Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché i guadagni ottenuti da piattaforme di peer-to-peer lending non sono stati dichiarati? In questi casi, l’Ufficio presume che gli interessi percepiti dai prestiti tra privati tramite piattaforme digitali siano redditi imponibili non dichiarati. La conseguenza è il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è corretta: con una difesa ben strutturata è possibile ridurre o annullare la pretesa fiscale.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i guadagni da P2P lending
– Se i proventi derivanti dagli interessi non sono stati inseriti nella dichiarazione dei redditi
– Se le piattaforme estere non hanno applicato ritenute fiscali e i guadagni non sono stati auto-dichiarati
– Se vi sono incongruenze tra i dati trasmessi dalle piattaforme e quanto dichiarato
– Se gli importi movimentati non trovano giustificazione nei redditi dichiarati
– Se l’Ufficio ritiene che il contribuente abbia omesso sistematicamente redditi finanziari
Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte sugli interessi percepiti e non dichiarati
– Applicazione di sanzioni per omessa o infedele dichiarazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Maggior rischio di controlli su altre fonti di reddito finanziario
– Possibili segnalazioni antiriciclaggio in caso di movimentazioni anomale
Come difendersi dalla contestazione
– Produrre estratti conto e certificazioni delle piattaforme di peer-to-peer lending
– Dimostrare che alcune somme non costituiscono reddito imponibile (es. rimborsi di capitale)
– Contestare errori di calcolo dell’Agenzia o difetti di istruttoria
– Evidenziare vizi di motivazione o carenze probatorie nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione delle piattaforme e i flussi finanziari contestati
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta tassazione dei guadagni da P2P lending
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari contro richieste indebite
– Tutelare il patrimonio personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o l’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della corretta tassazione dei soli interessi effettivamente percepiti
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di regolarizzare la posizione fiscale senza aggravi indebiti
⚠️ Attenzione: i guadagni da peer-to-peer lending rientrano tra i redditi di capitale e vanno sempre dichiarati. Le contestazioni devono essere impugnate entro 60 giorni dalla notifica.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità degli investimenti digitali – spiega come difendersi in caso di contestazioni per omissione di guadagni da peer-to-peer lending e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Negli ultimi anni il peer-to-peer lending (o social lending) – i prestiti tra privati tramite piattaforme online – si è diffuso anche tra gli investitori italiani. Piattaforme estere come Mintos (Lettonia), Bondora (Estonia) o Lendix (oggi October, Francia) hanno attirato capitali italiani promettendo rendimenti interessanti. Tuttavia, molti utenti non erano consapevoli degli obblighi fiscali connessi a questi investimenti. L’Agenzia delle Entrate (AE) ha intensificato i controlli e spesso rileva omissioni nella dichiarazione dei redditi: in particolare, mancata indicazione degli interessi e degli altri proventi derivanti dal P2P lending, nonché l’omessa compilazione del quadro RW per il monitoraggio delle attività finanziarie estere.
Nel 2024 è stato annunciato l’invio massivo di lettere di compliance (adempimento spontaneo) a milioni di contribuenti, per segnalare anomalie o omissioni e invitarli a regolarizzare . Si tratta di avvisi preliminari che precedono un eventuale accertamento formale e consentono al contribuente di correggere gli errori ed evitare sanzioni più gravi . In questo contesto, molti investitori in P2P lending potrebbero ricevere comunicazioni relative a redditi non dichiarati su piattaforme estere. Di seguito, forniremo una guida approfondita (aggiornata ad agosto 2025) per comprendere la normativa italiana sul peer-to-peer lending, le possibili violazioni (omessa dichiarazione di redditi, mancato monitoraggio, ecc.), e soprattutto come difendersi in qualità di contribuenti (privati, professionisti o imprenditori) di fronte a contestazioni del Fisco.
Esamineremo il quadro normativo di riferimento, le sanzioni previste (amministrative e penali) per chi omette di dichiarare questi guadagni, e le strategie difensive possibili: dal ravvedimento operoso (regolarizzazione volontaria) agli strumenti di definizione agevolata o di contenzioso tributario (accertamento con adesione, ricorso alle Commissioni Tributarie). Saranno riportate le ultime sentenze e chiarimenti ufficiali, con riferimenti a interpelli e pronunce recenti dell’Agenzia delle Entrate e della Cassazione. Non mancheranno esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di Domande & Risposte, il tutto con un linguaggio accurato dal punto di vista giuridico ma comprensibile anche ai non addetti ai lavori. L’obiettivo è fornire un vademecum completo – dal punto di vista del contribuente “debitore” che si trova a doversi difendere – su come affrontare al meglio un’eventuale contestazione fiscale riguardante i proventi da peer-to-peer lending.
Il quadro normativo: tassazione del peer-to-peer lending in Italia
Il trattamento fiscale del peer-to-peer lending è stato definito dal legislatore italiano a partire dal 2018. La Legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017 n. 205) ha inserito nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) una disciplina specifica per i proventi da P2P lending. In particolare, l’art. 1 comma 43 di tale legge ha introdotto la lettera d-bis) al comma 1 dell’art. 44 TUIR, stabilendo che gli interessi e altri proventi derivanti da prestiti tra privati tramite piattaforme online (peer-to-peer lending) costituiscono redditi di capitale . Contestualmente, il comma 44 della stessa legge ha previsto che i gestori delle piattaforme applichino una ritenuta alla fonte del 26% a titolo d’imposta sui redditi di capitale corrisposti alle persone fisiche . In altre parole, quando ricorrono determinati requisiti, gli interessi da P2P lending subiscono una ritenuta del 26% come imposta sostitutiva, analoga a quella applicata ad interessi bancari o dividendi, e non concorrono al reddito imponibile IRPEF del percettore .
Quali sono i requisiti per l’applicazione del 26% fisso? La normativa prevede due condizioni fondamentali :
- Soggettiva (investitore): il finanziatore deve essere una persona fisica che investe in P2P lending al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa. Sono esclusi quindi i soggetti business: se a investire è, ad esempio, una società commerciale, un ente o una persona fisica che opera come imprenditore, il regime del 26% non si applica . (In tal caso gli eventuali proventi avrebbero altra natura fiscale, come vedremo tra breve).
- Oggettiva (piattaforma): la piattaforma di P2P lending deve essere gestita da un soggetto autorizzato in Italia, ossia un intermediario finanziario iscritto all’albo ex art. 106 TUB oppure un istituto di pagamento ex art. 114 TUB, autorizzato dalla Banca d’Italia . Solo tali gestori qualificati possono operare come sostituti d’imposta.
Se entrambe le condizioni sono soddisfatte, la piattaforma applica all’origine la ritenuta del 26% a titolo d’imposta e l’investitore persona fisica non deve inserire quei proventi nella propria dichiarazione IRPEF (sono redditi già tassati definitivamente) . Questo regime fiscale “agevolato” equipara di fatto il crowdlending ad altre rendite finanziarie a tassazione separata del 26%.
Cosa accade invece se le condizioni non sono rispettate? In tutti gli altri casi, gli interessi da P2P lending non scontano la ritenuta d’imposta e dunque devono essere dichiarati dal contribuente nella sua dichiarazione annuale dei redditi, concorrendo alla formazione del reddito complessivo IRPEF . È quanto chiarito espressamente dall’Agenzia delle Entrate in varie occasioni: ad esempio, con la risposta a interpello n. 169/2020, l’AE ha precisato che per gli investimenti su piattaforme estere non rientranti tra i soggetti autorizzati di cui alla lettera d-bis) TUIR, trovano applicazione le regole ordinarie dell’art. 44 comma 1 lett. a) TUIR, cioè quelle previste per interessi da mutui, depositi e conti correnti . In sostanza, il finanziamento P2P è assimilato a un contratto di mutuo fra privati e i relativi interessi sono redditi di capitale imponibili. Pertanto, se la piattaforma non è un sostituto d’imposta abilitato, l’investitore deve indicare gli interessi percepiti nel quadro RL della propria dichiarazione (Redditi PF) e tali somme saranno tassate ad IRPEF con aliquota progressiva (unitamente agli altri redditi del contribuente).
Vale la pena sottolineare che questa situazione riguarda non solo le piattaforme chiaramente straniere, ma anche molte piattaforme di P2P lending italiane “operative” nel nostro Paese ma non autorizzate da Banca d’Italia. Ad esempio, diversi portali italiani di social lending si appoggiano a istituti di pagamento esteri (come la francese Lemonway per la gestione dei flussi finanziari) e quindi non possiedono in proprio i requisiti soggettivi TUB. L’AE ha chiarito che la grande maggioranza delle piattaforme italiane di P2P lending non rientra nelle categorie autorizzate e, di conseguenza, chi investe su tali piattaforme non può godere della ritenuta del 26%: dovrà dichiarare i proventi (tipicamente interessi) nel proprio IRPEF . Questo raffredda un po’ gli entusiasmi sulla norma del 2018, che di fatto si applica solo alle piattaforme pienamente vigilate (ad oggi poche). Resta però un criterio guida: se non c’è sostituto d’imposta italiano, l’onere dichiarativo ricade sull’investitore. Ne consegue che tutti gli interessi maturati su conti P2P esteri (Mintos, Bondora, etc.) o su piattaforme italiane non abilitate vanno dichiarati come redditi di capitale soggetti a IRPEF. Ad esempio, per il conto Mintos è obbligatoria la compilazione del quadro RW e gli interessi vanno tassati in base al proprio scaglione IRPEF (come confermano anche guide fiscali specializzate).
Infine, per completezza, notiamo che se l’investitore non è persona fisica “privata” ma ad esempio una società o un lavoratore autonomo in contabilità, la ritenuta del 26% non si applica comunque (essendo esclusa per soggetti diversi dalle persone fisiche) . Gli interessi percepiti da una società di capitali confluiranno nel reddito d’impresa imponibile IRES (aliquota 24%) o IRPEF (se ditta individuale) secondo le regole ordinarie, e l’eventuale ritenuta subìta (se applicata erroneamente) fungerebbe solo da anticipo/acconto. In pratica un’azienda residente che investe in P2P lending estero dovrà contabilizzare gli interessi attivi e assoggettarli a tassazione nel proprio bilancio, senza alcuna imposta sostitutiva fissa. Inoltre, va segnalato che solo le persone fisiche e pochi altri soggetti sono tenuti al monitoraggio RW e all’IVAFE (come vedremo nel prossimo paragrafo): le società di capitali residenti, ad esempio, non compilano il quadro RW, pur dovendo naturalmente dichiarare i redditi esteri conseguiti. Dunque, questa guida si focalizzerà principalmente sul caso degli investitori privati, che è quello tipicamente oggetto delle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate in tema di peer-to-peer lending.
Monitoraggio fiscale e IVAFE: conti esteri su piattaforme P2P
Oltre alla tassazione dei redditi, chi investe in piattaforme estere di P2P lending deve rispettare gli obblighi di monitoraggio fiscale delle attività finanziarie detenute all’estero. In Italia vige infatti l’art. 4 del D.L. 167/1990 (conv. in L. 227/1990), che impone alle persone fisiche residenti (non imprenditori) di indicare nel quadro RW della dichiarazione annuale tutte le attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. Questo obbligo di monitoraggio include conti correnti, depositi bancari, investimenti finanziari, partecipazioni, ecc., detenuti all’estero, anche se intestati tramite intermediari non residenti. Le piattaforme di peer-to-peer lending rientrano a pieno titolo in queste attività: l’Agenzia Entrate ha confermato che gli investimenti su piattaforme estere di P2P lending devono essere indicati nel quadro RW, indipendentemente dal fatto che la piattaforma sia italiana o estera, e a prescindere dal fatto che i soggetti finanziati (debitori) siano italiani o stranieri . Ciò perché, di norma, per utilizzare queste piattaforme l’investitore detiene un conto di pagamento all’estero (spesso in forma di e-wallet presso un istituto di moneta elettronica estero convenzionato con la piattaforma). Dunque, anche se la piattaforma avesse sede in Italia, ma il denaro transitasse su conti accentrati all’estero, andrebbe comunque segnalato.
In pratica, l’utente italiano di Mintos, Bondora, October ecc. deve compilare il quadro RW indicando, per ogni anno, il valore delle attività detenute su ciascuna piattaforma estera. Secondo le istruzioni AE, tali investimenti vanno classificati con il codice “14” – Altre attività estere di natura finanziaria , riportando il Paese estero in cui è situato il conto/piattaforma (es. Lettonia per Mintos, Estonia per Bondora, Francia per October, ecc.) e il valore massimo o valore finale delle somme investite nel periodo. Vanno incluse sia le disponibilità liquide sul conto estero sia gli importi impiegati nei prestiti (crediti vantati). Inoltre, se nel corso dell’anno si sono avuti trasferimenti da o verso l’estero, occorre compilare le relative colonne del quadro RW (monitoraggio dei flussi).
