Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché la tua società estera è stata ritenuta avere una stabile organizzazione occulta in Italia? In questi casi, l’Ufficio presume che l’impresa, pur formalmente residente all’estero, svolga attività rilevante sul territorio italiano senza dichiararla, con l’obiettivo di evitare la tassazione. La conseguenza è la riqualificazione dei redditi in Italia, con recupero delle imposte, applicazione di sanzioni e interessi, e nei casi più gravi, contestazioni penali per evasione fiscale. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: è possibile difendersi dimostrando l’assenza di una struttura stabile in Italia.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta la stabile organizzazione occulta
– Se la società estera dispone di uffici, magazzini o infrastrutture in Italia, anche senza formale registrazione
– Se l’attività in Italia è svolta tramite agenti o dipendenti che concludono contratti per conto della società estera
– Se i ricavi generati in Italia non sono dichiarati al fisco nazionale
– Se le decisioni gestionali e operative sono prese da soggetti residenti in Italia
– Se l’Ufficio ritiene che la sede estera sia solo formale e che la gestione effettiva avvenga nel nostro Paese
Conseguenze della contestazione
– Tassazione in Italia dei redditi attribuiti alla stabile organizzazione occulta
– Recupero delle imposte dirette e dell’IVA non versata
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele e abuso del diritto
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile apertura di procedimenti penali per frode fiscale o esterovestizione
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’assenza di una sede fissa di affari in Italia con documentazione organizzativa e contrattuale
– Produrre prove che i contratti vengono gestiti e conclusi all’estero
– Contestare la qualificazione di stabile organizzazione se l’attività svolta in Italia è solo preparatoria o ausiliaria
– Evidenziare vizi di motivazione, difetti di istruttoria o errori di diritto nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, attivare procedure internazionali per evitare la doppia imposizione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la struttura societaria e la documentazione contrattuale e fiscale
– Verificare la legittimità della contestazione alla luce della normativa interna e delle convenzioni contro le doppie imposizioni
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi formali dell’accertamento
– Difendere la società davanti ai giudici tributari italiani e, se opportuno, nei procedimenti internazionali
– Tutelare il gruppo da conseguenze fiscali sproporzionate e rischi reputazionali
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi
– Il riconoscimento dell’assenza di una stabile organizzazione in Italia
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare imposte solo nel Paese effettivamente competente
⚠️ Attenzione: le contestazioni su stabili organizzazioni occulte sono sempre più frequenti nei controlli fiscali internazionali. È fondamentale predisporre una difesa ben documentata per evitare duplicazioni di imposta e conseguenze penali.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscalità internazionale – spiega come difendersi in caso di contestazioni su stabili organizzazioni occulte di società estere e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate relative alla stabile organizzazione occulta di società estere stanno aumentando negli ultimi anni. In un contesto di globalizzazione e digitalizzazione, molte imprese non residenti operano in Italia senza costituire formalmente una sede locale. Quando il Fisco accerta che un’impresa estera svolge di fatto attività economiche stabili in Italia senza averle dichiarate, contesta l’esistenza di una “stabile organizzazione occulta” nel territorio dello Stato. Dal punto di vista del contribuente (il “debitore” dell’obbligazione tributaria), queste contestazioni possono comportare significative richieste di imposte arretrate, sanzioni amministrative molto elevate e perfino conseguenze penali in caso di evasione rilevante. È quindi fondamentale comprendere cosa si intenda per stabile organizzazione occulta, quali siano i presupposti normativi e i criteri applicati, nonché le strategie difensive a disposizione di società, imprenditori e consulenti legali per far valere le proprie ragioni.
In questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 con normativa, prassi e giurisprudenza più recente – esamineremo in dettaglio come difendersi da un’accusa di stabile organizzazione occulta. Adotteremo un linguaggio giuridico accurato ma con taglio divulgativo, per essere fruibile da professionisti (avvocati tributaristi e commercialisti), imprenditori e privati cittadini coinvolti in verifiche fiscali complesse. Verranno analizzati i riferimenti normativi italiani e internazionali, le ultime sentenze delle Corti (incluse pronunce della Corte di Cassazione fino al 2024), gli aspetti penal-tributari, oltre a fornire esempi pratici, tabelle riepilogative, una sezione FAQ (domande e risposte) sui quesiti più comuni e persino alcuni fac-simili di atti difensivi utili per impostare ricorsi o istanze. L’obiettivo è offrire una panoramica completa dal punto di vista del contribuente, evidenziando diritti e strumenti di tutela per chi si vede contestare dal Fisco italiano una stabile organizzazione non dichiarata.
Cos’è una “stabile organizzazione occulta”
Per comprendere come difendersi, occorre prima chiarire il concetto di stabile organizzazione occulta. In ambito tributario internazionale, la “stabile organizzazione” (SO) indica il collegamento che fa sorgere la potestà impositiva di uno Stato sui redditi di un’impresa non residente, quando questa opera in modo stabile nel territorio di tale Stato. La definizione legislativa italiana si trova all’art. 162 del TUIR (D.P.R. 917/1986), modellato sui criteri delle Convenzioni internazionali (Modello OCSE) . Secondo tale norma, “l’espressione stabile organizzazione designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”. In altre parole, se un’azienda straniera dispone, anche informalmente, di una base di affari stabile in Italia, attraverso cui svolge attività d’impresa (anche solo una parte), quella base è fiscalmente rilevante come stabile organizzazione.
Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (come il Trattato Italia-USA del 1999 citato nella sentenza Cass. 7202/2024) forniscono definizioni analoghe all’art. 5 del Modello OCSE. Ad esempio, la Convenzione Italia–USA definisce stabile organizzazione “una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività” e precisa che “non si considera che vi sia una stabile organizzazione se… una sede fissa è utilizzata ai soli fini di pubblicità, fornitura di informazioni, ricerche scientifiche o attività analoghe di carattere preparatorio o ausiliario”. Tali clausole di esclusione per attività meramente preparatorie o ausiliarie sono riprese anche nella legge italiana (art. 162, comma 4 e 4-bis TUIR) e rappresentano un importante criterio: se la presenza in Italia è limitata a funzioni accessorie (ad esempio, sola pubblicità, raccolta di informazioni di mercato, deposito merci, ecc.), non si configura una stabile organizzazione tassabile. Viceversa, se le attività locali sono parte integrante del core business dell’impresa estera (vendite, produzione, servizi principali) o implicano un potere decisionale autonomo, allora la presenza esce dall’ambito ausiliario e integra una stabile organizzazione.
Si parla di stabile organizzazione “occulta” quando tale presenza economica stabile non è stata dichiarata al Fisco. In pratica l’impresa estera opera in Italia tramite una sede d’affari o un agente, senza aver aperto una partita IVA italiana né una posizione fiscale ufficiale, eludendo così la tassazione. La stabile organizzazione occulta può concretizzarsi in varie forme, ad esempio: una filiale di fatto non denunciata, un ufficio o magazzino non dichiarato, oppure una persona fisica/giuridica residente in Italia che agisce come agente dipendente dell’impresa estera al di là di mere attività preparatorie. Il termine “occulta” non implica necessariamente clandestinità assoluta della presenza fisica (anzi, spesso l’ufficio o la società collegata è visibile), ma si riferisce al fatto che dal punto di vista fiscale quella presenza è nascosta, cioè non risulta dalle dichiarazioni dei redditi né dalle iscrizioni presso l’Agenzia delle Entrate come stabile organizzazione. In alcuni casi paradossali, l’impresa può aver costituito in Italia una società controllata o una sede secondaria con funzioni dichiarate limitate, ma il Fisco sostiene che di fatto essa svolgeva un’attività più ampia: anche questa viene definita “stabile organizzazione occulta” in quanto le funzioni reali eccedono quelle formalmente comunicate. Un esempio eclatante è quello affrontato dalla Cassazione con sentenza n. 7202/2024: una società USA aveva una branch in Italia dichiarata come centro di promozione e assistenza, ma secondo il Fisco agiva di fatto con poteri negoziali sui contratti di vendita, configurandosi come stabile organizzazione occulta della casa madre.
Normativa di riferimento
A livello normativo, i presupposti impositivi della stabile organizzazione occulta si basano su diverse disposizioni, nazionali e internazionali, che vanno lette in modo coordinato:
- Art. 162 TUIR: fornisce la definizione di stabile organizzazione materiale e personale, elencando esempi (sede di direzione, succursale, ufficio, officina, laboratorio, ecc.) e introducendo dal 2018 anche la figura della “significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato” senza consistenza fisica (art. 162, comma 2, lett. f-bis). Questa previsione è diretta a cogliere possibili stabili organizzazioni digitali – come nel caso di attività online con una presenza economica rilevante in Italia ma senza uffici – anche se la concreta applicazione di tale norma richiede il coordinamento con le convenzioni internazionali vigenti caso per caso (trattandosi di concetto innovativo introdotto dal legislatore italiano per contrastare l’economia digitale evasiva). L’art. 162 disciplina inoltre le esclusioni (comma 4) e le condizioni di preparatorietà/ausiliarietà (comma 4-bis) delle attività che non configurano una stabile organizzazione, allineandosi al Modello OCSE aggiornato. Infine, il comma 5 di art. 162 introduce la regola anti-frammentazione: non si possono sommare artificiosamente più attività frammentate tra casa madre e entità collegate per farle apparire ausiliarie se nel complesso costituiscono un’attività rilevante svolta in Italia.
- Art. 23 comma 1 lett. e) TUIR: stabilisce che i redditi d’impresa di soggetti non residenti sono imponibili in Italia se derivano da attività esercitate nel territorio dello Stato “mediante stabile organizzazione”. È una norma cardine: in presenza di una stabile organizzazione (anche occulta), i redditi attribuibili a tale presenza vanno tassati in Italia. In mancanza di stabile org., invece, l’Italia non può tassare i profitti dell’impresa estera (salvo ritenute su singoli redditi di fonte italiana, es. interessi, dividendi, etc., non pertinenti al nostro caso).
- D.P.R. 600/1973, art. 14, comma 5: prevede che la stabile organizzazione di soggetto non residente deve tenere le scritture contabili obbligatorie previste per i soggetti residenti. Ciò significa che una volta individuata la stabile organizzazione occulta, quella “porzione” di attività economica va trattata come un soggetto fiscale italiano autonomo, con obbligo di contabilità e dichiarazioni in Italia (pur essendo fiscalmente parte integrante della casa madre straniera). In caso di mancata tenuta delle scritture (cosa frequente, essendo occulta), l’accertamento avverrà in modo induttivo.
- Decreto Legislativo 128/2015 e L. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016): hanno riformato il cosiddetto raddoppio dei termini per l’accertamento in caso di reati tributari. Questo è rilevante perché le contestazioni di stabile organizzazione occulta spesso implicano omessa dichiarazione e quindi una notizia di reato. Le regole attuali prevedono che il termine di decadenza per notificare gli avvisi di accertamento può essere esteso (oltre i normali 5 anni) solo se la denuncia penale viene presentata entro la scadenza ordinaria. Prima della riforma, bastava la sussistenza di indizi di reato per raddoppiare i termini anche ex post; ora invece l’Agenzia deve attivarsi tempestivamente. In pratica, per gli anni d’imposta dal 2016 in poi, l’eventuale omessa dichiarazione per stabile org. occulta comporta che il Fisco abbia tempo fino all’8º anno successivo solo se la denuncia penale è inviata entro il 5º anno (altrimenti resta il termine ordinario). Per gli anni precedenti la riforma (come accaduto in alcune cause su anni 2001-2005), la Cassazione ha confermato l’applicabilità del vecchio regime di raddoppio automatico.
- Trattati internazionali contro le doppie imposizioni (art. 5 dei vari trattati): definiscono la stabile organizzazione in modo vincolante, avendo valore di fonte primaria nell’ordinamento italiano (in virtù dell’art. 75 DPR 600/1973 e degli artt. 10 e 117 Cost.). In caso di discrepanza tra norma interna e convenzione, prevale la definizione convenzionale per evitare doppia imposizione. Questo significa che se esiste una Convenzione tra Italia e il Paese della società estera, occorrerà verificare i criteri lì previsti: di solito allineati al Modello OCSE, ma talvolta con dettagli specifici (es. durate diverse per cantieri, inclusione o meno di certe ipotesi). Ad esempio, Cassazione 7202/2024 ha dato rilievo centrale alla Convenzione Italia-USA applicabile, sottolineando la circolarità tra norma interna e criterio pattizio e richiamando l’uso del Commentario OCSE per interpretare entrambi.
- Circolari e prassi dell’Agenzia delle Entrate: Nel tempo l’amministrazione finanziaria ha emanato chiarimenti importanti. La Circolare 32/E del 2006 (par. 4.3) ha espressamente raccomandato, negli accertamenti da indagini finanziarie, di stimare un reddito imponibile al netto dei costi anche per le stabili organizzazioni occulte, anticipando quanto poi affermato dalla giurisprudenza (vedremo oltre il principio di Cass. 2581/2021 sulla deducibilità dei costi). La Circolare 26/E del 7 agosto 2014 ha ribadito che la verifica sull’esistenza di una stabile organizzazione, sia ai fini imposte dirette che IVA, va condotta caso per caso sulla base delle caratteristiche concrete della struttura e delle modalità operative in Italia. Inoltre, l’Agenzia ha fornito risposte a interpelli che delineano la distinzione tra attività di supporto (non sufficienti a configurare un coinvolgimento rilevante) e attività che fanno scattare la stabile organizzazione ai fini IVA e imposte dirette (ad es. Risposta interpello n. 57/2023, n. 374/2023). Tali documenti di prassi, pur non avendo valore di legge, orientano gli uffici nelle verifiche e possono essere citati dai contribuenti come argomenti interpretativi a proprio favore, specie se evidenziano approcci garantisti o condizioni restrittive per configurare una stabile organizzazione.
- Normativa penale-tributaria (D.Lgs. 74/2000): quando una stabile organizzazione occulta viene scoperta, si profila spesso il reato di omessa dichiarazione dei redditi (art. 5 D.Lgs. 74/2000) da parte dell’impresa estera, se l’imposta evasa supera la soglia di punibilità (vedremo nel dettaglio nella sezione Aspetti penali). Inoltre, dal 2019 in poi alcune fattispecie di reati tributari rilevanti (come dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture false, ecc.) sono state inserite tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs. 231/2001): qualora vi siano condotte fraudolente poste in essere per occultare la stabile organizzazione, potrebbe teoricamente coinvolgersi la responsabilità 231 della società estera o dei suoi referenti in Italia, se applicabile. Tuttavia, il caso tipico è l’omessa presentazione della dichiarazione fiscale, che ricade direttamente sui soggetti personalmente obbligati (rappresentanti in Italia, o amministratori di fatto).
Riassumendo, la stabile organizzazione occulta si colloca all’incrocio fra normativa domestica (TUIR, DPR 600/73, DPR 633/72 per l’IVA, Statuto del Contribuente), diritto convenzionale internazionale e norme penali tributarie. La difesa dovrà quindi articolarsi considerando tutti questi profili, dalla mancanza del presupposto impositivo (nessuna stabile in base a legge/trattato) alle eventuali violazioni procedurali e sanzionatorie commesse dall’ufficio.
Tipologie di stabile organizzazione: materiale, personale, digitale
Non tutte le stabili organizzazioni sono uguali. La legge e la prassi individuano varie tipologie di SO, la cui comprensione aiuta a inquadrare i casi concreti:
- Stabile organizzazione materiale (o fisica): è la classica “sede fissa di affari” con una qualche struttura fisica in Italia: può essere un ufficio, una sede secondaria, un impianto, un cantiere di durata significativa, un deposito con personale, un negozio, un laboratorio, ecc. Anche uno spazio ristretto all’interno di un immobile altrui può costituire sede fissa, purché sia a disposizione dell’impresa estera per svolgere la propria attività. Ad esempio, se una società estera affitta stabilmente un ufficio in Italia dove opera personale dipendente che svolge attività dell’impresa, si è di fronte a una stabile organizzazione materiale. La Cassazione ha chiarito che non serve che la struttura abbia autonomia gestionale o contabile propria (quella è una caratteristica delle “sedi secondarie” iscritte ex art. 2506 c.c., che sono solo una delle possibili forme). Ciò che conta sono tre requisiti: un luogo fisico con un certo grado di stabilità, la disponibilità di tale luogo da parte dell’impresa non residente (anche tramite società collegate), e l’utilizzo del luogo per svolgere (in tutto o in parte) l’attività d’impresa della casa madre. Se questi elementi sussistono, la base fissa è idonea a produrre reddito autonomo in Italia ed è quindi una stabile organizzazione materiale tassabile.
