, la difesa ammette che c’è stata omissione del quadro RW, ma fa notare che la fondazione non era tenuta (l’obbligo è delle persone fisiche), e Rossi personalmente ignorava i dettagli di tali investimenti (affidati a gestori terzi). Propone quindi la non punibilità dell’omessa RW sul piano penale (nessun reato presupposto) citando Cass. 20649/2025 , e sul piano amministrativo chiede la sanzione minima con riduzione (visto che in corso di causa produce il rendiconto e paga l’IVAFE dovuta).

Nel giudizio, l’Agenzia insiste che Rossi controllava tutto e porta a testimoniare un dipendente della fondazione che conferma come “il presidente decideva ogni cosa, i consiglieri erano figurativi”. Tuttavia, la difesa riesce a ottenere dal medesimo teste l’ammissione che la villa fu effettivamente usata per due esposizioni aperte al pubblico gratuitamente (documentate da locandine). La CTU contabile nominata dal giudice attesta che formalmente i conti della fondazione sono regolari e non evidenziano prelievi anomali a favore di Rossi. A questo punto, la Commissione Tributaria potrebbe adottare una decisione intermedia: riconoscere che vi è stato abuso del diritto (utilizzo della fondazione per godere di esenzione su dividendi) ma non una interposizione fittizia totale. Dunque conferma il recupero delle maggiori imposte negando l’agevolazione (facendo pagare l’IRES sui dividendi, magari come imposta sostitutiva a carico della fondazione o di Rossi in solido), ma annulla le sanzioni più gravose ipotizzate come infedele dichiarazione, ritenendo la materia incerta. In pratica, Rossi finirebbe per pagare la differenza d’imposta (26% IRPEF su 2 mln = €520k, meno quanto la fondazione già non pagò) con interessi, ma evita la sanzione del 180% e soprattutto riesce a evitare una pronuncia che lo tacci di frode volontaria. Questo esito sarebbe una mezza vittoria: fiscalmente oneroso ma utile per difendersi penalmente.

  • Conseguenze penali: In parallelo, la Procura aveva indagato Rossi per omessa dichiarazione di redditi esteri e forse dichiarazione infedele. Dopo la sentenza tributaria, la difesa di Rossi chiede l’archiviazione sostenendo che non c’è stato dolo di evasione, presentando la sentenza tributaria come prova che al più fu abuso/elusione. Il PM però inizialmente insiste, forte degli elementi raccolti dalla GdF (es. testimonianza che Rossi comandava). A questo punto, Rossi fa una mossa: paga spontaneamente una somma al Fisco pari alle imposte sul 2 mln (beneficiando magari della definizione agevolata se disponibile). Questo pagamento, comunicato alla Procura, apre la porta al patteggiamento. Si negozia una pena di 1 anno e 6 mesi con la condizionale per dichiarazione infedele (in continuazione su due anni d’imposta). Il GIP accoglie, tenuto conto che il danno erariale è riparato. Il reato di sottrazione fraudolenta per la villa non viene contestato poiché i creditori bancari di Rossi, nel frattempo, avevano raggiunto un accordo stragiudiziale (Rossi ha ipotecato un altro immobile per loro).

Caso 2: “Fondazione Beta” – Evasione internazionale e beneficiari occulti.