IVAFE – imposta sul valore delle attività finanziarie estere: oltre alla segnalazione, per le attività finanziarie estere è dovuta un’imposta patrimoniale, l’IVAFE, pari al 2 per mille annuo del valore dell’attività (lo 0,2% annuo, analogo all’imposta di bollo sui conti italiani). Anche l’IVAFE va calcolata e versata dal contribuente in dichiarazione (quadro RW, sezione dedicata). L’obbligo di IVAFE si applica alle attività finanziarie detenute all’estero, ma con alcune eccezioni nel caso del P2P lending. In particolare, l’AE ha chiarito che se l’investimento P2P ha natura di prodotto finanziario – cioè se è negoziabile sul mercato dei capitali – allora è soggetto a IVAFE, altrimenti no . Cosa significa? Nella risposta a interpello n. 155/2022 è stato precisato che le piattaforme P2P che consentono all’investitore di cedere o comprare sul “mercato secondario” le proprie quote di finanziamento (uscendo anticipatamente dall’investimento) configurano prodotti finanziari veri e propri, dotati di “negoziabilità” . In tali casi, sull’investimento è dovuta l’IVAFE al 2‰ annuo. Viceversa, se una piattaforma non permette alcuna forma di trasferimento/cessione dei crediti (investimento non liquidabile se non a scadenza), l’AE ritiene che non si configuri un prodotto finanziario ai fini IVAFE: dunque l’IVAFE non è dovuta in quel caso (resta però l’obbligo del quadro RW). Molte piattaforme estere (ad esempio Mintos, Bondora) hanno un mercato secondario per rivendere i prestiti, quindi i relativi investimenti scontano l’IVAFE. Altre magari no (o non lo avevano per gli anni passati), quindi andrebbe valutato caso per caso.
Come calcolare l’IVAFE sul P2P lending? L’imposta si applica sul valore di mercato o valore nominale dell’attività finanziaria. L’AE ha precisato che, per le quote di finanziamento acquistate sul mercato secondario di una piattaforma P2P, il valore da considerare ai fini IVAFE è il valore nominale del credito (non il costo di acquisto) . Dunque, se ho acquistato un prestito da €100 a €90 sul mercato secondario, ai fini IVAFE il valore rimane €100. In generale, si utilizza il valore di rimborso dei crediti a fine anno o, in mancanza, il saldo del conto estero. L’IVAFE si calcola in proporzione alla quota di possesso e ai giorni di detenzione nell’anno . Ad esempio, se ho detenuto in media €10.000 su Mintos per tutto l’anno, l’IVAFE sarà €10.000 × 0,2% = €20.
Nota bene: esiste una soglia di esenzione per importi modesti. Se il valore totale delle attività finanziarie estere possedute dal contribuente non supera €5.000 (valore medio di giacenza) in un anno, l’IVAFE non è dovuta . Questa soglia vale come franchigia (analoga a quella prevista per l’imposta su conti esteri). Ciò non esonera però dalla compilazione del quadro RW, che va effettuata ugualmente anche per piccoli importi (salvo il caso particolare in cui l’attività estera produca redditi già tassati alla fonte da intermediario italiano). In pratica, chi ha poche migliaia di euro investite su piattaforme estere dovrà comunque dichiararle in RW, ma se la consistenza media annua è inferiore a 5.000 € non pagherà IVAFE.
Riassumendo gli obblighi dichiarativi per un investitore P2P residente in Italia:
- Dichiarazione dei redditi (quadro RL o RT): indicare gli interessi attivi percepiti tramite piattaforme non soggette a ritenuta a titolo d’imposta, assoggettandoli a tassazione IRPEF (o a imposta sostitutiva se applicabile, ad es. in futuro, ma attualmente è IRPEF progressiva) . Per le piattaforme con ritenuta 26% operata, invece, non si dichiara nulla in Redditi (ma solo eventualmente in un prospetto riepilogativo).
- Quadro RW – monitoraggio: indicare i conti esteri o comunque le attività finanziarie detenute all’estero per l’investimento P2P (valori massimi e finali, Paese estero, codice 14) . Questo vale per tutte le piattaforme estere e anche per quelle italiane che utilizzano conti esteri di appoggio. Non va compilato RW se i fondi sono transitati esclusivamente tramite un intermediario italiano (es. conto corrente italiano dedicato): ma ciò è raro nei modelli P2P esteri.
- Calcolo e versamento IVAFE: applicare l’imposta patrimoniale dello 0,2% annuo sul valore dei crediti/investimenti P2P detenuti se dovuta, ossia se l’investimento ha natura di prodotto finanziario (piattaforma con mercato secondario, ecc.) e se il valore supera la soglia di esenzione di 5.000 €. L’IVAFE si dichiara nel quadro RW (rigo colonna specifica) e si versa con il saldo imposte (codice tributo 4043 o similare).
La corretta compilazione del quadro RW e il pagamento dell’IVAFE sono fondamentali per evitare le pesanti sanzioni sul monitoraggio (dettagli nel paragrafo sanzioni). L’Agenzia delle Entrate dispone oggi di molte informazioni incrociate: ha accesso ai dati dei conti esteri dei residenti tramite accordi internazionali di scambio automatico di informazioni finanziarie (Common Reporting Standard – CRS, recepito in UE con la DAC2) . Banche e intermediari esteri, inclusi molti operatori fintech, comunicano annualmente alle autorità fiscali i dati dei conti detenuti da soggetti non residenti; tali informazioni vengono poi trasmesse al Paese di residenza del titolare . Ad esempio, il Lussemburgo invia all’Italia i dati dei conti PayPal intestati a residenti italiani . Analogamente possiamo ipotizzare che le piattaforme P2P (molte delle quali operano tramite istituti finanziari UE) rientrino nel perimetro CRS: dunque saldi e movimenti dei conti P2P esteri potrebbero essere noti all’Agenzia. È proprio grazie a queste segnalazioni che l’AE negli ultimi anni ha iniziato a inviare lettere di compliance per conti non dichiarati (ad es. conti PayPal esteri, wallet fintech, ecc.) . Pertanto, omettere il quadro RW espone al concreto rischio che il Fisco scopra l’esistenza dell’investimento estero e proceda ad accertamento.
Tassazione IRPEF dei proventi da P2P lending: esempi pratici
Come visto, in assenza di ritenuta a titolo d’imposta, gli interessi da peer-to-peer lending sono imponibili IRPEF. È utile comprendere quanto si pagherà effettivamente su tali proventi, anche per valutare il potenziale debito tributario in caso di omissione.
Gli interessi incassati tramite P2P lending si sommano agli altri redditi del contribuente (salvo il caso particolare in cui si optasse per un regime fiscale diverso, ma attualmente non vi è regime sostitutivo dedicato). Dunque l’aliquota applicabile dipenderà dallo scaglione IRPEF di appartenenza del percettore nell’anno di riferimento (23%, 25%, 35%, 43% circa, a seconda del reddito complessivo). Questo significa che chi ha redditi medio-alti potrebbe pagare fino al 43% di imposta sui proventi da P2P lending non tassati alla fonte, ben superiore all’aliquota fissa del 26% che si sarebbe applicata se la piattaforma fosse stata autorizzata . Ad esempio, un investitore con reddito imponibile totale di €50.000 annui (aliquota marginale IRPEF 35%) e interessi P2P per €2.000 dovrà circa €700 di imposte su tali interessi, mentre se fossero stati tassati alla fonte al 26% avrebbe pagato €520. Viceversa, un contribuente con reddito basso (aliquota 23%) su €2.000 di interessi pagherà €460, leggermente meno che con il 26%. In generale però, data la progressività, chi rientra oltre la prima fascia finisce per pagare un’imposta superiore al 26%.
Esempio 1: Anna, contribuente con aliquota marginale 43%, ha ricavato €1.000 di interessi nel 2022 tramite la piattaforma estone X (non sostituto d’imposta). Se dichiara correttamente, pagherà €430 di IRPEF su tali interessi (43%). Se la piattaforma fosse stata autorizzata in Italia, avrebbe pagato solo €260 (26%) e null’altro. Questo gap fiscale in passato ha indotto alcuni investitori a sottovalutare la necessità di dichiarare – ma come vedremo, le sanzioni per la mancata dichiarazione superano di gran lunga qualsiasi “risparmio” sperato.
Esempio 2: Marco, aliquota marginale 25%, ricava €500 di interessi l’anno su Bondora. Dovrebbe pagare circa €125 di IRPEF. Se erroneamente non dichiara nulla, risparmia €125 nell’immediato, ma rischia in seguito sanzioni che possono arrivare a diversi cento euro (oltre all’imposta comunque dovuta).
Deduzioni e costi: una caratteristica importante della categoria “redditi di capitale” è che non sono deducibili i costi sostenuti per ottenerli, salvo eccezioni espressamente previste (che qui non ricorrono). Ciò significa che l’investitore non può dedurre o detrarre eventuali commissioni o perdite di capitale legate ai prestiti P2P. Ad esempio, se alcuni debitori non rimborsano il prestito (perdite su crediti), tali perdite non riducono l’ammontare degli interessi tassabili né possono essere portate in detrazione. Attualmente, il nostro ordinamento non consente alle persone fisiche di dedurre fiscalmente le perdite sui crediti inesigibili da P2P – non esiste una norma che equipari tali perdite a minusvalenze compensabili . Di conseguenza, l’investitore paga imposta sull’interesse lordo percepito, anche se una parte del capitale investito è andata persa. (Solo in ambito di reddito d’impresa sarebbe possibile dedurre perdite su crediti con specifiche procedure di svalutazione, ma non è il caso del privato). Questa asimmetria va tenuta presente: il rendimento netto effettivo al netto delle tasse e delle eventuali perdite può risultare molto inferiore a quello nominale atteso.
Crediti d’imposta esteri: in linea teorica, se sugli interessi P2P fosse stata applicata una qualche ritenuta fiscale all’estero, il contribuente italiano potrebbe fruire del credito per imposte estere (art. 165 TUIR) per evitare doppia tassazione, entro il limite dell’imposta italiana. Tuttavia, nella pratica del P2P lending, di solito gli interessi vengono corrisposti al lordo al finanziatore estero, senza ritenute nel Paese del debitore (i prestiti P2P sono spesso transfrontalieri e difficilmente i debitori privati operano ritenute). Pertanto, raramente vi sono imposte estere da scomputare. Un caso particolare può essere la piattaforma Lendix/October: inizialmente, gli interessi pagati da società francesi a investitori non residenti in Francia potevano essere soggetti a una ritenuta d’oltremonte. Se un investitore italiano si fosse visto applicare tale ritenuta francese, avrebbe potuto dichiarare il reddito lordo e detrarre l’imposta francese pagata, in base alla Convenzione Italia-Francia, evitando così di pagare due volte. In mancanza di documentazione (certificato di tassazione francese), però, il Fisco italiano presume che l’interesse sia percepito integralmente. In generale, se avete pagato tasse all’estero sui proventi P2P, riportatelo al commercialista o nel quadro CE per chiedere il credito d’imposta.
Ricapitolando: i redditi da peer-to-peer lending percepiti da persone fisiche residenti, quando non tassati alla fonte con ritenuta d’imposta, vanno riportati nella dichiarazione italiana come “redditi di capitale” tassati per cassa. Non concorrono al reddito complessivo solo se già assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta del 26% . Negli altri casi subiscono l’IRPEF ordinaria. Non è attualmente prevista un’imposta sostitutiva opzionale né alcuna esenzione specifica. Dunque l’investitore deve provvedere autonomamente al calcolo e versamento dell’imposta su base annuale.
Conseguenze in caso di omessa dichiarazione: sanzioni e rischi
L’omessa dichiarazione dei redditi derivanti da P2P lending e/o l’omessa compilazione del quadro RW configurano violazioni tributarie che possono comportare sanzioni molto pesanti. Analizziamo separatamente le sanzioni amministrative tributarie e le eventuali responsabilità penali, per poi vedere come il contribuente può rimediare o difendersi.
Sanzioni amministrative per omessa o infedele dichiarazione dei redditi
Se un contribuente non dichiara affatto nella propria dichiarazione annuale i redditi di capitale da P2P lending, la sua dichiarazione risulta infedele (falsa/incompleta) ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. 471/1997. La normativa prevede, in generale, una sanzione dal 90% al 180% dell’imposta dovuta relativa ai redditi non dichiarati . Nel caso specifico di redditi esteri non dichiarati, la legge è ancora più severa: le sanzioni sono aumentate di 1/3 (un terzo) rispetto al normale . In termini pratici, l’intervallo di sanzione diventa dal 120% al 240% dell’imposta evasa .