- Stabile organizzazione personale (per rappresentante): si ha quando un soggetto (persona fisica o giuridica) operante in Italia conclude abitualmente contratti o svolge comunque un ruolo essenziale nella conclusione di affari per conto dell’impresa estera, agendo non in maniera indipendente. In sostanza è il “dependent agent” del Modello OCSE (art. 5(5) del Modello). Tipico esempio: un agente, procuratore o distributore esclusivo italiano che negozia e fa firmare contratti alla clientela locale per conto dell’impresa estera. Se questo rappresentante dipende giuridicamente o economicamente dall’impresa straniera (ad es. lavora esclusivamente per essa, seguendone le direttive), e opera in Italia con continuità, l’impresa estera può essere considerata come presente tramite lui. Non c’è bisogno di uffici propri della casa madre in Italia: la presenza di questo agente “funzionale” basta a creare una stabile organizzazione personale. Occorre però distinguere il caso in cui l’agente sia indipendente: se intermedia affari come mediatore o commissionario autonomo, nei limiti della sua ordinaria attività, non scatta la stabile organizzazione (art. 162(6) TUIR e art. 5(6) Modello OCSE). La Cassazione ha infatti ribadito che “non comporta la presenza di una stabile organizzazione […] il solo fatto che [l’impresa estera] eserciti nel territorio la propria attività per mezzo di un mediatore, commissionario generale o altro intermediario indipendente, purché questi agisca nell’ordinaria attività”. Quindi la chiave è verificare il grado di dipendenza: contratti conclusi da un agente legato strettamente all’estero implicano una stabile org. occulta (come nel caso Cass. 7202/2024 dove la branch italiana in realtà concordava prezzi e sconti con i clienti locali, fungendo da vero negoziatore per la casa madre). Se invece un intermediario ha più mandati e autonomia, l’impresa estera può sostenere che non aveva una presenza fissa.
- Stabile organizzazione digitale: è una figura introdotta nel diritto interno italiano (art. 162(2) lett. f-bis TUIR) per catturare quelle imprese che operano sostanzialmente online sul mercato italiano, senza una base fisica, ma con una “presenza economica significativa e continuativa” nel territorio. Questo concetto, frutto delle riflessioni OCSE sui giganti del web (progetto BEPS), al momento rimane sulla carta se non è ricompreso nelle Convenzioni: infatti, la maggior parte dei trattati segue definizioni tradizionali (sede fisica o agente). Finché non vi saranno nuovi accordi internazionali o implementazione condivisa, l’Italia potrebbe teoricamente applicare la norma interna solo in assenza di trattato o verso paesi black list. Ad ogni modo, la significativa presenza economica potrebbe essere argomentata in casi estremi – ad es. un’impresa estera che genera grandi ricavi in Italia tramite una piattaforma digitale che coinvolge clienti italiani, con interazione locale (magari con ausilio di reti logistico-commerciali di terzi) – ma finora si è preferito intervenire con imposte digitali ad hoc (web tax) piuttosto che attraverso accertamenti di stabile organizzazione digitale. È comunque un terreno in evoluzione: il legislatore italiano ha lanciato un segnale di voler tassare anche le attività digitali in Italia, pur in assenza di un ufficio fisico.
Nel prosieguo, quando parleremo di stabile organizzazione occulta ci riferiremo soprattutto alle prime due categorie (materiale e personale), che sono le situazioni più ricorrenti nelle verifiche fiscali. Tuttavia, un’azienda può presentare configurazioni miste: ad esempio, avere sia un ufficio occulto che un agente locale – elementi che insieme rafforzano la tesi del Fisco. L’importante è capire che il concetto di stabile organizzazione è flessibile e si adatta a molteplici casistiche.
Di seguito, una tabella riassuntiva delle caratteristiche principali della stabile organizzazione occulta:
Aspetto | Descrizione |
---|---|
Definizione (art. 162 TUIR) | Una sede fissa d’affari tramite la quale un’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività in Italia. Include anche ipotesi di agente dipendente che conclude contratti per l’impresa estera (stabile organizzazione “personale”). |
“Occulta” | Non dichiarata al Fisco. Operatività di fatto in Italia senza posizione fiscale aperta (niente codice fiscale/partita IVA come stabile org.). L’impresa estera evita di palesare la presenza per sottrarsi a imposizione, fingendo che l’attività sia tutta svolta all’estero. |
Forme tipiche | – Materiale: ad es. ufficio, sede secondaria, stabilimento o magazzino in Italia non dichiarato.<br>– Personale: agente italiano (persona o società) che opera esclusivamente o prevalentemente per l’impresa estera con poteri di conclusione affari, andando oltre attività ausiliarie.<br>– Digitale: presenza economica significativa online in Italia, senza base fisica (figura prevista dalla legge italiana ma da valutare caso per caso per via dei trattati). |
Norme rilevanti | – Art. 162 TUIR (definizione di SO; comma 2 lett. f-bis per presenza digitale; comma 4 e 4-bis esclusioni per attività ausiliarie).<br>– Convenzioni internazionali (art. 5 Modello OCSE e trattati specifici): prevalgono sulle norme interne divergenti.<br>– Art. 23 TUIR: redditi estero tassati in Italia se derivanti da attività svolte mediante SO.<br>– Art. 14 co.5 DPR 600/1973: obbligo di contabilità per SO di non residenti.<br>– Norme IVA: art. 17 co.2 e 4 DPR 633/72 (soggetti non residenti identificati direttamente o tramite stabile org.), art. 7-ter e 7-quater DPR 633/72 (territorialità IVA per servizi e beni con SO). |
Implicazioni fiscali | La porzione di attività economica “emersa” viene trattata come un’entità fiscale italiana a tutti gli effetti:<br>– IRES/IRAP dovute in Italia sugli utili attribuibili alla SO (aliquota IRES 24%, IRAP ~3.9% se dovuta).<br>– IVA dovuta sulle operazioni effettuate sul territorio tramite la SO: es. vendite di beni che prima erano qualificate come extracomunitarie/interne ad altro paese diventano cessioni interne italiane, con necessità di aprire partita IVA e liquidare l’imposta.<br>– Obbligo di presentare dichiarazioni fiscali in Italia (dichiarazione dei redditi della stabile org., LIPE e dichiarazioni IVA periodiche se soggetto a IVA, modello IRAP se dovuto).<br>– Obbligo di tenuta delle scritture contabili come un soggetto residente (registri IVA, libro giornale, etc.). |
Natura dell’evasione | Configurabile come evasione totale in quanto l’impresa non ha presentato alcuna dichiarazione per i redditi prodotti in Italia tramite la SO. L’avviso di accertamento recupera quindi imposte non dichiarate né versate. |
Sanzioni amministrative | Prevalentemente quelle per omessa dichiarazione dei redditi (e IVA se dovuta): dal 120% al 240% dell’imposta evasa per ciascun tributo, con minimo €250. Se invece una dichiarazione vi era (es. quella di una società locale che faceva da schermo) ma infedele, si applicherebbe la sanzione da infedele (90% dell’imposta non dichiarata). Spesso l’ufficio contesta anche l’omessa presentazione della dichiarazione IVA annuale e altre violazioni connesse (omessa fatturazione, ecc., se pertinenti). Le sanzioni possono essere ridotte attraverso definizione agevolata (vedi accertamento con adesione e acquiescenza). |
Profili penali | L’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’impresa estera è reato ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 74/2000 se l’imposta evasa supera €50.000 per periodo d’imposta. Pena: reclusione da 1 anno e 6 mesi a 4 anni. Anche l’omessa dichiarazione IVA (oltre €50.000) è penalmente rilevante. Possibile contestazione di reati di dichiarazione fraudolenta se sono state adottate manovre artificiose per occultare la presenza (es. uso di contratti fittizi, fatture false tra casa madre e società locale per mascherare i ricavi), oppure di false comunicazioni al Fisco. La soglia per dichiarazione infedele (art. 4) è più alta (€100.000 imposta evasa), ma in genere nel caso di SO occulta si configura piuttosto un’omissione totale. In ambito penale, si verifica anche la responsabilità personale di amministratori o rappresentanti in Italia. È importante notare che il pagamento integrale dei debiti tributari (imposte, sanzioni, interessi) prima del giudizio penale può attenuare molto la pena e in alcuni casi evitare le pene accessorie (art. 13 D.Lgs. 74/2000). |
Nota: la tabella sopra fornisce un quadro generale. Casi specifici possono presentare varianti, ad esempio se esiste un trattato che esclude talune ipotesi o se l’impresa estera aveva comunque una partita IVA come “rappresentante fiscale” – figura che non coincide con la stabile organizzazione (il rappresentante IVA svolge solo adempimenti per un soggetto non stabilito, senza implicare di per sé una base economica). La contestazione della stabile organizzazione occulta è tipicamente alternativa rispetto a quella di esterovestizione (residenza fittizia all’estero). In alcuni accertamenti, l’Ufficio potrebbe dubitare se l’azienda sia in realtà residente in Italia (esterovestita) o se abbia “solo” una branch occulta; le due contestazioni sono diverse: l’esterovestizione implica che l’intera società estera è considerata residente fiscale italiana (art. 73 TUIR, come modificato dal D.Lgs. 209/2023), mentre la stabile organizzazione occulta lascia la residenza all’estero ma tassa una base locale. Spesso il Fisco formula entrambe in via subordinata. Dal punto di vista difensivo, è importante capire quale terreno viene contestato per impostare al meglio le controdeduzioni.
Come l’Agenzia delle Entrate individua una stabile organizzazione occulta
Vediamo ora come avviene in concreto l’individuazione di una stabile organizzazione occulta da parte del Fisco, e quali sono i segnali tipici che possono far scattare gli accertamenti. In genere, il procedimento prende le mosse da attività di intelligence fiscale e verifiche sul territorio condotte dalla Guardia di Finanza (polizia tributaria) o dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate specializzati in fiscalità internazionale. Già il Comando Generale della GdF, in una circolare del 2008, evidenziava che le forme più insidiose di evasione legate a stabili organizzazioni sono proprio quelle in cui “un’impresa estera opera in Italia tramite una stabile organizzazione non formalmente costituita (occulta)”, istruendo i verificatori a raccogliere tutti gli elementi probatori utili a dimostrare il centro di attività economica in Italia secondo i criteri di legge (art. 162 TUIR e art. 5 Modello OCSE).
Gli indizi tipici che possono portare a ipotizzare l’esistenza di una stabile organizzazione occulta includono:
- Presenza di personale o strutture in Italia riconducibili all’impresa estera: ad esempio uffici operativi, showroom, magazzini, o personale (assunto localmente o distaccato dall’estero) che svolge mansioni chiave. Se una società straniera dispone di un ufficio in Italia (anche intestato a società terze o a un agente) dove di fatto operano suoi dipendenti o collaboratori in via continuativa, questo è un forte campanello d’allarme. Così pure la presenza stabile di un deposito di merci o un centro logistico a disposizione esclusiva dell’impresa estera può indicare una base fissa occulta. Anche situazioni come il co-working (scrivanie presso uffici altrui) non sfuggono: conta la sostanza dell’uso. Un esempio: la sede X di Milano è formalmente intestata a una società italiana di servizi, ma ospita stabilmente personale di una società estera che lì incontra clienti e coordina vendite – gli inquirenti potrebbero rilevare arredi, computer aziendali esteri, biglietti da visita col logo estero, etc., per provare che quell’ufficio è in realtà utilizzato come stabile organizzazione occulta.
- Contratti conclusi o negoziati in Italia: se l’impresa estera risulta stipulare contratti con clienti italiani mediante rappresentanti o agenti situati in Italia, questo è forse il segnale più importante di una stabile organizzazione personale. Specie se tali agenti operano esclusivamente o prevalentemente per l’impresa estera e sono inseriti nella sua organizzazione (dipendenti o legati da rapporti di collaborazione continuativa). Ad esempio, un funzionario italiano che visita clienti, propone offerte e raccoglie ordini per conto della società estera, magari con un potere di fatto di concordare prezzi o sconti, può essere qualificato come agente dipendente. Nel caso trattato in Cass. 7202/2024, la branch italiana concordava con i distributori italiani elementi essenziali dei contratti (come i rebates sugli obiettivi di vendita) e ciò è stato visto come prova di un potere negoziale autonomo in Italia e quindi di una stabile organizzazione. Anche senza firma formale dei contratti in Italia, se la negoziazione sostanziale avviene qui, l’elemento è presente.
- Società italiane correlate: spesso la stabile organizzazione occulta si “annida” all’interno di una società formalmente distinta, ma che di fatto funge da braccio operativo della casa madre estera. Un esempio classico: la società estera costituisce una srl italiana che ufficialmente presta servizi ausiliari (marketing, assistenza) alla casa madre, con compenso basso (cost plus esiguo). In realtà però quella srl svolge l’intera attività commerciale in Italia (promuove vendite, mantiene relazioni con clienti, post-vendita, ecc.). Se il corrispettivo per tali servizi risulta sottostimato rispetto al volume d’affari generato in Italia, e l’attività reale va oltre il mero supporto contrattuale, l’ipotesi è che la società italiana stia celando una stabile organizzazione: in sostanza, i profitti generati in Italia vengono trasferiti all’estero truccando il ruolo della controllata locale. Questo scenario è stato riconosciuto, ad esempio, nella vicenda decisa da Cassazione n. 2581/2021, in cui società italiane formalmente di servizio venivano remunerate in maniera fittizia per nascondere il fatto che la società estera realizzava vendite di immobili in Italia tramite esse . La Cassazione, in quell’occasione, ha avallato l’accertamento dell’Amministrazione finanziaria secondo cui i compensi esigui indicavano interposizione fittizia e che la stabile organizzazione occulta era dunque presente .
- Volumi d’affari significativi in Italia senza stabile dichiarata: l’Agenzia delle Entrate monitora i flussi di commercio internazionale e i pagamenti transfrontalieri. Se emerge che un soggetto estero realizza un giro d’affari consistente con controparti italiane, senza avere alcuna stabile organizzazione o rappresentanza fiscale, scatta l’approfondimento. Ad esempio, grazie allo scambio di informazioni intracomunitario (listing VIES, esterometri, ecc.) si può vedere che la società straniera X ha fatturato milioni di euro a clienti italiani. In assenza di stabile org, tali operazioni spesso risultano come cessioni intracomunitarie (se fatte da una sede UE) o come vendite dirette extra-UE con importazioni a nome dei clienti. Il Fisco indaga: come fa X a gestire queste vendite? Se scopre che di fatto vi sono “figure di riferimento” stabili sul territorio – come promotori che visitano clienti, tecnici che curano la consegna e installazione, personale post-vendita – allora cresce il sospetto che X abbia una base fissa in Italia. Per dirla in breve: tanto più è grande il business in Italia, tanto più è credibile che l’impresa abbia messo radici operative (o se non l’ha fatto, viene da chiedersi chi svolge le funzioni di supporto: se le svolge una struttura dedicata, quella potrebbe essere la stabile occulta).
- Natura delle attività: ausiliarie vs core business: come accennato, un elemento chiave è distinguere se la presenza in Italia ha natura preparatoria/ausiliaria oppure riguarda l’attività principale dell’impresa. I verificatori cercheranno di qualificare la reale funzione della struttura italiana. Esempio: un ufficio italiano che si limita a pubblicità o ricerca di mercato per la casa madre può rientrare nelle esimenti (attività ausiliarie ai sensi delle lettere d) ed e) dell’art. 162(4) TUIR). Viceversa, se l’ufficio prende decisioni commerciali sostanziali (negozia prezzi, conclude contratti, gestisce la rete vendita), allora non è più ausiliario ma diventa parte integrante dell’attività d’impresa, costituendo stabile organizzazione. Questa distinzione spesso emerge dall’analisi di e-mail, organigrammi, procure e testimonianze raccolte durante la verifica. Ad esempio, se i funzionari italiani hanno deleghe o titoli come “Country manager” con target di vendita, è un indizio di ruolo primario e non di mero supporto.
Gli strumenti utilizzati dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia includono: osservazione e pedinamento (per vedere se esistono uffici attivi), indagini finanziarie (accesso a conti bancari italiani collegati all’operatività occulta), richiesta di informazioni alle controparti (clienti e fornitori italiani possono essere sentiti per capire con chi interagivano), scambi di informazioni internazionali (soprattutto in ambito UE o con paesi con accordi, come nel caso Cass. 2116/2024 dove il fisco tedesco ha confermato che la contribuente non aveva dichiarato nulla in patria). Al termine delle indagini, se si raccolgono elementi sufficienti, l’iter prosegue con la stesura di un Processo Verbale di Constatazione (PVC), ovvero il verbale ispettivo con cui si contestano formalmente i rilievi al contribuente. Nel PVC relativo a una stabile org. occulta, la GdF descrive i fatti (es. “abbiamo trovato questo ufficio, queste persone, questi contratti conclusi in Italia”) e inquadra giuridicamente la situazione richiamando i criteri di legge e convenzionali.
Nel già citato caso deciso dalla Cassazione n. 7202/2024, ad esempio, il PVC metteva in luce che la sede italiana – formalmente incaricata solo di promozione e assistenza – in realtà concordava con i distributori elementi essenziali dei contratti (scontistiche legate a volumi di vendita), esercitando un ruolo ben oltre quello ausiliario. Da ciò, l’Amministrazione finanziaria concluse che la branch operava come stabile organizzazione in Italia della casa madre estera, con la conseguente imputazione a tassazione in Italia dei ricavi sulle vendite nel territorio. Questo rilievo, inizialmente contestato nel PVC, divenne poi la base dell’atto impositivo.
