Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché la tua attività di e-commerce, pur avendo sede legale all’estero, è stata considerata fiscalmente operativa in Italia? In questi casi, l’Ufficio presume che l’impresa, anche se formalmente registrata fuori dal Paese, svolga in realtà la propria attività sul territorio italiano con l’obiettivo di ridurre il carico fiscale. La conseguenza è il recupero delle imposte non versate, con applicazione di sanzioni e interessi, e nei casi più gravi l’accusa di esterovestizione. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con una difesa adeguata è possibile dimostrare la reale localizzazione dell’attività.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta un e-commerce con sede estera
– Se la gestione amministrativa o commerciale è svolta da soggetti residenti in Italia
– Se magazzini, logistica o server si trovano sul territorio nazionale
– Se la clientela e i fornitori principali sono concentrati in Italia
– Se i flussi finanziari dell’impresa transitano su conti correnti italiani
– Se la sede estera è considerata solo formale e priva di sostanza economica
Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione della società come fiscalmente residente in Italia
– Recupero delle imposte dirette e IVA non versate
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele e abuso del diritto
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile apertura di procedimenti penali per esterovestizione o frode fiscale
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale operatività estera con contratti, bilanci, sedi fisiche e personale documentato
– Produrre documentazione bancaria e commerciale che provi la gestione fuori dall’Italia
– Contestare la presunzione di esterovestizione se le decisioni strategiche avvengono realmente all’estero
– Evidenziare errori di valutazione, difetti di motivazione o vizi procedurali nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, difendersi anche in sede penale
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la struttura societaria e le prove di gestione estera effettiva
– Verificare la legittimità della contestazione alla luce della normativa nazionale e delle convenzioni internazionali
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere l’imprenditore davanti ai giudici tributari e penali contro richieste indebite
– Tutelare il patrimonio e la continuità dell’attività di e-commerce da conseguenze sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della legittima residenza fiscale estera se supportata da prove concrete
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: le contestazioni sugli e-commerce con sede estera ma attività in Italia sono sempre più frequenti. È essenziale predisporre una documentazione completa e coerente per dimostrare la reale localizzazione dell’impresa.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità internazionale – spiega come difendersi in caso di contestazioni su e-commerce con sede estera ma attività svolta in Italia e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
L’esplosione del commercio elettronico ha portato enormi benefici in termini di mercato e opportunità, ma anche un aumento esponenziale delle contestazioni legali legate alle attività online transfrontaliere . In particolare, negli ultimi anni si è registrato un forte incremento di problematiche relative ad e-commerce con sede all’estero ma operativi in Italia, che spaziano da dispute contrattuali e di consumo fino a complesse questioni fiscali e penali. Solo nel triennio 2022-2024, ad esempio, i reati di truffa online e frode informatica hanno sottratto complessivamente oltre 559 milioni di euro in Italia, con un aumento del +30% nel 2024 rispetto all’anno precedente . Le vendite fraudolente su siti e-commerce rappresentano una fetta consistente di questo fenomeno, passando da 114,4 milioni di euro nel 2022 a 181 milioni nel 2024 (+58%) . Questi dati confermano come il fenomeno sia in costante crescita, divenendo un rischio concreto sia per i consumatori privati sia per le imprese che operano online . Di conseguenza, è aumentata l’attenzione del legislatore e della giurisprudenza verso le tutele approntate dall’ordinamento e le strategie difensive disponibili per chi rimane coinvolto in queste vicende, sia dal lato delle vittime sia – come focus di questa guida – dal punto di vista del “debitore”, ovvero della parte accusata o destinataria di contestazioni .
Con l’espressione “e-commerce con sede estera ma attività in Italia” ci riferiamo a quelle attività di vendita online in cui la società o il titolare ha sede legale all’estero, ma il mercato o l’operatività sono rivolti in larga misura verso l’Italia. Si pensi, ad esempio, a piattaforme o siti web registrati fuori dall’Italia che vendono regolarmente a clienti italiani (in lingua italiana, in euro e con spedizioni sul territorio), oppure a imprenditori italiani che costituiscono società all’estero per gestire un’attività di e-commerce rivolta al pubblico italiano. Tali situazioni sono ormai comuni nell’era digitale e possono sorgere sia per legittime strategie di espansione internazionale, sia con fini meno leciti (come tentativi di eludere la normativa italiana fiscale o di tutela dei consumatori). In ogni caso, questa “duplice dimensione” – sede all’estero ma affari in Italia – pone delicate questioni giuridiche: quali norme si applicano? Quali autorità hanno competenza? Qual è la giurisdizione in caso di controversie? E, soprattutto, come può difendersi l’operatore accusato di violazioni o il soggetto destinatario di pretese o sanzioni in tali contesti?
La presente guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – offre un quadro completo e aggiornato della normativa italiana (ed europea) applicabile a queste fattispecie, nonché un’analisi delle più recenti sentenze e decisioni delle autorità competenti, con l’obiettivo di illustrare le migliori strategie di difesa per chi si trovi, in qualità di parte accusata o debitore contestato, coinvolto in contestazioni relative a e-commerce esteri operanti in Italia . Il taglio sarà giuridico ma divulgativo, adatto sia ad avvocati e professionisti del diritto, sia a imprenditori digitali e privati cittadini esperti, interessati a capire come tutelarsi. Richiameremo le principali fonti normative italiane ed europee (dal Codice del Consumo al Decreto sul Commercio Elettronico, fino alle normative fiscali e doganali), evidenziando le ultime novità legislative e le sentenze più autorevoli in materia, ad esempio pronunce recentissime della Corte di Cassazione italiana e della Corte di Giustizia UE .
Nota bene: l’enfasi sarà posta sulle strategie difensive dal punto di vista del “debitore”, ossia di colui che – a torto o a ragione – viene accusato di aver violato norme (fiscali, consumeristiche, penali) o si vede reclamare somme di denaro nell’ambito di contestazioni su operazioni di e-commerce con profili transnazionali . Pertanto, pur menzionando le tutele offerte alle vittime (consumatori o concorrenti lesi), ci concentreremo sui rimedi a disposizione di chi deve resistere a pretese, sanzioni o azioni legali avviate in Italia in relazione ad attività online condotte tramite società estere.
Nei capitoli che seguono affronteremo dapprima il quadro normativo di riferimento – delineando la competenza delle norme italiane ed europee in materia di commercio elettronico, tutela del consumatore e fiscalità applicabile agli operatori esteri – per poi analizzare le principali tipologie di contestazioni che possono emergere (contestazioni di natura contrattuale e civile, procedimenti avviati da autorità amministrative come AGCM, controversie in sede tributaria e possibili risvolti penali e fiscali). Saranno esaminate le competenze delle autorità italiane (dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – AGCM – alla Guardia di Finanza, all’Agenzia delle Entrate, fino all’autorità giudiziaria), chiarendo quando e come possano intervenire anche verso operatori con sede fuori dai confini. Ampio spazio sarà dedicato ai rischi e conseguenze per le imprese coinvolte (sanzioni amministrative, recuperi fiscali, responsabilità penale, ecc.) e alle possibili strategie di difesa, sia stragiudiziali che giudiziali. Troverete lungo la trattazione tabelle riepilogative, esempi pratici e un formato domande & risposte (FAQ) per chiarire i dubbi frequenti. Inoltre, alcune simulazioni pratiche illustreranno casi concreti tipici (focalizzati sull’ordinamento italiano) con un taglio interattivo domanda/risposta, in modo da applicare nella pratica i concetti esposti.
In sintesi, al termine della guida il lettore disporrà di una mappa chiara di: (a) quali norme italiane ed europee si applicano agli e-commerce esteri attivi in Italia e in quali casi; (b) quali strumenti hanno in mano le autorità italiane per intervenire (e come verificarne la legittimità o contestarli); (c) quali sono i rimedi difensivi, le procedure e le tempistiche per tutelare i propri diritti e interessi – dalla fase stragiudiziale di conciliazione fino al ricorso alle Corti italiane o ad arbitri/mediatori – il tutto dal punto di vista di chi deve difendersi da una contestazione.
Passiamo ora ad esaminare il quadro normativo di riferimento, indispensabile per orientarsi tra le diverse fonti del diritto applicabili a queste situazioni.
Quadro normativo: applicazione della legge italiana ed europea agli e-commerce esteri
Sintesi: In questa sezione illustriamo le principali norme di diritto italiano (e dell’Unione Europea) che disciplinano il commercio elettronico e la fornitura di beni/servizi in Italia da parte di imprese estere. Analizziamo quando tali norme si applicano ad operatori non italiani, come viene individuata la giurisdizione competente in caso di controversie e quali obblighi specifici (informativi, contrattuali, fiscali) gravano sugli e-commerce rivolti al mercato italiano. Verranno inoltre chiariti concetti chiave come la “stabile organizzazione” ai fini fiscali, la libertà di stabilimento UE e i limiti posti all’esterovestizione (fittizia localizzazione all’estero). Tabelle riepilogative ed esempi aiuteranno a distinguere le diverse fattispecie.
Normativa italiana ed europea in materia di e-commerce e tutela del consumatore
Il Commercio Elettronico è regolato in Italia dal D.Lgs. 70/2003 (che recepisce la Direttiva UE 2000/31/CE sul commercio elettronico). Questa normativa stabilisce una serie di obblighi per i prestatori di servizi della società dell’informazione, tra cui quelli di fornire informazioni chiare sull’identità del venditore, le condizioni contrattuali, le fasi tecniche per la conclusione del contratto, ecc. Tali obblighi si applicano anche ai soggetti esteri quando l’attività di e-commerce è diretta ai consumatori italiani. In parallelo, il Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005, in particolare artt. 18-27 sul commercio a distanza e pratiche commerciali) impone specifiche tutele per i consumatori che acquistano online, come il diritto di recesso entro 14 giorni, obblighi informativi pre-contrattuali, divieto di clausole vessatorie non approvate specificamente, e sanziona le pratiche commerciali scorrette (es. pubblicità ingannevoli) . Importante: un e-commerce straniero che “prende di mira” (target) il mercato italiano – ad esempio traducendo il sito in italiano, accettando ordini con consegna in Italia e pubblicizzando verso utenti italiani – deve conformarsi a queste norme italiane di tutela del consumatore. L’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha chiarito che la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette (artt. 20-27 Codice Consumo) vale anche per operatori esteri che operano di fatto sul territorio italiano, potendo tali imprese essere sanzionate dall’AGCM stessa in caso di violazioni .
Dal punto di vista europeo, esistono principi che garantiscono ai consumatori di uno Stato membro protezione anche quando comprano da venditori stabiliti in altri Stati UE. La normativa UE prevede, ad esempio, che la legge del consumatore (più favorevole) prevalga in molti casi. In base al Regolamento CE 593/2008 (Roma I), un consumatore che conclude un contratto con un professionista che dirige la propria attività verso lo Stato di residenza del consumatore gode comunque delle tutele inderogabili del proprio ordinamento nazionale, anche se il contratto prevede una legge straniera . Ciò significa, ad esempio, che un consumatore italiano che acquista su un sito francese o tedesco sarà protetto dalle norme italiane più favorevoli (ad es. il Codice del Consumo) per le questioni essenziali, indipendentemente dalla legge indicata nei termini e condizioni del sito. Analogamente, il Regolamento UE 1215/2012 (Bruxelles I-bis) in materia di competenza giurisdizionale stabilisce che il consumatore può citare in giudizio il professionista anche dinanzi al foro del proprio Stato (quindi in Italia, se è qui che risiede il consumatore), qualora il professionista abbia diretto la propria attività verso tale Stato. Approfondiremo meglio il tema della giurisdizione nel paragrafo successivo.
Va evidenziato inoltre che l’UE ha emanato la Direttiva 2013/11/UE e il Regolamento 524/2013 sull’ADR/ODR per i consumatori, che obbligano gli e-commerce a informare i clienti sulle possibilità di risoluzione alternativa delle controversie. Il D.Lgs. 130/2015 ha integrato il Codice del Consumo imponendo ai professionisti di indicare sul sito web (o nei termini di vendita) il link alla piattaforma ODR europea e l’eventuale adesione a organismi ADR specifici . Fino al marzo 2025, infatti, era attiva una piattaforma online UE (Online Dispute Resolution) attraverso cui i consumatori potevano presentare reclami contro venditori di altri Paesi. Aggiornamento 2025: a partire dal 20 marzo 2025 non è più possibile presentare nuovi reclami sulla piattaforma ODR, in base al Regolamento (UE) 2024/3228, e la piattaforma rimane accessibile solo per le procedure avviate prima di tale data (consultabile fino al 19 luglio 2025) . Ciò non significa che gli strumenti di ADR siano venuti meno – restano infatti operativi gli organismi di conciliazione e mediazione – ma cambia la modalità di accesso centralizzato UE. Resta comunque obbligatorio per i siti di e-commerce (anche esteri operanti in Italia) fornire un indirizzo email di contatto e dare informazioni chiare sulle procedure di risoluzione alternativa delle controversie disponibili . Queste previsioni mirano a facilitare la composizione bonaria delle liti transfrontaliere, evitando ai consumatori (e anche ai professionisti) onerosi contenziosi in giro per l’Europa .
In sintesi, un e-commerce con sede estera che vende abitualmente in Italia deve rispettare un duplice livello normativo: le norme del proprio Paese (ad esempio se è una società UE, dovrà rispettare le regole locali di stabilimento) e le norme italiane/UE destinate a proteggere i consumatori e il mercato italiano. Non basta avere sede legale all’estero per sfuggire alle regole italiane, se di fatto l’attività incide sul territorio italiano. Questo principio di “effettività” è riconosciuto anche dalla Corte di Giustizia UE: ad esempio, costituire una società in un altro Stato membro per beneficiare di leggi più favorevoli non è abusivo di per sé, ma le autorità nazionali possono contrastare gli abusi quando la presenza all’estero è fittizia e l’attività è sostanzialmente svolta altrove . Tale equilibrio garantisce la libertà di stabilimento in Europa (ognuno può stabilirsi dove vuole) ma consente di reprimere le condotte elusive o fraudolente.
