Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché gli interessi maturati sui tuoi conti deposito non sono stati dichiarati? In questi casi, l’Ufficio presume che i proventi derivanti da conti di risparmio o strumenti simili siano stati occultati al fisco e procede al recupero delle imposte con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è corretta: esistono strumenti difensivi per dimostrare la regolarità fiscale o correggere eventuali errori.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’omessa tassazione degli interessi
– Se gli interessi maturati non compaiono nella dichiarazione dei redditi
– Se le banche non hanno applicato correttamente la ritenuta alla fonte
– Se gli interessi derivano da conti esteri non dichiarati nel quadro RW
– Se vi sono incongruenze tra i dati trasmessi dagli istituti di credito e quelli indicati dal contribuente
– Se l’Ufficio presume una sistematica omissione dei redditi finanziari
Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte sugli interessi non dichiarati
– Applicazione di sanzioni per omessa o infedele dichiarazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di ulteriori accertamenti su altri redditi di natura finanziaria
– Possibili segnalazioni per violazioni in materia di monitoraggio fiscale (conti esteri)
Come difendersi dalla contestazione
– Produrre estratti conto e certificazioni bancarie che attestino gli interessi già tassati con ritenuta alla fonte
– Dimostrare che parte delle somme non costituisce reddito imponibile (es. rimborsi o movimenti interni)
– Contestare errori di calcolo o di imputazione commessi dall’Agenzia
– Evidenziare vizi di motivazione o difetti di istruttoria nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i dati bancari e i flussi finanziari contestati
– Verificare la corretta applicazione della normativa fiscale sugli interessi da conti deposito
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari contro pretese fiscali indebite
– Tutelare il patrimonio personale da richieste sproporzionate e indebite
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione delle sanzioni e degli interessi
– Il riconoscimento della corretta tassazione già effettuata dalle banche
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: gli interessi sui conti deposito rientrano tra i redditi di capitale e sono soggetti a controlli automatici incrociati. È fondamentale intervenire tempestivamente per evitare che l’accertamento diventi definitivo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità finanziaria – spiega come difendersi in caso di contestazioni per omessa tassazione di interessi su conti deposito e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
L’Agenzia delle Entrate italiana ha intensificato i controlli sui redditi di fonte estera e sui conti bancari, spesso contestando ai contribuenti l’omessa tassazione di interessi su conti deposito. In pratica, si tratta di quei casi in cui un contribuente residente in Italia ha percepito interessi attivi maturati su somme depositate in conto corrente o conto deposito (in Italia o all’estero) senza dichiararli al Fisco e senza assoggettarli alla prevista imposta. Tali omissioni possono emergere durante verifiche o tramite lo scambio automatico di informazioni finanziarie internazionali (Common Reporting Standard – CRS), che fornisce all’Amministrazione finanziaria italiana dati su saldi e interessi dei conti detenuti da residenti in Italia presso banche estere .
Affrontare un accertamento fiscale di questo tipo richiede conoscenze normative avanzate e una strategia difensiva accurata. Questa guida, aggiornata ad agosto 2025, fornisce un quadro completo delle norme italiane in materia, delinea i più recenti sviluppi giurisprudenziali (sentenze di Cassazione, pronunce delle Corti di Giustizia Tributaria e interventi della Corte Costituzionale) e illustra gli strumenti deflattivi del contenzioso (ravvedimento operoso, accertamento con adesione, autotutela, ricorso tributario) dal punto di vista del contribuente (debitore). Lo stile adotterà un linguaggio giuridico preciso ma con intento divulgativo, utile sia ai professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia ai privati cittadini e imprenditori che si trovino a dover difendere i propri diritti di fronte a una contestazione di omessa tassazione di interessi.
Cosa significa “omessa tassazione di interessi”: In Italia gli interessi bancari sono considerati redditi di capitale ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) . Ciò significa che, se il contribuente è residente fiscale in Italia, deve dichiarare e tassare gli interessi ovunque prodotti (principio del worldwide income) . Un’omissione si verifica quando tali interessi non vengono inclusi nella dichiarazione dei redditi e non subiscono quindi l’imposizione dovuta (imposta sostitutiva o IRPEF a seconda dei casi). L’omissione può riguardare:
- Interessi su conti italiani: di norma le banche italiane applicano direttamente una ritenuta del 26% a titolo d’imposta sugli interessi accreditati ai clienti privati, sollevando questi ultimi dall’obbligo di dichiararli (la tassazione è già avvenuta “alla fonte”). Se però, per qualsiasi ragione, la ritenuta non è stata operata o gli interessi non sono stati dichiarati quando invece dovuto (casi particolari di conti intestati a imprese, enti o soggetti per cui la ritenuta non era a titolo d’imposta), si configura un’omissione.
- Interessi su conti esteri: in questo caso, non essendoci un intermediario italiano che applichi la ritenuta, spetta al contribuente dichiarare gli interessi nel proprio Modello Redditi e versare la relativa imposta. L’omessa dichiarazione di interessi da conti esteri è una violazione piuttosto grave in quanto, oltre all’imposta evasa, può implicare sanzioni specifiche per il mancato monitoraggio del conto estero (Quadro RW). È uno scenario comune emerso negli ultimi anni grazie ai dati finanziari esteri condivisi con l’Italia (CRS). Ad esempio, un residente italiano con un conto deposito in Svizzera che abbia prodotto interessi non dichiarati si vedrà recapitare un accertamento che recupera a tassazione quegli interessi.
Dopo aver definito il contesto, passiamo ad esaminare in dettaglio la normativa italiana sulla tassazione di questi interessi (domestici ed esteri), per poi affrontare il regime sanzionatorio applicabile in caso di omissione. Successivamente, analizzeremo come l’Agenzia delle Entrate procede negli accertamenti (dalle lettere di compliance agli avvisi di accertamento) e quali sono le strategie difensive a disposizione del contribuente. Includeremo riferimenti a sentenze recentissime – ad esempio in tema di credito d’imposta estero e cumulo delle sanzioni – e forniremo esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni.
Normativa italiana sulla tassazione degli interessi su conti deposito
Principi generali: redditi di capitale e residenza fiscale
In Italia gli interessi bancari (così come altri proventi finanziari) rientrano nei redditi di capitale, disciplinati dal TUIR. L’art. 44 del TUIR elenca infatti tra i redditi di capitale “gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti” . Ciò vale a prescindere dall’uso o dalla destinazione di tali somme: ad esempio, anche gli interessi maturati su un conto bancario utilizzato nell’ambito di un’attività professionale o d’impresa conservano la natura di redditi di capitale (non diventano redditi d’impresa o di lavoro autonomo) . La Cassazione, con la recente sentenza n. 13933 del 26 maggio 2025, ha ribadito che il presupposto impositivo per questi interessi è il possesso del reddito, inteso come disponibilità giuridica e materiale delle somme di denaro depositate e dei relativi interessi, con facoltà di gestirli in nome proprio . In altre parole, è tassato chi ha la disponibilità effettiva del capitale e degli interessi, anche se il denaro è formalmente intestato a terzi (si pensi al caso di un trust o di un conto cointestato: rileva il titolare effettivo).
Il principio cardine è che la tassazione dipende dalla residenza fiscale del percettore degli interessi. Ai sensi dell’art. 3 del TUIR, i soggetti residenti in Italia sono tassati sui redditi ovunque prodotti (principio del worldwide income) . Dunque, una persona fisica fiscalmente residente in Italia deve dichiarare sia gli interessi su conti italiani sia quelli su conti esteri (salvo il caso in cui per quelli italiani la tassazione sia già avvenuta alla fonte in via definitiva, come vedremo). Viceversa, i non residenti sono tassati in Italia solo sui redditi prodotti nel territorio italiano (nel nostro contesto, ad esempio, gli interessi su un conto italiano percepiti da un non residente possono essere soggetti a ritenuta in Italia, salvo diverse disposizioni convenzionali).
La residenza fiscale delle persone fisiche è determinata dall’art. 2 del TUIR (iscrizione anagrafica, domicilio o residenza civile per più di metà anno, in via alternativa) . Questo criterio può dar luogo a doppie imposizioni internazionali – ad esempio, interessi tassati sia nello Stato estero della fonte sia in Italia per residenza – ma tali situazioni sono generalmente risolte tramite le Convenzioni contro le doppie imposizioni (CDI) stipulate dall’Italia con altri Paesi. Tipicamente le CDI prevedono che lo Stato della fonte possa tassare gli interessi con un’aliquota limitata (spesso 10% o 15%) e che lo Stato di residenza (Italia) possa tassarli pienamente, riconoscendo però un credito d’imposta per l’eventuale imposta estera pagata (entro certi limiti). Il meccanismo del credito per imposte estere è disciplinato dall’art. 165 TUIR. Di particolare rilievo, come vedremo, sono le evoluzioni giurisprudenziali recenti che hanno affermato la possibilità di ottenere tale credito anche se l’interessato non aveva inizialmente indicato il reddito estero in dichiarazione .
Tassazione degli interessi su conti deposito e conti correnti in Italia
Nel sistema italiano, gli interessi derivanti da conti correnti e depositi bancari presso intermediari italiani sono soggetti a un regime di imposizione sostitutiva alla fonte. In particolare, l’art. 26, comma 2, del DPR 600/1973 prevede che Poste Italiane S.p.A. e le banche operino una ritenuta alla fonte sugli interessi e altri proventi corrisposti ai titolari dei conti . Dal 1° luglio 2014 tale ritenuta è fissata al 26% ed è applicata a titolo d’imposta, cioè in modo definitivo . Ciò significa che per le persone fisiche e gli enti non commerciali la ritenuta esaurisce il prelievo fiscale su quegli interessi: l’importo accreditato in conto è già al netto dell’imposta sostitutiva dovuta, e il contribuente non deve indicare quegli interessi nella propria dichiarazione dei redditi (né pagare ulteriore IRPEF su di essi). Ad esempio, se su un conto deposito italiano maturano €1.000 di interessi lordi, la banca trattiene €260 (26%) versandoli allo Stato e accredita €740 netti al cliente, il quale non ha ulteriori obblighi fiscali su tale somma.
Va sottolineato che questa ritenuta a titolo d’imposta si applica tipicamente ai clienti persone fisiche residenti e ad altri soggetti equiparati. Diverso è il caso delle imprese e società: per i soggetti IRES (società di capitali) e in taluni casi per le imprese individuali o società di persone, gli interessi attivi concorrono al reddito d’impresa imponibile e la ritenuta bancaria (se applicata) opera a titolo d’acconto. Ad esempio, gli interessi attivi su conti intestati a una società possono essere pagati senza ritenuta (esenzione prevista per percettori quali S.n.c., S.a.s., S.r.l. ecc. ) oppure con ritenuta d’acconto: in entrambi i casi la società dovrà includere gli interessi lordi nel proprio reddito e scontare l’IRES (attualmente 24%) su di essi, potendo eventualmente detrarre la ritenuta subita. La Cassazione ha recentemente affrontato una controversia peculiare (sent. n. 13933/2025) in cui l’Agenzia sosteneva che gli interessi attivi su fondi pubblici gestiti da una società in house regionale fossero stati assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta (non d’acconto) perché la società non aveva il “possesso” di quei redditi . La Suprema Corte ha però respinto la tesi dell’Agenzia, chiarendo che la società, avendo disponibilità e gestione di quei fondi, era soggetto passivo IRES per gli interessi maturati . Questo caso conferma la regola generale: se il percettore degli interessi è un soggetto passivo d’imposta sul reddito (come una società), gli interessi vanno inclusi nel reddito imponibile, evitando duplicazioni d’imposta (la ritenuta eventualmente subita diviene un credito compensabile). Per i privati non imprenditori, invece, la ritenuta del 26% è definitiva.
Da un punto di vista normativo, è utile ricordare che l’aliquota del 26% è in vigore dal 2014 (DL 66/2014): in precedenza (2012-2013) era al 20%, e prima ancora i conti deposito bancari scontavano il 27%. Oggi vige la sostanziale uniformità al 26% per la maggior parte dei redditi di capitale (fa eccezione, tra i principali, l’interesse sui titoli di Stato italiani o equiparati, tassati al 12,5%). In ogni caso, per le contestazioni odierne di interessi non tassati, l’Agenzia delle Entrate applicherà l’aliquota vigente nel periodo d’imposta contestato (es.: omessa tassazione di interessi nel 2018 → imposta al 26%, omessa tassazione nel 2011 → imposta al 27%, e così via).
Obbligo dichiarativo: Come detto, se la ritenuta è a titolo d’imposta, il contribuente non deve dichiarare quegli interessi. Occorre però fare attenzione: se per qualche motivo la banca non ha applicato la ritenuta (caso raro per privati residenti, più possibile per conti intestati a soggetti con P.IVA), allora gli interessi diventano “lordi” e il contribuente deve dichiararli e pagarci l’imposta. Ad esempio, un professionista che abbia erroneamente percepito interessi su un conto professionale senza ritenuta potrebbe doverli indicare nella sezione RL o CM del Modello Redditi. In generale comunque, per un privato, l’omessa tassazione di interessi su conti italiani è circoscritta a situazioni eccezionali o a errori dell’intermediario: il caso tipico di “omessa tassazione di interessi” riguarda piuttosto i conti esteri, esaminati qui di seguito.
Tassazione degli interessi su conti deposito esteri: dichiarazione nel Quadro RM e imposta sostitutiva
Quando un contribuente residente detiene un conto corrente o conto deposito all’estero, il trattamento fiscale degli interessi attivi segue regole specifiche. Non essendoci un sostituto d’imposta italiano che intervenga, il legislatore ha previsto un meccanismo analogo all’imposta sostitutiva interna: l’art. 18 del DPR 917/1986 (TUIR) stabilisce che i redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti (come gli interessi da una banca estera) sono soggetti a un’imposta sostitutiva con la stessa aliquota prevista per la ritenuta a titolo d’imposta domestica . Dunque, anche per gli interessi esteri l’aliquota è il 26% (salvo si tratti di interessi su titoli di Stato esteri white list, dove si applica il 12,5% come per i titoli italiani).
In pratica, il contribuente che percepisce interessi esteri deve autonomamente inserirli nella propria dichiarazione dei redditi (Modello Redditi Persone Fisiche, quadro RM – Sezione V, rigo RM12, per i redditi di capitale da assoggettare a imposta sostitutiva) e calcolare il 26% dovuto . Il pagamento avviene insieme al saldo delle imposte sui redditi, con il codice tributo relativo alle imposte sostitutive. Non è invece consentito riportare tali redditi nel modello 730 semplificato, a meno che ci sia un sostituto d’imposta italiano che li abbia già tassati; di fatto, chi ha interessi esteri deve utilizzare il Modello Redditi.
Sezione del Modello Redditi PF (Quadro RM) per dichiarare gli interessi da conti esteri e applicare l’imposta sostitutiva del 26%. Occorre indicare il tipo di reddito, il Paese estero, l’ammontare lordo degli interessi, l’aliquota (26%) e calcolare l’imposta dovuta. È prevista una casella per l’“opzione tassazione ordinaria” qualora il contribuente decida di non avvalersi dell’imposta sostitutiva.