L’avviso di accertamento e la quantificazione dei redditi
Dopo la fase istruttoria e il PVC, l’Agenzia delle Entrate (tramite le Direzioni provinciali o regionali competenti, spesso il Centro Operativo o l’Ufficio Grandi Contribuenti per i casi internazionali) emette il formale Avviso di Accertamento. Si tratta dell’atto impugnabile che contiene la rettifica delle imposte dovute. Nel caso di stabile organizzazione occulta, l’avviso tipicamente:
- Contesta l’esistenza della SO in Italia a partire da una certa data o per determinati anni d’imposta, descrivendo gli elementi probatori raccolti (spesso ricalca parti del PVC).
- Ricalcola i redditi d’impresa attribuibili alla stabile organizzazione per ciascun anno, ai fini IRES e (se applicabile) IRAP. Poiché il contribuente non aveva presentato dichiarazione, l’ufficio procede con accertamento d’ufficio (induttivo), ai sensi dell’art. 41 DPR 600/73. Questo consente di determinare il reddito anche con presunzioni semplici, prive dei requisiti usuali di gravità, precisione e concordanza (le cosiddette presunzioni “supersemplici”) . In pratica, il Fisco può stimare il fatturato e l’utile italiano sulla base di indizi anche parziali: ad esempio, può prendere l’ammontare delle vendite fatte a clienti italiani (risultanti dalle fatture estere) e applicare un margine di profitto standard, oppure basarsi sui costi della branch nota e ricostruire i ricavi da quelli. Se c’è una società di comodo italiana, spesso l’ufficio disconosce il transfer pricing applicato e riattribuisce tutti i ricavi alla stabile organizzazione.
- Ricalcola l’IVA dovuta: qualora la presenza di una stabile organizzazione implichi che alcune operazioni prima considerate non imponibili IVA vadano invece trattate come imponibili interne, l’accertamento liquida la relativa IVA non versata. Ad esempio, nel caso di cessioni di beni dall’Olanda all’Italia (prima trattate come intracomunitarie), se si stabilisce che il fornitore aveva una stabile org. in Italia, quelle cessioni diventano vendite interne soggette a IVA italiana. L’avviso pertanto addebiterà l’IVA evasa, detraendo eventualmente l’IVA assolta a destino (reverse charge) se era stata applicata dai clienti. Similmente per servizi: se la stabile organizzazione interviene nelle operazioni ai sensi dell’art. 192-bis Dir. IVA, l’operazione non rientra nel meccanismo del reverse charge e l’imposta è dovuta qui. Il confine talvolta è sfumato e ha richiesto chiarimenti (si è visto nelle risposte AdE 2021-2023 l’indicazione che va valutato caso per caso il ruolo della stabile organizzazione nelle singole operazioni).
- Irroga le sanzioni amministrative per omessa dichiarazione (o altri illeciti contestati) e calcola gli interessi di mora sulle imposte non versate.
Dal punto di vista del calcolo del reddito imponibile, un aspetto cruciale – e spesso oggetto di contenzioso – è la deduzione dei costi. In sede di accertamento induttivo d’ufficio, l’ufficio talvolta tende a ricostruire il reddito imponibile quasi coincidente col fatturato (specie se non ha elementi certi sui costi sostenuti). Questo approccio estremo è però stato censurato in giurisprudenza: la Corte di Cassazione ha più volte affermato che anche nell’accertamento induttivo puro deve essere determinato un reddito netto, tenendo conto – seppur in via presuntiva – dei costi inerenti . In particolare, con la sentenza n. 2581/2021 (Sez. V), la Cassazione ha fissato il principio che nell’ipotesi di stabile organizzazione occulta senza dichiarazione, è legittimo stimare il reddito con presunzioni semplici (ex art. 41 DPR 600/73), ma vanno comunque riconosciuti in deduzione i costi inerenti emersi in istruttoria o, se mancanti, ricostruiti in via presuntiva/percentuale . Non è consentito equiparare fatturato a reddito imponibile senza alcuna decurtazione, perché ciò viola il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e il corretto metodo di determinazione dell’utile d’impresa. La stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 225/2005, aveva sottolineato l’obbligo di dedurre i costi anche nei redditi accertati induttivamente, richiamo ripreso dalla Cassazione. Pertanto, oggi è pacifico che l’Amministrazione deve quantomeno stimare un margine di utile e non tassare il 100% dei ricavi lordi.
Ad esempio, se l’ufficio ha accertato che la casa madre estera ha venduto merci in Italia per 1 milione di euro, ma tramite la sua struttura occulta (che magari era camuffata da contratto di service con 100mila euro di compenso), non potrà pretendere IRES su 1 milione intero: dovrà detrarre almeno i costi di acquisto, costi operativi italiani, ecc., oppure applicare un utile medio di settore. Nel caso specifico del 2021, la contribuente (una società estera operante nell’immobiliare turistico) si era lamentata perché l’ufficio le aveva ricostruito il reddito come se tutto il venduto in Italia fosse utile, senza considerare le spese . La Cassazione le ha dato ragione su questo punto, cassando in parte la decisione e rinviando alla CTR affinché fossero dedotti i costi relativi. Inoltre, è stato citato che la stessa Agenzia delle Entrate nella circolare 32/E/2006 aveva sollecitato i propri uffici a riconoscere i costi nel reddito accertato per stabili occulte.
Perciò, un primo punto di difesa del contribuente è verificare se nell’accertamento il Fisco ha arbitrariamente gonfiato il reddito imponibile ignorando i costi: una simile determinazione può essere contestata per violazione di legge (art. 109 TUIR, art. 53 Cost.) e difetto di motivazione.
Un altro profilo di quantificazione è la ripartizione temporale: l’ufficio può estendere la contestazione anche a più anni pregressi (di solito fino a 5 anni indietro, o 7-8 se c’è raddoppio dei termini). È fondamentale controllare se per tutti quegli anni sussistevano davvero elementi di stabile organizzazione o se magari la presenza in Italia è iniziata dopo. Ad esempio, se un’impresa ha aperto l’ufficio occulto nel 2018, non dovrebbe subire accertamenti per il 2017 e precedenti. Oppure se solo in certi anni le attività locali hanno superato il livello ausiliario. Spesso l’Agenzia tende, per prudenza, a contestare dall’anno più lontano possibile entro i termini, ma in sede di difesa si può provare che nei primi anni l’attività era minima o in fase preparatoria (se supportato da documenti).
L’avviso di accertamento deve essere notificato al contribuente estero. Se la società non ha un domicilio eletto in Italia, l’ufficio potrebbe notificarlo tramite la stabile organizzazione stessa (ma essendo occulta ciò è problematico), oppure presso un rappresentante fiscale se esistente, o mediante procedura per l’estero (consegna all’autorità estera competente per notifica). La notifica corretta è un aspetto procedurale importante: eventuali vizi nella notifica all’estero (mancato rispetto delle convenzioni di mutua assistenza o uso improprio di indirizzi) possono costituire motivi di nullità, benché spesso sanabili se il contribuente impugna e compare (in quanto raggiunto dall’atto).
In conclusione, dal momento in cui l’Agenzia formalizza l’accertamento, il contribuente si trova di fronte a cifre quasi sempre molto elevate: recupero di imposte per più anni (sovente centinaia di migliaia o milioni di euro), sanzioni al 150-200%, e l’incombere di un possibile procedimento penale per omessa dichiarazione se le somme superano soglie penalmente rilevanti. Di seguito esamineremo quali strumenti ha il contribuente per reagire e difendersi, tanto in via pre-contenziosa (cercando magari un accordo o presentando osservazioni) quanto in sede contenziosa (ricorso alle Corti di giustizia tributaria). Si analizzeranno anche le strategie difensive di merito (negare la sussistenza della stabile org., ridurre la pretesa) e i profili penali connessi.
Strategie difensive pre-contenziose (strumenti di definizione e prevenzione)
Affrontare un’accusa di stabile organizzazione occulta richiede innanzitutto una valutazione strategica: conviene imboccare da subito la via del contenzioso, oppure tentare di definire la controversia in via amministrativa con l’Agenzia delle Entrate? La risposta dipende dalla solidità delle prove raccolte dal Fisco e dalla posizione del contribuente. Prima di analizzare il ricorso giurisdizionale, consideriamo gli strumenti deflattivi del contenzioso che l’ordinamento offre, ovvero modalità di chiusura anticipata della vertenza con benefici sulle sanzioni.
Osservazioni al PVC e contraddittorio endoprocedimentale
Dopo la consegna del Processo Verbale di Constatazione (PVC) da parte della Guardia di Finanza o dell’Ufficio, il contribuente ha per legge 60 giorni di tempo per presentare osservazioni e richieste (art. 12, c.7 L. 212/2000, Statuto del Contribuente). In questi 60 giorni l’Agenzia, di regola, non può emettere l’accertamento (salvo casi di particolare urgenza come imminente scadenza termini). Sfruttare questa finestra è importante: il contribuente, magari assistito da un difensore, può presentare una memoria difensiva in cui contesta punto per punto i rilievi del PVC, portando elementi a suo favore (documenti, spiegazioni, interpretazioni di norme o trattati) e chiedendo eventualmente un contraddittorio orale. Nel contesto della stabile organizzazione occulta, nelle osservazioni si potrà ad esempio evidenziare che certe attività erano di carattere ausiliario, che manca la prova di una “sede fissa” (se quello è il punto debole), o che comunque il reddito attribuito è sproporzionato rispetto alla realtà (invitando l’Ufficio a rivedere i calcoli). Le osservazioni non impediscono che l’accertamento venga emesso, ma costituiscono un primo livello di difesa: se il Fisco non le considera affatto, ciò può essere argomento di illegittimità per difetto di motivazione dell’atto (in quanto non ha confutato le controdeduzioni del contribuente). Dal 2020 in avanti, per effetto di pronunce comunitarie, è stato valorizzato il principio del contraddittorio: specie in materia di IVA, l’assenza di un contraddittorio preventivo effettivo può inficiare l’atto, salvo che l’amministrazione dimostri che il coinvolgimento del contribuente non avrebbe comunque potuto portare a un risultato diverso.
Accertamento con adesione
Una volta notificato l’avviso di accertamento, una via conciliativa utile è l’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). Il contribuente ha la facoltà di presentare entro 60 giorni dalla notifica una istanza di adesione all’Ufficio, chiedendo un incontro per discutere la rettifica. L’istanza sospende i termini per ricorrere (per un massimo di 90 giorni) e apre una trattativa. In sede di adesione, il contribuente e l’Agenzia possono trovare un accordo sulla materia imponibile e sulle sanzioni. Quali vantaggi? Se si raggiunge l’accordo, le sanzioni vengono ridotte ad 1/3 del minimo previsto (quindi ad esempio da 120-240% si scende a 40% dell’imposta). Inoltre, si evita il contenzioso prolungato e si può dilazionare il pagamento (fino a 8 rate trimestrali se l’importo è elevato). Dal punto di vista del contribuente, l’adesione conviene soprattutto quando la prova della stabile organizzazione è schiacciante, rendendo arduo negarla del tutto, ma vi è margine per rimodulare il quantum (ad esempio riconoscendo costi maggiori o escludendo alcuni ricavi non imponibili). In tal caso, in sede di adesione si può trattare per abbassare l’imponibile e quindi le imposte dovute. L’Agenzia talvolta è disponibile a rivedere la pretesa su aspetti come: limitare il periodo accertato (rinunciando agli anni più risalenti), accettare una percentuale di ricarico inferiore, o derubricare qualche sanzione. Ciò però richiede di portare argomenti convincenti al tavolo: ad esempio analisi di transfer pricing per dimostrare quale sarebbe stato un utile normale per quella struttura, o documentazione di costi centrali sostenuti all’estero ma afferenti l’attività in Italia, ecc.
Un esempio di parziale successo in adesione potrebbe essere: il Fisco contesta €1.000.000 di imponibile non dichiarato con €240.000 di IRES evasa (e sanzioni al 150%, quindi €360.000). Il contribuente, accettando di avere una stabile organizzazione, prova però che i costi logistici e marketing sostenuti ammontavano a €400.000, quindi l’utile tassabile sarebbe €600.000 (non 1 milione). L’Ufficio concorda un abbattimento: imposte evase €144.000 (24% di 600k) e sanzione 1/3 del minimo (diciamo 40% di 144k = €57.6k). In totale, con adesione si chiude pagando ~201.6k tra imposta e sanzione, contro i 600k iniziali tra imposte e sanzioni. In più si evitano anni di causa e possibili aggravi.
Naturalmente ogni caso fa storia a sé. Se la posizione del contribuente è invece forte (prova carente, appigli giuridici), l’adesione rischia di vincolarlo e forse è preferibile ricorrere in Commissione tributaria. Inoltre, l’adesione comporta la rinuncia a fare ricorso: una volta firmato l’accordo e pagato quanto dovuto (o la prima rata), l’accertamento si intende definito e non impugnabile. Va valutato anche l’effetto penale: se si perfeziona l’adesione e si versa quanto dovuto, questo pagamento potrebbe estinguere il debito tributario rilevante per il reato e quindi evitare la punibilità in alcuni casi (specie per omesso versamento IVA, non direttamente per omessa dichiarazione, ma certamente sarebbe un attenuante significativa). Tuttavia, aderire equivale ad ammettere il debito, il che in sede penale può essere una tacita ammissione dei fatti (anche se il processo penale è formalmente autonomo). È un aspetto delicato che va ponderato con assistenza legale, magari coordinando la strategia tributaria con quella penalistica.
Acquiescenza e definizione agevolata
Un’altra opzione è la acquiescenza all’accertamento (art. 15 D.Lgs. 218/97): se il contribuente non presenta ricorso entro 60 giorni e paga interamente (o in rate) quanto richiesto, ha diritto a una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (simile all’adesione ma senza trattativa). In pratica, accetta integralmente la pretesa in cambio dello sconto sanzionatorio. Questo strumento è poco attraente nel caso di stabili occulte, perché di solito l’importo contestato è ingente e difficilmente si vuole accettarlo per intero. Può avere senso solo se l’accertamento è sorprendentemente corretto e conveniente (caso raro) o se, ad esempio, la società decide di chiudere la posizione pagando per evitare guai peggiori (pensiamo a grandi gruppi che, per ragioni di reputazione, vogliono sanare subito e chiudere la vicenda pubblica).
Periodicamente, inoltre, il legislatore introduce definizioni agevolate delle liti pendenti o degli avvisi di accertamento. Ad esempio, con la Legge di Bilancio 2023 c’è stata la possibilità di definire gli avvisi non impugnati con sanzioni ridotte a 1/18. Se queste finestre normative sono aperte, il contribuente potrebbe valutarle. In assenza di norme speciali però, si ricade negli istituti ordinari sopra descritti.
Interpello sui nuovi investimenti e cooperative compliance
In ottica preventiva, segnaliamo che esistono strumenti per prevenire il rischio di contestazione di stabile organizzazione occulta, utili per chi in futuro volesse operare correttamente:
- L’interpello nuovi investimenti (art. 2 D.Lgs. 147/2015) consente alle imprese estere che intendono investire in Italia di chiedere all’Agenzia delle Entrate una risposta circa la sussistenza o meno di una stabile organizzazione in relazione al modello di business prospettato. Ottenere una risposta favorevole mette al riparo da accertamenti futuri su quell’assetto. Ad esempio, una multinazionale può presentare un interpello descrivendo la propria struttura (es. “avremo una branch con sole funzioni di marketing, attività X, Y e Z, i contratti rimarranno firmati all’estero…”) e chiedere conferma che ciò non configuri una SO. L’Agenzia nel 2023 è tornata sul tema con varie risposte, spesso ribadendo che tutto va valutato caso per caso, ma fornendo comunque indicazioni.
- Il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance, D.Lgs. 128/2015) permette alle grandi aziende di avere un dialogo costante con il Fisco e accordi preventivi, riducendo al minimo le controversie. Nel 2018 è stata varata anche una procedura ad hoc per le imprese multinazionali, specie digital economy, al fine di regolarizzare la loro posizione (Provvedimento AdE 30/5/2018). Società come Google, Facebook, Amazon in Italia hanno spesso optato per transazioni col Fisco, dichiarando maggiori ricavi localmente per il futuro (i media hanno parlato di “fine del double irish” e affini). Queste soluzioni, tuttavia, riguardano più la prevenzione per il futuro o la chiusura concordata di vicende passate e non rientrano nel percorso difensivo ordinario, sebbene un contribuente possa sempre tentare di negoziare un accordo transattivo col Fisco anche dopo l’emissione dell’atto (in sede di accertamento con adesione appunto, o di conciliazione giudiziale, di cui diremo).
In sintesi, nella fase pre-contenziosa il contribuente non è inerme: può far valere le proprie ragioni subito e talvolta spuntare una riduzione sostanziale. Tuttavia, se non si raggiunge un’intesa soddisfacente, resta la via del ricorso tributario alle nuove Corti di Giustizia Tributaria (le ex Commissioni Tributarie, ridenominate dalla riforma 2022). Nella prossima sezione esamineremo come impostare la difesa in giudizio e quali sono i principali motivi di ricorso e strategie argomentative.