Giurisdizione e legge applicabile nelle controversie transfrontaliere
Una questione cruciale nelle contestazioni relative a e-commerce esteri è: dove e secondo quale legge si può (o si deve) agire in caso di controversia? Le risposte differiscono a seconda che si tratti di rapporti B2C (business to consumer) o B2B (business to business), e occorre coordinare le norme sui conflitti di legge e giurisdizione.
Nei rapporti con i consumatori (B2C): come anticipato, la normativa UE tutela il consumatore permettendogli di agire nel proprio foro nazionale e garantendogli l’applicazione delle norme inderogabili del proprio Paese . In pratica, un consumatore italiano che abbia un problema con un venditore straniero (es. prodotto difettoso, mancata consegna, addebiti non dovuti) può: (a) convenire il venditore innanzi al tribunale italiano competente (del proprio domicilio) in base all’art. 18 del Reg. 1215/2012, purché il venditore abbia direzionato attività verso l’Italia; (b) pretendere che si applichino le tutele del Codice del Consumo italiano e altre norme protettive italiane, in virtù dell’art. 6 del Reg. 593/2008 (Roma I). È bene sapere che eventuali clausole contrattuali che indirizzino la giurisdizione o la legge verso un Paese estero (ad esempio “Foro competente: tribunale X dell’estero” o “Legge applicabile: legge del paese Y”) non vincolano il consumatore, se pregiudicano questi suoi diritti. Il consumatore potrà comunque scegliere di usufruire del foro e della legge più favorevoli (cioè quelli italiani) nonostante la clausola, considerata nulla o inefficace in tal caso. Solo se il consumatore volontariamente preferisce adire l’autorità estera indicata (cosa rara), allora si seguirebbe quella strada.
Per rendere operativo questo diritto, l’Unione Europea ha predisposto strumenti processuali semplificati. Ad esempio, per crediti fino a 5.000 € è utilizzabile il Procedimento Europeo per le Controversie di Modesta Entità (Reg. 861/2007 come mod. dal Reg. 2421/2015) : si tratta di una procedura snella, per lo più scritta, in cui il consumatore compila un modulo (disponibile online) e lo invia al giudice competente (ad es. al Giudice di Pace in Italia), il quale lo notifica al convenuto estero e decide velocemente senza formalità e con costi contenuti . In alternativa, se si tratta semplicemente di ottenere un pagamento non contestato, c’è il Procedimento Europeo di Ingiunzione di Pagamento (Reg. 1896/2006), anch’esso attivabile con modulistica standard. Tali strumenti, insieme ai canali ADR, permettono ai consumatori di far valere i propri diritti oltrefrontiera senza dover intraprendere cause complesse all’estero.
Dal lato opposto, un professionista straniero che voglia agire contro un consumatore italiano (ad esempio per recuperare un credito) in genere deve farlo in Italia. Il Regolamento Bruxelles I-bis infatti impedisce al professionista di citare il consumatore fuori dalla sua giurisdizione: il professionista può convenire il consumatore solo davanti ai giudici dello Stato membro in cui il consumatore è domiciliato (salvo diverso accordo posteriore al sorgere della controversia, cosa poco probabile). Questa regola protegge il consumatore dalle liti fuori sede; pertanto un e-commerce estero che volesse fare causa a un cliente italiano (es. per diffamazione, o per insolvenza su pagamenti) dovrebbe rivolgersi ai tribunali italiani competenti per territorio.
Nei rapporti tra professionisti (B2B): la situazione è più flessibile, poiché vige la libertà contrattuale. Le parti (un’azienda italiana e un fornitore estero) spesso prevedono nei contratti la legge applicabile e il foro competente o un arbitrato. Tali patti sono generalmente validi (a differenza del caso del consumatore, che gode di protezione speciale). Se il contratto nulla prevede, si applicano le norme generali: la legge applicabile si individua con il Regolamento Roma I (per le vendite di beni, in assenza di scelta, è quella del Paese di residenza abituale del venditore, ma se la vendita è più connessa con un altro Paese si applica quest’ultimo – art.4), mentre la giurisdizione si determina col Regolamento Bruxelles I-bis (ad esempio, per contratti di vendita di beni, il foro competente può essere quello del luogo di consegna dei beni, oltre a quello del convenuto – art.7(1) lett. b)). Facciamo un esempio: un’azienda italiana acquista componenti da un produttore estero, senza clausole sul contratto. Se i componenti risultano difettosi, l’azienda italiana potrebbe citare il fornitore davanti al tribunale italiano dove i beni sono stati consegnati (luogo di esecuzione dell’obbligazione di consegna); viceversa, se è l’azienda italiana a non pagare, il fornitore estero potrebbe portarla in giudizio in Italia (foro del convenuto) oppure, in certi casi, ottenere un’ingiunzione europea. In mancanza di accordo, insomma, vi è una concorrenza di fori possibili e di leggi applicabili, che va analizzata caso per caso. È cruciale in sede di difesa verificare la correttezza della giurisdizione e dell’eventuale legge invocata dalla controparte: contestare per incompetenza internazionale del giudice o per erronea applicazione della legge straniera può ribaltare l’esito di una causa.
Riassumendo in tabella i principi chiave su giurisdizione e legge applicabile:
Situazione | Foro competente | Legge applicabile | Note |
---|---|---|---|
B2C: Consumatore italiano vs Venditore estero | Consumatorie può scegliere il foro italiano (sua residenza) se l’azienda estera dirige attività in Italia . | Le norme inderogabili italiane tutelano il consumatore (art.6 Reg. Roma I) . | Clausole contrarie sono nulle per il consumatore. Può usare procedimenti europei (ingiunzione, piccolo contenzioso) . |
B2C: Venditore estero vs Consumatore italiano | Solo foro italiano del consumatore (il professionista non può citarlo all’estero). | – (di solito controversie su pagamento: legge contrattuale, ma il foro vincolato in Italia tutela il consumatore) | Il venditore può solo agire in Italia; spesso si opta per soluzioni stragiudiziali dato il basso importo medio delle liti B2C. |
B2B: Controversia senza clausole (impresa it. vs impresa estera) | Foro del convenuto o foro del luogo di esecuzione dell’obbligazione caratteristica (es. consegna) – art.7 Reg. 1215/2012. | Legge del venditore (per vendita di beni) salvo connessioni prevalenti – art.4 Reg. 593/2008. | Possibile competenza concorrente di giudici italiani ed esteri. Necessaria analisi delle circostanze (luogo consegna, performance…) caso per caso. |
B2B: Contratto con clausola di foro o arbitrato | Quanto pattuito nel contratto (foro estero, arbitrato, ecc.), normalmente valido. | Quanto pattuito (legge estera scelta). | Salvo eccezioni (es. contratti internazionali con leggi imperative), prevale l’autonomia contrattuale. Clausole da contestare solo se viziate (errore, coercizione, ecc.). |
(Legenda: B2C = Business to Consumer; B2B = Business to Business. Foro = giurisdizione competente. Nel caso dei consumatori, “dirigere attività in Italia” significa che il professionista ha chiaramente preso di mira il mercato italiano, requisito interpretato estensivamente dalla giurisprudenza UE.)
Residenza fiscale, stabile organizzazione ed esterovestizione
Oltre agli aspetti contrattuali e consumeristici, un profilo normativo centrale per gli e-commerce esteri riguarda la fiscalità: in particolare, quando un’attività svolta da un soggetto estero diventa rilevante in Italia ai fini delle imposte (IVA, imposte sui redditi). Il principio di base, previsto dall’ordinamento tributario italiano, è che un’impresa estera che svolge attività economica stabile in Italia può essere tassata in Italia sui profitti ivi generati, anche se non ha una sede legale registrata nel territorio. Ciò si collega ai concetti di residenza fiscale delle società e di stabile organizzazione.
Secondo l’art. 73 del TUIR (D.P.R. 917/1986), una società è considerata fiscalmente residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (più di 183 giorni l’anno), si verifica almeno una di queste condizioni :
- Sede legale in Italia: la società è costituita in Italia o vi ha la sede legale risultante dallo statuto.
- Sede dell’amministrazione in Italia: il luogo in cui vengono effettivamente dirette e gestite le attività societarie (cioè la “place of effective management”) si trova in Italia . In altri termini, se gli amministratori o chi prende le decisioni strategiche opera dall’Italia, la società può considerarsi qui residente, anche se la sede formale è altrove.
- Oggetto principale in Italia: l’attività principale (oggetto sociale) viene svolta prevalentemente in Italia, ovvero qui si produce il grosso del valore economico dell’impresa .
È sufficiente che uno solo di questi criteri sia soddisfatto per qualificare la società come residente in Italia (con tassazione sui redditi ovunque prodotti) . Il legislatore adotta dunque un approccio sostanzialistico: conta dove si esercita davvero l’attività o il controllo, più che il dato formale della sede legale. Ad esempio, una società di diritto estero che però è amministrata dall’Italia o vi svolge la sua attività economica principale verrà considerata “fiscalmente residente” in Italia a tutti gli effetti . Ciò può generare situazioni di “doppia residenza” (conflitto tra due Stati che la considerano residente), risolvibili tramite le Convenzioni contro le doppie imposizioni (di solito con il criterio del place of effective management).
In aggiunta, esiste in Italia una norma anti-elusiva specifica, la presunzione relativa di residenza (art. 73 comma 5-bis TUIR), pensata per colpire la cosiddetta esterovestizione. La presunzione stabilisce che, salvo prova contraria, si considera residente in Italia una società esterovestita che presenti certi indici, in particolare: se una società estera controlla società italiane ed è a sua volta controllata da soggetti italiani oppure ha amministratori per lo più residenti in Italia, allora si presume che la sua sede di amministrazione effettiva sia in Italia . Questa presunzione sposta sull’azienda l’onere di provare il contrario (ossia di dimostrare che invece la gestione è davvero all’estero e non fittiziamente localizzata fuori) . In pratica, il Fisco italiano ha uno strumento facilitato per contestare l’esterovestizione quando ci sono evidenti legami di controllo/gestione con l’Italia – tipico caso: un imprenditore italiano apre una società in un paradiso fiscale o in un Paese a fiscalità agevolata, ma la amministra di fatto dall’Italia e tramite essa controlla altre aziende italiane.
Esterovestizione è proprio il termine che indica la fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, al fine di sottrarla al fisco italiano . È considerata una forma di elusione o abuso del diritto, che le autorità contrastano attivando accertamenti e, nei casi più gravi, anche contestazioni penali (si pensi ai reati di omessa o infedele dichiarazione dei redditi, D.Lgs. 74/2000). La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che per configurare l’esterovestizione non serve provare uno scopo evasivo specifico: basta rilevare, in base ai criteri di collegamento dell’art.73 TUIR, che la società manca di sostanza economica all’estero ed è gestita dall’Italia . Allo stesso tempo, però, la Cassazione (in linea con la giurisprudenza UE) distingue l’esterovestizione dagli scenari di legittima pianificazione fiscale internazionale: creare una società in un altro Stato per usufruire di una fiscalità più leggera non è illecito di per sé, lo diventa se quella società è merely a shell, ossia un guscio vuoto privo di vera attività fuori dall’Italia . In altre parole, c’è abuso solo se la sede estera è puramente fittizia, mentre se l’impresa ha una reale organizzazione ed attività nell’altro Paese, va rispettata la libertà di stabilimento.
Per gli e-commerce con sede estera ma operanti in Italia, il concetto chiave è spesso quello di “stabile organizzazione” (permanent establishment). Tradizionalmente, una stabile organizzazione richiede una presenza fisica (ufficio, personale, magazzino) in Italia. Ma nell’economia digitale sono emerse interpretazioni innovative: le autorità cercano di identificare forme di stabile organizzazione “materiale” o “personale” anche senza una sede fissa tangibile, quando l’impresa estera ha un’attività economicamente rilevante sul territorio. Un caso emblematico: nel 2024 la Guardia di Finanza di Trieste, indagando su sei società slovene che vendevano online cosmetici e altri prodotti in Italia a prezzi concorrenziali, ha ipotizzato l’esistenza di una stabile organizzazione priva di presenza fisica in Italia, basandosi sull’elevato numero e assiduità di contatti con clienti e distributori italiani . Pur non avendo filiali né uffici in Italia, tali società operavano come se fossero integrate nel mercato italiano; l’applicazione della nozione di stabile organizzazione, compatibile con le Convenzioni internazionali, mira proprio a “qualificare come fiscalmente significativa l’operatività in Italia di imprese residenti all’estero anche nel caso in cui risultino totalmente dematerializzate”, con la conseguenza di far scattare l’obbligo di dichiarare in Italia i redditi correlati . Questo approccio, se confermato in giudizio, estende il concetto di presenza economica oltre i confini tradizionali.
Perciò, un’impresa di e-commerce formalmente estera potrebbe essere tenuta a pagare le imposte in Italia se: (a) viene considerata fiscalmente residente (per sede amministrativa o oggetto in Italia, ex art.73 TUIR), oppure (b) viene ravvisata una stabile organizzazione nel territorio (anche in forma “virtuale”), oppure ancora (c) ricade nella presunzione di esterovestizione per legami con soggetti italiani. Nel seguito, vedremo come queste situazioni vengono contestate dall’Amministrazione finanziaria e quali difese può opporre il contribuente.