Facciamo un esempio numerico: se Tizio ha omesso di dichiarare €1.000 di interessi P2P su cui avrebbe dovuto pagare €260 di imposte, in caso di accertamento la sanzione base potrà oscillare da un minimo di circa €312 (120% di €260) fino a €624 (240% di €260). L’ufficio in genere applica almeno il minimo edittale (120% in questi casi) qualora il contribuente sia collaborativo e senza recidiva, ma può aumentare la percentuale in base alla gravità, entità dell’evasione, comportamento, ecc. Queste sanzioni si sommano naturalmente al pagamento dell’imposta evasa e degli interessi di mora.
Da notare che, qualora la dichiarazione annuale fosse del tutto omessa (cioè il contribuente non ha presentato la dichiarazione dei redditi per niente, pur essendovi tenuto), la violazione è più grave: la sanzione prevista è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (minimo 120%). Tuttavia, nella maggior parte dei casi che trattiamo qui, il contribuente ha presentato la dichiarazione per altri redditi ma ha “dimenticato” di includere i redditi da P2P, configurando dunque una dichiarazione infedele (parziale). In tal caso, come detto, la sanzione base è 90-180% imposta (elevata a 120-240% per componente estera).
Le sanzioni per infedele dichiarazione su redditi esteri possono cumularsi con quelle per il correlato omesso monitoraggio RW, di cui diremo a breve. Ciò significa che, ad esempio, per un conto P2P non dichiarato né come redditi né come attività estera, l’atto di accertamento può contenere due distinte sanzioni: una proporzionale all’imposta evasa (infedele dichiarazione) e una proporzionale al valore non monitorato (omesso RW) . È importante esserne consapevoli, perché l’impatto economico complessivo può diventare notevole.
In tutti i casi, oltre alla sanzione percentuale, il contribuente dovrà versare anche gli interessi moratori sull’imposta evasa, calcolati al tasso legale annuo dalla data in cui andava versata (di norma dal termine di pagamento del saldo per l’anno in questione) fino alla data di pagamento effettivo. Il tasso legale è attualmente intorno al 5% annuo (nel 2023-2025), quindi su 3-4 anni di ritardo gli interessi cumuleranno un ulteriore ~10-15% dell’imposta dovuta.
Per contestualizzare: poniamo che Caio non abbia dichiarato €2.000 di interessi P2P relativi al 2020 (€2.000 × aliquota 26% = €520 di imposte evase). Se l’AE lo scopre nel 2025 e gli notifica un accertamento, Caio potrebbe trovarsi a pagare: €520 di imposta, circa €80 di interessi maturati, e una sanzione che parte da €624 (120% di 520) e potrebbe arrivare fino a €1.248 (240% di 520) . Ipotizzando che applichino il minimo, Caio verserà complessivamente ~€1.224 (520+80+624), ossia oltre 2,3 volte l’imposta evasa. Se invece Caio avesse spontaneamente regolarizzato prima, la spesa sarebbe stata molto inferiore (vedremo come).
Sanzioni per omesso monitoraggio (Quadro RW e IVAFE)
L’omessa compilazione del quadro RW per le attività finanziarie estere comporta una sanzione amministrativa propria, indipendente da quella sui redditi. Ai sensi dell’art. 5, co. 2 D.L. 167/1990, la sanzione è dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato . Se le attività estere erano detenute in un Paese a fiscalità privilegiata (Paese black list, non collaborativo allo scambio di informazioni), la sanzione raddoppia ed è dal 6% al 30% . Fortunatamente, quasi tutti i Paesi UE (Lettonia, Estonia, Francia, ecc.) e altri dove hanno sede le piattaforme P2P sono white list cooperativi, quindi in genere si applica la forbice 3-15%. La sanzione si applica sul valore dell’attività finanziaria non dichiarata, normalmente inteso come valore massimo raggiunto nell’anno (o saldo al 31/12 se superiore in alcuni casi). Ad esempio, se su Mintos avevo €10.000 di media, potrei subire una sanzione da €300 a €1.500 per quell’anno (3-15% di 10.000). L’ufficio spesso tende anche qui ad applicare il minimo (3%) per chi regolarizza subito, ma può salire verso il 15% in caso di atteggiamento evasivo prolungato o importi molto ingenti.
Cosa succede se la dichiarazione è presentata in ritardo ma entro 90 giorni? In tal caso, secondo la normativa, la violazione RW è sanabile con sanzione fissa: se il contribuente presenta una dichiarazione tardiva entro 90 giorni dalla scadenza, la sanzione per il quadro RW omesso è fissa pari a €258 (art. 5, co. 2 D.L. 167/90) in luogo della percentuale . Questo aspetto è importante: se ci si rende conto dell’errore entro 3 mesi dal termine (es. entro 29 dicembre se il termine era 30 settembre), pagando €258 si chiude la pendenza RW, a prescindere dall’importo. Tuttavia, passati i 90 giorni, la violazione diventa “materia sostanziale” e scatta la sanzione proporzionale 3-15%.
È utile evidenziare come la giurisprudenza consideri seria l’omissione RW: la Corte di Cassazione ha affermato che la mancata compilazione del quadro RW non è una mera irregolarità formale bensì un’infrazione sostanziale, ostacolando il controllo fiscale . Ad esempio, la Cass. n. 28077/2024 ha confermato che per il quadro RW omesso non si può invocare l’assenza di imposta evasa per annullare la sanzione – va comunque applicata nella misura prevista (minimo 3% o 6%) . Questo per dire che, a differenza di altre violazioni formali, l’omesso RW viene sanzionato anche se magari i redditi erano modesti o nulli.
Anche le sanzioni RW, se non pagate spontaneamente, generano interessi moratori al tasso legale dal momento in cui la violazione è contestata.
Di seguito una tabella riepilogativa delle sanzioni amministrative base e ridotte (vedremo a breve il ravvedimento operoso):
Violazione | Sanzione base | Riduzione con ravvedimento operoso (indicativa) |
---|---|---|
Dichiarazione infedele (redditi esteri omessi) | 90% – 180% dell’imposta evasa (aumentata di 1/3 per redditi esteri → 120% – 240% imposta) . Soglia penale se imposta evasa > €100.000 . | Ridotta a ~1/8 – 1/6 del minimo con ravvedimento (a seconda del ritardo). Esempio: dal 120% → ~15% dell’imposta se sanato tardivamente (vedi § Ravvedimento) . Entro 90gg circa 1/10 del dovuto. |
Omessa dichiarazione (return non presentato) | 120% – 240% dell’imposta dovuta . Soglia penale se imposta evasa > €50.000 . | Ravvedimento possibile solo entro 90gg (dichiarazione tardiva) con sanzione fissa €258 . Oltre 90gg non ravvedibile (violazione formale insanabile) . |
Omessa/infedele compilazione quadro RW | 3% – 15% del valore non dichiarato (attività in Paese collaborativo) . 6% – 30% se Paese black list . Sanzione minima €258 se dichiarazione presentata entro 90gg . | Ridotta a percentuale minima ulteriormente ridotta con ravvedimento: es. ~0,375% del valore se regolarizzato entro 1 anno (1/8 del 3%). Dopo 1 anno: 3% minimo applicabile (o 6%). Entro 90gg: sanzione fissa €258 → €25,80 con ravvedimento (1/10) . |
Nota: Le riduzioni da ravvedimento in tabella sono orientative. Il ravvedimento operoso prevede aliquote decrescenti in base al tempo trascorso (vedi oltre). Ad esempio, l’infedele dichiarazione sanata entro un anno comporta sanzione al 1/8 del minimo (circa 11% dell’imposta), entro due anni 1/7 (~13%), oltre due anni 1/6 (~15%). Per semplificare, abbiamo indicato l’ordine di grandezza. In ogni caso, l’imposta evasa va sempre versata per intero, e anche IVAFE/IVIE non versate vanno pagate (con sanzione ridotta). Si evidenzia inoltre che se l’Agenzia contesta sia redditi omessi sia RW omesso, in sede di definizione si può cercare di ottenere il minimo su entrambe le sanzioni e poi la riduzione di 1/3 (adesione). Ad es., in accertamento iniziale potrebbero aver messo 10% annuo su RW; col dialogo si può ridurre al 3% e poi tagliare a 1/3 .
Rischi penali (reati tributari)
Oltre alle sanzioni amministrative, in casi di evasione più grave possono configurarsi anche reati tributari ai sensi del D.Lgs. 74/2000. Per quanto riguarda i redditi da P2P lending omessi:
- Se il contribuente non ha presentato affatto la dichiarazione dei redditi pur avendone l’obbligo (art. 5 D.Lgs. 74/2000, reato di omessa dichiarazione), scatta la rilevanza penale se l’imposta evasa supera €50.000 per periodo d’imposta . La pena prevista è la reclusione da 2 a 5 anni. Nel nostro caso, questo scenario sarebbe ad es. un contribuente che non presenta la dichiarazione e nasconde decine di migliaia di euro di interessi (improbabile, perché per evadere >50mila € di imposte con soli interessi P2P occorrerebbero interessi per oltre 200mila € in un anno). È comunque menzionato per completezza.
- Se il contribuente presenta la dichiarazione ma omette alcuni redditi, si potrebbe ipotizzare il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) se l’imposta evasa eccede €100.000 e i redditi non dichiarati superano il 10% del totale dichiarato (o comunque > €2 milioni) . Anche qui, raggiungere €100.000 di imposta evasa con interessi P2P è raro (bisognerebbe evadere interessi per oltre €250.000 se tassati al 43%, o quasi €400.000 se al 26%). Quindi la maggior parte dei casi di omissione P2P non raggiunge soglie penali.
- L’omessa indicazione nel quadro RW di per sé non costituisce reato – la Cassazione (sent. n. 19849/2021) ha ribadito che l’omessa compilazione RW, pur essendo grave, non integra reato di omessa o infedele dichiarazione se i redditi correlati non superano le soglie di punibilità . È quindi sanzionata solo in via amministrativa.
- Attenzione però ad un possibile concorso di reati: se le somme non dichiarate sono molto ingenti e il comportamento configura altri reati (es. riciclaggio o autoriciclaggio), può scattare un ulteriore profilo penale. Ad esempio, il reato di autoriciclaggio (art. 648-terdecies c.p., introdotto nel 2015) punisce chi impiega, investe, trasferisce in attività economiche lecite denaro proveniente da un proprio reato, in modo da ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa. In teoria, se un soggetto evade somme molto elevate e poi le reimpiega occultandone la provenienza, potrebbe essergli contestato anche l’autoriciclaggio. La Cassazione (sent. n. 1309/2024) ha chiarito che l’autoriciclaggio si applica pure ai proventi di reati tributari (ad es. frode fiscale) commessi prima del 2015, e che tali somme possono essere confiscate separatamente dal reato fiscale originario . La pena per l’autoriciclaggio va da 2 a 8 anni di reclusione. Nel contesto P2P, ciò potrebbe rilevare solo in scenari estremi (es. evasore totale che accumula ingenti capitali su conti esteri e poi li reinveste in attività economiche “ripulite”). Per un normale investitore retail che ha omesso di dichiarare qualche migliaio di euro di interessi, l’ipotesi di reato ulteriore è remota.
In sintesi, il rischio penale concreto per omissioni legate al P2P lending è limitato a casi eccezionali di grande evasione. La maggior parte dei contribuenti incorre solo in sanzioni amministrative. Ciò non toglie che le sanzioni pecuniarie possano essere molto onerose e, come visto, possono facilmente raddoppiare o triplicare l’imposta evasa, specie unendo redditi e RW. Fortunatamente, l’ordinamento offre strumenti per attenuare queste conseguenze se il contribuente agisce tempestivamente o se impugna le pretese infondate. Vediamo quindi come difendersi.
Come difendersi: regolarizzazione spontanea, accertamento e contenzioso
Di fronte alla scoperta di un’omissione – sia che il contribuente se ne avveda da solo, sia che riceva una comunicazione dall’Agenzia – è fondamentale agire prontamente. Illustreremo le possibili strade: il ravvedimento operoso per chi vuole regolarizzare volontariamente, le opzioni in caso di accertamento tributario già avviato (adesione, acquiescenza, ricorso), e infine alcuni consigli pratici.
Ravvedimento operoso: regolarizzare prima che il Fisco arrivi
Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997) consente al contribuente di sanare spontaneamente le violazioni commesse beneficiando di sanzioni ridotte. Condizione imprescindibile è che il ravvedimento avvenga prima che l’irregolarità sia già stata constatata dall’Ufficio o che siano iniziati accessi/ispezioni o altre attività di accertamento formale (ricezione di una verifica fiscale, notifica di un processo verbale, etc.). Ricevere una lettera di compliance NON preclude il ravvedimento – anzi, quella lettera è un invito proprio a ravvedersi – mentre ricevere un formale avviso di accertamento sì (a quel punto non è più “spontaneo”).