  • Scenario: La Fondazione Beta è un ente con sede in Veneto, creato dall’ing. Bianchi per finalità di ricerca scientifica. Nonostante la sede italiana, la fondazione detiene conti in Svizzera e beni in Liechtenstein (parte di un lascito familiare). L’ing. Bianchi l’ha dotata di €5 milioni e risulta beneficiario insieme alla moglie di eventuali rendite (è una struttura anomala perché fonde caratteristiche di fondazione e patto successorio). Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate avvia un’indagine (anche su input antiriciclaggio) e scopre che Bianchi non ha mai compilato il quadro RW per quei €5 milioni esteri, e anzi parte di quei fondi rientravano in Italia in nero per finanziare la sua società. Contestano quindi che la fondazione Beta sia interposta e pure esterovestita (avendo attività fuori). Viene notificato un avviso di accertamento per gli anni 2019-2023 imputando a Bianchi i redditi finanziari generati all’estero (circa €200k di interessi non dichiarati) e applicando sanzioni. Inoltre, poiché Bianchi nel 2020 aveva venduto attraverso la fondazione un immobile estero con plusvalenza €800k, ora quell’importo viene considerato tassabile in Italia come reddito diverso del beneficiario. Scatta anche un sequestro preventivo sui conti italiani di Bianchi fino a €300k (imposte evase stimate). Bianchi viene indagato per omessa dichiarazione e sottrazione fraudolenta (la Procura ipotizza che abbia costituito la fondazione in parte per schermare quei beni all’estero e non pagare tasse e future successioni).
  • Difesa: Qui la situazione è più compromessa perché i fatti sono più chiari (nessuna dichiarazione RW né dei redditi esteri). L’avvocato consiglia Bianchi di aderire subito a un ravvedimento per i periodi non prescritti: presentano dichiarazioni integrative per il 2021-2023 indicando i redditi finanziari esteri e pagano spontaneamente le imposte relative, sperando in una riduzione sanzioni. In sede penale, questo può valere come attenuante. Per l’accertamento 2019-2020 (dove ormai ravvedimento non possibile perché già notificato avviso), propongono ricorso contestando la quantificazione di alcuni redditi (tentano di dimostrare che la plusvalenza di €800k in realtà in parte non era plusvalenza perché l’immobile era stato rivalutato con imposte sostitutive in Liechtenstein – cercando di abbassare l’evaso). Ma la difesa sostanziale punta a transare: in Commissione Tributaria chiedono sospensione del giudizio segnalando che è in corso interlocuzione con l’ufficio per definire con adesione anche quell’accertamento. In effetti, l’Agenzia, vedendo il ravvedimento sugli altri anni e il pagamento, è disponibile all’adesione: Bianchi accetta di pagare tutte le imposte evase più una sanzione ridotta al 1/3.

Nel frattempo, il sequestro penale viene ridiscusso: la difesa porta il documento dell’Agenzia che quantifica esattamente in €250k il dovuto, e mostra che Bianchi ha già versato una parte e sta vendendo un immobile per saldare. Chiede quindi al tribunale del riesame di sbloccare i conti per permettere il pagamento integrale residuo. Il Riesame, visto l’avanzato stato di definizione del debito, annulla il sequestro sul presupposto che – una volta pagate le imposte – il profitto del reato sarebbe venuto meno e non ci sarebbe pericolo che Bianchi dilapidi beni (soprattutto perché la fondazione Beta è ora completamente emersa fiscalmente).

In sede penale, la difesa di Bianchi negozia un patteggiamento a 1 anno di reclusione (pena sospesa) per omessa dichiarazione pluriennale, con estinzione delle sanzioni e menzione della condotta riparatoria (pagamento eseguito). La contestazione di sottrazione fraudolenta viene abbandonata dalla Procura, perché in effetti la fondazione Beta era stata costituita anni prima e i beni erano lì da tempo: mancava la prova che nel frattempo Bianchi avesse avuto debiti fiscali esecutivi – più che frode alla riscossione era un caso di evasione internazionale, già sanzionata con omessa dichiarazione e magari con la multa RW. La Procura concorda su ciò, e patteggiano solo sui reati dichiarativi.

La Fondazione Beta, emersa alla luce del sole, prosegue ma con nuove regole: Bianchi rinuncia a essere beneficiario diretto e inserisce che gli utili vadano solo a progetti scientifici (mossa per dare un segnale di ravvedimento e evitare futuri guai, consigliata dal legale).

Osservazioni finali sui casi: Nel Caso 1, grazie a una gestione accorta, il contribuente ha in parte mantenuto la tesi della legittimità della fondazione, subendo tuttavia il recupero fiscale; nel Caso 2, più grave, la scelta è stata di collaborare pienamente e mitigare le conseguenze. In entrambi i casi, la tempestività nel porre rimedio (pagamenti volontari, adesioni) e la costruzione di una narrativa plausibile (fondazione con scopo, scuse plausibili per omissioni) hanno aiutato il debitore ad evitare il peggio – in particolare, nessuno dei due è finito in carcere e i patrimoni familiari in parte sono stati preservati (salvo dover pagare il dovuto al fisco).