Obblighi fiscali (IVA e imposte dirette) per e-commerce verso l’Italia
Un capitolo fondamentale riguarda la IVA e la fiscalità indiretta sulle vendite online transfrontaliere. Dal 1º luglio 2021 l’Unione Europea ha introdotto il regime OSS (One Stop Shop) e IOSS (Import One Stop Shop) per facilitare la dichiarazione IVA sulle vendite a distanza intra-UE e sulle importazioni di basso valore. In sostanza, per le vendite B2C intra-UE: se un venditore estero (di altro Paese UE) vende a consumatori in Italia oltre una certa soglia (10.000 € annui di vendite complessive verso tutti i Paesi UE, soglia introdotta dai regolamenti UE 2017/2455 e 2019/2026 ), è tenuto ad applicare l’IVA del paese di destinazione (quindi l’IVA italiana al 22% sui beni consegnati in Italia) e può optare per l’OSS, ossia registrarsi a un portale unico che gli consente di dichiarare trimestralmente le vendite verso ciascun Paese senza doversi identificare in ognuno. Se invece le vendite verso l’Italia sono sotto i 10.000 €, il venditore UE può applicare l’IVA del proprio Paese (regime di micro-imprese) . In ogni caso, superata la soglia o optato per OSS, l’IVA italiana va versata. I venditori extra-UE, per le spedizioni di valore fino a 150 €, possono utilizzare lo IOSS per addebitare l’IVA al momento della vendita ed evitare oneri doganali al cliente; oltre i 150 € invece l’IVA è pagata in dogana all’importazione dal compratore o dal suo spedizioniere.
Per gli e-commerce esteri che omettono di assolvere correttamente l’IVA in Italia, i rischi sono elevati. L’Agenzia delle Entrate italiana incrocia sempre più dati (anche grazie alla cooperazione europea e a strumenti come VIES, DAC7, accordi di scambio informazioni) per individuare vendite non dichiarate . Ad esempio, se un’impresa straniera vende servizi digitali a consumatori italiani e non utilizza il regime OSS né applica l’IVA italiana, potrà subire una contestazione IVA con richiesta del tributo evaso, sanzioni e interessi . In una guida tributaria aggiornata al 2025 si evidenzia che l’omessa dichiarazione di servizi digitali B2C resi a clienti UE espone a contestazioni fiscali gravi: il Fisco procede al recupero dell’IVA non assolta, con sanzioni per omessa/infedele dichiarazione e interessi di mora . Anche nel commercio di beni, l’Italia ha iniziato a far valere un principio di co-responsabilità delle piattaforme: un intermediario che facilita vendite in Italia da parte di fornitori extra-UE è corresponsabile per l’IVA non versata dai fornitori stessi . Ciò è emerso in un’indagine clamorosa avviata dalla Procura di Milano nel 2021 e resa nota nel 2025: Amazon (unità europea in Lussemburgo) è sotto inchiesta per una presunta evasione di 1,2 miliardi di € di IVA sulle vendite effettuate in Italia nel 2019-2021 da venditori terzi cinesi tramite la sua piattaforma . Secondo l’accusa, l’algoritmo di Amazon consentiva di vendere prodotti in Italia senza dichiarare l’identità dei fornitori extra-UE, aiutandoli così a evitare l’IVA; la legge italiana invece prevede che l’intermediario che offre beni in vendita in Italia risponda in solido del mancato pagamento dell’IVA da parte dei venditori non UE presenti sul suo marketplace . Se tale impostazione verrà confermata in giudizio, potrebbe incidere significativamente sul modello di business dei grandi marketplace internazionali .
Oltre all’IVA, anche le imposte sui redditi entrano in gioco: un’impresa estera che realizza profitti grazie al mercato italiano rischia accertamenti per stabile organizzazione occulta e conseguenti richieste di pagamento di IRES e IRAP. Il caso delle società slovene a Trieste (menzionato sopra) ne è un esempio: su oltre 200 milioni di ricavi non dichiarati scoperti, il Fisco ha ricalcolato circa 60 milioni di imponibile e contestato oltre 14 milioni di IRES evasa . In casi del genere, l’Agenzia delle Entrate può emettere avvisi di accertamento con recupero delle imposte, sanzioni che vanno dal 90% al 180% dell’imposta evasa (salvo definizioni agevolate), e atti di contestazione per eventuali reati tributari se l’evasione supera le soglie penali (es. dichiarazione infedele oltre 100.000 € di imposta evasa).
Riassumendo: il quadro normativo impone agli e-commerce esteri che operano in Italia una serie di vincoli multi-disciplinari. Sul piano civile e consumeristico, devono rispettare le regole italiane di tutela del cliente (informazioni, recesso, pubblicità veritiera, divieto di pratiche sleali). Sul piano giuspubblicistico, sono soggetti alla vigilanza delle autorità italiane (AGCM per la tutela del consumatore, AGCOM eventualmente per aspetti di comunicazione, Ministero delle Finanze e Guardia di Finanza per aspetti fiscali, doganali e antiriciclaggio). Sul piano fiscale, devono adempiere agli obblighi IVA (registrazione OSS/IOSS se applicabile, fatturazione) e possono doversi confrontare con il Fisco italiano per le imposte sui redditi se la loro attività ha un radicamento effettivo in Italia. Nel prossimo capitolo vedremo nel concreto quali sono le contestazioni tipiche che possono sorgere in questi ambiti e quali conseguenze legali ne derivino, prima di passare alle strategie di difesa.
Tipologie di contestazioni e conseguenze legali
Sintesi: Qui esaminiamo le principali situazioni di conflitto che possono emergere con riferimento a e-commerce esteri operanti in Italia, suddividendole per natura: contestazioni di natura civile/contrattuale (es. inadempimenti, vizi, clausole illegittime), procedimenti amministrativi sanzionatori (soprattutto da parte di AGCM per violazioni del Codice del Consumo, ma anche interventi della Guardia di Finanza e delle Dogane per merci irregolari), accertamenti fiscali (IVA evasa, esterovestizione) e azioni penali (truffa, reati fiscali, frode in commercio). Per ciascuna tipologia descriveremo come nasce la contestazione, chi la promuove, e quali sono le conseguenze giuridiche in caso di accertamento della violazione. Questo permetterà di comprendere il ventaglio dei rischi cui va incontro un operatore di e-commerce estero in caso di problemi, fornendo il contesto per poi valutare le possibili difese.
Contestazioni civilistiche e reclami contrattuali
La prima categoria riguarda le contestazioni mosse dai clienti o partner contrattuali dell’e-commerce estero. Si tratta di controversie in cui tipicamente un acquirente (consumatore o impresa) lamenta un inadempimento contrattuale del venditore estero: ad esempio, merce pagata e mai consegnata, prodotto arrivato danneggiato o non conforme alla descrizione, garanzia legale non rispettata, ritardi gravi nella consegna, oppure clausole ritenute vessatorie o nulle nel contratto di vendita. In ambito B2B possono esservi anche contestazioni sulla qualità dei beni forniti, sulla violazione di accordi di esclusiva, o sul mancato pagamento di forniture (da ambo i lati).
Nelle controversie B2C, spesso la contestazione inizia informalmente: il consumatore italiano invia un reclamo via email o tramite il servizio clienti al venditore estero. Se non ottiene soluzione, può rivolgersi a un’associazione di consumatori o al Centro Europeo Consumatori (CEC), che offre assistenza gratuita nelle dispute transfrontaliere nell’UE . Può inoltre segnalare il caso all’AGCM (come vedremo nella sezione successiva) se ritiene che il comportamento del venditore configuri una pratica commerciale scorretta. Sul piano strettamente civilistico, il consumatore può esercitare i rimedi previsti dal Codice del Consumo: ad esempio, se il bene non viene consegnato entro il termine pattuito (o entro 30 giorni dall’ordine), ha diritto a intimare un termine supplementare e poi risolvere il contratto e ottenere il rimborso (art. 61 Cod. Consumo) . Se il bene è difettoso o non conforme, può attivare la garanzia legale biennale per ottenere riparazione o sostituzione, o riduzione del prezzo/rimborso (artt. 128-135 Cod. Consumo). Queste tutele si applicano anche contro venditori esteri, e se il venditore non collabora il consumatore può adire il giudice italiano per farle valere.
Conseguenze giuridiche: in sede civile, l’accertamento di un inadempimento contrattuale comporta in genere la condanna dell’e-commerce al risarcimento del danno e/o all’adempimento (consegna del bene, risoluzione del contratto con restituzione del prezzo, etc.). Se il consumatore ha subito un danno ulteriore (es. danno emergente per dover acquistare altrove un bene urgente, o danno non patrimoniale in caso di pratiche particolarmente scorrette), il giudice può liquidarlo a suo favore. È bene notare che le clausole di esclusione della responsabilità inserite dal venditore nelle condizioni generali (tipo “non siamo responsabili per ritardi” o simili) sono nella gran parte inefficaci verso il consumatore, perché il Codice del Consumo le considera vessatorie se privano il consumatore dei suoi diritti essenziali. Dunque, il venditore non può fare molto affidamento su disclaimers generici per sottrarsi ai rimedi.
Nel caso di controversie B2B, valgono le norme del codice civile e le eventuali clausole contrattuali. Le conseguenze civili di un inadempimento possono essere: risoluzione del contratto per inadempimento e risarcimento del danno a favore della parte adempiente; azione per ottenere il pagamento dovuto (nel caso di acquirente moroso); esecuzione forzata se ci sono titoli (es. decreto ingiuntivo europeo non opposto). Anche tra imprese, comunque, spesso si cerca prima un accordo stragiudiziale per ragioni di convenienza economica.
Un fenomeno particolare, in crescita con l’e-commerce, è la “friendly fraud” o contestazione pretestuosa del pagamento da parte di un cliente disonesto. In pratica il cliente riceve la merce regolarmente ma poi avvia un chargeback con la carta di credito sostenendo di non aver autorizzato l’acquisto o di non aver ricevuto nulla, cercando di ottenere il rimborso e tenersi anche il prodotto . In tali casi, la banca del cliente spesso addebita indietro l’importo al venditore. Il venditore può contestare il chargeback presentando prove di consegna, ma se la banca ha già rimborsato il cliente, può risultare difficile recuperare i soldi (molto dipende dai circuiti Visa/Mastercard e dalle loro regole). Sul piano giuridico, il venditore potrebbe teoricamente agire contro il cliente per indebito arricchimento o frode, ma trattandosi magari di piccole somme e di cliente estero, questo accade di rado. Difendersi da queste evenienze significa soprattutto prevenzione: utilizzare consegne tracciate con firma e raccogliere prove, così da poter confutare eventuali contestazioni fraudolente (approfondiremo nella parte difensiva).
In conclusione per quest’area civile: le contestazioni contrattuali comportano responsabilità patrimoniali per l’e-commerce (obbligo di rimborsare, risarcire, pagare penali se previste), ma non sanzioni pubbliche dirette. Tuttavia, come vedremo, un reiterato inadempimento verso molti clienti può evolvere in un procedimento amministrativo o addirittura in profili penali se assume i connotati della truffa sistematica.
Interventi delle autorità italiane (AGCM, GdF, Dogane)
Passiamo alla dimensione pubblicistica delle contestazioni, ossia quelle iniziative che partono da autorità e non dal singolo cliente. Nel contesto di e-commerce esteri attivi in Italia, i principali attori sono:
- AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato): vigila sulle pratiche commerciali scorrette e sulle clausole vessatorie verso i consumatori. L’AGCM può avviare procedimenti d’ufficio o su segnalazione di consumatori/associazioni, anche contro operatori stranieri, se ritiene che abbiano violato il Codice del Consumo nelle transazioni con clienti italiani. Ad esempio, pubblicità ingannevoli online o siti che omettono informazioni essenziali (prezzo completo, diritto di recesso, identità del venditore) possono essere sanzionati da AGCM con multe fino a milioni di euro. La competenza AGCM prescinde dalla sede legale dell’operatore: conta l’effetto sul mercato italiano. Un caso recente: nel 2025 l’AGCM ha sanzionato per 1 milione di euro la società che gestisce il sito europeo di Shein (colosso cinese del fast fashion) per pratiche di greenwashing, ossia per aver presentato in modo ingannevole l’impatto ambientale dei prodotti e l’impegno “sostenibile” dell’azienda . Nonostante Shein sia straniera, l’AGCM è intervenuta perché il sito it.shein.com era rivolto ai consumatori italiani e diffondeva messaggi ambientali falsi o fuorvianti violando gli artt. 20-22 del Codice del Consumo . Shein ha collaborato nel procedimento, adeguando le informazioni sul sito, ma la multa è stata comminata e l’azione italiana si è aggiunta a simili sanzioni anche in Francia . Questo esempio illustra come l’AGCM possa perseguire un e-commerce estero che operi in Italia in modo scorretto. Altri esempi includono sanzioni per pratiche aggressive (es. ostacolare il diritto di recesso o i rimborsi), per dropshipping non trasparente, per false promozioni. Le sanzioni AGCM attualmente possono arrivare fino al 10% del fatturato mondiale dell’impresa nei casi più gravi (dopo la riforma delle norme sulle sanzioni nel 2022), anche se in pratica per le violazioni consumeristiche comuni si vedono multe nell’ordine di alcune centinaia di migliaia o pochi milioni di euro. L’AGCM inoltre può disporre la pubblicazione di dichiarazioni correttive e, nei casi di siti chiaramente truffaldini, ha oscurato siti web e ordinato la cessazione dell’attività fraudolenta a tutela dei consumatori italiani . Va sottolineato che l’azione dell’AGCM è indipendente dalle azioni civili o penali: un venditore online potrebbe dunque trovarsi esposto su tre fronti – reclami civili dei clienti, indagini penali per truffa e procedimento AGCM – se ad esempio mette in atto frodi sistematiche ai danni dei consumatori .