Per regolarizzare redditi P2P omessi occorre essenzialmente:
- Presentare una dichiarazione integrativa (“redditi integrativa”) per l’anno o gli anni in cui i redditi non erano stati dichiarati, compilando il quadro RL/RT con gli interessi percepiti e il quadro RW con le attività estere, se omessi. La Cassazione ha confermato che è legittimo presentare un’integrativa tardiva anche solo per aggiungere un quadro mancante: l’omessa compilazione di un quadro (es. RW) non equivale a omessa dichiarazione totale, quindi l’integrativa è consentita oltre i termini ordinari . Quindi niente paura: potete (e dovete) presentare dichiarazioni integrative per riportare quanto non indicato a suo tempo.
- Calcolare l’imposta dovuta su quei redditi (se non l’avete già versata) e le imposte patrimoniali eventuali (IVAFE) non pagate, e versarle con modello F24. Nel ravvedimento occorre pagare sia le imposte dovute sia gli interessi legali maturati su di esse, sia le sanzioni ridotte. Tutto va pagato contestualmente o comunque prima di presentare l’integrativa (di solito si allega quietanza F24).
- Calcolare le sanzioni in misura ridotta. Ecco la parte delicata: quale sanzione pagare col ravvedimento? Bisogna distinguere i vari profili:
- Per i redditi non dichiarati (infedele dichiarazione) la sanzione base è 90-180% (120-240% se estero) come visto. Il ravvedimento consente di pagare solo una frazione di tale sanzione. Le riduzioni previste: se il ravvedimento avviene entro 90 giorni dalla scadenza della dichiarazione, la sanzione si riduce a 1/9 del minimo (la norma generale prevede 1/10, ma per dichiarazione infedele la prassi applica 1/9 di 90%). In sostanza entro 90gg si paga circa il 10% dell’imposta evasa (esempio: su imposta evasa €260, sanzione ridotta ~€26) . Se il ravvedimento avviene entro 1 anno dal termine di presentazione (cioè prima che scada il termine per la dichiarazione dell’anno successivo), la sanzione è 1/8 del minimo , quindi circa 11% dell’imposta. Se avviene entro 2 anni, 1/7 del minimo (~13%). Oltre i 2 anni, ma comunque prima dell’accertamento, 1/6 del minimo (cioè paga circa 15% dell’imposta) . In ogni caso, come si vede, si tratta di percentuali enormemente inferiori rispetto al 120-240%. Ad esempio, se Caio ravvede spontaneamente €520 di imposte evase dopo 3 anni, pagherà sanzione pari a 15% di 520 = €78, invece dei €624 minimo in caso di accertamento! Più interessi, ovviamente, ma questi sono modesti.
- Per l’omessa compilazione del quadro RW, se si regolarizza entro 90 giorni dalla scadenza originaria la sanzione fissa di €258 è ridotta a 1/10 (€25,80) . Se si regolarizza oltre 90 giorni ma entro l’anno successivo, la sanzione proporzionale 3% (minima) si applica in misura ridotta a 1/8: quindi 3%/8 = 0,375% del valore non dichiarato . Se oltre l’anno, diciamo entro il secondo, sarebbe 1/7 (~0,43%), e oltre il secondo anno 1/6 (~0,5%). Ad esempio, per un conto estero di €10.000 non monitorato, entro un anno si pagherebbero €37,5 di sanzione invece di €300 base. Una differenza enorme. Anche qui i codici tributo per ravvedimento RW sono specifici (es. 8942 per sanzione RW, 8943 per sanzione IVAFE/IVIE, 8911 in generale) e vanno indicati in F24.
- Per l’IVAFE non versata, la sanzione è quella generale per omesso versamento (30% dell’imposta non pagata, riducibile anch’essa con ravvedimento). In pratica, se uno doveva €20 di IVAFE e non l’ha pagata, con ravvedimento entro l’anno paga 1/8 di 30% = 3,75% → pochi euro. Questo aspetto è secondario poiché l’IVAFE è spesso piccola.
In sede di ravvedimento, è opportuno preparare un prospetto di calcolo dettagliato con: annualità, redditi aggiunti, imposta dovuta, interessi (calcolati al tasso legale anno per anno, oggi 5% annuo), sanzione ridotta. Tutti questi importi vanno sommati e versati. La presentazione della dichiarazione integrativa andrà fatta tramite intermediario abilitato (commercialista, CAF) o Fisconline, barrando l’apposita casella di integrativa. L’Agenzia in genere non invia alcuna ricevuta di accettazione del ravvedimento, ma conserverà i nuovi dati e – salvo incongruenze – considererà definita la violazione.
Vantaggi del ravvedimento: il contribuente evita un procedimento di accertamento, evita l’iscrizione a ruolo dell’imposta evasa e soprattutto evita la denuncia penale (perché non c’è più un’evasione sopra soglia – avendo pagato, l’imposta evasa è zero ai fini penali). Anche se l’imposta evasa superava 50.000/100.000 euro, il ravvedimento estingue la pretesa tributaria e normalmente fa venir meno l’elemento materiale del reato di omessa/infedele dichiarazione. Oltre a questo, come abbiamo visto, c’è un risparmio di sanzioni enorme. In concreto: un contribuente con €5.000 di interessi annui non dichiarati nel triennio 2019-2021, scoperto dal Fisco nel 2025, potrebbe vedersi chiedere ~€15.000 di imposte+sanzioni interessi. Lo stesso contribuente, se si ravvede volontariamente prima, magari ricevendo la lettera di compliance, pagherà forse €6.000 totali. La differenza è abissale . La stessa Agenzia delle Entrate incoraggia la regolarizzazione spontanea proprio per questo: per “premiare” chi collabora con sanzioni molto alleggerite.
Come comportarsi se si riceve la lettera di compliance: queste comunicazioni (anche via PEC) segnalano anomalie come conti esteri non dichiarati e invitano a verificare. In caso di lettera per il conto P2P, è consigliabile aderire all’invito, presentando entro 30 giorni circa (termine indicato) le dichiarazioni integrative e pagando il dovuto col ravvedimento . Nella lettera spesso l’AE fornisce anche un prospetto di confronto e talvolta un calcolo di massima di imposte/IVAFE mancanti. Si può anche rispondere alla PEC dell’Agenzia per comunicare di aver provveduto al ravvedimento, allegando le ricevute dei pagamenti e delle integrative inviate. Questo non è obbligatorio, ma fortemente consigliato per chiudere il cerchio e far sì che l’ufficio archivi la posizione. Non ignorate la lettera: se non fate nulla, quasi certamente dopo qualche mese arriverà un accertamento vero e proprio.
In conclusione, il ravvedimento operoso è la via preferibile se riconoscete di aver omesso redditi P2P e siete ancora in tempo per agire prima di un accertamento. Vi permette di sistemare la violazione a costi contenuti e di dormire sonni più tranquilli, evitando l’aggravio di sanzioni piene e possibili accuse penali.
Accertamento dell’Agenzia Entrate: adesione o ricorso?
Se il Fisco arriva prima che vi ravvediate – ad esempio vi notifica un Avviso di Accertamento per redditi non dichiarati – non tutto è perduto: esistono strumenti deflattivi e difensivi per ridurre le sanzioni o contestare l’atto. Vediamo i principali:
Avviso di accertamento: è l’atto formale con cui l’AE ridetermina il reddito imponibile e liquida imposte, interessi e sanzioni. Nel caso di P2P lending, un accertamento tipico includerà: – Un recupero a tassazione degli interessi non dichiarati per ciascun anno (maggiore IRPEF dovuta). – Le relative sanzioni al 120% (o più) dell’imposta, per infedele dichiarazione su redditi esteri. – Una sanzione al 3% annuo sul valore del conto estero non dichiarato (se applicabile), moltiplicata per gli anni. – Il calcolo di IVAFE non versata e relativa sanzione del 30% (di solito inglobata nell’avviso stesso). – Interessi di mora su tutte le somme.
Questi avvisi permettono alcune opzioni: – Acquiescenza: il contribuente può accettare integralmente l’accertamento e pagare entro 60 giorni beneficiando di una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (art. 15 D.Lgs. 218/97). Ad esempio, se erano state applicate sanzioni totali per €1.500, con acquiescenza si pagano €500 (1/3) + imposte e interessi. L’acquiescenza però implica rinunciare a qualsiasi contestazione: si paga e basta. Può convenire se l’ufficio ha già applicato le sanzioni minime e se non vi sono errori nell’accertamento. Spesso però l’atto iniziale potrebbe aver calcolato per eccesso alcune componenti.
- Accertamento con adesione: è uno strumento che consente di negoziare con l’ufficio un accordo sull’accertamento (art. 6 e 7 D.Lgs. 218/97). Entro 60 giorni dalla notifica, potete presentare un’istanza di adesione e vi verrà fissato un incontro con i funzionari. In sede di adesione potete:
- Chiedere la riduzione di alcune voci: ad esempio, se l’AE ha ricostruito per presunzione un certo ammontare di interessi (magari applicando la presunzione del 5% annuo sul capitale non dichiarato ), potete portare documentazione che provi che i vostri interessi effettivi erano minori, ottenendo così di abbassare l’imponibile e le imposte. Spesso l’ufficio accoglie evidenze concrete (es. estratti conto platform).
- Trattare sulle sanzioni: potete motivare una richiesta di applicazione del minimo edittale sulle sanzioni, se non l’hanno già fatto. Nel caso del quadro RW, ad esempio, l’AE potrebbe aver inizialmente irrogato 5% annuo; potete far notare che trattandosi di Paese white list e vista l’incertezza normativa percepita, sarebbe equo il 3% minimo . Idem per l’infedele: far presente che avete poi collaborato e che la materia era poco pubblicizzata potrebbe aiutare a ottenere il minimo (120%). L’adesione è un “do ut des”: il contribuente rinuncia al ricorso, e in cambio l’ufficio spesso concede il minimo sanzioni e riconosce eventuali errori di calcolo.
- Rateizzare: con l’adesione, una volta firmato l’accordo, potete pagare le somme dovute (imposte + interessi + sanzioni ridotte a 1/3) in forma rateale, fino a 8 rate trimestrali . Questo può alleviare l’esborso.
Importante: con l’accertamento con adesione, anche qui le sanzioni vengono ridotte ad 1/3 per legge , esattamente come l’acquiescenza, con la differenza che avete la possibilità di ricalibrare l’accertamento prima di aderire. Ad esempio, se l’atto iniziale prevedeva €1.000 di imposte e €1.200 di sanzioni (120%), in adesione potreste dimostrare che l’imposta dovuta in realtà è €800 (riduzione base imponibile) e chiedere il minimo sanzioni 90% (invece di 120%); l’ufficio potrebbe accettare, avrete sanzione €720, che poi sarà tagliata a 1/3 = €240 . Più la quota di imposte €800 e interessi. Invece di €2.200 + interessi iniziali, finireste per pagare €800+€240+ int., con un risparmio consistente. Esempio reale: un caso seguito da consulenti ha visto un contribuente con sanzioni base 120% ridotte al minimo 90% e poi un terzo (60%) grazie all’adesione . Anche la sanzione RW da 10% è stata abbattuta al 3% e poi a 1/3 = 2% annuo . Risultato: sanzioni totali drasticamente diminuite.
L’adesione richiede però che riconosciate almeno in parte i rilievi: infatti si chiude con un verbale firmato in cui accettate i nuovi importi. Se ritenete invece che l’accertamento sia totalmente infondato, l’adesione non fa per voi.
- Ricorso tributario: se non volete o non potete definire in adesione, entro 60 giorni dall’avviso (90 se avete fatto istanza adesione nel frattempo) potete presentare ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale (CTP). Nel proporre ricorso è in genere obbligatorio versare, a titolo di “acconto”, il 1/3 delle imposte accertate (non delle sanzioni) entro lo stesso termine di 60 giorni . Questo perché le imposte sono immediatamente esecutive per 1/3, mentre le sanzioni restano sospese in pendenza di giudizio (si pagheranno solo a fine causa se soccombenti). Nel caso in cui l’atto contenga solo sanzioni (es. sanzione RW senza imposte), allora non si paga nulla subito, poiché le sole sanzioni non sono esigibili fino a giudizio definito .