Difendersi in giudizio: il contenzioso tributario sulla stabile organizzazione occulta
Quando l’avviso di accertamento non viene annullato in autotutela né si riesce a definirlo in adesione, l’unica via per far valere le proprie ragioni è presentare un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (CGT, già Commissione Tributaria Provinciale) competente. La difesa in sede giudiziale richiede un’approfondita impostazione sia sui profili di fatto sia su quelli giuridici, in quanto ci si trova a contrastare spesso accertamenti complessi, con questioni di diritto internazionale, procedure, e calcoli tecnici. Di seguito illustriamo i passaggi principali del contenzioso e le possibili linee difensive.
Procedura del ricorso tributario: termini e condizioni
Il termine per presentare ricorso è di 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento. Se si è presentata istanza di adesione, il termine è sospeso per massimo 90 giorni e riprende dopo (in pratica si guadagna tempo). Il ricorso va notificato all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emanato l’atto (tipicamente via PEC se si ha domicilio digitale). Successivamente, entro 30 giorni dalla notifica, va depositato (telematicamente) presso la CGT. Dal 2023 il processo tributario è divenuto pienamente telematico e in parte “sostanzialmente orale” per i casi minori: ma per questioni complesse come questa, è prevedibile la trattazione in udienza pubblica con discussione.
Competenza territoriale: generalmente è quella della CGT del luogo dove ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto, oppure ove è avvenuto l’accertamento (in caso di verifiche complesse). Se la società estera ha una sede secondaria in Italia, può essere considerato il domicilio fiscale di quest’ultima. In mancanza, vale la sede dell’ufficio legale del contribuente estero (esteri: ufficio centrale, spesso la Direzione Regionale del Lazio per soggetti non residenti). Sono dettagli tecnici che il difensore curerà.
All’atto del deposito, va pagato il contributo unificato previsto (in base al valore della causa, che può essere elevato – es. oltre 200k euro di valore, C.U. di €1.500 attualmente). Non è più necessario indicare il “valore della lite” in ricorso (obbligo abolito).
Un aspetto importante: la presentazione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione dell’imposta. L’Agenzia, decorsi 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, può iscrivere a ruolo 1/3 delle imposte contestate e far emettere una cartella di pagamento (o affidare l’importo all’Agente della riscossione) da riscuotere a titolo provvisorio. Per evitare che il contribuente debba pagare (o subire azioni esecutive) durante il processo, si può presentare istanza di sospensione al giudice tributario. L’istanza di sospensione dell’atto impugnato può essere contenuta nel ricorso stesso oppure in istanza separata entro 60 gg dalla notifica del ricorso. Occorre indicare il periculum (danno grave e irreparabile se si pagasse) e il fumus (motivi validi di ricorso). La CGT fisserà un’udienza in tempi rapidi e deciderà se sospendere la riscossione fino alla sentenza di primo grado. Nelle contestazioni di importi molto alti, la sospensione è spesso concessa (perché il danno patrimoniale c’è), specie se si evidenziano aspetti controversi. Nel nostro tema, è frequente ottenere la sospensione almeno per la parte di imposte più dibattuta (ad esempio sul 100% dell’importo se si contesta radicalmente la stabile org.; se invece si contesta solo parzialmente, il giudice potrebbe chiedere la garanzia del pagamento di una parte non contestata).
Strategie di difesa: negare la stabile organizzazione
Il primo obiettivo del contribuente sarà, se possibile, attaccare frontalmente la sussistenza della stabile organizzazione. Questo è il fulcro: se il giudice accoglie che non vi era una stabile organizzazione occulta, l’intero accertamento cade (non essendoci presupposto impositivo in Italia). Diversamente, se la stabile viene riconosciuta, ci si sposta su questioni di quantificazione. Ecco i principali argomenti che la difesa può sviluppare per negare la stabile organizzazione, a seconda dei casi:
- Assenza di “sede fissa di affari” (nelle ipotesi materiali): si può sostenere che l’impresa estera non disponeva in Italia di alcun luogo d’affari con caratteri di stabilità e disponibilità. Ad esempio, se l’ufficio individuato era di un terzo indipendente, utilizzato occasionalmente, o se il personale operava in home office senza locali propri dedicati, si cercherà di far leva su questo. Anche la brevità temporale può essere invocata: se l’attività in Italia è durata poco (es. un progetto di 2 mesi), non supera la soglia di tre mesi per i cantieri (art. 162(3) TUIR) e in generale contrasta col concetto di stabilità. Bisogna produrre contratti di affitto, fotografie, testimonianze che mostrino che quell’ufficio era di un’altra società, o che il personale stava solo in visita temporanea. Si può citare giurisprudenza come Cass. 7202/2024 che ha escluso la SO perché “l’Ufficio non aveva fornito alcuna prova dell’esistenza di una sede fissa di affari” in Italia, evidenziando che decisioni e centri operativi erano all’estero. Oppure la recente Cass. 2116/2024, dove in appello la contribuente aveva vinto sostenendo (erroneamente secondo la Cassazione) che il Fisco non aveva provato l’esistenza di una base fissa proprio in quella città italiana. La Cassazione poi ha ribaltato perché riteneva provato il contrario, ma ciò evidenzia che la mancanza di prova di un luogo specifico indebolisce l’accusa.
- Attività di natura preparatoria o ausiliaria: la difesa può ammettere che vi fosse una presenza in Italia, ma argomentare che le sue funzioni erano meramente ausiliarie rispetto all’attività dell’impresa. Questo in base sia alle clausole convenzionali che all’art. 162(4) e (4-bis) TUIR. Si dovrà dimostrare, ad esempio, che l’ufficio italiano si limitava a raccogliere informazioni di mercato (lettera d) o a fare pubblicità (esempio di att. ausiliaria nel trattato USA citato prima), oppure che l’agente italiano aveva solo compiti di promozione senza poteri decisionali. Fondamentale sarà mostrare che le decisioni strategiche e la conclusione degli affari avvenivano all’estero. Nel caso Cass. 7202/2024, la CTR (poi confermata in Cassazione) aveva ricostruito che “il potere decisionale era centralizzato fuori dall’Italia” e che i prezzi e le politiche commerciali le fissava la casa madre. Ciò ha convinto i giudici che la branch italiana fosse davvero solo di supporto. In altri termini, se la struttura italiana non aveva autonomia e svolgeva funzioni ancillari (marketing, assistenza clienti post-vendita, gestione magazzino per conto della casa madre), la difesa punterà a classificare tali attività come esenti da stabile org. In questo la giurisprudenza comunitaria aiuta: ad esempio, la CGUE nel caso Berlin Chemie (C-333/20 del 7/4/2022) ha escluso la stabile organizzazione IVA per una società che aveva una filiale locale fornitrice esclusiva di servizi di marketing e simili. Anche nel caso Cabot Plastics (CGUE, C-232/22 del 29/6/2023) è stato affermato che una società extra-UE che riceve servizi da una affiliata UE (anche se esclusivi e inerenti alla sua attività) non ha una stabile org. IVA nello Stato membro se non dispone lì di una propria struttura di mezzi umani e tecnici. Tali principi (seppur riferiti all’IVA) possono essere richiamati a favore: indicano che anche una presenza economica significativa non è sufficiente, se la struttura locale è in realtà dell’altra entità e non della società estera. Dunque, la difesa potrà sostenere che la società italiana (o l’agente) operava in autonomia come fornitore di servizi, e la società estera non aveva “mezzi propri” in Italia – ergo, nessuna stabile org.
- Agente indipendente: qualora la contestazione si basi su una persona o società locale che funge da intermediario, la linea difensiva sarà cercare di dimostrare che tale agente era indipendente ai sensi di legge. Ciò richiede provare che l’agente aveva una sua organizzazione, magari rappresentava più aziende, agiva nel corso ordinario della sua attività e non era soggetto a istruzioni vincolanti dall’estero. Ad esempio, se l’agente italiano è un libero professionista con più mandati, o una società di distribuzione che tratta anche prodotti di altre imprese, lo si evidenzierà. Anche la forma contrattuale conta: un mediatore puro (che mette in contatto venditore e cliente, senza legame stabile) tipicamente non genera stabile organizzazione per il preponente estero, come ricordato in Cass. 992/2024. Spesso l’Agenzia contesta che l’indipendenza sia solo apparente (soprattutto se quell’agente fattura il 90% solo a quella casa madre). Qui la difesa può portare elementi quali: l’agente assume il rischio d’impresa (paga costi, non è rimborsato a piè di lista), l’agente non ha poteri di rappresentanza legale (non firma contratti per conto dell’estero), esegue solo attività preparatorie come promozione e raccolta ordini poi soggetti ad approvazione estera. Se ci sono clausole contrattuali che dicono che il principale estero approva ogni affare e l’agente non può impegnarlo, vanno messe in luce. Talora però i contratti non riflettono la realtà sostanziale: la Cassazione guarda molto alla sostanza economica. Ad esempio, in Cass. 30033/2018 (richiamata in Cass. 2116/2024), si è ribadito che ciò che conta è la presenza di una struttura idonea a produrre reddito autonomamente e che svolge qui l’attività della casa madre, al di là dei veli formali. Quindi, occorre convincere con la sostanza: se l’agente effettivamente era libero (magari ha rifiutato affari, ha un margine e rischia perdite, etc.), enfatizzarlo.
- Inesistenza del nesso tra utili e attività italiana: in alcuni casi, si può argomentare che i ricavi realizzati in Italia non sono “prodotti” tramite la presunta stabile org.. Ad esempio, se l’impresa estera vende un prodotto innovativo che i clienti italiani comprano via internet direttamente, e la presenza locale (se c’è) è scollegata (magari è un piccolo ufficio di rappresentanza non coinvolto nelle vendite), la difesa dirà: i clienti avrebbero comprato comunque, la stabile occulta non è la causa del reddito. Questo è però un terreno sdrucciolevole perché il concetto di reddito prodotto “tramite” SO è ampio. Tuttavia, nei casi borderline (tipo servizi internazionali), può aver rilievo dire che l’attività italiana non era determinante.
- Errori nell’applicazione del Trattato: qualora esista una Convenzione contro le doppie imposizioni col paese dell’impresa, conviene sempre analizzarne le clausole. Alcune convenzioni contengono specifiche più restrittive rispetto al modello OCSE. Ad esempio, alcune Convenzioni più vecchie (anni ‘70) possono non prevedere l’ipotesi di agente che “conclude contratti in assenza di poteri formali ma che esercita il ruolo essenziale” (previsione introdotta dall’aggiornamento OCSE 2017). Oppure possono avere durate diverse per i cantieri (6 mesi invece di 3, etc.). Se la Convenzione è più favorevole al contribuente su qualche punto, va invocata perché prevale. Anche gli esperimenti di digital economy: la norma italiana fissa la digital SO, ma i trattati attuali no – dunque, se contestano una “presenza digitale” ma c’è convenzione, si potrebbe eccepire che il trattato non contempla tale criterio, quindi l’Italia non può tassare (questo scenario finora ipotetico potrebbe diventare realtà se l’Agenzia iniziasse ad accertare digital SO unilateralmente; per ora non si registrano casi noti).
- Onere della prova: infine, c’è il tema su chi grava la prova. In linea generale, spetta all’Amministrazione provare l’esistenza della stabile organizzazione (è un fatto costitutivo della pretesa tributaria). Questa prova può essere data anche tramite presunzioni, però la giurisprudenza richiede che vi siano indizi gravi, precisi e concordanti, salvo che si applichi l’accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione dove sono ammesse anche presunzioni semplici (ma pur sempre un insieme di elementi logici). La difesa può quindi anche puntare sul dire: “l’Ufficio non ha raggiunto la prova piena, ma si è basato su congetture o su elementi insufficienti; pertanto, in dubio pro contribuente, l’accertamento va annullato”. Cass. 7202/2024 è un esempio di come l’insufficienza probatoria abbia giocato a favore del contribuente: la Cassazione ha ritenuto corretta la sentenza di merito che aveva escluso la stabile org. perché l’Ufficio non aveva provato un luogo d’affari fisso e perché era emerso che le decisioni commerciali chiave erano prese dalla casa madre. In Cass. 2116/2024, la CTR aveva invece dato ragione alla contribuente poiché riteneva assente la prova di una stabile organizzazione nella città italiana e lamentava la mancata allegazione di documenti scambiati col fisco estero; la Cassazione tuttavia ha ribaltato valutando che quegli elementi di prova c’erano (questionario, informazioni da Germania) e che la CTR aveva sottovalutato i fatti. Dunque, la difesa deve scrupolosamente esaminare il fascicolo del Fisco: se mancano prove dirette (es. contratto di affitto dell’ufficio, testimonianze chiare di clienti, ecc.), battere su quel vuoto.
In concreto, nel ricorso introduttivo andranno sviluppati uno o più motivi di impugnazione che vertono sulla contestazione di merito della stabile organizzazione. Ad esempio, un primo motivo potrebbe essere: “Insussistenza dei presupposti per l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia – Violazione dell’art. 162 TUIR e art. 5 Convenzione XX, difetto di prova”. Qui si articolano i sotto-argomenti: nessuna sede fissa (se è il caso) e/o attività ausiliarie, ecc., citando norme e magari qualche massima giurisprudenziale di Cassazione a sostegno. Documenti da allegare: ogni cosa utile a dimostrare la versione del contribuente – contratti, organigrammi, comunicazioni interne che mostrano che l’Italia chiedeva approvazione estera, fatture per vedere che l’agente aveva altri mandanti o era pagato a commissione standard, insomma evidenze concrete.
Contestare la quantificazione: attribuzione dei redditi e IVA
Qualora – in via subordinata – il giudice ritenesse esistente una stabile organizzazione, è fondamentale farsi trovare pronti con argomenti per attaccare l’entità della pretesa fiscale. Anche questi dovrebbero essere predisposti già nel ricorso (come motivi subordinati), per non precluderli. Le linee tipiche sono:
- Errore nel calcolo dei ricavi imponibili: verificare se l’ufficio ha incluso vendite che in realtà non erano di competenza italiana. Ad esempio, se alcune forniture erano effettuate senza intervento della struttura italiana o verso clienti seguiti da altri paesi, si può sostenere che quei ricavi non vanno imputati qui. Oppure se parte del fatturato riguarda beni consegnati all’estero (export) e non tramite stabile org., resterebbero non imponibili. Bisogna analizzare magari fattura per fattura (operazione onerosa ma a volte decisiva). L’Agenzia tende ad allargare il perimetro – la difesa può cercare di restringerlo.
- Mancato riconoscimento di costi: come già detto, un motivo di ricorso importante è la violazione di legge per non aver dedotto i costi correlati. Si richiama il principio affermato dalla Cassazione (sentenze n. 1506/2017, 2581/2021, etc.) secondo cui anche in accertamento d’ufficio vanno dedotti i costi. Si può aggiungere che l’art. 109 TUIR (deducibilità costi nell’esercizio di competenza) è stato violato se l’Ufficio ha finto che non esistessero costi. In assenza di documentazione, chiedere quantomeno l’applicazione di margini congrui: per es., se settore industriale, l’utile non potrà essere più del 10-15% dei ricavi (portando analisi di settore). Si può persino chiedere al giudice di disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) contabile per rideterminare il reddito netto, benché nei giudizi tributari non sia comunissima, ma in cause complesse e con tanti dati potrebbe essere ammessa.
- Sanzioni sproporzionate: se le sanzioni sono state calcolate senza considerare cause di non punibilità o attenuanti (ad esempio, se c’è incertezza normativa oggettiva sulla questione stabile org., il contribuente potrebbe invocarla per escludere le sanzioni ex art. 6 D.Lgs. 472/97). Nel nostro campo, la nozione di stabile organizzazione può in effetti avere margini di dubbio, specie prima di certe pronunce chiarificatrici. Far emergere che l’impresa poteva ragionevolmente ritenere di non avere un obbligo fiscale in Italia (ad esempio perché si era basata su un parere legale, o sulla prassi passata) può non convincere al 100% l’ufficio, ma alcuni giudici tributari talvolta annullano o riducono le sanzioni se ravvisano la buona fede del contribuente. Anche la circostanza di adempimento spontaneo tardivo: se, poniamo, dopo la verifica, la società estera ha iniziato ad aprire una branch regolare in Italia, pagando le imposte correnti, potrebbe essere segnalata come indice di ravvedimento, chiedendo clemenza sulle sanzioni pregresse.
- Violazioni procedurali: oltre al merito, vanno sempre scrutati possibili vizi formali: l’atto è stato emanato nel rispetto del termine (ad es., se l’avviso è notificato oltre i termini decadenziali senza base per raddoppio valida, è nullo)? L’avviso di accertamento è motivato adeguatamente, ossia spiega chiaramente l’iter logico e i calcoli? Se l’ufficio ha copiato il PVC senza aggiungere nulla, la motivazione potrebbe essere considerata insufficiente (tema dibattuto: una motivazione per relationem al PVC è valida solo se il PVC è allegato o conosciuto dal contribuente, e se l’avviso fa proprie quelle conclusioni – cosa che di solito avviene; qui l’argomento è più tecnico). Altra verifica: è stato rispettato il diritto al contraddittorio? Ad esempio, se l’ufficio ha emesso l’atto prima dei 60 giorni dal PVC senza urgenza, la difesa può eccepire la nullità per violazione dell’art. 12, c.7 Statuto Contribuente. Oppure se c’è stato scambio di informazioni con uno stato estero, quei documenti dovevano essere allegati all’atto? Nel caso Cass. 2116/2024, la CTR aveva criticato l’Agenzia proprio per non aver allegato all’avviso i documenti ricevuti dalla Germania, tenendoli “ignoti” alla contribuente. La Cassazione ha risposto che però il contenuto di quelle informazioni era stato comunicato nel questionario e noto alla parte. In generale, se l’accusa si fonda su documenti o verbali, occorre che fossero messi a disposizione del contribuente; se l’Agenzia non lo ha fatto, è un punto su cui insistere (richiedendo magari al giudice di espungere quelle prove, o di dichiarare nullo l’atto per difetto di allegazione ex art. 7 L. 212/2000).