Una particolarità infatti è che il contribuente ha facoltà di optare per la tassazione ordinaria degli interessi esteri, anziché l’imposta sostitutiva . Barrare l’apposita casella (nel rigo RM12, colonna 7) significa che quegli interessi verranno aggiunti agli altri redditi e tassati con le aliquote IRPEF progressive ordinarie, al posto del 26% secco. Perché qualcuno dovrebbe scegliere la via ordinaria, che di solito comporta aliquote marginali più alte del 26%? Il motivo è il credito per le imposte pagate all’estero: se sul conto estero gli interessi sono già stati tassati dallo Stato estero (ad esempio con una ritenuta alla fonte del 15% o 30%), optando per la tassazione ordinaria il contribuente può fruire del credito d’imposta estero (art. 165 TUIR) per evitare la doppia imposizione . Invece, nel regime dell’imposta sostitutiva, non è prevista l’attribuzione di crediti per le ritenute estere eventualmente subite. Facciamo un esempio per chiarire:
- Esempio: Caio, residente in Italia, ha un conto deposito in un Paese X che nel 2024 gli ha corrisposto €1.000 di interessi, su cui il Paese X ha trattenuto una ritenuta del 15%. Caio nel Modello Redditi 2025 può dichiarare i €1.000 di interessi in due modi:
(a) regime sostitutivo: indica i €1.000 nel quadro RM, paga il 26% (€260) in Italia e non può recuperare i €150 pagati all’estero (dovrebbe eventualmente chiederne rimborso al fisco estero secondo la Convenzione, cosa spesso complessa) . Risultato: tassazione totale 15% + 26% = 41%.
(b) opzione per regime ordinario: indica i €1.000 tra i redditi soggetti a IRPEF. Supponiamo Caio abbia già altri redditi che lo collocano nello scaglione IRPEF 43%. Sugli €1.000 pagherà €430 di IRPEF lorda, ma ha diritto a un credito per i €150 pagati all’estero. Dunque verserà in Italia €280 netti. Risultato: tassazione totale €150 + €280 = €430, pari al 43%. In questo caso l’opzione ordinaria ha ridotto il carico complessivo (43% vs 41% sarebbe in realtà un aumento; l’utilità si vedrebbe se l’aliquota IRPEF di Caio fosse, ad esempio, 35%, allora pagherebbe €350 – 150 estero = €200 Italia, totale 35%). In generale, l’opzione conviene solo se la somma delle aliquote non supera il 26% o se si vuole comunque evitare di lasciare imposta estera non recuperata.
In sintesi, la maggior parte dei contribuenti opta per l’imposta sostitutiva del 26%, più semplice e spesso conveniente. Chi ha subìto forti tassazioni estere può valutare il regime ordinario. È importante notare che l’omessa dichiarazione di interessi esteri implica non solo il mancato versamento del 26%, ma anche la perdita (temporanea) della chance di detrarre eventuali imposte estere: tuttavia, come anticipato, la giurisprudenza del 2024-2025 ha stabilito che il diritto al credito d’imposta estero non decade automaticamente per il solo fatto di non aver indicato in dichiarazione il reddito e la relativa imposta . Ciò significa che, anche in sede di accertamento o contenzioso, il contribuente potrà far valere le imposte già pagate all’estero producendo idonea documentazione (certificati fiscali esteri) e richiedendo la detrazione ex art. 165 TUIR . La Cassazione (ordinanza n. 10642/2025 e altre conformi) ha infatti escluso che l’omessa indicazione originaria comporti la perdita definitiva del credito, riconoscendo che, in ossequio alle Convenzioni internazionali, il credito per le imposte estere spetta comunque entro il limite decennale di prescrizione, privilegiando la sostanza sulla forma . Torneremo su questo punto nella parte difensiva.
Monitoraggio fiscale (Quadro RW): Oltre alla tassazione in sé degli interessi, chi detiene conti all’estero deve rispettare gli obblighi di monitoraggio fiscale compilando il Quadro RW della dichiarazione annuale. Tale quadro serve a segnalare il possesso di attività estere (conti bancari, investimenti finanziari, immobili, ecc.) e calcolare le eventuali imposte patrimoniali estere dovute (IVAFE/IVIE). È importante capire che l’obbligo RW è indipendente dalla produzione di reddito: va dichiarato il conto estero anche se non ha prodotto interessi (o se gli interessi sono già tassati) , purché superate certe soglie di esonero. In particolare, per i conti correnti e depositi esiste una soglia di esenzione di €15.000 di giacenza massima nell’anno (se complessivamente non si supera tale importo, il conto può non essere dichiarato ai fini RW) . Attenzione però: se è dovuta l’IVAFE (imposta sul valore del conto estero, pari a €34,20 annui per saldo medio > €5.000), il quadro RW va compilato anche sotto la soglia dei 15.000 . L’omessa compilazione del quadro RW comporta sanzioni proprie (dal 3% al 15% del valore non dichiarato, raddoppiate in caso di attività in paradisi fiscali) di cui diremo a breve. Pertanto, un contribuente che abbia “dimenticato” di dichiarare un conto estero su cui percepiva interessi incorre in due violazioni distinte: (i) l’omessa indicazione del conto (se dovuta) e (ii) l’omessa dichiarazione dei redditi di interessi. Sono due ambiti sanzionatori differenti, anche se collegati.
Riassumendo questa sezione normativa, i punti chiave sono: 1) gli interessi su conti/depositi sono redditi di capitale tassati generalmente con aliquota proporzionale (26%) separatamente dal resto; 2) se prodotti in Italia, la banca trattiene l’imposta e il contribuente normalmente non li dichiara; se prodotti all’estero, vanno autoliquidati in dichiarazione (quadro RM) con imposta 26%, salvo opzione per IRPEF ordinaria con eventuale credito per imposte estere; 3) i conti esteri vanno monitorati nel quadro RW, a prescindere dalla tassazione dei redditi; 4) la residenza fiscale del contribuente determina l’obbligo di dichiarare i redditi esteri (il trasferimento all’estero della residenza – reale o fittizio – è un tema connesso, oltre lo scopo di questa guida, ma si pensi ad esempio ai soggetti iscritti AIRE: non residenti fiscalmente in Italia, non devono dichiarare redditi esteri, ma se indebitamente non residenti si aprono altre questioni come l’esterovestizione, ecc.). Nei capitoli seguenti vedremo cosa succede quando l’Agenzia contesta un’omissione e quali difese si possono attivare.
Omessa dichiarazione degli interessi: violazioni e sanzioni
Quando l’Agenzia delle Entrate accerta che un contribuente non ha dichiarato e tassato interessi dovuti, configura tipicamente la violazione di dichiarazione infedele (se il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi ma incompleta) oppure di omessa dichiarazione (se non ha proprio presentato la dichiarazione per quell’anno). A queste violazioni “sostanziali” si aggiunge, se del caso, la violazione “formale” di omesso monitoraggio (Quadro RW) per i conti esteri non dichiarati. Esaminiamo separatamente tali profili sanzionatori, tenendo conto delle novità normative entrate in vigore dal 2024 e degli orientamenti giurisprudenziali più favorevoli al contribuente.
Dichiarazione infedele di redditi (interessi non dichiarati) – Sanzioni amministrative
La dichiarazione infedele ricorre quando il contribuente presenta la dichiarazione annuale ma vi indica elementi attivi (redditi) in misura inferiore al reale, determinando un’imposta dovuta inferiore a quella effettiva. Nel nostro caso, se Tizio presenta il Modello Redditi ma omette di includere €1.000 di interessi esteri, pagando meno imposte, egli rende infedele la dichiarazione. La sanzione amministrativa ordinaria, prevista dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 471/1997, era compresa (fino al 2024) tra il 90% e il 180% della maggiore imposta dovuta. Generalmente l’Agenzia applicava il minimo edittale (90%) salvo aggravanti. Inoltre, una norma aggravante prevedeva una maggiorazione di 1/3 della sanzione se l’infedeltà riguardava redditi esteri non dichiarati (art. 1, co. 3, D.Lgs. 471/97). Dunque, di fatto, l’omessa dichiarazione di interessi esteri comportava una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta evasa (90% × 1/3 = +30% di 90, quindi 120% come minimo) .
Un’importante novità introdotta dalla riforma fiscale 2023-2024 (D.Lgs. 87/2024, in vigore per violazioni dal 1° settembre 2024) è la riduzione delle sanzioni per infedele dichiarazione: il legislatore ha previsto una misura unica del 70% dell’imposta evasa, eliminando il precedente range 90-180% . Contestualmente, è stata abolita la maggiorazione di 1/3 per i redditi esteri non dichiarati . In altre parole, per le violazioni commesse dal settembre 2024 in avanti, la sanzione per aver omesso interessi (o altri redditi) esteri sarà pari al 70% dell’imposta evasa, senza ulteriori aggravamenti. Si noti che questa modifica non ha effetto retroattivo sulle violazioni pregresse (il decreto ha escluso il favor rei retroattivo) , ma in sede di contenzioso è possibile che i contribuenti invochino comunque la nuova misura come indice di non gravità. Ad ogni modo, ad agosto 2025 l’Agenzia sta applicando nei propri atti le sanzioni previgenti per annualità fino al 2023 (di solito il 90% o 120% se estero) e applicherà la nuova misura del 70% per eventuali violazioni successive. I principi espressi dalla Cassazione, tuttavia, già prima della riforma tendevano a mitigare la somma delle sanzioni: ad esempio, in caso di più annualità con lo stesso comportamento omissivo reiterato, la Corte ha chiarito che si applichi l’istituto della continuazione (art. 12 D.Lgs. 472/97) con un cumulo giuridico più favorevole anziché la somma aritmetica delle sanzioni per singolo anno .
Vediamo un esempio pratico di calcolo sanzionatorio (ante riforma) per capire gli ordini di grandezza:
- Esempio: Tizio non ha dichiarato interessi esteri per €1.000 relativi al 2021. Imposta evasa: 26% di 1.000 = €260. La sanzione base infedele è 90% di 260 = €234. Trattandosi di reddito estero, l’Agenzia applica +1/3, arrivando a €312 (120% di 260). In genere però l’Ufficio poteva discrezionalmente limitarsi al minimo edittale puro (90%) se considerava l’aggravante assorbita da altre circostanze. Ai €312 si aggiungono gli interessi di mora (calcolati al tasso legale via via vigente, recentemente aumentato al 5% annuo circa). Quindi, se Tizio viene accertato nel 2025, potrebbe vedersi richiedere: imposta €260 + sanzione ~€312 + interessi ~€50 = circa €622. Con la riforma, per le stesse cifre, la sanzione sarebbe 70% di 260 = €182, portando il totale a ~€492. Se Tizio avesse regolarizzato spontaneamente prima dell’accertamento (ravvedimento), la sanzione sarebbe stata drasticamente ridotta: ad esempio, regolarizzando nel 2023 (oltre un anno dal fatto) la sanzione base 90% sarebbe ridotta a 1/6 (15%), quindi 39€ , per un totale da pagare (260+39+int.) intorno a €310, evitando l’intero contenzioso.
È importante capire che la sanzione per infedele dichiarazione viene applicata per singolo periodo d’imposta in cui vi è stata evasione. Tuttavia, se la violazione è “continuativa” (es. stesso tipo di redditi omessi su più anni), come detto si può invocare il cumulo giuridico: in tal caso l’organo accertatore o il giudice applicherà un’unica sanzione aumentata (fino al doppio) invece di sommare tante sanzioni quante le annualità . La Cassazione negli ultimi anni (sentt. nn. 16517/2022, 6310/2023, 11849/2023) ha confermato questo orientamento favorevole ai contribuenti, evitando duplicazioni punitive per comportamenti omogenei ripetuti .
Un caso particolare: dichiarazione integrativa specializzata. Se il contribuente, pur avendo presentato la dichiarazione, si rende conto dell’omissione dei redditi esteri e presenta spontaneamente una dichiarazione integrativa a suo favore (cioè andando a sanare l’errore prima di controlli), può avvalersi del ravvedimento operoso con sanzioni ridotte (vedremo a breve i dettagli). Se invece presenta l’integrativa dopo aver ricevuto una comunicazione formale di irregolarità o un accertamento, non è più ravvedimento (potrà semmai aderire o transigere). Nel 2023 era stata prevista una misura una tantum di “ravvedimento speciale” per errori nelle dichiarazioni 2021 e precedenti, con sanzione ridotta a 1/18, ma ormai tali finestre si sono chiuse. Dal 2024 però, come evidenziato dal D.Lgs. 87/2024, è stata introdotta la possibilità di presentare dichiarazioni tardive (oltre i 90 giorni) per sanare omesse dichiarazioni, pagando una sanzione del 75% (in luogo del 120%) . Questo strumento colma un vuoto: in passato, decorso il termine, la dichiarazione omessa non poteva più essere sanata se non tramite accertamento, ora invece si può inviare tardivamente con sanzione ridotta (resta comunque precluso il ravvedimento ordinario in assenza di dichiarazione originaria ).
Ai fini penali, la dichiarazione infedele diviene reato solo oltre certe soglie: l’art. 4 D.Lgs. 74/2000 punisce chi, al fine di evadere, indica elementi attivi inferiori al vero superando €100.000 di imposta evasa per anno e contemporaneamente omettendo più del 10% del reddito o più di €2 milioni di base imponibile . Nel caso di soli interessi bancari, è raro superare tali soglie (bisognerebbero interessi non dichiarati enormi, es. oltre €385.000 se aliquota 26%, per evadere >100k imposta). Per completezza: se la soglia è superata e c’è dolo, il reato è punito con reclusione 2–4.5 anni , ma il pagamento integrale del debito tributario prima del dibattimento estingue il reato (causa di non punibilità introdotta nel 2019, art. 13-bis D.Lgs. 74/2000). In ogni caso, la stragrande maggioranza dei casi di omissione di interessi bancari resta nell’alveo amministrativo, con sanzioni pecuniarie come sopra descritto e senza implicazioni penali (a meno che gli interessi celino capitali illeciti di dimensioni eccezionali, ma in quei frangenti scattano piuttosto altre contestazioni, es. riciclaggio).
Omessa dichiarazione (dichiarazione annuale mancante) – Sanzioni
Un caso diverso è quello del contribuente che non presenta affatto la dichiarazione dei redditi per un dato anno, magari perché i suoi unici redditi erano all’estero e pensava di poterli occultare. Se un soggetto obbligato omette integralmente la dichiarazione, la sanzione ex art. 1, comma 1, D.Lgs. 471/1997 è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250 . Anche qui vigeva (ed era applicabile) la maggiorazione di 1/3 se l’omissione riguardava redditi esteri, portando il range al 160%-320%. La riforma 2024 ha semplificato la forbice prevedendo una sanzione fissa del 120% (eliminando il massimo 240%) per i nuovi casi , sempre senza retroattività. Rimane il minimo €250 se non c’è imposta. Inoltre, se entro 90 giorni dalla scadenza il contribuente presenta la dichiarazione tardiva, la violazione è “soltanto” infedele (sanzione ridotta). Se supera i 90 giorni, la dichiarazione è omessa, ma come detto ora può presentarla tardivamente subendo il 75% di sanzione fissa . In contesti di conti esteri, l’omessa dichiarazione totale è meno frequente (di solito il contribuente ha anche redditi in Italia per cui una dichiarazione la presenta, pur truccata). Comunque le soglie penali per omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) scattano se l’imposta evasa supera €50.000 annui, punendo con reclusione 2–5 anni chi omette di presentare la dichiarazione al fine di evadere.