Nel ricorso, potete far valere tutti i motivi di opposizione: – Contestare errori materiali o di calcolo: ad esempio, se l’Agenzia ha contato due volte lo stesso reddito, o ha incluso interessi che in realtà avevate dichiarato (magari con un diverso codice), oppure se ha applicato la presunzione del 5% annuo su capitali all’estero quando invece potete provare che il rendimento reale era minore (la presunzione legale ex art. 12 D.L. 78/2009 è relativa, e può essere vinta da prova contraria ). Fornendo alla Commissione i rendiconti effettivi della piattaforma, potreste far rettificare l’imponibile. Esempio: se vi hanno tassato forfettariamente €500 di reddito presunto su €10.000 investiti (5%), ma voi provate che avete incassato solo €300, avrete ottime chance di far ridurre l’imposta su €300. – Doppia tassazione: se vi è stata negata la detrazione di imposte estere eventualmente subite (caso raro, ma ipotizziamo) potete rivendicare il credito d’imposta convenzionale. – Sanzioni sproporzionate o non dovute: potete chiedere al giudice tributario di disapplicare le sanzioni se vi sono cause di non punibilità (ad esempio obiettiva incertezza normativa ex art. 6, co.2 D.Lgs. 472/97). Questo argomento potrebbe essere invocato per annualità antecedenti ai chiarimenti ufficiali (prima del 2020 in cui AE non si era ancora espressa, molti contribuenti ignoravano l’obbligo, supportati anche da forum in cui si discuteva se servisse RW per P2P). Se riuscite a dimostrare che la violazione è avvenuta per comprensibile incertezza interpretativa, i giudici potrebbero annullare le sanzioni, pur confermando il recupero delle imposte. Non è garantito – anzi, la Cassazione tende a vedere l’omesso RW come sostanziale – ma alcune Commissioni di merito in passato hanno accolto esimenti in presenza di situazioni nuove e poco pubblicizzate. – Chiedere la riduzione delle sanzioni al minimo edittale: se l’ufficio in accertamento avesse applicato una percentuale superiore al minimo, potete domandare al giudice di ridurle al minimo, evidenziando eventuali attenuanti (collaborazione, assenza di dolo specifico, etc.). La CTP può rideterminare la sanzione nell’ambito edittale. – Vizi procedurali: verificare se l’AE ha rispettato le garanzie procedurali. Ad esempio, per gli accertamenti su investimenti esteri la legge prevede talora l’obbligo di invito a comparire o questionario prima di emettere l’avviso, soprattutto se si basa su dati esteri. Se ciò non è avvenuto, si potrebbe eccepire un vizio (non sempre vincente, ma da valutare). Oppure, controllare la notifica se è avvenuta regolarmente. – Prescrizione/decadenza: controllare se l’accertamento è stato notificato entro i termini. Per i redditi 2017 e seguenti, il termine ordinario è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione (dich. 2018 → accert. entro 31/12/2023). In presenza di attività estere non dichiarate, però, la decadenza è prorogata di 2 anni (ai sensi del D.Lgs. 128/2015): quindi l’AE ha tempo fino al 31 dicembre del settimo anno successivo . Ad esempio, l’anno d’imposta 2018 (dichiarazione 2019) può essere accertato fino al 31/12/2025 se coinvolge violazioni RW. Verificate dunque che non siano trascorsi i termini. Se l’accertamento arrivasse tardivamente, va contestato per intervenuta decadenza (motivo di nullità). – Importi minimi e non imponibilità: talvolta, se gli importi sono trascurabili, si può invocare il principio di non tassabilità di redditi irrisori (es. interessi sotto €1,00) o l’errore scusabile. Ma attenzione: non c’è una soglia di tolleranza per legge sui redditi di capitale – anche €10 teoricamente andavano dichiarati (a meno che non fossero già tassati). Quindi questo argomento vale solo per convincere il giudice sull’intento non fraudolento e magari ottenere clemenza sulle sanzioni.
Il ricorso tributario avvia una causa che può durare vari mesi (6-12 mesi in primo grado, e c’è la possibilità di appello in Commissione Regionale e poi ricorso per Cassazione). È un percorso da valutare con un fiscalista esperto, tenendo conto del costo del contenzioso (spese legali, contributo unificato se l’importo contestato supera €3.000, ecc.) rapportato al beneficio sperabile. Spesso, per importi limitati, conviene definire in adesione per chiudere la vicenda velocemente, a meno che non vi siano palesi errori dell’ufficio da far valere. In alcuni casi, però, fare ricorso può portare ad annullamenti totali delle sanzioni se i giudici accolgono tesi favorevoli.
Va anche ricordato che esistono misure agevolative straordinarie – ad esempio definizioni agevolate o “tregue fiscali” – che periodicamente vengono varate (come nel 2023 col DL 34/2023) e che consentono di chiudere le liti pendenti con lo sconto sulle sanzioni o interessi. Se avete un contenzioso in corso, tenete d’occhio eventuali norme di pace fiscale: potreste aderire e pagare solo il tributo senza sanzioni. Al momento (2025) non ce ne sono di specifiche aperte, ma la materia è in continua evoluzione politica.
Conclusione sulla difesa: Il contribuente nella posizione di “debitore” verso il Fisco per omissioni su P2P lending ha diversi strumenti di difesa. La scelta dipende dalla fase in cui ci si trova:
- Prima dell’accertamento: ravvedimento operoso, per minimizzare danni.
- Dopo un avviso di accertamento: accertamento con adesione per ridurre sanzioni e trovare un accordo equo.
- Se l’accordo non è soddisfacente: ricorso in Commissione, facendo valere ragioni tecniche o equitative.
È sempre raccomandabile farsi seguire da un commercialista o avvocato tributarista in queste fasi, specie se gli importi in gioco sono elevati, per valutare bene pro e contro di ogni opzione e gestire le procedure (le norme procedurali tributarie sono complesse).
Simulazione pratica di calcolo sanzioni: prima vs dopo
Per fissare le idee, proponiamo una simulazione comparativa:
- Caso A (Ravvedimento prima dell’accertamento): Luca ha omesso di dichiarare interessi per €3.000 complessivi negli anni 2020-2021 su piattaforme estere. Imposta evasa stimata (aliquota media 30%) = €900. Nessun RW compilato; valore medio attività €15.000. Nel 2023 Luca riceve lettera compliance e si ravvede. Egli presenta integrative 2020 e 2021, paga:
- Imposta €900 + interessi legali ~€90.
- Sanzione infedele dichiarazione: ridotta a 1/7 del minimo (ravvedimento oltre 1 anno ma <2) → 90%1/7 = ~12.86% su €900 = €116*.
- Sanzione RW: per ciascun anno valore €15.000, 3% = €450 annuo. Ravvedimento entro 2 anni → 1/7 di 3% = ~0,43% → €64,5 per anno, totale €129.
- Sanzione IVAFE: doveva €15.000×0,2%=€30 annuo, totale €60. Sanzione omesso versamento 30% ridotta 1/8 = 3.75% su 60 = €2,25.
- Totale sanzioni ≈ €247. Somme totali versate: 900+90+247 ≈ €1.237.
- Nessun reato, posizione regolarizzata, fine.
- Caso B (Accertamento con sanzioni piene): stesso scenario, ma Luca ignora la lettera. Nel 2025 l’AE notifica avviso:
- Imposta €900 + interessi mora ~€150 (più anni trascorsi).
- Sanzione infedele: 120% di 900 = €1.080 (minimo estero).
- Sanzione RW: 3% annuo su 15.000 = €450 ×2 anni = €900.
- Sanzione omesso IVAFE: 30% su €60 = €18.
- Totale sanzioni: ~€1.998. L’AE potrebbe proporre adesione: Luca ottiene minimi e 1/3: infedele da 120% a 90% = €810, RW da 900 a 600; poi taglio 1/3 → sanzioni € (810+600)/3 = €470 . Più imposte €900 e interessi €150. Totale ~€1.520.
- Se Luca non aderisce e perde in causa, paga €900+150+1.998 = €3.048 (più eventuali spese).
La differenza tra regolarizzarsi subito (€1.237) e arrivare a fine accertamento (€3.000+) è enorme, circa il 150% in più nel costo. Anche con adesione (€1.520) Luca pagherebbe comunque di più che col ravvedimento. Questo esempio evidenzia perché conviene attivarsi per primi ed evitare l’escalation. Ogni situazione può variare, ma il trend generale è questo.
Domande frequenti (FAQ) su fiscalità P2P lending e difesa del contribuente
Di seguito rispondiamo ad alcune domande comuni che investitori e professionisti si pongono sul tema.
D: Devo davvero dichiarare in Italia gli interessi che guadagno sulle piattaforme di peer-to-peer lending estere come Mintos, Bondora, etc.?
R: Sì. Se sei residente fiscale in Italia, sei tassato sul worldwide income, quindi anche gli interessi esteri vanno dichiarati. In particolare, i proventi da prestiti P2P rientrano tra i redditi di capitale secondo la normativa italiana . La sola eccezione è se la piattaforma opera come sostituto d’imposta italiano (trattenendoti già il 26% a titolo definitivo). Ma la maggior parte delle piattaforme estere non lo fa, quindi gli interessi ti vengono accreditati lordi e devi tu inserirli nella dichiarazione dei redditi . Ignorare questi redditi può portare a sanzioni salate, come abbiamo visto. Dunque, sì: vanno dichiarati, tipicamente nel Quadro RL – Altri redditi di capitale del Modello Redditi PF, indicando l’ammontare complessivo percepito ogni anno.
D: Con quale aliquota vengono tassati questi interessi? Non era prevista un’aliquota del 26%?
R: L’aliquota del 26% fisso si applica solo se la piattaforma ha i requisiti per operare la ritenuta a titolo d’imposta (intermediario finanziario o istituto di pagamento autorizzato in Italia) . In tal caso tu ricevi già gli interessi netti del 26% e non devi fare altro. Ma se – come accade per Mintos, Bondora, e molte piattaforme estere – la piattaforma non è un sostituto d’imposta italiano, allora quegli interessi si sommano ai tuoi altri redditi e vengono tassati ad aliquota IRPEF progressiva . Quindi l’aliquota effettiva dipende dal tuo scaglione: minimo 23%, poi 25%, 35% fino a 43% per redditi alti. Purtroppo non c’è una norma che consenta di applicare spontaneamente il 26% fisso: legalmente devi includerli nel reddito complessivo. Ciò crea a volte disparità: ad esempio, redditi P2P non tassati alla fonte finiscono al 43% per un contribuente benestante, mentre chi investe tramite piattaforma italiana autorizzata paga solo 26%. È una disparità di trattamento evidenziata anche dagli operatori del settore , ma attualmente è così. Quindi, in mancanza di ritenuta, considera gli interessi come reddito aggiuntivo soggetto al tuo scaglione IRPEF.
D: Devo compilare il quadro RW per gli investimenti su queste piattaforme? Anche se ho solo tenuto i soldi sul conto all’estero?
R: Sì, in quasi tutti i casi sì. Il quadro RW serve a monitorare qualsiasi attività finanziaria estera detenuta da residenti . Quando investi su una piattaforma di P2P straniera, in genere apri un conto di pagamento su quella piattaforma (o su un istituto collegato) dove depositi fondi e ricevi rimborsi. Questo conto estero va indicato in RW . Devi riportare il valore massimo che hai avuto su quel conto nell’anno e il valore al 31/12 (se diverso). Anche se i soldi erano “investiti” nei loans per la maggior parte del tempo, di fatto erano all’estero sotto forma di crediti. L’Agenzia ha chiarito che va dichiarato indipendentemente dal fatto che la piattaforma sia italiana o estera: ciò che conta è dove sono depositate le somme . Fanno eccezione situazioni in cui i fondi sono transitati per un intermediario residente. Ad esempio, se per assurdo esistesse una piattaforma P2P italiana che ti permette di investire usando un conto presso una banca italiana a te intestato, allora quei soldi non sono “all’estero” e non compili RW. Ma non è il caso di Mintos & co: lì i soldi stanno in Lettonia o dove sia l’EMI di appoggio. Dunque sì, devi compilare RW. Se avevi più piattaforme, un rigo per ciascuna, indicando Stato estero (es. LV per Lettonia, EE per Estonia, ecc.) e codice “14” (altre attività finanziarie estere) . Va fatto anche se il conto all’estero non ha prodotto redditi in un dato anno (es. magari nel 2022 non hai ricevuto interessi perché erano differiti, non importa: se il conto c’era e conteneva soldi, va dichiarato lo stesso).
D: Cos’è l’IVAFE di cui parlate? Devo pagarla per i miei conti sulle piattaforme P2P?