- Guardia di Finanza (GdF): il corpo speciale di polizia economico-finanziaria italiano ha un ruolo di primo piano nel monitorare l’e-commerce transfrontaliero sotto vari profili. La GdF svolge sia compiti di polizia tributaria (accertamenti fiscali, come nel caso delle società slovene o dell’indagine Amazon citati sopra), sia di polizia giudiziaria (indagini penali su truffe, frodi doganali, contraffazione, riciclaggio). Ad esempio, la GdF ha condotto operazioni contro vendite online di prodotti contraffatti provenienti dall’estero, sequestrando siti e server, e collabora con l’agenzia doganale per intercettare merci pericolose o non conformi importate tramite ecommerce. Nel campo fiscale, la GdF è spesso il braccio operativo dell’Agenzia Entrate: effettua verifiche, accessi e ispezioni in aziende e magazzini (anche in collaborazione con le autorità estere quando possibile) per raccogliere prove di evasione IVA o esterovestizione. Nella già menzionata indagine su Amazon per frode IVA, ad esempio, la Procura di Milano si è avvalsa della GdF di Monza che ha analizzato con strumenti di big data i flussi di merce per 6 miliardi di euro, ricostruendo mediante un supercomputer SOGEI la provenienza extra-UE di gran parte dei prodotti venduti e le falle nel meccanismo di versamento dell’IVA . In altri casi, la GdF ha smascherato vendite “in nero” effettuate in Italia tramite piattaforme estere: un rapporto ANSA del 2024 riporta un’evasione scoperta di oltre 200 milioni di euro di ricavi non dichiarati su vendite online verso l’Italia condotte da società straniere, appunto rilevata dalla GdF di Trieste . Le conseguenze di queste attività sono accertamenti tributari (con possibili sequestri preventivi di beni a garanzia del credito erariale) e/o notizie di reato trasmesse alla magistratura. Già in un caso del 2024, ad esempio, la GdF ha eseguito un sequestro di 121 milioni di euro nei confronti di una filiale italiana di Amazon, nell’ambito di un’indagine su presunta frode fiscale e intermediazione illecita di manodopera (utilizzo di cooperative per evadere IVA e contributi) . Dunque la GdF può colpire anche indirettamente un gruppo estero, aggredendo le sue controllate o asset sul territorio nazionale.
- Agenzia delle Dogane e Monopoli (ADM): è competente per il controllo doganale delle merci in entrata e uscita. Sul fronte e-commerce, ADM ha intensificato i controlli sui pacchi provenienti da Paesi extra-UE per far pagare l’IVA e i dazi dovuti ed evitare che la frammentazione delle spedizioni (tipicamente, tanti piccoli pacchi sotto soglia doganale) sfugga all’imposizione. Inoltre ADM vigila sulla sicurezza dei prodotti: giocattoli, elettronica, cosmetici importati devono rispettare standard UE (marcatura CE, requisiti sanitari). Se un e-commerce estero spedisce prodotti non a norma o vietati, le dogane possono bloccarli e segnalarli, dando luogo anche a sanzioni verso il destinatario o verso chi risulta importatore. Un e-commerce furbo potrebbe cercare di evitare se stesso figurare come importatore lasciando l’onere al cliente (ad es. spedendo DAP – Delivered at Place – così che dogana chieda al cliente), ma ciò può ritorcersi contro in termini reputazionali e comunque non esime da possibili azioni qualora si configuri un sotterfugio sistematico.
- Altre autorità/organismi: in alcuni casi particolari potrebbero intervenire anche altre agenzie. Ad esempio, se si vendono alimenti o integratori, il Ministero della Salute può intervenire per prodotti non autorizzati o per pubblicità sanitarie illecite; se c’è violazione di dati personali, il Garante Privacy italiano potrebbe occuparsi del caso (il GDPR si applica a chi tratta dati di utenti italiani, anche se l’azienda è estera, se offre servizi nell’UE). Oppure, per truffe online, le denunce confluiscono nelle procure e vengono spesso affidate alla Polizia Postale (specialità della Polizia di Stato) per le indagini tecnico-informatiche.
Conseguenze amministrative: Le sanzioni AGCM per pratiche scorrette vanno da poche migliaia fino a milioni di euro (nel 2024 l’AGCM ha multato Amazon per 10 milioni in un caso di opzioni pre-impostate ingannevoli nelle consegne , e Meta (Facebook) per 3,5 milioni per uso non autorizzato di dati degli utenti ). Tali sanzioni sono atti amministrativi: l’azienda multata può proporre ricorso al TAR del Lazio entro 60 giorni per contestarne legittimità e merito. Se l’azienda estera non paga spontaneamente e non ha sede in Italia, l’AGCM può iscrivere la sanzione a ruolo e – tramite meccanismi di cooperazione europea (rete CPC, Consumer Protection Cooperation) – chiederne l’esecuzione nello Stato dove la società risiede . In casi estremi, se il sito continua pratiche illecite, l’Autorità può ordinarne l’oscuramento tramite i provider italiani. Le azioni GdF/Ade portano ad avvisi di accertamento, con intimazione a pagare imposte e sanzioni entro termini perentori, altrimenti si procede a cartella esattoriale e riscossione coattiva (pignoramenti, fermi, ecc.). Se l’operatore estero non ha beni in Italia, recuperare coattivamente è difficile, ma se ha conti bancari, magazzini o soprattutto società controllate (che magari fatturano in Italia), il Fisco italiano può colpirli. Inoltre, in ambito UE esistono accordi di mutua assistenza nel recupero crediti tributari: l’Italia può richiedere allo Stato estero di riscuotere le somme dovute (questo avviene ad esempio per l’IVA nell’OSS: se un operatore OSS non paga, lo Stato membro di identificazione attiva il recupero per conto degli altri Stati creditori).
Conseguenze penali potenziali: le attività delle autorità possono sfociare in segnalazioni penali. L’AGCM stessa, pur essendo autorità amministrativa, se durante un’istruttoria ravvisa possibili reati (ad es. truffa ai danni di molti consumatori) trasmette gli atti alla Procura. La GdF come visto agisce spesso in tandem: un accertamento fiscale per IVA evasa di grande entità conduce normalmente a una denuncia per reato di omessa dichiarazione IVA (art. 5 D.Lgs.74/2000) o dichiarazione fraudolenta. Così, l’imprenditore o i dirigenti dell’e-commerce estero possono trovarsi imputati in Italia. Nel caso Amazon, la Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati tre manager di alto livello della casa madre statunitense per il reato di frode fiscale in concorso con la società estera in qualità di ente imputabile ex D.Lgs. 231/2001 . Sul fronte dei consumatori, se un sito estero vende sistematicamente e non consegna nulla, configurando la truffa contrattuale (art. 640 c.p.), la competenza penale italiana può sussistere qualora almeno una parte della condotta si verifichi in Italia (ad esempio, se le vittime sono in Italia e subiscono qui il danno, oppure se i server sono in Italia, o se i bonifici arrivano su conti italiani – anche il solo evento dannoso in Italia dà giurisdizione ex art. 6 c.p.). In questi casi, la Procura può emettere mandati e chiedere cooperazione internazionale per rintracciare i responsabili all’estero; certo l’effettività della punizione dipende dall’eventuale arresto o estradizione, ma sono prospettive reali se le somme sono ingenti o se vi sono associazioni a delinquere dietro.
Profili penali: frodi online, reati fiscali e altro
Un e-commerce con base all’estero può incorrere in procedimenti penali in Italia essenzialmente in due ambiti: frodi ai danni dei clienti (o comunque reati contro la fede pubblica/commercio) e reati tributari. Abbiamo già toccato questi aspetti, ma li esaminiamo in modo sistematico per comprenderne i presupposti e le conseguenze.
Truffa contrattuale e altri reati verso i clienti: La truffa (art. 640 Codice Penale) si configura quando qualcuno, con artifici o raggiri, induce taluno in errore procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno. Nel contesto e-commerce, la truffa contrattuale classica è quella del venditore fantasma: offre beni online, incassa il pagamento e non spedisce nulla, scomparendo (intento fraudolento sin dall’inizio) . Se invece l’inadempimento è dovuto a cause non dolose (es. merce esaurita, problemi logistici) e il venditore non ha orchestrato raggiri, non c’è truffa ma solo inadempimento civile. La distinzione è sottile e spesso sta nell’elemento psicologico e nella sistematicità: un singolo caso isolato di mancata consegna difficilmente sfocia nel penale (a meno che emergano chiari elementi di raggiro); una condotta seriale con false promesse sì. Ad esempio, se un sito propone super-offerte irreali e nessuno riceve mai nulla, è probabile che vi fosse dolo iniziale e si procede per truffa. Viceversa, un venditore genuino che però fallisce nelle consegne per sovra-vendite può al più essere civilmente inadempiente. Conseguenze: la truffa è punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni (a querela della persona offesa, se il danno patrimoniale non è grave), aumentata se aggravata (danno patrimoniale di rilevante gravità, o fatto commesso in modo tale da ingenerare pubblica fiducia, ecc.). Nel caso di truffe tramite siti internet a danno di molti consumatori (spesso aggravata per il mezzo pubblicitario o per il danno diffuso), la procedibilità può diventare d’ufficio, permettendo indagini più energiche . Gli autori rischiano quindi la pena detentiva, oltre alla confisca dei proventi (se individuabili su conti). Va segnalato che spesso questi casi coinvolgono identità fittizie, prestanome, conti offshore, rendendo complesso individuare i reali responsabili. Tatticamente, se un soggetto viene accusato penalmente di truffa per vendite online, la difesa consisterà nel dimostrare l’assenza di dolo iniziale: ad esempio provando che c’era l’intenzione di consegnare, che vi sono stati tentativi di rimediare, che l’identità dell’impresa non era fittizia, etc. . Inoltre, se possibile, adempiere tardivamente consegnando la merce o rimborsando il cliente può aiutare a escludere il profitto illecito e a spingere per l’archiviazione (magari il cliente ritira la querela) . Diverso è il caso di frode informatica (art. 640-ter c.p.), che punisce chi, alterando sistemi informatici, ottiene profitti indebiti (tipicamente hackeraggi, phishing). Un e-commerce può subirla (es. subisce un attacco), ma potrebbe anche esserne imputato se crea piattaforme clone per rubare dati di carte (sconfinando però nel campo del cybercrime puro).
Reati di falso e contraffazione: vendere merce contraffatta (false griffe, prodotti pirata) integra diversi reati: introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (artt. 473-474 c.p.), vendita di prodotti industriali con segni mendaci (517 c.p.), con pene variabili (fino a 4 anni nei casi più gravi) e spesso competenza della Direzione Distrettuale Antimafia se c’è un’organizzazione transnazionale. L’e-commerce è un noto canale per i falsi, e la Polizia e GdF monitorano il web alla ricerca di tali illeciti. La difficoltà per un operatore estero è che magari sostiene di non sapere che la merce era contraffatta (es. è un marketplace che ospita venditori terzi): tuttavia, se non adempie ai doveri di controllo minimi, può incorrere in sequestri e in corresponsabilità.
Reati fiscali: Il D.Lgs. 74/2000 prevede varie fattispecie, tra cui: dichiarazione fraudolenta (art. 3 e 4), dichiarazione infedele (art. 4), omessa dichiarazione (art. 5), emissione di fatture false (art. 8), occultamento di scritture (art. 10), ecc. Un e-commerce estero che non dichiara in Italia redditi o IVA dovuti può incorrere almeno nel reato di omessa dichiarazione (se obbligato a presentarla in Italia e non lo fa) punito con reclusione 1½-4½ anni se l’imposta evasa supera €50.000 annui. Se presenta dichiarazione ma omette elementi per oltre €100.000 di imposta evasa, scatta la dichiarazione infedele (pena fino a 3 anni). Nei casi più gravi con artifici contabili, potrebbe essere dichiarazione fraudolenta (fino a 6-7 anni). Ad esempio, un soggetto italiano che ha “esterovestito” la società per non dichiarare nulla in Italia, viene tipicamente accusato di omessa dichiarazione dei redditi e dell’IVA. Un elemento a favore della difesa è che molti reati fiscali sono configurabili solo se si era tenuti a dichiarare in Italia: quindi si discuterà se davvero c’era obbligo (questo dipende dalla qualificazione di residenza o stabile organizzazione). Le soglie inoltre sono rilevanti: se l’evasione è sotto soglia, non c’è reato (restano sanzioni amministrative). Conseguenze penali: oltre al rischio di condanna (che per grandi evasori può arrivare a diversi anni, sebbene spesso scontati con sospensione condizionale o pene alternative per incensurati), va menzionato il potente strumento del sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei proventi illeciti: la Procura può far sequestrare conti, beni, disponibilità finanziarie dell’indagato (anche all’estero tramite rogatorie) fino a concorrenza dell’imposta evasa. Questo è stato fatto ad esempio nell’indagine Amazon (sequestrati 121 milioni su conti italiani) . Ciò può paralizzare l’operatività se colpisce risorse necessarie al business.
Altri reati: Vi sono poi fattispecie come la frode in commercio (art. 515 c.p., vendere cose per origine, qualità o quantità diverse dal dichiarato), che potrebbe applicarsi se un venditore estero vende prodotti spacciandoli per altri o con indicazioni false. È un reato contravvenzionale (arresto fino a 2 anni o multa) e spesso concorre con la truffa o con violazioni amministrative. Ancora, il riciclaggio (art. 648-bis c.p.) potrebbe profilarsi se i proventi dell’e-commerce illecito vengono reimmessi in circuiti puliti; oppure violazioni di carattere valutario se si trasferiscono fondi illecitamente.
Complessivamente, dal punto di vista del debitore accusato penalmente, è fondamentale sapere che il sistema italiano prevede strumenti per attenuare le conseguenze: ad esempio, nel caso di reati fiscali, il pagamento integrale del debito tributario, comprese sanzioni e interessi, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, estingue i reati di omessa e infedele dichiarazione (art. 13 D.Lgs. 74/2000) . Anche nelle frodi ai consumatori, il risarcimento delle vittime e la cooperazione possono mitigare la pena e talvolta evitare il carcere (si pensi alla possibilità di patteggiamento con pena ridotta se si è risarcito il danno). Ne parleremo nella sezione difensiva. In ogni caso, chi opera un e-commerce deve essere consapevole che la distanza geografica non lo immunizza dalle leggi penali italiane se causa danni e compie atti rilevanti sul territorio: la globalità di internet trova un contraltare nella portata extraterritoriale (entro certi limiti) delle leggi nazionali quando tutelano interessi locali.