Omessa compilazione del Quadro RW (monitoraggio) – Sanzioni
Indipendentemente dalle imposte evase, il mancato monitoraggio di un conto estero configura una violazione formale ma considerata di natura sostanziale dal legislatore (serve a prevenire l’evasione internazionale). La sanzione prevista dall’art. 5, comma 2, D.L. 167/1990 (conv. L. 227/1990) è pari al 3% al 15% dell’importo non dichiarato (valore del conto o degli investimenti non monitorati). Se l’attività estera è situata in un Paese qualificato come paradiso fiscale (black list) per il periodo d’imposta, la sanzione raddoppia al 6%–30%. Questa sanzione colpisce ogni anno omesso. Ad esempio, un conto estero con saldo di €100.000 non dichiarato per 3 anni in periodo “white list” comporta (di base) 3 sanzioni del 3–15% ciascuna; in periodo black list sarebbero 3 sanzioni del 6–30% ciascuna. Anche qui però interviene l’art. 12 del D.Lgs. 472/97: la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’omissione RW pluriennale costituisce un’unica violazione continuata, punibile con una sola sanzione base aumentata fino al doppio . La Cassazione, con pronunce del 2022-2023, ha espressamente statuito che si applichi il cumulo giuridico in questi casi, in quanto la condotta omissiva è la medesima reiterata . Ciò ha portato a significative riduzioni sanzionatorie: invece di sommare un 15% per 5 anni (75%), si applica un 15% unico aumentato ad esempio al 30% complessivo . Questo orientamento è ormai consolidato e l’Amministrazione si sta adeguando, irrogando un’unica sanzione per più anni quando riconosce la continuazione.
Va menzionata una sentenza recentissima della Cassazione (Sez. Trib. n. 28077 del 30/10/2024) che ha affermato che l’omessa indicazione delle attività estere in RW non è una mera irregolarità formale, ma sostanziale . Ciò significa che, anche se l’occultamento del conto estero non produceva in sé un “danno erariale” immediato (ad es. perché su quel conto non vi erano redditi imponibili), la violazione è comunque materiale e meritevole di sanzione. Nella stessa sentenza, tuttavia, la Corte ha considerato il problema della sproporzione delle sanzioni RW in assenza di evasione d’imposta . Il caso riguardava trasferimenti di capitali 2005-2008 con sanzione del 5% annuo (allora black list) poi contestata. Senza entrare nei dettagli, il messaggio generale è che le sanzioni RW vanno applicate, ma devono essere proporzionate. In virtù di ciò, la recente riforma fiscale ha anche modificato i criteri generali di commisurazione delle sanzioni, dando al giudice la facoltà di ridurle ulteriormente in caso di evidente sproporzione (principio di proporzionalità, modifiche al D.Lgs. 472/97). È probabile quindi che, in presenza di conti dichiarati in ritardo ma senza redditi sottratti, le sanzioni possano essere ridotte al minimo o persino inferiori in casi estremi.
Rapporto tra sanzione RW e sanzione su redditi: Sono due ambiti autonomi. Un contribuente che non dichiara un conto e i relativi interessi subisce entrambe le contestazioni. Non vi è ne bis in idem amministrativo perché una colpisce la violazione degli obblighi dichiarativi del monitoraggio, l’altra la violazione degli obblighi reddituali. Dal punto di vista penale, invece, va garantito il ne bis in idem qualora la stessa evasione sia punita due volte: la Corte Costituzionale e le Corti europee hanno trattato la questione del doppio binario sanzionatorio (amministrativo+penale). Nel settore tributario italiano, per evitare il bis in idem, si prevede la non cumulabilità piena delle sanzioni e l’estinzione del reato a seguito del pagamento. Ad esempio, se Tizio venisse condannato penalmente per omessa dichiarazione, non potrebbe essergli irrogata anche una sanzione amministrativa “punitiva” sproporzionata, oltre il semplice recupero fiscale: l’ordinamento tende a coordinare le due cose. In un accertamento puramente amministrativo come quello sugli interessi, la problematica penale di solito non si pone (a meno di importi enormi).
Sanatoria e ravvedimento RW: La regolarizzazione del quadro RW omesso è possibile tramite ravvedimento operoso (con sanzione ridotta). Essendo una violazione formale, se sanata spontaneamente entro 90 giorni, la sanzione è fissa (attualmente €258) ; se oltre, si va dal 3% ridotto ad esempio a 0,375% annuo (1/8 di 3%) per ravvedimento oltre un anno, e così via. In passato vi sono state definizioni agevolate (es. la “collaborazione volontaria” – voluntary disclosure 2015/2017 – che consentiva di sanare con sanzioni RW ridotte alla metà). Oggi, nel 2025, non vi sono programmi straordinari attivi, ma resta sempre possibile il ravvedimento ordinario.
Termine di accertamento per i redditi esteri omessi
Un aspetto cruciale per valutare le contestazioni è la tempistica: fino a quanti anni indietro può spingersi l’Agenzia delle Entrate per accertare interessi non dichiarati? La regola generale (art. 43 DPR 600/73) prevede che gli avvisi di accertamento sulle imposte dirette vengano notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (quindi 5 anni dopo) . In caso di dichiarazione omessa, il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui andava presentata . Ad esempio, la dichiarazione 2019 (redditi 2018) presentata regolarmente può essere accertata fino al 31/12/2024; se non fu presentata, fino al 31/12/2026. Questi sono i termini “ordinari”, ma intervengono alcune proroghe e raddoppi:
- Violazioni connesse a attività in paradisi fiscali (black list): per annualità in cui il contribuente aveva attività in Paesi non collaborativi non dichiarate, la legge prevedeva (DL 78/2009, art. 12) il raddoppio dei termini di accertamento . Ciò significava che, se i redditi erano occultati in Stati a fiscalità privilegiata, l’Agenzia poteva accertare fino a 10 anni (in caso di dichiarazione presentata) o 14 anni (se dichiarazione omessa). Nota: dal 2015 in poi molti Paesi tradizionalmente “black list” (Svizzera, Monaco, San Marino, Singapore, etc.) sono divenuti collaborativi sottoscrivendo accordi CRS . Dunque il concetto di black list si è molto ristretto. Per gli anni più recenti (2017 e segg.), di norma, non c’è più raddoppio termini perché i conti esteri sono in giurisdizioni white list. Laddove però si contestassero redditi del 2015 detenuti in un Paese all’epoca black list (es. Panama prima degli accordi), l’accertamento potrebbe arrivare fino al 2025 (10 anni). Ormai il fisco ha inviato la gran parte degli accertamenti legati a periodi fino al 2015 tramite la voluntary disclosure o controlli successivi; è meno probabile nel 2025 ricevere accertamenti su annualità anteriori al 2016, sebbene non impossibile. In ogni caso, verificare sempre l’anno d’imposta e lo status del Paese estero in quell’anno per contestare eventuali decadenze dei termini.
- Termine “lungo” per omessa dichiarazione RW senza imposte evase: Un dibattito era se l’omessa dichiarazione RW (solo formale) fosse soggetta a un termine breve (5 anni) o lungo (sempre 5 ordinario in realtà, perché era dichiarazione comunque presentata se presentò redditi). In realtà, per la sola violazione RW (se la dichiarazione dei redditi comunque è stata presentata) si ritiene applicabile il termine ordinario di 5 anni dalla presentazione, in quanto è una violazione accessoria che emerge dal controllo formale. Così ad esempio una lettera di compliance nel 2025 può riferirsi al quadro RW 2019 omesso (dichiarazione presentata 2020) perché siamo entro il 31/12/2025. Oltre, il diritto a sanzionare il quadro RW potrebbe essere prescritto (a meno di comportamenti fraudolenti). Questo per dire che se arrivano contestazioni di monitoraggio oltre il quinquennio, sono da scrutinare attentamente per eccepire la decadenza.
- Sospensioni dei termini: Attenzione che eventi eccezionali (es. emergenza Covid) hanno sospeso i termini per alcuni mesi, prorogando di fatto la scadenza per le annualità coinvolte. Ad esempio, per l’anno d’imposta 2015 (dich. 2016) c’è stata la sospensione di 85 giorni nel 2020 , che ha fatto slittare la decadenza al 26 marzo 2022 per quell’anno. Simili slittamenti vanno tenuti presente in casi limite.
Riassumendo: entro il 2025 l’Agenzia può contestare redditi fino all’anno 2018 (dichiarazione 2019) se quella dichiarazione fu presentata, oppure fino all’anno 2017 se si trattava di dichiarazione omessa (per quest’ultima il termine sarebbe 2025 per l’anno 2017 omesso). Con l’eccezione di casi di paradisi fiscali (che potrebbero estendere a 2015-2016 come visto). Con il 2026 si aprirà la possibilità di accertare il 2019 (dich.2020) e così via.
Riepilogo sanzioni in tabella
Di seguito una tabella riepilogativa delle sanzioni amministrative applicabili (percentuali riferite all’imposta evasa o all’importo non dichiarato), con indicazione dei riferimenti normativi e delle modifiche introdotte nel 2024:
Violazione | Regime sanzionatorio (fino al 31/8/2024) | Regime sanzionatorio (dal 1/9/2024) | Norme di riferimento |
---|---|---|---|
Dichiarazione infedele (omessi interessi in dichiarazione presentata) | 90% – 180% imposta evasa. +1/3 se redditi esteri (120% – 240% min-max)<br>Generalmente applicato il 90% (o 120% se esteri). | 70% imposta evasa (aliquota unica). <br>Eliminata maggiorazione per estero. | D.Lgs. 471/1997 art. 1, c.2, c.3 ; D.Lgs. 87/2024 art. 16 |
Omessa dichiarazione (dichiarazione annuale non presentata) | 120% – 240% imposta dovuta. +1/3 se redditi esteri (160% – 320%). Minimo €250. | 120% imposta dovuta fissa. <br>Eliminata forbice e agg. estero. <br>Possibile dichiarazione tardiva con sanz. 75%. | D.Lgs. 471/1997 art. 1, c.1 ; D.Lgs. 87/2024 art. 16 |
Omessa compilazione Quadro RW (monitoraggio attività estere) | 3% – 15% valore non dichiarato (white list)<br>6% – 30% valore non dichiarato (black list)<br>In caso di più anni, applicazione art.12 D.Lgs.472/97 (continuazione). | Nessuna modifica sostanziale alle aliquote. <br>Giudice può ridurre se sproporzionato. | DL 167/1990 art. 5, c.2; D.Lgs. 472/1997 art.12 ; Cass. 28077/2024 |
Sanzioni penali (Dich. infedele o omessa) | Infedele: reato se imposta evasa > €100k e >10% reddito (o >€2 mln base) – Reclusione 2–4.5 anni .<br>Omessa: reato se imposta > €50k – Reclusione 2–5 anni.<br>Estinzione del reato se pagato tutto il debito prima del dibattimento (art.13-bis). | Idem (nessuna modifica alle soglie penali nel 2024). | D.Lgs. 74/2000 art. 4 e 5; art. 13 e 13-bis (cause non punibilità) |
Nota: Le percentuali si applicano sull’imposta evasa (per infedele/omessa) o sull’importo non dichiarato (per RW). Le riduzioni da ravvedimento operoso variano da 1/10 a 1/6 del minimo, a seconda del momento del ravvedimento . Ad esempio, ravvedimento entro l’anno successivo: 1/8 del minimo (circa 11,25% invece di 90%). Le percentuali post-riforma 2024 per infedele (70%) e omessa (120%) saranno riducibili ulteriormente col ravvedimento (es. 70% -> 8,75% con ravvedimento entro anno).
Procedura di accertamento dell’Agenzia delle Entrate
Vediamo ora come l’Agenzia delle Entrate tipicamente procede quando sospetta o accerta un’omessa tassazione di interessi su conti deposito, e quali sono gli spazi di difesa per il contribuente in ciascuna fase. Il processo può articolarsi in vari step:
- Raccolta di informazioni e controlli incrociati – L’Agenzia ottiene i dati sui conti e sugli interessi non dichiarati tramite diverse fonti: per i conti esteri, la principale è lo scambio automatico di informazioni finanziarie nell’ambito del Common Reporting Standard (CRS OCSE) e accordi UE. Dal 2017, paesi come Svizzera, San Marino, Lussemburgo, Singapore, Emirati Arabi ecc. trasmettono annualmente all’Italia il saldo dei conti intestati a residenti italiani e gli interessi maturati . Inoltre, convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (come quella Italia-Svizzera in vigore dal 2020) permettono ulteriore scambio di dati su richiesta . Per i conti italiani, l’Agenzia ha accesso all’Anagrafe dei Rapporti Finanziari, dove sono registrati i conti correnti/deposito e i movimenti (non i singoli interessi, ma i saldi e operazioni sopra soglia). Sebbene gli interessi su conti italiani siano tassati alla fonte, i dati dell’Anagrafe possono essere usati per redditometro o per verificare accrediti di interessi insolitamente alti (che potrebbero segnalare anomalie se non vi è corrispondente certificazione). Inoltre le banche inviano comunicazioni annuali (Mod. 770) con il totale delle ritenute operate per ciascun cliente per certi redditi: se un soggetto ad esempio risulta aver percepito €10.000 di interessi con ritenuta, l’Agenzia lo sa, anche se di norma non agisce perché già tassati. Diverso è se risultano ritenute su soggetti non titolati (es. ritenute su interessi corrisposti a società che però non li hanno dichiarati come ricavo): queste sono incongruenze che possono far scattare controlli.
- Lettera di compliance/invito a regolarizzare – Negli ultimi anni, l’Agenzia privilegia un approccio collaborativo iniziale. Se dai controlli incrociati emergono anomalie (es. un conto estero con interessi non dichiarati, oppure un conto estero dichiarato in RW ma con redditi non dichiarati in RM), il primo passo è spesso l’invio di una lettera di compliance al contribuente . Questa comunicazione (non recapitata via PEC ma spesso via raccomandata o anche caricata nel cassetto fiscale) segnala al contribuente che il fisco è a conoscenza di una possibile irregolarità – tipicamente viene indicato l’anno d’imposta e la natura (es. “conti correnti esteri non dichiarati”, senza troppi dettagli) – e invita a fornire chiarimenti o a correggere spontaneamente la dichiarazione . La lettera di compliance non è un atto impositivo né formale avviso di accertamento : rappresenta piuttosto un’opportunità per il contribuente di “ravvedersi” prima che scatti l’accertamento vero e proprio. Nella lettera sono fornite istruzioni su come comunicare con l’ufficio (tramite il canale telematico CIVIS o contatto diretto) e su come eventualmente presentare una dichiarazione integrativa per regolarizzare .
- – Esempio di lettera di compliance: Tizio riceve nel 2025 una comunicazione in cui l’Agenzia segnala che “dai dati pervenuti dall’estero risulta che nel 2020 Lei deteneva attività finanziarie non dichiarate”. Nel caso concreto, Tizio aveva un conto in Germania con €50.000 e €500 di interessi non dichiarati. La lettera lo invita a verificare la sua dichiarazione 2021 (redditi 2020) e, se necessario, a presentare una dichiarazione integrativa versando imposte e sanzioni ridotte da ravvedimento . Se Tizio coglie l’occasione e si ravvede, pagherà il dovuto (imposta 26% di 500 = €130, interessi di mora circa 3 anni, sanzione ridotta – ad es. 1/7 di 90% = ~12.86% di 130 = €16,7). Quindi con circa €150-160 euro sistema tutto ed evita guai peggiori. Questo strumento consente al Fisco di incassare spontaneamente e al contribuente di evitare sanzioni piene (che sarebbero state €117 di sanzione minima 90% in caso di accertamento) e soprattutto l’iscrizione a ruolo di una violazione.