R: L’IVAFE è l’imposta sul valore delle attività finanziarie estere detenute da persone fisiche residenti. È un’imposta patrimoniale annua, pari al 2×1000 (0,2%) del valore di conti correnti esteri e investimenti esteri, concepita come equivalente dell’imposta di bollo che pagheresti su un conto titoli in Italia. Devi pagarla solo se: (a) detieni attività finanziarie all’estero al 31/12, e (b) tali attività rientrano nella definizione di “prodotto finanziario” o conto corrente estero. Nel caso P2P, come spiegato, l’AE applica l’IVAFE a quegli investimenti P2P considerati prodotti finanziari (cioè cedibili/negoziabili) . In pratica, su Mintos e Bondora (che hanno mercato secondario) l’IVAFE è dovuta. Su piattaforme completamente illiquide (es. alcuni prestiti diretti) forse no, ma attenzione: la maggior parte sono considerate comunque investimenti finanziari. Dunque sì, quasi certamente devi pagare l’IVAFE sul saldo del tuo conto Mintos/Bondora. Tecnicamente, sui conti di pagamento esteri l’IVAFE si paga in misura fissa €34,20 se la giacenza media supera €5.000. Però AE ha detto che questi conti P2P con possibilità di investimento li considera prodotti finanziari, quindi applica lo 0,2%. Dunque conviene calcolare lo 0,2% del valore (anziché la fissa) per evitare contestazioni. Esempio: se al 31/12 avevi €10.000 investiti, IVAFE = €20. Se avevi meno di €5.000, nessuna IVAFE dovuta (sotto soglia) . La paghi nel quadro RW sez. XV, di solito compilandola assieme a IVIE/IVAFE. Ricorda: se il conto estero è un normale conto corrente (non di investimento), allora l’IVAFE è fissa €34,20 > €5k. Ma piattaforme P2P raramente sono “solo conto corrente”: di solito sono conti tecnici di investimento. Meglio applicare 0,2%. In sintesi: dichiara in RW e versa IVAFE se dovuta.
D: Cosa rischio se non dichiaro nulla al Fisco? Magari ho guadagnato poco, davvero controlleranno?
R: Rischi molto. Primo, come già detto la mancata dichiarazione è facilmente tracciabile ormai tramite scambio di informazioni (CRS) . Se appare che hai conti esteri attivi e tu non li dichiari, l’AE prima o poi incrocerà i dati. Già dal 2023-2024 stanno inviando migliaia di lettere di compliance su conti esteri non dichiarati, come PayPal, Revolut e conti trading . Queste includeranno anche conti P2P se segnalati. Quindi la probabilità che “la faccia franca” sta calando di anno in anno. Secondo, le sanzioni in caso di accertamento, come abbiamo visto, sono molto alte: minimo 120% dell’imposta evasa sui redditi e 3% annuo sul capitale non monitorato . Anche su piccole cifre, applicare percentuali così alte fa lievitare l’importo. Paradossalmente, più piccolo è il guadagno e più “antieconomico” è rischiare: se hai guadagnato €100 e non li dichiari, l’imposta sarebbe stata magari €26; un accertamento ti può chiedere €26 + €40-50 di sanzioni+interessi, cioè il 200% di quanto avresti dovuto. Per somme grandi rischi penali oltre alle sanzioni. Quindi, in generale, non conviene omettere sperando nell’ignoto. Meglio dichiarare e pagare il dovuto (o ravvedersi ora se non l’hai fatto prima). Il Fisco sta diventando sempre più efficiente nel “segnalare incongruenze direttamente alle persone fisiche interessate” prima di avviare accertamenti . Insomma: con 3 milioni di lettere in arrivo nel 2025 per omissioni riscontrate , è assai probabile che se hai omesso qualcosa potresti essere contattato. A quel punto, non dichiarare nulla significherebbe accumulare debito e sanzioni crescenti.
D: L’Agenzia può scoprire i miei conti su Mintos/Bondora? Come fa ad avere quei dati?
R: Sì, può. Come accennato, esiste un sistema di scambio automatico di informazioni finanziarie a livello OCSE (Common Reporting Standard) . Se la piattaforma P2P o la banca di appoggio della piattaforma ricade tra gli enti tenuti al CRS (la maggior parte sì, essendo istituti finanziari regolamentati nei loro Paesi), allora ogni anno invierà ai Paesi dei propri clienti i dati di saldo e interessi dei conti. Per esempio, Mintos (regolamentata come società di investimento/EMI in Lettonia) segnala all’autorità lettone i conti intestati a italiani, e questa li trasmette all’Italia tramite CRS. Lo stesso Bondora (Estonia), October (Francia) etc. negli ultimi anni l’Agenzia Entrate ha iniziato a ricevere e utilizzare attivamente questi flussi. Già nel 2022-2023 molti contribuenti hanno ricevuto avvisi bonari relativi a conti esteri non dichiarati (specialmente conti PayPal, conti trading, Revolut, Transferwise, ecc.), segno che i dati CRS vengono incrociati con le dichiarazioni. Possiamo ragionevolmente aspettarci che anche i conti P2P emergano. L’AE tipicamente vede: nome dell’istituto (es. Mintos Marketplace AS), numero di conto/rapporto, saldo a fine anno e magari saldo medio o interessi. Se rileva che non hai compilato RW o non hai dichiarato interessi, ecco che scatta la segnalazione. Dunque, non contare sul segreto bancario estero: non esiste quasi più. Unica area dove finora c’è meno trasparenza sono le criptovalute e certe giurisdizioni opache, ma le piattaforme P2P mainstream operano in UE e quindi con scambio informazioni attivo.
Inoltre, l’AE ha altri mezzi: può ottenere liste di utenti da cooperative compliance internazionali, o incrociare movimenti bancari sui conti italiani (se vede bonifici da Mintos al tuo conto, è un indizio). Perciò, sì, l’Agenzia può scoprire i tuoi investimenti P2P esteri, anzi probabilmente li conosce già o li conoscerà appena le banche dati saranno elaborate. Meglio giocare d’anticipo e regolarizzare spontaneamente.
D: Ho ricevuto una lettera di compliance dall’Agenzia riguardo conti esteri (o specificamente il mio conto P2P). Cosa devo fare?
R: La lettera di compliance è un invito bonario a verificare e correggere eventuali omissioni . Non è un atto impositivo: nessuna sanzione è ancora irrogata, e non sei obbligato formalmente a rispondere (ma di fatto è caldamente consigliato). Se nella lettera c’è scritto ad esempio che risultano rapporti finanziari all’estero a tuo nome (Mintos, ecc.) non dichiarati, devi procedere così: 1. Controlla i dati indicati nella comunicazione – spesso riportano l’anno, il tipo di rapporto, il Paese, magari il saldo. Verifica con i tuoi estratti conto della piattaforma se corrispondono. Se c’è un errore (es. non hai mai avuto Bondora ma compare, forse omonimia?), puoi segnalarlo all’ufficio (hanno un indirizzo PEC o postale per contatti). 2. Se invece è corretto (avevi quel conto e non l’hai dichiarato), allora predisponi subito le dichiarazioni integrative per gli anni coinvolti. Compila il quadro RW per quell’attività e dichiara eventuali interessi non dichiarati. Calcola imposte e sanzioni ridotte come da ravvedimento operoso. 3. Versa con F24 le somme dovute (imposte, IVAFE, sanzioni ridotte, interessi) e conserva le ricevute. 4. Invia le dichiarazioni integrative tramite Entratel/Fisconline (il tuo commercialista lo farà). 5. Facoltativo ma consigliato: rispondi alla PEC dell’Agenzia (o via mail se indicato) allegando copia delle ricevute di versamento e indicando che hai presentato le integrative per regolarizzare. Questo metterà la pratica in stand-by da parte loro.
Non ci sono sanzioni aggiuntive per aver ricevuto la lettera: se ti ravvedi ora, paghi comunque le sanzioni ridotte come se l’avessi fatto spontaneamente (la circolare AE 180/2018 ha confermato che la compliance letter non preclude il ravvedimento). L’importante è agire entro il termine indicato nella lettera (spesso 30 giorni o 90 giorni) o comunque prima che l’ufficio emetta accertamento. In nessun caso ignorare la lettera: se non fai nulla, il passo successivo sarà un avviso di accertamento con sanzioni piene. La lettera è la tua chance di sistemare le cose “in amicizia”.
In sintesi: usa la lettera a tuo vantaggio, collaborando. L’AE stessa sottolinea che queste comunicazioni permettono al contribuente di ravvedersi e evitare la notifica dell’accertamento . Segui le istruzioni, eventualmente fatti aiutare da un esperto, e risolvi. Una volta regolarizzato, la posizione verrà archiviata e non avrai ulteriori seccature su quegli anni.
D: Ho omesso i redditi da P2P lending per diversi anni passati (es. 2018-2019-2020). Posso ancora fare qualcosa o è troppo tardi?
R: Puoi e devi fare qualcosa: il ravvedimento operoso non ha un limite temporale rigido (finché l’ufficio non ti contesta formalmente). Anche se sono trascorsi più di 2 anni, puoi presentare ora (2025) dichiarazioni integrative per il 2018, 2019, 2020 ecc. e versare il dovuto. Certo, il ravvedimento oltre due anni comporta sanzione ridotta solo a 1/6 del minimo (quindi ~15%), come spiegato, ma è comunque molto meglio del 120%. Inoltre evita che l’AE proceda di sua iniziativa. Quindi, non è affatto troppo tardi.
Anzi, considera i termini di accertamento: l’anno d’imposta 2018 può essere accertato fino al 31/12/2025 (7 anni, per via dell’estero) . Dunque l’AE ha ancora “diritto” a venirti a chiedere conto del 2018. Se tu presenti un’integrativa adesso, paghi sanzioni ridotte e blocchi sul nascere un eventuale accertamento futuro. L’unico anno su cui potresti ormai averla scampata è il 2017 (accertabile fino a fine 2024 – se stiamo già nel 2025 inoltrato e non ti hanno notificato nulla entro 2024, allora 2017 è decaduto). Ma dal 2018 in poi, l’Agenzia può ancora intervenire. Quindi sì, ravvediti subito per tutti gli anni ancora aperti. Devi predisporre un modulo integrativo per ciascun anno da correggere, e puoi cumulare i versamenti (magari un F24 unico con somma di sanzioni e imposte, o separati per anno, è uguale).
Attenzione: se i redditi omessi risalgono a molti anni fa (es. 2015 o prima), potrebbero essere prescritti per l’accertamento (all’epoca valeva il raddoppio a 10 anni, difficile che sia già prescritto se estero, ma ipotesi). In tal caso uno potrebbe pensare “non li dichiaro affatto perché tanto non possono più accertarli”. Bisogna essere cauti: la normativa sulla decadenza è complessa e inoltre presentare ora un’integrativa per anno prescritto non riapre la tassazione (semmai li si potrebbe dichiarare per scrupolo senza versare – ma è un tecnicismo). Nella pratica comune, se un anno è fuori termini, l’AE non può sanzionarti per quell’anno. Quindi se davvero hai omesso redditi su anni remoti fuori portata, puoi decidere di non ravvedere quelli. Ma assicurati con un esperto che siano decaduti al 100%. Per tutto ciò che è ancora accertabile (5-7 anni indietro), conviene mettersi a posto.
D: In caso di accertamento, posso difendermi sostenendo che la norma non era chiara o che pensavo non si dovesse dichiarare?
R: Puoi provarci, ma non contare troppo su questa linea di difesa. La non conoscenza della legge non esonera dalle sanzioni in generale. L’unica via è invocare l’obiettiva incertezza normativa (art. 6, co. 2 D.Lgs. 472/97), ossia sostenere che la disciplina fiscale del P2P lending fosse talmente nuova o ambigua da non permettere al contribuente di capire gli obblighi. Questa tesi potrebbe avere qualche fondamento per i primi anni in cui il fenomeno è apparso (diciamo prima del 2018, quando mancava una legge esplicita, o nel 2018-2019 prima delle risposte AE del 2020). In effetti, fino alle risposte a interpello 168/2020 e 169/2020 non c’erano pronunciamenti ufficiali chiari. Un contribuente potrebbe dire: “Credevo che la piattaforma estera operasse una ritenuta o che comunque i miei interessi fossero già tassati all’estero”, oppure “non era evidente che dovessi compilare RW per quel conto, pensavo fosse esentato”. Se tale convinzione è stata in buona fede e condivisa da molti, si può sperare che il giudice annulli le sanzioni. Alcune Commissioni hanno annullato sanzioni in casi di obiettiva incertezza su obblighi nuovi o poco pubblicizzati.