Dopo aver delineato le varie tipologie di contestazioni (civili, amministrative, fiscali e penali) e le conseguenze collegate, nel prossimo capitolo ci metteremo nei panni del debitore/accusato e illustreremo come difendersi efficacemente. Vedremo le strategie generali – dalla fase di accertamento preliminare fino all’eventuale giudizio – e gli strumenti specifici di tutela stragiudiziale (conciliazioni, negoziazioni assistite, ecc.) e giudiziale (ricorsi, opposizioni, appelli) a disposizione. Inoltre, forniremo consigli pratici per documentare la propria posizione e ridurre l’esposizione al contenzioso.
Strategie di difesa e strumenti di tutela per il “debitore”
Sintesi: Questa sezione, cuore pratico della guida, illustra come impostare una difesa efficace se si ricevono contestazioni legali relative a un e-commerce estero operante in Italia. Verranno trattate separatamente le strategie difensive in ambito fiscale/tributario, in ambito amministrativo (sanzioni AGCM, sequestri GdF, provvedimenti doganali) e in ambito civile/penale (cause da clienti, denunce per truffa). Evidenzieremo l’importanza di agire tempestivamente, di raccogliere prove a discolpa, di sfruttare gli istituti giuridici a favore (ad es. definizioni agevolate, patteggiamenti, ricorsi gerarchici) e di evitare errori comuni (come ignorare gli atti o assumere atteggiamenti ostativi). Una parte sarà dedicata agli strumenti di tutela stragiudiziale, ossia le opzioni per risolvere il conflitto senza andare in tribunale (mediazione, ADR, accordi transattivi, impegni con l’AGCM, ecc.), spesso preferibili per tempi e costi. Infine, qualche best practice per prevenire le contestazioni o ridurne il rischio.
Difendersi da accertamenti fiscali e contestazioni tributarie
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta a un e-commerce estero violazioni fiscali (es. esterovestizione, IVA non dichiarata), il soggetto interessato riceve tipicamente un processo verbale di constatazione (PVC) dalla Guardia di Finanza o un avviso di accertamento dall’Ufficio. È fondamentale non restare inerti. Ecco i passi chiave per una difesa tempestiva :
- Analisi dell’atto e verifica formale: per prima cosa, controllare la legittimità della notifica e dei termini. Un vizio formale (notifica oltre i termini decadenziali, carenza di motivazione) può da solo annullare l’accertamento. Ad esempio, per un avviso relativo al 2020 notificato dopo il 31/12/2025, si può eccepire la decadenza. Inoltre, leggere attentamente le contestazioni per identificare quali periodi d’imposta, quali imposte e quali importi sono in gioco .
- Raccolta di prove a discarico: occorre preparare un dossier difensivo con tutta la documentazione che dimostri la regolarità dell’operato estero. Ad esempio, se viene contestata esterovestizione, raccogliere contratti di affitto di uffici all’estero, buste paga di personale locale, documenti che attestano riunioni svolte all’estero, contabilità e registri tenuti nel Paese estero . Se il tema è l’IVA OSS non versata, predisporre estratti del portale OSS che mostrino l’adesione o la correttezza delle aliquote applicate . Dimostrare la sostanza estera è spesso l’argomento principale: contratti con fornitori stranieri, prove che le merci partono dall’estero, che la gestione degli ordini è fatta fuori Italia. Queste evidenze possono confutare la tesi del Fisco che tutto avvenisse in Italia.
- Impugnazione nei termini davanti al giudice tributario: in Italia gli atti di accertamento vanno impugnati entro 60 giorni dalla notifica (salvo proroghe per ferie). Bisogna presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) provinciale competente . Nel ricorso si svilupperanno i motivi di opposizione sia formali che sostanziali: ad esempio, vizi procedurali (mancato contraddittorio se dovuto, difetto di firma digitale), vizi di merito (assenza di stabile organizzazione, errata interpretazione della normativa UE da parte dell’Ufficio, errati calcoli). È cruciale depositare sin da subito la documentazione probatoria raccolta.
- Sospensione della riscossione: se l’accertamento comporta un importo da pagare immediatamente (per esempio, dopo 60 giorni diviene esecutivo per 1/3 del tributo accertato), è possibile chiedere al giudice tributario una sospensiva per evitare misure esecutive durante il processo . Occorre dimostrare sia il fumus (che il ricorso non è infondato) sia il periculum (il pagamento causerebbe danno grave). Spesso per contestazioni milionarie, la sospensione viene concessa.
- Valutare soluzioni deflative: parallelamente al ricorso, si può considerare di aderire a strumenti deflativi: ad esempio l’accertamento con adesione (che sospende i termini di ricorso e consente un confronto con l’Agenzia per eventualmente trovare un accordo riducendo sanzioni). Oppure, se la legge di bilancio lo consente, usufruire di eventuali definizioni agevolate (nel 2023-2024 ce ne sono state per liti pendenti, avvisi bonari, ecc.). Anche la conciliazione giudiziale è un’opzione: proporre in udienza una soluzione transattiva al giudice tributario, che se accettata dall’Ufficio comporta sanzioni ridotte al 1/3. Queste vie vanno ponderate caso per caso, di solito con assistenza del tributarista.
Nel caso specifico di contestazioni per esterovestizione, la difesa vincente consisterà nel dimostrare la reale autonomia e operatività estera della società. Ad esempio, presentare organigrammi da cui risulti che le decisioni strategiche venivano prese all’estero, verbali di assemblee e CdA tenuti fisicamente all’estero, prova che i manager risiedono effettivamente all’estero (contratti di locazione delle abitazioni, bollette), che l’azienda ha clienti internazionali e non solo italiani, ecc. Inoltre, contestare eventualmente l’applicabilità della presunzione 73(5-bis) TUIR: spesso il Fisco la invoca anche quando non tutti i requisiti sono presenti – se ad esempio la società estera non detiene partecipazioni di società italiane, la presunzione non dovrebbe nemmeno scattare . In diversi casi recenti la Cassazione ha dato ragione al contribuente quando l’Ufficio abusava della presunzione fuori dal suo stretto ambito . Quindi far rilevare queste forzature è fondamentale.
Difendersi da contestazioni IVA (OSS/IOSS): spesso la chiave è dimostrare la buona fede e l’adempimento alternativo. Se l’Agenzia contesta di non aver utilizzato l’OSS, ma voi potete mostrare di aver comunque versato l’IVA nel vostro Paese per quelle vendite, evidenziate che non c’è doppia evasione ma al più un errore formale di registro (gli accordi UE prevedono poi che i Paesi si compensino). Oppure, se contestano incongruenze coi dati delle piattaforme (Amazon/eBay), spiegate eventuali errori di reporting, fornite i vostri calcoli contro quelli del Fisco . In generale, se dimostrate che c’è stata volontà di conformarsi (ad esempio, iscrizione all’OSS c’è stata, ma per qualche motivo tecnico alcune vendite non erano confluite), potrete puntare almeno a far cadere le sanzioni per obiettiva incertezza normativa o buona fede.
Coordinamento con la difesa penale: se contestualmente pende un’indagine penale (es. per reato tributario connesso), è essenziale unire le strategie. Il processo tributario e quello penale sono separati ma gli esiti si influenzano. Spesso pagando il dovuto col ravvedimento si ottiene l’archiviazione penale (art.13 citato) . Quindi un imputato potrà decidere di versare spontaneamente le imposte per salvarsi dal penale, anche se continua a litigare sul residuo in sede tributaria. Oppure, se in penale emergono prove a favore (perizia che attesta che i server non erano in Italia, ad esempio), depositarle anche in commissione tributaria. Tempestività e coerenza tra le due difese è cruciale: l’avvocato penalista e il tributarista devono lavorare in tandem.
Riassumendo, nei confronti del Fisco la parola d’ordine è “agire subito e con documenti in mano”. Ignorare l’accertamento è un errore gravissimo : diventerebbe definitivo, con iscrizione a ruolo e impossibilità di difendersi poi. Al contrario, impugnando e portando elementi concreti, si può riuscire ad annullare o ridurre drasticamente la pretesa . Una difesa efficace può portare a: annullamento totale o parziale della contestazione, riduzione di sanzioni e interessi, esclusione di responsabilità penale in assenza di dolo, sospensione di pagamenti avviati, e in generale assicurarsi di pagare solo il dovuto secondo legge (come sottolinea lo Studio Monardo nelle sue guide).
Difendersi da provvedimenti dell’AGCM e altre sanzioni amministrative
Se si riceve un provvedimento sanzionatorio dall’AGCM (o altro ente amministrativo), la strategia difensiva si svolge principalmente su due piani: procedimentale (durante l’istruttoria) e giudiziario (ricorso al TAR post-sanzione).
- Fase procedimentale AGCM: L’AGCM, quando avvia un’istruttoria, comunica al professionista l’apertura del procedimento e le contestazioni (ad es. pratica commerciale scorretta consistente in X). È importante, soprattutto se si tratta di un’azienda estera non avvezza, partecipare attivamente al procedimento. Ciò significa nominare un referente (legale in Italia), depositare una memoria difensiva entro i termini, fornire i documenti richiesti. Dimostrare collaborazione può portare a sanzioni ridotte. Ad esempio, nel caso Shein, la società ha dichiarato di aver collaborato attivamente con l’AGCM per rispondere alle criticità, adottando misure correttive immediate . Questo atteggiamento può evitare provvedimenti più gravi (come ordini inibitori) e magari convincere l’Autorità a chiudere il caso con un impegno o con una sanzione attenuata. L’AGCM infatti può accettare impegni dal professionista: ad esempio, l’azienda si impegna a modificare il sito, a risarcire i consumatori lesi, ecc., e l’Autorità può decidere di rendere obbligatori tali impegni e non irrogare multa. Per le pratiche scorrette, però, gli impegni non sempre vengono accettati (sono più comuni nei casi antitrust).
- Difesa nel merito: Occorre argomentare che non c’è stata violazione del Codice del Consumo, o che è di minima entità. Ad esempio, se viene contestata una clausola vessatoria, mostrare che quella clausola in realtà è stata approvata specificamente dal consumatore o è conforme a modelli leciti. Se contestano un’informazione ingannevole, fornire dati verificabili che la supportano (se esistono) oppure dimostrare l’assenza di impatto sui consumatori (es. pochissimi reclami, tasso di resi fisiologico, ecc.). Contestare l’entità della sanzione: l’AGCM calcola la multa in base alla gravità e durata della violazione, oltre che al fatturato. Si può far presente eventuali errori di calcolo sul fatturato di riferimento (per un’azienda estera potrebbero aver considerato il globale, mentre magari l’impatto italiano è minore). Si può anche invocare attenuanti: ad esempio, se l’azienda ha spontaneamente eliminato la pratica scorretta prima ancora della fine dell’istruttoria, o se ha indennizzato i clienti coinvolti.
- Ricorso al TAR: Una volta emessa la sanzione (o l’ordine), l’unica via per annullarla è il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (poiché sede dell’Autorità) entro 60 giorni. Nel ricorso al TAR si possono far valere vizi formali (mancata comunicazione di avvio del procedimento, difetto di motivazione del provvedimento AGCM, violazione del diritto di difesa se l’azienda non è stata sentita) e sostanziali (insussistenza della pratica scorretta o sproporzione della sanzione). Ad esempio, un’azienda straniera potrebbe contestare la competenza dell’AGCM se ritiene di non aver affatto diretto attività in Italia (caso raro se il sito è in italiano, ma ipotizzabile se la contestazione fosse borderline). Oppure potrebbe sostenere che l’AGCM ha ecceduto i suoi poteri ordinando qualcosa che va oltre (ad es. pretendere modifiche anche su siti esteri non rivolti all’Italia). Il TAR esaminerà il caso e potrà sospendere l’esecutività della sanzione (su richiesta) se ci sono gravi motivi. Bisogna essere pronti, nel ricorso, a supportare le proprie tesi con precedenti (sentenze TAR, Consiglio di Stato) ed eventualmente con perizie tecniche (ad es. se contestano diciture “eco-friendly”, portare studi a supporto delle proprie affermazioni ambientali).
- Esecuzione della sanzione: Se non si ricorre o se si perde il ricorso, la sanzione diventa definitiva. Un’azienda estera potrebbe essere tentata di non pagare pensando di essere al sicuro oltreconfine. Tuttavia, come detto, esistono meccanismi di cooperazione: ad esempio, all’interno dell’UE, le autorità di uno Stato possono chiedere assistenza per il recupero di crediti (c’è un Regolamento UE specifico per le multe antitrust e consumatori). Inoltre, l’AGCM potrebbe chiedere adire l’autorità estera equivalente (molti Stati UE hanno autorità consumatori collegate nella rete CPC). E se l’azienda ha beni in Italia (conto bancario, immobili, merce in deposito), la sanzione può essere riscossa tramite agenti della riscossione. Pertanto, ignorare la multa non è una strategia consigliabile. Meglio negoziare eventualmente una rateazione con l’AGCM (prevista) o pagarla con lo sconto del 30% entro 30 giorni se la si riconosce (simile al pagamento in misura ridotta).
- Altre autorità: Provvedimenti di altre autorità (es. Dogane che dispongono confisca di merce non conforme, o Garante Privacy che infligge multa) vanno anch’essi impugnati davanti al giudice competente (spesso il TAR per atti amministrativi, o la Corte di Giustizia Tributaria per atti di natura tributaria come dazi). Le difese saranno analoghe: eccepire vizi di procedura e contestare nel merito la violazione. Ad esempio, se Dogane confisca merce sostenendo sia contraffatta ma non lo è, bisogna rapidamente presentare istanza di riesame con prove di autenticità (certificati dei brand, ecc.) e se necessario ricorso.