Questi esempi mostrano che ogni situazione va affrontata con un mix di tecnica legale e strategia pragmatica, calibrando quando conviene combattere sul merito (negando l’abuso/frode) e quando invece conviene cedere sul piano economico per ridurre sanzioni e rischi penali. L’assistenza di professionisti esperti in diritto tributario e fallimentare è imprescindibile, data la complessità tecnico-giuridica che traspare da simili vicende.

Domande frequenti (FAQ)

Q: Una fondazione di famiglia garantisce che il Fisco non possa tassare i patrimoni conferiti o i redditi prodotti?
A: No. Dal punto di vista fiscale, la fondazione non crea uno scudo impenetrabile. Se la fondazione svolge attività commerciale o produce redditi (es. affitti, plusvalenze), normalmente dovrebbe essere soggetto passivo IRES o far ricadere i redditi sui beneficiari in base alle regole fiscali degli enti non commerciali. Inoltre, se il Fisco ritiene che la fondazione sia usata solo come schermo, può ignorarne la separazione e tassare i redditi in capo al fondatore o ai beneficiari effettivi . In pratica, la fondazione non è una zona franca: gode di eventuali agevolazioni solo se rispetta i requisiti di legge e ha sostanza economica. In caso contrario, l’Amministrazione finanziaria può riqualificare la situazione e recuperare le imposte evase .

Q: È vero che il Fisco può controllare i conti bancari e i movimenti finanziari legati a una fondazione?
A: Sì, vero. La normativa italiana consente ampi poteri di indagine finanziaria all’Amministrazione (Agenzia Entrate e GdF). Essi possono accedere ai conti intestati a fondazioni e altri enti, richiedendo informazioni alle banche (art. 32 DPR 600/73). I movimenti su tali conti, se il contesto è un accertamento su un contribuente collegato, possono essere contestati: ad esempio, per le persone fisiche vige la presunzione che i prelevamenti non giustificati sui conti di un soggetto interposto configurino ricavi in nero del beneficiario effettivo (se imprenditore) . Inoltre, se la fondazione detiene attività finanziarie estere, la mancata compilazione del Quadro RW da parte del beneficiario effettivo è un’infrazione (monitoraggio fiscale) e può emergere incrociando dati esteri (scambio di informazioni). In sintesi, non c’è segreto bancario opponibile: se siete sotto controllo, i movimenti della fondazione saranno esaminati e dovranno essere giustificati.

Q: I beni intestati alla fondazione sono al riparo dai creditori del fondatore?
A: Non necessariamente. Civilisticamente, una volta conferito un bene a una fondazione riconosciuta, quel bene appartiene alla fondazione e i creditori personali del fondatore non possono aggredirlo direttamente. Tuttavia, i creditori hanno strumenti per intervenire: il principale è l’azione revocatoria (art. 2901 c.c.), con cui, dimostrando che il conferimento del bene ha leso le loro ragioni, ottengono che l’atto sia dichiarato inefficace verso di loro . Ciò permette ad esempio al creditore di pignorare l’immobile “come se” fosse ancora del debitore. Nel caso di fallimento del fondatore (imprenditore), il curatore può far revocare i conferimenti gratuiti fatti entro 2 anni prima del fallimento (art. 166 CCI). Inoltre, se la fondazione è ritenuta un mero alter ego del debitore, alcuni giudici hanno autorizzato misure cautelari (sequestri conservativi) sui beni, trattandoli come “patrimonio del debitore occultato”. Dunque, nessuna garanzia assoluta: una fondazione ben prima costituita e con scopo reale offre una certa protezione, ma se l’operazione appare fraudolenta verso i creditori, questi possono riuscire a colpire i beni conferiti (anche anni dopo, entro limiti di tempo).