Tuttavia, dal giugno 2020 in poi, l’Agenzia ha pubblicato chiarimenti ufficiali e articoli su FiscoOggi, quindi è difficile sostenere che dopo il 2020 la situazione fosse incerta. Inoltre la Cassazione, come detto, vede l’omesso RW come sostanziale e punibile comunque . Quindi la difesa “non lo sapevo” rischia di non essere accolta dal giudice, a meno di circostanze davvero particolari. Nel migliore dei casi, potrebbe indurre la CTP a ridurre le sanzioni al minimo, ma non ad annullarle del tutto. Insomma, non è una strategia vincente al 100%. Meglio usarla eventualmente come argomentazione accessoria in sede di adesione (per chiedere clemenza) o in sede di ricorso per mitigare la pena, più che puntare tutto sull’ignoranza scusabile.
Una situazione in cui potrebbe funzionare è se la piattaforma stessa ti ha indotto in errore. Ad esempio, ci sono stati casi in cui alcune piattaforme pubblicizzavano “in Italia questi interessi sono esenti” (ipotesi), o un consulente ti ha detto che non serviva dichiarare. Se hai documenti che attestano che ti sei affidato a indicazioni errate ma autorevoli, potresti far leva su errore scusabile. Non è garantito, ma arricchisce la difesa. In generale però la norma c’era (art. 4 DL 167/90 per RW e L.205/2017 per redditi) quindi la sua poca conoscenza non basta per scusarsi.
D: Posso compensare le perdite su alcuni prestiti con gli interessi attivi guadagnati? Ho diversi loan in default non rimborsati…
R: Purtroppo no, non in dichiarazione delle persone fisiche. I redditi di capitale sono tassati al lordo di eventuali perdite sul capitale. Se ad esempio su 100 prestiti hai incassato €1.000 di interessi totali ma hai anche perso €300 di capitale per default di alcuni debitori, dal punto di vista fiscale dovrai comunque dichiarare €1.000 di interessi come reddito, e non c’è modo di dedurre i €300 persi. Questo è frustrante, lo so, ma dipende dalla categoria reddituale: gli interessi attivi sono reddito di capitale positivo, mentre la perdita del capitale non trova una collocazione come onere deducibile. Non esiste una norma che permetta di portare in deduzione le perdite su prestiti P2P (non essendo né minusvalenze da cessione di partecipazioni, né spese inerenti a redditi tassati). In alcuni ordinamenti esteri so che è consentito (es. UK permette di dedurre i peer-to-peer bad debts dal taxable income entro certi limiti), ma in Italia no.
Una cosa che potresti fare – in teoria – è vendere i crediti deteriorati sul mercato secondario a valore zero o simbolico, così da realizzare una minusvalenza fiscalmente riconosciuta come reddito diverso. Però questo è terreno scivoloso: dubito che l’AE accetterebbe la deduzione di tali minusvalenze a fronte di plusvalenze finanziarie, perché non c’è una norma esplicita. Le minusvalenze su crediti non sono equiparate a quelle su strumenti finanziari quotati. Quindi, realisticamente, non puoi compensare.
In dichiarazione non esiste uno spazio per indicare “perdite su crediti P2P”: se provassi a metterle come minusvalenze RT, rischi di far confusione. Quindi atteniamoci alla regola: dichiara tutti gli interessi percepiti, e ignora (ahimè) le perdite in linea capitale. L’unico “conforto” è che le perdite non dichiarate non pagano imposta (ovviamente), per cui il tuo rendimento netto effettivo sarà inferiore, ma il fisco comunque prende la sua parte sui guadagni lordi.
D: La piattaforma ha già applicato delle trattenute o tasse su quanto guadagno – devo comunque pagare in Italia?
R: Nella maggior parte dei casi le piattaforme non applicano ritenute fiscali, come detto. Se però in casi eccezionali hai subito una tassazione estera sugli interessi, allora: – Se la tassazione estera è definitiva (ad esempio perché la legge di quel Paese prevede una ritenuta a titolo d’imposta anche per non residenti), potresti rivolgerti a un fiscalista per capire se in base alla convenzione contro le doppie imposizioni quell’interesse va comunque dichiarato in Italia o no. In genere i trattati riservano al Paese di residenza il diritto di tassare gli interessi, concedendo però al Paese fonte di applicare un’aliquota ridotta (es. 10%). Di solito, l’Italia in questi casi ti fa dichiarare l’interesse lordo ma ti riconosce un credito d’imposta pari alla ritenuta subita fuori (nei limiti dell’imposta italiana su quell’interesse). Quindi finisci per pagare la differenza. Ad esempio, se su €100 di interessi la Francia ti trattenesse €10 (10%) e in Italia la tua aliquota sarebbe 26 (€26), dichiari 100, imposta 26, meno credito 10 = versi 16. – Se la tassazione estera è stata provvisoria (non definitiva), ad esempio un acconto, allora devi dichiarare l’intero reddito e poi eventualmente chiedere il rimborso dell’estero o il credito. Ma è raro nel P2P.
In concreto, quali piattaforme hanno tassato alla fonte? Le italiane autorizzate sì (26% e fine). Le estere no, salvo casi come October in Francia agli inizi: lì all’inizio (2015-2017) mi risulta che su interessi pagati da borrower francesi a investitori italiani veniva prelevata alla fonte un’imposta francese (dicono 0/15% a seconda di modulistica). Se l’hai subita, allora quell’importo è credito d’imposta per te. Devi indicarlo nel quadro CE del modello Redditi per portarlo a riduzione dell’IRPEF dovuta. Se non lo indichi, l’Agenzia ovviamente ti chiederà la piena imposta italiana. Sta a te far valere il credito esibendo certificati di trattenuta estera. Insomma, il principio è: i redditi esteri vanno dichiarati per il lordo percepito, ma si evita la doppia imposizione riconoscendo eventuali imposte pagate all’estero (art. 165 TUIR) .
Ripeto però: la maggioranza dei casi i proventi P2P arrivano senza alcuna imposizione, quindi non hai crediti da far valere.
D: Io ho investito come società (o con partita IVA) sul P2P lending: la tassazione è diversa?
R: Sì, è diversa. Se hai investito tramite una società di capitali (Srl, Spa) o una società di persone in regime d’impresa, oppure come ditta individuale nell’ambito dell’attività d’impresa, allora i proventi da P2P diventano ricavi/interessi di natura imprenditoriale. Non sono più redditi di capitale “personali”, ma confluiscono nel tuo conto economico. In pratica: – La società dichiarerà gli interessi come proventi finanziari nel quadro RF o RG (a seconda del regime) e li assoggetterà a IRES (24%) o IRPEF d’impresa. Eventuali costi o perdite su crediti potrebbero essere deducibili secondo le regole fiscali delle imprese (ad es., perdite su crediti deducibili se ci sono elementi certi e precisi). – Non si applica la ritenuta 26% sostitutiva, a meno che la piattaforma erroneamente l’abbia praticata: in tal caso la ritenuta fungerebbe da acconto (cioè la società può scomputarla dall’IRES dovuta). AE ha chiarito che anche se la piattaforma fosse autorizzata a fare da sostituto, le società non beneficiano della cedolare 26%: per loro gli interessi vanno a reddito imponibile . – Sul fronte RW, società di capitali e enti commerciali non devono compilare RW. L’obbligo RW vale per persone fisiche, enti non commerciali e società semplici. Quindi, se la tua è una SRL, formalmente non presenta RW e non paga IVAFE. (Alcune società volontariamente riportano nel quadro RS le attività estere a fini di trasparenza, ma non c’è sanzione RW per loro). – In sostanza l’azienda tassativamente paga su quei proventi come su qualunque interesse attivo, e può dedurre perdite su crediti secondo le regole (se rispettate). Questo spesso risulta più favorevole: ad esempio, se la tua SRL investe 100k in P2P e fa 10k di interessi e 2k di crediti inesigibili, pagherà IRES su 8k (perché dedurrà i 2k di perdita se rispetta requisiti di certezza). Un privato invece avrebbe pagato IRPEF su 10k senza sconto.
- Attenzione: se sei persona fisica con partita IVA ma fuori dal regime d’impresa (es. professionista) e investi personalmente i tuoi guadagni in P2P, non diventa attività d’impresa. Rimane reddito di capitale privato. Solo se costituisci un veicolo societario per investire o se fai prestiti in modo professionale (il che richiederebbe licenza…) entri in reddito d’impresa.
Quindi la guida fin qui era rivolta ai privati. Per le società, il concetto di base è che non c’è evasione di imposta sostitutiva perché non c’era imposta sostitutiva: la società se non ha contabilizzato quegli interessi commette un’omissione di ricavo, sanzionata come dichiarazione infedele IRES (sempre 90-180% imposta evasa, aumentata di 1/3 se estero). Il monitoraggio RW non la riguarda, ma comunque l’Agenzia potrebbe scoprire il conto estero e contestare l’omessa indicazione a bilancio. In sintesi, anche le società devono dichiarare i proventi P2P (nel loro modello Redditi SC/SP). L’assenza di quadro RW per loro evita la sanzione patrimoniale, ma non le esime dal pagare le imposte dovute sui redditi.
D: Quali sono i termini temporali di cui dispone l’Agenzia per controllare e accertare questi redditi non dichiarati?
R: I termini di decadenza per gli accertamenti fiscali sono stati modificati nel 2016. Attualmente (per periodi dal 2016 in poi): – Se hai presentato la dichiarazione (anche se infedele), l’Agenzia può emettere avviso entro il 31 dicembre del quinto anno successivo. Esempio: redditi 2020 (dichiarazione presentata nel 2021) → accertabile fino al 31/12/2026 (5 anni dopo il 2021). – Se non hai presentato affatto la dichiarazione, il termine è il 31 dicembre del settimo anno successivo (due anni in più). – Per attività estere non dichiarate (RW), la legge 208/2015 ha previsto un’estensione dei termini di accertamento di +2 anni (eliminando però il vecchio raddoppio “automatico”). Quindi, se i redditi non dichiarati provengono da investimenti esteri non monitorati, si applica: dichiarazione presentata → +2 anni → 7 anni totali; dichiarazione omessa → +2 anni → 9 anni totali .
Tuttavia, c’è dibattito se i +2 anni valgano sempre o solo se c’è richiesta di informazioni estere. Ma l’orientamento AE è che valga sempre su RW omesso (cautelativamente accertano entro 10 anni se pre-2016 e 7 anni se post-2016).
In pratica: i redditi 2015 li potevano accertare fino al 2022 (dich. omessa 2024), i 2016 fino al 2023 (omessa 2024), i 2017 fino al 2024 (omessa 2025), i 2018 fino al 2025, i 2019 fino al 2026, i 2020 fino al 2027, e così via. Nel dubbio prendi 7 anni come riferimento se c’è di mezzo l’estero. Dunque, nel 2025 sono ancora accertabili gli anni dal 2018 in poi (e 2017 fino a fine 2024). Se un anno è decaduto, l’Agenzia non può più notificare validamente accertamenti per quell’anno. Quindi se, ad esempio, tu hai omesso in anno vecchio ormai prescritto, potresti evitare di ravvederlo perché sanzioni e imposte non sono più esigibili. Ma attenzione a come conti gli anni: c’è scivolo COVID (proroga di 85 giorni su decadenze 2020), ecc. Meglio non rischiare e ravvedere tutto ciò che è dal 2016/2017 in poi.
Riassumendo: il Fisco ha fino a 7 anni di tempo (5 +2) per accertare redditi esteri non dichiarati. Non confidare che “sono passati 4-5 anni, ormai è andata”: anzi, di solito i controlli arrivano proprio verso fine finestra (es. nel 2025 per il 2018). L’ideale è sistemare prima, come detto.
D: Se i soldi li ho lasciati sulla piattaforma e mai riportati in Italia, devo ugualmente dichiarare e pagare?
R: Sì. La tassazione non dipende dal rimpatrio. L’Italia tassa i residenti sul reddito ovunque prodotto, che sia rientrato o meno. Quindi anche se hai reinvestito tutti gli interessi sulla piattaforma e non hai fatto bonifici verso l’Italia, comunque l’interesse maturato è reddito realizzato e va dichiarato. C’era forse l’idea (sbagliata) che se tenevi tutto su un conto all’estero senza riportare nulla non venisse beccato: ma come abbiamo spiegato, oggi con lo scambio info l’AE vede anche i conti esteri. Ma al di là di quello, giuridicamente l’obbligo di dichiarazione non c’entra con l’averli rimpatriati. L’unico caso in cui “rimpatrio” contava era con i vecchi scudi fiscali per regolarizzare capitali esteri occultati; ma per i redditi correnti, devi dichiarare comunque.
Inoltre, lasciare gli interessi sul conto estero aumenta il saldo, peggiorando la violazione RW nel caso. Quindi non è affatto una soluzione. A scanso di equivoci: se lasci tutto all’estero, non è che dopo un tot anni si prescrive perché non li hai toccati – anzi, ogni anno quell’attività estera va dichiarata.