- Applicazione dei trattati per evitare doppia imposizione: se l’accertamento comporta tassazione di utili che magari sono già tassati all’estero (perché la casa madre li ha dichiarati nel suo paese), occorre coordinare con la convenzione. In teoria, una volta riconosciuta la stabile organizzazione in Italia, i redditi attribuiti qui dovrebbero essere esentati o detassati nello stato estero (a seconda del metodo previsto nel trattato, esenzione o credito d’imposta). La difesa potrebbe evidenziare il rischio di doppia imposizione se il meccanismo non funzionasse, ma questo più che invalidare l’atto costituirà materia per chiedere l’applicazione del credito per le imposte estere. Non è direttamente un argomento per annullare l’accertamento in Italia, se la stabile c’è.
Durante il processo, la fase probatoria nelle cause tributarie si basa sugli atti prodotti. Il contribuente può chiedere di escutere testimoni? In Commissione Tributaria la testimonianza è ancora formalmente vietata (art. 7 D.Lgs. 546/92), sebbene la recente riforma apra a una possibile testimonianza scritta su capitoli specifici previo accordo delle parti. Dunque, realisticamente, la difesa farà leva sui documenti e sulle presunzioni. Se necessario, potrebbe appunto chiedere una perizia tecnica (soprattutto su questioni contabili, meno sui fatti storici).
La sentenza di primo grado potrà confermare l’accertamento, annullarlo o annullarlo parzialmente (es. riconoscere la stabile ma ridurre l’imponibile e sanzioni). In ogni caso, la parte soccombente (Agenzia o contribuente) potrà appellare alla CGT di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni. E poi eventualmente ricorrere in Cassazione sui punti di diritto. Negli ultimi anni, molte questioni di principio sulle stabili organizzazioni sono approdate in Cassazione, che sta gradualmente uniformando i criteri. Abbiamo citato diverse pronunce: Cass. 21693/2020 (ribadisce i criteri generali), Cass. 36679/2022, Cass. 1709/2023 e 2597/2023 (sul carattere dell’attività e la necessità di presenza incardinata nel territorio, con autonomia rispetto alla casa madre). Quindi, se la nostra controversia dovesse proseguire fino in Cassazione, quei principi saranno il riferimento.
È interessante notare che la Cassazione ha competenza solo su questioni di diritto, quindi è più facile vincere in Cassazione su errori giuridici (es. un giudice di merito che ha applicato male una norma convenzionale) che non sul fatto (es. se c’era o no la sede fissa, che è valutazione di fatto rimessa ai giudici di merito). Pertanto, giocarsi bene le carte in primo e secondo grado per ottenere magari una pronuncia favorevole sul fatto è cruciale.
Conciliazione giudiziale
Una volta in causa, esiste ancora la possibilità di accordarsi con il Fisco tramite la conciliazione giudiziale (art. 48 D.Lgs. 546/92). Può avvenire sia in primo che in secondo grado: sostanzialmente, è un patteggiamento fiscale davanti al giudice, con la riduzione delle sanzioni fino al 40% del minimo se avviene entro il primo grado (o 50% se in appello). Se le parti trovano l’accordo su un importo, il giudizio si chiude con un verbale di conciliazione avente efficacia di titolo. La conciliazione può essere proposta d’ufficio dal giudice, oppure dalle parti stesse. Spesso, se in fase di ricorso emergono chiaramente errori dell’accertamento (ad esempio un utile troppo alto), l’ufficio può farsi avanti proponendo una conciliazione parziale: “riduciamo l’imponibile a X, con sanzioni ridotte”. Il contribuente dovrà valutare se accontentarsi o andare per la vittoria totale. La conciliazione è utile anche per chiudere rapidamente la vicenda e inibire l’appello (perché dopo la conciliazione, l’accordo non è appellabile). Bisogna però essere soddisfatti del risultato e soprattutto avere liquidità per pagare quanto concordato (si può rateizzare in otto rate anche qui).
Aspetti penali e conseguenze extra-tributarie
Come già accennato, la contestazione di una stabile organizzazione occulta può sfociare in profili penali a carico dei responsabili. È importante per l’azienda e i suoi consulenti conoscere questi risvolti per gestire al meglio la situazione, eventualmente coordinando la difesa tributaria con quella penale.
Reati configurabili
Il reato tipicamente configurabile è quello di omessa dichiarazione dei redditi (art. 5, D.Lgs. 74/2000). Questa norma punisce chi, obbligato a presentare una dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi o IVA, non la presenta affatto, entro i termini (omissione totale), con imposta evasa superiore a €50.000. Nel caso della stabile occulta, il soggetto obbligato sarebbe l’impresa estera che, avendo una stabile organizzazione in Italia, avrebbe dovuto presentare la dichiarazione dei redditi in Italia per quella PE. Non avendolo fatto, se l’imposta evasa per ciascun anno supera la soglia, scatta il reato. Ad esempio, se per l’anno X vengono evasi €200.000 di IRES, l’omissione è penalmente rilevante. La pena prevista è la reclusione da 18 mesi a 4 anni. Analoga soglia di €50.000 vale per la dichiarazione IVA omessa (se la stabile organizzazione avrebbe dovuto presentarla ed emerge IVA evasa oltre soglia). Tali reati sono delitti non trascurabili, e la competenza è della Procura della Repubblica territorialmente competente (di solito quella del luogo dove è stata constatata la stabile organizzazione, quindi potrebbe essere la Procura presso il tribunale della città dove sta l’ufficio o l’agente).
Chi viene individuato come autore del reato? Trattandosi di reati propri del contribuente, formalmente l’obbligato era la società estera (soggetto giuridico). Ma una società non ha responsabilità penale (salvo la via di 231/2001 per l’ente, su cui diremo dopo). Quindi vengono incolpati gli amministratori o rappresentanti che avevano l’obbligo di far presentare la dichiarazione della stabile organizzazione. In pratica, potrebbe essere il legale rappresentante della società estera, oppure se c’è un responsabile locale nominato, quest’ultimo. Spesso nei verbali si individua un soggetto come “amministratore di fatto della stabile organizzazione in Italia” (può essere il manager italiano che gestiva l’ufficio, o un dirigente di alto livello che sovrintendeva). L’individuazione può essere contestata: non è sempre immediato dire chi aveva l’obbligo di dichiarare. Però bisogna attendersi che almeno il dirigente apicale della società estera (ad esempio il CEO) possa essere iscritto nel registro degli indagati. Questo pone per l’azienda un serio problema reputazionale e anche logistico (un CEO straniero potrebbe essere chiamato dalla giustizia italiana, con mandato di comparizione, etc.).
Altri reati possibili: se la costruzione per occultare la stabile organizzazione ha previsto artifici fraudolenti, potrebbe teoricamente contestarsi la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. 74/2000) oppure la frode fiscale mediante fatture false (art. 2) se sono state usate fatture per operazioni inesistenti allo scopo di spostare utili. Un esempio: la casa madre estera fattura alla controllata italiana servizi fittizi per assorbirne gli utili, così la srl chiude in pareggio e i profitti finiscono all’estero esentasse. Questa condotta potrebbe configurare fatture per operazioni inesistenti e quindi la dichiarazione fraudolenta della società italiana ex art. 2 (sanzionando gli amministratori della società italiana e potenzialmente i corresponsabili all’estero). Oppure la situazione di stabile occulta in sé può essere vista come dichiarazione infedele della società estera se questa comunque presentava un qualche modulo (ma solitamente no, quindi è omissione). Art. 4 (dichiarazione infedele) di solito non si applica perché manca proprio la dichiarazione; se la presentasse infedele sarebbe altra storia.
Un reato che talvolta viene ipotizzato è la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs.74/2000): ad esempio se, una volta scoperti, gli amministratori spostano i beni della stabile occulta per non far pagare il debito, vendono l’immobile, sciolgono la società di comodo italiana… Questo però è successivo e autonomo. In sostanza, il core è l’omessa dichiarazione.
Va detto che l’Agenzia delle Entrate, quando riscontra i presupposti di reato, ha l’obbligo di trasmettere una notizia di reato alla Procura (ex art. 331 c.p.p.). Ciò avviene spesso anche prima della chiusura del processo tributario, per rispettare i tempi (per evitare la prescrizione, la Procura deve attivarsi; inoltre, l’invio della denuncia consente all’Agenzia di beneficiare del raddoppio termini per accertamento come visto). Dunque il procedimento penale può partire parallelamente al contenzioso tributario.
Difesa nel penale e interazioni col tributario
Dal punto di vista del contribuente (o meglio degli indagati), è fondamentale coordinare le difese. Un fatto caratteristico dei reati tributari dichiarativi è che l’elemento materiale del reato dipende dall’esistenza del debito tributario. Se nel giudizio tributario si accerta in via definitiva che la stabile organizzazione non c’era (quindi nessun debito d’imposta), ciò incide anche sul penale, escludendo il reato (manca il presupposto dell’obbligo dichiarativo e dell’imposta evasa). Tuttavia, i due procedimenti sono formalmente autonomi: il giudice penale può anche lui valutare se c’era stabile org., magari attraverso una perizia o testimoni. Può succedere che in sede penale si formi una convinzione diversa dal giudice tributario. In genere, il giudice penale tende ad attendere l’esito quantomeno del primo grado tributario o utilizzare gli atti del PVC. Ma non è vincolato.
Nella pratica, se la controversia tributaria pende, la difesa penale può chiedere una sospensione del procedimento penale in attesa dell’esito tributario (soprattutto se è vicino), per evitare giudicati contrastanti. Questo a volte viene concesso, altre volte no, a seconda della strategia di Procura e GIP/GUP.
Un aspetto favorevole per l’indagato è che, a differenza del giudizio tributario dove vige il principio del “più probabile che non” a favore dell’Erario, nel penale vige la presunzione d’innocenza e l’onere della prova oltre ogni ragionevole dubbio a carico dell’accusa. Quindi, se la situazione è dubbia (es. borderline se l’attività fosse ausiliaria o no), in sede penale potrebbe risultare l’assoluzione (“il fatto non costituisce reato” per mancanza di dolo o “il fatto non sussiste” se proprio convincente l’assenza di stabile org.). È successo in passato che manager siano stati assolti penalmente perché non era chiaro l’obbligo, pur avendo perso (o transato) sul piano tributario.
Il dolo nel reato di omessa dichiarazione consiste nella volontà di evadere omettendo di dichiarare. L’azienda estera potrebbe sostenere di non aver presentato la dichiarazione non per dolo ma perché riteneva in buona fede di non doverlo fare (non c’era stabile secondo la sua interpretazione). Questa linea può condurre a un’assoluzione se il giudice crede all’errore inevitabile (in teoria l’errore di diritto tributario non esime, però se è oggettivamente complesso il tema, può rientrare nella non punibilità per inesigibilità? Difficile ma si prova). In ogni caso, la presenza di pareri di professionisti che consigliavano la non applicabilità di SO in Italia, o documenti che mostrano che la materia era controversa, possono essere portati a discolpa. Ad esempio, se la società aveva chiesto a un noto studio un parere e questo aveva concluso che non c’era stabile org., ciò evidenzia assenza di dolo, al più colpa.
Sul fronte responsabilità 231/2001 (amministrativa dell’ente): dal 2019 alcuni reati fiscali gravi (tra cui dichiarazione fraudolenta e emissione di fatture false) sono stati inseriti nel catalogo, ma non l’omessa dichiarazione né la dichiarazione infedele. Pertanto, la società estera come ente non risponde ex 231 per il reato di omessa dichiarazione eventualmente commesso dai suoi vertici. Ciò significa niente sanzioni pecuniarie o interdittive per la società nel nostro caso tipico (salvo che abbiano contestato un artifizio fraudolento soggetto a 231, ma difficile). Quindi la battaglia è su persone fisiche.
Conseguenze penali concrete: la pena edittale massima per omessa dich. è 4 anni, quindi rientra in reati con termini di prescrizione di 6 anni (più eventuali sospensioni, ora qualcosina con la riforma ex Ccartabia). Spesso i fatti contestati risalgono a diversi anni prima, quindi la prescrizione può essere un fattore – ma se il reato è continuato fino a anni recenti, il termine decorre dall’ultimo. La difesa penale può considerare l’obiettivo di far trascorrere tempo se opportuno, ma con attenzione perché ci sono anche misure come il sequestro preventivo.
Già, sequestro/confisca: la Procura, ravvisando imposte evase, quasi sicuramente chiederà un sequestro preventivo finalizzato alla confisca equivalente sui beni degli indagati o sulla stabile stessa. Questo mira a congelare l’importo pari alle imposte evase. Può portare per esempio al blocco di conti, immobili, ecc. degli amministratori. Ci si può opporre al Riesame, magari sostenendo che il calcolo dell’evasione è errato (qui la sorte del tributario influenza: se il tributario riduce l’imposta, anche il sequestro andrebbe ridotto). A volte il sequestro può essere attenuato offrendo una fideiussione o garanzie.
Estinzione del reato tramite pagamento
Una nota positiva: l’ordinamento prevede delle cause di non punibilità o attenuazione della pena legate al pagamento del debito tributario. L’art. 13 D.Lgs. 74/2000 stabilisce che per alcuni reati come l’omesso versamento IVA o ritenute, il pagamento integrale prima dell’apertura del dibattimento evita la punibilità. Per l’omessa dichiarazione (art. 5), questa causa di non punibilità non si applica in automatico; tuttavia, il comma 2 dell’art. 13 prevede che in ogni caso il ravvedimento operoso o il pagamento del debito prima della sentenza di primo grado comporta la diminuzione della pena fino alla metà e l’esclusione delle pene accessorie. Quindi, se il contribuente paga interamente le imposte evase, gli interessi e le sanzioni amministrative prima della sentenza penale di primo grado, il giudice – anche in caso di condanna – dovrà dimezzare la pena e non applicare interdizioni (come l’interdizione dai pubblici uffici). Dimezzare la pena in genere significa scendere facilmente sotto soglie per la sospensione condizionale o addirittura portarla a livelli molto bassi (spesso questi reati, se senza aggravanti, vengono comminati con pene attorno al minimo 1,5-2 anni, dimezzando si va sotto l’anno quindi convertibile). In sostanza, pagare il dovuto conviene enormemente in ottica penale.
Ecco perché, se il contribuente vede che la battaglia tributaria è incerta o persa, molti decidono di trovare i fondi per transare e pagare (magari sfruttando la conciliazione con sconti su sanzioni) e poi usano il pagamento come scudo penale. La Procura può a quel punto essere più morbida o addirittura chiedere pene concordate (patteggiamento) con esiti senza carcere.
Attenzione però: il pagamento tardivo non estingue il reato di omessa dichiarazione, quindi il processo proseguirà ma con esito benevolo (si può eventualmente puntare al patteggiamento con pena sospesa o convertita in multa).
Esempio pratico di coordinamento difese
Immaginiamo una società estera contestata per stabile occulta 2019-2021 con €300k di IRES evasa per anno. Gli amministratori (AD estero e dirigente Italia) sono indagati ex art. 5. Se la società decide di pagare ad adesione riducendo l’imponibile e versa tutto, l’importo evaso scende e viene saldato. In penale, si portano le quietanze di pagamento: a quel punto, la difesa chiederà magari un patteggiamento a 1 anno (già dimezzato da 2 anni di base) con sospensione condizionale e la cosa si chiude senza detenzione né interdizioni. Questo è un risultato concreto.
Viceversa, se la società fosse sicura di poter vincere sul “non c’è stabile”, allora cercherà di dimostrare nel penale l’assenza di reato parallelamente. In tal caso conviene spingere per una definizione rapida in tribunale tributario (per avere una sentenza da usare in penale). Un’assoluzione tributaria in Commissione può essere prodotta in sede penale per far emergere il dubbio più che ragionevole.
Altri effetti collaterali
Infine, menzioniamo che una contestazione di stabile organizzazione occulta potrebbe comportare conseguenze oltre a tributi e penale:
- Rapporti con i clienti/fornitori: se, ad esempio, viene stabilito che le fatture della casa madre estera dovevano avere IVA italiana, alcuni clienti potrebbero trovarsi a dover rettificare le proprie detrazioni IVA (nel caso di reverse charge usato impropriamente) o potrebbero avanzare pretese contrattuali. Fortunatamente, nella pratica, di solito i clienti hanno assolto l’IVA in reverse charge quindi non subiscono danno – la partita si gioca tra impresa estera e fisco, e al limite tra fisco italiano e olandese/altro fisco (per gettito IVA). Però il contribuente deve gestire anche la compliance: aprire posizione IVA retroattiva, emettere autofatture integrative, ecc., a valle dell’accertamento.