Q: Quali sanzioni fiscali si rischiano se il Fisco contesta redditi occultati tramite fondazione?
A: Le sanzioni amministrative dipendono dal tipo di violazione: se si tratta di dichiarazione infedele (aver dichiarato meno del dovuto) la sanzione ordinaria va dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta; se omessa dichiarazione, dal 120% al 240% dell’imposta (con minimo €250). Ci sono poi sanzioni specifiche: l’omessa compilazione del Quadro RW (monitoraggio estero) è punita con sanzione dal 3% al 15% degli importi non dichiarati (raddoppiata se paradiso fiscale). Inoltre, la fondazione che perde qualifica di ente non commerciale potrebbe dover pagare sanzioni per omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi proprie. In aggiunta, si pagano interessi moratori su ogni imposta evasa. In caso di definizione agevolata o ravvedimento, queste sanzioni possono essere ridotte (ad esempio 1/3 con adesione, riduzioni variabili con ravvedimento in base alla tempestività). È importante notare che se il comportamento è qualificato come abuso del diritto (elusione) e il contribuente aveva correttamente indicato in dichiarazione l’operazione elusiva, le sanzioni possono non applicarsi. Ma se l’occultamento è stato doloso, le sanzioni saranno applicate in misura piena. Infine, vanno considerate le possibili pene accessorie in caso di esito penale (ad es. l’interdizione dagli uffici direttivi di persone giuridiche, che scatta per alcune condanne).

Q: E sul fronte penale, quali sono le conseguenze possibili?
A: Sul piano penale, si rischiano accuse come: dichiarazione infedele (pena massima 4 anni e 6 mesi), omessa dichiarazione (fino a 5 anni), dichiarazione fraudolenta (fino a 8 anni) o sottrazione fraudolenta al pagamento (fino a 4 anni) a seconda delle condotte specifiche e delle soglie superate. Le pene detentive, in caso di condanna, possono comportare la reclusione in carcere (specie per i reati più gravi con pene oltre 4 anni, dove non è concessa la sospensione condizionale se la condanna supera i 2 anni). Tuttavia, va detto che per incensurati e per fatti dove si è poi ripianato il debito fiscale, spesso la pena viene ridotta o sospesa condizionalmente. Una grave conseguenza penale è il sequestro preventivo/confisca dei beni equivalenti al profitto dell’evasione: ad esempio, potrebbero congelare conti correnti, beni mobili o immobili del valore delle imposte evase . Se la fondazione detiene ancora quei beni, potrebbero sequestrare direttamente i beni presso la fondazione (considerandola interposta). In caso di condanna, scatta la confisca definitiva di tali beni (salvo che il debito fiscale sia stato pagato integralmente nel frattempo, in alcuni casi). Quindi, le conseguenze penali possono portare, oltre alla pena, alla perdita economica diretta dei beni occultati. Da ultimo, non va dimenticato il danno reputazionale: una condanna per reati tributari è pubblica e può incidere sulla possibilità di ricoprire cariche in società o partecipare a gare pubbliche.

Q: Come posso prevenire contestazioni se ho (o intendo creare) una fondazione legittima?
A: Prevenire significa adottare la massima trasparenza e correttezza gestionale. Ecco alcuni consigli: (a) Definire uno scopo reale e attenervisi rigorosamente: la fondazione deve svolgere effettivamente attività benefiche, culturali o comunque di utilità pubblica, documentandole (report annuali, pubblicità delle iniziative). (b) Evitare che il fondatore e i suoi familiari traggano benefici personali diretti: se la fondazione possiede un immobile, far sì che eventuali utilizzi privati siano a condizioni di mercato e deliberati organi (meglio evitarli del tutto, se possibile). (c) Strutturare la governance in modo credibile: nominare consiglieri indipendenti, magari personalità terze di rilievo, ed escludere poteri assoluti del fondatore (ad esempio, evitare clausole che gli consentano di riprendersi beni o destituire membri ad nutum). (d) Tenere una contabilità accurata e depositare bilanci: anche se non obbligatorio per tutte le fondazioni, far revisionare i conti e pubblicare un bilancio può mostrare buona fede. (e) Per le attività con l’estero, rispettare obblighi di monitoraggio (Quadro RW) e, se applicabile, le norme CFC (nel caso improbabile di fondazione controllata estera, andrebbe valutato). (f) Se si fruiscono di esenzioni fiscali (ad es. fondazione ONLUS o ETS con benefici), assicurarsi di rispettare i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge e dalle circolari (percentuali di erogazioni, divieto distribuzione utili, ecc.). (g) Valutare la stipula di un ruling o interpello con l’Agenzia Entrate in caso di operazioni dubbie: ad esempio, se si vuole fare una donazione importante alla fondazione e poi ricevere qualche servizio, meglio chiedere prima il parere ufficiale per evitare contestazioni future. In generale, mantenere un profilo collaborativo con l’Amministrazione (rispondere a eventuali questionari o richieste dati in modo completo) aiuta a ridurre la percezione di opacità. Se la fondazione è genuina, queste misure dovrebbero minimizzare il rischio di contestazioni; se invece l’intento è in parte proteggere patrimoni dall’erario, occorre sapere che ogni anomalia verrà scrutata e potrebbe vanificare gli sforzi: pertanto, la vera prevenzione sta nel non utilizzare l’istituto per finalità elusive, o quantomeno nel limitarne la portata e regolarizzare spontaneamente situazioni pregresse (es. aderendo a disclosure volontarie qualora disponibili). In caso di dubbio sulla situazione attuale, consultare subito un esperto per un check-up fiscale-legale della fondazione, così da correggere rotta prima che intervenga l’Autorità.