In generale, nel difendersi da sanzioni amministrative italiane, un’impresa estera dovrebbe farsi assistere da un legale italiano esperto di diritto dei consumatori o amministrativo, per navigare le peculiarità del sistema. La conoscenza approfondita del Codice del Consumo e dei precedenti AGCM è un plus nella stesura delle memorie. Ad esempio, sapere che l’AGCM in passato ha ritenuto non ingannevole una certa dicitura può essere citato a proprio favore.
Infine, un consiglio pratico: mantenere sempre un atteggiamento proattivo e non conflittuale con l’autorità, a meno di evidenti abusi. Se l’AGCM vi contesta qualcosa, spesso conviene dimostrarsi disponibili a risolvere: questo può anche portare a chiudere il procedimento con un impegno e senza sanzione, quando possibile. Viceversa, ignorare le comunicazioni o rispondere in modo impreciso può irritare l’Autorità e aggravare la posizione.
Difendersi in ambito civile e penale (contro clienti e procure)
Quando il “debitore” si trova coinvolto in cause civili promosse da clienti/partner o in procedimenti penali, la strategia difensiva si sposta nelle aule giudiziarie (o nei loro equivalenti online, nel caso di procedure europee semplificate).
Difesa nelle cause civili (clienti o fornitori): Se un cliente italiano cita in giudizio l’e-commerce estero davanti al tribunale italiano, il venditore deve costituirsi tramite un avvocato italiano e può innanzitutto contestare la giurisdizione, se ci sono le basi. Ad esempio, se pensa di poter ottenere un foro a lui più favorevole (magari all’estero), potrebbe eccepire che non vi era attività diretta in Italia e che quindi il giudice italiano non è competente. Tuttavia, questa eccezione raramente vince in ambito consumer, dove come visto la giurisdizione italiana è ampia. Più utile può essere in ambito B2B, se c’è una clausola contrattuale di arbitrato estero: in tal caso bisogna sollevare subito l’eccezione di compromesso arbitrale, altrimenti si decade.
Nel merito, la difesa in un caso civile di inadempimento consisterà nel dimostrare di aver adempiuto o di essere nell giusto. Se il cliente sostiene di non aver ricevuto la merce, presentare il tracking e prova di consegna firmata . Se lamenta prodotto non conforme, produrre certificati di qualità, foto pre-spedizione, eventuali accettazioni del cliente. Se asserisce di aver diritto al rimborso e lo nega un’inadempienza del venditore, evidenziare che si è offerta assistenza (es. proponendo sostituzione) e che magari il cliente ha rifiutato. In poche parole, documentare tutto: contratti, email, chat del customer care, screenshot del sito con termini e condizioni vigenti all’epoca (spesso il cliente porta una versione distorta, mentre avere la copia delle condizioni effettive può smentirlo).
Se la causa verte su clausole vessatorie (ad esempio il cliente chiede di dichiararne la nullità), argomentare che quelle clausole erano state accettate con doppia spunta se necessario, oppure che non rientrano tra quelle vietate. A volte, portare un parere pro-veritate di un esperto di diritto dei consumi su quella clausola può aiutare il giudice.
Dal punto di vista emotivo, nonostante possa sembrare controintuitivo, mantenere un approccio conciliativo può risolvere la disputa prima della sentenza. Se il cliente ha effettivamente subìto un disservizio, magari riconoscerlo e offrire un rimedio (anche tardivo) può portare a una conciliazione in corso di causa, magari con transazione: il venditore rimborsa o offre un extra, il cliente rinuncia agli atti. Ciò fa risparmiare spese legali e rischi di soccombenza. Lo stesso vale in B2B: spesso conviene trovare un accordo commerciale (uno sconto sulla prossima fornitura, un credito, ecc.) invece di trascinarsi in lunghe liti internazionali.
Difesa nei procedimenti penali: Qui il “debitore” diventa indagato/imputato. Appena si ha notizia di indagini (tramite una perquisizione GdF, un sequestro, un avviso di garanzia), occorre nominare un avvocato penalista di fiducia (se non si risiede in Italia il tribunale ne nominerà uno d’ufficio, ma è meglio sceglierselo). Le linee difensive variano col reato contestato:
- Per truffa e reati verso i clienti: come detto, la miglior difesa è negare l’intento fraudolento. Si porteranno prove che l’imputato aveva avviato spedizioni (magari problemi di corriere), che ha rimborsato alcuni acquirenti insoddisfatti – segno che non voleva ingannare, oppure che la gestione era caotica ma non dolosa. Anche testimonianze di clienti soddisfatti possono aiutare a mostrare che non era uno schema generalizzato. Se il reato contestato è frode in commercio (prodotto non conforme), dimostrare ad esempio che si trattava di errori del fornitore o che il venditore ignorava il problema e poi ha richiamato i prodotti. In molti casi, risarcire i clienti truffati è doppiamente utile: da un lato può spingerli a rimangiarsi la querela (estinguendo la procedibilità se è una truffa semplice a querela), dall’altro anche se si procede d’ufficio, il giudice terrà conto del risarcimento come attenuante e potrebbe applicare la speciale tenuità del fatto se i danni sono stati riparati.
- Per reati fiscali: una strategia quasi obbligata è valutare il pagamento del debito tributario. Se la contestazione è di omessa dichiarazione o infedele, il pagamento prima del dibattimento estingue il reato . Ciò può significare esborsi importanti, ma va confrontato col rischio di condanna penale. Spesso, se l’azienda ci tiene a ripulire la posizione e magari continuare a operare, conviene aderire a un ravvedimento o definizione per sanare. L’avvocato potrà chiedere eventualmente termini per permettere tale pagamento. Una volta estinto il reato, ci si libera del penale. Se invece i debiti sono troppo alti per essere saldati subito, ci si difende contestando la sussistenza del reato: ad esempio, sostenere che non c’era obbligo di dichiarazione (perché la società era effettivamente estera – quindi l’accertamento fiscale era sbagliato). Questa è una difesa “tecnica” complessa perché il giudice penale spesso attende l’esito del tributario o nomina un CTU. Ma in alcune pronunce la Cassazione ha assolto imputati per esterovestizione contestata in sede penale, ritenendo che la libera scelta di stabilimento non costituisce reato salvo artificiosità estrema (rifacendosi ai principi Cadbury Schweppes) . Quindi un filone difensivo è dimostrare la mancanza dell’elemento soggettivo: l’imprenditore credeva legittimamente di non dover dichiarare in Italia, avendo sede all’estero – se ciò è plausibile, l’assenza di dolo potrebbe evitare la condanna (magari derubricando a violazioni amministrative). Anche qui, coordinare col tributarista: se nel frattempo la causa tributaria dà ragione al contribuente (annullando l’accertamento), questa sentenza va portata in Procura chiedendo l’archiviazione perché “il fatto non sussiste”. Viceversa, se la causa tributaria va male, considerare seriamente il patteggiamento nel penale per ridurre i danni.
- In generale, nei reati economici spesso il patteggiamento (applicazione pena su accordo) è una via pragmatica: consente di ottenere sconti di pena di 1/3, evitare magari interdizioni, e chiudere in tempi brevi. Un imputato incensurato per frode fiscale con patteggiamento potrebbe concordare una pena sotto i 2 anni, sospesa (quindi niente carcere). Idem per reati come truffa, specie se ha risarcito: patteggiare anche solo una multa o pochi mesi (sospesi). Va valutato però che il patteggiamento comporta accettazione della condanna – quindi, ad esempio, per un imprenditore che vuole ripulire la reputazione magari non è l’ideale.
- International gap: se l’imputato è all’estero e non intende rientrare, bisogna capire se il Paese estero estraderebbe per quel reato (spesso per reati economici la risposta è no se è fuori UE, sì se è UE con mandato di arresto europeo per reati oltre certe soglie). Un avvocato può rappresentarlo in contumacia, ma il processo andrà avanti e una condanna in contumacia in UE può portare a un mandato d’arresto europeo pendente. Non conviene ignorare: spesso meglio difendersi nel merito o tramite patteggiamento a distanza (ammesso – in Italia il patteggiamento può farsi anche tramite procuratore speciale senza presenza dell’imputato).
Best practice difensive: Vale la pena menzionare che per prevenire cause e accuse, un e-commerce dovrebbe da subito tenere un archivio organizzato di tutta la propria attività. Nel momento della contestazione, chi riesce a recuperare rapidamente fatture, log di spedizione, email, ottiene un vantaggio enorme rispetto a chi naviga nel caos. Anche la trasparenza verso i clienti aiuta: se ci sono ritardi, comunicare subito e magari offrire voucher può evitare che il cliente esasperato sporga denuncia.
Strumenti di tutela stragiudiziale
Oltre alla difesa “in trincea” nelle sedi legali, esistono vari strumenti stragiudiziali che il debitore (o potenziale tale) può utilizzare per risolvere la contestazione in modo più rapido e meno oneroso:
- Composizione amichevole e negoziazione: Il primo livello è sempre cercare una soluzione bonaria. Ad esempio, se un cliente minaccia azioni, rispondere con una lettera (magari fatta scrivere da un legale) in cui si propone un rimedio: rimborso parziale, sostituzione, coupon. Spesso il cliente desidera solo essere soddisfatto; offrire qualcosa può evitare escalation. Allo stesso modo in B2B, ricorrere a un incontro negoziale tra le parti, con eventuale coinvolgimento di legali, può portare a un accordo transattivo. È utile redigere una breve scrittura che definisce le pendenze (es. “fornitura sostitutiva inviata, nulla più a pretendere”). Ciò vale anche per i contenziosi con fornitori di servizi italiani (es. corrieri, partner): meglio trovare un compromesso che finire in cause lunghe.
- Mediazione e ADR formali: In Italia alcune materie (diritti dei consumatori, contratti assicurativi, bancari, ecc.) prevedono la mediazione civile obbligatoria prima del giudizio. Anche se non obbligatoria per e-commerce, le parti possono volontariamente aderire a un organismo di mediazione. Il vantaggio è che la mediazione è rapida (entro 3 mesi) e se si trova un accordo, questo diventa titolo esecutivo. Per dispute con molti clienti (es. 100 clienti reclamano), si potrebbe proporre una mediazione collettiva o rivolgersi a un ombudsman. Inoltre, in ambito consumeristico, come già trattato, ci sono gli organismi ADR specializzati: ad esempio il conciliazione paritetica promossa da Netcomm in Italia , o gli ADR iscritti negli elenchi UE. Un e-commerce che aderisce volontariamente a un organismo ADR dimostra buona volontà e può risolvere molte lamentele evitando di finire nelle blacklist dell’AGCM. Certo, la partecipazione ADR implica spesso di accettare compromessi, ma può essere preferibile al danno reputazionale di reclami pubblici.
- Procedura di autotutela e interpello con il Fisco: Sul fronte tributario, prima di arrivare al contenzioso, c’è la via dell’autotutela: presentare all’ufficio che ha emesso l’accertamento un’istanza motivata di annullamento/revoca in autotutela, segnalando errori evidenti (ad es. avete prova che la società è UK e quell’anno era residente UK con ruling, e l’ufficio magari ignorava). L’autotutela non sospende i termini di ricorso (quindi va comunque ricorso), ma a volte l’Agenzia riconosce l’errore macroscopico e annulla prima del giudizio. Inoltre, un’impresa può fare interpello preventivo (nel caso non ancora contestato nulla): ad esempio, un imprenditore italiano con società estera può chiedere un parere all’Agenzia se ritiene di non dover avere stabile organizzazione – se l’Agenzia risponde, almeno si ha certezza o comunque buona fede.
- Impegni e leniency verso l’AGCM: Nel caso di procedimenti AGCM, come accennato, un professionista può proporre impegni che, se accettati, chiudono il caso senza sanzioni. Esempi di impegni: migliorare la trasparenza del sito, rimborsare immediatamente tutti i clienti coinvolti nella pratica scorretta, modificare clausole contrattuali, implementare un codice etico, ecc. Gli impegni devono eliminare la causa del problema. L’AGCM li valuta: se li rende obbligatori e li approva, il procedimento si chiude e l’azienda evita la multa, dovendo però fare quanto promesso (vigilano su ciò). Questo strumento è più utilizzato in antitrust ma anche nelle pratiche commerciali è contemplato. Ad esempio, un e-commerce accusato di ritardi potrebbe impegnarsi a dotarsi di un sistema di alert che blocca la vendita di prodotti non disponibili e a compensare chi ha avuto ritardi oltre X giorni con un rimborso automatico. Tali misure, se credibili, possono convincere l’Autorità della serietà dell’azienda.
- Piattaforme ODR (fino a marzo 2025): Come detto la piattaforma ODR UE non accetta nuovi reclami dopo marzo 2025, ma se un reclamo era stato presentato prima, la procedura può proseguire fino a luglio 2025 . Un venditore che abbia in sospeso un caso ODR dovrebbe seguirlo: la piattaforma consentiva di dialogare col cliente e scegliere un organismo ADR . Ignorare la notifica ODR significava perdere un’occasione di risolvere. Anche se la piattaforma ODR verrà sostituita, è verosimile che l’UE creerà nuovi canali di risoluzione, quindi un consiglio di ordine generale è: non trascurare mai i canali di conciliazione online, perché spesso un mediatore neutrale può ricomporre anche contenziosi aspri.
- Assicurazioni e fondi di garanzia: Un aspetto a volte trascurato: alcune imprese si tutelano con polizze assicurative per rischi legali. Ad esempio, esistono polizze che coprono le spese legali per difesa in procedimenti (anche penali) o che rimborsano i clienti in caso di determinati disservizi. Se il vostro e-commerce ne è dotato, attivate la polizza non appena sorge una contestazione coperta: l’assicurazione potrebbe mettere a disposizione legali convenzionati o coprire i costi dei rimborsi ai clienti, riducendo l’impatto finanziario.