- Pubblicità negativa: casi eclatanti (grandi multinazionali) vengono spesso citati nei media con riferimenti a “stabile organizzazione occulta” = “evasione”. Ciò può nuocere all’immagine, soprattutto se l’azienda opera con enti pubblici (che mal tollerano fornitori implicati in frodi fiscali). A volte aziende coinvolte in simili contestazioni preferiscono accordarsi e pubblicizzare “abbiamo definito col fisco la nostra posizione” per chiudere il tema.
- Interessi di mora e di ritardata iscrizione: voci da considerare in caso di pagamento, ma rientrano nelle somme dovute.
In conclusione, la difesa in materia di stabile organizzazione occulta deve essere multidisciplinare, integrando aspetti tributari sostanziali, diritto internazionale, procedure tributarie e diritto penale. Avvocati tributaristi e penalisti spesso lavorano insieme in questi frangenti.
Esempi pratici e casi giurisprudenziali recenti
Per rendere più concreti gli scenari sopra descritti, esaminiamo sinteticamente alcuni casi pratici (ispirati da vicende reali o ipotetiche verosimili) di contestazione di stabile organizzazione occulta, con l’indicazione di quali difese sono state (o sarebbero) possibili e quali esiti.
Caso 1: Branch di servizio che in realtà vende (Caso Cass. 7202/2024) – Una multinazionale USA di prodotti hi-tech ha una branch in Italia registrata come “ufficio di supporto marketing”. Tutte le vendite ai distributori italiani sono fatturate dalla consociata olandese, con consegna diretta; la branch italiana riceve solo un rimborso costi + commissione 1% sulle vendite per il suo supporto. La GdF scopre che il personale della branch concordava con i distributori sconti, obiettivi e strategie di vendita, partecipando di fatto alle trattative principali. L’Agenzia contesta stabile organizzazione occulta dal 2012, imputando alla branch i ricavi delle vendite in Italia (milioni di euro non tassati qui) e pretendendo IVA su di essi. La branch fa ricorso: sottolinea che formalmente non concludeva contratti, che la casa madre fissava i listini e decisioni finali, e invoca la clausola ausiliaria del trattato (attività di supporto). In primo e secondo grado i giudici danno ragione alla branch, ritenendo non provato che la sede italiana fosse una stabile org. e riconoscendo il ruolo ausiliario (promozionale) come prevalente. L’Agenzia ricorre in Cassazione, ma la Suprema Corte conferma il verdetto a favore del contribuente: evidenzia la circolarità tra definizione interna e pattizia di SO e conclude che il Fisco non ha provato l’esistenza di una sede fissa d’affari idonea a configurare la SO, anche perché i poteri decisionali apicali rimanevano all’estero. Esito: annullamento totale dell’accertamento. Nota difensiva: determinante è stato documentare l’architettura del gruppo e il fatto che i negozi decisivi (prezzi, sconti finali) venivano comunque approvati dalla casa madre, trattando la branch come mero tramite. Inoltre, il riferimento alla giurisprudenza UE (caso Berlin Chemie) ha rinforzato che avere una consociata di marketing dedicata non implica stabile org. se questa non dispone di risorse come una filiale produttiva. Il Fisco in questo caso probabilmente non aveva prove di un’autonomia negoziale piena (es. nessun contratto firmato in Italia).
Caso 2: Agente italiano esclusivo – mediatore o stabile organizzazione? Un’azienda svizzera di macchinari non ha filiali in Italia, ma opera tramite un agente di commercio monomandatario con ufficio proprio a Brescia. L’agente promuove i macchinari, raccoglie ordini firmati dai clienti e li trasmette in Svizzera per accettazione finale; ha un potere di sconto limitato (max 5%) senza ulteriore conferma. Viene remunerato a provvigione del 20%. La GdF verifica e sostiene che l’agente, essendo esclusivo e usando biglietti da visita col logo svizzero, appare terzo solo di nome ma è in realtà parte dell’organizzazione dell’azienda estera. Contesta quindi una stabile organizzazione personale occulta, attribuendo all’azienda svizzera i ricavi dalle vendite in Italia ai fini IRES e IVA. L’azienda svizzera in ricorso argomenta che l’agente è indipendente: ha partita IVA propria, rischia in proprio (nessun rimborso spese fisso), svolge l’attività secondo la sua ordinaria organizzazione (ha altri prodotti minori in portafoglio, anche se il 80% fatturato è con lo svizzero). Fornisce in giudizio il contratto di agenzia, dove si legge che l’agente non ha poteri di rappresentanza e non può impegnare legalmente la casa madre. Porta anche prove di tentativi dove l’agente non è riuscito a concludere affari senza l’ok della casa madre, e testimonianze di clienti che confermano che il contratto finale veniva firmato da un dirigente svizzero via posta. La Commissione Tributaria, valutati questi elementi, decide per l’inesistenza di una stabile organizzazione: ritiene che l’agente rientri nella figura dell’intermediario indipendente, ai sensi dell’art. 5(6) del Trattato Italia-Svizzera (simile al modello OCSE) e dell’art. 162(6) TUIR. Sottolinea che l’agente aveva un margine di autonomia (libertà di organizzare il lavoro, un proprio ufficio, ecc.) e che l’impresa estera non aveva alcuna struttura propria in Italia. Esito: accoglimento del ricorso, niente tasse in Italia. Nota: Questo scenario è abbastanza comune; la chiave del successo è nel dimostrare fattualmente l’indipendenza: ad esempio, se l’agente poteva teoricamente prendere altri mandati (anche se in concreto ne aveva pochi), e se l’agente davvero agiva come mediatore e non come stabile succursale. La pronuncia ipotetica si allinea a Cassazione (es. Cass. 3769/2015, Cass. 33842/2019) che hanno escluso la stabile org. in presenza di agenti indipendenti.
Caso 3: Società italiana “schermo” – (Caso Cass. 2581/2021) Una società con sede in un paradiso fiscale (es. Bahamas) vende immobili di lusso in Toscana a facoltosi clienti. Per curare marketing e vendite in Italia, utilizza due società italiane di comodo (riconducibili allo stesso titolare della società offshore) che formalmente svolgono “servizi di promozione e intermediazione” per la casa madre, a fronte di compensi esigui (coprono a malapena i costi). Di fatto, però, queste società italiane trovano gli acquirenti, li assistono in tutte le pratiche fino al rogito estero, e svolgono un ruolo essenziale nelle vendite. L’Agenzia accerta che la casa madre estera dal 1995 al 2005 ha venduto immobili grazie all’operato di tali società e non ha dichiarato nulla in Italia. Contesta quindi una stabile organizzazione occulta dell’impresa estera, individuandola proprio nelle due società italiane (definite “base fissa” dell’attività commerciale in Italia). La contribuente nega in giudizio di aver stabile org., ma le prime due corti le danno torto, ritenendo che le società italiane erano di fatto un’estensione della società estera (notando anche che avevano lo stesso socio di riferimento) . Tuttavia, la contribuente insiste in Cassazione su un punto: l’ufficio, ricostruendo induttivamente i redditi, ha equiparato il fatturato al reddito, senza dedurre alcuna spesa sostenuta per realizzare quegli immobili e quelle vendite . La Cassazione, pur non mettendo in dubbio l’esistenza della stabile organizzazione occulta (che era fondata su evidenti elementi di interposizione fittizia), accoglie parzialmente il ricorso sul profilo della quantificazione: afferma che l’Amministrazione doveva comunque determinare i costi deducibili correlati ai maggiori ricavi accertati, anche in via presuntiva, e non lo ha fatto. Censura quindi la sentenza della CTR e rinvia a nuova valutazione su quel punto. Esito: stabile organizzazione confermata, ma calcolo del reddito da rifare deducendo costi; la contribuente ottiene così un significativo abbattimento dell’imponibile (e quindi delle imposte e sanzioni). Commento: questo caso mostra che, quando la costruzione elusiva è palese (esterovestizione + stabile occulta via società schermo), difendersi sul merito è arduo; tuttavia, curare la difesa sul quantum ha portato beneficio. L’ufficio dovrà in sede di rinvio stimare costi probabilmente ingenti (costi costruzione immobili, costi di intermediazione) che potrebbero ridurre il reddito imponibile di molto. Da notare che la Cassazione ha richiamato anche un principio costituzionale – capacità contributiva – a supporto della deducibilità dei costi, segno di quanto tenga a questo equilibrio.
Caso 4: Attività non profit con base fissa in Italia (Caso Cass. 2116/2024) – Una cittadina tedesca lavora per un’associazione non profit tedesca che si occupa di ragazzi problematici. Dal 2005, la donna trascorre gran parte dell’anno in Italia, in una casa-famiglia di sua disponibilità in Lazio, dove porta alcuni minori tedeschi per progetti educativi (una sorta di vacanza terapeutica). L’associazione le corrisponde compensi per questa attività. Lei non apre alcuna posizione fiscale in Italia e dichiara i redditi solo in Germania. Grazie allo scambio di informazioni, il Fisco italiano viene a conoscenza della situazione: ritiene che quella casa-famiglia sia in realtà una base fissa dove la contribuente svolge un’attività professionale (educativa) tassabile in Italia sulla base della Convenzione Italia-Germania (che all’art. 14 prevede che i redditi da professione indipendente sono imponibili nello Stato della “base fissa” se presente). Quindi, accerta Irpef, Iva e Irap sull’anno 2006 per circa €75.000 di compensi ricevuti. La contribuente ricorre sostenendo che: 1) era residente in Germania e la sua attività in Italia era solo un’appendice temporanea di quella svolta principalmente in Germania; 2) l’attività era senza scopo di lucro e i compensi erano già tassati in Germania; 3) non c’era stabile organizzazione nel senso imprenditoriale. In primo grado perde (giudice conferma la tassazione in Italia visto che aveva una struttura stabile). In appello, vince: la CTR reputa che la permanenza in Italia fosse come una “vacanza terapeutica” marginale, e che la base fissa non fosse provata pienamente. L’Agenzia ricorre in Cassazione, che le dà ragione: afferma che la contribuente disponeva da tempo di un immobile in Italia destinato all’attività lavorativa, e che ciò integrava una base fissa equiparabile a stabile organizzazione. La Corte evidenzia come la struttura presentava requisiti di stabilità e permanenza, idonea a produrre reddito autonomo (i compensi dall’associazione). Ha inoltre chiarito che la natura non profit dell’associazione tedesca non rileva ai fini della tassazione della persona fisica percettrice dei compensi. Esito: ripristinato l’accertamento, la donna deve pagare le imposte in Italia. Osservazione: qui la difesa ha cercato di far leva sul carattere “appendice” e di scarso lucro dell’attività, ma la prova concreta (casa disponibile, attività pluriennale) ha pesato. In più, la Cassazione sottolinea che il concetto di “base fissa” ex art. 14 convenzione (riferito a professionisti) è paragonabile a stabile org. dell’art. 5. Questo caso è un monito che anche persone fisiche che svolgono lavoro autonomo internazionale devono stare attente al concetto di base fissa (uno studio, un ufficio stabile in Italia). Difendersi asserendo la residenza estera non basta se c’è una base in Italia per lungo tempo.
Questi esempi dimostrano la varietà delle situazioni e come gli esiti possano differire: talvolta il contribuente riesce a evitare completamente la tassazione (caso 1 e 2), talvolta viene colpito in pieno (caso 4), talvolta in modo intermedio (caso 3). La differenza la fanno i dettagli fattuali (contratti, ruoli, durata, intensità della presenza) e la documentazione disponibile.
Domande frequenti (FAQ) su stabili organizzazioni occulte
Di seguito una serie di domande comuni, con risposte concise, relative alla tematica delle stabili organizzazioni occulte e alla difesa del contribuente.
D: Cosa si intende esattamente per “stabile organizzazione occulta”?
R: Si intende una presenza economica stabile di un’impresa non residente sul territorio italiano che non è stata dichiarata al Fisco. In pratica l’impresa estera opera in Italia come se avesse una sede fissa d’affari o un agente, però non ha aperto alcuna posizione fiscale (partita IVA o codice fiscale) né presenta dichiarazioni, eludendo così le imposte. È “occulta” perché formalmente non risulta, ma di fatto c’è. Esempi: un ufficio in Italia non dichiarato, una filiale mascherata da società terza, un rappresentante che in realtà conclude affari per l’estero.
D: Quali sono i principali criteri per stabilire se esiste una stabile organizzazione?
R: I criteri chiave, ricavati da art. 162 TUIR e art. 5 Modello OCSE, sono: (1) l’esistenza di una sede di affari in Italia (cioè un luogo, anche minimo, dove si svolge l’attività dell’impresa estera); (2) il carattere fisso e duraturo di tale sede (non occasionale o una tantum); (3) la disponibilità di quella sede da parte dell’impresa non residente (in proprio o tramite soggetti controllati); (4) lo svolgimento in quella sede di attività non meramente ausiliarie, ma parte dell’attività core dell’impresa, idonee a produrre reddito autonomamente. In alternativa alla sede fissa, c’è il criterio personale: (5) la presenza di un agente dipendente che conclude abitualmente contratti per l’impresa estera o svolge comunque un ruolo determinante nelle trattative come se fosse la filiale dell’impresa. Se questi elementi sono soddisfatti, siamo di fronte a una stabile organizzazione. Se invece l’attività in Italia è limitata a funzioni preparatorie o di supporto (preparatory or auxiliary) o se l’agente è davvero indipendente, allora non c’è stabile org..
D: La mia società estera ha solo svolto in Italia attività di marketing e raccolta ordini, senza firmare contratti: può comunque essere considerata stabile organizzazione?
R: Dipende dal ruolo effettivo di queste attività rispetto alle vendite. Se davvero erano attività di marketing, pubblicità, ricerca clienti preliminare, e poi tutti i contratti venivano decisi e conclusi dalla sede estera, allora tali attività potrebbero qualificarsi come ausiliarie e quindi non costituire stabile organizzazione. Ci sono sentenze e prassi che confermano che il mero supporto (anche esclusivo) non basta a creare l’obbligo IVA o stabile org.. Tuttavia, attenzione: l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza valutano concretamente se il marketing era solo marketing. Se in realtà chi era in Italia faceva di più – ad esempio negoziava prezzi, gestiva clienti in autonomia, decideva sconti – allora quella non è più un’attività preparatoria, ma diventa parte essenziale della vendita, quindi sì, può essere considerata stabile organizzazione. La linea è sottile e valutata caso per caso. Bisogna poter dimostrare che il personale italiano non aveva poteri commerciali sostanziali.
D: Quali sanzioni amministrative si rischiano in caso di stabile organizzazione occulta?
R: Principalmente la sanzione per omessa dichiarazione dei redditi (art. 1 D.Lgs. 471/97) su ogni anno non dichiarato: dal 120% al 240% dell’imposta evasa, con un minimo di €250. Ad esempio, se l’imposta evasa per un anno è €100.000, la sanzione base va da €120.000 a €240.000. Spesso l’Agenzia applica una percentuale intermedia (es. 150% o 180%) a seconda della gravità. Se è coinvolta anche l’IVA, c’è sanzione da 90% al 180% dell’IVA non versata (omessa dichiarazione IVA). Inoltre ci possono essere sanzioni accessorie: es. per omessa presentazione del modello Intra (se merci UE), omessa tenuta delle scritture obbligatorie (se contestano anche questo), e così via. In tutto, l’importo sanzionatorio può avvicinarsi all’ammontare dell’imposta evasa o superarlo. Va detto che tramite accertamento con adesione o acquiescenza, queste sanzioni si possono ridurre notevolmente (fino a 1/3 del minimo). In casi di obiettiva incertezza normativa, si può anche chiederne l’annullamento in autotutela.
D: Cosa succede dal punto di vista penale se scoprono che avevo una stabile organizzazione occulta?
R: Se l’imposta evasa in un anno supera la soglia di punibilità, verrà probabilmente contestato il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000). La soglia è €50.000 di imposta evasa per ciascun tributo (IRPEF/IRES o IVA). La pena prevista è la reclusione da 1 anno e mezzo a 4 anni. Verranno indagate le persone che avevano il dovere di presentare la dichiarazione (in genere l’amministratore della società estera, o chi gestiva la sede occulta in Italia con poteri decisionali). Ci può essere anche il reato di dichiarazione fraudolenta se per occultare la stabile org. si sono usati artifici (es. fatture false tra casa madre e filiale, simulazioni) – quello ha soglie diverse e pene fino a 6-7 anni. Ma tipicamente, l’omessa dichiarazione è la contestazione standard. Quindi ci si può trovare con un procedimento penale per evasione fiscale. Se il debito tributario è poi pagato integralmente, la pena in caso di condanna viene ridotta fino alla metà e non si applicano pene accessorie (interdittive). Pagando prima del processo, talvolta la Procura concorda pene minime (patteggiamento). In alcuni casi, se davvero c’era incertezza sulla configurabilità della stabile organizzazione, la difesa penale può sostenere l’assenza di dolo (pensavamo in buona fede di non dover dichiarare): se il giudice crede a questa linea, potrebbe assolvere. Ma non conviene far troppo affidamento: meglio predisporre una strategia difensiva nel merito e considerare il pagamento come via di uscita.