Q: In caso di accertamento, è utile coinvolgere la fondazione nel processo (ad es. farla intervenire)?
A: Di norma, l’avviso di accertamento viene emesso verso il contribuente persona fisica (fondatore/beneficiario) individuato come soggetto d’imposta. La fondazione in sé potrebbe non essere destinataria di atti (se considerata interposta, il fisco la ignora come soggetto passivo). Ciò significa che nel contenzioso tributario il contraddittorio è tra Agenzia Entrate e contribuente persona fisica. Tuttavia, nulla vieta che la fondazione – soprattutto se dotata di propria personalità giuridica – possa avere interesse a far emergere la propria autonomia (ad esempio, se teme che l’esito la riguardi per future pretese). In teoria, la fondazione potrebbe chiedere di intervenire volontariamente nel processo tributario per fornire elementi a sostegno del contribuente (intervento “ad adiuvandum”). La sua legittimazione non è pacifica, ma in passato entità giuridiche sono state ammesse a intervenire se dimostravano un interesse diretto. In pratica, spesso il difensore del contribuente utilizza già i documenti della fondazione per difenderlo, quindi l’intervento separato può non aggiungere molto. In sede penale, la fondazione può assumere il ruolo di ente civilmente responsabile (se si ritenesse ad esempio che abbia beneficiato del reato tributario), ma questo è raro in reati come l’evasione fiscale (che sono personali). Più utile può essere che la fondazione, fuori dal processo, prenda decisioni che aiutino il contribuente (es. paghi direttamente le imposte dovute, se ha liquidità, oppure faccia dichiarazioni chiarificatrici agli organi accertatori). In sintesi, coinvolgere formalmente la fondazione nel processo tributario è possibile ma non comune; è invece cruciale coordinare la difesa di fatto, presentando la versione della fondazione attraverso il contribuente, dato che spesso le due figure – fondatore e fondazione – nella realtà coincidono nella volontà.

Q: Se l’Agenzia Entrate mi accusa di abuso del diritto per aver usato una fondazione, rischio anche il penale?
A: L’abuso del diritto (elusione fiscale) di per sé non è reato. La legge (art. 10-bis L.212/2000) lo qualifica come violazione amministrativa, escludendo espressamente rilevanza penale. Quindi, se la contestazione rimane nell’alveo dell’abuso – ad esempio la fondazione è stata usata per ridurre il carico fiscale senza violare obblighi formali – la sanzione sarà solo tributaria (recupero imposte e forse sanzione amministrativa se non c’è stata disclosure). Tuttavia, bisogna fare attenzione: spesso l’Amministrazione potrebbe qualificare inizialmente un fatto come abuso, ma la Procura valutare che invece configura reato di evasione. Oppure emergono elementi (documenti falsi, etc.) che fanno rientrare la condotta nell’ambito del fraudolento. In generale, se davvero si tratta di una pianificazione aggressiva ma trasparente, non vi sarà procedimento penale. Se invece la fondazione ha comportato omissione di redditi, occultamento di attività, false rappresentazioni, allora l’accusa sarà su reati tributari, non su abuso. Quindi, per rispondere: no, l’abuso in sé non comporta reato; ma occorre valutare concretamente come viene impostata la contestazione. Un segnale positivo è se l’Agenzia ha attivato la procedura dell’art.10-bis (con contraddittorio specifico su abuso): ciò indica che essa stessa vede la vicenda come elusiva, non fraudolenta. In tal caso è assai improbabile un intervento penale. Viceversa, se sin dall’inizio parlano di “fondazione interposta fittiziamente” e omessi redditi, è già su binario evasione. In pratica, la qualificazione giuridica incide: se siete nelle sole acque dell’abuso, il penale non si attiva. E se erroneamente si attivasse, verrebbe meno poiché manca il fatto tipico di reato (il giudice penale dovrebbe dichiarare il non luogo a procedere, essendo condotta elusiva e non evasiva).