- Le lettere di compliance sono divenute prassi comune: secondo il Piano di Performance MEF-AE, nel triennio 2024-2026 l’Agenzia prevede di inviarne milioni ogni anno, molte delle quali proprio su redditi esteri non dichiarati . Negli ultimi anni vi sono state campagne mirate su conti correnti esteri, investimenti offshore e persino sulle criptovalute detenute su exchange esteri . Quindi il contribuente non dovrebbe stupirsi nel ricevere tali lettere: il messaggio è che l’Agenzia sa e sta offrendo una chance bonaria. Come difendersi/procedere? In caso di lettera, il contribuente ha facoltà di:
a) Ignorare la lettera – non consigliabile, perché quasi certamente seguirà un accertamento formale con sanzioni piene.
b) Fornire spiegazioni – se ritiene di essere in regola o che i dati siano errati, può contattare l’ufficio via CIVIS o PEC e chiarire (esibendo documenti). Ad esempio, potrebbe dimostrare che quel conto estero era cointestato e già dichiarato da altro soggetto, oppure che gli interessi non superavano la soglia di esenzione (se applicabile), o che erano già tassati in Italia tramite intermediario. Se l’ufficio accetta le spiegazioni, può archiviare la posizione (talvolta succede, specie per piccole differenze o errori formali) .
c) Regolarizzare con ravvedimento operoso – è la via più comune. Si presenta una dichiarazione integrativa per l’anno in questione, si versano imposte e sanzioni ridotte. La lettera stessa spiega come fare (solitamente bisogna barrare “Dichiarazione integrativa” nel frontespizio e compilare i quadri RW/RM aggiuntivi). Il versamento delle sanzioni ridotte va effettuato spontaneamente: l’Agenzia mette a disposizione anche un software di calcolo sanzioni e interessi per il ravvedimento . Una volta inviato il tutto, è opportuno comunicare all’ufficio l’avvenuta regolarizzazione (così evitano di emettere comunque l’atto). - È bene agire entro il termine indicato nella lettera (spesso 30 giorni), o comunque prima possibile. Finché non parte un formale PVC (processo verbale di constatazione) o un accertamento, il ravvedimento resta valido.
- Avviso di accertamento (o atto di contestazione) – Se il contribuente non si ravvede o se l’anomalia viene rilevata direttamente in fase di controllo senza passare per la compliance (ad esempio, nell’ambito di una verifica più ampia), l’Ufficio emetterà un avviso di accertamento. Nel caso specifico, potrebbe trattarsi di un “accertamento parziale” ex art. 41-bis DPR 600/73, limitato ai redditi di capitale esteri non dichiarati. L’avviso tipicamente contiene: l’imposta evasa (26% degli interessi, salvo opzione ordinaria), le sanzioni (come calcolate sopra: 90% o 120% ecc., a seconda del periodo, oppure 70% se nuova norma applicabile), gli interessi di mora e l’eventuale sanzione RW. È un atto impositivo a tutti gli effetti, notificato tramite raccomandata o PEC al contribuente (o al suo difensore se già nominato).
- Nell’avviso, l’Agenzia espone i fatti contestati (es. “risulta un conto presso la Banca X in Svizzera con saldo €…, interessi non dichiarati €… nell’anno…, come da segnalazione CRS”) e le motivazioni giuridiche (richiamo agli artt. 18 DPR 917/86, 4 co.2 DL 167/90, 1 DLgs 471/97, ecc.). Viene poi indicato l’importo totale da pagare. All’avviso è allegato normalmente il prospetto di calcolo e l’invito alla definizione agevolata mediante accertamento con adesione (ai sensi del D.Lgs. 218/1997).
- Diritti del contribuente notificate: è fondamentale sapere che, una volta ricevuto l’avviso di accertamento, il contribuente ha 60 giorni di tempo per pagare (nel qual caso fruisce di una riduzione delle sanzioni ad 1/3 ex art. 15 DLgs 218/97, cosiddetta acquiescenza) oppure per presentare ricorso alla Commissione Tributaria (ora denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). Entro lo stesso termine, può anche attivare la procedura di accertamento con adesione che sospende per un massimo di 90 giorni il termine per ricorrere.
- Prima di arrivare a questo, chiediamoci: l’Agenzia avrebbe dovuto convocare il contribuente per un contraddittorio prima di emettere l’avviso? In alcuni casi la legge prevede l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale (ad esempio per i tributi armonizzati UE, come l’IVA, o in forza di statuti dei diritti del contribuente in alcuni accertamenti). Per i redditi, non c’è un obbligo generalizzato di invito al contraddittorio, tranne che per gli accertamenti fiscali conseguenti a indagini finanziarie. Tuttavia, quando la contestazione riguarda dati ottenuti da un altro Stato UE, si ritiene opportuno garantire il contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso, in ossequio a principi di derivazione comunitaria. La Corte di Giustizia UE ha più volte affermato l’obbligo di ascolto del contribuente prima di provvedimenti impositivi che incidono sui suoi diritti. La Cassazione italiana stessa ha riconosciuto che, in materia di tributi UE o in presenza di elementi esteri, il contraddittorio anticipato è doveroso se la mancanza può ledere il diritto di difesa . Ne deriva che, qualora l’Agenzia emetta un accertamento basato su informazioni estere senza aver mai interpellato il contribuente (né tramite lettera di compliance né con un invito formale), il contribuente in sede di ricorso può eccepire la violazione del contraddittorio e chiederne l’annullamento. Questa eccezione ha chance di successo specialmente se dall’istruttoria manchi completamente l’apporto difensivo e se il caso rientra in fattispecie in cui il contraddittorio è considerato obbligatorio (non c’è però una norma specifica per i redditi esteri, è una costruzione giurisprudenziale, quindi l’esito può variare: alcuni giudici tributari hanno annullato avvisi per difetto di contraddittorio in ambito di scambio info UE, altri no). In generale, la lettera di compliance viene considerata dall’Agenzia una forma di contraddittorio preventivo (sebbene informale): se il contribuente la ignora, difficilmente potrà lamentare poi di non essere stato ascoltato. Diverso se l’Agenzia agisce a sorpresa senza alcun preavviso.
- Una volta ricevuto l’avviso, il contribuente deve decidere come procedere. Approfondiamo gli strumenti difensivi a disposizione.
Strategie difensive e strumenti deflativi del contenzioso
Dal punto di vista del contribuente (debitore), “difendersi” da un accertamento per interessi non dichiarati significa sia far valere le proprie ragioni (se ritiene l’atto infondato in tutto o in parte) sia ridurre il più possibile l’esborso tramite gli strumenti che l’ordinamento offre. Idealmente, la difesa inizia già prima dell’accertamento (come la scelta di aderire alla compliance e al ravvedimento). Ma vediamo le opzioni nelle varie fasi:
Ravvedimento operoso (regolarizzazione spontanea)
Il ravvedimento operoso è uno strumento chiave per sanare spontaneamente violazioni tributarie con sanzioni ridotte (art. 13 D.Lgs. 472/1997). Nel contesto in esame, il ravvedimento può essere utilizzato prima che l’Agenzia notifichi un atto di accertamento o avvii una verifica formale, e consente di evitare il contenzioso. Come funziona? Il contribuente presenta una dichiarazione integrativa per l’anno o gli anni non dichiarati, includendo i redditi di interessi precedentemente omessi, e versa:
- l’imposta dovuta su tali interessi (tipicamente il 26% dell’importo lordo, oppure l’IRPEF ordinaria se del caso),
- gli interessi legali calcolati giorno per giorno sull’imposta dal giorno in cui avrebbe dovuto versarla (16 giugno dell’anno successivo) fino al giorno in cui effettua il ravvedimento (il tasso di interesse legale è attualmente 5% annuo dal 2023, 2.5% nel 2022, 0.01% nel 2021, ecc., quindi di solito importi modesti se la violazione è recente),
- una sanzione ridotta in misura variabile in base al momento del ravvedimento. La sanzione “piena” per infedele (90% o 120%) viene ridotta secondo frazioni stabilite: ad esempio, se il ravvedimento avviene entro 90 giorni dalla scadenza della presentazione, la sanzione è 1/9 del minimo (in pratica 10%); entro un anno, 1/8 del minimo (~11,25%); entro due anni, 1/7 (~12,5%); oltre due anni, 1/6 (15%); oltre la contestazione formale ma prima di giudizio, 1/5 (18%). Queste percentuali sono leggermente cambiate col 2024 a causa della riduzione delle sanzioni base: dal 1° settembre 2024, ad esempio, non esisterà più il ravvedimento “oltre l’anno successivo” (1/7) perché la sanzione infedele è unica fissa 70% e le riduzioni verranno rimodulate, ma il concetto generale resta .
Condizione essenziale: il ravvedimento è ammesso solo finché non sia iniziata un’attività di accertamento (accessi, ispezioni, verifiche, notifiche di PVC o altri atti). La ricezione di una mera lettera di compliance non preclude il ravvedimento (anzi, lo incoraggia), in quanto non è un formale atto istruttorio impeditivo. Diverso se è stato notificato un verbale di constatazione o un avviso di accertamento: a quel punto il ravvedimento “ordinario” non è più consentito. Tuttavia, in caso di accertamento già emesso, esistono comunque strumenti per sanare con riduzione (adesione, acquiescenza, conciliazione, come vedremo).
Il vantaggio del ravvedimento è evidente: le sanzioni si riducono enormemente rispetto a quelle che verrebbero applicate dopo. Abbiamo già fatto l’esempio: se ho €1.000 di interessi esteri non dichiarati per l’anno 2021, l’imposta è €260, la sanzione piena sarebbe €234 (90%) o €312 (120% se estero aggravato) in accertamento; ravvedendomi spontaneamente nel 2023, pagherei circa €39 di sanzione (15% di 260) . La convenienza è palese. Inoltre, il ravvedimento evita l’iscrizione a ruolo e la comparsa di cartelle esattoriali o atti giudiziari. Resta ovviamente l’obbligo di compilare il quadro RW retroattivamente (per regolarizzare il monitoraggio): su questo aspetto, per anni passati, l’Agenzia ha talvolta chiuso un occhio se l’attività era comunque cessata, ma formalmente andrebbe ravveduta anche la violazione RW (con pagamento della relativa sanzione ridotta, spesso insieme a quella reddituale).
Nel caso in cui la violazione riguardi molti anni, il contribuente può decidere di ravvederli tutti (presentando più integrative) oppure limitarsi a quelli non prescritti. Da un punto di vista fiscale, conviene sanare tutto per allineare la propria posizione ed evitare futuri problemi (considerando anche che il fisco ha dati storici: se sanate solo dal 2018 in poi, potrebbero contestarvi il 2017 se ancora accertabile). Anche se qualche anno fosse ormai decaduto da accertamento, si potrebbe ravvedere comunque per includere crediti d’imposta esteri o mettere in regola RW (tenendo presente però che il ravvedimento su anni prescritti fa comunque emergere volontariamente un fatto non più contestabile d’ufficio, quindi è una scelta delicata e caso-specifica, da valutare con un tributarista).
Da ricordare: ravvedersi prima possibile comporta sanzioni minori. Se giunge una lettera di compliance, non aspettare l’ultimo momento: l’adesione spontanea entro i 30 giorni indicati spesso consente di beneficiare anche della non applicazione del nuovo “contributo unificato” per definizioni (introdotto nel 2023). Inoltre, il pagamento rateale è possibile anche per i ravvedimenti (trattandosi di imposte da dichiarazione integrativa, si possono rateizzare secondo le regole generali del saldo IRPEF se nei termini, o in 8 rate se integrativa oltre scadenza). L’importante è rispettare tutte le scadenze di versamento: un ravvedimento non perfezionato (es. saltate le rate) viene annullato e si torna passibili di accertamento.
In conclusione, il ravvedimento operoso è la prima linea difensiva del contribuente colto in fallo: se l’Agenzia non ha ancora formalizzato la contestazione, ravvedersi annulla il problema con costi molto ridotti. Naturalmente, ciò implica ammettere l’errore e pagare quanto dovuto: se invece il contribuente ritiene di aver ragione (ad esempio pensa che quegli interessi non fossero imponibili, o che un’eventuale convenzione li esentasse), allora non si ravvederà e passerà alla difesa in sede di accertamento.
Accertamento con adesione
Ricevuto un avviso di accertamento, il contribuente può attivare la procedura di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) prima di impugnare. Si tratta di una definizione negoziale: in sostanza, si chiede un incontro con l’ufficio accertatore per discutere la pretesa e cercare un accordo sull’ammontare dovuto. La presentazione dell’istanza di adesione (entro 30 giorni dalla notifica dell’avviso) sospende i termini per fare ricorso per 90 giorni.
Nel contesto degli interessi omessi, spesso l’accertamento è basato su dati certi (comunicati dalla banca estera) quindi c’è poco da “negoziare” sulla quantità del reddito. Tuttavia, l’adesione può essere utile per ridurre le sanzioni e talvolta ottenere un riconoscimento parziale di ragioni del contribuente (ad esempio, ammettere il credito d’imposta estero non considerato inizialmente dall’ufficio, oppure ridurre la sanzione RW se c’era stata collaborazione, ecc.). Nelle sedi di adesione gli uffici possono mostrare un certo margine: possono ad esempio rinunciare alla sanzione RW se il contribuente prova che il conto era dichiarato altrove, o applicare la sanzione minima senza aggravanti, o accogliere documenti che giustificano una minore imponibilità.
Il beneficio oggettivo dell’adesione è la riduzione automatica delle sanzioni amministrative a 1/3 del minimo previsto . Ciò significa che, se l’avviso aveva applicato il 90% (minimo) di sanzione, con l’adesione si scende al 30%; se aveva applicato 120%, si scende al 40%, ecc. (In realtà la norma parla di 1/3 del “di cui all’art.2-bis”, semplificando: sconto di 2/3). Per esempio, su €260 di imposta evasa, sanzione 234→78 euro con adesione (invece che 234 con contenzioso) . Questo già di per sé è un risparmio notevole, se non si era ravveduto prima.
La procedura: presentata l’istanza, l’ufficio ci convocherà (solitamente entro 2-3 mesi). All’incontro (anche telematico, ormai spesso in videochiamata) possiamo portare memorie, documenti e proporre una quantificazione. Se si trova l’accordo, viene redatto un atto di adesione con le somme concordate. Il contribuente dovrà poi versare tali somme entro 20 giorni (o la prima rata, se opta per rateazione). La rateazione nell’adesione è possibile in un massimo di 8 rate trimestrali (12 se importi oltre 50k), con interessi al tasso legale. Importante: con la firma dell’atto, si perfeziona la definizione e non si potrà più ricorrere in giudizio (l’adesione comporta rinuncia al contenzioso per quell’atto). Viceversa, se non si raggiunge un accordo o se il contribuente cambia idea, può comunque proporre ricorso entro i termini prorogati (che sono sospesi per 90gg, quindi di fatto avrà 150 giorni totali dall’avviso per ricorrere se ha fatto adesione).
In pratica, conviene tentare l’adesione quando:
– L’ufficio ha margini discrezionali da riconoscerci (es. abbiamo prove di doppia imposizione da far valere, o errori nei calcoli).