D: Se la mia società estera decide di pagare quanto chiesto dal Fisco italiano, il procedimento penale si chiude automaticamente?
R: Non automaticamente, almeno non per il reato di omessa dichiarazione. La legge prevede la non punibilità solo per alcuni reati (omesso versamento IVA o ritenute) se paghi prima di certi termini. Per l’omessa dichiarazione, il pagamento totale prima del dibattimento non estingue il reato, ma comporta obbligatoriamente una forte attenuante (dimezzamento pena e niente pene accessorie). Quindi il processo continua, ma con esiti molto più favorevoli (spesso si finisce con patteggiamenti a pene basse o addirittura proscioglimenti per tenuità del fatto se l’evaso era di poco sopra soglia e tutto sanato – c’è un recente ampliamento della particolare tenuità al 2023). In sintesi: pagando metti la quasi-certa parola fine a rischi di carcere effettivo, ma serve comunque passare per il rito penale, di solito con una sentenza di patteggiamento o simili. Il caso chiuso “automagicamente” c’è solo per alcuni reati minori di omesso versamento, ma per l’omessa dichiarazione no.
D: La mia società ha sede in un paese con cui l’Italia ha un trattato contro le doppie imposizioni. Questo mi protegge dall’accertamento di una stabile organizzazione occulta?
R: Il trattato non “protegge” se effettivamente esiste una stabile organizzazione secondo i criteri convenzionali. Anzi, il trattato di solito contiene la definizione (art. 5) molto simile alla legge italiana. Però il trattato prevale sulle norme interne in caso di difformità. Quindi, se la legge italiana volesse attribuire stabile org. in situazioni non previste dal trattato, quest’ultimo prevale e impedisce la tassazione. Ad esempio, ipotizziamo che la legge interna consideri stabile org. certi casi di sub-depositi, ma il trattato li esclude espressamente: in tal caso, niente tasse. Oppure, se c’è un dubbio interpretativo, dovrebbe risolversi secondo il modello e commentario OCSE, come riconosciuto dalla Cassazione. In pratica, in sede difensiva si invoca il trattato per sottolineare clausole di esclusione (attività di carattere preparatorio o ausiliario, agente indipendente, ecc.) e il fine di evitare doppie imposizioni. Se il Fisco non rispetta il trattato, l’accertamento è illegittimo. In generale, trattati standard OCSE non aggiungono grandi scudi oltre a quelli già recepiti in art. 162 TUIR, ma conviene sempre controllare: ad esempio alcune convenzioni non includono la figura dell’agente che opera “quasi” come dipendente pur senza poteri formali (introdotta dal 2017 nel modello OCSE) – in quei casi, se l’Agenzia contestasse stabile org. per un agente che non firma contratti ma svolge ruolo essenziale, ma il trattato è vecchio e non prevede quell’ipotesi estesa, si potrebbe sostenere che in base al trattato non c’è stabile org. (e il trattato prevale). È un po’ tecnico, ma è un punto di difesa. In sintesi: il trattato ti aiuta se la tua situazione rientra nelle eccezioni previste dal trattato. Non ti salva se invece chiaramente sei in un caso di stabile org. anche per il trattato.
D: Se l’Agenzia delle Entrate mi contesta sia l’“esterovestizione” della società estera (cioè che in realtà la società era residente in Italia) sia in subordine la stabile organizzazione occulta, cosa cambia?
R: Sono due contestazioni diverse: l’esterovestizione significa che la società estera viene considerata fiscalmente residente in Italia, perché magari amministrata di fatto dall’Italia (art. 73, co.3 TUIR, recentemente integrato dal D.Lgs. 209/2023). In tal caso, l’Italia tasseterebbe tutti i redditi mondiali della società, come se fosse italiana. La stabile organizzazione occulta, invece, ammette che la società resta estera, ma le si attribuisce tassazione solo per i redditi prodotti dalla sua base italiana. Spesso l’Agenzia pone l’esterovestizione come prima ipotesi (se la direzione effettiva era qui) e la stabile occulta come piano B (se non si prova la residenza, almeno c’è una branch). Le difese in parte coincidono (entrambe contestano una presenza reale in Italia), ma giuridicamente cambiano: contro l’esterovestizione bisogna mostrare che la sede di direzione effettiva non era in Italia (decisioni prese all’estero, consiglio di amministrazione all’estero, ecc.), mentre contro la stabile occulta ci si focalizza sui criteri di stabile organizzazione di cui abbiamo parlato. C’è un’importante differenza nelle conseguenze: se passasse l’esterovestizione, la società dovrebbe pagare tasse su tutti i redditi (anche quelli esteri), con credito per quelle pagate fuori, e sarebbe soggetta a tutte le norme italiane come una residente (anche monitoraggio fiscale, ecc.). Con la stabile org. invece, solo i redditi italiani vengono tassati qui. Dal punto di vista penale, l’esterovestizione può portare a reati di dichiarazione infedele (se presentava dichiarazione estera con meno redditi) o altre contestazioni; la stabile occulta come detto porta a omessa dichiarazione. In genere il Fisco sceglierà sulla base delle prove: se ha trovato che l’amministratore operava dall’Italia e la società aveva qui la base decisionale, punterà su esterovestizione. Se invece la direzione restava fuori, ma c’era un pezzo di attività qui, punterà su stabile org. Occorre strutturare la difesa affrontando entrambe le tesi, facendo notare eventualmente l’incongruenza: l’Agenzia a volte le pone in via subordinata ma sono concettualmente alternative (o l’intera società è italiana, o no ma ha branch). Si può far leva su questo dicendo: “nemmeno il Fisco è sicuro di cosa eravamo, segno che c’è incertezza -> propendo per nessuna delle due”.
D: La verifica fiscale ha considerato 5 anni: ma la mia società estera non ha mai ricevuto avvisi in passato, è corretto? Possono andare così indietro nel tempo?
R: Sì, possono se c’è omessa dichiarazione. L’ordinario termine di accertamento per un anno (es. 2020) sarebbe il 31 dicembre del quinto anno successivo (31/12/2025). In caso di omessa dichiarazione, era già previsto un termine più lungo (raddoppiato) che portava a 7 anni. Inoltre, se c’è notizia di reato, scatta il raddoppio dei termini (ex art. 43 DPR 600/73) che permetteva di raddoppiare ulteriormente. Tuttavia, con la riforma del 2015/2016, il raddoppio è condizionato alla presentazione tempestiva della denuncia penale. Dunque, in pratica: se i verificatori scoprono la stabile occulta nel 2025, possono contestare gli anni fino al 2019 senza problemi (5 anni indietro). Potrebbero spingersi al 2018 o 2017 solo se nel frattempo è partita una denuncia entro i termini ordinari. Nel passato era capitato di vedere accertamenti su 10 anni addietro (come nel caso Cass. 2581/2021 dove arrivarono a 1995-2005) perché allora vigeva il vecchio regime e c’era reato, quindi termini raddoppiati in automatico. Oggi non è più così semplice, ma comunque 7-8 anni possono contestarli (ad esempio anno 2017, termine ordinario 2023, se denuncia inviata entro fine 2023, nuovo termine 2025). In concreto, se ricevete un PVC nel 2025 è probabile che accerteranno 2020,2019,2018,2017 (magari 2016 se han fatto denuncia). Verificate sempre la tempistica: se l’accertamento arriva molto oltre (tipo avviso 2025 per anno 2016 senza spiegazioni), ci potrebbe essere decadenza a eccepire. In generale comunque, 5 anni è lo standard, 7-8 con raddoppio sono possibili e legittimi se c’è stata attivazione penale nei tempi.
D: Cosa posso fare per prevenire situazioni di stabile organizzazione occulta se voglio operare in Italia restando estero?
R: La prevenzione migliore è la trasparenza e pianificazione: se pensi di avere bisogno di presenza stabile (uffici, personale) in Italia, valuta di costituire una società italiana o una branch ufficiale dell’estera (sede secondaria) e regolarizzare da subito, magari con un transfer pricing corretto. Costa pagare le imposte, certo, ma eviti il rischio di accertamenti con sanzioni e penali. Se sei incerto se la tua attività configuri o no una stabile org., puoi utilizzare l’interpello per nuovi investimenti (se ne hai i requisiti, tipicamente grandi investimenti) o un interpello ordinario sull’interpretazione dell’art. 162 TUIR nella tua fattispecie. In mancanza di interpello, studia le linee guida: se la tua attività locale va oltre il marketing di base, è facile entri in zona rischio. Puoi anche adottare cautele: ad esempio, evita di dare poteri di firma al personale italiano, fai in modo che contratti e decisioni siano formalmente prese all’estero; limita la permanenza di eventuali dipendenti esteri in Italia (se stanno fissi qui per anni, quello è un elemento di stabile org. materiale). Se usi un agente, assicurati che sia veramente indipendente (dagli la libertà di avere altri mandanti, paga a commissione normale, non fornirgli uffici dedicati col tuo logo). Inoltre, mantieni documentazione che provi il ruolo dell’Italia come ausiliario: report di attività di marketing inviati a HQ, istruzioni dove è chiaro che HQ decide tutto, etc. Infine, rimani aggiornato sulle modifiche normative (ad esempio, se verranno implementati accordi internazionali sul digitale o altro). In sostanza: se vuoi zero rischi, costituisci una presenza fiscale regolare in Italia. Se vuoi restare estero, tieni profilo basso in Italia e chiediti sempre “questa cosa potrebbe sembrare che sto facendo business qui?”. Se la risposta è sì, meglio formalizzarla (o evitarla).
D: Ho ricevuto un avviso di accertamento per stabile organizzazione occulta: è consigliabile farmi assistere da un professionista esperto?
R: Assolutamente sì. Si tratta di una delle materie più complesse in ambito fiscale: coinvolge diritto tributario interno, internazionale, procedure, e potenziali implicazioni penali. Un avvocato tributarista (spesso coadiuvato da un commercialista esperto in fiscalità internazionale) potrà analizzare la tua situazione specifica, individuare i punti deboli e forti delle accuse del Fisco, e consigliarti se è meglio cercare un accordo o combattere in giudizio. Inoltre, saprà predisporre ricorsi e memorie in modo adeguato, citando la giurisprudenza rilevante (come avrai notato, la Cassazione ha emesso molte sentenze in materia, tenerle presenti è vitale). Ti aiuterà anche a gestire la fase penale, eventualmente nominando un avvocato penalista di fiducia e coordinando la difesa (le dichiarazioni rese in un procedimento possono influenzare l’altro, quindi serve coerenza e cautela). Considera che le somme in ballo di solito giustificano ampiamente i costi di una consulenza qualificata.
D: Esistono dei fac-simili di ricorso o atti difensivi per contestare la stabile organizzazione occulta?
R: Puoi trovare dei modelli generici – uno lo includiamo qui sotto – ma ricorda che vanno sempre personalizzati sul tuo caso. Ogni situazione ha sfumature diverse (tipo di attività, paese estero coinvolto, annate, ecc.). È utile però vedere uno schema di ricorso per capire quali elementi inserire: ad esempio l’intestazione corretta alla Corte tributaria, la narrazione dei fatti (come spiegare l’attività della tua società e la contestazione), e soprattutto i motivi di ricorso in diritto (es. “Insussistenza di stabile organizzazione – Erronea applicazione art. 162 TUIR e art. X Convenzione” ecc.). Un fac-simile può darti spunti su come strutturare i motivi (ad es. separare il motivo su difetto di stabile org. da quello su errori di calcolo e da quelli procedurali). Qui di seguito forniamo un esempio di traccia di ricorso introduttivo per un caso di contestazione di stabile organizzazione occulta, che potrà servirti da riferimento su come impostare formalmente e sostanzialmente l’atto.
Fac-simile di ricorso tributario (contestazione di stabile organizzazione occulta)
Si premette che il seguente fac-simile è un modello esemplificativo semplificato. I dati e i contenuti vanno adattati al caso concreto. Tuttavia, esso può servire da guida su come strutturare un ricorso, quali punti toccare e come formulare i motivi di impugnazione.
Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di [inserire Provincia]
Ricorrente: ABC Ltd, con sede legale in Londra (UK), [indirizzo estero], codice fiscale estero n. [] (in seguito, “la Società” o “ABC”), rappresentata e difesa dall’Avv. [], C.F. [], del Foro di [], con domicilio eletto presso il suo studio in [] (come da procura in calce);
*Resistente: Agenzia delle Entrate, Ufficio di [XYZ], in persona del Direttore pro tempore, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
Atto impugnato: Avviso di accertamento n. TXYZ12345/2023, emesso dall’Ufficio di [XYZ] e notificato in data 10/09/2025, anno d’imposta 2020 (in seguito “l’Avviso”);
Valore della lite: € 500.000 (imposte accertate €300.000, sanzioni €180.000, interessi €20.000 circa).
Fatti e svolgimento della verifica
ABC Ltd è una società di diritto inglese operante nel settore [software gestionale]. Nel 2020 la Società ha svolto attività di vendita di licenze software a vari clienti in Europa, senza stabile organizzazione in Italia né personale dipendente in Italia. In particolare, per il mercato italiano ABC si è avvalsa di un distributore indipendente, Beta Srl con sede in Milano, in forza di un contratto di distribuzione non esclusiva stipulato nel 2018. Beta Srl promuoveva i prodotti ABC sul territorio e rivendeva le licenze ai clienti finali italiani in nome e per conto proprio (acquistando da ABC e rivendendo con ricarico), senza poter impegnare contrattualmente ABC verso terzi. ABC non ha uffici né dipendenti in Italia: tutte le decisioni commerciali e la gestione operativa avvengono presso la sede di Londra.
Nonostante ciò, a seguito di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza di [] (PVC n. 123/2024 del 30/06/2024) presso Beta Srl, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che ABC avesse istituito una *stabile organizzazione occulta in Italia. L’Avviso impugnato, basandosi sulle risultanze del PVC, assume che Beta Srl fosse in realtà “dependent agent” di ABC e che ABC disponesse di una sede fissa presso gli uffici di Beta Srl. Di conseguenza, l’ufficio ha imputato ad ABC i ricavi dalle vendite di software a clienti italiani nell’anno 2020 (pari a €1.200.000) come reddito d’impresa prodotto in Italia, assoggettandoli a IRES (24%) e IRAP (3.9%) per un totale imposta di €334.800, contestualmente negando il regime di non imponibilità IVA precedentemente applicato (ritenendo dovuta IVA al 22% su €1.200.000). Ha quindi accertato: maggiore IRES €288.000, maggiore IRAP €46.800, maggiore IVA €264.000, oltre interessi e irrogando sanzioni per omessa dichiarazione sui tributi diretti (150% dell’imposta) e per omessa dichiarazione IVA (100%). L’importo complessivo richiesto (al netto di interessi) è di circa €598.800 tra imposte e sanzioni.
La Società ritiene tale accertamento del tutto infondato in fatto e in diritto. In realtà ABC Ltd non aveva alcuna stabile organizzazione in Italia, né materiale né personale. Beta Srl era un distributore indipendente, che agiva in piena autonomia e nell’ambito della propria attività d’impresa, assumendosi rischi commerciali. ABC non aveva in Italia sedi, uffici, attrezzature o personale proprio. Inoltre, l’Ufficio ha completamente ignorato i costi inerenti e la diversa soggettività di Beta Srl, portando ad una indebita duplicazione di tassazione.
Con il presente ricorso, quindi, ABC Ltd impugna l’Avviso per ottenerne l’annullamento e/o la radicale riduzione, deducendone la illegittimità e infondatezza per i seguenti
Motivi di diritto
1. Insussistenza di una stabile organizzazione in Italia – Erronea applicazione dell’art. 162 TUIR e dell’art. 5 Convenzione Italia–Regno Unito – Difetto dei presupposti impositivi.
L’Avviso è viziato poiché assume l’esistenza di una stabile organizzazione di ABC in Italia senza che ne ricorrano i requisiti normativi. Ai sensi dell’art. 162 DPR 917/86 e dell’art. 5 della Convenzione Italia-UK (ratificata con L. 329/1990), una stabile organizzazione richiede una “sede fissa di affari” in Italia attraverso cui l’impresa non residente esercita la sua attività, ovvero un agente dipendente che concluda abitualmente contratti a nome dell’impresa. Nel caso di specie non sussisteva alcuna sede d’affari fissa di ABC in Italia: gli uffici utilizzati per le vendite erano di proprietà (e nella disponibilità esclusiva) di Beta Srl, società terza che operava come distributore. ABC non aveva alcun diritto di utilizzo o controllo su detti locali – come risulta dal contratto di distribuzione allegato (Doc. 3) – né vi ha mai installato attrezzature o insegne proprie. Manca dunque il requisito oggettivo della sede fissa.