In definitiva, la tutela stragiudiziale è un fronte che il “debitore” non deve dimenticare: risolvere prima e fuori dal tribunale è quasi sempre preferibile. Costa meno, è più rapido e consente di mantenere un miglior rapporto con la controparte (che a volte continua a essere cliente!). Come regola generale, conviene sempre tentare un approccio stragiudiziale in parallelo alla preparazione della difesa giudiziale. Ad esempio, si può presentare ricorso in tribunale per sicurezza (così non si perdono i diritti) ma contestualmente offrire un accordo. Se la controparte accetta, si rinuncia poi al giudizio.
A chiudere questa sezione, presentiamo ora alcune simulazioni pratiche di casi tipici, con domande e risposte in stile “problem solving”, per vedere applicate le strategie descritte a situazioni concrete.
Simulazioni pratiche: casi tipici e soluzioni
Di seguito vengono illustrati alcuni scenari reali/semi-reali che coinvolgono contestazioni riguardanti e-commerce esteri operanti in Italia, con una breve analisi di come il “debitore” (impresa o individuo accusato) può difendersi efficacemente in ciascun caso.
Caso 1: Esterovestizione di una startup digitale
Scenario: Mario, un imprenditore italiano, ha lanciato nel 2022 una piattaforma di e-commerce di prodotti artigianali. Su consiglio di un conoscente, costituisce la società in Irlanda (IrishCraft Ltd) beneficiando della bassa tassazione, ma continua a gestire tutto da Milano. Nel 2024 riceve un accertamento dall’Agenzia delle Entrate che contesta l’esterovestizione: secondo il Fisco, IrishCraft Ltd è in realtà residente in Italia, dato che l’amministratore unico (Mario stesso) risiede in Italia e l’attività si svolge principalmente qui. Vengono richieste imposte su tutti i profitti 2022-23, più sanzioni. Mario è scioccato: pensava di essere in regola avendo la società irlandese.
Come difendersi: Mario deve attivarsi subito. Prima di tutto, verifica se effettivamente le prove a suo favore sono scarse: purtroppo lui non ha uffici né personale in Irlanda, la sede lì è solo un indirizzo di comodo. Sa quindi che contestare sul merito sarà difficile. Ad ogni modo, tramite il suo avvocato prepara ricorso contro l’accertamento, sperando di ridurre almeno le sanzioni. Nel frattempo, valutano soluzioni deflative: optano per un accertamento con adesione così da avviare un dialogo col Fisco. In sede di adesione, Mario porta ciò che ha: un conto bancario irlandese usato per le transazioni (unico legame concreto col Paese) e sostiene che non c’era intento fraudolento ma solo incertezza normativa. Propone di pagare le imposte dovute sul 2022-23, chiedendo il minimo delle sanzioni. L’Agenzia in sede di adesione riconosce l’onestà collaborativa e applica le sanzioni ridotte ad 1/3. Mario accetta e firma l’accordo: paga il dovuto (rateizzato in 8 rate) e mette in regola la sua posizione fiscale. Ciò gli consente anche di evitare guai penali: pagando tutto prima di eventuali denunce, non sarà perseguibile per omessa dichiarazione . Per il futuro, Mario decide di trasferire realmente parte dell’attività a Dublino (assume un country manager lì) per evitare nuove contestazioni. Outcome: contestazione risolta con esborso economico importante ma senza contenzioso pluriennale né imputazioni penali, grazie all’uso degli strumenti di adesione e ravvedimento.
Caso 2: Sanzione AGCM a marketplace estero – clausole vessatorie
Scenario: ShopOnline Inc, società con sede negli USA, gestisce un marketplace di venditori cinesi molto popolare tra i consumatori italiani. L’AGCM le notifica l’avvio di un procedimento per presunte pratiche scorrette: sul sito shoponline.com versione italiana, alcune clausole sarebbero vessatorie (es. esclusione totale di responsabilità di ShopOnline per prodotti difettosi venduti da terzi, e foro competente fissato in Hong Kong per qualsiasi disputa). Inoltre, l’AGCM contesta la scarsa assistenza post-vendita fornita ai clienti italiani in caso di problemi con i venditori terzi. ShopOnline Inc è preoccupata: rischia una sanzione reputazionale e pecuniaria.
Come difendersi: L’azienda incarica subito uno studio legale italiano. Invia all’AGCM una memoria difensiva sostenendo che in realtà ShopOnline è solo intermediario e non venditore, ma, rilevato che l’Autorità potrebbe non accettare questa linea (poiché il marketplace potrebbe comunque essere considerato professionista anch’esso tenuto al Codice Consumo), decide parallelamente di presentare proposte di impegno. In particolare, ShopOnline si dichiara pronta a: (a) modificare immediatamente le clausole contestate nei Termini e Condizioni, eliminando il foro estero per i consumatori italiani e chiarendo la propria responsabilità in caso di inadempimenti gravi dei venditori terzi; (b) istituire un servizio clienti localizzato in italiano per gestire i reclami entro 48 ore; (c) creare un fondo di garanzia per rimborsare gli acquirenti in caso di mancata consegna da parte dei venditori sulla piattaforma. Questi impegni vengono formalizzati e inviati all’AGCM. Dopo negoziazioni, l’Autorità li ritiene adeguati e chiude il procedimento rendendoli obbligatori, senza irrogare multa (o con una simbolica). ShopOnline implementa subito i cambiamenti sul sito (aggiornando i termini per gli utenti italiani) e informa via email tutti i clienti delle nuove garanzie. Outcome: l’azienda evita una multa e anche un danno di immagine (può anzi comunicare di aver migliorato la tutela dei clienti), e l’AGCM ottiene comunque il risultato di veder rispettate le norme di consumo. Un chiaro win-win ottenuto sfruttando lo strumento degli impegni e mostrando collaborazione.
Caso 3: Contestazione penale per truffa online seriale
Scenario: Un sito di e-commerce estero, BestElectro Ltd (con sede dichiarata a Dubai), vende online prodotti elettronici a prezzi stracciati ai consumatori di vari Paesi, inclusa l’Italia. Molti clienti però lamentano di non aver mai ricevuto nulla dopo il pagamento. In Italia arrivano decine di querele per truffa. La Procura di Milano apre un’indagine e scopre che il dominìo è gestito da due cittadini italiani che operano da un appartamento a Torino, facendo credere che la società sia a Dubai. Scatta un’indagine per associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Vengono individuati e arrestati i due soggetti, accusati di aver organizzato una frode seriale con vendite fantasma (oltre 100 clienti truffati per un totale di 200mila euro).
Difesa: La posizione è grave: reato plurimo, aggravato e organizzato, procedibile d’ufficio . Gli imputati, colti in flagrante con liste di clienti e pagamenti, hanno poche vie: in accordo col legale decidono di collaborare con le autorità per attenuanti. Forniscono l’elenco completo delle persone truffate e il dettaglio di dove sono finiti i soldi. Vengono recuperati su conti esteri circa 50mila euro ancora disponibili, che i due accettano di restituire alle vittime pro quota. Questo atteggiamento collaborativo viene valorizzato: il PM concorda per un patteggiamento. Gli imputati patteggiano 3 anni di reclusione ciascuno (pena ridotta per le attenuanti della collaborazione e parziale risarcimento) evitando il processo lungo. Inoltre, grazie alla restituzione parziale dei beni e all’avviso pubblico fatto sul sito (il legale suggerisce di mettere un messaggio su bestelectro.com scusandosi e invitando i clienti a denunciare per essere risarciti in procedura) , l’eventuale danno d’immagine è contenuto. Ovviamente l’attività viene chiusa. Outcome: in questo scenario di frode seria, la difesa non poteva ottenere un proscioglimento, ma ha mirato a ridurre il danno penale, evitando ai clienti la trafila del processo (che avrebbe portato comunque condanne ben più alte e nessun rimborso) e ottenendo per gli accusati una pena limitata e probabilmente scontabile ai domiciliari. La lezione qui è che, di fronte a truffe sistematiche, difendersi nel merito è quasi impossibile – l’obiettivo realistico è limitare le conseguenze tramite condotte post-fatto riparatorie (rimborsi, pentimento) .
Caso 4: Piccola impresa italiana vs fornitore estero (disputa B2B)
Scenario: Alfa S.r.l. (Italia) acquista 100 smartwatch da Beta Ltd (società con sede in UK) tramite un sito B2B. Pagamento anticipato 50%. La merce arriva ma 30 pezzi risultano difettosi. Alfa reclama, Beta risponde tardivamente e in modo insoddisfacente. Alfa decide di trattenere il saldo 50% e chiede la sostituzione dei 30 pezzi. Beta però insiste nel richiedere il pagamento residuo, minacciando azioni legali all’estero.
Soluzione difensiva: Alfa S.r.l. si trova come “debitore” verso Beta per il saldo, ma con fondata eccezione di inadempimento altrui (vizi merce). Alfa, tramite il suo legale, invia a Beta una diffida ad adempiere intimando la sostituzione dei 30 pezzi entro 15 giorni, altrimenti il contratto si risolverà e Beta dovrà restituire l’anticipo, offrendo però contestualmente di mettere il saldo a disposizione su un conto vincolato a garanzia (segno di buona fede). Beta ignora. Trascorsi i 15 giorni, Alfa dichiara risolto il contratto per grave inadempimento (art. 1454 c.c.) e notifica che compenserà il suo credito per restituzione anticipo (€X) con il debito residuo (€X), ritenendosi a posto. Beta a questo punto potrebbe adire il suo foro (UK) per esigere il pagamento. Alfa però è pronta: nell’ordine non c’era clausola di scelta foro, quindi Beta dovrà eventualmente citare Alfa in Italia (foro del convenuto). Alfa sa di avere ottime prove (report tecnici dei pezzi difettosi, foto, perizia). Probabilmente Beta rinuncerà visto l’esiguità (valore modesto) e accetterà la soluzione di Alfa. Outcome: Alfa ha “vinto” la disputa applicando gli strumenti legali italiani: ha legittimamente risolto il contratto e trattenuto quanto doveva, e Beta ha capito la posizione forte di Alfa. Se Beta avesse insistito, Alfa era comunque pronta a resistere in giudizio locale con buone chance, magari anche attivando un procedimento europeo per controversie modeste in via d’attacco per farsi restituire ulteriori spese. Questo caso evidenzia l’importanza per un debitore apparente (Alfa doveva il saldo) di far valere le eccezioni di inadempimento e usare gli strumenti contrattuali di autotutela (diffida, risoluzione) a suo favore.
Queste simulazioni, seppur semplificate, mostrano come le varie strategie difensive illustrate possano essere calate nei casi pratici: dall’adesione tributaria per sanare un’esterovestizione, alla collaborazione con l’AGCM per evitare sanzioni, fino al risarcimento delle vittime per mitigare sanzioni penali o all’uso accorto delle diffide contrattuali. Ogni situazione richiede un mix calibrato di strumenti, e il ruolo di consulenti legali esperti in diritto internazionale, tributario e consumeristico è spesso determinante per individuare la via d’uscita ottimale.
Domande frequenti (FAQ)
D: Un e-commerce con sede estera che vende in Italia deve rispettare le leggi italiane sui consumatori (ad esempio diritto di recesso, garanzie)?
R: Sì. Anche se la società è estera, se dirige la sua attività verso l’Italia (sito in italiano, spedizioni in Italia, marketing rivolto a italiani) è tenuta a rispettare le norme italiane a tutela del consumatore, in quanto norme di applicazione necessaria. Il Codice del Consumo italiano vale per tutte le vendite ai consumatori effettuate nel territorio italiano o comunque rivolte a esso. Ad esempio, deve concedere il diritto di recesso di 14 giorni per gli acquisti online , fornire informazioni precontrattuali chiare in italiano e non può inserire clausole vessatorie che limitino i diritti legali del consumatore (o se lo fa, tali clausole saranno nulle). Inoltre, in caso di controversia, il consumatore italiano potrà agire dinanzi al proprio foro e invocare le tutele italiane . Quindi, la risposta è assolutamente sì: “Paese che vai, usanza (legge) che trovi”, se vendi ai suoi cittadini devi seguirne le regole pro-consumatore.
D: Ho un piccolo e-commerce registrato in un altro Paese UE. Ora un cliente italiano minaccia di denunciarmi all’AGCM per pratica scorretta. L’AGCM può colpire la mia società estera?
R: Sì, l’AGCM ha competenza a intervenire a tutela dei consumatori italiani anche contro aziende estere. Lo fa regolarmente: ad esempio, ha multato società cinesi e americane (come Meta Ireland, Shein, etc.) per condotte lesive in Italia . In ambito UE c’è cooperazione: l’AGCM se necessario coordina con l’autorità del tuo Paese. Dunque, se la pratica scorretta si è svolta verso consumatori italiani, l’AGCM può avviare un’istruttoria e sanzionare. Tuttavia, prima di arrivare a ciò, conviene dialogare col cliente insoddisfatto e risolvere il problema. L’AGCM tipicamente interviene per violazioni che colpiscono molti consumatori o particolarmente gravi. Se è un caso isolato, risolvendolo eviterai quasi certamente il coinvolgimento dell’Autorità. In ogni caso, sappi che avere sede UE non ti immunizza: le autorità di consumatori formano una rete (CPC) per far rispettare le norme in tutta l’Unione.
D: Un consumatore italiano mi ha citato in tribunale in Italia, ma la mia società è straniera e nel contratto c’era scritto che valeva la legge del mio Paese. Posso far spostare il processo all’estero?
R: Se il tuo cliente è un consumatore, probabilmente no. Le clausole che impongono foro o legge straniera in un contratto con consumatore sono generalmente inefficaci . La normativa UE permette al consumatore di agire nel proprio Stato e applicare le proprie leggi protettive. Quindi, anche se nel tuo contratto c’era quella clausola, un giudice italiano la ignorerà per far valere i diritti del consumatore. Potresti tentare di eccepire l’incompetenza del giudice italiano, ma quasi sicuramente verrà respinta (a meno che tu riesca a provare che non hai affatto svolto attività verso l’Italia, il che contrasterebbe con la realtà se hai clienti italiani). Diverso è se la controparte fosse un’azienda (B2B): in tal caso le clausole di scelta del foro/legge sono valide di norma e potresti far valere il patto. Ma con un consumatore, purtroppo per il professionista, valgono le regole pro-consumatore: il processo resterà in Italia e dovrai difenderti nel merito lì.