– Vogliamo sicuramente chiudere la vicenda rapidamente ed evitare il processo, magari perché la pretesa è fondata e preferiamo lo sconto sanzioni.
– Vogliamo guadagnare tempo (la sospensione di 90 giorni) per valutare meglio il da farsi, dato che l’istanza di adesione ci concede tre mesi in più per decidere se poi fare ricorso.
Nel caso di interessi esteri, un tipico aspetto da discutere in adesione è il credito per imposte estere: può capitare che l’accertamento richieda il 26% pieno senza aver scomputato eventuali ritenute subite all’estero perché il contribuente non le aveva reclamate. In sede di adesione, presentando i certificati di tassazione estera, si può convincere l’Ufficio a riconoscere l’art. 165 TUIR e quindi a ridurre la somma dovuta . Le pronunce Cassazione 2024-2025 citate forniscono un sostegno autorevole a tale richiesta .
In conclusione, l’accertamento con adesione è un ottimo strumento deflattivo: spesso consente di chiudere la vertenza con costi limitati (imposta + 1/3 sanzioni) e in tempi brevi, evitando l’incertezza del giudizio. Va però valutato caso per caso. Se la controversia presenta questioni di diritto importanti (es. l’ufficio ha torto su un principio, o c’è giurisprudenza favorevole) e le somme in ballo sono alte, magari conviene non accontentarsi dell’adesione e proseguire col ricorso, confidando di annullare tutto o in parte.
Ricorso tributario e contenzioso
Se non si è definito l’atto in via amministrativa, l’ultima linea di difesa è il ricorso alla giustizia tributaria. Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (o entro i termini sospesi se c’era adesione in corso). Va redatto indicando i motivi di contestazione dell’atto e notificato all’Ufficio competente, quindi depositato presso la Segreteria della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale).
Mediazione tributaria: Per le controversie di valore non superiore a €50.000, il ricorso iniziale assume valore di reclamo-mediazione (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). In tali casi, la presentazione del ricorso apre automaticamente una fase di 90 giorni in cui l’ufficio valuta se accogliere in tutto o in parte il reclamo. Il contribuente può anche formulare una proposta di mediazione (ad esempio, accettare di pagare l’imposta ma con riduzione delle sanzioni). Se l’ufficio accoglie o propone una mediazione, la controversia si chiude con un accordo (sanzioni ridotte al 35% in tal caso). Se dopo 90 giorni non c’è accordo, il ricorso prosegue davanti al giudice. Nel nostro caso, spesso gli importi potrebbero essere modesti (es. pochi migliaia di euro), quindi molte liti rientrano nella soglia di mediazione. Questo può fornire un’ulteriore chance di definizione, simile all’adesione ma dopo aver presentato ricorso. Se l’ufficio in mediazione offre condizioni soddisfacenti, conviene aderire (le sanzioni vengono ridotte al 35% del minimo e si paga il resto in 20 giorni).
Fase di giudizio: In mancanza di accordo, si arriva alla sentenza del giudice tributario di primo grado. In udienza (spesso scritto nei casi semplici), il giudice valuterà i motivi: ad esempio, il contribuente potrebbe aver eccepito la nullità dell’accertamento per difetto di motivazione o di contraddittorio, o contestato la quantificazione (magari l’ufficio ha conteggiato interessi su un importo di conto che non generava reddito, o ha imputato all’anno sbagliato, ecc.), oppure rivendicato il credito estero non concesso, o ancora contestato la sanzione RW sostenendo di non essere tenuto al monitoraggio (ad esempio perché il conto era sotto soglia o intestato a soggetto estero). Tutte queste difese vanno opportunamente documentate. Il giudice potrà decidere di annullare in toto l’atto (in caso di vizi gravi), oppure di annullarlo parzialmente (riducendo l’imponibile o le sanzioni), oppure respingere il ricorso confermando l’atto.
Se il ricorso viene vinto interamente dal contribuente, l’accertamento decade e nulla è dovuto (salvo, eventualmente, rimborso se il contribuente aveva pagato in pendenza di giudizio). Se viene vinto parzialmente, ad esempio riconoscendo il credito d’imposta estero, il giudice rideterminerà il dovuto in sentenza; le sanzioni verranno in automatico ricalcolate sul nuovo importo (il giudice ha facoltà di ridurre le sanzioni entro i limiti edittali se ravvisa circostanze meritevoli, ad esempio potrebbe applicare il minimo o escludere l’aggravante estero, oppure, in casi di errore scusabile, può persino annullare le sanzioni utilizzando l’art. 6, co.2, D.Lgs. 472/97 che esclude la punibilità per incertezza obiettiva sulla norma). Se il ricorso viene respinto, il contribuente soccombente dovrà pagare quanto dovuto come da accertamento (eventualmente già versato parzialmente) e le spese di lite, oltre agli interessi maturati nel frattempo.
Esecuzione e riscossione: È importante evidenziare che, per effetto delle riforme degli ultimi anni, il ricorso non sospende automaticamente la riscossione dell’imposta. Su questo argomento le regole sono articolate: di norma, dopo 60 giorni dalla notifica dell’avviso, se non c’è stato pagamento né sospensione, l’Agenzia può iscrivere a ruolo provvisorio 1/3 delle imposte accertate (con relativi interessi e sanzioni su tale quota) e affidarlo all’Agente della riscossione. Il contribuente, se ritiene di aver ragione e di poter subire un danno grave dal pagamento immediato, può chiedere al giudice tributario una sospensione dell’esecuzione dell’atto, motivando sia il fumus boni iuris (motivi fondati) sia il periculum (grave danno patrimoniale) – ad esempio, se le somme sono ingenti rispetto alla sua capacità economica. Se il giudice accorda la sospensione, la riscossione è bloccata fino alla sentenza. Altrimenti, è opportuno almeno pagare il terzo provvisorio per evitare aggravi. In cause di importi modesti spesso l’Agenzia non procede a ruoli provvisori, ma attenzione: per importi elevati, potrebbe farlo. Dunque parte della strategia difensiva è anche valutare se anticipare il pagamento parziale per non accumulare interessi e aggi.
Conciliazione giudiziale: Anche dopo aver avviato il giudizio, esiste un ulteriore strumento deflattivo: la conciliazione giudiziale (art. 48 D.Lgs. 546/92). Le parti – contribuente e ufficio – possono trovare un accordo in corso di causa, da sottoporre al giudice per l’omologazione. La conciliazione può essere totale (chiude l’intera controversia) o parziale (risolve alcuni punti, lasciandone altri al giudice). Un grande incentivo della conciliazione è la riduzione delle sanzioni al 40% del minimo se avviene in primo grado, o al 50% se in secondo grado . Ciò significa un abbattimento del 60% o 50% rispetto a quanto normalmente dovuto. Questo è persino più conveniente dell’adesione (che riduce a 1/3, cioè ~33%). Quindi, se si arriva in giudizio, conviene ancora di più pensare a transigere. Ad esempio, nel nostro caso, con conciliazione in primo grado, la sanzione infedele minima del 90% diventa 40% del minimo, cioè il 36% dell’imposta evasa. Se l’imposta era €260, la sanzione conciliata scende a €93 (invece di €234 intera). Anche rispetto all’adesione (che l’avrebbe fissata a €78 su quell’esempio) è leggermente superiore, ma potrebbe includere fattori di riduzione di imposta pattuiti. Insomma, la conciliazione offre margini: ad esempio, si può proporre di pagare l’imposta e magari metà delle sanzioni, evitando di discutere oltre. Le Agenzie spesso accettano per chiudere l’incasso, specie se la controversia è incerta. La conciliazione va formalizzata prima della decisione del giudice (anche lo stesso giorno d’udienza). Una volta omologata, il contribuente paga il dovuto e la causa si estingue. Anche qui c’è la possibilità di rateazione in 8 rate.
Autotutela amministrativa
Un ulteriore strumento, sempre a disposizione del contribuente, è l’autotutela. Consiste nel rivolgere un’istanza all’ufficio che ha emesso l’atto chiedendone l’annullamento totale o parziale per evidenti errori o illegittimità, senza attendere il giudice. L’autotutela è discrezionale per l’amministrazione: non c’è obbligo di accoglimento. Tuttavia, in presenza di errori palesi (scambio di persona, doppia imposizione lampante, calcoli sbagliati, ecc.), gli uffici sono invitati a correggere i propri atti. Ad esempio, se l’accertamento riporta un ammontare di interessi errato rispetto ai documenti (magari hanno letto male la valuta estera), presentare un’istanza di autotutela con la documentazione corretta può portare all’annullamento o alla rettifica dell’atto. Spesso l’autotutela viene sollecitata contestualmente all’adesione o al reclamo, come argomento di trattativa: “ho ragione su questo punto, annullatelo in autotutela e aderisco sul resto…”.
Va evidenziato che la presentazione dell’autotutela non sospende i termini di ricorso. Quindi, se c’è rischio di decadenza del termine per impugnare, il contribuente deve comunque predisporre il ricorso nei 60 giorni, magari indicandovi che ha richiesto autotutela (in caso l’ufficio annulli, potrà rinunciare al ricorso senza problemi).
L’autotutela è molto utile anche dopo la chiusura del contenzioso: se emergono nuove prove a favore del contribuente, l’amministrazione può sempre rivedere in autotutela gli atti non definiti o persino rimborsare somme pagate indebitamente, senza necessità di attendere la Cassazione. Però, realisticamente, nel nostro campo – interessi esteri – l’autotutela preventiva può essere efficace se l’atto è manifestamente sbagliato (es. pretende doppio pagamento di stesse somme, ignora crediti esteri certificati, ecc.). In tali casi vale la pena tentare, allegando tutta la documentazione e magari riferimenti normativi (citar loro ad es. la Cassazione sul credito d’imposta ). Spesso gli uffici, per evitare cause perse, accolgono l’autotutela parziale correggendo la pretesa.
Ulteriori considerazioni difensive
Dal punto di vista sostanziale, quali sono le principali linee difensive nel merito che un contribuente può adottare per contestare un accertamento di questo tipo? Riassumiamo i più rilevanti:
- Prova contraria sui redditi: dimostrare che i presunti interessi non erano tali o non erano percepiti. Ad esempio, l’Agenzia presume che su €100.000 depositati per un anno vi siano stati interessi, ma se il contribuente prova (estratto conto alla mano) che il tasso era 0% o il conto era infruttifero, allora non c’è reddito tassabile. Talvolta, in mancanza di dati, l’Agenzia potrebbe aver applicato una presunzione di rendimento (in passato vigeva una presunzione legale del 5% annuo sui capitali esteri non dichiarati, come “redditi presunti”), ma se il contribuente dimostra diversamente, tale presunzione cede. La Cassazione ha ritenuto legittima la presunzione di fruttuosità dei patrimoni esteri occultati (in quanto iuris tantum), persino se il capitale era di provenienza illecita . Ciò significa che il contribuente deve vincere la presunzione portando prove concrete che quel capitale non ha generato interessi imponibili (ad es. depositi non remunerati, contanti fermi, ecc.).
- Doppia imposizione internazionale: come già detto, il contribuente deve far valere l’eventuale tassazione subita all’estero. Il diritto convenzionale e interno (art.165 TUIR) gli dà ragione: nessuna decadenza automatica dal credito d’imposta estero in caso di omessa dichiarazione . Quindi il giudice (o l’ufficio in adesione) dovrebbe riconoscere lo scomputo dell’imposta estera fino a concorrenza di quella italiana. Cassazione ord. 16699/2025 ha ribadito proprio che si può riconoscere il credito d’imposta anche se non indicato in dichiarazione originaria, specie in caso di regolarizzazione volontaria . Su questo fronte, una difesa accurata consiste nel produrre i moduli fiscali esteri o certificati bancari attestanti la ritenuta subita. Se in lingua straniera, meglio accompagnarli con traduzione.
- Prova dell’origine dei capitali (per contestazioni su capitali): a volte l’accertamento non si limita agli interessi ma estende la tassazione al capitale all’estero, qualificandolo come reddito non dichiarato. Ciò può accadere in applicazione della presunzione antievasione (oggi art. 12 DL 78/2009) secondo cui i trasferimenti di capitali non dichiarati si presumono redditi sottratti. Una difesa cruciale in tal caso è dimostrare che quel capitale all’estero proveniva da redditi già tassati o esenti. Ad esempio, se Caio aveva €1 milione in Svizzera derivante dalla vendita di un immobile ereditato (operazione esente o già tassata), deve documentarlo. La Cassazione, con sentenza n. 27032/2018, ha stabilito che il rimpatrio di capitali originariamente leciti e già tassati non genera automaticamente nuovo reddito imponibile . In altre parole, la presunzione di evasione sul capitale occulto può essere vinta provando la legittima provenienza. Se si riesce in questo, l’Agenzia non potrà tassare il capitale (restano comunque tassabili gli eventuali interessi maturati su di esso). Questa distinzione tra capitale e frutti è fondamentale: spesso chi aveva conti esteri da tempo ha subito un “duplice” attacco – uno sul saldo come reddito non dichiarato e uno sugli interessi come reddito di capitale. Ebbene, in difesa si può cercare di far cadere la tassazione del saldo (mostrando che erano risparmi tassati, o remittances dall’Italia già note) e ridurre così l’accertamento alle sole rendite effettive.
- Contestazioni procedurali e formali: non trascuriamo vizi come la notifica irregolare dell’atto (se la PEC non valida, se inviato all’indirizzo sbagliato, ecc.), la carenza di motivazione (se l’atto non esplicita come sono stati quantificati gli interessi o su che base giuridica – però di solito sono atti standardizzati che superano questo), la violazione del contraddittorio (già discussa), la prescrizione/decadenza (accertamento notificato oltre i termini: va verificato con precisione, tenendo conto di sospensioni Covid e quant’altro). Ad esempio, se l’accertamento per il 2016 viene notificato dopo il 26/03/2023 (tenuto conto proroga 85gg) ed era un paese white list, è tardivo e va annullato per decadenza . Queste eccezioni vanno sempre sollevate nel ricorso introduttivo per non precluderle.
- Circostanze attenuanti sulle sanzioni: in giudizio, se la violazione c’è stata, talvolta la difesa punta almeno a ridurre le sanzioni. Si può far leva sull’obiettiva incertezza normativa (art. 6, c.2, D.Lgs. 472/97) in casi borderline – ad es. se la definizione di residenza era dubbia, oppure se c’erano interpretazioni contrastanti sull’obbligo di dichiarare certi redditi. Non è facilissimo da far valere, ma non impossibile: qualche sentenza di merito ha annullato sanzioni RW per incertezza sull’obbligo quando l’asset era di natura contestata (es. conti criptovalute in anni in cui non era chiaro dovessero stare in RW). Un’altra leva è la non gravità e collaborazione: il D.Lgs. 472/97 consente al giudice di graduare la sanzione in base alla gravità della violazione e al comportamento del contribuente. Se, ad esempio, il contribuente prima dell’accertamento ha spontaneamente pagato l’imposta (anche tardivamente) o ha collaborato fornendo documenti, ciò può essere usato per chiedere al giudice di ridurre la sanzione al minimo edittale. Inoltre, con la riforma 2024, è stato introdotto il principio di proporzionalità per cui se c’è sproporzione evidente tra violazione e sanzione, quest’ultima va ridotta. Un tipico scenario: interessi evasi €50, sanzione minima 90% = €45, il contribuente può far notare l’esiguità del danno erariale e chiedere quantomeno la riduzione al minimo (già applicato nel 90%, ma il giudice potrebbe ridurla ulteriormente per proporzionalità? In teoria la legge non prevede sotto il minimo, ma la giurisprudenza in casi eccezionali ha applicato l’art. 7 del DLgs 472/97 per escludere sanzioni sproporzionate).