Parimenti, Beta Srl non può qualificarsi agente dipendente di ABC. Difatti, Beta acquistava e rivendeva i prodotti in nome proprio, senza poteri di rappresentanza di ABC. Operava con un margine di rivendita del 20%, assumendosi il rischio d’impresa (ad esempio rischio insolvenza clienti). Dalle clausole contrattuali (art. 4 del contratto, Doc. 3) emerge che Beta era libera di promuovere anche prodotti di altre società (come avvenuto nel 2020, in cui Beta ha distribuito software di terzi per circa €100.000, v. bilancio Beta Srl, Doc. 5). Ai sensi dell’art. 5 par. 6 Convenzione, un intermediario che agisce nell’ambito della sua attività indipendente non costituisce stabile organizzazione della casa mandante. La Cassazione ha confermato che “il solo fatto che [un’impresa estera] eserciti la propria attività per mezzo di un mediatore, commissionario generale o altro intermediario indipendente […] non comporta di per sé l’esistenza di una stabile organizzazione”.
In sede di verifica, nulla è emerso che contraddica la natura indipendente di Beta Srl: il PVC (Doc. 2) si limita a osservare che Beta operava “in via prevalente” per ABC e che utilizzava materiale promozionale con il logo ABC. Ma ciò è fisiologico nel rapporto commerciale e non implica subordinazione gerarchica. Prevalenza non significa esclusività, né eterodirezione: Beta Srl aveva una propria struttura (6 dipendenti, ufficio in affitto a proprio nome) e sosteneva spese a proprio carico (Doc. 6, conto economico Beta). Non risulta che dipendenti di ABC fossero distaccati presso Beta, né che Beta agisse al di fuori della sua routine di distributore. Anzi, i testi escussi dalla GdF (clienti Tizio e Caio, v. Verbali allegati al PVC) hanno dichiarato che firmavano i contratti di acquisto con Beta Srl, e che per eventuali esigenze post-vendita Beta Srl provvedeva autonomamente o tramite sub-fornitori locali. ABC interveniva solo per fornire la licenza software e il supporto tecnico remoto, da UK.
Si evidenzia inoltre che l’Ufficio non ha identificato alcun atto concluso in Italia a nome di ABC. Tutte le conferme d’ordine venivano emesse da ABC in UK verso Beta, e Beta verso cliente finale. Manca dunque la prova di una “conclusione abituale di contratti” in Italia per ABC da parte di Beta (requisito di cui all’art. 162, co. 6 TUIR). Beta agiva “in nome proprio”, come riconosciuto anche dall’Agenzia nelle motivazioni dell’Avviso (pag. 3: “Beta Srl fatturava direttamente ai clienti finali”).
In diritto, la giurisprudenza richiamata dall’Avviso (Cass. 21693/2020) attiene a casi in cui l’agente, pur formalmente indipendente, era sostanzialmente esclusivo e privo di autonoma struttura. Non è la presente situazione: Beta Srl aveva vita propria, tanto che ha proseguito la sua attività anche dopo la rescissione del contratto con ABC nel 2021, trovando altri mandati.
Pertanto, difettano sia il presupposto della sede fissa sia quello dell’agente dipendente. Ne discende che ABC non aveva obbligo di dichiarare redditi in Italia, ai sensi dell’art. 23 co.1 lett. e) TUIR (che tasserebbe i redditi dell’estero solo se prodotti tramite stabile organizzazione). L’accertamento è quindi viziato per inesistenza del presupposto imponibile, configurando violazione di legge (art. 162 TUIR, art. 5 Convenzione) e vizio di motivazione su punto decisivo (errata qualificazione del rapporto ABC–Beta).
2. Attività meramente ausiliaria svolta in Italia – Violazione dell’art. 162 co. 4-4 bis TUIR e art. 5 par. 4 Convenzione (motivo subordinato al precedente).
Anche a voler ritenere (in ipotesi) che Beta Srl agisse quale procacciatore quasi esclusivo di ABC, comunque la presenza in Italia integrerebbe un’attività preparatoria o ausiliaria, esclusa dalla nozione di stabile organizzazione. L’art. 162, comma 4, lett. e) TUIR stabilisce che una sede fissa non è considerata stabile org. se utilizzata solo per attività di raccolta ordini, pubblicità, fornitura informazioni o altre attività aventi carattere preparatorio o ausiliario (condizione poi ribadita dal comma 4-bis). Nel caso di specie, Beta Srl svolgeva funzioni di marketing e prima assistenza ai clienti (come evidenziato nel contratto: “il Distributore curerà la promozione del software e il primo contatto con i clienti, trasmettendo gli ordini ad ABC per l’accettazione” – Doc. 3). Queste mansioni rientrano tra quelle tipicamente ausiliarie rispetto all’attività principale di ABC (produzione e licenza del software).
La stessa prassi dell’Agenzia (Risp. a interpello n. 57/2023, citata in Avviso) riconosce che “lo svolgimento di mera attività di supporto (es. marketing) non è sufficiente a configurare il coinvolgimento della stabile organizzazione nell’operazione”. Beta Srl non partecipava infatti alla fase esecutiva delle licenze (erogazione del software, aggiornamenti, che erano curati da ABC da remoto). Il suo intervento si arrestava alla fase preliminare commerciale.
In giurisprudenza, si veda Cass. 7202/2024 dove è stato escluso l’assoggettamento a tassazione italiana di una branch che faceva promozione e assistenza vendite, ritenendo che tali attività fossero ausiliarie e che la struttura decisionale restava all’estero. In modo analogo, nel nostro caso ABC deteneva all’estero il decision making (scelta di prezzi, politiche di sconto oltre 5%, approvazione ordini maggiori) e Beta fungeva da mera vetrina commerciale.
Dunque, anche qualora si volesse considerare Beta “parte” dell’organizzazione di ABC, essa svolgeva funzioni limitate e di supporto, insufficienti a integrare una stabile organizzazione tassabile. L’Avviso disapplica erroneamente l’esimente delle attività preparatorie, incorrendo in violazione di legge.
3. Violazione dei criteri di attribuzione del reddito e mancata deduzione dei costi – Art. 7 par. 2 Modello OCSE, Artt. 109 e 151 TUIR – Eccesso di potere di accertamento.
In via ulteriormente subordinata, ove (nonostante quanto sopra) si riconoscesse la sussistenza di una stabile organizzazione di ABC in Italia, si evidenzia che l’Avviso risulta comunque illegittimo nella parte in cui quantifica il reddito imponibile attribuibile alla presunta stabile organizzazione e le relative imposte. L’Ufficio ha infatti calcolato il reddito tassabile assumendo che tutto il margine di intermediazione di Beta Srl fosse reddito di ABC, senza considerare alcun costo né la diversa soggettività. In altri termini, ha sommato i ricavi da vendite (€1.200.000) e li ha considerati interamente come utile netto della presunta S.O. Ciò contrasta con il principio fondamentale secondo cui il reddito d’impresa imponibile è quello netto, ovvero al netto dei costi di produzione (art. 109 TUIR).
Nel nostro caso, se anche Beta Srl fosse vista come parte della S.O., essa ha sostenuto costi rilevanti per svolgere l’attività in Italia: costi per personale (€200.000), ufficio e spese operative (€50.000), marketing (€30.000), ecc. (cfr. bilancio Beta, Doc. 5). Questi costi sono certamente inerenti all’attività svolta sul mercato italiano e avrebbero dovuto essere imputati alla stabile organizzazione. L’Amministrazione finanziaria, agendo in via induttiva (accertamento d’ufficio ex art. 41 DPR 600/73), non era esonerata dal dovere di determinare presuntivamente i costi deducibili. La Corte Costituzionale (sent. 225/2005) e la Corte di Cassazione (ex multis Cass. 1506/2017; Cass. 2581/2021) hanno affermato che, anche in caso di accertamento basato su presunzioni semplici per omessa dichiarazione, l’Ufficio deve stimare i costi correlati ai ricavi accertati, pena la violazione del principio di capacità contributiva. Ignorare del tutto i costi, come fatto dall’Agenzia, equivale a tassare ricavi lordi, il che è illegittimo.
Inoltre, l’Avviso disattende l’art. 7 par. 2 del Modello OCSE (ripreso nei Commentari, applicabile come criterio di attribuzione utile), secondo cui alla stabile organizzazione devono essere attribuiti gli utili che essa realizzerebbe se fosse un’entità indipendente e separata. Beta Srl da indipendente dichiarava un utile netto del 5% sui ricavi (circa €60.000 su €1.200.000). Non è ragionevole attribuire alla stabile occulta un utile del 100%. Anche applicando il markup standard del 5%, l’utile imponibile sarebbe ben inferiore (€60k). L’Ufficio ha quindi agito in eccesso di potere, determinando un imponibile manifestamente sproporzionato e teorico.
Pertanto, si chiede in via subordinata la rideterminazione dell’imponibile eliminando la duplicazione di redditi già di Beta Srl e comunque deducendo i costi inerenti, con conseguente ricalcolo delle imposte.
4. Vizi procedurali: omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale – Violazione art. 12 c.7 L. 212/2000 – Nullità dell’Avviso.
Infine, sotto un distinto profilo, si rileva che l’Avviso è stato emesso in data 05/09/2025, prima del decorso dei 60 giorni dalla notifica del PVC (30/06/2025) e senza che la Società – soggetto non residente – sia mai stata invitata a controdedurre. Ciò costituisce violazione del diritto al contraddittorio sancito dall’art. 12, co. 7 dello Statuto del Contribuente, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE (sent. C-189/18 Glencore). Non ricorrendo nel caso in esame ragioni di particolare urgenza (l’anno 2020 poteva essere accertato fino al 31/12/2026, anche considerando il raddoppio termini), l’Ufficio avrebbe dovuto attendere il termine dilatorio e valutare eventuali memorie del contribuente. L’omissione di tale contraddittorio comporta la nullità dell’atto impositivo, stante la natura sostanziale del vizio (v. Cass. SS.UU. 24823/2015 in tema di garanzia difensiva). Si eccepisce pertanto la nullità dell’Avviso impugnato.
Inoltre, l’Avviso difetta di motivazione laddove non dà conto delle ragioni di urgenza che avrebbero eventualmente giustificato la deroga al termine dilatorio.
Conclusioni
Per tutto quanto esposto, la Società ricorrente, come sopra rappresentata, chiede che codesta Ill.ma Corte di Giustizia Tributaria di primo grado voglia:
– In via principale, annullare integralmente l’Avviso di accertamento impugnato, per insussistenza di stabile organizzazione e difetto del presupposto d’imposta in Italia;
– In via subordinata, nella denegata ipotesi di riconoscimento di una stabile organizzazione, rideterminare il reddito imponibile attribuibile alla stessa in misura netta congrua (tenendo conto dei costi deducibili e dell’utile d’impresa effettivo) ed eliminare/ridurre le relative sanzioni, con conseguente correzione in diminuzione dell’imponibile IRES, IRAP e IVA accertato e delle sanzioni;
– In via ulteriormente subordinata, annullare l’Avviso per vizio procedurale, in quanto emesso in violazione del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio;
– In ogni caso, con vittoria di spese del presente giudizio.
Si allegano: 1) Copia Avviso impugnato; 2) PVC GDF n. 123/2024; 3) Contratto di distribuzione ABC–Beta; 4) Visura Beta Srl e bilancio 2020; 5) Documentazione fiscale Beta (F24 IVA); 6) Procura alle liti.
[Luogo], lì [data]
Avv. [Firma]
Come si evince dal fac-simile, è essenziale personalizzare e dettagliare i fatti e motivi per il proprio caso. Un ricorso ben articolato tocca sia i profili sostanziali (no stabile, attività ausiliaria, no agente dipendente) sia quelli quantitativi (costi, trasfer pricing interno) sia eventuali vizi formali. Non sempre tutti questi motivi saranno presenti insieme; vanno scelti in base alle circostanze. Un modello serve da traccia, ma vanno inseriti i riferimenti specifici (es. articoli di convenzione, norme specifiche violate, numeri di circolari, ecc., come fatto sopra).
Conclusioni
La materia delle stabili organizzazioni occulte di società estere è complessa e in continua evoluzione, ma questa guida ne ha illustrato i punti salienti con un livello di approfondimento avanzato. Dal punto di vista del contribuente (sia esso un imprenditore internazionale, un professionista o un consulente legale), è fondamentale:
- Prevenire il rischio, strutturando correttamente le proprie attività transfrontaliere (valutare l’apertura di filiali o sedi secondarie ufficiali, rispettare le regole di transfer pricing, monitorare le attività sul territorio per evitare di superare la soglia dell’ausiliarietà).
- In caso di contestazione, analizzare con cura la fondatezza giuridica dell’accusa di stabile organizzazione e i fatti raccolti dal Fisco, per individuare le migliori strategie difensive (dal negare proprio il presupposto al ridimensionare la pretesa).
- Avvalersi di tutti gli strumenti deflattivi disponibili se utili (adesione se c’è margine di trattativa, sospensione, ecc.) ma senza esitare a far valere i propri diritti in giudizio quando necessario, forti anche di una giurisprudenza che in più occasioni ha dato ragione ai contribuenti in presenza di situazioni dubbie o condotte non così gravi.
- Tenere a mente le possibili conseguenze penali: non per farsi prendere dal panico, ma per agire in modo informato (a volte chiudere la vicenda pagando conviene per evitare guai peggiori; altre volte si può difendere il proprio operato anche in sede penale, dimostrando assenza di dolo).
In ultima analisi, “come difendersi” dall’accusa di stabile organizzazione occulta significa combinare una solida conoscenza delle norme (italiane e dei trattati), un’analisi puntuale dei fatti aziendali, e un approccio strategico sia nella fase pre-contenziosa che in quella contenziosa. Auspichiamo che questa guida – con le spiegazioni, le citazioni dalle fonti autorevoli, le sentenze recenti commentate (Cass. 7202/2024, Cass. 2116/2024, Cass. 2581/2021, etc.) e gli esempi pratici – possa costituire un valido supporto per orientarsi in questa materia insidiosa, aiutando i contribuenti (e i loro difensori) a far valere le proprie ragioni nei confronti dell’Amministrazione finanziaria italiana.
Fonti utilizzate: Normativa (art. 162 DPR 917/86; art. 5 Modello OCSE e Convenzioni; D.Lgs. 74/2000); Prassi AdE (Circ. 32/E/2006, 26/E/2014; Risposte interpello 2021-2023); Giurisprudenza recente della Corte di Cassazione (sentt. nn. 7202/2024, 2116/2024, 992/2024, 1709/2023, 2581/2021, 21693/2020, 30033/2018, ecc.); Giurisprudenza UE (CGUE Berlin Chemie 2022 e Cabot Plastics 2023);
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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
L’Agenzia delle Entrate può considerare che una società estera abbia una stabile organizzazione in Italia quando qui svolge attività economiche in modo continuativo, anche senza una sede legale dichiarata. In questi casi, tutti i redditi attribuiti alla presunta stabile organizzazione vengono tassati in Italia, con recupero di imposte, IVA e applicazione di sanzioni.
👉 Prima regola: dimostra che l’attività viene realmente gestita all’estero e che in Italia non esistono i presupposti per qualificare una stabile organizzazione.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Uffici, magazzini o personale presenti in Italia ma formalmente riconducibili alla società estera;
- Agenti o collaboratori italiani che operano abitualmente per la società estera;
- Decisioni gestionali o contrattuali prese dall’Italia;
- Clienti italiani fatturati da una società estera senza stabile organizzazione dichiarata;
- Strutture logistiche o tecniche in Italia considerate come base fissa di affari.
📌 Conseguenze della contestazione
- Tassazione in Italia dei redditi attribuiti alla stabile organizzazione;
- Recupero delle imposte dirette e IVA con sanzioni e interessi;
- Sanzioni per omessa dichiarazione dei redditi in Italia;
- Blocco di eventuali benefici fiscali esteri;
- Possibili contestazioni penali in caso di evasione internazionale.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Luogo effettivo di direzione e gestione della società;
- Attività concretamente svolta in Italia: è accessoria o centrale per il business?
- Presenza di personale, uffici o magazzini: erano davvero stabili e continuativi?
- Applicabilità delle convenzioni contro le doppie imposizioni;
- Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia ha prove oggettive o solo presunzioni?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Statuto e atto costitutivo della società estera;
- Contratti di lavoro e collaborazioni con soggetti italiani;
- Contratti di fornitura o distribuzione con clienti in Italia;
- Documentazione bancaria e contabile della società estera;
- Verbali societari e prove del luogo di gestione effettiva.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare l’assenza di una stabile organizzazione in Italia con prove concrete;
- Contestare la riqualificazione dei rapporti commerciali se privi di continuità;
- Invocare le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni;
- Eccepire vizi formali: motivazione insufficiente, notifica irregolare, decadenza dei termini;
- Chiedere autotutela se l’accertamento ignora documenti già prodotti;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per sospendere o annullare l’atto.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la contestazione relativa alla presunta stabile organizzazione;
📌 Verifica la legittimità dell’accertamento e l’applicazione delle convenzioni internazionali;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per strutturare in modo sicuro i rapporti tra società estere e Italia.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e stabili organizzazioni;
✔️ Specializzato in difesa di società estere contro contestazioni di presenza occulta in Italia;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle stabili organizzazioni occulte di società estere non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni eccessive o da interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la vera residenza fiscale della società, evitare la riqualificazione come stabile organizzazione e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
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