Q: Ho saputo di nuove norme nella riforma fiscale 2023-2024 riguardo ai trust: impattano anche sulle fondazioni di famiglia?
A: Sì, in parte. Il D.Lgs. 139/2024 (attuativo della delega fiscale 2023) ha introdotto novità sulla tassazione dei trust e degli istituti similari, specie in materia di imposta sulle successioni e indirette. Ad esempio, è stato inserito un nuovo art. 4-bis nel Testo Unico Successioni che prevede la tassazione immediata (anziché differita) di taluni vincoli di destinazione come i trust opachi a favore di beneficiari fiscalmente residenti . Pur non menzionando esplicitamente le fondazioni, la relazione governativa le include tra gli “istituti analoghi” ai trust. In pratica, una fondazione di famiglia estera in paese black list con disponente e beneficiario italiano è trattata come trust ai fini di certe presunzioni di residenza fiscale (art. 73 TUIR) e ora anche ai fini donativi: è probabile che qualora la fondazione sia usata per trasmissione di beni a discendenti, le nuove norme la considerino ai fini dell’imposta sulle donazioni come trasferimento immediato o comunque non più esente fino al passaggio finale. Inoltre, la riforma dell’IRPEF e l’accorpamento delle categorie di reddito potrebbero semplificare la tassazione dei redditi di capitale anche in questi casi (ma attendiamo decreti attuativi finali). In sintesi, il legislatore sta chiudendo le maglie: quello che vale per i trust tende a valere anche per le fondazioni usate in modo equivalente. Dunque le difese classiche (es. “la tassazione donativa scatta solo alla devoluzione finale”) potrebbero perdere forza, allineandosi invece all’orientamento Cassazione recente che tassava al momento dotazione se beneficiari determinati . Per chi ha fondazioni all’estero o schemi complessi, conviene aggiornarsi con un fiscalista per adeguarsi alle nuove disposizioni dal 2025 in poi.

Bibliografia essenziale e fonti normative:

  • Codice Civile, artt. 14–42 (disciplina enti con personalità giuridica); D.P.R. 10/02/2000 n. 361 (riconoscimento giuridico persone giuridiche);
  • D.P.R. 29/09/1973 n. 600, art. 37 comma 3 (interposizione fittizia ai fini delle imposte sui redditi) ; D.P.R. 917/1986 (TUIR), artt. 67 e 73 (redditi diversi, presunzione di residenza enti esteri con requisiti) ; Legge 212/2000, art. 10-bis (divieto abuso del diritto); D.Lgs. 74/2000 (reati tributari), artt. 2–5, 10-bis, 10-ter, 11; Codice della Crisi d’Impresa D.Lgs. 14/2019, artt. 322 (bancarotta fraudolenta) e 166 (atti a titolo gratuito revocabili); Codice Penale, artt. 648-bis e 648-ter.1 (riciclaggio e autoriciclaggio);
  • Circolare AE 27/E del 16/07/2015 (voluntary disclosure e fondazioni Liechtenstein interposte) ; Risposta AE interpello n. 9/2022 (fondazione familiare estera assimilata a trust fittizio: redditi tassati ai beneficiari) ; Risposta AE interpello n. 473/2019 (fondazione estera in VD: interposizione riflessa su eredi) ; Circolare AE 34/E del 20/10/2022 (trust e imposte indirette);
  • Giurisprudenza: Cass. civ. Sez. Trib. n. 9445/2025 , n. 26414/2018 e 26057/2015 (titolare effettivo e prova indiziaria) ; Cass. civ. Sez. III n. 25926/2019 e Cass. ord. n. 25964/2023 (revocatoria trust/fondazione) ; Cass. pen. Sez. III n. 7041/2023 e n. 20649/2025 (sottrazione fraudolenta, presupposti e sequestri); Cass. pen. Sez. VI n. 34395/2023 ; Cass. pen. Sez. V n. 37321/2021 (autoriciclaggio trust); Cass. SS.UU. 18725/2017 (abuso non è reato); Cass. civ. 15453/2019, 19319/2019 (trust e donazioni indirette) .
  • Cassazione civile Sez. III ordinanza n. 25926 del 15 ottobre 2019
  • Sentenza della Corte di Cassazione penale n. 20649 del 4 giugno 2025
  • Cass., n. 21222/2024 – Osservatorio Giustizia Tributaria
  • Sentenza del 29/05/2018 n. 13388 – Corte di Cassazione