Da ultimo, ricordiamo che se la controversia approda ai gradi superiori (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado – ex Commissione Regionale – e poi eventuale Corte di Cassazione), permangono possibilità di definizioni agevolate o conciliazioni fino a un certo punto. Nel 2023 il legislatore ha offerto definizioni agevolate delle liti pendenti con sanzioni ridotte e interessi azzerati, ma erano misure straordinarie. Nulla esclude che in futuro vi siano ulteriori “pace fiscali”, ma su questo non si può fare affidamento. Il consiglio è di non arrivare al contenzioso se si può risolvere prima, ma se si arriva, usare tutte le armi processuali a disposizione e valutare i compromessi quando conviene.
Casistiche pratiche e simulazioni
In questa sezione proponiamo alcune casistiche pratiche tipiche riguardanti l’omessa tassazione di interessi, con un’analisi di come difendersi e di come verrebbero calcolati imposte e sanzioni. Queste simulazioni, pur semplificate, aiutano a comprendere l’applicazione concreta delle regole descritte finora.
Caso 1: Conto estero non dichiarato con interessi modesti
– Scenario: Luigi, residente in Italia, detiene dal 2018 un conto deposito in Austria. Non ha mai indicato il conto nel quadro RW né i relativi interessi. Il saldo è sempre stato intorno a €20.000. Ogni anno la banca austriaca gli corrisponde ~€200 di interessi lordi, su cui trattiene il 10% (aliquota prevista dalla Convenzione Italia-Austria). Luigi non ha mai dichiarato questi interessi in Italia. Nell’ottobre 2023, Luigi riceve una lettera di compliance dall’Agenzia che segnala la presenza del conto estero non dichiarato per gli anni 2019-2021 e relativi interessi. Cosa può fare Luigi e cosa rischia?
– Soluzione: Luigi dovrebbe sfruttare la lettera per ravvedersi. Presentando entro fine 2023 dichiarazioni integrative per 2019, 2020, 2021 (redditi 2018-2020, visto che 2021 verrà segnalato nell’anno seguente), potrà versare: per ciascun anno imposta 26% su €200 = €52, meno credito per i €20 di ritenuta estera (10%) = €32 di imposta netta per anno. Totale imposte €96 per 3 anni. Sanzioni: 90% di 32 = €28.8 per anno, ravvedute a 1/7 (essendo oltre l’anno ma entro dichiarazione successiva) = ~€4.11 per anno. Totale sanzioni ~€12.3. Interessi legali su imposte: trascurabili (es. sull’anno 2018-imp. €32 per 5 anni al 1% medio ~ €1.6, e così via, totale pochi euro). Complessivamente Luigi con circa €120-130 potrà chiudere le 3 annualità. Otterrà anche l’esonero dalle sanzioni RW poiché con il ravvedimento entro 90gg dalla compliance di solito l’Agenzia tende a non sanzionare formalmente il RW, e in ogni caso Luigi potrebbe eccepire che la soglia di esonero RW era €15.000 (ma Luigi aveva 20k, quindi obbligato; tuttavia IVAFE dovuta era €34.20×3 anni, che andrà anch’essa ravveduta se dovuta).
Se Luigi ignorasse la lettera, l’Agenzia potrebbe emettere accertamenti per 2018, 2019, 2020, 2021: su €200 di interessi annui non dichiarati, imposta evasa €52, sanzione infedele 120% = €62.4 per anno (minimo edittale con estero), più sanzione RW 15% del saldo €20k = €3.000 per anno (!). Totale pretesa per ciascun anno ~€3.114 (62+3000+ interessi). Su 4 anni, oltre €12.000. Poi in giudizio Luigi potrebbe far ridurre le sanzioni RW col cumulo e al minimo, ma comunque pagherebbe molto di più rispetto al ravvedimento.
→ Morale: per conti esteri non dichiarati, anche con interessi piccoli, le sanzioni RW dominano: ravvedersi prima conviene enormemente.
Caso 2: Conto estero dichiarato in RW ma redditi non tassati
– Scenario: Maria ha un conto in Francia, regolarmente indicato ogni anno nel quadro RW (nessuna sanzione monitoraggio). Tuttavia, Maria pensava – erroneamente – che gli interessi fossero esentati dalla Convenzione, per cui non li ha tassati in Italia. In realtà la Convenzione Italia-Francia prevede tassazione concorrente: la Francia applica il 12,8% e l’Italia deve applicare la sua quota. Nel 2022 Maria ha percepito €5.000 di interessi lordi, con €640 trattenuti in Francia (12,8%). Non avendo dichiarato nulla in Italia, a luglio 2024 riceve un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2022 che le richiede la tassazione di tali interessi. L’avviso calcola: imposta dovuta €5.000×26% = €1.300, sanzione infedele (70% perché violazione post riforma 2024) = €910, interessi circa €30. Totale ~€2.240. Maria però ha diritto al credito per i €640 pagati in Francia, che l’accertamento non menziona. Cosa può fare?
– Soluzione: Maria dovrebbe impugnare l’accertamento evidenziando che l’imposta effettivamente evasa non è €1.300 bensì solo la differenza (€660), avendo ella già assolto €640 in Francia. In parallelo, può presentare istanza di accertamento con adesione mostrando il modulo fiscale francese dove risultano le ritenute. Verosimilmente l’ufficio, in sede di adesione, riconoscerà il credito d’imposta art.165 TUIR fino a concorrenza dell’imposta italiana (limitato al 26%, quindi in realtà su 5.000€ l’Italia può detrarre al massimo €1.300; la Francia ha preso €640 quindi c’è spazio). Dunque l’imposta netta dovuta in Italia scenderà a €660. Sulle sanzioni: l’ufficio potrebbe applicare il 70% su €660 = €462, e poi ridurlo a 1/3 con adesione = €154. La definizione in adesione costerebbe quindi: imposta €660 + sanzione €154 + interessi ~€15 = circa €829. Maria pagherebbe anche di più di quanto avrebbe pagato con ravvedimento spontaneo, ma comunque molto meno dell’atto iniziale. In ricorso, Maria avrebbe altissime probabilità di spuntarla sul riconoscimento del credito (grazie anche alle recenti Cassazioni ) e quindi di far ridurre l’imposta a €660; inoltre potrebbe chiedere sanzioni minime (il giudice potrebbe applicare 90% su 660 = €594 anziché i 910 richiesti, e magari considerare la buona fede per ridurre ancora). Tuttavia, il percorso giudiziale sarebbe lungo e costoso. L’adesione conviene.
Nota: poiché Maria aveva dichiarato il conto in RW, l’accertamento non le contesta alcuna sanzione monitoraggio. Questo evidenzia la differenza tra il Caso 1 e 2: dichiarare almeno l’esistenza dell’attività estera evita le sanzioni più gravose e soprattutto fa apparire il contribuente più trasparente (il che aiuta anche in sede di sanzioni, potendo argomentare che non c’era volontà di occultare tutto, ma solo dubbio sul reddito).
Caso 3: Interessi su conti italiani erroneamente non dichiarati da un’impresa
– Scenario: La Alfa Srl, società italiana, possiede vari conti bancari in Italia. Le banche hanno applicato su alcuni conti una ritenuta sugli interessi attivi del 26%. La società però, per disguidi contabili, non ha indicato tali interessi tra le sopravvenienze attive né ha portato in detrazione le ritenute subite. L’Agenzia, incrociando i modelli 770 delle banche, vede che Alfa Srl ha ricevuto nel 2021 €10.000 di interessi attivi con ritenute d’acconto per €2.600, ma nel bilancio 2021 di Alfa non risultano interessi attivi. Quindi, nel 2024, notifica un accertamento IRES per “maggiori ricavi da interessi €10.000” tassati al 24% = €2.400 di imposte, con sanzione infedele 90% = €2.160. La società in effetti ha omesso di dichiarare quei interessi (doveva includerli nel reddito imponibile), ma obietta che le imposte sono state già pagate con le ritenute. Cosa succede?
– Soluzione: In casi del genere, l’Agenzia potrebbe ritenere che la ritenuta bancaria fosse a titolo d’imposta se, ad esempio, la banca ha considerato Alfa come soggetto non obbligato a dichiararli (magari errore della banca). Ma se emerge che la ritenuta era in realtà un acconto, Alfa ha un credito di €2.600 verso l’Erario. L’accertamento le chiede €2.400, quindi paradossalmente Alfa risulterebbe aver pagato più del dovuto (2600 vs 2400) e però viene anche sanzionata. In sede di adesione/ricorso, Alfa deve evidenziare questo: chiedere il riconoscimento in compensazione delle ritenute subite. L’Agenzia potrebbe allora ridurre l’imposta dovuta a zero (o meglio, a -€200 di credito) ma confermare la violazione formale. In pratica, Alfa potrebbe chiudere pagando solo una sanzione per dichiarazione infedele “senza imposta”. La sanzione in tal caso va dal 90% al 180% dell’imposta evasa. Ma l’imposta evasa in realtà è €0 (perché c’era credito sufficiente). Se non c’è imposta evasa, la giurisprudenza ritiene che l’infedele dichiarazione sussiste comunque se dal dichiarato risultava un maggior credito o minor debito. Tuttavia, in taluni casi, se l’errore non comporta danno erariale, alcuni giudici hanno annullato le sanzioni per tenuità. Formalmente però la normativa prevede una sanzione da €250 a €2.000 per infedeltà che non incide sull’imposta (art. 1 co.4 DLgs 471/97). Quindi Alfa potrebbe vedersi comminare la sanzione fissa minima €250.
L’accordo con l’ufficio potrebbe essere: riconosciute ritenute acconto €2.600, imposta IRES dovuta zero, sanzione fissa €250 ridotta a 1/3 in adesione = ~€83. Alfa chiuderebbe così.
Se invece la ritenuta era stata a titolo d’imposta (cosa anomala per società, ma ipotizziamo fosse un ente non commerciale soggetto a imposta sostitutiva) allora gli interessi non dovevano affatto essere dichiarati e l’accertamento sarebbe infondato in toto. In tal caso, Alfa farebbe ricorso e lo vincerebbe dimostrando la natura sostitutiva della ritenuta (come nel caso di Cass. 13933/2025 discusso, dove però era ente pubblico) .
Caso 4: Capitali derivanti da redditi non dichiarati – Interessi presunti
– Scenario: Nel 2015, il contribuente Beta aveva trasferito €500.000 su un conto a Hong Kong non dichiarato, generando poi interessi annuali variabili. Nel 2025 (dopo CRS e accordi), l’Agenzia scopre l’esistenza di quel conto e l’elevato saldo, e decide di contestare sia il mancato monitoraggio sia la evasione del capitale: in pratica presume che quei €500.000 fossero redditi sottratti a tassazione in anni passati (non accertati a suo tempo) e li tassa come reddito imponibile 2015 (oltre agli interessi 2016-2021). Beta in realtà sostiene che quei 500k derivavano in gran parte dalla vendita di un immobile nel 2014 di cui pagò regolarmente le imposte sulla plusvalenza, e in parte da risparmi già tassati. Come può difendersi Beta?
– Soluzione: Questo scenario è complesso, spesso richiede una difesa tecnica peritale. Beta dovrebbe ricostruire il tracciato dei fondi: ad esempio, esibire l’atto di vendita dell’immobile, la dichiarazione 2014 che includeva la plusvalenza e l’imposta pagata, e i bonifici di quei proventi verso il conto estero. Se Beta riesce a convincere che il capitale non era “fiscalmente nero”, può ottenere lo stralcio della tassazione sul capitale. La Cassazione 27032/2018 gli dà appiglio: non tassabile capitale regolarmente proveniente . Resterebbe però la violazione RW (saldo non dichiarato per anni: sanzione 3-15% annuo, cumulo giuridico possibile) e ovviamente la tassazione degli interessi effettivi prodotti dal capitale, se accertabili nei termini. Se il conto è a Hong Kong, che fino a poco fa era black list non CRS, l’Agenzia potrebbe pretendere gli interessi con raddoppio termini fino al 2025 per redditi 2015 (10 anni). Forse li stimerebbe pure (es. 2% annuo presunto = 10k all’anno). Beta qui potrebbe contestare la presunzione di redditività e chiedere di tassare solo quanto eventualmente emerso (se nel frattempo Beta nel 2017 ha rimpatriato e dichiarato con voluntary disclosure, ad esempio, i dati sarebbero noti). Dovrebbe in ogni caso pagare imposta 26% sugli interessi effettivi e relative sanzioni. La parte più rischiosa – la tassazione del capitale €500k come “redditi evasi” – Beta la eviterebbe con la prova documentale, ma se non avesse prove solide rischierebbe un enorme aggravio (500k come reddito in 2015 a aliquota IRPEF 43% = €215k imposte, più sanzioni 240%= €516k, totali fuori scala). In casi simili, spesso conviene cercare un accordo con l’ufficio (magari in adesione far emergere il capitale con imposta forfettaria ridotta e definire sanzioni minime – analogamente a come avvenne con la voluntary disclosure dove si tassava il 5% annuo presunto e riduzione sanzioni). Beta potrebbe prospettare: “Tassate i rendimenti effettivi al 26%, e sanzione RW ridotta a un’unica per tutti gli anni”, offrendo cooperazione. Se l’ufficio è ragionevole, accetta.
Domande frequenti (FAQ)
D. Cosa si intende esattamente per “omessa tassazione di interessi su conti deposito”?
R. Significa che il Fisco contesta al contribuente di non aver dichiarato e pagato le imposte dovute sugli interessi maturati su somme di denaro depositate in banca (conti correnti, conti di deposito vincolato, libretti, ecc.). In Italia, tali interessi sono redditi di capitale (art. 44 TUIR) e vanno assoggettati a imposta – generalmente con ritenuta alla fonte se il conto è italiano, o tramite autoliquidazione se il conto è estero . L’omissione può avvenire perché il contribuente non li ha dichiarati affatto (es. interessi su un conto estero non riportati nel Modello Redditi) oppure perché non ha versato la relativa imposta (magari pensando, erroneamente, che fosse già tutto tassato o esente). In pratica, l’Agenzia delle Entrate contesta che su quegli interessi non è stata pagata l’imposta dovuta in Italia e richiede il relativo recupero a tassazione, con sanzioni e interessi di mora.
D. Gli interessi maturati su un conto corrente o conto deposito in Italia vanno dichiarati nella mia dichiarazione dei redditi?
R. No, di regola i privati non devono inserirli in dichiarazione perché la banca italiana applica già una ritenuta del 26% a titolo d’imposta su quegli interessi, trattenendola dall’accredito . Questa ritenuta sostitutiva esaurisce l’obbligazione tributaria, per cui gli interessi netti accreditati sono già al netto delle imposte e non vanno sommati al reddito complessivo né indicati nel 730/Redditi. Ad esempio, se su un conto deposito italiano maturi €100 di interessi, la banca trattiene €26 e te ne accredita €74: tu non devi fare altro. Fanno eccezione alcuni casi particolari: ad esempio, se il conto è intestato a un’impresa o società, la ritenuta bancaria opera a titolo di acconto (non d’imposta) o può non operare affatto , quindi l’impresa deve includere gli interessi lordi nel proprio reddito d’impresa e pagare le imposte (IRES/IRPEF) su di essi, scomputando la ritenuta subita. Ma per le persone fisiche, in generale, nessuna dichiarazione per interessi su conti italiani ordinari.