D: La Guardia di Finanza può farmi un controllo fiscale anche se la mia azienda è all’estero?
R: La Guardia di Finanza controlla ciò che accade in Italia. Se la tua azienda estera ha attività rilevanti in Italia (es. vende molto qui, ha clienti e magari magazzini in Italia), sì, la GdF potrebbe svolgere accertamenti per verificare se hai una stabile organizzazione occulta o vendite non dichiarate . In pratica, la GdF potrebbe presentarsi presso eventuali riferimenti italiani (depositi, società collegate, rappresentanti) o chiederti documenti tramite rogatoria internazionale. Inoltre, incrocia dati: ad esempio, verifica su base doganale quanti pacchi spedisci in Italia. Se risultano movimenti consistenti di merce/vendite su suolo italiano e nessuna dichiarazione fiscale, possono avviare un’indagine. Ci sono stati casi in cui la GdF ha scoperto evasioni milionarie di aziende formalmente estere proprio attraverso controlli incrociati . Quindi, anche se sei all’estero su carta, non pensare di essere invisibile: le autorità italiane sono sempre più attrezzate (anche con strumenti informatici avanzati ) per individuare attività online irregolari collegate all’Italia. Se però operi correttamente (es. ti sei registrato OSS per l’IVA, rispetti gli adempimenti), un controllo GdF si concluderà senza problemi. In sintesi: la GdF non è onnipotente globalmente, ma entro certi limiti può eccome controllare un e-commerce estero che di fatto “vive” sul mercato italiano.
D: Ho ricevuto una cartella esattoriale in Italia per IVA non pagata da un mio e-commerce (ester) verso clienti italiani. Possono davvero obbligarmi a pagare?
R: Se hai ricevuto una cartella, significa che c’è stato un accertamento divenuto definitivo. L’Agente della Riscossione italiano può agire sui beni in Italia intestati a te o alla tua società. Se tu personalmente o la tua azienda non avete nulla in Italia, il recupero è difficile, ma non impossibile: tra Paesi UE esistono accordi di mutua assistenza, per cui l’Italia può chiedere al tuo Stato di riscuotere quelle somme come fossero sue . Quindi sì, il rischio di dover pagare è concreto, pena eventualmente vedersi limitare operatività nell’altro Paese. Ti conviene verificare se l’accertamento era legittimo (avevi possibilità di fare ricorso?) e valutare magari con un legale un’istanza di rateazione o un accordo transattivo. Ignorare la cartella potrebbe portare, col tempo, a maggiorazioni e interessi. Inoltre, se in futuro la tua azienda volesse stabilirsi o avere conti in Italia, troveresti quel debito. Dunque, meglio affrontare la questione ora, magari chiedendo autotutela se c’è un errore o una dilazione se riconosci il dovuto.
D: Sono un professionista italiano che vende corsi online e servizi digitali tramite una ditta individuale registrata all’estero. L’Agenzia delle Entrate mi contesta di non aver utilizzato l’OSS per l’IVA sui clienti UE e minaccia sanzioni. Posso difendermi dicendo che pensavo non servisse?
R: La “buona fede” purtroppo non evita la contestazione, ma può aiutare a ridurre le sanzioni. Se l’AdE ti contesta IVA non dichiarata per servizi digitali a privati UE, significa che dovevi utilizzare OSS o applicare l’IVA del Paese del cliente . Per difenderti dovresti dimostrare di aver comunque assolto l’IVA altrove o che l’importo era sotto soglia. Ad esempio, se puoi mostrare che il totale vendite UE era sotto €10.000, potresti dire che applicavi correttamente l’IVA del tuo Paese (se l’hai fatto). Oppure se hai applicato erroneamente solo l’IVA estera senza OSS, potresti provare a sanare ora (c’è una procedura di registrazione retroattiva in certi casi). La difesa “non sapevo” non annulla l’imposta dovuta, ma, come detto, può servire a chiedere clemenza sulle sanzioni evidenziando che la normativa è relativamente nuova e complessa. Magari cita che hai adeguato la procedura subito dopo (se lo hai fatto). In ogni caso, conviene regolarizzare velocemente: ad esempio, aderendo alla contestazione e pagando l’IVA dovuta con sanzioni ridotte (il ravvedimento operoso è un’opzione finché non c’è accertamento definitivo). Riassumendo: non potrai evitare di pagare ciò che è dovuto, ma collaborando e mostrando buona fede potrai probabilmente ridurre al minimo le sanzioni amministrative ed evitare strascichi penali (che scattano solo per somme molto elevate e dolo conclamato).
D: Se vengo multato dall’AGCM ma non ho sede né beni in Italia, cosa mi fanno se non pago?
R: In prima battuta, l’AGCM iscriverà a ruolo la sanzione in Italia. Se non hai beni in Italia, il recupero interno sarà infruttuoso. Tuttavia, come accennato, esiste la cooperazione europea: l’AGCM può coinvolgere la Commissione Europea e le autorità del tuo Paese per far eseguire la sanzione . Inoltre, l’AGCM potrebbe, per importi rilevanti, farti “ritenere” dal tuo Paese inadempiente a obblighi UE. In parallelo, tieni presente che continuando operare in Italia col sito, potresti essere soggetto a misure restrittive: l’AGCM in casi estremi chiede a provider internet di bloccare l’accesso al sito dall’Italia (oscuramento) se la pratica illecita continua e non paghi la multa. Un esempio: siti di vendita ingannevoli fantasma sono stati oscurati e multati in contumacia . Quindi, anche se pensi di poter ignorare, la tua attività potrebbe subire danni (perdita del mercato italiano, pubblicazione della sanzione sul bollettino – quindi cattiva pubblicità). La via migliore è evitare di arrivare a questo punto: se sei stato multato, valuta di fare ricorso al TAR o di negoziare una riduzione, ma non dare per scontato che nulla accada. Nell’UE, le sanzioni amministrative tendono a seguirti più di quanto si creda.
D: Ho scoperto che qualcuno ha copiato il mio sito e-commerce (stesso nome, sede estera fittizia) truffando clienti facendosi pagare al posto mio. Cosa posso fare per difendermi e farlo chiudere?
R: Questo è il rovescio della medaglia: sei tu il “creditore/vittima” di una frode altrui. Tuttavia, per complettezza: dovresti subito denunciare alla Polizia Postale la clonazione e la truffa in atto, fornendo prove. Puoi anche informare l’AGCM per un eventuale intervento di oscuramento del sito fake (l’AGCM ha spesso oscurato siti fraudolenti su segnalazione) . Inoltre, se il dominio è simile al tuo marchio, puoi rivolgerti all’autorità di registrazione dei domini (es. ICANN o registro nazionale) e segnalare il phishing/abuso, chiedendo la sospensione del dominio . Nel frattempo, comunica ai tuoi clienti sul tuo sito ufficiale l’esistenza del clone, così che non cadano vittime . Purtroppo, dal punto di vista legale tradizionale, far causa a ignoti è difficile, ma questi passi aiutano a fermare il danno. La Polizia Postale e la GdF hanno unità specializzate per rintracciare amministratori di siti fraudolenti, anche all’estero, e cooperano con Interpol se necessario. Quindi la difesa migliore è attaccare sul fronte delle autorità competenti. E tu, come parte lesa, verrai considerato testimone nella vicenda. (Nota: questo scenario mostra che a volte le posizioni si invertono – le stesse autorità di cui sopra possono diventare alleate quando sei vittima di un e-commerce truffaldino altrui).
D: In caso di controversie, meglio affidarsi a un legale italiano o uno del Paese in cui ha sede la società estera?
R: Dipende dal tipo di controversia. Se parliamo di contestazioni in Italia (cause nei tribunali italiani, accertamenti Agenzia Entrate, procedimenti AGCM), ti serve sicuramente un legale italiano abilitato, perché conosce le leggi italiane e può rappresentarti qui. Un avvocato estero non potrebbe difenderti davanti a un TAR o un tribunale italiano (a meno che non coadiuvi un collega locale). Viceversa, se la disputa finisce all’estero (ad es. un cliente ti cita nel tuo Paese), allora serve un legale di lì. In molti casi transnazionali serve una coordinazione tra legali di entrambi i Paesi: ad esempio, potresti avere un tributarista italiano per l’aspetto fiscale qui e un commercialista nel tuo Paese per gestire OSS/IVA locale e fornire documenti. Quindi, la risposta breve: per contestazioni su attività in Italia, serve un esperto di diritto italiano. L’ideale è trovare studi legali con partnership internazionali, così da coprire entrambi i fronti. Considera anche la possibilità di risolvere con strumenti europei (piccole cause, ODR) dove magari non serve neppure un legale formalmente, ma avere almeno una consulenza di un avvocato italiano ti aiuterà a decidere la strategia migliore di difesa o conciliazione.
D: Quali sono le sanzioni penali più comuni per queste vicende e come evitarle?
R: Le sanzioni penali possono variare: per la truffa si va, in teoria, fino a 3 anni (più aggravanti); per reati fiscali anche 4-6 anni in casi gravi; per contraffazione fino a 4 anni. Nei fatti, se sei incensurato e collabori, spesso le pene vengono sospese o ridotte con patteggiamenti. Il modo migliore di “evitarle” è non far scattare il penale: quindi rispettare soglie e obblighi fiscali (così non arrivi a 1 milione di evasione che fa intervenire la procura), mantenere rapporti corretti con i clienti (così nessuno ti denuncia per truffa) e sanare velocemente eventuali errori (pagare il dovuto prima che la cosa sfoci in reato) . Se comunque succede, come detto, la strada è risarcire/tombare il debito e chiedere tramite il tuo avvocato magari soluzioni alternative (messa alla prova, patteggiamento, etc.). Tieni presente che, ad esempio, aver rimborsato le vittime di una presunta truffa prima del processo spesso convince il giudice a considerare il fatto di lieve entità o a dare il minimo della pena. Quindi la “sanzione” la applichi tu stesso a te pagando ciò che devi – ma così eviti la punizione penale più pesante.
Conclusione: Le contestazioni relative a e-commerce esteri attivi in Italia possono sembrare complesse e multilivello, ma con una conoscenza aggiornata della normativa e un approccio tempestivo e strategico è possibile difendersi efficacemente. Che si tratti di un accertamento fiscale, di una multa dell’AGCM o di un reclamo di un cliente, la chiave sta nel comprendere qual è l’autorità o la controparte da affrontare, quale legge si applica, e quali strumenti giuridici mettere in campo. Speriamo che questa guida – ricca di riferimenti normativi, giurisprudenziali e pratici – fornisca un valido supporto sia ai professionisti del settore legale, sia agli imprenditori digitali e ai privati che navigano in queste acque insidiose. Ricordate che essere esteri non significa essere fuori legge: la globalizzazione impone responsabilità globali. Ma, d’altro canto, esistono tutele e difese per far valere le proprie ragioni in ogni sede opportuna. Informazione, preparazione e assistenza specializzata sono le armi vincenti per chiunque debba difendersi in materia di e-commerce transfrontaliero.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché la tua società di e-commerce ha sede legale all’estero ma svolge attività effettiva in Italia? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché la tua società di e-commerce ha sede legale all’estero ma svolge attività effettiva in Italia?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
Quando una società è registrata all’estero ma la direzione effettiva, la logistica o la gestione commerciale avvengono dall’Italia, il Fisco può riqualificarla come esterovestita. In tal caso, tutti i redditi vengono tassati in Italia, con recupero delle imposte e applicazione di sanzioni.
👉 Prima regola: dimostra con prove concrete dove si trova il centro di gestione e direzione dell’attività.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Amministratori residenti in Italia che prendono le decisioni strategiche;
- Magazzini, dipendenti o strutture logistiche in Italia;
- Conti correnti esteri gestiti da soggetti italiani;
- Clientela prevalentemente italiana senza corretta dichiarazione IVA;
- Sedi estere solo formali, prive di personale o uffici reali.
📌 Conseguenze della contestazione
- Tassazione in Italia dei redditi della società;
- Recupero delle imposte non versate con interessi;
- Sanzioni per esterovestizione;
- Perdita di eventuali benefici fiscali esteri;
- Possibili procedimenti penali per frode fiscale internazionale.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Verbali e delibere del consiglio di amministrazione: dove vengono prese le decisioni?
- Struttura operativa estera: uffici, dipendenti, logistica effettivamente esistenti?
- Gestione bancaria: chi amministra realmente i conti?
- Flussi di vendita: da quali Paesi provengono i ricavi principali?
- Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia si è basata su dati concreti o su presunzioni?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Atto costitutivo e statuto della società estera;
- Contratti con dipendenti e fornitori locali;
- Contratti di logistica o magazzino nel Paese estero;
- Estratti conto bancari esteri;
- Report e bilanci certificati.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la sostanza economica della sede estera con prove documentali;
- Contestare la riqualificazione come esterovestizione se priva di fondamento;
- Eccepire vizi formali dell’accertamento: motivazione insufficiente, decadenza dei termini, notifica irregolare;
- Richiedere autotutela se l’Agenzia non ha valutato documenti già presentati;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni;
- Difesa penale se vengono ipotizzati reati tributari internazionali.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la struttura societaria e le contestazioni ricevute;
📌 Verifica la legittimità dell’accertamento e la corretta applicazione della normativa fiscale;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire attività di e-commerce internazionale in modo sicuro e trasparente.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale ed e-commerce;
✔️ Specializzato in difesa da contestazioni su esterovestizione e società con sede estera;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’e-commerce con sede estera ma attività effettiva in Italia non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni o da interpretazioni arbitrarie.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittima residenza fiscale della società, evitare la riqualificazione come esterovestita e ridurre sanzioni e interessi.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sull’e-commerce internazionale inizia qui.