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato l’uso di una fondazione come strumento per occultare redditi? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato l’uso di una fondazione come strumento per occultare redditi?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Le fondazioni, enti di natura privata con finalità culturali, filantropiche o sociali, possono essere considerate dal Fisco come strumenti di interposizione fittizia se utilizzate per detenere patrimoni, gestire beni o incassare redditi senza reale autonomia. In questi casi, i redditi della fondazione vengono imputati direttamente al fondatore o ai beneficiari effettivi.

👉 Prima regola: dimostra che la fondazione ha attività concreta, scopi reali e gestione autonoma, distinta dagli interessi personali dei fondatori.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Fondazioni prive di attività effettiva, create solo per gestire patrimoni;
  • Trasferimenti patrimoniali ingiustificati a favore della fondazione;
  • Utilizzo dei beni della fondazione da parte dei fondatori o dei familiari;
  • Gestione controllata interamente dai disponenti, senza organi realmente indipendenti;
  • Mancanza di bilanci e rendiconti trasparenti.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Riqualificazione dei redditi come personali dei fondatori o beneficiari;
  • Recupero delle imposte con sanzioni e interessi;
  • Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele;
  • Responsabilità patrimoniale degli amministratori della fondazione;
  • Possibile apertura di procedimenti penali per evasione fiscale o riciclaggio.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Statuto e atto costitutivo: indicano scopi di utilità sociale reali?
  • Attività concreta della fondazione: sono documentati progetti, iniziative e risultati?
  • Autonomia degli organi: il consiglio di amministrazione opera in modo indipendente?
  • Provenienza dei fondi conferiti: è dimostrabile la loro liceità?
  • Motivazione della contestazione: il Fisco si basa su prove oggettive o su mere presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Statuto e atto costitutivo della fondazione;
  • Bilanci e rendiconti annuali certificati;
  • Contratti, progetti e relazioni sulle attività svolte;
  • Estratti conto bancari e movimenti finanziari;
  • Verbali del consiglio di amministrazione e del collegio dei revisori.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare l’attività reale e l’autonomia gestionale della fondazione;
  • Contestare la presunzione di interposizione fittizia se non supportata da prove;
  • Chiarire la finalità non lucrativa delle operazioni svolte;
  • Eccepire vizi procedurali: motivazione insufficiente, errori di notifica, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela se la fondazione rispettava già i requisiti di legge;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per ridurre o annullare l’accertamento;
  • Difesa penale se la contestazione riguarda ipotesi di frode fiscale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la struttura della fondazione e le contestazioni ricevute;
📌 Verifica la legittimità della riqualificazione fiscale;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta nei giudizi davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione trasparente e inattaccabile delle fondazioni.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità degli enti non profit e fondazioni;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni di occultamento redditi tramite enti;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’uso di fondazioni per occultare redditi non sempre sono corrette: spesso si fondano su presunzioni o su una lettura restrittiva delle norme.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità delle finalità e delle attività della fondazione, evitando la riqualificazione fiscale e riducendo drasticamente sanzioni e interessi.

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