D. Devo dichiarare in Italia gli interessi che ho guadagnato su un conto bancario all’estero?
R. Sì, se sei fiscalmente residente in Italia, devi dichiarare gli interessi percepiti su conti esteri, salvo rare eccezioni. In Italia vige il principio della tassazione mondiale dei redditi per i residenti . Ciò significa che, ad esempio, se hai un conto in Svizzera o in un altro Paese, e ti vengono corrisposti interessi, devi riportarli nel Modello Redditi italiano (Quadro RM, sezione V) e assoggettarli a tassazione, normalmente con l’imposta sostitutiva del 26% . Non devi invece dichiararli se un intermediario italiano ha già applicato un’imposta sostitutiva su di essi (caso raro: ad es. certificato di deposito estero attraverso banca italiana). Quindi, in pratica, per i conti esteri: sì, vanno dichiarati e su essi va pagata l’imposta italiana. Dovrai anche compilare (in parallelo) il Quadro RW per segnalare il possesso del conto estero (salvo se sotto la soglia di esonero di €15.000 di giacenza, ma attenzione che se ci sono interessi da dichiarare, in genere il conto andrà comunque indicato ai fini IVAFE) .
D. Ho già pagato le tasse all’estero su quegli interessi (tramite ritenuta o imposta locale). Devo pagarle di nuovo in Italia?
R. Devi comunque dichiarare gli interessi in Italia, ma hai diritto a un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero, in modo da evitare la doppia imposizione . In base all’art. 165 del TUIR e alle Convenzioni contro le doppie imposizioni, l’imposta estera pagata (ad esempio la ritenuta estera sulla banca) può essere detratta dall’imposta dovuta in Italia sul medesimo reddito, nei limiti di quest’ultima. Facciamo un esempio: hai €1.000 di interessi da un conto in un Paese con cui c’è Convenzione che prevede ritenuta alla fonte del 15%. All’estero ti hanno trattenuto €150. In Italia su €1.000 dovresti pagare €260 di imposta (26%). Avrai diritto a detrarre €150 (imposta estera) dai €260 dovuti: pagherai in Italia solo €110. Se l’imposta estera eccede quella italiana (es. tassazione estera 30% = €300, italiana 26% = €260), il credito è limitato a €260 (non vai a rimborso del surplus, a meno che la Convenzione non preveda altrimenti). Importante: devi documentare l’imposta pagata all’estero (certificato della banca estera o dell’autorità fiscale estera). Anche se originariamente non hai indicato il credito in dichiarazione, puoi comunque ottenerlo in sede di correzione: la Cassazione ha stabilito che la detrazione per imposte estere non decade automaticamente se non esercitata subito . Quindi, in fase di accertamento o ricorso, potrai far valere quel credito. In sintesi, paghi in Italia la differenza tra la tassazione italiana e quella eventualmente già subita all’estero.
D. Quali sanzioni rischio se non ho dichiarato gli interessi su un conto estero?
R. Ci sono due tipi di sanzioni: (1) la sanzione per l’omessa/infedele dichiarazione dei redditi e (2) la sanzione per l’omesso monitoraggio (Quadro RW) del conto estero, se applicabile. Per il punto (1): la sanzione amministrativa ordinaria, fino alle violazioni commesse al 2023, è dal 90% al 180% dell’imposta evasa (con un minimo del 90% normalmente applicato); inoltre era prevista una maggiorazione di 1/3 per i redditi esteri, portando il minimo al 120%. Dal 2024, questa sanzione è stata ridotta al 70% fisso dell’imposta evasa e senza più la maggiorazione estero . In pratica, se hai evaso €1.000 di imposte, rischi una multa di €900 (90%) se l’errore è antecedente, o €700 se successivo alla riforma. Per il punto (2): la mancata compilazione del Quadro RW comporta una sanzione dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato (ad es. del saldo del conto) . Questa sale al 6%–30% se il conto era in un paese black list (paradiso fiscale) . Queste percentuali si applicano per ciascun anno di violazione, ma la Cassazione consente di trattare più anni come un’unica violazione continuata con sanzione unica (per evitare cumuli eccessivi) . Esempio: saldo medio €100.000 in Svizzera non dichiarato per 3 anni (oggi Svizzera white list) → teoricamente sanzione 3×3% = 9% di 100k = €9.000; in pratica, con il cumulo giuridico, si può applicare 3% per un anno e un aumento magari al 5% totale, quindi €5.000 . Naturalmente, se avevi dichiarato il conto in RW ma non i redditi, allora non hai la sanzione RW, solo quella sul reddito. Viceversa, se non hai dichiarato né conto né interessi, subisci entrambe. Infine, attenzione: se l’imposta evasa supera certe soglie (€100k annui per dichiarazione infedele), l’omissione può integrare un reato penale (dichiarazione infedele), ma per soli interessi bancari è raro superare tali soglie . Nella stragrande maggioranza dei casi, parliamo di sanzioni amministrative pecuniarie.
D. L’omessa dichiarazione di interessi esteri può costituire reato?
R. Solo in casi eccezionali, quando gli importi sono molto elevati. Il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) scatta se nell’anno l’imposta evasa supera €100.000 e i redditi non dichiarati superano il 10% del totale o comunque €2 milioni . Ad esempio, se ometti interessi per €5 milioni (ipotetico) con €1,3 milioni di imposta evasa, allora sì, sarebbe reato. Ma se ometti €50.000 di interessi (imposta evasa €13.000), è illecito amministrativo ma non penale perché sotto soglia . C’è anche il reato di omessa dichiarazione (art. 5) se non presenti proprio la dichiarazione e l’imposta evasa supera €50.000. Potrebbe capitare: se avevi solo redditi esteri e non hai presentato nulla, e le imposte su di essi >50k, allora reato. Ma sono situazioni limite (es. conti con milioni di euro non dichiarati). Inoltre, la legge prevede cause di non punibilità penale: se paghi tutte le imposte, sanzioni e interessi prima del processo penale, il reato di infedele o omessa dichiarazione viene estinto (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Quindi anche nei rari casi penali, pagando integralmente il dovuto al Fisco, eviti la condanna. In sintesi, per importi piccoli o medi l’omissione è un illecito amministrativo; diventa reato solo oltre soglie molto alte.
D. L’Agenzia delle Entrate come può scoprire che non ho dichiarato gli interessi su conti esteri?
R. Ormai il Fisco ha strumenti molto efficaci: principalmente il Common Reporting Standard (CRS), ovvero lo scambio automatico di informazioni finanziarie tra Paesi. Oltre 100 giurisdizioni (inclusa la Svizzera, gran parte d’Europa, Cina, ecc.) inviano ogni anno all’Italia i dati dei conti detenuti da residenti italiani: saldo di fine anno, saldo medio, interessi, dividendi, proventi vari . Quindi, se hai un conto all’estero, dal 2017 in poi è probabile che l’Italia abbia già ricevuto i tuoi dati. Anche alcune piazze tradizionalmente riservate (San Marino, Lussemburgo, Montecarlo, Singapore, Emirati Arabi, Hong Kong parzialmente) hanno aderito al CRS . L’Agenzia incrocia questi dati con le dichiarazioni: se risultano conti non dichiarati o interessi esteri non dichiarati, scatta la segnalazione . Oltre al CRS, ci sono le indagini finanziarie tradizionali (in caso di verifica approfondita possono chiedere anche dati esteri, ma CRS copre già molto) e le voluntary disclosure passate (chi ha partecipato ha fornito elenchi di nominativi, magari conti cointestati che portano ad altri). Per i conti italiani, l’Agenzia vede comunque l’Anagrafe dei conti e soprattutto i modelli 770 delle banche con l’ammontare delle ritenute operate. Se, ad esempio, hai un conto italiano su cui la banca non ha operato ritenuta e tu non dichiari gli interessi, anche da lì c’è uno scostamento rilevabile. Ma ripetiamo: il grosso delle scoperte avviene tramite scambio internazionale di informazioni. Addirittura l’Agenzia ha annunciato controlli su conti di trading, criptovalute su exchange esteri, ecc., sempre con flussi informativi internazionali . Quindi, di fatto, è diventato molto difficile nascondere redditi finanziari all’estero.
D. Ho ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate che mi segnala redditi esteri non dichiarati (o un conto non dichiarato): cosa devo fare?
R. Quella è la cosiddetta lettera di compliance o invito al ravvedimento . Prima di tutto, niente panico: non è un’accusa penale, non è una multa immediata, ma un avviso bonario. L’Agenzia ti sta comunicando che, dai dati in suo possesso, risulta un’anomalia (es. “Lei nel 2020 aveva un conto presso la Banca X in paese Y non segnalato e da cui ha percepito redditi non dichiarati”). La lettera ti invita a controllare e, se effettivamente hai omesso qualcosa, a regolarizzare spontaneamente . Ciò che devi fare è: verificare i fatti (controlla le tue dichiarazioni di quei anni, i documenti del conto). Se realizzi che effettivamente non avevi dichiarato, ti conviene presentare al più presto una dichiarazione integrativa per quegli anni, includendo i redditi esteri e versando imposte e sanzioni ridotte per ravvedimento. La lettera di solito allega istruzioni (anche fac-simile per usare il canale CIVIS). Puoi usare il software di calcolo sanzioni sul sito AdE o rivolgerti a un professionista. Se invece credi di essere nel giusto (ad esempio, avevi sì un conto ma dentro c’erano solo soldi già tassati e nessun interesse imponibile, oppure hai già regolarizzato in passato), allora dovresti comunicare all’Agenzia le tue spiegazioni. La lettera indica come farlo (tramite il canale telematico CIVIS, o PEC, o appuntamento) . È importante rispondere entro il termine indicato (tipicamente 30 giorni), o comunque entro breve. Ignorare la lettera è la scelta peggiore: dopo un po’, se non rispondi né sistemi, quasi certamente l’Agenzia procederà con un accertamento formale, perdendo la chance di ravvedimento agevolato . In sintesi: regolarizza se hai sbagliato, o replica con prove se sei a posto. La lettera è un “secondo avviso” bonario, conviene approfittarne.
D. Posso fare il ravvedimento operoso dopo aver ricevuto la lettera di compliance o un invito formale?
R. Dopo la lettera di compliance sì, sei ancora in tempo per ravvederti. La lettera non è un atto istruttorio formale (non è un PVC né un accertamento); è proprio pensata per spingerti al ravvedimento. Dunque puoi tranquillamente presentare dichiarazione integrativa e pagare sanzioni ridotte. L’Agenzia, anzi, in quella lettera stessa spesso suggerisce di farlo per “mettersi in regola” . L’importante è farlo prima che inizino verifiche o arrivi l’avviso vero e proprio. Se invece hai già ricevuto un Processo Verbale di Constatazione (PVC), un avviso di accertamento o altro atto di contestazione formale, purtroppo il ravvedimento ordinario non è più ammesso (art. 13 D.Lgs. 472/97). A quel punto, però, esistono strumenti alternativi: ad esempio, con un avviso notificato, puoi ancora accedere all’accertamento con adesione (che riduce sanzioni a 1/3) o, se decidi di non fare contenzioso, all’acquiescenza (pagare entro 60 gg comporta sanzioni ridotte a 1/3) . Se sei già in giudizio, c’è la conciliazione con riduzione sanzioni al 40-50% . Quindi qualche agevolazione resta sempre, ma il ravvedimento (che è il più conveniente in assoluto) è sfruttabile solo prima che il Fisco ti “scovi” ufficialmente. In pratica: lettera di compliance → sì ravvedimento; avviso di accertamento → ravvedimento no, ma adesione/acquiescenza sì.
D. Se il conto estero era indicato nel quadro RW, ma ho dimenticato di dichiarare gli interessi, è diverso?
R. Sì, è una situazione un po’ migliore: significa che hai comunque dichiarato l’esistenza dell’attività estera (assolvendo l’obbligo di monitoraggio), ma hai omesso di tassare i redditi generati. In tal caso, non si applica la sanzione del 3-15% sul valore del conto per omessa compilazione RW, perché il RW era compilato (magari avrai indicato il valore del conto e pagato l’IVAFE). Resta però la sanzione sull’imposta evasa relativa agli interessi non dichiarati (90-180% dell’imposta, ridotto a 70% dal 2024 in avanti, come spiegato sopra) . Dal punto di vista “psicologico”, il fatto che tu abbia dichiarato il conto è a tuo favore: mostra che non volevi occultare il capitale, e magari avevi erroneamente pensato che gli interessi fossero già tassati o irrilevanti. Questo non elimina la violazione sui redditi, ma potrebbe indurre l’ufficio o il giudice ad applicare la sanzione minima e a non contestare dolo grave. In concreto, ad esempio, se il conto era dichiarato RW e gli interessi omessi erano €1.000 (imposta evasa €260), ti contesteranno solo i €260 + sanzione 90% = €234 (+ interessi). Se invece non avevi dichiarato né conto né interessi, ti avrebbero contestato anche, ad esempio, €30.000 di saldo non monitorato con sanzione 3% = €900 di multa per quell’anno, etc. Quindi hai risparmiato quella parte. Ricorda comunque: dichiarare il conto non esonera dal dichiarare i redditi di quel conto. Sono due obblighi differenti.
D. Qual è la “presunzione” relativa ai capitali esteri non dichiarati e ai loro rendimenti?
R. La normativa anti-evasione (in particolare l’art. 12 del DL 78/2009) stabilisce che i trasferimenti di investimenti verso l’estero non dichiarati si presumono, salvo prova contraria, effettuati con redditi sottratti a tassazione. Questo implica che, se troviamo €100.000 su un conto estero non dichiarato, l’Agenzia può presumere che quei €100.000 siano redditi non dichiarati dell’anno in cui sono stati portati fuori (o accumulati). Inoltre c’era (prima del 2018) una presunzione del rendito del 5% annuo di quei capitali (ex art. 6 DL 167/90) – cioè si presumeva che generassero un interesse del 5% annuo tassabile . Queste presunzioni sono iuris tantum, quindi possono essere vinte con prova contraria. In pratica: se ti contestano il capitale come reddito evaso, tu puoi difenderti mostrando che quel capitale proveniva da fonti lecite già tassate (es. risparmi su redditi dichiarati, somme ereditate esenti, etc.). Se ci riesci, la Cassazione ti dà ragione: niente nuova imposizione sul capitale originario . Resta però la questione dei rendimenti. Si presume che il capitale occulto abbia prodotto frutti (interessi) imponibili, indipendentemente dalla liceità del capitale . Se non si hanno dati, l’amministrazione potrebbe fare una stima (in passato usava il 5%). Adesso che i dati CRS forniscono importi di interessi effettivi, useranno quelli reali piuttosto che percentuali fittizie. In sintesi, la legge facilita il Fisco dicendo: “se nascondi soldi fuori, presumiamo che fossero redditi evasi e che abbiano pure fruttato altri redditi”. Ma non è una presunzione assoluta: puoi confutarla con prove (es. documenti bancari che mostrano che il conto non dava interessi, o che l’origine del denaro era esente). Questi temi emergono nei casi grossi di evasione internazionale. Per importi piccoli, di solito contestano direttamente gli interessi effettivi noti.