Dunque, che li porti o no in Italia, dichiara i redditi e il conto. Anzi, se li porti in Italia attraverso canali ufficiali (bonifico sul tuo conto italiano), paradossalmente è più facile che emergano tramite controlli bancari interni. Ma come detto, anche se rimangono fuori, emergono tramite CRS. Quindi, non c’è scappatoia.
D: La mia piattaforma è italiana (es. Smartika, Borsa del Credito, Prestiamoci), e mi paga già gli interessi tassati al 26%. Devo comunque fare qualcosa in dichiarazione?
R: In questo caso, no, non devi ridichiarare gli interessi. Se la piattaforma era tra quelle autorizzate a operare come sostituto d’imposta (verifica se sulle tue rendicontazioni c’è scritto ad es. “ritenuta fiscale 26% applicata”), significa che l’imposta è stata già trattenuta a titolo definitivo e tu sei esentato da ulteriori obblighi dichiarativi su quei redditi . È lo stesso meccanismo dei conti deposito in Italia: interessi già tassati a monte, non li metti in dichiarazione. L’unico caso in cui potresti avere qualcosa da dichiarare è se, ad esempio, la piattaforma italiana non era effettivamente autorizzata a fare da sostituto (come succedeva per alcune che usavano Lemonway) – allora, come spiegato prima, sei tu che dovevi dichiarare perché la ritenuta non era valida. Ma se parliamo di Smartika o altre iscritte ex art. 106 TUB, loro applicano il 26% all’erogazione degli interessi, e quindi quegli interessi non vanno nel tuo 730/Redditi, essendo già tassati alla fonte come imposta sostitutiva.
Quanto al quadro RW: se la piattaforma è italiana e i soldi transitano in Italia, non hai attività estere, dunque niente RW. Ad esempio Smartika appoggia i fondi su Banca Sella (italiana); i tuoi bonifici vanno lì, quindi non c’è conto estero intestato a te. Zero RW, zero IVAFE in questo scenario.
Riassumendo: se hai investito solo su piattaforme italiane con ritenuta, dormi sonni tranquilli – sei in regola e non devi indicare quegli interessi (né quell’investimento) in dichiarazione. Conserva però le certificazioni che la piattaforma ti invia a fine anno, a testimonianza delle ritenute subite, nel caso di controlli.
D: Ho ricevuto un avviso di accertamento per omessa dichiarazione di redditi P2P. Mi conviene pagare subito con acquiescenza o impugnare?
R: Dipende dal contenuto dell’avviso e dalla tua situazione. Se l’accertamento è corretto nei dati e l’AE ti ha già applicato le sanzioni minime, fare ricorso potrebbe solo farti perdere tempo e aggiungere spese. In tal caso pagare con acquiescenza entro 60 giorni ti dà l’ulteriore riduzione delle sanzioni a 1/3 , il che è molto conveniente. Ad esempio, se nel tuo avviso c’è scritto imposta €X, sanzioni €Y (già al minimo 120%), con acquiescenza paghi €X + interessi + €Y/3. Se invece fai ricorso e perdi, pagherai €X + interessi + €Y intero, più magari spese legali e aggiuntive. Quindi valutalo bene.
Al contrario, se l’avviso contiene errori sostanziali (ad es. importi gonfiati, anni prescritti, sanzioni applicate sopra il minimo senza motivo) o se tu hai elementi per difenderti (vedi paragrafo sulla difesa), può valere la pena non accettare subito e tentare l’adesione o il ricorso. In genere è consigliabile presentare istanza di accertamento con adesione appena ricevi l’avviso: questo sospende per 90 giorni i termini per il ricorso, e ti permette di dialogare con l’ufficio. Durante l’adesione puoi capire se c’è margine per ridurre l’atto. Se trovi un accordo soddisfacente, bene. Se vedi che l’ufficio non cede su nulla o ha torto marcio ma non lo riconosce, allora puoi sempre proseguire con il ricorso.
Quindi, la strategia ottimale spesso è: chiedere adesione (ti dà tempo e chances di sconto) -> se va bene, perfezioni adesione e paghi (sanzioni 1/3). Se va male, hai comunque ulteriori 60 giorni per ricorrere. Durante il ricorso, valuterai se pagare 1/3 delle imposte a titolo provvisorio (obbligo se vuoi evitare le ganasce su quell’importo, salvo chiedere sospensiva).
Fai attenzione: se non fai nulla entro 60 giorni (né paghi, né adesione, né ricorso), l’atto diventa definitivo e ti arriverà cartella Equitalia con importi pieni e aggiunta del 10% di aggio. Quindi non ignorarlo. Fai una scelta: o paghi con sconto, o combatti.
Considera anche il fattore importo: per somme modeste, il gioco del ricorso potrebbe non valere la candela. Esempio: ti chiedono €1.000, pagando subito riduci a €700. Se fai ricorso magari alla fine pagherai €1.000 comunque e avrai speso 500 di avvocato. Viceversa, per somme grandi (€50k, €100k) anche una riduzione del 20-30% ottenibile in giudizio vale migliaia di euro e può giustificare la causa.
Infine, valuta se rientri in possibili definizioni agevolate attuali. Ad esempio, nel 2023 c’era la definizione delle somme dovute su avvisi bonari e il saldo e stralcio per avvisi di accertamento non impugnati al 1/1/23: ipotesi particolari. Nel 2024-2025 potrebbe uscirne altre (piani MEF lo indicano). A volte conviene non perfezionare subito l’atto e aspettare la norma agevolativa. Ma questo è un rischio (se poi la norma non arriva, hai perso sconti ordinari). Difficile da prevedere.
In sintesi: se l’accertamento è in gran parte corretto ed è oneroso, meglio negoziare o chiudere subito con sconti. Se presenta aspetti contestabili e l’importo è rilevante, valuta il ricorso facendoti assistere.
D: In futuro, come posso evitare problemi con il Fisco riguardo al P2P lending?
R: La miglior difesa è una corretta prevenzione fiscale: – Dichiara annualmente tutti gli interessi percepiti da piattaforme P2P non italiane. Tieni un registro anno per anno di quanto incassi (molte piattaforme forniscono estratti/report fiscali annuali da cui risultano gli interessi totali, usali). – Compila sempre il quadro RW per ogni conto/piattaforma estera. Annota i saldi di fine anno e i massimi. Non dimenticare di includere eventuali conti “tecnici” (tipo conto di transito se ne hai). – Calcola e versa l’IVAFE se dovuta. Non è una grossa cifra in genere, quindi vale la pena pagarla per stare tranquilli. – Se possibile, sfrutta il regime amministrato: per ora nessuna banca italiana offre investimenti diretti in P2P lending con ritenuta a monte (perché le piattaforme operano fuori dal loro circuito). Però in futuro, se qualche intermediario italiano offrisse fondi o strumenti di investimento in loan P2P con tassazione già a 26%, potrebbe essere interessante aderire per semplificarti la vita fiscale. – Tieni ordinati i documenti giustificativi: contratti con le piattaforme, report annuali dei proventi, eventuali certificazioni di residenza fiscale (che a volte servivano per evitare doppie ritenute). Questo ti aiuterà in caso di richiesta informazioni. – Monitora le novità normative: il quadro può evolvere. Ad esempio, se il legislatore dovesse introdurre un regime agevolato specifico per il crowdlending (auspicato dagli operatori ), potresti cambiare modo di dichiarare. Oppure nuove piattaforme potrebbero ottenere licenze italiane, facilitandoti (già esistono ad esempio portali di lending immobiliare vigilati). Quindi resta informato tramite fonti ufficiali o consulenti.
Ad ogni modo, una dichiarazione onesta e completa è la miglior difesa: se hai dichiarato e pagato tutto, nessun accertamento potrà colpirti, se non errori rimediabili. Viceversa, omissioni anche involontarie aprono il fianco. Quindi cura questi aspetti o delegali a un commercialista esperto in fiscalità internazionale. Costa meno prevenire che curare (pagare una consulenza vs. pagare sanzioni).
Bibliografia & Fonti: Questa guida si è basata sui riferimenti normativi italiani (TUIR, D.Lgs. 471/97, D.L. 167/90), sulle circolari e risposte a interpello dell’Agenzia delle Entrate (in particolare nn. 168-169/2020 , n. 155/2022 , n. 689/2021 , n. 196/2024 ), e sulle analisi dottrinali e giurisprudenziali aggiornate. Sono state citate le pronunce di Cassazione più rilevanti in materia di monitoraggio fiscale e reati (es. Cass. 28077/2024 , Cass. 31626/2021 , Cass. 1309/2024 ). Fonti istituzionali come articoli su FiscoOggi e note di dirittobancario.it hanno chiarito il regime fiscale del P2P lending . Inoltre, fonti divulgative autorevoli (es. il portale Crowdfunding Buzz e guide fiscali specializzate ) hanno confermato l’interpretazione pratica per casi come Mintos/Bondora. Infine, comunicati stampa (SkyTG24 ) e blog di esperti tributaristi hanno fornito riscontro dell’attività di compliance in atto da parte dell’Agenzia Entrate. Tutte le informazioni sono aggiornate ad agosto 2025 e tengono conto delle ultime evoluzioni normative e operative in materia fiscale.
In conclusione, se l’Agenzia delle Entrate contesta omissioni di guadagni da peer-to-peer lending, la migliore strategia è collaborare informandosi: conoscere i propri diritti ma anche i doveri. Agire tempestivamente con ravvedimento operoso o adesione può evitare il contenzioso; e se il contenzioso è necessario, prepararsi con dati e norme alla mano. Così facendo, anche un’investimento innovativo come il P2P lending potrà essere gestito senza incubi fiscali.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati guadagni da peer-to-peer lending non dichiarati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati guadagni da peer-to-peer lending non dichiarati?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
Il peer-to-peer lending (P2P lending) è una forma di investimento che consiste nel prestare denaro tramite piattaforme online a privati o imprese, ottenendo in cambio interessi. Questi interessi sono considerati redditi di capitale o redditi diversi, e devono essere dichiarati. L’Agenzia delle Entrate, grazie agli scambi informativi con le piattaforme e ai controlli bancari, può contestarne l’omessa dichiarazione.
👉 Prima regola: dimostra la corretta tassazione o la non imponibilità dei redditi derivanti dal P2P lending.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Interessi percepiti tramite piattaforme P2P non dichiarati;
- Flussi in entrata sui conti bancari senza giustificazione fiscale;
- Errori nella classificazione dei redditi (capitali vs. diversi);
- Mancato inserimento nel quadro RW se la piattaforma è estera;
- Omissioni derivanti da mancata documentazione fiscale rilasciata dall’intermediario.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero IRPEF sugli interessi non dichiarati;
- Sanzioni dal 90% al 180% delle imposte accertate;
- Interessi di mora;
- Sanzioni per omesso monitoraggio RW (dal 3% al 15%, raddoppiate se black list);
- Rischio di ulteriori accertamenti sui flussi finanziari collegati.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Certificazioni fiscali della piattaforma: attestano già eventuali ritenute?
- Localizzazione della piattaforma: è italiana (con ritenuta alla fonte) o estera (dichiarazione obbligatoria)?
- Movimenti bancari: sono riconducibili a interessi imponibili o a restituzione del capitale?
- Motivazione della contestazione: l’Agenzia ha analizzato documenti concreti o solo presunzioni?
- Eventuali errori di compilazione della dichiarazione.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Estratti conto e certificazioni fiscali rilasciate dalle piattaforme P2P;
- Prove dei bonifici di investimento e dei rimborsi di capitale;
- Contratti sottoscritti con la piattaforma;
- Dichiarazioni dei redditi e quadro RW;
- Comunicazioni con l’intermediario.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare che gli importi erano già stati tassati (ritenute alla fonte);
- Contestare errori dell’Agenzia nella distinzione tra capitale rimborsato e interessi;
- Chiarire la corretta natura del reddito con documentazione fiscale;
- Eccepire vizi formali dell’accertamento: motivazione carente, decadenza dei termini, notifica irregolare;
- Richiedere autotutela se i dati erano già disponibili;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per ridurre o annullare la pretesa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i guadagni da P2P lending contestati e la documentazione fiscale;
📌 Verifica la corretta qualificazione dei redditi e il rispetto degli obblighi dichiarativi;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione sicura degli investimenti P2P.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità degli investimenti innovativi;
✔️ Specializzato in difesa di privati e imprese contro contestazioni su redditi da peer-to-peer lending;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’omessa dichiarazione di guadagni da peer-to-peer lending non sempre sono fondate: spesso derivano da errori di classificazione o da controlli bancari incompleti.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta tassazione o l’irrilevanza fiscale dei flussi, ridurre drasticamente sanzioni e interessi ed evitare la doppia imposizione.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sul P2P lending inizia qui.