D. Entro quanti anni il Fisco può contestarmi gli interessi non dichiarati? C’è un termine di prescrizione?
R. Sì, ci sono dei termini di decadenza per l’azione accertativa. In generale: l’Agenzia ha tempo fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui hai presentato la dichiarazione per controllarla . Ad esempio, dichiarazione presentata nel 2021 per i redditi 2020 → accertabile fino al 31/12/2026. Se invece non hai presentato la dichiarazione (omessa), i termini diventano di sette anni successivi al periodo d’imposta . Ad esempio redditi 2020 non dichiarati affatto → accertabile fino al 31/12/2027. Questo in condizioni normali. Poi ci sono casi di raddoppio: fino al 2015, se i redditi erano in un Paese black list non collaborativo e non dichiarati, i termini raddoppiavano (10 anni se dichiarazione presentata, 14 se omessa) . Oggi molti Paesi sono usciti dalla black list (es. la Svizzera dal 2016 è white list), quindi il raddoppio si applica a situazioni antecedenti. In pratica, nel 2025, l’Agenzia può notificare avvisi relativi ai redditi 2019 (dich.2020) fino al 31/12/2025. Se però la dichiarazione 2019 fu omessa, può spingersi al 31/12/2026. E se riguardava un paradiso fiscale (mettiamo redditi 2015 su conto alle Cayman, non dichiarati), in teoria fino al 31/12/2025 grazie al raddoppio (10 anni). Bisogna comunque considerare che ci furono proroghe Covid: nel 2020 l’attività fu sospesa per 85 giorni, prorogando di 85 giorni i termini per quegli anni . Ad esempio, i termini per accertare il 2015 (dich.2016) erano 31/12/2021, diventati 26/03/2022. Questi dettagli tecnici li valuterà il tuo consulente caso per caso. Ma in linea generale: 5 anni (dopo l’anno di presentazione) se dichiarazione c’era; 7 anni se omessa; raddoppi fino a 10 o 14 in casi di paradisi fiscali per anni prima del 2017. Oltre questi termini, l’accertamento è nullo per decadenza. Per le sanzioni RW, c’è discussione se siano “violazioni materiali” con stesso termine o “formali” con termine breve, ma l’orientamento attuale è che seguano anch’esse il quinquennio ordinario (se dichiarazione presentata) o sette anni se omessa. Quindi, se scopri solo ora di non aver dichiarato un vecchio interesse del 2010, stai tranquillo che il 2010 non è più accertabile (a meno che non fosse emerso in un procedimento penale con sospensione termini, ma complicazioni rare). Viceversa, redditi recenti come 2018, 2019, 2020 sono ancora accertabili adesso nel 2025.
D. L’Agenzia può tassare anche il capitale del mio conto estero, oltre agli interessi?
R. Potenzialmente sì, se sospetta che quel capitale sia frutto di evasione. Come spiegato, se hai grandi somme non dichiarate fuori, la legge permette di presumere che siano redditi nascosti e di tassarli come tali . Ad esempio, se hai messo da parte €1 milione all’estero non dichiarato, e non giustifichi da dove viene, il Fisco potrebbe trattarlo come “reddito non dichiarato” e chiederti le imposte su €1 milione (al netto di eventuali costi deducibili). È una cosa distinta dalla tassazione degli interessi: qui parliamo del patrimonio originario. Questa è un’area delicata perché rischi una doppia imposizione del capitale già tassato, quindi hai diritto a difenderti. Devi provare, con documenti, l’origine dei fondi: se riesci a dimostrare che derivavano da redditi regolarmente tassati (stipendi, vendite con tasse pagate, eredità esenti, donazioni etc.), allora quell’ammontare non può essere ri-tassato. La Cassazione ha sostenuto che non si può tassare come nuovo reddito un capitale che era, poniamo, frutto di risparmi di redditi già dichiarati . In mancanza di prove, però, l’Agenzia avrà buon gioco a trattarlo come imponibile. Quindi, chiudendo: l’Agenzia tenta di tassare il capitale occulto, ma tu puoi evitarlo dimostrando l’origine lecita. In ogni caso, anche se non ci riescono col capitale, almeno le rendite (interessi, plusvalenze) che quel capitale ha generato all’estero sono tassate (con credito d’imposta se già tassate fuori). Inoltre, il monitoraggio RW del capitale scatta sempre a prescindere: quindi sanzione 3-15% sul valore non dichiarato del conto possono applicarla (ma anche lì, se contesti la sproporzione perché il capitale era già tassato, magari un giudice può ridurla per non punirti due volte, è un terreno argomentativo possibile).
D. Cosa posso fare se ricevo un avviso di accertamento per interessi esteri non dichiarati?
R. Hai diverse opzioni:
– Pagare con riduzione (acquiescenza): se pensi che l’accertamento sia corretto e non vuoi contestare, puoi pagare entro 60 giorni. In tal caso, ti spetta la riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo (spesso l’accertamento stesso già calcola la somma scontata se paghi entro 60 gg). Questo chiude la vicenda senza contenzioso.
– Chiedere accertamento con adesione: se hai delle ragioni da far valere o vuoi trattare, entro 30 gg presenti istanza di adesione. L’iter può portare a un accordo con sanzioni ridotte (2/3 in meno, cioè paghi solo 1/3) e magari un ricalcolo dell’imposta se porti elementi (es. riconoscimento credito estero). L’adesione sospende i termini di ricorso per 90 gg. Se trovi un accordo, poi paghi quanto concordato (anche a rate).
– Ricorrere in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria): entro 60 gg devi presentare ricorso se vuoi contestare formalmente. Puoi impugnare sia la debenza delle imposte (es. “non dovute perché già tassate altrove” o “non erano redditi imponibili”), sia le sanzioni (es. “chiedo annullamento per obiettiva incertezza” o difetti procedurali), sia vizi procedurali (notifica errata, contraddittorio mancante, atto motivato male, ecc.). Se il valore è sotto €50.000, la procedura inizia con un tentativo di mediazione: l’Agenzia potrebbe farti un’offerta di riduzione sanzioni al 35% per chiudere . Se la rifiuti o non c’è accordo, il giudice deciderà la causa. Il ricorso è opportuno se hai motivi solidi e/o importi alti in ballo. Va valutato con un professionista. Tieni presente che in giudizio, se anche hai torto sul merito, spesso le sanzioni possono essere ridotte dal giudice al minimo o annullate per particolari circostanze: quindi c’è margine di miglioramento.
– Conciliazione in giudizio: anche dopo aver fatto ricorso, puoi sempre trovare un accordo con l’ufficio (anche davanti al giudice) con sanzioni ridotte (40% del minimo in primo grado) . Quindi il contenzioso non esclude una soluzione negoziale più avanti.
In sintesi: analizza l’atto con attenzione (magari con un esperto) e decidi se pagare, trattare o combattere. Non far scadere i termini però! Se li lasci scadere, l’accertamento diventa definitivo e poi puoi solo pagare (magari a rate con Agenzia Riscossione, ma senza sconti). Quindi è cruciale attivarsi entro 60 giorni.
D. Le regole sulle sanzioni sono cambiate di recente? Cosa c’è di nuovo nel 2024-2025?
R. Sì, ci sono state modifiche importanti introdotte dalla legge di riforma fiscale (D.Lgs. 87/2024) e da prassi recentissima:
– Come detto, da settembre 2024 la sanzione per infedele dichiarazione è ridotta al 70% (invece di 90-180%) e non c’è più l’aggravante 1/3 per estero . Quindi i futuri accertamenti su redditi esteri omessi (dal 2024 in poi) avranno sanzioni più basse. Inoltre è stata eliminata la penalizzazione che prevedeva termini raddoppiati per paradisi fiscali: ormai la cooperazione internazionale è data per acquisita, e infatti la Cassazione 2024 (sent. 28077) ha ribadito che l’omessa RW è cosa seria (non formale) ma se non c’è danno erariale bisogna mantenere proporzionalità . – È stata introdotta la possibilità di presentare dichiarazione tardiva (oltre 90 gg) pagando 75% di sanzione (invece di 120%). Questo per chi non aveva proprio dichiarato nulla. Utile se, ad esempio, scopri di aver omesso una dichiarazione intera e vuoi rimediare prima di accertamento: ora puoi farla tardivamente con sanzione ridotta . – In materia penale, niente di nuovo specifico per interessi, ma c’è da ricordare l’estinzione del reato se paghi prima del dibattimento (norma già del 2019). – Giurisprudenza: le pronunce del 2024-2025 su crediti d’imposta esteri sono molto rilevanti. Cass. 24205/2024, 24160/2024, 10642/2025, 16699/2025 (richiamate anche da edotti e riviste ) affermano chiaramente che il contribuente non perde il diritto al credito per imposte pagate all’estero solo perché non le aveva indicate: può recuperarlo se documenta, anche dopo, entro il termine di prescrizione decennale . Questa è un’ottima notizia per i difensori, perché spesso l’Agenzia negava i crediti se non richiesti subito. Ora c’è cassazione favorevole: dunque in ogni contenzioso su redditi esteri si potrà invocare.
– È stata tolta (dal 2024) la maggiorazione di 1/3 sul cumulo giuridico quando c’è violazione continuativa con redditi esteri. Prima se avevi più anni di infedeltà estera c’era un raddoppio di sanzioni cumulativo. Ora uniformato. – In arrivo a breve c’è anche un restyling delle soglie penal-tributarie e un rafforzamento dei controlli sulle cripto-attività estere (dal 2023 vanno dichiarate in RW). – Infine, sottolineo la ridenominazione delle Commissioni Tributarie in Corti di Giustizia Tributaria e la riforma del processo: nulla che cambi le regole materiali, ma ad esempio la conciliazione ora può essere proposta anche dal giudice d’ufficio. Quindi c’è una spinta a chiudere le liti con accordi (segno che il sistema preferisce definire e incassare che trascinare cause).
In conclusione, le tendenze 2024-2025 sono: sanzioni più miti (per favorire la compliance spontanea), più opportunità di sanatoria (dichiarazioni tardive, conciliazioni), e enfasi sui diritti convenzionali (come il credito estero garantito). Ovviamente, restano intransigenti sulla sostanza: gli interessi esteri vanno dichiarati e tassati. Il sistema incoraggia a farlo spontaneamente, punendo di meno chi collabora e lasciando però alto il rischio per chi nasconde deliberatamente. Come sempre, la miglior difesa è la prevenzione: dichiarare correttamente fin dall’inizio evita di trovarsi in queste situazioni spiacevoli. In caso di errore, la miglior strategia è ravvedersi il prima possibile per mitigare danni e sanzioni.
Fonti: Questa guida ha utilizzato normative italiane (TUIR, DPR 600/73, DL 167/90, D.Lgs. 471/97, D.Lgs. 74/2000 e succ. mod.), circolari e prassi dell’Agenzia delle Entrate, nonché le più recenti sentenze di legittimità – es. Cass. n. 13933/2025 sul concetto di possesso del reddito da interessi , Cass. n. 24205/2024 e 16699/2025 sul credito d’imposta estero anche se non dichiarato , Cass. n. 28077/2024 sull’omessa dichiarazione RW (sostanziale) , Cass. nn. 16517/2022 e 6310/2023 sul cumulo sanzioni RW , Cass. n. 27032/2018 sulla non imponibilità del capitale estero di origine lecita , etc. Si sono tenute presenti le novità normative introdotte dalla riforma fiscale 2024 (DLgs 87/2024) e le politiche recenti di compliance dell’Amministrazione finanziaria . Tutte le affermazioni sono state riscontrate in fonti autorevoli e aggiornate, come evidenziato dalle citazioni puntuali nel testo.
In definitiva, “difendersi” efficacemente significa conoscere le regole, essere consapevoli dei propri diritti (ad esempio il diritto al contraddittorio e al credito per le imposte pagate fuori ) e usare gli strumenti offerti dall’ordinamento per risolvere o attenuare la controversia (ravvedimento, adesione, ricorso, ecc.). Con questa conoscenza avanzata, sia il professionista sia il contribuente informato possono affrontare una contestazione dell’Agenzia delle Entrate in maniera più serena e strategica, minimizzando gli esborsi e facendo valere le proprie ragioni nei limiti consentiti dalla legge.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata l’omessa tassazione degli interessi maturati su conti deposito? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata l’omessa tassazione degli interessi maturati su conti deposito?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
Gli interessi generati dai conti deposito, bancari o postali, sono considerati redditi di capitale e soggetti a tassazione tramite ritenuta alla fonte. Tuttavia, in alcuni casi possono emergere incongruenze tra gli importi accreditati e quelli dichiarati, oppure errori nella gestione delle certificazioni. L’Agenzia delle Entrate può quindi procedere a un accertamento, ritenendo gli interessi non dichiarati come redditi imponibili omessi.
👉 Prima regola: verifica se le banche hanno già applicato la ritenuta alla fonte e se l’importo contestato era davvero soggetto a ulteriore tassazione.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Interessi non riportati nella dichiarazione dei redditi, quando dovevano essere dichiarati;
- Errori nelle CU (Certificazioni Uniche) trasmesse dagli istituti di credito;
- Conti deposito esteri non dichiarati nel quadro RW;
- Disallineamenti tra accrediti bancari e importi comunicati;
- Ritenute alla fonte non correttamente operate dall’intermediario.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero IRPEF sugli interessi ritenuti non tassati;
- Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta dovuta;
- Interessi di mora;
- Sanzioni per omesso monitoraggio fiscale in caso di conti esteri;
- Possibili ulteriori controlli su altri redditi di capitale.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Applicazione della ritenuta alla fonte: la banca o l’intermediario l’ha già versata?
- Dati riportati nelle CU: coincidono con gli estratti conto?
- Natura del conto deposito: è italiano (con ritenuta automatica) o estero (da dichiarare manualmente)?
- Motivazione della contestazione: l’Agenzia ha indicato importi specifici o solo presunzioni?
- Possibili duplicazioni di redditi già tassati.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Estratti conto bancari e postali con dettaglio degli interessi maturati;
- CU rilasciate dagli istituti finanziari;
- Prove dei versamenti di ritenute effettuati dagli intermediari;
- Copia delle dichiarazioni dei redditi;
- Documentazione sul monitoraggio dei conti esteri (se presenti).
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare che gli interessi erano già tassati alla fonte;
- Contestare eventuali errori delle banche nella trasmissione dei dati;
- Correggere omissioni con dichiarazioni integrative e ravvedimento operoso;
- Eccepire vizi dell’accertamento: notifica irregolare, motivazione insufficiente, decadenza dei termini;
- Richiedere autotutela se l’Agenzia ha conteggiato redditi già tassati;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare la pretesa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i conti deposito contestati e i dati comunicati dagli istituti di credito;
📌 Verifica se le somme erano già soggette a ritenuta o a monitoraggio estero;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione corretta dei redditi di capitale.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità dei redditi di capitale e accertamenti bancari;
✔️ Specializzato in difesa di contribuenti contro contestazioni su interessi e conti deposito;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’omessa tassazione di interessi da conti deposito non sempre sono fondate: spesso dipendono da errori degli istituti di credito o da redditi già tassati alla fonte.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta gestione fiscale degli interessi, evitare duplicazioni e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui conti deposito inizia qui.